Language of document : ECLI:EU:T:2012:275

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

5 giugno 2012 (*)

«Concorrenza — Intese — Mercato dei metacrilati — Decisione che constata una violazione dell’articolo 81 CE e dell’articolo 53 dell’Accordo SEE — Partecipazione ad una parte dell’infrazione — Diritti della difesa — Ammende — Obbligo di motivazione — Gravità dell’infrazione — Effetto dissuasivo — Parità di trattamento — Proporzionalità — Principio di buona amministrazione — Cooperazione durante il procedimento amministrativo — Durata del procedimento — Termine ragionevole»

Nella causa T‑214/06,

Imperial Chemical Industries Ltd, già Imperial Chemical Industries plc, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata inizialmente da D. Anderson, QC, H. Rosenblatt, B. Lebrun, avocats, W. Turner, S. Berwick e T. Soames, solicitors, successivamente da R. Wesseling e C. Swaak, e infine da R. Wesseling, C. Swaak e F. ten Have, avocats,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da V. Bottka, I. Chatzigiannis e F. Amato, successivamente da V. Bottka, I. Chatzigiannis e F. Arbault, e infine da V. Bottka e J. Bourke, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda intesa ad ottenere l’annullamento dell’articolo 2, lettera c), della decisione C(2006) 2098 def. della Commissione, del 31 maggio 2006, relativa ad un procedimento ex articolo 81 CE ed ex articolo 53 dell’Accordo SEE (caso COMP/F/38.645 — Metacrilati), ovvero, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta ai sensi della disposizione suddetta,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto dal sig. O. Czúcz, presidente, dalla sig.ra I. Labucka (relatore) e dal sig. D. Gratsias, giudici,

cancelliere: sig. N. Rosner, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 novembre 2011,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Con la sua decisione C(2006) 2098 def., del 31 maggio 2006, relativa ad un procedimento ex articolo 81 CE ed ex articolo 53 dell’Accordo SEE (caso COMP/F/38.645 — Metacrilati) (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione delle Comunità europee ha constatato, in particolare, che un certo numero di imprese aveva violato l’articolo 81 CE e l’articolo 53 dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), partecipando, nel corso di vari periodi compresi tra il 23 gennaio 1997 e il 12 settembre 2002, ad un insieme di accordi e di pratiche concordate a carattere anticoncorrenziale nel settore dei metacrilati, i cui effetti si estendevano all’intero territorio del SEE (articolo 1 della decisione impugnata).

2        Secondo la decisione impugnata, si trattava di un’infrazione unica e continuata, riguardante i seguenti tre prodotti in polimetacrilato di metile (in prosieguo: il «PMMA»): le masse da stampaggio, le lastre compatte e le lastre per usi sanitari. Risulta dalla decisione impugnata che questi tre prodotti in PMMA sono distinti tra loro sul piano sia fisico che chimico ed hanno impieghi differenti, ma possono essere considerati come costituenti un unico e medesimo gruppo omogeneo di prodotti per la loro materia prima comune, ossia il metacrilato di metile (in prosieguo: il «MMA») (punti 4‑8 della decisione impugnata).

3        Secondo la decisione impugnata, l’infrazione in questione è consistita in discussioni sui prezzi, nonché nella conclusione, nell’attuazione e nel monitoraggio di accordi sui prezzi che prevedevano aumenti o, quantomeno, una stabilizzazione del livello dei prezzi esistente, nell’esame del trasferimento del costo dei servizi supplementari in capo agli acquirenti, nello scambio di informazioni commercialmente rilevanti e riservate sui mercati e/o sulle imprese, come pure nella partecipazione a riunioni regolari e ad altri contatti destinati a facilitare l’infrazione (articolo 1, nonché punti 1‑3 della decisione impugnata).

4        La decisione impugnata è stata indirizzata alla Degussa AG, alla Röhm GmbH & Co. KG e alla Para‑Chemie GmbH (in prosieguo congiuntamente denominate: la «Degussa»), alla Total SA, alla Elf Aquitaine SA, alla Arkema SA (già Atofina SA), alla Altuglas International SA e alla Altumax Europe SAS (in prosieguo congiuntamente denominate: la «Atofina»), alla Lucite International Ltd e alla Lucite International UK Ltd (in prosieguo congiuntamente denominate: la «Lucite»), alla Quinn Barlo Ltd, alla Quinn Plastics NV e alla Quinn Plastics GmbH (in prosieguo congiuntamente denominate: la «Barlo»), nonché all’odierna ricorrente Imperial Chemical Industries Ltd (già Imperial Chemical Industries plc).

5        La ricorrente è la società madre del gruppo Imperial Chemical Industries e produce composti chimici. Dal 1990 le attività del gruppo in materia di produzione e vendita dei prodotti contemplati dalla decisione impugnata sono state affidate alla ICI Acrylics, un’unità commerciale autonoma ma non costituita in forma di società. Mediante un contratto concluso il 3 ottobre 1999, le attività ed i beni della ICI Acrylics sono stati venduti alla Ineos Acrylics UK Parent Co 2 Ltd ed alla Ineos Acrylics UK Trader Ltd, poi divenute, rispettivamente, Lucite International Holdings Ltd e Lucite International UK Ltd.

6        L’indagine che ha portato all’adozione della decisione impugnata è stata avviata a seguito della presentazione da parte della Degussa, il 20 dicembre 2002, di una domanda di immunità ai sensi della comunicazione della Commissione del 19 febbraio 2002, relativa all’immunità dalle ammende e alla riduzione dell’importo delle ammende nei casi di cartelli tra imprese (GU C 45, pag. 3; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

7        Il 25 e il 26 marzo 2003 la Commissione ha proceduto ad ispezioni nei locali della Atofina, della Barlo, della Degussa e della Lucite.

8        La Atofina e la Lucite hanno presentato, rispettivamente in data 3 aprile e 11 luglio 2003, domande di immunità ovvero di riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione (punto 66 della decisione impugnata).

9        Con lettera dell’8 maggio 2003, la Commissione ha risposto al quesito con cui la Lucite intendeva sapere se essa dovesse contattare la ricorrente e concederle accesso ai suoi dipendenti ed alla sua documentazione, affinché detta ricorrente potesse preparare la propria difesa.

10      Il 29 luglio 2004 la Commissione ha inoltrato a varie imprese, tra cui la ricorrente, una richiesta di informazioni, ai sensi dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1). Si trattava della prima misura istruttoria rivolta alla ricorrente nell’ambito dell’indagine.

11      Il 18 ottobre 2004 la ricorrente ha presentato una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione. L’11 agosto 2005 la Commissione l’ha informata che la sua domanda era rigettata.

12      Il 17 agosto 2005 la Commissione ha adottato una comunicazione degli addebiti avente ad oggetto un’infrazione unica e continuata relativa al MMA, nonché alle masse da stampaggio in PMMA, alle lastre compatte in PMMA e alle lastre in PMMA per usi sanitari, e l’ha trasmessa, in particolare, alla ricorrente e alla Lucite. Ritenendo che la vendita della ICI Acrylics alla Ineos (divenuta Lucite) avesse avuto luogo il 1° ottobre 1999, la Commissione ha assunto il 30 settembre 1999 quale data di cessazione dell’infrazione imputata alla ricorrente.

13      La risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti reca la data del 4 novembre 2005.

14      Il 15 e il 16 dicembre 2005 si è svolta un’audizione.

15      Con lettera del 10 febbraio 2006, in risposta ad una richiesta della Commissione, la Lucite ha fornito dei chiarimenti in merito alla data di acquisto della ICI Acrylics.

16      Con lettera del 13 febbraio 2006 la Commissione ha trasmesso la lettera citata supra al punto 15 alla ricorrente, affinché questa potesse presentare le proprie osservazioni.

17      Con lettera del 17 febbraio 2006 la ricorrente ha depositato le proprie osservazioni.

18      Il 31 maggio 2006 la Commissione ha adottato la decisione impugnata. In quest’ultima la Commissione ha rinunciato ad alcune delle contestazioni sollevate nella comunicazione degli addebiti, ed in particolare a quelle mosse nei confronti di tutte le società implicate relativamente alla parte dell’infrazione concernente il MMA (punto 93 della decisione impugnata).

19      L’articolo 1, lettera i), della decisione impugnata dichiara che la ricorrente ha partecipato all’infrazione descritta supra ai punti 2 e 3 nel periodo dal 23 gennaio 1997 al 1° novembre 1999.

20      La Commissione ha ritenuto, in particolare, che la ricorrente fosse la persona giuridica cui apparteneva, all’epoca dei fatti, l’unità commerciale che aveva commesso l’infrazione contestata, ossia la ICI Acrylics. La Commissione ha dunque constatato che la ricorrente doveva essere considerata come un’impresa, ai fini dell’applicazione dell’articolo 81 CE, partecipante ai comportamenti collusivi in questione, e che la decisione doveva dunque essere rivolta nei suoi confronti (punti 288‑290 della decisione impugnata).

21      Per quanto riguarda la data di cessazione del periodo di infrazione imputato alla ricorrente, la Commissione ha dichiarato che essa, preso atto della risposta della Lucite alla comunicazione degli addebiti, assumeva il 2 novembre 1999 — giorno in cui si era verificato il trasferimento della proprietà della ICI Acrylics — quale data utile per suddividere le responsabilità tra la ricorrente e la Lucite (punto 291 della decisione impugnata). Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto il 1° novembre 1999 quale data di cessazione dell’infrazione imputata alla ricorrente, precisando che tale modifica rispetto alla comunicazione degli addebiti non aveva alcuna incidenza sull’importo dell’ammenda (punto 292 della decisione impugnata).

22      L’articolo 2, lettera c), della decisione impugnata infligge alla ricorrente un’ammenda di EUR 91 406 250.

23      Quanto al calcolo dell’importo dell’ammenda, la Commissione ha, in primo luogo, esaminato la gravità dell’infrazione, constatando anzitutto che, vista la natura dell’illecito e considerato che questo riguardava l’intero territorio del SEE, si trattava di un’infrazione molto grave ai sensi degli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») (punti 319‑331 della decisione impugnata).

24      Successivamente, essa ha ritenuto che, nella categoria delle infrazioni molto gravi, fosse possibile applicare alle imprese un trattamento differenziato in modo da tener conto della capacità economica effettiva dei contravventori di arrecare un pregiudizio rilevante alla concorrenza. A tal fine, la Commissione ha constatato che nella fattispecie le imprese coinvolte «[potevano] essere suddivise in [tre] categorie in base al loro peso relativo nel fatturato realizzato mediante la vendita dei prodotti in PMMA per i quali esse [avevano] partecipato all’intesa», ed ha preso a riferimento a tal fine il fatturato realizzato con questi prodotti a livello del SEE nell’anno 2000. La Commissione ha posto la ricorrente e la Lucite nella seconda categoria, tenuto conto del fatturato realizzato dalla Lucite nel 2000 con i tre prodotti in PMMA in questione (EUR 105,98 milioni), ed ha fissato l’importo di partenza delle loro ammende ad EUR 32,5 milioni (punti 332‑336 della decisione impugnata).

