CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
TAMARA ĆAPETA
presentate il 25 maggio 2023 (1)
Causa C‑175/22
BK,
con l’intervento di:
Spetsializirana prokuratura
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale penale specializzato, Bulgaria)]
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2012/13/UE – Diritto all’informazione nei procedimenti penali – Articolo 6, paragrafo 4 – Diritto di essere informato della riqualificazione dei fatti di reato da parte del giudice nazionale – Articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto a un processo equo – Imparzialità dei giudici»
I. Introduzione
1. Secondo relazioni recenti, oltre 9 milioni di persone sono sottoposte ogni anno a procedimenti penali nell’Unione europea (2). A tal fine, l’Unione europea ha adottato diversi strumenti giuridici che stabiliscono taluni diritti processuali comuni applicabili nei procedimenti penali.
2. Uno di questi strumenti è la direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (3), che stabilisce norme relative al diritto delle persone di essere informate dei loro diritti processuali, compresa l’accusa formulata nei loro confronti.
3. La presente causa trae origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale penale specializzato, Bulgaria) e vertente sull’interpretazione di tale direttiva nonché dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
4. La questione principale sollevata nella presente causa è, in sostanza, se la direttiva 2012/13 osti a una normativa nazionale che consente al giudice di dichiarare un imputato colpevole di un reato dopo aver riqualificato i fatti senza informarne quest’ultimo prima della pronuncia della sentenza. La presente causa solleva altresì problemi relativi alla questione se la circostanza che l’informazione concernente la riqualificazione dei fatti di reato provenga dal giudice possa porsi in contrasto con le garanzie di imparzialità dei giudici sancite all’articolo 47, secondo comma, della Carta.
II. Fatti del procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte
5. La Spetsializirana prokuratura (Procura specializzata, Bulgaria) ha avviato un procedimento penale nei confronti dell’imputato BK dinanzi allo Spetsializiran Nakazatalen sad (Tribunale penale specializzato, Bulgaria), giudice del rinvio nella presente causa.
6. La Spetsializirana prokuratura (Procura specializzata) ha accusato BK di aver commesso il reato di concussione in qualità di ufficiale di polizia giudiziaria. Ai sensi del codice penale bulgaro (4), tale reato è punito con una pena detentiva da 3 a 15 anni, una pena pecuniaria di 25 000 Leva (BGN) (circa EUR 12 500), la confisca di metà del patrimonio e la decadenza dai diritti.
7. La difesa di BK ha sollevato obiezioni contro tale qualificazione giuridica, sostenendo che le condotte contestate esulavano dalle competenze di BK in quanto ufficiale di polizia giudiziaria e integravano, invece, il reato di truffa. Ai sensi del codice penale bulgaro (5), tale reato è punibile con una pena detentiva fino a cinque anni
8. Il giudice del rinvio evidenzia che la sua decisione di merito deve essere presa, in linea di principio, sulla base del capo d’imputazione quale formulato dal pubblico ministero. Qualora esso ritenga che i fatti addebitati non sussistano, dovrebbe pronunciare un’assoluzione. Tuttavia, qualora esso consideri provati i fatti addebitati dal pubblico ministero, dovrebbe esaminare se essi integrino un reato diverso punito allo stesso modo o meno severamente.
9. Il giudice del rinvio spiega che, in un caso del genere, la normativa bulgara pertinente (6) è stata interpretata, nella giurisprudenza, nel senso che permette al giudice di modificare d’ufficio la qualificazione giuridica dei fatti di reato senza informarne previamente l’imputato. Ciò si verifica soltanto qualora non ricorra una modifica sostanziale del capo d’imputazione negli elementi di fatto e la nuova qualificazione giuridica non comporti l’irrogazione di una pena più severa (7). In pratica, l’imputato verrà a conoscenza della nuova qualificazione giuridica soltanto al momento della pronuncia della sentenza del giudice.
10. Il giudice del rinvio ritiene quindi che, in forza del diritto nazionale, gli sarebbe possibile modificare la qualificazione giuridica dei fatti contestati a BK e, quindi, accertare un reato di truffa, come sostiene la difesa di quest’ultimo. Il giudice del rinvio menziona altresì un altro possibile reato, il traffico di influenze illecite, punibile sulla base del codice penale bulgaro (8) con una pena detentiva fino a sei anni o con una pena pecuniaria fino a BGN 5 000 (circa EUR 2 500).
11. Il giudice del rinvio nutre dubbi quanto alla conformità della normativa nazionale, come interpretata nella suddetta giurisprudenza, con l’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2012/13, poiché l’imputato è privato di qualsiasi possibilità di difendersi contro la nuova qualificazione giuridica e ne viene a conoscenza soltanto con la sua condanna. Ciò nonostante, il giudice del rinvio è incerto se il fatto che la nuova qualificazione giuridica non comporta una pena più severa possa giustificare la normativa nazionale di cui trattasi.
12. Il giudice del rinvio osserva, inoltre, che, qualora la Corte ritenga che la direttiva 2012/13 osti a detto diritto nazionale, esso sarebbe tenuto a informare BK della possibilità di una condanna sulla base di una qualificazione giuridica diversa da quella indicata dal pubblico ministero e a dargli la possibilità di predisporre la sua difesa. In tal caso, il giudice del rinvio teme di poter perdere la sua neutralità qualora ritenga concepibile una determinata qualificazione giuridica e quindi pronunci una sentenza di condanna dell’imputato sulla base di tale qualificazione, anche laddove abbia previamente dato a quest’ultimo la possibilità di prepararsi. Date siffatte circostanze, il giudice del rinvio non è certo che l’informazione concernente la riqualificazione dei fatti provenga dal giudice, e non dal pubblico ministero, possa rimettere in discussione l’imparzialità di detto giudice, quale garantita dall’articolo 47, secondo comma, della Carta.
