Language of document : ECLI:EU:T:2020:315

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

8 luglio 2020 (*)

«Dumping – Importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina – Impegni – Ricevibilità – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 – Annullamento di fatture corrispondenti all’impegno – Applicazione ratione temporis di nuove disposizioni»

Nella causa T‑110/17,

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd, con sede in Changzhou (Cina), rappresentata da Y. Melin, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da N. Kuplewatzky e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da H. Marcos Fraile, in qualità di agente, assistita da N. Tuominen, avvocato,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento parziale del regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 della Commissione, del 7 dicembre 2016, che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2016, L 333, pag. 4), nella parte in cui riguarda la ricorrente,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, J. Schwarcz (relatore) e C. Iliopoulos, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 gennaio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La ricorrente, la società Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd, fabbrica moduli fotovoltaici in silicio cristallino in Cina e li esporta verso l’Unione europea.

2        Il 4 giugno 2013, la Commissione europea ha adottato il regolamento (UE) n.°513/2013, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese e che modifica il regolamento n. 182/2013 che dispone la registrazione delle importazioni dei suddetti prodotti originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 152, pag. 5).  

3        Mediante la decisione 2013/423/UE, del 2 agosto 2013, che accetta un impegno offerto nell’ambito del procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 209, pag. 26), la Commissione ha accettato un’offerta di impegno sui prezzi (in prosieguo: l’«impegno») presentata dalla Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e di prodotti elettronici (in prosieguo: la «CCCME») a nome della ricorrente e di vari altri produttori esportatori.

4        Il 2 dicembre 2013, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 1).

5        Il 2 dicembre 2013, il Consiglio ha altresì adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e dei relativi componenti chiave (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 66).

6        L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 prevedono, con la stessa formulazione, che la Commissione possa identificare le operazioni per le quali «[a]ll’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale» nei casi in cui essa revochi l’accettazione dell’impegno.

7        Mediante la sua decisione di esecuzione 2013/707/UE, del 4 dicembre 2013, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2013, L 325, pag. 214), la Commissione ha confermato l’accettazione dell’impegno – come modificato su richiesta della CCCME – offerto dai produttori esportatori cinesi. Il 10 settembre 2014 la Commissione ha adottato la decisione di esecuzione 2014/657/UE, relativa all’accettazione di una proposta di un gruppo di produttori esportatori, in collaborazione con la [CCCME], per alcuni chiarimenti riguardanti l’attuazione dell’impegno di cui alla decisione di esecuzione 2013/707 (GU 2014, L 270, pag. 6).

8        Il dazio ad valorem totale applicabile alle importazioni di celle e di moduli fotovoltaici originari della Cina per le società non incluse nel campione che hanno collaborato e che sono inserite nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’allegato 1 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 è del 47,7%. Esso corrisponde a un dazio antidumping del 41,3% (articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013) al quale si aggiunge un dazio compensativo del 6,4% (articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013). Le importazioni coperte dall’impegno e dalla decisione di esecuzione 2013/707 sono esenti da tali dazi in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.  

9        Con lettera dell’11 ottobre 2016, la Commissione ha informato la ricorrente che intendeva revocarle l’accettazione dell’impegno, specificando i principali elementi e considerazioni su cui essa si basava. A tale lettera erano allegati una relazione informativa generale e una relazione specifica riguardante la ricorrente.

10      Nella relazione specifica riguardante la ricorrente, la Commissione indicava che intendeva revocare l’accettazione dell’impegno e informava la ricorrente, al titolo 4, rubricato «Annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno», che essa intendeva, da un lato, annullare le fatture corrispondenti all’impegno che accompagnavano le vendite effettuate all’importatore e, dall’altro, ordinare alle autorità doganali di recuperare l’obbligazione doganale laddove la ricorrente non avesse presentato fatture corrispondenti all’impegno valide al momento dell’accettazione della dichiarazione di immissione in libera pratica delle merci.

11      Con lettera del 28 ottobre 2016, la ricorrente ha presentato osservazioni sulla relazione informativa generale e sulla relazione specifica che la riguardava redatte dalla Commissione. Essa spiegava, in sostanza, che la Commissione non aveva il potere di annullare le fatture, né di ordinare alle autorità doganali di riscuotere dazi come se non fosse stata presentata alcuna fattura corrispondente all’impegno. Secondo la ricorrente, ciò equivaleva in concreto a conferire un effetto retroattivo alla revoca dell’impegno.

12      La Commissione ha confermato la sua posizione nel regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 della Commissione, del 7 dicembre 2016, che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707 (GU 2016, L 333, pag. 4; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), adottata sulla base dell’articolo 8 del regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21; in prosieguo: il «regolamento antidumping di base»), e dell’articolo 13 del regolamento (UE) n. 2016/1037 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 55; in prosieguo: il «regolamento antisovvenzioni di base»).

 Procedimento e conclusioni delle parti

13      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2017, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

14      La Commissione ha depositato il controricorso presso la cancelleria del Tribunale il 22 maggio 2017.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 maggio 2017, il Consiglio ha chiesto di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Le parti principali non hanno depositato osservazioni al riguardo.

16      Con ordinanza del 10 luglio 2017, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha ammesso l’intervento della Consiglio a sostegno delle conclusioni della Commissione.

17      Il Consiglio ha depositato la memoria di intervento il 27 luglio 2017.

18      Con lettera inviata alla cancelleria del Tribunale il 12 settembre 2017, la Commissione ha dichiarato di non avere osservazioni sulla memoria di intervento.

19      La ricorrente ha depositato le proprie osservazioni sulla memoria d’intervento presso la cancelleria del Tribunale il 12 settembre 2017.

20      La ricorrente ha depositato la replica presso la cancelleria del Tribunale il 28 luglio 2017.

21      La Commissione ha depositato la controreplica presso la cancelleria del Tribunale il 6 ottobre 2017. Quest’ultima conteneva una domanda di stralcio dal fascicolo dell’allegato C.3 alla replica. La ricorrente ha depositato le sue osservazioni in merito a tale domanda il 9 novembre 2017.

22      La ricorrente ha inoltre presentato al Tribunale, dopo il deposito della replica e prima dell’udienza, un documento indicato con il numero E.1, che rinvia al procedimento dinanzi alle autorità doganali nazionali svedesi, relativo alle importazioni di cui trattasi, oggetto delle fatture corrispondenti all’impegno annullate dalla Commissione. La Commissione aveva inizialmente chiesto, al punto 14 delle osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 23 gennaio 2019, che il Tribunale dichiarasse irricevibile tale allegato e lo ritirasse dal fascicolo, in quanto prova nuova. Essa ha rinunciato, all’udienza, alla sua eccezione di irricevibilità.

23      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare l’articolo 2 del regolamento impugnato, nella parte in cui la riguarda;

–        condannare la Commissione, nonché ogni parte che potrebbe essere autorizzata ad intervenire a suo sostegno nel corso del procedimento, a sopportare le spese.

24      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        in via principale, respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il motivo unico in quanto irricevibile;

–        in ulteriore subordine, respingere il motivo unico, e quindi il ricorso nella sua interezza, in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

25      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese, ivi incluse quelle da essa sostenute.

26      Nel corso dell’udienza, la ricorrente ha chiesto la riunione delle cause T‑781/17, Kraftpojkarna/Commissione, e T‑782/17, Wuxi Saijing Solar/Commissione, alla presente causa, ai fini della decisione che conclude il procedimento. A seguito di un quesito del Tribunale riguardante tale aspetto, la Commissione e il Consiglio si sono opposti a una simile riunione, sostenendo, in sostanza, che tali cause non avessero lo stesso oggetto. Conformemente all’articolo 68 del regolamento di procedura del Tribunale, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha deciso di non riunire le suddette cause al presente procedimento.

 In diritto

 Sulloggetto del ricorso

27      In via preliminare, occorre constatare che, come risulta dalle richieste conclusive della ricorrente, il presente ricorso mira ad ottenere l’annullamento dell’articolo 2 del regolamento impugnato, nella parte in cui riguarda la ricorrente. Tale ricorso verte quindi sulla legittimità dell’annullamento di fatture corrispondenti all’impegno della ricorrente e sulle conseguenze da trarne, in particolare per quanto riguarda il recupero dei dazi antidumping e compensativi dovuti. Pertanto, la presente causa non verte sulla questione di accertare se la Commissione abbia legittimamente revocato la sua accettazione degli impegni della ricorrente. Come giustamente fatto osservare dalla Commissione, la ricorrente non contesta né l’articolo 1 del regolamento impugnato, mediante il quale la Commissione ha revocato l’accettazione degli impegni, né le norme procedurali, stabilite in particolare all’articolo 3 del medesimo regolamento.

 Sulla ricevibilità

 Sulla ricevibilità del ricorso

28      La Commissione, sostenuta dal Consiglio, afferma che il ricorso è irricevibile. Nei limiti in cui la ricorrente si riferisce unicamente all’articolo 2 del regolamento impugnato, essa avrebbe dovuto dimostrare di essere legittimata ad agire ai sensi dell’articolo 263 TFUE, e quindi, in particolare, un’incidenza diretta. Essa avrebbe dovuto altresì dimostrare un interesse ad agire nei confronti di detto articolo del regolamento impugnato. La Commissione sostiene che, poiché il soggetto obbligato a versare alle autorità nazionali i dazi antidumping e compensativi dovuti quale conseguenza giuridica dell’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno non era la ricorrente, bensì la Seraphim Solar System GmbH, la ricorrente non ha quindi dimostrato né l’incidenza diretta né un interesse ad agire. Secondo la Commissione, nel caso di specie, il regolamento impugnato non ha concretamente svantaggiato la ricorrente (v., per analogia, sentenza del 16 marzo 1978, Unicme e a./Consiglio, 123/77, EU:C:1978:73).

29      La Commissione afferma che era onere della ricorrente dimostrare che l’articolo 2 del regolamento impugnato produceva effetti diretti sulla sua situazione giuridica. Orbene, la ricorrente avrebbe contestato unicamente una conseguenza specifica della violazione del suo impegno e della revoca di quest’ultimo, vale a dire il fatto che talune fatture corrispondenti all’impegno siano state annullate e che, pertanto, un’altra impresa sia stata obbligata a pagare dazi antidumping e compensativi. La Commissione ritiene che la ricorrente confonda i requisiti applicabili alla legittimazione ad agire per quanto riguarda il regolamento impugnato nel suo complesso e il suo articolo 2 in particolare.