25      Inoltre, la Commissione ha dichiarato che, nella categoria delle infrazioni molto gravi, la gamma di ammende infliggibili permetteva altresì di fissare l’importo delle ammende ad un livello idoneo a garantire che esse avessero un sufficiente effetto dissuasivo, tenuto conto delle dimensioni e della potenza economica di ciascuna impresa. Alla luce del fatturato complessivo della ricorrente nel 2005 (EUR 8,49 miliardi), la Commissione ha applicato un coefficiente moltiplicatore di 1,5 all’importo di partenza della sua ammenda, ciò che ha portato tale importo ad EUR 48,75 milioni.

26      In secondo luogo, la Commissione ha esaminato la durata dell’infrazione e ha constatato che, poiché la ricorrente aveva partecipato all’infrazione per un periodo di due anni e nove mesi, l’importo di partenza della sua ammenda doveva essere maggiorato del 25%. Pertanto, l’importo di base dell’ammenda calcolato per la ricorrente è stato fissato a EUR 60 937 500 (punti 351‑354 della decisione impugnata).

27      In terzo luogo, la Commissione ha verificato l’eventuale presenza di circostanze aggravanti o attenuanti. Riguardo alla ricorrente, la Commissione ha rilevato che essa, tenuto conto dell’esistenza di due precedenti decisioni di cui era stata destinataria, era incorsa nella recidiva commettendo un’infrazione dello stesso tipo, e ha deciso di aumentare l’importo di base della sua ammenda del 50% (punti 355‑369 della decisione impugnata). Inoltre, la Commissione ha rifiutato di riconoscere le circostanze attenuanti invocate dalla ricorrente. Di conseguenza, l’importo della sua ammenda è stato fissato ad EUR 91 406 250, misura questa non eccedente la soglia del 10% del fatturato dell’impresa interessata, quale stabilita dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 (punti 372‑398 della decisione impugnata).

28      In ultimo luogo, la Commissione ha proceduto all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, ricordando che la domanda proposta dalla ricorrente ai sensi di tale comunicazione era stata respinta. Riguardo alle altre imprese che avevano presentato una domanda a tale titolo, la Commissione ha concesso, da un lato, un’immunità totale dalle ammende alla Degussa e, dall’altro, una riduzione dell’importo delle ammende alla Atofina e alla Lucite.

29      Tenuto conto del rigetto della domanda della ricorrente, l’importo finale dell’ammenda inflitta a quest’ultima è stato dunque fissato a EUR 91 406 250.

 Procedimento e conclusioni delle parti

30      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 agosto 2006, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

31      La fase scritta del procedimento è stata chiusa l’11 aprile 2007.

32      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso, il 15 settembre 2011, di aprire la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione di quest’ultimo, di invitare le parti a rispondere ad alcuni quesiti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta nel termine impartito.

33      Le parti hanno svolto le proprie difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale nel corso dell’udienza tenutasi l’8 novembre 2011. All’udienza la ricorrente ha consegnato alla Commissione e al Tribunale alcuni documenti miranti a sostenere le proprie difese dibattimentali. La Commissione ha formulato un’obiezione riguardo alla produzione di uno di tali documenti ed il Tribunale ha deciso di non inserirlo nel fascicolo. Gli altri documenti sono stati acclusi agli atti, non avendo la Commissione sollevato obiezioni al riguardo.

34      Inoltre, all’udienza il Tribunale ha invitato la Commissione ad esibire due documenti che essa aveva invocato nelle proprie difese dibattimentali. Avendo la Commissione ottemperato a tale richiesta entro il termine impartito, il Tribunale ha invitato la ricorrente a depositare le proprie eventuali osservazioni in merito ai suddetti documenti. Tali osservazioni sono state depositate nel termine assegnato.

35      La fase orale del procedimento è stata chiusa il 15 dicembre 2011.

36      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare l’articolo 2, lettera c), della decisione impugnata;

–        in subordine, riformare l’articolo 2, lettera c), della decisione impugnata, in modo da ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;

–        condannare la Commissione alle spese.

37      La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

38      Nell’atto introduttivo del giudizio, la ricorrente ha dedotto cinque motivi a sostegno del proprio ricorso. Il primo motivo riguarda l’insufficienza degli elementi di prova dell’infrazione relativamente alle masse da stampaggio in PMMA. Il secondo motivo verte sull’assenza di motivazione dell’«importo di base» dell’ammenda. Il terzo motivo attiene alla violazione, da parte della Commissione, dell’obbligo ad essa incombente di suddividere l’«importo di base» tra la ricorrente e la Lucite. Il quarto motivo ha ad oggetto l’incongruità della maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda a titolo dissuasivo. Il quinto motivo concerne il rifiuto ingiustificato di concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione con la Commissione. Inoltre, all’udienza la ricorrente ha fatto valere un sesto motivo, relativo alla durata eccessiva del procedimento.

 Sul primo motivo, relativo all’insufficienza degli elementi comprovanti la partecipazione della ricorrente all’infrazione per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA

39      Nell’ambito del presente motivo, la ricorrente asserisce che non è dimostrato il suo coinvolgimento nell’infrazione per quanto concerne uno dei prodotti considerati nella decisione impugnata, vale a dire le masse da stampaggio in PMMA.

40      Come risulta chiaramente dalle conclusioni formulate nell’atto introduttivo del giudizio (v. supra, punto 36), e come confermato dalla ricorrente anche nella sua risposta ad un quesito scritto del Tribunale, malgrado gli argomenti formulati nell’ambito del presente motivo, la ricorrente non chiede l’annullamento dell’articolo 1 della decisione impugnata nella parte in cui questo la ritiene responsabile dell’infrazione in questione. Il presente motivo viene invece invocato a sostegno della domanda della ricorrente intesa ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta all’articolo 2 della decisione impugnata. La ricorrente afferma infatti che la circostanza che un’impresa non abbia partecipato a tutti gli elementi costitutivi dell’intesa deve essere presa in considerazione nella valutazione della gravità dell’infrazione e nella determinazione dell’importo dell’ammenda. Pertanto, a suo avviso, l’importo dell’ammenda dovrebbe essere ridotto in modo da rispecchiare la percentuale rappresentata dalle masse da stampaggio in PMMA nel valore complessivo o nel volume globale dei tre prodotti considerati (percentuale che, secondo la ricorrente, sarebbe pari, rispettivamente, al 44% e al 36%).

41      A questo proposito, occorre ricordare che l’articolo 1 della decisione impugnata dichiara la ricorrente responsabile di un «insieme di accordi e di pratiche concordate nel settore dei metacrilati». Tale disposizione, letta alla luce della motivazione della medesima decisione, e segnatamente dei suoi punti 2 e 222‑225 (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc. pag. II‑3601, punto 1258 e la giurisprudenza ivi citata), considera la ricorrente responsabile per la partecipazione, nel periodo in questione, ad un’infrazione unica e continuata per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA, le lastre compatte in PMMA e le lastre in PMMA per usi sanitari.

42      L’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente è stato determinato sulla base della gravità di tale infrazione. In particolare, risulta dal punto 333 della decisione impugnata che, nella determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda della ricorrente, la Commissione ha tenuto conto del fatturato che quest’ultima aveva realizzato vendendo i prodotti in PMMA per i quali essa aveva partecipato all’intesa, e dunque, secondo la Commissione, tutti e tre i prodotti summenzionati.

43      Occorre dunque constatare che, anche se la ricorrente non chiede l’annullamento dell’articolo 1 della decisione impugnata (v. supra, punto 40), il presente motivo, supponendolo fondato, sarebbe idoneo a determinare la riduzione dell’importo della sua ammenda e, più specificamente, dell’importo di partenza di quest’ultima. Infatti, come ricordato dalla ricorrente, la circostanza che un’impresa non abbia preso parte a tutti gli elementi costitutivi di un’intesa deve essere presa in considerazione in sede di valutazione della gravità dell’infrazione e, eventualmente, nella determinazione dell’importo dell’ammenda (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Commissione/Anic Partecipazioni, C‑49/92 P, Racc. pag. I‑4125, punto 90, e del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 86). Ai sensi della giurisprudenza, tale valutazione deve essere effettuata al momento della fissazione dell’importo di partenza specifico dell’ammenda (sentenza del Tribunale del 19 maggio 2010, IMI e a./Commissione, T‑18/05, Racc. pag. II‑1769, punto 164).

44      A sostegno della sua domanda, la ricorrente fa valere, in sostanza, che, per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA nel corso del periodo in cui essa era proprietaria della ICI Acrylics, la Commissione si è basata esclusivamente sulle dichiarazioni non confermate di un’impresa che aveva presentato una domanda di immunità o di riduzione dell’importo dell’ammenda, nonché sul fatto che si erano svolte delle riunioni. Ad avviso della ricorrente, tali elementi non corrispondono allo «standard probatorio» richiesto dalla giurisprudenza.

45      A suo avviso, soltanto le prove relative ad una riunione svoltasi il 26 ottobre 1999, presa in esame al punto 124 della decisione impugnata, potrebbero, eventualmente, soddisfare lo «standard» suddetto, in quanto la Commissione si basa sulle affermazioni di due imprese che hanno presentato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, nonché su un documento contemporaneo a detta riunione. La ricorrente tuttavia sostiene che tale riunione non può essere considerata quale elemento a suo carico, a pena di ledere i suoi diritti della difesa. Infatti, nella comunicazione degli addebiti, che considerava il 30 settembre 1999 quale data di cessazione dell’infrazione imputata alla ricorrente (v. punto 291 della decisione impugnata), tale riunione sarebbe stata fatta valere dalla Commissione nei confronti di un altro partecipante all’infrazione, ossia la Lucite. Di conseguenza, la ricorrente non avrebbe avuto la possibilità di difendersi utilmente in merito alle allegazioni ed alle prove relative a tale riunione.

46      Occorre sottolineare che il suddetto argomento della ricorrente relativo ad una violazione dei suoi diritti della difesa viene addotto unicamente per contestare l’opponibilità nei suoi confronti della riunione del 26 ottobre 1999 e delle prove relative a quest’ultima, nell’ambito della valutazione della gravità dell’infrazione commessa da detta ricorrente. In particolare, la ricorrente non chiede l’annullamento — a motivo di una presunta violazione dei suoi diritti della difesa — della decisione impugnata, nella parte in cui questa assume, relativamente alla ricorrente stessa, una durata dell’infrazione più lunga di quella stabilita nella comunicazione degli addebiti.

47      Occorre dunque rilevare che l’eventuale constatazione di una violazione dei diritti della difesa della ricorrente non può avere alcuna conseguenza per la soluzione della presente controversia qualora risultasse che, anche prescindendo dalla riunione del 26 ottobre 1999, le prove raccolte dalla Commissione erano sufficienti per dimostrare il coinvolgimento della ricorrente nella parte dell’infrazione relativa alle masse da stampaggio in PMMA.

48      Ciò premesso, per ragioni di economia processuale, è opportuno procedere all’esame del presente motivo senza tener conto della suddetta riunione.