13. Ciò premesso, lo Spetsializiran Nakazatalen sad (Tribunale penale specializzato) ha deciso di sospendere il procedimento principale e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«[(1)] Se l’articolo 6, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2012/13 osti a un’interpretazione giurisprudenziale di disposizioni nazionali – l’articolo 301, paragrafo 1, punto 2, in combinato disposto con l’articolo 287, paragrafo 1, [dell’NPK] – secondo la quale il giudice può, nella sua sentenza, attribuire ai fatti una qualificazione giuridica diversa da quella indicata nell’atto d’imputazione, purché non si tratti di una qualificazione come reato punito più severamente, a ragione del fatto che l’imputato non è stato correttamente informato della nuova e diversa qualificazione giuridica prima della pronuncia della sentenza e non ha potuto difendersi in relazione ad essa.
[(2)] In caso di ri[s]posta positiva, se l’articolo 47, secondo comma, della Carta vieti al giudice di informare l’imputato della possibilità che pronunci la sua decisione di merito anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica dei fatti, e di dargli, inoltre, la possibilità di predisporre la propria difesa, poiché l’iniziativa di tale diversa qualificazione giuridica non proviene dal pubblico ministero».
14. Con lettera del 5 agosto 2022, il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia, Bulgaria) ha informato la Corte che, a seguito di una modifica legislativa entrata in vigore il 27 luglio 2022, lo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale penale specializzato) è stato soppresso e che alcuni procedimenti penali di cui era investito, tra cui la presente causa, sono stati trasferiti, a partire da tale data, presso il Sofiyski gradski sad (Tribunale di Sofia).
15. La Repubblica ceca e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte alla Corte. Il 2 marzo 2023 si è tenuta un’udienza, nel corso della quale dette parti hanno svolto le loro difese orali.
III. Analisi
16. Le due questioni sottoposte alla Corte traggono origine dalle specificità del diritto processuale penale bulgaro per quanto concerne la possibilità, per un giudice, di riqualificare i fatti di reato, in talune circostanze, senza informarne l’imputato. In pratica, quest’ultimo viene a conoscenza della nuova qualificazione giuridica dei fatti di reato soltanto al momento della pronuncia della sentenza del giudice e, quindi, non ha la possibilità di difendersi contro la nuova qualificazione giuridica nell’ambito del procedimento penale. Tuttavia, siffatta riqualificazione è consentita soltanto qualora non ricorra una modifica sostanziale degli elementi di fatto del capo d’imputazione e la nuova qualificazione giuridica non comporti l’irrogazione di una pena più severa. Tali specificità sono il risultato dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza della normativa bulgara pertinente.
17. Le preoccupazioni sollevate dal giudice del rinvio quanto alla conformità della suddetta normativa nazionale con il diritto dell’Unione richiedono un’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 2012/13 e del diritto fondamentale a un giudice imparziale, quale garantito dall’articolo 47 della Carta. Tratterò ciascuna delle due questioni in sequenza.
A. Prima questione
18. La prima questione verte sul diritto dell’imputato di essere informato della riqualificazione dei fatti di reato. Tale questione esige, a mio avviso, l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, nonostante il giudice del rinvio menzioni anche, nella sua questione, l’articolo 6, paragrafo 3, di tale direttiva (9).
19. Suggerisco pertanto alla Corte di riformulare la prima questione come diretta, in sostanza, a stabilire se l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 osti a una normativa nazionale che consente al giudice di informare l’imputato del fatto che ha riqualificato i fatti di reato soltanto al momento della pronuncia della sentenza.
20. Tale questione implica che il giudice possa modificare d’ufficio la qualificazione giuridica dei fatti di reato. Desidero anzitutto precisare che, nella presente causa, la Corte non è invitata a pronunciarsi sulla compatibilità di un siffatto potere del giudice nazionale con il diritto dell’Unione (10). La prima questione riguarda soltanto il momento in cui l’informazione concernente la modifica deve essere comunicata all’imputato.
21. Poiché la risposta a tale questione richiede l’interpretazione della direttiva 2012/13, inizierò spendendo alcune parole su tale direttiva e il suo articolo 6.
1. La direttiva 2012/13 e il suo articolo 6
22. La direttiva 2012/13 fa parte delle sei direttive sui «diritti procedurali» o sulla «tabella di marcia» di cui alla risoluzione del Consiglio del 2009 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali (11). Quest’ultima è stata approvata nel programma di Stoccolma del Consiglio europeo concernente lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (12). Le suddette direttive si fondano sulla competenza dell’Unione europea di cui all’articolo 82, paragrafo 2, lettera b), TFUE, a stabilire norme minime relative ai diritti della persona nella procedura penale (13).
23. La principale giustificazione di tali norme comuni è agevolare il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie in materia penale (14). Ciò si riflette molto chiaramente nel preambolo della direttiva 2012/13 (15).
24. La direttiva 2012/13 stabilisce norme minime comuni relative al diritto all’informazione delle persone indagate o imputate nei procedimenti penali (16). Il diritto all’informazione nei procedimenti penali è un aspetto fondamentale del diritto a un processo equo (17), poiché un processo può essere equo soltanto se le persone sono a conoscenza dei loro diritti (18).