30      Ad avviso della Commissione, la ricorrente non è individualmente interessata. Anzitutto, sarebbe innegabile che essa non sia la destinataria dell’articolo 2 del regolamento impugnato, che avrebbe portata generale. Inoltre, la Commissione sottolinea che il fatto di essere menzionata nel regolamento impugnato nel suo complesso non sia decisivo. A suo avviso, il regolamento impugnato non istituiva dazi antidumping o compensativi. Infatti, i dazi sull’importazione del prodotto della ricorrente sarebbero stati dovuti sin dall’inizio, ma non sarebbero stati riscossi in virtù dell’esenzione dalla loro riscossione a motivo della presentazione di fatture corrispondenti all’impegno. Anche dopo l’annullamento di tali fatture, i dazi sulle importazioni non sarebbero riscossi nei confronti della ricorrente, bensì nei confronti delle imprese Huashun Solar GmbH e Seraphim Solar System, come indicato nell’allegato I del regolamento impugnato, essendo tali imprese, secondo la Commissione, le uniche direttamente interessate dalla disposizione summenzionata.

31      Infine, la Commissione sostiene che la ricorrente non ha neppure alcun interesse ad agire. A suo avviso, la ricorrente non ha dimostrato in che modo l’annullamento dell’articolo 2 del regolamento impugnato potesse procurarle un vantaggio, sebbene l’annullamento delle fatture non avesse creato alcuna obbligazione doganale in capo alla ricorrente e non la avesse liberata da alcun obbligo.

32      La ricorrente contesta le deduzioni della Commissione e del Consiglio. Essa sostiene di essere direttamente ed individualmente interessata dal regolamento impugnato, di avere interesse ad agire e, pertanto, di essere legittimata a proporre il presente ricorso.

33      A tal riguardo va ricordato che, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre‚ alle condizioni previste al primo e secondo comma del medesimo articolo, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano direttamente e individualmente, nonché contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

34      Per quanto concerne il requisito dell’incidenza individuale, si deve ricordare che, sebbene sia vero che, alla luce dei criteri dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, i regolamenti che istituiscono dazi antidumping hanno, per natura e per portata, carattere normativo, giacché si applicano alla generalità degli operatori economici interessati, non è tuttavia escluso che talune disposizioni di detti regolamenti possano riguardare direttamente ed individualmente taluni operatori economici (v. ordinanza del 21 gennaio 2014, Bricmate/Consiglio, T‑596/11, non pubblicata, EU:T:2014:53, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

35      Ne consegue che i provvedimenti che istituiscono dazi antidumping possono, in determinate circostanze e senza perdere la propria natura regolamentare, riguardare individualmente determinati operatori economici (v. ordinanza del 21 gennaio 2014, Bricmate/Consiglio, T‑596/11, non pubblicata, EU:T:2014:53, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

36      Per quando riguarda il requisito dell’incidenza diretta, si deve ricordare che la condizione secondo cui una persona fisica o giuridica debba essere direttamente interessata dalla decisione che costituisce oggetto del ricorso, quale prevista all’articolo 263, quarto comma, TFUE, richiede la compresenza di due criteri cumulativi, e cioè che il provvedimento contestato, da un lato, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica del singolo e, dall’altro lato, non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati della sua attuazione, la quale ha un carattere meramente automatico e derivante dalla sola normativa dell’Unione, senza intervento di altre norme intermedie (v. ordinanza del 14 gennaio 2015, SolarWorld e a./Commissione, T‑507/13, EU:T:2015:23, punto 40 e giurisprudenza ivi citata, confermata dall’ordinanza del 10 marzo 2016, SolarWorld/Commissione, C‑142/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:163).

37      Quanto alle società che offrono un impegno, la giurisprudenza ha riconosciuto che potevano essere oggetto di ricorso da parte dell’esportatore interessato dinanzi ai giudici dell’Unione le decisioni della Commissione vertenti sulla revoca dell’accettazione di un impegno e il regolamento del Consiglio istitutivo di un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di detto esportatore (v. ordinanza del 14 gennaio 2015, SolarWorld e a./Commissione, T‑507/13, EU:T:2015:23, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

38      Le imprese esportatrici del prodotto soggetto a un dazio antidumping alle quali sono addebitate le pratiche di dumping e che possono dimostrare di essere state identificate negli atti delle istituzioni sono considerate direttamente interessate dal regolamento che istituisce tale dazio (sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Marquis Energy, C‑466/16 P, EU:C:2019:156, punto 54).

39      Inoltre, secondo la giurisprudenza, il mero fatto che, ai fini dell’applicazione dell’atto di cui è chiesto l’annullamento, intervenga una misura nazionale di esecuzione non consente di escludere che il singolo ricorrente possa essere considerato come direttamente interessato dall’atto in questione, purché, tuttavia, lo Stato membro incaricato dell’attuazione di quest’ultimo non disponga di alcun potere discrezionale autonomo (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2005, Land Oberösterreich e Austria/Commissione, T‑366/03 e T‑235/04, EU:T:2005:347, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). In una situazione di questo tipo, infatti, l’intervento della decisione nazionale presenta un carattere di automaticità e la situazione giuridica del ricorrente dev’essere considerata come direttamente interessata dalla decisione impugnata (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Commissione/Ente per le Ville Vesuviane e Ente per le Ville Vesuviane/Commissione, C‑445/07 P e C‑455/07 P, EU:C:2009:529, punti 45 e 46 e la giurisprudenza citata).

40      Occorre altresì ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo nella misura in cui la ricorrente abbia interesse a che sia annullato l’atto impugnato (v., in tal senso, sentenza del 24 settembre 2008, Reliance Industries/Consiglio e Commissione, T‑45/06, EU:T:2008:398, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

–       Incidenza individuale

41      Nel caso di specie, occorre constatare che la ricorrente è un produttore esportatore del prodotto di cui trattasi che ha pienamente collaborato con la Commissione nell’inchiesta che ha condotto all’imposizione dei dazi antidumping e compensativi e il cui nome figura nei regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013, i quali istituiscono detti dazi, nonché nell’accettazione dell’impegno.

42      Inoltre, la ricorrente è esplicitamente nominata nel regolamento impugnato. Da un lato, essa è menzionata all’articolo 1 del dispositivo del regolamento impugnato, vertente sulla revoca di impegni precedentemente accettati dalla Commissione. Dall’altro, essa è menzionata al considerando 31 del medesimo regolamento come uno dei due produttori esportatori che hanno emesso le fatture corrispondenti all’impegno che sono oggetto di annullamento all’articolo 2 del dispositivo del medesimo regolamento. Le fatture di cui trattasi nel caso di specie sono state emesse dalla ricorrente nei confronti dell’impresa Seraphim Solar System. Il regolamento impugnato verte esclusivamente sul rispetto degli impegni dei due produttori esportatori da esso specificamente indicati, tra i quali la ricorrente.

43      In tali circostanze, la ricorrente deve essere considerata individualmente interessata dal regolamento impugnato e dal suo articolo 2.

–       Incidenza diretta

44      Nel caso di specie, la Commissione, dopo aver constatato la violazione da parte della ricorrente dell’impegno offerto e aver revocato la sua accettazione di detto impegno, ha annullato, secondo la formulazione dell’articolo 2 del regolamento impugnato, le fatture corrispondenti all’impegno emesse dalla ricorrente relative a talune transazioni specifiche e, di conseguenza, ha dichiarato che dovevano essere riscossi i dazi definitivi dovuti in relazione a tali transazioni. In tal modo, le disposizioni impugnate hanno prodotto effetti in via diretta sulla situazione giuridica della ricorrente. Peraltro, le conseguenze che le autorità doganali nazionali dovevano trarne erano stabilite dalle suddette disposizioni, ai sensi delle quali esse non avrebbero potuto riesaminare l’annullamento delle fatture o la riscossione dei dazi dovuti.

45      In tali circostanze, la ricorrente è direttamente interessata dal regolamento impugnato, che include il suo articolo 2.

–       Interesse ad agire

46      Occorre constatare che la circostanza, invocata dalla Commissione, secondo cui le obbligazioni doganali devono essere pagate dall’importatore, e non dal produttore esportatore, non impedisce che quest’ultimo abbia un interesse ad ottenere l’annullamento di un atto all’origine di tali debiti.

47      A tal riguardo, occorre rilevare che la ricevibilità del ricorso di un produttore esportatore avverso gli atti di revoca dell’accettazione di un impegno e istitutivi di un dazio antidumping definitivo sui prodotti da esso fabbricati ed esportati sul mercato dell’Unione è, implicitamente, ma necessariamente, ammessa dalla giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2010, Usha Martin/Consiglio e Commissione, T‑119/06, EU:T:2010:369, confermata in sede di impugnazione con sentenza del 22 novembre 2012, Usha Martin/Consiglio e Commissione, C‑552/10 P, EU:C:2012:736). In una prospettiva analoga, se ne deve dedurre che un tale produttore esportatore deve altresì essere considerato legittimato a contestare l’imposizione di detto dazio ai prodotti da esso già esportati e le cui fatture corrispondenti all’impegno sono state annullate dalla Commissione.

48      Inoltre, la ricorrente sostiene giustamente che le disposizioni impugnate, nella misura in cui contribuiscono ad aumentare il prezzo dei suoi prodotti all’importazione, hanno ripercussioni negative sui suoi rapporti commerciali con l’importatore dei prodotti di cui trattasi, che il ricorso, in caso di successo, è tale da rimuovere.

49      Pertanto, la ricorrente ha interesse ad agire per chiedere l’annullamento dell’articolo 2 del regolamento impugnato. Il ricorso deve essere considerato ricevibile.

 Sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità sollevata dalla ricorrente

50      La ricorrente ritiene che l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 contrastino con l’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, e con l’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51), come modificato, nonché con l’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 188, pag. 93), in quanto il Consiglio, agendo in qualità di autorità esecutiva e non di legislatore, non poteva delegare alla Commissione il potere di annullare le fatture corrispondenti all’impegno per la semplice revoca dell’accettazione di un impegno, né poteva ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi su merci già immesse in libera pratica nel territorio doganale dell’Unione.