49      A questo proposito, occorre rilevare che, secondo la decisione impugnata, l’infrazione unica e continuata in questione consisteva «in una serie di comportamenti qualificabili come accordi o pratiche concordate estesi ai tre prodotti in questione, i quali dimostravano l’osservanza continuativa di una linea di condotta finalizzata a restringere la concorrenza» (punto 222 della decisione impugnata). Tenuto conto delle caratteristiche comuni degli accordi anticoncorrenziali riguardanti i tre prodotti in questione, elencate al punto 223 della decisione impugnata, la Commissione ha giudicato che, «sebbene [questi tre prodotti] present[assero] caratteristiche differenti e po[tessero] essere considerati come appartenenti a mercati di prodotti differenti, sussist[evano] elementi di collegamento sufficienti per concludere che i produttori [di detti prodotti] [avevano] aderito ad un progetto comune che predeterminava le loro linee di condotta sul mercato e limitava il loro comportamento commerciale individuale». Secondo la Commissione, «[l]’infrazione è consistita in un insieme di comportamenti aventi un progetto comune ed un obiettivo economico unitario, vale a dire prevenire l’andamento normale dei prezzi nel SEE per tutti e tre i prodotti in PMMA» (punto 224 della decisione impugnata).

50      Tra le «caratteristiche comuni» esaminate al punto 223 della decisione impugnata, la Commissione ha in particolare evidenziato:

–        «un nucleo principale formato dalle stesse imprese, [vale a dire] Atofina, ICI (successivamente Lucite) e Degussa»;

–        il fatto che questi tre principali produttori europei erano «produttori totalmente integrati» e «molto attent[i] alle ricadute degli accordi anticoncorrenziali conclusi per ciascuno di questi prodotti, [sicché] la conclusione di un’intesa per uno di questi prodotti influiva automaticamente sulla struttura dei costi e/o sui prezzi degli altri prodotti»;

–        il fatto che «le riunioni e i contatti erano talvolta dedicati ad almeno due dei tre prodotti in PMMA», là dove tale collegamento emergeva «da numerose riunioni aventi ad oggetto tanto le masse da stampaggio in PMMA quanto le lastre compatte in PMMA»;

–        il fatto che «un certo numero di rappresentanti delle imprese coinvolte negli accordi anticoncorrenziali erano responsabili per più d’uno dei prodotti sotto inchiesta ed erano dunque al corrente, ovvero non potevano non essere al corrente, dell’esistenza di [tali accordi] riguardanti vari prodotti». In tale contesto, la Commissione ha menzionato, in particolare, «il sig. [D.], vice‑presidente della Global Monomers e della EAME nell’ambito della ICI Acrylics, il quale [aveva] pure partecipato a riunioni dedicate [alle masse da stampaggio in PMMA ed alle lastre compatte in PMMA]», di cui parecchie svoltesi nel periodo di infrazione imputabile alla ricorrente;

–        il fatto che ai tre prodotti in questione si applicavano i medesimi meccanismi di funzionamento dell’intesa.

51      Per quanto riguarda specificamente la collusione relativa alle masse da stampaggio in PMMA nel periodo in esame, è pacifico tra le parti che, escludendo la riunione del 26 ottobre 1999 (v. supra, punto 48), le constatazioni della Commissione si basano su quattordici riunioni che si sarebbero tenute tra il 23 gennaio 1997 e l’estate del 1999 (v. punti 110‑123 della decisione impugnata). Inoltre, è pacifico che la presenza della ricorrente viene affermata soltanto per dieci di tali riunioni, e dunque non per le quattro riunioni considerate ai punti 112, 114, 117 e 121 della decisione impugnata.

52      Occorre dunque verificare se gli elementi di prova raccolti dalla Commissione fossero sufficienti per dimostrare la partecipazione della ricorrente a tale parte dell’infrazione.

53      A questo proposito, occorre ricordare che la Commissione deve fornire gli elementi di prova idonei a dimostrare, in forma giuridicamente sufficiente, l’esistenza dei fatti configuranti una violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE (sentenza della Corte del 17 dicembre 1998, Baustahlgewebe/Commissione, C‑185/95 P, Racc. pag. I‑8417, punto 58). Essa deve riferirsi a prove precise e concordanti atte a fondare il fermo convincimento che l’infrazione è stata commessa (v. sentenza del Tribunale del 6 luglio 2000, Volkswagen/Commissione, T‑62/98, Racc. pag. II‑2707, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata; sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, Lafarge/Commissione, T‑54/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 55).

54      Tuttavia, non ogni singola prova prodotta dalla Commissione deve necessariamente rispondere a tali criteri con riferimento a ciascun elemento dell’infrazione. È sufficiente che il complesso degli indizi invocato dall’istituzione, valutato globalmente, risponda a tale requisito (v. sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, JFE Engineering e a./Commissione, T‑67/00, T‑68/00, T‑71/00 e T‑78/00, Racc. pag. II‑2501, punto 180 e la giurisprudenza ivi citata).

55      Gli indizi addotti dalla Commissione nella decisione al fine di provare l’esistenza di una violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE perpetrata da un’impresa devono essere valutati non isolatamente, bensì nel loro insieme (v. sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, Racc. pag. II‑1333, punto 185 e la giurisprudenza ivi citata).

56      Occorre altresì tener conto del fatto che le attività anticoncorrenziali si svolgono in maniera clandestina e pertanto, nella maggior parte dei casi, l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale dev’essere dedotta da un certo numero di coincidenze e di indizi, i quali, considerati nel loro insieme, possono costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione delle norme sulla concorrenza (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 43, punti 55‑57).

57      Inoltre, per costante giurisprudenza, è sufficiente che la Commissione dimostri che l’impresa interessata ha partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, perché sia sufficientemente provata la partecipazione di tale impresa all’intesa. Ove sia stata dimostrata la partecipazione a riunioni siffatte, spetta all’impresa suddetta addurre indizi atti a provare che la sua partecipazione a tali riunioni era priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva indicato ai propri concorrenti che partecipava alle riunioni in un’ottica diversa dalla loro (sentenze della Corte dell’8 luglio 1999, Hüls/Commissione, C‑199/92 P, Racc. pag. I‑4287, punto 155; Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 43, punto 96, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 43, punto 81).

58      Quanto agli argomenti della ricorrente riguardanti il valore delle dichiarazioni rese nell’ambito delle domande presentate ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, non vi è alcuna norma o principio generale del diritto dell’Unione europea che vieti alla Commissione di avvalersi, nei confronti di un’impresa, delle dichiarazioni di altre imprese incriminate (sentenza del Tribunale del 20 aprile 1999, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Racc. pag. II‑931, punto 512). Pertanto, le dichiarazioni effettuate a titolo della comunicazione sulla cooperazione non possono essere considerate, per questo solo motivo, prive di valore probatorio (sentenza Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 53, punti 57 e 58).

59      È comprensibile una certa diffidenza nei confronti delle deposizioni volontarie rese dai principali partecipanti ad un’intesa illecita, dal momento che tali soggetti potrebbero minimizzare l’importanza del proprio contributo all’infrazione ed enfatizzare quella del contributo degli altri. Tuttavia, tenuto conto della logica intrinseca della procedura prevista dalla comunicazione sulla cooperazione, il fatto di chiedere di beneficiare di quest’ultima al fine di ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda non crea necessariamente un incentivo a presentare elementi probatori deformati riguardo agli altri partecipanti all’intesa incriminata. Infatti, qualsiasi tentativo di indurre la Commissione in errore potrebbe rimettere in discussione la sincerità e la completezza della cooperazione dell’impresa interessata e, pertanto, mettere in pericolo la possibilità per quest’ultima di beneficiare pienamente della comunicazione sulla cooperazione (sentenze del Tribunale del 16 novembre 2006, Peróxidos Orgánicos/Commissione, T‑120/04, Racc. pag. II‑4441, punto 70, e Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 58).

60      In particolare, occorre considerare che la circostanza che una persona confessi di aver commesso un’infrazione e ammetta in tal modo l’esistenza di fatti che oltrepassano quelli la cui esistenza poteva essere dedotta direttamente dai documenti disponibili implica a priori, in assenza di circostanze particolari che indichino il contrario, che questa persona si è decisa a dire la verità. Pertanto, le dichiarazioni contrarie agli interessi del dichiarante devono essere considerate, in linea di principio, come elementi di prova particolarmente affidabili (sentenze del Tribunale JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 54, punti 211 e 212; del 26 aprile 2007, Bolloré e a./Commissione, T‑109/02, T‑118/02, T‑122/02, T‑125/02, T‑126/02, T‑128/02, T‑129/02, T‑132/02 e T‑136/02, Racc. pag. II‑947, punto 166, e Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 59).

61      Tuttavia, secondo una giurisprudenza consolidata, la dichiarazione di un’impresa accusata di aver partecipato ad un’intesa, la cui esattezza venga contestata da varie altre imprese accusate, non può essere considerata una prova sufficiente dell’esistenza di un’infrazione commessa da queste ultime ove non sia suffragata da altri elementi di prova (sentenze del Tribunale JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 54, punto 219; del 25 ottobre 2005, Groupe Danone/Commissione, T‑38/02, Racc. pag. II‑4407, punto 285, e Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 293).

62      Al fine di esaminare il valore probatorio delle dichiarazioni delle imprese che hanno presentato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, il Tribunale prende in considerazione, in particolare, l’importanza degli indizi concordanti che suffragano la pertinenza di tali dichiarazioni (v., in tal senso, sentenze JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 54, punto 220, e Peróxidos Orgánicos/Commissione, cit. supra al punto 59, punto 70), nonché l’assenza di indizi che suggeriscano una tendenza delle imprese suddette a minimizzare l’importanza del proprio contributo e ad enfatizzare quella del contributo delle altre imprese (v., in tal senso, sentenza Lafarge/Commissione, cit. supra al punto 53, punti 62 e 295).

63      Per quanto riguarda la portata del controllo giurisdizionale nel caso di specie, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, allorché è adito con un ricorso per l’annullamento di una decisione emessa a norma dell’articolo 81, paragrafo 1, CE, il Tribunale deve in generale esercitare un controllo completo in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti di applicazione di tale norma (v. sentenza del Tribunale del 26 ottobre 2000, Bayer/Commissione, T‑41/96, Racc. pag. II‑3383, punto 62 e la giurisprudenza ivi citata).

64      Inoltre, l’esistenza di un dubbio nella mente del giudice deve risolversi a vantaggio dell’impresa destinataria della decisione che accerta un’infrazione, in conformità al principio della presunzione di innocenza, il quale, in quanto principio generale del diritto dell’Unione, si applica in particolare ai procedimenti relativi alla violazione della normativa sulla concorrenza applicabile alle imprese, i quali possano concludersi con l’inflizione di ammende o di penalità coercitive (sentenza Hüls/Commissione, cit. supra al punto 57, punti 149 e 150).

65      È nel quadro di tali osservazioni generali che vanno esaminati gli elementi di prova raccolti dalla Commissione nel caso di specie.