25. L’articolo 6 della direttiva 2012/13, che rileva ai fini della presente causa, contribuisce a garantire un equo processo stabilendo norme riguardanti un aspetto del diritto all’informazione (19). Essa riguarda il diritto degli indagati o degli imputati di conoscere l’accusa mossa nei loro confronti. Esso è così formulato:
«1. Gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni sono fornite tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della difesa.
2. Gli Stati membri assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute, siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale sono indagate o imputate.
3. Gli Stati membri garantiscono che, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria, siano fornite informazioni dettagliate sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del reato, nonché la natura della partecipazione allo stesso dell’accusato.
4. Gli Stati membri garantiscono che le persone indagate o imputate, siano tempestivamente informate di ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma del presente articolo, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento».
26. Il considerando 27 della direttiva 2012/13 precisa che le persone accusate di aver commesso un reato dovrebbero ricevere tutte le informazioni sull’accusa necessarie per consentire loro di preparare la difesa e garantire l’equità del procedimento.
27. Il considerando 29 della direttiva 2012/13 precisa inoltre che qualora, nel corso del procedimento penale, i particolari concernenti l’accusa cambino in modo tale da ripercuotersi in modo sostanziale sulla posizione delle persone indagate o imputate, ciò dovrebbe esser loro comunicato ove necessario per salvaguardare l’equità del procedimento e a tempo debito per consentire un esercizio effettivo dei diritti della difesa.
2. Esame della prima questione
28. È contrario all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 informare l’imputato della modifica delle accuse a suo carico soltanto al momento della pronuncia di una sentenza con cui quest’ultimo è condannato sulla base dei capi d’imputazione modificati?
29. La risposta più ovvia è «sì», poiché all’imputato non è stata offerta la possibilità di difendersi contro i capi di imputazione per i quali è stato condannato. Mi chiedo, tuttavia, se la risposta sia altrettanto ovvia qualora il nuovo capo di imputazione e il capo di imputazione originario presentino gli stessi elementi costitutivi. È possibile presumere che, in una situazione del genere, l’imputato non abbia potuto difendersi?
30. La Repubblica ceca ritiene che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 non osti a una normativa nazionale come quella di cui trattasi qualora la nuova qualificazione giuridica non sia né più severa né inaspettata. Essa basa il suo argomento sulla formulazione di tale disposizione, ai sensi della quale le persone indagate o imputate devono essere informate delle modifiche soltanto «ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento». In udienza, la Repubblica ceca ha fornito l’esempio dei reati di furto e rapina. Come da essa spiegato, il furto è generalmente definito come l’appropriazione di beni di proprietà altrui, mentre la rapina denota, generalmente, un furto mediante uso della forza. Se la qualificazione giuridica iniziale dei fatti di reato è rapina ed è in seguito modificata in furto, il giudice non è tenuto a informarne l’imputato, poiché la rapina include tutti gli elementi costitutivi del furto, sicché la possibilità di predisporre una difesa è già stata offerta. Tuttavia, se la qualificazione giuridica iniziale dei fatti è furto, essa non può essere modificata in rapina senza informarne l’imputato e offrirgli la possibilità di predisporre una difesa, poiché il furto non presenta tutti gli elementi costitutivi della rapina.
31. La Commissione sostiene che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi. Tuttavia, la Commissione ritiene che, in una situazione in cui gli elementi costitutivi del reato, come riqualificato, caratterizzano anche il reato originariamente contestato, non sia necessario informare l’imputato prima della pronuncia della sentenza. In tal caso, l’imputato non avrebbe bisogno di modificare la sua strategia difensiva. Secondo la Commissione, ciò non si verifica nel caso di specie.
32. Sia la Repubblica ceca, sia la Commissione si basano sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»). Esse affermano che l’accertamento di una violazione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «Convenzione») dipende dalla garanzia dell’equità del procedimento, ragion per cui occorre tener conto della circostanza se l’imputato fosse consapevole, nel corso del procedimento, della possibilità di una nuova qualificazione giuridica. L’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, e in particolare, dell’espressione «necessario per salvaguardare l’equità del procedimento», deve essere intesa in modo analogo.
33. Occorre quindi iniziare dall’esame della giurisprudenza pertinente della Corte (a) e della Corte EDU (b).
a) Giurisprudenza pertinente della Corte
34. La sentenza nella causa Kolev e a. (20) verteva principalmente sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 2012/13. La Corte, riunita in Grande Sezione, ha statuito che l’obiettivo dell’articolo 6 della direttiva 2012/13 di consentire un esercizio effettivo dei diritti della difesa e di garantire l’equità del procedimento impone che l’imputato riceva informazioni dettagliate sull’accusa in un momento che gli consenta di predisporre in modo efficace la propria difesa. Un aspetto importante ai fini della presente causa è che la Corte ha altresì statuito che siffatto requisito non esclude che le informazioni relative all’accusa trasmesse alla difesa possano essere oggetto di modifiche ulteriori, segnatamente per quanto riguarda la qualificazione giuridica dei fatti contestati, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13. La Corte ha tuttavia sottolineato che siffatte modifiche devono essere comunicate all’imputato o al suo avvocato in un momento in cui questi ultimi abbiano ancora la possibilità di replicare in modo effettivo, prima della deliberazione (21).
35. Nella sua sentenza nella causa Moro (22), la Corte ha ribadito le suddette statuizioni e ha dichiarato che l’informazione su ogni eventuale modifica relativa all’accusa ricomprende non soltanto modifiche ai fatti di cui la persona è accusata, ma anche la modifica della qualificazione giuridica di tali fatti. Ciò è necessario, in forza dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, affinché l’imputato possa esercitare i suoi diritti della difesa in modo concreto ed effettivo (23).