51      La Commissione, sostenuta dal Consiglio, deduce che il diritto della ricorrente di sollevare un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE è prescritto, in applicazione delle sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), e del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101).

52      A tal riguardo, secondo la Commissione, la ricorrente, in quanto produttore esportatore che aveva collaborato alle indagini antidumping e antisovvenzioni, godeva del diritto limitato nel tempo, che scadeva il 3 marzo 2014, di proporre un ricorso diretto ai sensi dell’articolo 263 TFUE per contestare l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013. Pertanto, essa non potrebbe ora sollevare l’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE al fine di contestare tali disposizioni.

53      La Commissione fa valere che, in forza del principio della certezza del diritto, il carattere definitivo degli atti delle istituzioni dell’Unione osta a che essi siano rimessi in discussione dopo che il termine di ricorso contro tali atti previsto dall’articolo 263 TFUE sia scaduto, e ciò anche nell’ambito di un’eccezione di illegittimità sollevata ai sensi dell’articolo 277 TFUE contro detti atti. Siffatta conclusione varrebbe altresì per i regolamenti che istituiscono dazi antidumping e compensativi, in ragione della loro duplice natura di atti normativi e di atti che possono riguardare direttamente e individualmente determinati operatori economici.

54      Secondo la Commissione, nel caso di specie, è pacifico che la ricorrente conoscesse perfettamente i regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013. Pur non essendo stata selezionata nel campione, la ricorrente avrebbe partecipato attivamente al procedimento che ha dato luogo all’imposizione di dazi antidumping e compensativi, al fine di essere avvantaggiata rispetto ai produttori esportatori che non avevano collaborato. La ricorrente figurerebbe negli allegati di tali regolamenti. In siffatto contesto, al pari di qualsiasi altro operatore economico prudente, essa avrebbe dovuto essere al corrente del fatto che il Consiglio aveva abilitato la Commissione ad annullare le fatture corrispondenti all’impegno e ad ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi per le fatture considerate come emesse in violazione dell’impegno, cosicché il termine di cui disponeva al fine di rimettere in discussione questo potere, e dunque di tutelare il suo interesse a contestare i regolamenti sopra menzionati, sarebbe scaduto il 3 marzo 2014.

55      La ricorrente confuta le deduzioni della Commissione e del Consiglio.

56      Il Tribunale rileva che, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 277 TFUE è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l’annullamento di una decisione che la concerne direttamente e individualmente, la validità di precedenti atti delle istituzioni, che costituiscono il fondamento giuridico della decisione impugnata, qualora non avesse il diritto di proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento (v. sentenza del 6 marzo 1979, Simmenthal/Commissione, 92/78, EU:C:1979:53, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). Risulta, inoltre, dalla giurisprudenza che il rimedio dell’eccezione di illegittimità è esperibile solo in mancanza di un altro mezzo di ricorso disponibile (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf, C‑188/92, EU:C:1994:90, punto 17; del 15 febbraio 2001, Nachi Europe, C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 37, e dell’8 marzo 2007, Roquette Frères, C‑441/05, EU:C:2007:150, punto 40).

57      Nel caso di specie, contrariamente a quanto deduce la Commissione, non si può affermare che la ricorrente fosse legittimata a contestare, a titolo dell’articolo 263 TFUE, direttamente a seguito della loro adozione, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, né che il termine per impugnare tali disposizioni fosse scaduto il 3 marzo 2014.

58      A tal riguardo, occorre sottolineare che l’articolo 3 del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 istituivano esenzioni a favore della ricorrente, nel senso che i prodotti di cui trattasi, importati nell’Unione, non erano soggetti al pagamento dei dazi antidumping e compensativi definitivi, purché fossero soddisfatte le condizioni previste negli impegni.

59      Inoltre, per quanto riguarda l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, è necessario constatare che, come sostenuto dalla ricorrente, tali disposizioni miravano soltanto ad istituire, a favore della Commissione, il diritto di revocare l’accettazione di taluni impegni concreti e di annullare le fatture corrispondenti a tali impegni.

60      Orbene, da un lato, è stato espressamente previsto, al riguardo, che la Commissione dovesse procedere mediante l’adozione di misure particolari, vale a dire, mediante una revoca dell’accettazione di un impegno, conformemente all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento n. 1225/2009 ed all’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento n. 597/2009, con un regolamento o con una decisione, che si riferissero a transazioni particolari e che annullassero le fatture corrispondenti all’impegno in questione (v., in tal senso, ordinanza del 14 gennaio 2015, SolarWorld e a./Commissione, T‑507/13, EU:T:2015:23, punto 61). Il caso in esame non è, pertanto, assimilabile a quello oggetto della sentenza del 28 febbraio 2017, Canadian Solar Emea e a./Consiglio (T‑162/14, non pubblicata, EU:T:2017:124, punto 47), cui la Commissione ha fatto riferimento in udienza, sostenendo che la ricorrente sarebbe stata legittimata ad impugnare, sin dalla loro adozione, le disposizioni menzionate al precedente punto 57.

61      Dall’altro lato, come sostiene la ricorrente, alla data di adozione dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, la questione di sapere se tali disposizioni le sarebbero state applicate rimaneva puramente ipotetica.

62      In tali circostanze, prima dell’attuazione concreta dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, che riguardavano tutte le imprese che avevano adottato gli impegni in questione, non si poteva ritenere che la ricorrente fosse direttamente interessata da tali disposizioni. Tantomeno essa aveva interesse a contestarne la legittimità nell’ambito di un ricorso di annullamento durante il periodo indicato dalla Commissione, che scadeva il 3 marzo 2014. Più in particolare, l’interesse ad agire della ricorrente contro le disposizioni summenzionate non poteva fondarsi sulla mera eventualità che la Commissione revocasse nei suoi confronti l’accettazione degli impegni con successivo annullamento di fatture corrispondenti agli impegni. La ricorrente non aveva alcun motivo per sospettare di potersi ritrovare in una simile situazione ipotetica.

63      Inoltre, occorre sottolineare che, a differenza della sentenza del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101, punto 37), alla quale fa riferimento la Commissione, le disposizioni che, nel caso di specie, sono oggetto dell’eccezione di illegittimità non hanno la natura di una decisione individuale. Al contrario, si tratta di disposizioni di carattere generale, le quali devono essere seguite da misure di esecuzione successive che potrebbero eventualmente arrecare pregiudizio agli interessi della ricorrente (v., per analogia, sentenza del 16 marzo 1978, Unicme e a./Consiglio, 123/77, EU:C:1978:73, punti da 11 a 18). Né il fatto che la ricorrente sia stata menzionata negli allegati ai regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013 né il fatto che essa dovesse essere a conoscenza che il Consiglio aveva abilitato la Commissione ad annullare le fatture corrispondenti all’impegno hanno avuto la conseguenza di legittimarla ad impugnare le disposizioni, di cui al precedente punto 57, direttamente a seguito della loro adozione.

64      Pertanto, in assenza di interesse ad agire contro tali disposizioni dei regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013 direttamente a seguito della loro adozione, nulla osta a che la ricorrente faccia valere un’eccezione di illegittimità nei loro confronti nell’ambito del presente ricorso.

 Nel merito

65      La ricorrente deduce un unico motivo a sostegno del suo ricorso. In sostanza, essa sostiene che, mediante il regolamento impugnato, la Commissione ha violato l’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, nonché l’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e l’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, nonché l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, in quanto ha invalidato fatture corrispondenti all’impegno e ha poi ordinato alle autorità doganali di riscuotere dazi, come se non fosse stata emessa e comunicata alle autorità doganali alcuna fattura conforme al momento in cui le merci erano state immesse in libera pratica.

66      La ricorrente fonda altresì il suo ricorso su un’eccezione di illegittimità dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, basata su un’asserita violazione dell’articolo 8 e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009 nonché dell’articolo 13 e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento n. 597/2009, nelle versioni applicabili all’epoca dell’adozione dei regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013.

67      In via preliminare, occorre constatare che le disposizioni di cui trattasi, rientranti nell’ambito del regolamento antidumping di base e del regolamento antisovvenzioni di base (v. precedente punto 65), applicabili alla data di adozione del regolamento impugnato, sono, in sostanza, identiche a quelle rientranti nei regolamenti n. 1225/2009 e n. 597/2009 (v. precedente punto 66), per quanto riguarda gli elementi pertinenti ai fini dell’analisi della presente causa. Pertanto, nel prosieguo della sentenza, si farà riferimento ai regolamenti di base, salvo il caso in cui le disposizioni dei regolamenti n. 1225/2009 e n. 597/2009, eventualmente applicabili o invocate, ne divergano. Occorre rilevare che, sebbene i regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013 siano stati adottati dal Consiglio, che all’epoca disponeva, nella vigenza dei regolamenti n. 1225/2009 e n. 597/2009, della competenza di esecuzione ad istituire dazi definitivi, tale competenza è stata trasferita alla Commissione dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014, che modifica alcuni regolamenti in materia di politica commerciale comune per quanto riguarda le procedure di adozione di determinate misure (GU 2014, L 18, pag. 1).

68      La ricorrente fa valere che dall’articolo 8 del regolamento antidumping di base e dall’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base deriva che, laddove siano stati accettati impegni sui prezzi, e per tutto il tempo in cui tali impegni restano in vigore, i dazi – provvisori o definitivi, a seconda dei casi, – non si applicano. Per contro, qualora l’accettazione dell’impegno venga revocata a seguito della scoperta della violazione, da parte di uno dei produttori esportatori che hanno proposto l’impegno, di taluni termini di quest’ultimo, dall’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dall’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base deriverebbe che i dazi, che non sono stati applicati a causa dell’accettazione dell’impegno, si applicano automaticamente. Tuttavia, secondo la ricorrente, tali dazi interessano unicamente le importazioni effettuate a partire dalla data della revoca dell’impegno. Ciò risulterebbe anche dalla prassi della Commissione. Solo recentemente la Commissione avrebbe proceduto, in due occasioni, ad annullamenti di fatture corrispondenti all’impegno della tipologia di quelle contenute nel regolamento impugnato.

69      La ricorrente sostiene che esistono soltanto due eccezioni, in base alle quali la Commissione potrebbe imporre dazi retroattivamente. La prima riguarderebbe i casi dove sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base. Se la Commissione sospetta la violazione di un impegno, può decidere di imporre dazi provvisori, che potrebbero essere riscossi a titolo definitivo qualora i sospetti di violazione risultino confermati.