66      A questo proposito occorre rilevare che, per quanto riguarda le dieci riunioni considerate supra al punto 51, la ricorrente non nega né il loro svolgimento tra i concorrenti, né il fatto di avervi presenziato, e che essa non sostiene di aver preso pubblicamente le distanze dal loro contenuto. Di conseguenza, al fine di constatare la responsabilità della ricorrente, è sufficiente verificare se la Commissione abbia dimostrato in termini giuridicamente sufficienti che tali riunioni avevano una finalità manifestamente anticoncorrenziale relativamente alle masse da stampaggio in PMMA (v. la giurisprudenza cit. supra al punto 57).

67      Occorre constatare che la descrizione di dette riunioni si basa principalmente sulle dichiarazioni della Degussa, soggetto beneficiario dell’immunità dalle ammende. Orbene, tale impresa attribuisce chiaramente a dette riunioni un contenuto manifestamente anticoncorrenziale per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA (v. punti 110, 111, 113, 115, 116, 118‑120 e 123), circostanza questa non contestata dalla ricorrente.

68      Per contro, la ricorrente sostiene, da un lato, che tali dichiarazioni non costituiscono di per se stesse una prova sufficiente dell’infrazione e, dall’altro, che esse non sono corroborate da ulteriori elementi di prova.

69      A questo proposito occorre ricordare che, come risulta dalla giurisprudenza illustrata supra ai punti 58‑60, le dichiarazioni effettuate nell’ambito della politica di clemenza giocano un ruolo importante. Tali dichiarazioni effettuate a nome di imprese hanno un valore probatorio non trascurabile, dal momento che esse comportano rischi giuridici ed economici considerevoli (v., parimenti, sentenza del Tribunale del 24 marzo 2011, Aalberts Industries e a./Commissione, T‑385/06, Racc. pag. II‑1223, punto 47). Tuttavia, dalla giurisprudenza citata supra ai punti 59 e 61 risulta anche che le dichiarazioni effettuate da imprese incolpate nell’ambito di domande presentate ai sensi della comunicazione sulla cooperazione devono essere valutate con prudenza e, ove vengano contestate, non possono in generale essere ritenute sufficientemente probanti in assenza di ulteriori elementi a conferma.

70      Tuttavia, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, le dichiarazioni della Degussa in merito allo svolgimento delle discussioni a carattere anticoncorrenziale riguardanti le masse da stampaggio in PMMA nel periodo considerato sono sufficientemente corroborate da altri elementi di prova.

71      In primo luogo, occorre sottolineare il fatto che la Degussa non è stata l’unica fonte di informazioni della Commissione. Infatti, la descrizione della riunione dell’11 maggio 1999 (punto 122 della decisione impugnata) si basa su una dichiarazione della Lucite. Sebbene la Degussa, non presente a tale riunione, non l’abbia menzionata nella propria dichiarazione, la dichiarazione della Lucite corrobora nondimeno l’affermazione della Degussa in merito all’esistenza di un’intesa riguardante le masse da stampaggio in PMMA nel corso del periodo considerato ed al coinvolgimento della ricorrente nell’intesa stessa.

72      In secondo luogo, occorre rilevare che, per la maggior parte di tali riunioni, la Commissione ha raccolto elementi di prova (come annotazioni di agenda, note spese) comprovanti lo svolgimento delle singole riunioni o la presenza in tale contesto delle persone interessate. Anche se, come giustamente sostiene la ricorrente, il semplice fatto che si sia svolta una riunione tra i concorrenti non è sufficiente a dimostrare il carattere anticoncorrenziale della stessa, occorre nondimeno considerare che si tratta di elementi che suffragano, in una certa misura, le dichiarazioni della Degussa.

73      In terzo luogo, nella sua domanda dell’11 luglio 2003, presentata ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, la Lucite ha effettuato dichiarazioni che confermano, in modo generico, l’esistenza di un’intesa quale indicata nella decisione di ispezione, anche per le masse di stampaggio in PMMA, nonché la partecipazione della ricorrente a tale intesa.

74      Pur trattandosi, invero, di affermazioni generiche, esse vanno però nel medesimo senso delle dichiarazioni della Degussa. Inoltre, occorre ricordare che i beni aziendali costituenti l’oggetto dell’infrazione, ivi compresi i documenti ed il personale, sono stati trasferiti dalla ricorrente alla Lucite, sicché le dichiarazioni di quest’ultima in merito al coinvolgimento della ricorrente nell’infrazione sono particolarmente rilevanti.

75      In quarto luogo, nella sua domanda presentata ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, la Atofina ha riconosciuto di aver preso parte ad un’intesa almeno a partire dal 23 gennaio 1997, anche per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA. Del resto, le società componenti l’impresa Atofina (Arkema, Altuglas e Altumax, da un lato, e Total ed Elf Aquitaine, dall’altro) non hanno contestato l’esistenza di tale intesa nell’ambito dei loro rispettivi ricorsi contro la decisione impugnata (cause T‑206/06 e T‑217/06).

76      Vero è che, in una comunicazione della Atofina del 10 giugno 2003, la prima riunione anticoncorrenziale vertente sulle masse da stampaggio in PMMA in relazione alla quale tale impresa menziona la presenza della ICI Acrylics è quella del 26 ottobre 1999. Tuttavia, va sottolineato che, nella suddetta comunicazione, la Atofina afferma chiaramente l’esistenza dei contatti anticoncorrenziali in merito alle masse da stampaggio in PMMA nel periodo che va dal 1998 al 2001. Di conseguenza, anche tale dichiarazione corrobora le dichiarazioni della Degussa in tal senso.

77      In quinto luogo, occorre sottolineare che, secondo la decisione impugnata, almeno sette delle dieci riunioni prese in esame riguardavano, al tempo stesso, le masse da stampaggio in PMMA e le lastre compatte in PMMA (v. punti 110, 111, 115, 116 e 118‑120 della decisione impugnata) e che la ricorrente non contesta il carattere anticoncorrenziale di tali riunioni per quanto riguarda il secondo dei prodotti sopra citati. Si tratta di un elemento che rafforza anch’esso la credibilità delle dichiarazioni della Degussa per quanto riguarda la descrizione di tali riunioni anticoncorrenziali.

78      In sesto luogo, ad alcune delle riunioni indicate supra al punto 77 — ivi compresa la riunione del 23 gennaio 1997, data assunta quale inizio dell’infrazione — partecipava il sig. D., che ricopriva una posizione elevata in seno alla ICI Acrylics ed era responsabile, al tempo stesso, per le masse da stampaggio in PMMA e per le lastre compatte in PMMA. Dato che la ricorrente non contesta il carattere anticoncorrenziale di tali riunioni per quanto riguarda il secondo dei prodotti di cui sopra, e neppure la valutazione della Commissione secondo cui le imprese interessate erano «molto attente alle ricadute degli accordi anticoncorrenziali conclusi per ciascuno di questi prodotti» (v. punto 223 della decisione impugnata, nonché supra, punto 50, secondo trattino), si tratta di un indizio del fatto che anche le masse da stampaggio in PMMA sono state oggetto di discussione nel corso di tali riunioni.

79      Visti tali elementi, occorre constatare che essi, presi congiuntamente, costituiscono un complesso di indizi sufficientemente concordanti per corroborare le dichiarazioni della Degussa riguardo all’esistenza di un’intesa avente ad oggetto le masse da stampaggio in PMMA durante il periodo considerato, nonché riguardo alla partecipazione della ricorrente a tale intesa.

80      Gli argomenti addotti dalla ricorrente in ordine alla pertinenza delle dichiarazioni della Degussa non valgono a smentire tale conclusione.

81      Infatti, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, le dichiarazioni della Degussa non possono essere disattese per il solo fatto che si tratta di dichiarazioni effettuate nell’ambito di una domanda di immunità, rilasciate da consulenti dell’impresa (v. segnatamente supra, punti 59 e 60). Inoltre, anche se, nella decisione impugnata, la Commissione ha effettivamente dovuto lasciar cadere alcuni addebiti fondati sulle dichiarazioni della Degussa (quali, in particolare, tutti quelli riguardanti il MMA, la materia prima utilizzata per la produzione dei prodotti in PMMA), ciò non toglie che le affermazioni della Degussa si sono rivelate globalmente fondate, come risulta dalle considerazioni sopra svolte. Ciò è provato, in particolare, dal fatto che altre tre imprese, ossia la ricorrente, la Atofina e la Lucite, hanno depositato le loro domande ai sensi della comunicazione sulla cooperazione con riferimento all’intesa denunciata dalla Degussa. Inoltre, ad eccezione della ricorrente nell’ambito del presente motivo, nessuna di dette imprese ha contestato l’esistenza dell’infrazione nell’ambito dei ricorsi rispettivamente presentati contro la decisione impugnata (cause T‑206/06, T‑217/06 e T‑216/06). In particolare, la stessa ricorrente ha implicitamente confermato la pertinenza della domanda di immunità della Degussa, avendo essa riconosciuto la propria partecipazione all’intesa per quanto riguarda le lastre compatte in PMMA e le lastre in PMMA per usi sanitari.

82      Poiché, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le dichiarazioni della Degussa sono sufficientemente corroborate, non può essere accolta la tesi di detta ricorrente secondo cui la parte dell’infrazione relativa alle masse da stampaggio in PMMA non poteva essere presa in considerazione per valutare la gravità della sua infrazione ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda.

83      Del resto, va rilevato anche che la ricorrente è in errore là dove sostiene, in sostanza, che la qualificazione dell’infrazione in questione come infrazione unica e continuata riguardante i tre prodotti in PMMA, tra cui le masse di stampaggio (v. supra, punto 49), non può avere alcuna conseguenza ai fini dell’esame del presente motivo.

84      In proposito occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, una violazione dell’articolo 81, paragrafo 1, CE può risultare non soltanto da un atto isolato, ma anche da una serie di atti, oppure da un comportamento continuato. Tale interpretazione non può essere contestata per il fatto che uno o più elementi di questa serie di atti o di questo comportamento continuato potrebbero anche costituire, di per sé stessi e presi isolatamente, una violazione della norma suddetta (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 43, punto 81). Ove le diverse azioni facciano parte di un «piano d’insieme», a causa della loro identica finalità di distorsione del gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, la Commissione può imputare la responsabilità di tali azioni in funzione della partecipazione all’infrazione considerata nel suo insieme (v. sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 43, punto 258 e la giurisprudenza ivi citata), anche quando sia dimostrato che l’impresa di cui trattasi ha partecipato direttamente soltanto ad uno o più elementi costitutivi dell’infrazione (v. sentenza del Tribunale del 12 dicembre 2007, BASF e UCB/Commissione, T‑101/05 e T‑111/05, Racc. pag. II‑4949, punto 161 e la giurisprudenza ivi citata).

85      Secondo la giurisprudenza della Corte, per dimostrare la partecipazione di un’impresa ad un siffatto accordo unico, la Commissione deve fornire la prova che l’impresa in questione intendeva contribuire con il proprio comportamento agli obiettivi comuni perseguiti dall’insieme dei partecipanti e che essa era a conoscenza dei comportamenti materiali programmati o messi in atto da altre imprese nel perseguire i medesimi obiettivi, oppure poteva ragionevolmente prevederli ed era pronta ad accettarne il rischio (sentenze Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 43, punto 87, e Aalborg Portland e a./Commissione, cit. supra al punto 43, punto 83).