36. Di conseguenza, dalla giurisprudenza della Corte sembra emergere chiaramente che, in caso di riqualificazione dei fatti di reato, l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 esige che l’imputato sia informato di tale riqualificazione in un momento in cui abbia la possibilità di reagire a tale nuova accusa, e prima della fase della deliberazione del giudice.
37. La suddetta giurisprudenza avvalora, quindi, la tesi secondo cui il diritto nazionale di cui trattasi nella presente causa è contrario all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13. Tuttavia, in nessuna di tali cause precedenti la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione se l’informazione relativa alla riqualificazione dei fatti di reato debba essere fornita all’imputato qualora la nuova qualificazione giuridica si basi sugli stessi elementi costitutivi della qualificazione giuridica iniziale. Non si può quindi ritenere che la summenzionata giurisprudenza contenga una risposta decisiva ai fini della presente causa.
b) Giurisprudenza pertinente della Corte EDU
38. Come già spiegato (v. paragrafo 32 delle presenti conclusioni), sia la Repubblica ceca, sia la Commissione si basano sulla giurisprudenza della Corte EDU relativa all’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione, il quale prevede il diritto della persona interessata di essere informata, nel più breve tempo possibile, in una lingua ad essa comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico.
39. Innanzitutto, la Corte EDU ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione conferisce all’accusato il diritto di essere informato non solo dei motivi dell’accusa (vale a dire dei fatti posti a suo carico e sui quali si fonda l’accusa), ma anche della qualificazione giuridica data a tali fatti. Ciò è considerato importante al fine di garantire l’equità del processo (24). Di conseguenza, l’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione è valutato alla luce del più generale diritto a un processo equo, garantito dall’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione e del diritto della persona di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), della stessa (25).
40. Per quanto riguarda le modifiche dell’accusa, l’imputato deve esserne debitamente e pienamente informato e deve altresì disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a reagire e organizzare la sua difesa sulla base di qualsiasi nuova informazione o contestazione (26). Secondo una giurisprudenza costante della Corte EDU, se i giudici dispongono, quando tale diritto è loro riconosciuto nel diritto interno, della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile e in maniera dettagliata non solo dei fatti materiali sui quali si fonda l’accusa, ma anche della qualificazione giuridica data a tali fatti (27).
41. Sulla base di tali considerazioni, la Corte EDU ha riscontrato una violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, lettere a) e b), della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1, della stessa, in situazioni in cui i fatti di reato sono stati riqualificati da un giudice e all’imputato non è stata offerta la possibilità di difendersi contro la nuova qualificazione giuridica in maniera concreta ed effettiva e in tempo utile (28). In particolare, la Corte EDU ha sottolineato che se l’informazione è stata fornita quando la persona non aveva più la possibilità di preparare la propria difesa contro la nuova accusa e se essa è venuta a conoscenza della riqualificazione soltanto con la sentenza del giudice, in tal caso l’informazione è stata fornita tardivamente (29).
42. Peraltro, il fatto che la riqualificazione riguardi l’applicazione di una pena più mite non è stato considerato rilevante dalla Corte EDU (30).
43. Ad esempio, nella causa Pélissier e Sassi c. Francia (31), la Corte EDU, riunita in Grande Camera, ha ritenuto sussistente una violazione della Convenzione in un caso in cui un giudice aveva riqualificato i fatti da bancarotta ad assistenza nel reato di bancarotta in circostanze in cui gli imputati non erano informati di tale accusa. In tale contesto, la Corte EDU ha esaminato se tali persone dovessero essere poste al corrente della possibilità di essere condannate sulla base di una nuova accusa. Tenuto conto delle differenze tra gli elementi da provare, la Corte EDU ha ritenuto che la nuova accusa di assistenza nella commissione del reato non costituisse un elemento inerente all’accusa iniziale di cui esse erano a conoscenza sin dall’inizio del procedimento. Sebbene non fosse di sua competenza valutare la fondatezza delle difese che tali persone avrebbero potuto invocare se avessero avuto la possibilità di presentare argomenti in merito alla nuova accusa, la Corte EDU ha tuttavia rilevato che era plausibile sostenere che la difesa sarebbe stata diversa. Di conseguenza, nell’avvalersi del diritto ad esso riconosciuto dal diritto nazionale di modificare l’accusa, il giudice avrebbe dovuto accordare agli imputati la possibilità di preparare la loro difesa contro la nuova accusa. La presa di conoscenza della riqualificazione soltanto attraverso la sentenza era troppo tardiva.
44. Analogamente, la Corte EDU ha constatato una violazione della Convenzione nella causa Penev c. Bulgaria (32). La Corte EDU ha sottolineato che l’imputato non poteva sapere che il giudice avrebbe potuto pronunciare un verdetto sulla base di una nuova qualificazione giuridica, dichiarando che gli elementi del vecchio e del nuovo reato erano diversi e che gli elementi del nuovo reato non erano mai stati oggetto di dibattimento nel corso del processo, poiché solo con la sentenza del giudice l’imputato era venuto a conoscenza della nuova qualificazione giuridica. La Corte EDU ha altresì respinto gli argomenti secondo cui la qualificazione giuridica dei fatti rivestiva scarsa importanza, poiché la condanna alternativa si fondava sugli stessi fatti, e ha ribadito che la Convenzione esige che l’imputato sia informato in maniera dettagliata non solo dei fatti che è accusato di aver commesso, ma anche della qualificazione giuridica loro attribuita.