70      La seconda eccezione riguarderebbe, secondo la ricorrente, le situazioni in cui le importazioni siano state registrate conformemente all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e all’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Se venisse ingiunto alle autorità doganali di registrare le importazioni, il dazio definitivo potrebbe essere applicato retroattivamente a partire dalla data di registrazione, a condizione che essa abbia avuto luogo al massimo 90 giorni prima dell’imposizione dei dazi provvisori.

71      Secondo la ricorrente, la Commissione stessa ha dichiarato che non sussisteva alcuna base giuridica per una revoca retroattiva delle fatture corrispondenti all’impegno. Essa contesta che la Commissione possa sostenere che, nel caso di specie, poiché l’inchiesta antidumping è stata condotta a termine, la revoca dell’accettazione dell’impegno associata all’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno non avesse effetto retroattivo. La ricorrente addebita alla Commissione una lettura erronea delle disposizioni pertinenti.

72      Nella replica, la ricorrente aggiunge che la vigilanza doganale e i controlli doganali sono competenze riconducibili alle autorità doganali degli Stati membri, conformemente al regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale dell’Unione»).

73      La Commissione ritiene, in sostanza, che il Consiglio potesse abilitarla, mediante i regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013, ad annullare le fatture corrispondenti all’impegno e ad ordinare alle autorità doganali nazionali di riscuotere i dazi relativi alle importazioni effettuate in violazione dei termini dell’impegno.

74      In primo luogo, la Commissione sostiene che un impegno sui prezzi è un impegno ad ottenere risultati. Un esportatore che risulti aver praticato il dumping o beneficiato di sovvenzioni compensabili potrebbe impegnarsi ad aumentare il prezzo delle sue esportazioni in modo da eliminare gli effetti pregiudizievoli di tali pratiche, e questo livello di prezzo è attestato dall’emissione di fatture corrispondenti all’impegno. Esso dovrebbe, tuttavia, rispettare il suo impegno per poter continuare a beneficiare dell’esenzione dai dazi antidumping o compensativi che sarebbero normalmente dovuti per i prodotti interessati, oggetto di dumping o di sovvenzione. Un impegno costituirebbe quindi un’eccezione alle condizioni che si applicano normalmente ai prodotti interessati. Per contro, qualora la fattura corrispondente agli impegni non sia presentata o venga successivamente scoperto che essa non soddisfaceva i requisiti richiesti, i dazi antidumping o i dazi compensativi sarebbero nuovamente applicabili e le autorità doganali nazionali riscuoterebbero detti dazi. La Commissione sostiene che, poiché un impegno costituirebbe un’eccezione e un accordo delicato, esso dovrebbe essere oggetto di interpretazione restrittiva. Contrattare un impegno costituirebbe un rischio per la Commissione, cui si aggiunge una difficoltà per controllarlo. Spetterebbe a qualsiasi parte che lo accetta garantire il suo effettivo rispetto ed effettuare una sorveglianza efficace sulla sua attuazione, cooperando con la Commissione nell’ambito di un rapporto di fiducia.

75      Per tali motivi, la Corte avrebbe riconosciuto il potere delle istituzioni dell’Unione di accettare, respingere e definire i termini di un impegno sui prezzi sulla base del loro margine di regolamentazione. La Commissione potrebbe, di conseguenza, sanzionare qualsiasi violazione di un impegno o dell’obbligo di cooperazione nell’ambito della sua esecuzione mediante la revoca della sua accettazione e l’imposizione di dazi antidumping e compensativi sulla base dei fatti accertati nel contesto dell’inchiesta che ha condotto all’impegno sui prezzi, in forza dell’articolo 8, paragrafi 7 e 9, del regolamento antidumping di base ed dell’articolo 13, paragrafi 7 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base. Siffatto potere sanzionatorio includerebbe quello di annullare le fatture corrispondenti all’impegno.

76      In secondo luogo, la Commissione confuta l’argomento della ricorrente secondo cui il Consiglio non poteva abilitarla, mediante i regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013, ad annullare fatture riguardanti merci che erano già state immesse in libera pratica, per il motivo che una siffatta possibilità non sarebbe prevista nel regolamento antidumping di base e nel regolamento antisovvenzioni di base.

77      Sotto un primo profilo, a tal riguardo, la Commissione sostiene che era suo dovere sorvegliare gli impegni accettati a titolo dell’articolo 8 del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base, se necessario con l’aiuto delle autorità doganali degli Stati membri. La Commissione ritiene che tali disposizioni non ostino all’annullamento delle fatture corrispondenti agli impegni, ma semplicemente non contengono alcun riferimento a quest’ultima.

78      Sotto un secondo profilo, ad avviso della Commissione, l’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e l’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base non definiscono la natura delle violazioni dell’impegno e non stabiliscono le circostanze in cui si debba revocare l’accettazione di quest’ultimo. Spetterebbe alle istituzioni imporre taluni requisiti di conformità, dato che l’emissione delle fatture corrispondenti all’impegno è solo un esempio tra gli altri. La base giuridica per la definizione di tali modalità tecniche nei regolamenti che istituiscono dazi definitivi si troverebbe all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, secondo i quali i dazi sono riscossi «dagli Stati membri secondo la forma, l’aliquota e gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo». La possibilità di abilitare la Commissione ad annullare le fatture corrispondenti agli impegni deriverebbe dalla sua missione generale consistente nel vigilare sugli impegni, dal potere del Consiglio di fissare «altri elementi» per la riscossione dei dazi di cui trattasi e dall’obbligo per i produttori esportatori di consentire una sorveglianza nell’ambito di un rapporto di fiducia con la Commissione, il quale dipende dall’affidabilità dei documenti forniti.

79      Sotto un terzo profilo, la Commissione sostiene che l’obbligo di presentare fatture corrispondenti all’impegno e l’annullamento di queste ultime in caso di mancata conformità agli impegni adottati non costituiscono una novità. Nella fattispecie, la Commissione ritiene di aver esercitato il suo potere di revocare l’accettazione dell’impegno e di dichiarare le corrispondenti fatture non conformi motivando la sua decisione in modo adeguato nei confronti della ricorrente. Un dazio antidumping o compensativo dovuto in un caso di questo tipo, in ragione di una fattura corrispondente all’impegno annullata, avrebbe semplicemente lo scopo di regolarizzare le circostanze. L’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno mirerebbe a rafforzare l’efficacia degli impegni sui prezzi accettati dalla Commissione e rifletterebbe ed integrerebbe la competenza delle autorità doganali nazionali con uno strumento supplementare, che consente di recuperare i dazi in caso di violazione di un impegno.

80      Sotto un quarto profilo, secondo la Commissione, la ricorrente non può invocare i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. La Commissione rileva che l’esenzione dai dazi antidumping e compensativi non costituiva una situazione definitiva al momento dell’immissione in libera pratica. Inoltre, chiare norme di diritto avrebbero indicato alla ricorrente, sin dall’inizio, la possibilità dell’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno, in particolare in caso di violazione di quest’ultimo.

81      La Commissione fa valere che spetta alle autorità doganali nazionali valutare se esse siano o meno in grado di riscuotere i dazi doganali per le fatture, per le quali sia scaduto il termine di prescrizione di tre anni previsto all’articolo 103, paragrafo 2, del codice doganale dell’Unione, come applicato ai dazi di cui trattasi mediante l’articolo 1, paragrafo 3, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013, in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base. Il corrispondente articolo del regolamento antisovvenzioni di base è l’articolo 24, paragrafo 1. La Commissione sostiene in particolare che, poiché gli effetti di tali annullamenti non esplicavano effetti nel tempo ad una data anteriore al 23 aprile 2014, vale a dire alla data della presentazione della prima fattura corrispondente all’impegno della ricorrente, ed ancor meno al 4 dicembre 2013, vale a dire alla data di applicazione dei dazi sul prodotto in esame, non vi è stata alcuna retroattività ai sensi del diritto dell’Unione.

82      Secondo la Commissione, in tale contesto e alla luce del principio della tutela delle risorse proprie dell’Unione, è evidente che, qualora siano presentate fatture corrispondenti all’impegno inesatte o incomplete, si applica il dazio antidumping o compensativo ordinario dovuto dal produttore esportatore in questione, come se quest’ultimo non avesse presentato fatture corrispondenti all’impegno, e che i dazi non pagati a causa della presentazione di tali fatture sono dovuti come se non fosse esistita alcuna esenzione.

83      Sotto un quinto profilo, per quanto riguarda le disposizioni dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, la Commissione ritiene che in esse non rientri la pratica denunciata.

84      In terzo luogo, la Commissione deduce che non vi è mai stata una prassi consistente nell’esentare dai dazi antidumping o compensativi importazioni effettuate prima della revoca dell’accettazione di un impegno. Gli unici casi nei quali talune fatture corrispondenti agli impegni non sarebbero state annullate non rientrerebbero nella categoria descritta dalla ricorrente. Anche ove tale prassi fosse esistita, ciò non avrebbe alcuna influenza sulla legittimità del regolamento impugnato. In tale contesto, il punto 33 del ricorso sarebbe irricevibile per violazione dell’articolo 76, lettera f), del regolamento di procedura, in quanto non è stata prodotta alcuna prova.

85      La Commissione sostiene che la posizione della ricorrente potrebbe essere riassunta nel senso che l’unica conseguenza giuridica della violazione di un impegno sarebbe la revoca di quest’ultimo per il futuro. Tutte le operazioni che si sono basate su violazioni, effettuate prima dell’adozione della decisione di revoca, sarebbero protette. Orbene, la Commissione sottolinea che nulla nel diritto dell’Unione giustifica una tutela così ampia di un operatore economico che viola gli obblighi da esso volontariamente accettati, in particolare quando è stato avvertito in anticipo delle conseguenze di tali atti.