86      Date tali premesse, per ritenere la ricorrente responsabile dell’infrazione unica nella sua totalità e per fissare conseguentemente l’importo dell’ammenda, sarebbe stato sufficiente per la Commissione dimostrare che detta ricorrente sapeva o avrebbe dovuto sapere che, partecipando ad un’intesa riguardante le lastre compatte in PMMA e le lastre in PMMA per usi sanitari, essa entrava a far parte di un’intesa globale avente ad oggetto tre prodotti in PMMA (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 20 marzo 2002, Sigma Tecnologie/Commissione, T‑28/99, Racc. pag. II‑1845, punto 45, e Bolloré e a./Commissione, cit. supra al punto 60, punto 209).

87      Orbene, gli elementi qui sopra esaminati sono ampiamente sufficienti a tal fine.

88      In particolare, occorre ricordare che l’esistenza dei contatti di natura anticoncorrenziale relativi alle masse da stampaggio in PMMA nel periodo considerato risulta dalle dichiarazioni di tre imprese, ossia la Degussa, la Lucite e la Atofina.

89      Inoltre, la ricorrente non contesta la propria responsabilità per l’infrazione commessa, nel corso dello stesso periodo, in relazione alle lastre compatte in PMMA ed alle lastre in PMMA per usi sanitari. Del pari, essa non nega l’esistenza, in quanto tale, di un’infrazione unica. In particolare, ad onta di alcuni argomenti frammentari nella memoria di replica, la ricorrente non tenta neppure di rimettere in discussione i motivi, ricordati supra ai punti 49 e 50, che hanno portato la Commissione ad affermare l’esistenza di un’infrazione unica.

90      Infatti, la ricorrente non rimette in discussione, in particolare, le constatazioni della Commissione secondo cui il suo rappresentante presente ad alcune riunioni anticoncorrenziali (limitate, a suo dire, ad altri prodotti) era responsabile per vari prodotti interessati dall’indagine ed «era dunque al corrente, ovvero non poteva non essere al corrente», dell’esistenza di accordi siffatti riguardanti vari prodotti. Allo stesso modo, la ricorrente non contesta l’affermazione della Commissione secondo cui essa era un produttore «totalmente integrato» e «molto attent[o] alle ricadute degli accordi anticoncorrenziali conclusi per ciascuno di questi prodotti» (v. supra, punto 50, secondo e quarto trattino).

91      Orbene, anche a supporre che gli elementi raccolti dalla Commissione non siano stati sufficienti a dimostrare il coinvolgimento diretto della ricorrente nella parte dell’intesa relativa alle masse da stampaggio in PMMA, essi sono ampiamente sufficienti, quanto meno, a dimostrare l’esistenza dei contatti di natura anticoncorrenziale in merito a tale prodotto nel periodo considerato e che l’infrazione unica aveva ad oggetto anche questo prodotto. Ciò risulta in particolare dalle dichiarazioni concordanti di tre imprese, vale a dire la Degussa, la Lucite e la Atofina.

92      Tali considerazioni bastano a dimostrare, quanto meno, che la ricorrente sapeva o avrebbe dovuto sapere che, partecipando ad un’intesa riguardante le lastre compatte in PMMA e le lastre in PMMA per usi sanitari, essa entrava a far parte di un’intesa globale avente ad oggetto tre prodotti in PMMA.

93      Orbene, in tal caso, la sua responsabilità per l’intera infrazione unica poteva essere presa in considerazione per valutare la gravità dell’infrazione ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, motivo per cui la domanda intesa ad ottenere, su tale fondamento, la riduzione di quest’ultima deve essere respinta.

94      Infine, risulta da quanto sopra esposto che l’asserita violazione dei diritti della difesa della ricorrente per quanto riguarda la riunione del 26 ottobre 1999 non avrebbe alcuna conseguenza pratica ai fini della disamina del presente motivo, sicché la censura della ricorrente in ordine a tale punto deve essere respinta in quanto inoperante.

95      Pertanto, occorre respingere il primo motivo, là dove mira a sostenere, da un lato, la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata e, dall’altro, la domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda nell’esercizio della competenza estesa al merito del Tribunale.

 Sul secondo motivo, relativo all’assenza di motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda l’«importo di base» dell’ammenda

96      La ricorrente si duole che la Commissione non abbia chiarito le modalità di determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda (EUR 32,5 milioni), fissato al punto 336 della decisione impugnata, impedendo così ad essa ricorrente, come pure al Tribunale, di esaminare la decisione impugnata in riferimento al «più importante parametro» di determinazione dell’importo dell’ammenda. Infatti, la Commissione si sarebbe limitata a indicare le ragioni per le quali ha qualificato l’infrazione come molto grave e a suddividere le imprese in tre categorie in base alle loro dimensioni relative. Tuttavia, essa non avrebbe chiarito in che modo è giunta agli importi attribuiti a ciascuna di tali categorie, né per quale motivo l’importo fissato per la ricorrente oltrepassava sensibilmente la soglia di EUR 20 milioni fissata dagli orientamenti per le infrazioni molto gravi. Pertanto, la Commissione sarebbe venuta meno all’obbligo di motivazione che le incombe in forza dell’articolo 253 TFUE.

97      A questo proposito occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, il requisito di forma sostanziale rappresentato dall’obbligo di motivazione risulta soddisfatto, relativamente al calcolo dell’importo di un’ammenda inflitta a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003, quando la Commissione indica, nella propria decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (v., per analogia, sentenze della Corte del 16 novembre 2000, KNP BT/Commissione, C‑248/98 P, Racc. pag. I‑9641, punto 42, e Sarrió/Commissione, C‑291/98 P, Racc. pag. I‑9991, punto 73, nonché del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Racc. pag. I‑8375, punto 463).

98      Nella specie, la stessa ricorrente ammette che, nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato, da un lato, i motivi per i quali ha qualificato l’infrazione come molto grave e, dall’altro, le ragioni per le quali ha deciso di suddividere le imprese interessate in tre categorie e di differenziare gli importi di partenza dell’ammenda attribuiti a ciascuna di tali categorie.

99      Inoltre, l’esame dei punti 319‑336 della decisione impugnata permette di constatare che la Commissione ha effettivamente fornito una motivazione sufficiente al riguardo. In particolare, risulta chiaramente dalla decisione impugnata che l’importo di partenza è fondato segnatamente sulla natura dell’infrazione, come determinata alla luce delle caratteristiche principali di quest’ultima illustrate nella sezione 4.2 della decisione impugnata (v. punto 320 della decisione impugnata), sulle dimensioni del mercato geografico interessato, vale a dire il territorio del SEE (v. punto 330 della decisione impugnata), e sull’applicazione di un trattamento differenziato alle imprese coinvolte, al fine di tener conto della loro capacità economica effettiva di arrecare un pregiudizio rilevante alla concorrenza, valutata alla luce dei fatturati realizzati mediante la vendita di prodotti in PMMA per i quali esse avevano partecipato all’intesa in questione (v. punti 332‑334 della decisione impugnata). In quest’ultimo contesto, la Commissione ha altresì menzionato le dimensioni del mercato complessivo dei prodotti in PMMA negli anni 2000 e 2002, espresso in volume e in valore (v. punto 333 della decisione impugnata). Date tali premesse, l’affermazione della ricorrente, secondo cui la Commissione non avrebbe indicato in che modo la gravità dell’infrazione ad essa imputata giustificasse l’imposizione di un simile importo di partenza, è infondata in punto di fatto.

100    Là dove la ricorrente critica l’assenza di una specifica giustificazione per l’importo di EUR 32,5 milioni, attribuito alle imprese che al pari di essa sono state classificate nella seconda categoria, è sufficiente ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, le esigenze inerenti all’obbligo di motivazione non impongono alla Commissione di indicare, nella propria decisione, gli elementi numerici relativi alle modalità di calcolo delle ammende (sentenze Sarrió/Commissione, cit. supra al punto 97, punto 80, e del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e.a./Commissione, cit. supra al punto 97, punto 464). Ne consegue che la Commissione non era tenuta, a norma dell’articolo 253 CE, a giustificare ulteriormente la scelta dell’importo di EUR 32,5 milioni quale importo di partenza dell’ammenda fissato per la ricorrente (v. anche, in tal senso, sentenza Microsoft/Commissione, cit. supra al punto 41, punto 1361).

101    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, la giurisprudenza indicata supra al punto 100 non sarebbe applicabile nel caso di specie, tenuto conto del livello dell’importo di partenza dell’ammenda, è sufficiente rilevare come detta giurisprudenza sia stata applicata anche in un caso in cui la Commissione aveva fissato un importo di partenza di gran lunga superiore a quello qui in esame (sentenza Microsoft/Commissione, cit. supra al punto 41, punto 1361). Allo stesso modo, l’asserzione della ricorrente secondo cui l’importo di partenza della sua ammenda oltrepasserebbe «sensibilmente» la soglia di EUR 20 milioni fissata per le infrazioni molto gravi non è idonea ad inficiare la valutazione compiuta supra al punto 100. Del resto, occorre ricordare che la soglia suddetta costituisce soltanto un importo minimo previsto dagli orientamenti per infrazioni siffatte, dal momento che questi ultimi dispongono che l’«ammenda applicabile» si colloca «oltre i 20 milioni di [euro]».

102    Pertanto, occorre respingere il secondo motivo là dove inteso a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata. Inoltre, gli elementi addotti nell’ambito di tale motivo non consentono neppure di giustificare la riduzione dell’importo dell’ammenda nell’esercizio della competenza estesa al merito spettante al Tribunale.

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione, da parte della Commissione, dell’obbligo ad essa incombente di suddividere l’«importo di base» tra la ricorrente e la Lucite

103    La ricorrente sottolinea che essa e la Lucite hanno partecipato, l’una di seguito all’altra, alla presunta infrazione, quali proprietarie successive di un unico e medesimo complesso di beni costituenti l’oggetto dell’infrazione, e che le due imprese suddette hanno dunque contribuito ad una «gravità unica» dell’infrazione. Di conseguenza, secondo la ricorrente, l’importo dell’ammenda corrispondente a questa «gravità unica» avrebbe dovuto essere suddiviso tra le imprese in questione per evitare di prendere in considerazione due volte «l’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa», parametro pertinente per la determinazione della gravità dell’infrazione secondo gli orientamenti. Orbene, l’importo dell’ammenda sarebbe stato calcolato come se la ricorrente e la Lucite avessero esercitato ciascuna un impatto distinto e simultaneo sulla concorrenza. Tale metodo di calcolo avrebbe portato ad un’ammenda — per un’infrazione unica — di importo notevolmente superiore, soltanto perché un’impresa aveva cambiato proprietario, e non a motivo di un qualsivoglia pregiudizio supplementare arrecato alla concorrenza o di un qualsivoglia errore commesso dalla ricorrente. Pertanto, la Commissione avrebbe violato i principi di parità di trattamento e di proporzionalità.

104    A questo proposito, occorre anzitutto respingere l’allegazione della Commissione secondo cui il presente motivo è irricevibile. Infatti, tale motivo viene dedotto a sostegno delle conclusioni del ricorso indicate supra al punto 36 e, supponendolo fondato, porterebbe alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente. Infatti, contrariamente a quanto la Commissione sostiene, la ricorrente contesta l’importo della propria ammenda, e non quello dell’ammenda inflitta ad un terzo.