45. La causa D.M.T. e D.K.I. c. Bulgaria (33) sembra essere la più affine alla presente causa, poiché verte sulla riqualificazione dei fatti di reato da corruzione a truffa. La Corte EDU ha constatato una violazione della Convenzione poiché in nessuna fase del procedimento l’imputato era stato informato della modifica della qualificazione; soltanto con la sentenza del giudice egli era venuto a conoscenza delle nuove accuse formulate a suo carico. Secondo la Corte EDU, l’imputato non poteva prevedere una siffatta riqualificazione, dato che gli elementi dei due reati erano diversi, sicché era plausibile che la difesa sarebbe stata diversa.
46. Mi sembra importante rilevare che, in tali cause, vi erano differenze negli elementi costitutivi da provare ai fini dell’accertamento dei fatti originari e di quelli oggetto di riqualificazione.
47. Di converso, la Corte EDU non ha constatato alcuna violazione della Convenzione in situazioni in cui l’imputato ha avuto la possibilità di reagire alla nuova qualificazione giuridica dei fatti di reato (34). Ciò avviene, ad esempio, quando l’imputato è stato informato della possibilità che le accuse siano modificate nel corso dell’esame della causa da parte del giudice competente e ha avuto la possibilità di presentare argomenti contro le nuove accuse prima della pronuncia della sentenza (35). Tale situazione è tuttavia diversa da quella di cui al caso di specie, in cui l’imputato è venuto a conoscenza della riqualificazione dei fatti di reato solo dopo la pronuncia della sentenza.
48. In alcuni casi la Corte EDU non ha riscontrato alcuna violazione della Convenzione in casi in cui l’imputato era a conoscenza degli elementi della nuova qualificazione giuridica e ha potuto difendersi contro di essa nell’ambito del procedimento.
49. Nella causa Salvador Torres c. Spagna (36), la Corte EDU non ha ravvisato alcuna violazione del diritto dell’imputato di cui all’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione nella situazione in cui la qualificazione dei fatti è stata modificata da appropriazione indebita a appropriazione indebita aggravata dalla circostanza di aver tratto vantaggio dal carattere pubblico della posizione ricoperta. Il carattere pubblico della posizione dell’imputato era un elemento inerente all’accusa iniziale e, quindi, ad egli noto sin dall’inizio del procedimento. L’imputato aveva quindi avuto la possibilità di affrontare tale questione nell’ambito del procedimento.
50. Analogamente, nella causa Marilena-Carmen Popa c. Romania (37), la Corte EDU non ha ravvisato alcuna violazione della Convenzione nella situazione in cui il giudice aveva modificato la qualificazione giuridica dei fatti da falso in atto pubblico continuato a falso in atto pubblico. La Corte EDU ha ritenuto che il singolo atto di falso in atto pubblico per il quale l’imputata era stata condannata costituisse un elemento inerente all’accusa iniziale formulata a suo carico di falso in atto pubblico continuato. Dunque, l’imputata ne era a conoscenza sin dall’inizio del procedimento penale e, nel corso di detto procedimento, aveva potuto esprimere il suo punto di vista e presentare argomenti ed elementi di prova nella sua difesa in relazione a ogni atto di falso in atto pubblico di cui era stata accusata. Date siffatte circostanze, la Corte EDU ha ritenuto che l’imputata fosse pienamente consapevole della possibilità che i giudici nazionali la potessero dichiarare colpevole sulla base della nuova qualificazione.
51. Infine, ad esempio, nella causa Gea Catalán c. Spagna (38), la Corte EDU non ha ravvisato alcuna violazione della Convenzione nella situazione in cui la discrepanza oggetto di contestazione era il risultato di un errore materiale commesso dal pubblico ministero, ma l’imputato era stato debitamente informato di tutti gli elementi dell’accusa nel procedimento.
52. Di conseguenza, la giurisprudenza della Corte EDU sopra citata può essere classificata in due gruppi. In un primo gruppo di cause, gli elementi costitutivi dei reati originariamente contestati e di quelli risultanti dalla riqualificazione sono diversi. In casi del genere, la Corte EDU ha ritenuto che l’imputato non avesse avuto la possibilità di difendersi prima della pronuncia della sentenza di condanna per i fatti come riqualificati. La presente causa sembra inquadrarsi in una situazione del genere, ma si tratta di una circostanza che spetta al giudice del rinvio valutare. Il secondo gruppo di cause è quello in cui gli elementi costitutivi del reato inizialmente contestato comprendono tutti gli elementi costitutivi del reato risultante dalla riqualificazione (come nell’esempio della Repubblica ceca del furto e della rapina, menzionato al paragrafo 30 delle presenti conclusioni). La giurisprudenza della Corte EDU sembra suggerire che, in situazioni del genere, l’imputato ha già avuto la possibilità di difendersi e che la sua strategia difensiva non sarebbe stata diversa. Di conseguenza, informare l’imputato solo al momento della pronuncia della sentenza non costituisce una violazione della Convenzione.
c) In che modo la Corte dovrebbe interpretare l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13?
53. La Repubblica ceca e la Commissione hanno sottolineato che, nell’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, la Corte dovrebbe adottare un approccio analogo a quello adottato dalla Corte EDU nella sua giurisprudenza in materia di valutazione di asserite violazioni dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera a), della Convenzione.
54. È effettivamente così?