86      Nella controreplica, la Commissione sostiene, in sostanza, che la ricorrente ed essa stessa convengono sul fatto che, in linea di principio, dazi antidumping e compensativi possono essere istituiti dal momento della violazione dell’impegno. Il disaccordo verterebbe unicamente sul metodo da utilizzare a tal riguardo. La Commissione ritiene inutile ricorrere alla registrazione e a dazi provvisori quando l’inchiesta è stata condotta a termine e sono stati istituiti dazi definitivi. Il metodo proposto dalla ricorrente non terrebbe conto del fatto che la Commissione può iniziare la registrazione solo dopo aver rilevato una violazione di un impegno. La Commissione sostiene di aver seguito la procedura appropriata. Infatti, l’annullamento della fattura corrispondente all’impegno sarebbe l’unico modo per riscuotere i dazi a decorrere dal fatto che integra la violazione. La Commissione sostiene altresì che occorre distinguere tra l’istituzione di dazi e la sospensione della loro riscossione. Il caso di specie rientrerebbe in questa seconda ipotesi.

87      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui la vigilanza doganale e i controlli doganali rientrano nella sfera di competenza delle autorità doganali degli Stati membri, la Commissione deduce che tale argomento è stato presentato per la prima volta nella replica e, pertanto, che è irricevibile sulla base dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura. Ad ogni modo, esso non sarebbe fondato.

88      La Commissione fa valere che è pacifico che essa aveva ordinato alle autorità doganali di riscuotere dazi antidumping e compensativi dovuti sulle importazioni del prodotto di cui trattasi, conformemente all’articolo 2 del regolamento impugnato. Essa sostiene che, senza aver cercato di usurpare le competenze delle autorità nazionali, si era imposta il dovere di realizzare talune attività di controllo e di verifica della conformità, in forza dei poteri previsti all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, in modo da proteggere le risorse proprie dell’Unione.

89      Infine, la Commissione ritiene che l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione e il Consiglio nella sua qualità di esecutivo hanno ampliato i poteri della Commissione oltre quanto consentito dai Trattati e dal diritto derivato sia irricevibile, trattandosi di un motivo nuovo presentato per la prima volta nella replica, contrariamente a quanto prescritto dall’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura. In ogni caso, secondo la Commissione, tale argomento manca di chiarezza in merito alle modalità con cui il Consiglio avrebbe ampliato le competenze della Commissione.

90      Il Consiglio sostiene, in sostanza, le affermazioni della Commissione. In primo luogo, esso asserisce che l’interpretazione corretta dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base dimostra che tali disposizioni autorizzano l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno. In secondo luogo, esso ritiene che i regolamenti summenzionati forniscano una base giuridica che consente alle istituzioni dell’Unione di imporre taluni requisiti di conformità per la gestione degli impegni sui prezzi. In terzo luogo, secondo il Consiglio, le clausole di annullamento delle fatture corrispondenti agli impegni sono conformi alla prassi delle istituzioni dell’Unione. In quarto luogo, il Consiglio sottolinea che l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno non è equivalente ad un’imposizione retroattiva di dazi antidumping e compensativi, che sarebbe contraria al diritto dell’Unione.

91      La ricorrente contesta sia le affermazioni della Commissione, sia quelle del Consiglio.

 Sul contesto normativo in cui rientrano gli impegni e le fatture corrispondenti all’impegno della ricorrente

92      In via preliminare occorre rammentare che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, qualora sia stata constatata l’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, la Commissione può accettare l’offerta di un esportatore di impegnarsi volontariamente e in modo soddisfacente a modificare i suoi prezzi in modo da evitare di esportare i prodotti interessati a prezzi di dumping, sempreché essa ritenga che il pregiudizio causato dal dumping sia eliminato mediante siffatto impegno.

93      Nel caso di specie, da un lato, occorre constatare che i dazi antidumping e compensativi definitivi sono stati fissati, con aliquote che sono state precisate per categorie di imprese, in particolare in funzione del fatto che si trattava di imprese che avevano collaborato all’inchiesta. Dall’altro lato, l’accettazione degli impegni in questione ha avuto l’effetto di esentare le società interessate dal pagamento dei dazi antidumping e compensativi definitivi, come previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, e dal considerando 438 del regolamento di esecuzione n. 1238/2013, nonché dall’articolo 2, paragrafo 1, e dal considerando 865 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

94      A tal riguardo, è già stato constatato, nella giurisprudenza relativa all’interpretazione del regime applicabile agli impegni in vigenza del regolamento n. 1225/2009, che le importazioni oggetto di detti impegni sono esentate da dazi antidumping non già per effetto dell’adozione della decisione di accettazione degli impegni, dato che l’esenzione risulta dalle disposizioni adottate o da parte della Commissione nel regolamento provvisorio antidumping modificato o da parte del Consiglio nel regolamento definitivo antidumping ai fini dell’attuazione degli impegni accettati dalla Commissione. Un obbligo del genere grava sul Consiglio in applicazione dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009, il quale stabilisce che un regolamento deve istituire un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di un prodotto oggetto di dumping e che causano un pregiudizio, prevedendo un’eccezione per le importazioni provenienti da fonti il cui impegno sia stato eventualmente accettato (ordinanza del 14 gennaio 2015, SolarWorld e a./Commissione, T‑507/13, EU:T:2015:23, punto 48).

95      Occorre infatti constatare che, quand’anche una decisione di accettazione degli impegni sia stata adottata, i dazi antidumping provvisori o definitivi sono imposti, in forza dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009, solo mediante regolamento, e che tale disposizione prevede inoltre che la loro riscossione da parte degli Stati membri sia effettuata secondo gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo, tra i quali figurano le condizioni enunciate per l’attuazione degli impegni accettati (ordinanza del 14 gennaio 2015, SolarWorld e a./Commissione, T‑507/13, EU:T:2015:23, punto 49). L’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 597/2009 segue, in sostanza, lo stesso approccio.

96      Peraltro, da un lato, è previsto che la Commissione sia tenuta a verificare il rispetto degli impegni, se necessario con il contributo delle autorità doganali degli Stati membri, conformemente all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento n. 1225/2009 ed all’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento n. 597/2009. È inoltre evidente che l’adempimento, da parte della Commissione, del controllo degli impegni è vincolato all’affidabilità dei documenti forniti nel corso dello svolgimento dell’impegno assunto dall’esportatore interessato (sentenza del 22 novembre 2012, Usha Martin/Consiglio e Commissione, C‑552/10 P, EU:C:2012:736, punto 35).

97      Dall’altro lato, secondo la finalità dell’articolo 8 del regolamento n. 1225/2009, in forza dell’impegno da essa sottoscritto, la ricorrente era peraltro tenuta non solo a garantire l’effettivo rispetto dello stesso, ma altresì a sorvegliare efficacemente l’applicazione dell’impegno in parola, collaborando con la Commissione nel contesto della relazione di fiducia su cui si fonda l’accettazione di un siffatto impegno da parte di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2012, Usha Martin/Consiglio e Commissione, C‑552/10 P, EU:C:2012:736, punto 24). Questa stessa logica è applicabile, per analogia, agli impegni nel contesto dei dazi compensativi, ai sensi dell’articolo 13 del regolamento n. 597/2009, in quanto la loro finalità resta simile agli impegni assunti nel contesto del regolamento antidumping di base.

98      Inoltre, come rilevato dalla Commissione, un impegno sui prezzi da parte di un’impresa deve essere considerato un obbligo di risultato, che deve essere rispettato e dimostrato, in particolare, mediante l’emissione di fatture corrispondenti all’impegno al momento dell’importazione dei prodotti di cui trattasi nell’Unione. L’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 contengono riferimenti espliciti alle fatture corrispondenti all’impegno. Come sostenuto dalla Commissione, il contenuto delle fatture corrispondenti all’impegno e dei certificati d’impegno all’esportazione è previsto dagli allegati III e IV del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dagli allegati 2 e 3 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

99      Infine, dalla giurisprudenza emerge l’esistenza di un imperativo di garantire un adeguato controllo degli impegni (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2017, Rusal Armenal/Consiglio, T‑512/09 RENV, EU:T:2017:26, punto 178).

 Sugli effetti connessi alla revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione e all’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno mediante il regolamento impugnato

100    Anzitutto, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antidumping di base:

«(...) per tutto il periodo in cui hanno effetto tali impegni, i dazi provvisori istituiti dalla Commissione a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, o, se del caso, i dazi definitivi istituiti a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, non si applicano alle relative importazioni del prodotto interessato fabbricato dalle società indicate nella decisione della Commissione con la quale si accettano gli impegni, come successivamente modificata (...)»

101    La formulazione dell’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antisovvenzioni di base è sostanzialmente identica.

102    Poi, all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base, si legge quanto segue:

«In caso di violazione o di revoca di un impegno a opera di una delle parti che lo hanno assunto, o in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione, l’accettazione dell’impegno è revocata con decisione o, a seconda dei casi, con regolamento della Commissione e si applica automaticamente il dazio provvisorio istituito dalla Commissione a norma dell’articolo 7 o il dazio definitivo istituito a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, a condizione che l’esportatore interessato, salvo nei casi in cui abbia revocato lui stesso l’impegno, abbia avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni. (...)».

103    La formulazione dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base è sostanzialmente identica.

104    A tal riguardo, i considerando 18 e 19 del regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004, che modifica il regolamento (CE) n. 384/96 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea e il regolamento (CE) n. 2026/97 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2004, L 77, pag. 12), che hanno portato all’adozione di una modifica del testo delle disposizioni rilevanti per la presente controversia, enunciano quanto segue:

«(18)      L’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base stabilisce, tra l’altro, che qualora una delle parti revochi un impegno, può essere imposto un dazio definitivo, a norma dell’articolo 9, in base ai fatti accertati nel corso dell’inchiesta nel cui ambito è stato accettato l’impegno. Questa disposizione ha determinato una duplice procedura dispendiosa in termini di tempo, consistente in una decisione della Commissione che revoca l’accettazione dell’impegno e un regolamento del Consiglio che istituisce nuovamente il dazio. Considerando che questa procedura non lascia alcuna discrezione al Consiglio riguardo all’istituzione di tale dazio o alla fissazione del suo livello, si considera opportuno modificare le disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafi 1, 5 e 9, per mettere in chiaro la responsabilità della Commissione e per riunire la revoca di un impegno e l’applicazione del dazio in un unico atto giuridico. È inoltre necessario assicurare che la procedura di revoca sia portata a termine entro un periodo pari normalmente a sei mesi e comunque non superiore a nove mesi, per garantire un’adeguata applicazione della misura.

(19)      Il considerando 18 si applica, mutatis mutandis, agli impegni a norma dell’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base».