105    Occorre poi rilevare che, sebbene l’intitolazione del presente motivo faccia riferimento all’«importo di base» dell’ammenda, risulta chiaramente dagli scritti difensivi della ricorrente che esso riguarda soltanto la «componente gravità dell’ammenda», ossia, più precisamente, l’importo di partenza dell’ammenda di EUR 32,5 milioni, stabilito al punto 336 della decisione impugnata. Per il resto, la ricorrente non contesta, nell’ambito del presente motivo, le valutazioni della Commissione esposte supra ai punti 25 e 26.

106    Occorre dunque esaminare se, come sostiene la ricorrente, la Commissione fosse tenuta a suddividere tale importo di partenza dell’ammenda tra la ricorrente medesima e la Lucite.

107    Va ricordato che, secondo la decisione impugnata, la ricorrente e la Lucite hanno partecipato all’infrazione con gli stessi beni della ICI Acrylics, l’entità che è stata trasferita dalla prima alla seconda impresa il 2 novembre 1999, ossia approssimativamente alla metà del periodo di realizzazione dell’illecito. Tale data ha costituito, d’altronde, una data «spartiacque» per la suddivisione delle responsabilità per l’infrazione tra la ricorrente e la Lucite (v. supra, punto 21). Inoltre, nell’ambito dell’applicazione del trattamento differenziato a queste due imprese, la Commissione ha tenuto conto del medesimo fatturato realizzato dalla Lucite nel 2000. Su tale base, detta istituzione ha fissato gli importi di partenza delle loro ammende ad EUR 32,5 milioni ciascuna (v. punti 334 e 336 della decisione impugnata).

108    Ciò premesso, si può ragionevolmente supporre che, se la ICI Acrylics non avesse cambiato proprietario, l’applicazione della medesima metodologia di calcolo dell’importo dell’ammenda avrebbe portato la Commissione a fissare un solo importo di partenza dell’ammenda di EUR 32,5 milioni, che essa avrebbe assegnato a tale proprietario unico. Di conseguenza, l’asserzione della ricorrente secondo cui la cessione della ICI Acrylics ha, in quanto tale, influito sull’importo complessivo delle ammende inflitte nella decisione impugnata, risulta fondata.

109    Nondimeno, va respinta la tesi della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto agire differentemente e suddividere l’importo di partenza tra le due imprese interessate.

110    In primo luogo, tale tesi si fonda, in sostanza, sulla premessa secondo cui la valutazione della gravità dell’infrazione dovrebbe essere strettamente correlata all’«impatto sulla concorrenza» o al «danno» arrecato a quest’ultima e, di conseguenza, la ricorrente e la Lucite, in quanto proprietarie della ICI Acrylics succedutesi nel tempo, avrebbero contribuito ad una «gravità unica» dell’infrazione. Sul punto la ricorrente fa leva sul tenore letterale degli orientamenti, secondo i quali la valutazione della gravità dell’infrazione dovrebbe tener conto dell’«impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa».

111    Tale premessa è però errata.

112    Infatti, secondo una giurisprudenza consolidata, gli effetti di una pratica anticoncorrenziale non sono di per sé il criterio decisivo ai fini della valutazione dell’importo adeguato dell’ammenda (sentenze della Corte del 2 ottobre 2003, Thyssen Stahl/Commissione, C‑194/99 P, Racc. pag. I‑10821, punto 118, e del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, Racc. pag. I‑7415, punto 96). La gravità delle infrazioni dev’essere stabilita in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze particolari del caso, il suo contesto e l’efficacia dissuasiva delle ammende (v. sentenza della Corte del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Racc. pag. I‑5425, punti 241 e 242 e la giurisprudenza ivi citata), e, ad esempio, determinati elementi attinenti all’intenzionalità della condotta possono avere più importanza di quelli attinenti agli effetti dell’infrazione, soprattutto quando si tratti di violazioni intrinsecamente gravi (v. sentenze Thyssen Stahl/Commissione, cit., punto 118, e Prym e Prym Consumer/Commissione, cit., punto 96 e la giurisprudenza ivi citata).

113    Inoltre, la ricorrente effettua una lettura incompleta degli orientamenti. Infatti, ai sensi del punto 1 A di questi ultimi, «[p]er valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante». In applicazione di tali criteri, «[l]e infrazioni saranno (...) classificate in tre categorie, in modo tale da distinguere tra infrazioni poco gravi, infrazioni gravi e infrazioni molto gravi». Riguardo alle infrazioni molto gravi, gli orientamenti precisano, in particolare, che «trattasi essenzialmente di restrizioni orizzontali, quali cartelli di prezzi», e che gli importi di partenza applicabili sono «oltre i 20 milioni di [euro]». Inoltre, gli orientamenti stabiliscono che, «[n]ell’ambito di ciascuna di tali categorie (...), la forcella di sanzioni previste consentirà di differenziare il trattamento da riservare alle imprese in funzione della natura delle infrazioni commesse».

114    Gli orientamenti pongono dunque chiaramente l’accento sulla natura dell’infrazione quale elemento determinante per la valutazione della gravità di quest’ultima, in sede di fissazione dell’importo di partenza dell’ammenda (v. anche, in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 ottobre 2008, Carbone‑Lorraine/Commissione, T‑73/04, Racc. pag. II‑2661, punto 91). Quanto all’incidenza concreta dell’infrazione, gli orientamenti prevedono il criterio dell’«impatto concreto sul mercato», il quale riguarda l’infrazione nel suo complesso e non gli effetti del comportamento individuale di ciascuna impresa (v., in tal senso, sentenza della Corte del 12 novembre 2009, Carbone‑Lorraine/Commissione, C‑554/08 P, non pubblicata nella Raccolta, punti 21 e 24), ma precisano al contempo che tale impatto sarà preso in considerazione soltanto ove sia misurabile.

115    Inoltre, nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che «non [fosse] possibile misurare l’impatto concreto [dell’infrazione in esame] sul mercato del SEE», ed ha dunque dichiarato che essa non si fondava «specificamente su un impatto particolare [dell’infrazione sul mercato]» (punto 321 della decisione impugnata), nell’ambito della determinazione dell’importo dell’ammenda. La Commissione ha dunque concluso per la sussistenza di un’infrazione molto grave nel caso di specie sulla base della propria valutazione della natura dell’infrazione — alla luce delle caratteristiche principali di quest’ultima illustrate nella sezione 4.2 della decisione impugnata (v. punto 320 della decisione impugnata) — nonché delle dimensioni del mercato geografico interessato (v. punto 330 della decisione impugnata).

116    Tale approccio, peraltro non contestato dalla ricorrente, è conforme alla costante giurisprudenza secondo cui le intese orizzontali sui prezzi o di ripartizione dei mercati possono essere qualificate come infrazioni molto gravi sulla sola base della loro natura, senza che la Commissione sia tenuta, in particolare, a dimostrare un impatto concreto dell’infrazione sul mercato (sentenze della Corte Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 112, punto 75, e del 24 settembre 2009, Erste Group Bank e a./Commissione, C‑125/07 P, C‑133/07 P, C‑135/07 P e C‑137/07 P, Racc. pag. I‑8681, punto 103).

117    Quanto al criterio dell’«impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa», invocato dalla ricorrente, esso viene menzionato nel penultimo comma del punto 1 A degli orientamenti, il quale prevede che, «[i]n caso di infrazioni che coinvolgono più imprese (tipo cartelli), potrà essere opportuno, in certi casi, ponderare gli importi determinati nell’ambito di ciascuna delle tre categorie (…), in modo da tenere conto del peso specifico e dunque dell’impatto reale sulla concorrenza del comportamento configurante infrazione di ciascuna impresa, in particolare qualora esista una disparità considerevole nella dimensione delle imprese che commettono il medesimo tipo di infrazione». Pertanto, si tratta soltanto di un criterio facoltativo che consente di modulare l’importo di partenza dell’ammenda nel caso di infrazioni implicanti più imprese, e non di un criterio decisivo nella determinazione dell’importo suddetto. Inoltre, tale criterio concerne non già la quantificazione degli effetti anticoncorrenziali del comportamento proprio di ciascuna delle imprese partecipanti ad una data infrazione, bensì la presa in considerazione, ai fini della determinazione dell’importo di partenza dell’ammenda, delle differenze oggettive che possono esistere tra esse, come, in particolare, una disparità considerevole nelle loro dimensioni.

118    Ne consegue che, anche supponendo che il cambiamento di proprietario della ICI Acrylics non abbia arrecato alcun pregiudizio supplementare alla concorrenza, così come sostenuto dalla ricorrente, tale circostanza non consentirebbe di concludere che la ricorrente e la Lucite abbiano contribuito ad una «gravità unica» dell’infrazione e che l’importo di partenza dell’ammenda avrebbe dunque dovuto essere suddiviso tra di esse.

119    In secondo luogo, la tesi della ricorrente riguardante la necessità della suddivisione dell’importo di partenza dell’ammenda tra essa e la Lucite non tiene conto del fatto che le considerazioni che stanno alla base della determinazione di detto importo (v. punti 319‑336 della decisione impugnata) sono pienamente applicabili nei suoi confronti.

120    A questo proposito occorre sottolineare che, secondo la decisione impugnata, tanto la ricorrente quanto la Lucite hanno commesso l’infrazione contemplata all’articolo 1 della decisione stessa. Infatti, la ricorrente non contesta la propria responsabilità per tale infrazione (v. supra, punto 40). Allo stesso modo, la ricorrente non contesta la valutazione della Commissione secondo cui essa doveva essere considerata, in quanto tale, «come un’impresa ai fini dell’applicazione dell’articolo 81 [CE]» (punto 288 della decisione impugnata).

121    Inoltre, la ricorrente non contesta né la valutazione della gravità dell’infrazione, effettuata dalla Commissione ai punti 319‑331 della decisione impugnata, né la sua valutazione secondo cui, nel contesto dell’applicazione del trattamento differenziato, il fatturato realizzato dalla Lucite mediante la vendita dei prodotti in PMMA nell’anno 2000 costituiva un’indicazione adeguata riguardo alle dimensioni e alla potenza economica relative della ICI Acrylics sul mercato in questione (punto 334 della decisione impugnata).

122    Date tali circostanze, l’argomentazione della ricorrente finisce in realtà per pretendere un trattamento preferenziale per quanto riguarda l’importo di partenza dell’ammenda rispetto agli altri destinatari della decisione impugnata, per il semplice motivo che essa ha ceduto i beni aziendali costituenti l’oggetto dell’infrazione.

123    Orbene, l’infrazione che essa ha commesso non è divenuta per ciò solo meno grave. La ricorrente si è così vista infliggere esattamente lo stesso importo di base dell’ammenda che le sarebbe stato imposto nel caso in cui essa, anziché cedere la ICI Acrylics alla Lucite con effetto a partire dal 2 novembre 1999, si fosse semplicemente ritirata dall’infrazione a questa stessa data.