55. È pacifico che il diritto derivato dell’Unione, ivi compresa la direttiva 2012/13, deve essere interpretato in conformità con i diritti fondamentali vincolanti per l’Unione (39). Sulla base dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, in tali diritti rientrano anche quelli garantiti dalla Convenzione e dalla giurisprudenza pertinente della Corte EDU ogni qual volta i diritti della Carta corrispondano a quelli della Convenzione. A tal riguardo, la direttiva 2012/13 enuncia, al suo considerando 41, che essa rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta, e, più in particolare, intende promuovere il diritto alla libertà, il diritto a un equo processo e i diritti della difesa. Inoltre, il suo considerando 42 precisa che le disposizioni della direttiva 2012/13 che corrispondono ai diritti garantiti dalla Convenzione dovrebbero essere interpretate e applicate in modo coerente rispetto a tali diritti, come interpretati nella giurisprudenza della Corte EDU (40).
56. Tuttavia, l’obbligo di interpretare la direttiva 2012/13 in modo conforme ai diritti fondamentali implica che i diritti contenuti in tale direttiva non possono offrire una protezione inferiore a quella garantita dalla Carta e dalla Convenzione. Ciò non significa che il legislatore dell’Unione non possa concedere agli imputati diritti più ampi. Inoltre, se il diritto derivato dell’Unione prevede siffatti diritti più ampi, ciò non significa automaticamente che il livello della Carta sia più elevato rispetto a quello della Convenzione. Ciò significa semplicemente che la soluzione legislativa è più vantaggiosa rispetto a quanto richiesto dal livello dei diritti fondamentali nell’Unione, al di sotto del quale il legislatore dell’Unione non può scendere, ma al di sopra del quale può spingersi.
57. Pertanto, anche qualora la giurisprudenza della Corte EDU debba essere interpretata nel senso che consente di riqualificare i fatti di reato senza offrire all’imputato la possibilità di reagire a tale modifica in talune circostanze, ciò non significa necessariamente che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 debba essere interpretato in tal senso.
58. Nell’interpretare il diritto derivato dell’Unione, oltre a prendere in considerazione la tutela dei diritti fondamentali quale soglia minima, la Corte deve tener conto anche della finalità dell’atto giuridico da interpretare.
59. Come risulta dal suo preambolo (41), la direttiva 2012/13 mira ad armonizzare le legislazioni nazionali al fine di rafforzare la fiducia reciproca e consentire, di conseguenza, il reciproco riconoscimento nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale.
60. Tale importante finalità sottesa alla direttiva 2012/13 incide necessariamente sul metodo della sua interpretazione, così come incide sull’interpretazione di altre direttive adottate sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE. Nella sentenza Covaci, la prima causa in cui la Corte è stata invitata a interpretare la direttiva 2012/13, l’avvocato generale Bot ha suggerito che «le norme adottate sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE devono essere interpretate nel senso idoneo ad assicurare loro un pieno effetto utile, poiché una siffatta interpretazione, che rafforzerà la tutela dei diritti, rafforzerà allo stesso tempo la fiducia reciproca e, di conseguenza, faciliterà l’attuazione del riconoscimento reciproco» (42). Egli ha inoltre aggiunto che «[r]idurre la portata di tali norme mediante un’interpretazione letterale dei testi può produrre l’effetto di contrastare l’attuazione del riconoscimento reciproco e quindi la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (43).
61. Condivido tale posizione dell’avvocato generale Bot. Le norme comuni fissate dalla direttiva 2012/13 devono essere interpretate in modo da consentire una migliore realizzazione dell’obiettivo di rafforzare la fiducia reciproca. Siffatto obiettivo milita a favore di soluzioni semplici. Tuttavia, la Corte è vincolata dai limiti dell’interpretazione accettabile imposta dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13.
62. In tale prospettiva, è necessario esaminare quali siano le possibili interpretazioni dell’espressione «necessario per salvaguardare l’equità del procedimento» di cui all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13. Se, come credo, vi sono più opzioni, la Corte dovrebbe scegliere quella che meglio consente di raggiungere l’obiettivo di rafforzare la fiducia reciproca.
63. A mio avviso, la formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 lascia aperte (almeno) due opzioni.
64. Secondo la prima opzione interpretativa, l’equità del procedimento è garantita in situazioni in cui gli elementi costitutivi del reato inizialmente contestato e di quello risultante dalla riqualificazione corrispondono, sebbene l’imputato non sia stato informato della riqualificazione dei fatti di reato prima della pronuncia della sentenza. Tale opzione riflette la giurisprudenza della Corte EDU. Essa si basa sulla premessa secondo cui, in tali situazioni, il giudice può accertarsi del fatto che l’imputato abbia avuto la possibilità di difendersi e che la strategia difensiva non sarebbe stata diversa.
65. È comprensibile che un siffatto approccio caso per caso possa sembrare accettabile nella giurisprudenza della Corte EDU. Tale giudice è incaricato di valutare a posteriori se il modo in cui è stato condotto un determinato procedimento penale abbia violato i diritti fondati sulla Convenzione. Tale giudice può, quindi, valutare retroattivamente, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di cui trattasi, se un giudice che non abbia dato all’imputato la possibilità di difendersi contro le accuse oggetto di riqualificazione abbia violato la Convenzione.