105    Infine, l’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base, dispone quanto segue:

«A norma dell’articolo 7, può essere imposto un dazio provvisorio sulla base delle migliori informazioni disponibili quando vi sia motivo di ritenere che l’impegno sia stato violato oppure in caso di revoca o di violazione di un impegno qualora l’inchiesta nella quale è stato assunto l’impegno non sia ancora conclusa».

106    Il tenore dell’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base è sostanzialmente identico.

107    La divergenza tra le parti sta nell’interpretazione degli effetti di tali disposizioni. Da un lato, la Commissione e il Consiglio ritengono che la revoca dell’accettazione degli impegni abbia l’effetto di ripristinare la situazione iniziale, nel senso che diventano allora dovuti tutti i dazi antidumping e compensativi definitivi concernenti le fatture corrispondenti agli impegni annullate.

108    Dall’altro, la ricorrente ritiene che dazi antidumping e compensativi possano essere istituiti unicamente per il futuro, vale a dire a partire dal momento della revoca dell’accettazione degli impegni da parte della Commissione, fatte salve talune eccezioni espressamente previste dal regolamento antidumping di base e dal regolamento antisovvenzioni di base.

109    La Commissione deduce essenzialmente che, in tali circostanze, i dazi antidumping o compensativi definitivi sono «nuovamente applicabili». Essa afferma che il caso di specie è analogo alla situazione in cui un importatore presenta per lo sdoganamento una fattura corrispondente all’impegno che è priva della firma di un ordinatore del produttore esportatore o che mostra altre irregolarità. Allo stesso modo, essa rinvia a talune fattispecie configuranti esenzioni da dazi doganali, in caso di prova dell’origine preferenziale, nelle quali un controllo a posteriori dimostra che la tariffa preferenziale è stata concessa a torto, vale a dire alle sentenze del 7 dicembre 1993, Huygen e a. (C‑12/92, EU:C:1993:914, punto 19), e del 9 marzo 2006, Beemsterboer Coldstore Services (C‑293/04, EU:C:2006:162, punto 34). Nello stesso senso, durante l’udienza, la Commissione ha fatto riferimento, in sostanza, al fatto che, nel caso di una revoca dell’accettazione degli impegni, le istituzioni dell’Unione incaricherebbero le autorità nazionali di riscuotere i dazi applicabili o, in altre parole, di «reimpostare la transazione». Si tratterebbe, quindi, di esporre le importazioni ai dazi antidumping e antisovvenzioni definitivi iniziali, quali stabiliti conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento antidumping di base e all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base.

110    La ricorrente non contesta il fatto che le istituzioni dell’Unione possano accettare, respingere e definire i termini dell’impegno dei prezzi sulla base del loro potere discrezionale. La ricorrente non contesta neppure il potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione per quanto riguarda la revoca dell’accettazione di un impegno.

111    Per contro, al fine di sostenere che solo in circostanze molto specifiche fosse possibile applicare, in via retroattiva, misure antidumping e dazi compensativi definitivi, la ricorrente richiama l’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base, e più in particolare l’articolo 10, paragrafo 5, del medesimo regolamento, rubricato «Retroattività», a termini del quale:

«(...) In caso di violazione o di revoca di un impegno, possono essere applicati dazi definitivi a prodotti immessi in consumo non oltre 90 giorni prima della data di applicazione dei dazi provvisori, a condizione che le importazioni siano state registrate a norma dell’articolo 14, paragrafo 5. Detta imposizione retroattiva non si applica tuttavia alle importazioni introdotte nell’Unione prima della violazione o della revoca dell’impegno».

112    La ricorrente deduce che tali disposizioni coincidono, in sostanza, con l’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base e l’articolo 16, paragrafo 5, del medesimo regolamento.

113    La ricorrente sostiene che solo in presenza di registrazioni avrebbero potuto essere attuate misure, come l’obbligo di rimborsare i dazi antidumping e compensativi definitivi dovuti, nei confronti delle importazioni di cui trattasi. Pertanto, a suo avviso, l’approccio della Commissione nel caso di specie è errato ed illegittimo, in quanto non segue nessuna delle ipotesi espressamente previste dal legislatore per le situazioni nelle quali occorrerebbe applicare retroattivamente dazi antidumping o compensativi. La ricorrente ritiene che la Commissione non possa ordinare la riscossione di dazi definitivi su prodotti immessi in libera pratica se non ha previamente istituito dazi provvisori o ordinato la registrazione.

114    L’eccezione di illegittimità sollevata dalla ricorrente avverso l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 deve essere intesa nel senso che l’applicazione retroattiva dei dazi antidumping o compensativi nel caso di specie non poteva legittimamente fondarsi neppure su tali disposizioni. Infatti, tali disposizioni, in particolare l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, sarebbero esse stesse contrarie all’articolo 8 e all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base nonché all’articolo 13 e all’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Tale eccezione sarà esaminata dopo l’esame dell’unico motivo sollevato dalla ricorrente.

 Sull’unico motivo sollevato dalla ricorrente

115    In primo luogo, per quanto riguarda il rinvio operato dalla ricorrente all’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, si deve constatare che tali disposizioni non riguardano il caso di specie.

116    Infatti, da un lato, come sottolineano la Commissione e il Consiglio, il caso di specie non è assimilabile a quello in cui vi siano stati unicamente «motivi per ritenere» che un impegno sia stato violato, con una conseguente possibilità di istituire un dazio provvisorio. Al contrario, nel caso di specie, la violazione dell’impegno da parte della ricorrente non è stata negata da quest’ultima. Tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che la ricorrente sostenga di non aver contestato la revoca dell’accettazione dell’impegno solo a causa della sua consapevolezza circa l’ampio margine discrezionale di cui godono le istituzioni dell’Unione a tale riguardo.

117    Dall’altro lato, non si tratta neppure, nel caso di specie, della seconda situazione prevista dalle disposizioni ricordate al precedente punto 115, in cui, «in caso di violazione (...) di un impegno», l’inchiesta nella quale è stato assunto tale impegno «non sia ancora conclusa». È invece pacifico che dazi definitivi antidumping e compensativi sono stati adottati dal Consiglio.

118    In secondo luogo, per quanto riguarda il rinvio operato dalla ricorrente all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e all’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, si deve constatare che tali disposizioni riguardano situazioni particolari, nelle quali le istituzioni hanno proceduto mediante «registrazione» delle importazioni, conformemente all’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base o all’articolo 24, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Inoltre, tali disposizioni adottano come base per il calcolo della retroattività la data di applicazione delle misure provvisorie. Orbene, nel caso di specie, nessuna di tali ipotesi è applicabile, in mancanza di registrazione delle importazioni di cui trattasi da parte della Commissione, nonché in assenza di misure provvisorie.

119    Quindi, poiché la situazione nel caso di specie non corrisponde a nessuna delle ipotesi espressamente previste dal regolamento antidumping di base e dal regolamento antisovvenzioni di base, occorre valutare se, come afferma la ricorrente (v. precedenti punti da 69 a 71), non sussiste alcun’altra base giuridica per l’adozione dell’articolo 2 del dispositivo del regolamento impugnato.

120    La Commissione e il Consiglio rinviano al contesto particolare della presente causa al fine di spiegare l’approccio adottato nel regolamento impugnato. A tal riguardo, ad avviso della Commissione, che si è riferita ad un’interpretazione sistematica del regolamento antidumping di base e del regolamento antisovvenzioni di base, ne derivava che i dazi definitivi, come inizialmente istituiti sui prodotti interessati dagli impegni della ricorrente, potevano essere automaticamente applicati, quale conseguenza diretta della misura consistente nella revoca dell’accettazione di detti impegni da parte della Commissione.

121    Il Consiglio ha indicato che il regolamento antidumping di base e il regolamento antisovvenzioni di base non prevedevano esplicitamente l’ipotesi, «probabilmente la più frequente», in cui, come nel caso di specie, la Commissione avviasse di propria iniziativa un’inchiesta sulla violazione dell’impegno. Inoltre, il Consiglio ha contestato l’approccio secondo cui, poiché tale tipo d’inchiesta non è stato espressamente previsto nel regolamento antidumping di base e nel regolamento antisovvenzioni di base e questi ultimi non prevedevano espressamente la facoltà per la Commissione di annullare le fatture corrispondenti all’impegno, ne debba conseguire che tale prassi fosse illegittima (v., altresì, precedente punto 90). Il Consiglio aggiunge che la nozione di «fatture corrispondenti all’impegno», quale mezzo per gestire gli impegni accettati, è stata sviluppata nella prassi decisionale delle istituzioni dell’Unione.

122    Secondo il Consiglio, nel caso di specie non era possibile, né necessario, procedere all’istituzione dei dazi antidumping e compensativi provvisori o tramite registrazioni dei prodotti importati, dato che l’inchiesta era già stata ultimata e che erano stati fissati i dazi definitivi, nonostante la concomitante accettazione da parte della Commissione degli impegni della ricorrente e di altre società esportatrici cinesi. Il Consiglio sostiene che i dazi provvisori erano soltanto meri precursori dei dazi definitivi. Nel caso di specie, secondo il Consiglio, non era possibile tornare indietro, la registrazione non aveva alcun senso e i dazi provvisori non potevano più essere pertinenti, poiché erano eliminati dai dazi definitivi. Il Consiglio sostiene che la procedura seguita dalla Commissione costituiva una procedura particolare, rientrante, a suo avviso, nella prassi costante delle istituzioni dell’Unione in un contesto analogo.

123    Il Consiglio sostiene che, nel caso di specie, occorreva valutare quali fatture corrispondenti all’impegno fossero interessate e, a seguito del loro annullamento, applicare i dazi antidumping e compensativi dovuti, che erano stati semplicemente sospesi. Il Consiglio si riferisce, inoltre, alla sentenza del 21 febbraio 1984, Allied Corporation e a./Commissione (239/82 e 275/82, EU:C:1984:68, punto 21). Esso sottolinea che le fatture corrispondenti all’impegno conseguivano lo stesso scopo delle registrazioni di importazioni, vale a dire rendere queste ultime rintracciabili.

124    La Commissione e il Consiglio sottolineano che l’argomentazione della ricorrente sottende, in realtà, che sia consentito ad una società di approfittare, in mancanza di norme precise al riguardo, di una situazione in cui, pur avendo adottato taluni impegni accettati dalla Commissione, essa poteva nondimeno violare questi ultimi, in linea di principio del tutto impunita per quanto riguarda situazioni già compiute.