124    Ne consegue che, contrariamente a quanto da essa sostenuto, la ricorrente, pur avendo partecipato all’intesa con i medesimi beni aziendali utilizzati successivamente dalla Lucite, ha realizzato un’infrazione la cui gravità giustificava l’imposizione dell’importo di partenza adottato nei suoi confronti dalla Commissione. Di conseguenza, la sua tesi secondo cui tale importo di partenza avrebbe dovuto essere suddiviso tra essa e la Lucite non può essere accolta.

125    Gli altri argomenti della ricorrente non sono idonei a modificare tale conclusione.

126    In primo luogo, la ricorrente fa valere che la «suddivisione del parametro “durata”» dell’ammenda tra essa e la Lucite non è sufficiente. Infatti, in base alla metodologia degli orientamenti, sarebbe il «parametro “gravità”» dell’ammenda quello che avrebbe l’influsso preponderante sull’importo di base dell’ammenda, dal momento che l’importo di partenza verrebbe maggiorato soltanto del 10% per ciascun anno dell’infrazione. Pertanto, in assenza di un «rapporto lineare» tra la durata dell’infrazione e l’importo di base dell’ammenda, anche se il «parametro “durata”» è stato «suddiviso» tra la ricorrente e la Lucite, i loro importi di base combinati eccederebbero l’importo che sarebbe stato calcolato se la ICI Acrylics avesse mantenuto lo stesso proprietario.

127    A questo proposito, occorre ricordare che l’importo di base dell’ammenda della ricorrente è stato stabilito in correlazione alla durata della sua partecipazione all’infrazione (v. supra, punto 26). Pertanto, come giustamente sottolineato dalla Commissione, il «parametro “durata”» dell’ammenda è stato suddiviso tra la ricorrente e la Lucite.

128    Vero è che, come sostenuto dalla ricorrente, gli importi di base combinati della ricorrente e della Lucite sono superiori a quello che sarebbe stato calcolato se la ICI Acrylics avesse mantenuto il medesimo proprietario (v. supra, punto 108). Tuttavia, è giocoforza constatare che si tratta di una semplice conseguenza dell’applicazione della metodologia prevista dagli orientamenti, i quali riflettono la politica che la Commissione intendeva seguire nell’ambito della fissazione delle ammende. Orbene, considerato il margine di discrezionalità di cui la Commissione dispone al riguardo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, Racc. pag. 1825, punti 105‑109), essa era legittimata a stabilire un rapporto di questo tipo tra il criterio della gravità e quello della durata dell’infrazione.

129    Dunque, il fatto che il criterio della gravità dell’infrazione abbia avuto, nella specie, un peso nella determinazione dell’importo di base dell’ammenda maggiore di quello attribuito alla durata dell’infrazione non consente di accettare la tesi della ricorrente relativa alla necessità di una «suddivisione della “componente gravità”» dell’ammenda tra la ricorrente medesima e la Lucite.

130    Del resto, un «rapporto lineare» tra la durata dell’infrazione e l’importo di base dell’ammenda, ossia la moltiplicazione dell’importo di partenza dell’ammenda per il numero di anni della partecipazione di un’impresa all’infrazione, sarebbe stato nella specie applicato con conseguenze sfavorevoli per la ricorrente, portando ad un importo di base più elevato di quello che le è stato inflitto.

131    In secondo luogo, va respinto l’argomento della ricorrente relativo all’affermazione effettuata dalla Commissione nella comunicazione degli addebiti secondo cui, «se l’impresa che ha acquistato i beni aziendali continua a violare l’articolo 81 [CE] e/o l’articolo 53 dell’Accordo SEE, la responsabilità dell’infrazione deve essere suddivisa tra il venditore e l’acquirente dei beni costituenti l’oggetto dell’infrazione» (punto 347 della comunicazione degli addebiti).

132    Contrariamente a quanto la ricorrente lascia intendere, tale affermazione non contiene alcuna precisazione riguardo alla questione dell’eventuale suddivisione della «componente gravità» dell’ammenda tra essa e la Lucite. Come risulta chiaramente dai termini impiegati dalla Commissione e dalla collocazione di detta affermazione nella sezione 5.6 della comunicazione degli addebiti, tale affermazione riguarda semplicemente la suddivisione delle responsabilità per l’infrazione tra il venditore e l’acquirente dei beni aziendali costituenti l’oggetto dell’illecito nel contesto della determinazione dei destinatari della comunicazione degli addebiti. La medesima conclusione si impone con riguardo al rinvio, contenuto in una nota a piè di pagina, al punto 43 della decisione 89/190/CEE della Commissione, del 21 dicembre 1988, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 85 del Trattato CEE (IV/31.865, PVC) (GU 1989, L 74, pag. 1). Peraltro, occorre ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha proceduto a tale suddivisione delle responsabilità per l’infrazione tra la ricorrente e la Lucite (v. supra, punto 21).

133    In terzo luogo, la ricorrente fa valere che, nella sua prassi decisionale precedente, la Commissione ha applicato un metodo consistente nello scindere l’importo dell’ammenda in conformità ai periodi di proprietà di un’entità responsabile di un illecito.

134    A questo proposito, è sufficiente ricordare che la prassi decisionale della Commissione non serve da quadro giuridico per la fissazione dell’importo delle ammende in materia di concorrenza, atteso che la Commissione dispone in tale settore di un ampio potere discrezionale nell’esercizio del quale essa non è vincolata dalle proprie precedenti valutazioni (v. sentenza Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 112, punto 98 e la giurisprudenza ivi citata).

135    Ad ogni modo, la ricorrente non contesta l’argomento della Commissione secondo cui, a differenza della presente fattispecie, nelle decisioni invocate da essa ricorrente veniva in questione la cessione di una società controllata, dotata di personalità giuridica. Orbene, si tratta di una differenza di fatto fondamentale nel contesto della determinazione dell’importo delle ammende, dato che, essendo la ICI Acrylics priva di personalità giuridica, non poteva esserle inflitta alcuna ammenda. Pertanto, la prassi decisionale della Commissione riguardante il trasferimento di una controllata nel corso del periodo dell’illecito non può comunque essere utilmente invocata dalla ricorrente nel caso di specie.

136    Infine, occorre notare che, nell’ambito del presente motivo, la ricorrente menziona anche la violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento. Tuttavia, essa non adduce argomenti specifici a questo proposito, diversi da quelli esaminati sopra in relazione all’esistenza di un presunto obbligo per la Commissione di «suddividere la “componente gravità”», a motivo dell’assenza di un danno supplementare per la concorrenza derivante dalla cessione. Di conseguenza, anche tali argomenti devono essere respinti.

137    Pertanto, il terzo motivo deve essere respinto là dove mira a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata. Inoltre, gli argomenti addotti nell’ambito di detto motivo neppure consentono di giustificare la riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della competenza estesa al merito spettante al Tribunale.

 Sul quarto motivo, relativo al carattere inappropriato della maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda a titolo dell’effetto dissuasivo

138    Il presente motivo è suddiviso in due parti. Nell’ambito della prima parte, la ricorrente fa valere che, allorché si è trattato di stabilire la maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda a titolo dell’effetto dissuasivo, la Commissione non ha tenuto conto della sua capacità finanziaria effettiva. Nell’ambito della seconda parte del motivo, la ricorrente sostiene, in via subordinata, che la Commissione ha violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

 Sulla prima parte del motivo, relativa all’erronea valutazione, da parte della Commissione, della capacità finanziaria effettiva della ricorrente

139    La ricorrente asserisce che la maggiorazione del 50% dell’importo di partenza dell’ammenda a titolo dell’effetto sufficientemente dissuasivo è il risultato di un’erronea valutazione della sua capacità finanziaria effettiva. Come essa avrebbe dimostrato nel corso dell’indagine, tale capacità non sarebbe rispecchiata adeguatamente dal suo fatturato, sul quale la Commissione si è basata per fissare la maggiorazione. A suo avviso, il criterio del fatturato è pertinente, a titolo di «indicazione» o «riferimento approssimativo» della potenza economica di un’impresa, ma non sarebbe sufficiente nel caso in cui l’impresa interessata presenti altri elementi di prova relativi alla propria potenza economica. Di conseguenza, la maggiorazione in questione dovrebbe essere soppressa.

140    A questo proposito, occorre anzitutto rilevare che, al punto 337 della decisione impugnata, la Commissione ha affermato che, nella categoria delle infrazioni molto gravi, la gamma delle ammende applicabili consentiva anche di fissare l’importo delle ammende ad un livello tale da garantire che esse avessero un effetto dissuasivo sufficiente, «tenuto conto delle dimensioni e della potenza economica di ciascuna impresa». Per valutare le dimensioni e la potenza economica della ricorrente, la Commissione ha tenuto conto del fatturato mondiale da essa realizzato nel 2005, ultimo esercizio precedente quello in cui è stata adottata la decisione impugnata (EUR 8,49 miliardi), e ha deciso di applicare un coefficiente moltiplicatore di 1,5 alla sua ammenda (v. punti 349 e 350 della decisione impugnata).

141    In tale contesto, in risposta agli argomenti della ricorrente riguardanti l’utilizzazione del fatturato al fine di valutare la sua capacità economica, la Commissione ha dichiarato che il criterio del fatturato forniva un’indicazione ragionevole ed utile della capacità e della potenza economica di un’impresa e che essa aveva nella specie applicato tale criterio in modo uguale a tutte le imprese interessate (punto 347 della decisione impugnata).

142    Occorre poi ricordare, riguardo alla nozione di dissuasione, che essa costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nel calcolo dell’importo dell’ammenda. Per costante giurisprudenza, infatti, le ammende inflitte per violazione dell’articolo 81 CE e previste dall’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 hanno lo scopo di punire gli illeciti commessi dalle imprese coinvolte, nonché quello di dissuadere sia tali imprese sia altri operatori economici dal violare, in futuro, le norme dell’Unione in materia di concorrenza. Dunque la Commissione, nel determinare l’importo dell’ammenda, può tener conto, segnatamente, delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa interessata (v., in tal senso, sentenza della Corte del 29 giugno 2006, Showa Denko/Commissione, C‑289/04 P, Racc. pag. I‑5859, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata).

143    La presa in considerazione delle dimensioni e delle risorse globali dell’impresa interessata allo scopo di assicurare un effetto dissuasivo sufficiente all’ammenda si giustifica con l’impatto voluto su tale impresa, dato che la sanzione non deve essere trascurabile in rapporto, segnatamente, alla capacità finanziaria di quest’ultima (sentenza della Corte del 17 giugno 2010, Lafarge/Commissione, C‑413/08 P, Racc. pag. I‑5361, punto 104). La giurisprudenza ha così stabilito, in particolare, che la finalità dissuasiva che la Commissione ha il diritto di perseguire in occasione della fissazione dell’importo di un’ammenda può essere validamente raggiunta soltanto considerando la situazione dell’impresa alla data in cui l’ammenda viene inflitta (sentenza del Tribunale del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, Racc. pag. II‑897, punto 278).