66. Tuttavia, se la direttiva 2012/13 mira a rafforzare la fiducia reciproca, tale opzione interpretativa presenta degli inconvenienti. Un simile approccio caso per caso si basa sulla valutazione (soggettiva) di un giudice che l’imputato (e il suo avvocato) non abbiano potuto avvalersi di una strategia difensiva diversa. A mio avviso, l’imposizione in capo al giudice di un siffatto requisito, ossia valutare le possibili strategie difensive in casi concreti, è problematica, e idonea a entrare in conflitto con l’imparzialità dei giudici in misura maggiore rispetto a quanto prospettato dal giudice del rinvio nella seconda questione pregiudiziale (v. paragrafi da 77 a 84 delle presenti conclusioni).
67. Nelle circostanze del caso di specie, gli elementi costitutivi dei reati inizialmente contestati e di quelli risultanti dalla riqualificazione sembrano diversi, sicché una normativa nazionale che consente al giudice di informare l’imputato della riqualificazione dei fatti di reato solo al momento della pronuncia della sentenza non sarebbe conforme all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, anche nel contesto della prima opzione interpretativa. Tuttavia, se gli elementi costitutivi dei due reati fossero stati identici, la prima opzione interpretativa non avrebbe ostato a una normativa nazionale la quale consente che l’imputato sia informato della riqualificazione dei fatti di reato solo al momento della pronuncia della sentenza. Ciò significa che, nell’esempio della Repubblica ceca concernente il furto e la rapina (v. paragrafo 30 delle presenti conclusioni), il giudice dovrebbe concludere che la strategia difensiva non sarebbe stata diversa. Si immagini, tuttavia, che una persona accusata di rapina abbia incentrato la sua difesa sulla confutazione dell’elemento dell’uso della forza, dato che detta persona sarebbe stata assolta dall’accusa di rapina in assenza di tale elemento. Tale persona potrebbe non essersi concentrata sull’elemento dell’appropriazione di beni altrui. Se l’imputato avesse saputo di essere accusato del reato di furto, avrebbe potuto concentrarsi in misura maggiore sulla confutazione di tale parte dell’accusa. È possibile, per un giudice, affermare con certezza che una diversa strategia difensiva non avrebbe potuto giovare all’imputato? Data l’incertezza legata a questa opzione interpretativa, essa non può offrire un utile contributo al rafforzamento della fiducia nutrita dai giudici di uno Stato membro nei confronti della prassi dei giudici di altri Stati membri.
68. Si potrebbe persino sostenere che, qualora l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 si limiti a ribadire il diritto quale derivante dalla Carta e dalla Convenzione, esso sarebbe superfluo. Le norme di cui alla prima opzione interpretativa sono già vincolanti per gli Stati membri e i loro giudici. Riconosco che non si può negare che, talora, la mera espressione, nel diritto derivato dell’Unione, delle norme adottate dai giudici nell’interpretazione dei diritti fondamentali potrebbe contribuire alla visibilità di tali norme (44). Tuttavia, la seconda opzione interpretativa conduce a una norma ancora più chiara e, quindi, è più efficace ai fini del rafforzamento della fiducia reciproca.
69. Ai sensi della seconda opzione interpretativa, ai fini dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, informare l’imputato in tempo utile che i fatti di reato sono stati (o possono essere) riqualificati, il che consente di reagire alla nuova qualificazione, è sempre «necessario per salvaguardare l’equità del procedimento». Ciò avviene nonostante la possibilità che l’imputato fosse a conoscenza dell’eventualità di una riqualificazione dei fatti di reato (45) e la circostanza che tutti gli elementi costitutivi del nuovo reato siano inclusi nel reato iniziale.
70. Qualora si accolga siffatta interpretazione, ciò significherebbe che un giudice il quale ritenga che i fatti di reato debbano essere riclassificati è tenuto a offrire all’imputato la possibilità di presentare una nuova difesa. Siffatto prolungamento del procedimento non dovrebbe costituire un motivo di rigetto dell’interpretazione proposta, soprattutto se valutato alla luce della garanzia dell’equità del procedimento.
71. Detta interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13, anche se suscettibile di prolungare il procedimento, è molto più semplice, poiché non implica valutazioni soggettive da parte del giudice. Di converso, essa impone una norma chiara: qualora il giudice ritenga necessario riqualificare i fatti di reato, esso deve informare l’imputato della nuova accusa e consentirgli di reagire all’accusa come riqualificata presentando una nuova difesa.
72. Rinvengo un solo argomento contro la seconda opzione interpretativa. Tale argomento si basa sulla genesi legislativa dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 (46). Uno dei documenti istituzionali del Consiglio (47) sembra suggerire che il Consiglio abbia inteso seguire l’approccio adottato nella giurisprudenza della Corte EDU. Il Consiglio ha quindi proposto un considerando, l’attuale considerando 29, il quale utilizza le espressioni «ripercuotersi in modo sostanziale» e «necessario per salvaguardare l’equità del procedimento», direttamente tratte dal linguaggio utilizzato nella giurisprudenza della Corte EDU.
73. Tuttavia, poiché non è certo che i termini «necessario per salvaguardare l’equità del procedimento» di cui all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13 siano stati mantenuti, nella versione finale di tale direttiva, quale riflesso della volontà del legislatore dell’Unione di limitarsi a ribadire il diritto all’informazione sull’accusa quale sviluppato nella giurisprudenza della Corte EDU, mi sembra che non vi sia alcuna ragione per attribuire a tale argomento un peso maggiore rispetto a quello fondato sulla finalità della direttiva 2012/13 di rafforzare la fiducia reciproca.