125    La ricorrente ritiene che la revoca dell’accettazione di un impegno costituisca, di per sé, una sanzione sufficiente, in quanto rende poi molto più difficile per l’operatore vendere le sue merci in modo redditizio sul mercato dell’Unione.

126    Il Consiglio e la Commissione sostengono che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base nonché l’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base possono essere interpretati nel senso che essi lasciano alle istituzioni dell’Unione il compito di imporre requisiti di conformità per gli impegni e di stabilire procedimenti al riguardo. Tali istituzioni sottolineano che i suddetti articoli, rubricati «Disposizioni generali», prevedono che i dazi antidumping o i dazi compensativi, provvisori o definitivi, siano imposti con regolamento e siano riscossi dagli Stati membri secondo la forma, l’aliquota e gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo.

127    Il Consiglio e la Commissione sottolineano, in particolare, che le disposizioni citate al precedente punto 126 fanno riferimento agli «altri elementi», nei quali sarebbe inclusa la possibilità di vigilare sul rispetto di un impegno mediante fatture corrispondenti a tale impegno. Si può quindi affermare la competenza delle istituzioni dell’Unione ad annullare le fatture corrispondenti all’impegno e ad ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi «sulle importazioni di cui trattasi». Occorre pertanto valutare se tali disposizioni costituissero una base giuridica sufficiente per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento impugnato.

128    Su tale punto, in via preliminare, si deve osservare che la Corte ha già dichiarato, al punto 58 della sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann (C‑256/16, EU:C:2018:187), richiamata dalla Commissione nel corso dell’udienza, che dal tenore dell’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, del regolamento n. 1225/2009 risulta che il legislatore dell’Unione non ha inteso determinare in modo tassativo gli elementi relativi alla riscossione dei dazi antidumping che possono essere fissati dalla Commissione.

129    La sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann (C‑256/16, EU:C:2018:187), riguardava un regolamento della Commissione il cui articolo 1 prevedeva talune ingiunzioni dirette a preservare la riscossione dei dazi antidumping imposti da regolamenti definitivi e di proroga, obbligando le autorità doganali nazionali ad attendere che la Commissione avesse determinato le aliquote alle quali tali dazi avrebbero dovuto essere fissati, in esecuzione di una sentenza della Corte, annullando i dazi inizialmente fissati. Pertanto, l’ingiunzione consisteva, in sostanza, nel fatto che le autorità doganali nazionali dovessero attendere di sapere quali fossero i dazi realmente dovuti, prima di pronunciarsi sulle richieste di rimborso presentate dagli operatori che avevano pagato i suddetti dazi. Di conseguenza, la situazione oggetto della causa citata verteva sulla questione dell’individuazione dell’importo dei dazi inizialmente pagati dalle parti che dovevano essere rimborsati dalle autorità doganali a dette parti.

130    Orbene, a differenza della situazione oggetto della sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann (C‑256/16, EU:C:2018:187), la questione sollevata nel caso di specie, ossia l’imposizione nel tempo dei dazi antidumping e antisovvenzioni che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato o revocato, è coperta dalle disposizioni contenute nell’articolo 8, paragrafo 10, e nell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base nonché da quelle contenute nell’articolo 13, paragrafo 10, e nell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Pertanto, è alla luce di tali chiare disposizioni che occorre valutare se l’azione intrapresa dalla Commissione nel caso di specie fosse tale da rientrare nel fondamento giuridico previsto dal legislatore oppure se ne discostasse, nel contesto specifico delle conseguenze che possono essere tratte dalla revoca dell’accettazione di un impegno.

131    A tal riguardo, va ricordato che da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima e degli obiettivi da essa perseguiti, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione [v. sentenza dell’8 luglio 2019, Commissione/Belgio (articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità), C‑543/17, EU:C:2019:573, punto 49 e giurisprudenza ivi citata]. Inoltre, quando si tratta di stabilire se una disposizione abbia portata retroattiva, il fatto che debba esserle attribuito un effetto del genere deve risultare chiaramente da quest’ultima (v., per analogia, sentenza del 24 settembre 2002, Falck e Acciaierie di Bolzano/Commissione, C‑74/00 P e C‑75/00 P, EU:C:2002:524, punto 119).

132    L’intenzione del legislatore di disciplinare esplicitamente, nei regolamenti di base, le conseguenze della violazione o della revoca di impegni circoscrivendo le modalità secondo le quali i dazi dovuti in assenza di impegni potevano essere imposti retroattivamente risulta da diversi considerando dei suddetti regolamenti.

133    Così, il considerando 14 del regolamento antidumping di base indica quanto segue:

«Occorre specificare le procedure relative all’accettazione di impegni idonei ad eliminare il dumping e il pregiudizio invece dell’imposizione di dazi provvisori o definitivi. È inoltre opportuno precisare le conseguenze della violazione o della revoca di impegni e stabilire che possono essere istituiti dazi provvisori in caso di sospetta inosservanza degli impegni oppure qualora sia necessaria un’inchiesta supplementare per completare le risultanze. Ai fini dell’accettazione degli impegni, occorre considerare se gli impegni proposti e la loro esecuzione non inducano ad un comportamento lesivo della concorrenza».

134    Il considerando 12 del regolamento antisovvenzioni di base ha un contenuto corrispondente.

135    Inoltre, il considerando 17 del regolamento antidumping di base indica quanto segue:

«È necessario stabilire che i dazi provvisori possono essere riscossi a titolo retroattivo e precisare le circostanze che giustificano l’applicazione retroattiva dei dazi per evitare che sia pregiudicata l’efficacia delle misure definitive; è inoltre necessario stabilire che i dazi possono essere applicati con effetto retroattivo in caso di violazione o di revoca di impegni assunti».

136    Il considerando 16 del regolamento antisovvenzioni di base è identico.

137    Alla luce dell’impianto sistematico e delle finalità dei regolamenti di base così ricordati, da cui emerge, da un lato, l’intenzione del legislatore di legiferare in merito alle procedure che possono essere utilizzate al fine di trarre le conseguenze di una revoca dell’accettazione di un impegno da parte della Commissione e, dall’altro, le disposizioni, menzionate ai precedenti punti 69 e 70, con le quali tale intenzione del legislatore si è realizzata, occorre escludere l’interpretazione proposta dalla Commissione e dal Consiglio diretta a dedurre, dal riferimento, all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base, nonché all’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, agli «altri elementi» per la riscossione dei dazi, il potere delle istituzioni dell’Unione incaricate dell’attuazione dei regolamenti di base di esigere, nell’ambito di tale potere esecutivo, il pagamento da parte delle società interessate di tutti i dazi dovuti per le transazioni coperte dalle fatture corrispondenti all’impegno nel frattempo annullate.

138    Tale conclusione vale anche per l’argomento della Commissione e del Consiglio secondo cui sarebbe possibile evincere un siffatto potere dai termini dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, conformemente ai quali i dazi si applicano automaticamente a seguito della revoca dell’accettazione di impegni. Infatti, è giocoforza constatare che una siffatta applicazione automatica è prevista nei limiti espressamente fissati dall’articolo 8, paragrafo 10, e dall’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base nonché dall’articolo 13, paragrafo 10, e dall’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base.

139    Nessuno degli altri argomenti formulati dalla Commissione e dal Consiglio sono tali da inficiare la conclusione che precede.

140    In primo luogo, per quanto riguarda le affermazioni del Consiglio, richiamate ai precedenti punti 122 e 123, esse sottendono essenzialmente l’impossibilità di imporre dazi provvisori a causa di sospetti di violazione di impegni sul fondamento dell’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, dal momento che l’imposizione di dazi definitivi è già stata decisa in precedenza. D’altro canto, il Consiglio sostiene altresì che il ricorso alle fatture corrispondenti all’impegno è assimilabile a una registrazione delle importazioni ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base. Ne conseguirebbe che le disposizioni summenzionate o non si applicherebbero ai fatti del caso di specie oppure convaliderebbero la prassi delle fatture corrispondenti all’impegno.

141    A tal riguardo, anzitutto, in merito alla prima affermazione, relativa all’impossibilità di applicare dazi provvisori nel caso di specie a causa dell’imposizione anteriore di dazi definitivi, occorre rilevare che essa, anche supponendola fondata, non è idonea a rimettere in discussione la conclusione secondo cui i regolamenti di base prevedono ipotesi, delimitate in modo preciso, nelle quali i dazi dovuti in caso di violazione di impegni possono essere imposti retroattivamente. Del resto, come correttamente rilevato dalla ricorrente, l’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e l’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base si riferiscono a due situazioni diverse. Orbene, solo la seconda situazione presuppone che «l’inchiesta nella quale è stato assunto l’impegno non sia ancora conclusa» e che dunque non siano stati istituiti dazi definitivi.

142    Per quanto riguarda, poi, l’asserita assimilazione delle fatture corrispondenti all’impegno a una registrazione delle importazioni ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, è sufficiente constatare che tali disposizioni limitano il ricorso alle misure di registrazione obbligatoria delle importazioni a un periodo di nove mesi. Pertanto, anche supponendo che una registrazione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base sia assimilabile all’emissione di una fattura corrispondente all’impegno, la portata temporale dell’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno pronunciata ai sensi delle disposizioni impugnate eccede i limiti imposti dal regolamento antidumping di base.

143    Inoltre, per quanto riguarda il riferimento operato dal Consiglio alla sentenza del 21 febbraio 1984, Allied Corporation e a./Commissione (239/82 e 275/82, EU:C:1984:68, punto 21), occorre constatare che esso non influisce sull’esistenza di una facoltà, per la Commissione, di adottare, in occasione della revoca dell’accettazione di un impegno, misure con effetto retroattivo e, in particolare, di ordinare alle autorità doganali nazionali la riscossione di dazi antidumping e compensativi definitivi, quali inizialmente dovuti. Infatti, la suddetta sentenza riguarda una causa in cui, a seguito della denuncia di un impegno, la Commissione doveva adottare il più presto possibile provvedimenti «provvisori» ove ritenesse che una siffatta azione corrispondesse agli interessi dell’Unione. È in tale contesto che è stato precisato che la Commissione doveva basarsi sulle «informazioni di cui dispone[va]». È stato in particolare indicato, al punto 21 di tale sentenza, che, poiché la stessa sottoscrizione di un impegno consente di presumere l’effettiva esistenza di un dumping, non si può pretendere che la Commissione avvii una nuova inchiesta a partire dal momento in cui un siffatto impegno viene rescisso.