74. Infine, non ritengo che l’intenzione di limitarsi a ribadire il livello di protezione garantito dalla Convenzione possa essere dedotta dal considerando 40 della direttiva 2012/13, il quale spiega che tale direttiva stabilisce soltanto norme minime. È utile citare tale considerando nella sua interezza:
«La presente direttiva stabilisce norme minime. Gli Stati membri possono ampliare i diritti previsti dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello di tutela più elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla presente direttiva. Il livello di tutela non dovrebbe mai essere inferiore alle disposizioni della [Convenzione], come interpretate dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo».
75. Come risulta da tale considerando, l’espressione «norme minime» significa che gli Stati membri possono fissare un livello di tutela più elevato rispetto a quello imposto dalla direttiva 2012/13. Ciò non implica che le norme previste da tale direttiva debbano rappresentare il livello minimo possibile. La terza frase del citato considerando indica chiaramente che la Convenzione, come interpretata dalla Corte EDU, fissa la soglia minima, anche per situazioni non contemplate dalla direttiva 2012/13. Nulla in detto considerando suggerisce che i diritti conferiti dalla direttiva 2012/13 non possano essere più estesi rispetto a quelli conferiti dalla Convenzione.
76. Sulla base delle ragioni esposte in precedenza, suggerisco alla Corte di scegliere la seconda opzione ai fini dell’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13. Pertanto, tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che non consente all’imputato di presentare la sua difesa contro l’accusa oggetto di riqualificazione dopo essere stato informato di detta riqualificazione. Tale interpretazione non è rimessa in discussione dal fatto che la nuova qualificazione giuridica non comporti una sanzione più severa.
B. Seconda questione
77. Qualora la Corte risponda alla prima questione in senso affermativo, come suggerisco, con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le garanzie di imparzialità dei giudici sancite all’articolo 47, secondo comma, della Carta ostino a una normativa nazionale che consente al giudice di informare l’imputato della possibile riqualificazione dei fatti di reato allorché l’iniziativa di tale riqualificazione non provenga dal pubblico ministero.
78. Come ho già spiegato (v. paragrafo 20 delle presenti conclusioni), la presente causa non riguarda la possibilità che i giudici, anziché i pubblici ministeri, riqualifichino i fatti di reato nell’ambito di un procedimento penale. Di converso, come spiegato da un autore, «[è] del tutto possibile che, nel diritto interno, un giudice non sia vincolato alla qualificazione giuridica data dal pubblico ministero alla condotta penalmente rilevante, e ciò determina il mero trasferimento del dovere di informazione dal secondo al primo – qualora tale modifica sia prevista, il giudice deve informarne la difesa e rinviare l’udienza per consentire l’adattamento della difesa alla nuova situazione» (48).
79. Occorre pertanto intendere la seconda questione come diretta a stabilire se l’obbligo imposto al giudice nazionale di informare l’imputato della riqualificazione dei fatti di reato sia contrario al requisito di imparzialità dei giudici.
80. Il requisito di imparzialità dei giudici, in quanto profilo dell’indipendenza dei giudici (49), presenta due aspetti. Da un lato, è indispensabile che l’organo giurisdizionale sia imparziale sotto il profilo soggettivo, ossia che nessuno dei suoi membri manifesti opinioni preconcette o pregiudizi personali, dovendosi presumere l’imparzialità personale fino a prova contraria. Dall’altro lato, l’organo giurisdizionale deve essere oggettivamente imparziale, vale a dire che è tenuto ad offrire garanzie sufficienti per escludere al riguardo qualsiasi legittimo dubbio (50).
81. Il giudice del rinvio sembra nutrire dubbi in merito a entrambi gli aspetti dell’imparzialità.
82. A mio avviso, il fatto che il giudice informi l’imputato di aver deciso o di stare valutando la riqualificazione dei fatti di reato non interferisce con la sua imparzialità. Ciò in particolare qualora il giudice, dopo aver annunciato la (possibile) riqualificazione dei fatti di reato, consenta all’imputato di dedurre una nuova difesa.
83. La tesi secondo cui l’imparzialità del giudice non è pregiudicata dalla mera circostanza che quest’ultimo informi l’imputato della riqualificazione dei fatti di reato può essere corroborata dalla sentenza della Corte EDU nella causa Bäckström e Andersson c. Svezia (51). In tale sentenza, la Corte EDU ha dichiarato che l’intervento di un giudice per informare le parti della possibilità di una modifica della qualificazione giuridica dei fatti di reato non rimetteva in discussione l’imparzialità del giudice ai fini del diritto a un equo processo previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU.
84. Poiché non ravviso la necessità di sviluppare ulteriormente tale questione, ritengo che occorra rispondere alla seconda questione dichiarando che le garanzie di imparzialità dei giudici sancite all’articolo 47, secondo comma, della Carta non ostano a una normativa nazionale che consente al giudice di informare l’imputato della possibile riqualificazione dei fatti di reato, anche qualora l’iniziativa di tale riqualificazione non provenga dal pubblico ministero, bensì dal giudice.
IV. Conclusione
85. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dallo Spetsializiran nakazatelen sad (Tribunale penale specializzato, Bulgaria) nei seguenti termini:
1) L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, osta a una normativa nazionale che non consente all’imputato di presentare la sua difesa contro l’accusa oggetto di riqualificazione dopo essere stato informato di detta riqualificazione. Tale interpretazione non è rimessa in discussione dal fatto che la nuova qualificazione giuridica non comporti una sanzione più severa.
2) L’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non osta a una normativa nazionale che consente al giudice di informare l’imputato della possibile riqualificazione dei fatti di reato, anche qualora l’iniziativa di tale riqualificazione non provenga dal pubblico ministero, bensì dal giudice.