144    In secondo luogo, occorre respingere in quanto non decisivi per la presente controversia i riferimenti operati dal Consiglio ai considerando 18 e 19 del regolamento n. 461/2004 (v. precedente punto 104). Infatti, i considerando citati dal Consiglio non vertono sulla questione dell’applicazione retroattiva dei dazi che sarebbero stati dovuti in assenza dell’impegno nel frattempo revocato oppure violato.

145    In terzo luogo, per quanto riguarda i rinvii effettuati dalla Commissione a talune circostanze o ad altre sentenze in materia di dazi doganali, vertenti su fatture prive di firma presentate dall’importatore per lo sdoganamento o, ancora, su situazioni in cui un controllo a posteriori dimostrava che erroneamente era stata concessa una tariffa agevolata (v. precedente punto 109), si deve constatare che le finalità e l’impianto sistematico dei regolamenti di base, quali sopra ricordati, ostano a un ragionamento per analogia con l’attuazione delle leggi doganali.

146    In quarto luogo, ai punti 49 e seguenti del suo controricorso, la Commissione indica, al fine di sostenere che, nel caso di specie, la norma giuridica fosse particolarmente chiara, che la decisione 2013/423 conteneva, in particolare ai suoi considerando 14 e 15, disposizioni che mettevano in guardia circa le conseguenze della violazione degli impegni. La Commissione e il Consiglio fanno altresì riferimento a diversi casi precedenti, dai quali risulterebbe che l’obbligo di presentare fatture corrispondenti all’impegno e la possibilità del loro annullamento non erano nuovi e che l’azione della Commissione nel caso di specie non costituiva neppure una modifica di una «prassi» istituzionale precedente.

147    Orbene, la preesistenza della prassi rivendicata dalla Commissione e dal Consiglio, al pari della circostanza che la ricorrente ne avrebbe avuto conoscenza, non incidono sulla constatazione che tale prassi è priva di fondamento giuridico.

148    Peraltro, nei limiti in cui la soluzione della presente controversia non è fondata neppure sulle affermazioni della ricorrente relative all’esistenza di un’asserita prassi anteriore consistente nell’esentare dai dazi antidumping o compensativi importazioni effettuate prima della revoca dell’accettazione di un impegno, non è necessario pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione al riguardo (v. precedente punto 84). In ogni caso, si deve respingere tale eccezione di irricevibilità per il motivo che la questione della presentazione della prova di un fatto dedotto a sostegno di una domanda non riguarda la ricevibilità di tale domanda, bensì la sua fondatezza (v., per analogia, ordinanza del 27 aprile 2017, CJ/ECDC, T‑696/16 REV e T‑697/16 REV, non pubblicata, EU:T:2017:318, punto 39). Inoltre, occorre precisare che dalla formulazione dell’articolo 76, lettera f), del regolamento di procedura, e più precisamente dall’impiego dell’espressione «se del caso», risulta che il ricorso non deve obbligatoriamente contenere offerte di prova. L’unica sanzione in materia di offerte di prova è quella di rigetto per tardività quando esse sono presentate, per la prima volta e senza giustificazioni, in sede di replica o di controreplica oppure, in via eccezionale, prima della chiusura della fase orale del procedimento o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale (articolo 85, paragrafi 2 e 3, del regolamento di procedura) (v., in tal senso, sentenza del 3 febbraio 2005, Chiquita Brands e a./Commissione, T‑19/01, EU:T:2005:31, punto 71).

149    In quinto luogo, la Commissione sostiene che essa mirava a rafforzare l’efficacia degli impegni, ad integrare la competenza delle autorità doganali nazionali e ad agire in modo che la ricorrente non potesse oltrepassare i controlli a posteriori delle suddette autorità doganali, sebbene fosse dimostrato che essa vendeva prodotti oggetto dell’impegno tramite importatori collegati dell’Unione che non erano parti dell’impegno, vale a dire mediante un canale di vendita non autorizzato dall’accordo.

150    In via preliminare, occorre rilevare che, ai punti da 31 a 37 della replica, la ricorrente ha confutato le affermazioni formulate dalla Commissione in merito alla ripartizione delle competenze tra le autorità nazionali doganali e le istituzioni dell’Unione nel presente contesto (v. precedente punto 72). La Commissione ha sostenuto, nella controreplica, che gli argomenti dedotti nella replica erano nuovi e, in quanto tali, irricevibili. All’udienza, essa si è tuttavia riservata l’ipotesi di ammettere che la ricorrente si sia limitata, in realtà, a fornire elementi di fatto. Poiché la ricorrente ha precisato al riguardo di non aver avuto intenzione di sollevare un motivo nuovo fondato sul codice doganale dell’Unione, si deve ritenere che l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione sia divenuta priva di oggetto.

151    Quanto alla fondatezza dell’argomento della Commissione, si deve constatare che, come affermato dalla ricorrente, il fatto di revocare l’accettazione degli impegni ha già, in quanto tale, conseguenze negative sull’operatore che li aveva assunti, e costituisce una sanzione importante (v. precedente punto 125). Inoltre, non può trattarsi, come sostenuto dalla Commissione e dal Consiglio, di una situazione assimilabile a un’impunità dell’operatore, che abbia violato i suoi impegni, o ancora di una situazione che gli consentirebbe di trarre liberamente profitto da una siffatta azione. Infatti, occorre sottolineare che non è vietata qualsiasi azione di riscossione dei dazi antidumping o antisovvenzioni, ma che spetta alle istituzioni dell’Unione tener conto dei limiti procedurali, così come previsti, al riguardo, dal regolamento antidumping di base e dal regolamento antisovvenzioni di base.

152    Alla luce di tutto quanto precede, si deve constatare che i regolamenti di base non possono costituire fondamenta giuridiche sufficienti per l’adozione delle disposizioni impugnate.

 Sull’eccezione di illegittimità

153    Occorre inoltre esaminare se, nonostante l’assenza di basi giuridiche sufficienti nei regolamenti di base, l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 potessero costituire il fondamento giuridico delle disposizioni impugnate.

154    A tal riguardo, la ricorrente fonda il suo ricorso anche su un’eccezione di illegittimità dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, basandosi su un’asserita violazione dell’articolo 8 e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009 nonché dell’articolo 13 e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento n. 597/2009, nelle versioni applicabili all’epoca dell’adozione dei regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013.

155    L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, secondo il loro tenore letterale autorizzano la Commissione ad identificare operazioni per le quali «[a]ll’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale» quando la Commissione revoca l’accettazione dell’impegno, conformemente all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento n. 1225/2009 o all’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento n. 597/2009, adottando un regolamento o una decisione che si riferisca a transazioni specifiche e che dichiari nulle le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno.

156    La ricorrente sostiene, in sostanza, che il Consiglio, agendo in qualità di autorità di esecuzione, e non in qualità di legislatore, non potesse delegare alla Commissione il potere di annullare le fatture corrispondenti all’impegno dietro semplice revoca dell’accettazione di un impegno, né ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi su merci già immesse in libera pratica nel territorio doganale dell’Unione. Pertanto, occorre interpretare tali affermazioni nel senso che esse riguardano, in particolare, le disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

157    Per ragioni analoghe a quelle già esposte ai precedenti punti da 128 a 140, vertenti sull’impianto sistematico del regolamento antidumping di base e del regolamento antisovvenzioni di base, occorre accogliere l’eccezione di illegittimità formulata dalla ricorrente riguardo all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 ed all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013. Infatti, da un lato, tali disposizioni non rientrano nelle ipotesi previste dall’articolo 8 e dall’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009 e dall’articolo 13 e dall’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento n. 597/2009, quali applicabili all’epoca dell’adozione dei regolamenti di esecuzione n. 1238/2013 e n. 1239/2013, e non sono conformi ad esse. Dall’altro lato, non risulta neppure dall’economia generale dei regolamenti n. 1225/2009 e n. 597/2009 che il Consiglio potesse, con un regolamento di esecuzione, autorizzare la Commissione a prevedere, senza limitare tale procedura nel tempo, che, a seguito di una revoca della sua accettazione di un impegno e dell’annullamento delle corrispondenti fatture, «[a]ll’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica [dovesse sorgere] un’obbligazione doganale».

158    Pertanto, si deve concludere che l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 non sono applicabili al caso di specie.

 Sull’allegato C.3 alla replica

159    In tali circostanze, non è necessario pronunciarsi sulla ricevibilità dell’allegato C.3 alla replica. Infatti, a prescindere dalla questione se il documento di cui trattasi, intitolato «Monitoring of Undertaking – Finding following the verification visit», la cui intestazione rinvia alla direzione generale «Commercio» della Commissione, potesse essere in possesso dell’avvocato della ricorrente e utilizzato nel caso di specie, si deve concludere che si tratta, tutt’al più, di un esempio di un approccio amministrativo che la Commissione aveva adottato in un caso concreto, del quale, peraltro, non risulta dimostrato che presentasse le stesse circostanze del caso di specie. Ne risulta, in sostanza, che la Commissione, dopo aver constatato una violazione di un impegno particolare, aveva nondimeno ritenuto che non fosse necessario adottare una qualsivoglia azione. Orbene, nel caso di specie, la soluzione della controversia non si fonda sul confronto dei diversi approcci che la Commissione aveva potuto adottare nella sua prassi precedente, nel contesto delle violazioni di impegni da parte degli operatori interessati.

 Conclusione

160    In considerazione di tutto quanto precede, occorre accogliere l’unico motivo dedotto dalla ricorrente e pronunciare, di conseguenza, l’annullamento delle disposizioni impugnate.

 Sulle spese

161    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese.

162    La Commissione, rimasta soccombente, dev’essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, le spese sostenute dalla ricorrente, conformemente alla domanda di quest’ultima. Il Consiglio sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      L’articolo 2 del regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 della Commissione, del 7 dicembre 2016, che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive, è annullato nella parte in cui riguarda la Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd.

2)      La Commissione europea è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Jiangsu Seraphim Solar System.

3)      Il Consiglio sopporta le proprie spese.

Kanninen

Schwarcz

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 luglio 2020.

Firme


*      Lingua processuale: l'inglese.