144    Nel caso di specie, la ricorrente non contesta la possibilità stessa per la Commissione di tener conto delle dimensioni e della potenza economica dell’impresa al fine di modulare l’importo dell’ammenda. Tuttavia, essa contesta la pertinenza del criterio del fatturato nella valutazione delle proprie dimensioni e della propria potenza economica.

145    A questo proposito, occorre rilevare che, per costante giurisprudenza della Corte, il fatturato complessivo dell’impresa costituisce un’indicazione, sia pure approssimativa e imperfetta, delle dimensioni di quest’ultima e della sua potenza economica (v. sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 112, punto 243 e la giurisprudenza ivi citata). La giurisprudenza ha così statuito che, per fissare l’importo dell’ammenda ad un livello idoneo a garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo, la Commissione poteva tenere conto del fatturato totale dell’impresa considerata (sentenze della Corte Showa Denko/Commissione, cit. supra al punto 142, punti 15‑18, e del 22 maggio 2008, Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, C‑266/06 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 120; sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Cheil Jedang/Commissione, T‑220/00, Racc. pag. II‑2473, punto 96).

146    Pertanto, la giurisprudenza, pur riconoscendo esplicitamente che il fatturato totale dell’impresa costituisce un’«indicazione» delle dimensioni di quest’ultima e della sua potenza economica che può essere «imperfetta» e «approssimativa», convalida al tempo stesso l’impiego di tale criterio in sede di determinazione della maggiorazione dell’ammenda a titolo dell’effetto dissuasivo. Tale soluzione ha un merito incontestabile, e cioè consente alla Commissione di fare ricorso, nell’ambito della determinazione dell’importo delle ammende, ad un criterio obiettivo e di applicarlo indistintamente a tutte le imprese interessate.

147    Ne consegue che l’allegazione secondo cui il fatturato di un’impresa rispecchierebbe soltanto in modo imperfetto o approssimativo la potenza economica di quest’ultima non è sufficiente, in quanto tale, per escludere la pertinenza di tale criterio nell’ambito della determinazione della maggiorazione dell’importo dell’ammenda a titolo dell’effetto dissuasivo.

148    Vero è che, come sostenuto dalla ricorrente, in sostanza, non bisogna perdere di vista l’obiettivo perseguito mediante l’imposizione della maggiorazione suddetta, vale a dire la modulazione dell’ammenda in modo tale che questa non divenga trascurabile o, al contrario, eccessiva, segnatamente in rapporto alla capacità finanziaria dell’impresa in questione (v. supra, punto 143, nonché sentenze del Tribunale Degussa/Commissione, cit. supra al punto 143, punto 283, e del 18 giugno 2008, Hoechst/Commissione, T‑410/03, Racc. pag. II‑881, punto 379).

149    Tuttavia, gli elementi addotti dalla ricorrente non consentono di dimostrare che il suo fatturato preso in considerazione dalla Commissione fornisse un’immagine della sua capacità finanziaria ingannevole a tal punto da risultarne una violazione dell’obiettivo suddetto.

150    Anzitutto, occorre rilevare come la ricorrente non fornisca alcun elemento concreto a sostegno degli argomenti e delle cifre da essa addotti, dato che il ricorso introduttivo non rinvia sul punto ad alcun documento.

151    È poi giocoforza constatare come la ricorrente si limiti ad invocare, nel ricorso introduttivo, l’esistenza di un passivo derivante dalle pensioni, che sarebbe più rilevante di quanto le sue dimensioni lascerebbero pensare, nonché l’esistenza di un indebitamento imputabile al finanziamento di un’acquisizione effettuata nel 1997, senza però chiarire in maniera circostanziata in che modo l’esistenza di tali passivi inciderebbe concretamente sulla pertinenza del suo fatturato nell’anno 2005, preso in considerazione dalla Commissione.

152    Orbene, occorre notare che, come la Commissione fa giustamente osservare, si tratta di elementi che riguardano vari anni, e dunque non costituiscono necessariamente un indicatore affidabile della potenza economica dell’impresa al momento dell’adozione della decisione impugnata, e che essi hanno del resto, in via di principio, un impatto inevitabile sul fatturato dell’impresa. Inoltre, la ricorrente stessa afferma nel ricorso introduttivo che l’indebitamento in questione «aveva un impatto sulle sue attività». Allo stesso modo, la ricorrente non ha rimesso in discussione l’argomento della Commissione secondo cui le passività in questione si ripercuotevano necessariamente sul suo fatturato.

153    Per giunta, occorre sottolineare che la ricorrente non chiarisce in quale misura il criterio del fatturato non rispecchierebbe adeguatamente la sua capacità finanziaria, a motivo degli elementi che essa adduce. La ricorrente si limita a chiedere la soppressione pura e semplice della maggiorazione applicata dalla Commissione. Occorre tuttavia constatare che ciò collocherebbe la ricorrente nella medesima situazione della Barlo e della Lucite, le quali non si sono viste imporre alcuna maggiorazione a titolo dell’effetto dissuasivo. Orbene, nell’anno 2005, i fatturati di tali due imprese corrispondevano, rispettivamente, al 4 e al 13% circa del fatturato della ricorrente (v. punti 36 e 46 della decisione impugnata). In assenza di elementi di prova convincenti, la tesi secondo cui il fatturato della ricorrente sarebbe a tal punto ingannevole riguardo alla sua capacità finanziaria non può essere accolta.

154    Ne consegue che la ricorrente non ha confutato la valutazione effettuata dalla Commissione secondo cui il suo fatturato forniva un’«indicazione ragionevole ed utile della sua capacità e potenza economica» (punto 347 della decisione impugnata). Di conseguenza, contrariamente a quanto la ricorrente asserisce, la Commissione ben poteva fondarsi su detto fatturato al fine di stabilire la maggiorazione appropriata (v. segnatamente supra, punti 146 e 147).

155    Inoltre, nella misura in cui la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe omesso di esaminare gli elementi di prova forniti in occasione del procedimento amministrativo in merito alla sua capacità finanziaria, anche tale argomento deve essere respinto. Da un lato, si tratta di una semplice affermazione da parte della ricorrente, la quale non è supportata da alcun elemento concreto, come ad esempio l’indicazione delle prove che sarebbero state ignorate dalla Commissione. Dall’altro lato, e in ogni caso, risulta dalla decisione impugnata che la Commissione ha esaminato gli argomenti della ricorrente secondo cui il fatturato di quest’ultima forniva una rappresentazione sovradimensionata della sua capacità finanziaria, concludendo però che il fatturato costituiva un’indicazione ragionevole ed utile della sua capacità e della sua potenza economica (punti 343 e 347 della decisione impugnata). Sebbene la Commissione non abbia risposto in dettaglio a ciascuno degli argomenti della ricorrente, tale circostanza non consente di per sé sola di affermare che i suddetti argomenti non siano stati esaminati.

156    Infine, la ricorrente sostiene anche che la necessità della maggiorazione meritava a maggior ragione di essere suffragata nel caso di specie per il fatto che, come essa avrebbe dimostrato, nessuno dei veri autori dell’infrazione era alle sue dipendenze ed occupava un posto di responsabilità al suo interno, che nessuno dei membri della sua direzione aveva facilitato l’esecuzione dell’infrazione e che l’importo dell’ammenda era già molto elevato.

157    A questo proposito è sufficiente ricordare che, ai punti 337‑350 della decisione impugnata, la Commissione ha proceduto, nel contesto della valutazione della gravità dell’infrazione, ad una maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda al fine di garantirle «un effetto dissuasivo sufficiente, tenuto conto delle dimensioni e della potenza economica di ciascuna impresa» (punto 337 della decisione impugnata). Tale fase del calcolo dell’importo dell’ammenda deriva dalla necessità di adeguare l’importo di partenza in modo che l’ammenda abbia un carattere sufficientemente dissuasivo, considerate le risorse globali dell’impresa e la sua capacità di mobilizzare i fondi necessari per il pagamento dell’ammenda. Di conseguenza, le allegazioni della ricorrente secondo cui nessuno dei reali autori dell’infrazione era alle sue dipendenze né occupava un posto di responsabilità al suo interno, e secondo cui nessuno dei membri della sua direzione aveva facilitato l’esecuzione dell’infrazione, sono prive di pertinenza in tale contesto e dunque inoperanti.

158    Occorre dunque concludere che gli argomenti addotti nell’ambito della prima parte del motivo non sono idonei a rimettere in discussione la maggiorazione applicata alla ricorrente ai punti 349 e 350 della decisione impugnata.

159    Pertanto, la prima parte del motivo deve essere respinta là dove mira a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata.

 Sulla seconda parte del motivo, relativa alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

160    La ricorrente sostiene che la Commissione, anche a supporla legittimata ad infliggere una maggiorazione dissuasiva fondata esclusivamente sul fatturato, doveva trattare i destinatari della decisione impugnata in maniera equa e proporzionata. Orbene, la maggiorazione imposta alla ricorrente sarebbe in proporzione più elevata di quella inflitta alla Atofina e violerebbe dunque i principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

161    A questo proposito occorre osservare che, come rilevato dalla ricorrente, il fatturato preso in considerazione dalla Commissione nel caso della ricorrente (EUR 8,49 miliardi) è effettivamente sedici volte inferiore a quello della Atofina (EUR 143 miliardi), mentre la maggiorazione applicata all’ammenda della ricorrente (50%) è soltanto quattro volte inferiore a quella applicata nei confronti della Atofina (200%).

162    Tuttavia, tale osservazione non è sufficiente per rimettere in discussione il livello della maggiorazione inflitta alla ricorrente, alla luce dei principi da questa invocati.

163    In primo luogo, tale differenza rispetto al trattamento riservato ad un’altra impresa non significa, di per sé stessa, che la maggiorazione della ricorrente non sia proporzionale all’obiettivo perseguito, vale a dire, ai sensi del punto 337 della decisione impugnata, fissare l’importo della sua ammenda ad un livello idoneo a garantire che essa avrà un effetto dissuasivo sufficiente, tenuto conto delle dimensioni e della potenza economica della ricorrente medesima. Orbene, nell’ambito della presente parte del motivo, la ricorrente non adduce alcun argomento al riguardo.

164    Ad ogni modo, l’argomento della ricorrente, in quanto incentrato sulla situazione della Atofina, porterebbe — supponendolo fondato — al risultato che la maggiorazione di essa ricorrente sarebbe dell’ordine del 12,5% soltanto (maggiorazione sedici volte inferiore a quella del 200% imposta alla Atofina). Orbene, considerate le dimensioni e la potenza economica della ricorrente, quali rispecchiate dal suo fatturato nel 2005, una simile maggiorazione sarebbe insufficiente per raggiungere l’obiettivo perseguito.

165    In secondo luogo, anche supponendo che tale differenza possa essere considerata una violazione del principio di parità di trattamento, non ne conseguirebbe necessariamente che la ricorrente sia legittimata ad ottenere una riduzione della maggiorazione imposta.

166    Sul punto, giustamente la Commissione rileva come la ricorrente tenti di applicare «alla rovescia» la soluzione elaborata nella sentenza del Tribunale del 29 aprile 2004, Tokai Carbon e a./Commissione, T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01 (Racc. pag. II‑1181, punti 244‑249). Nella vicenda all’origine di tale sentenza, il fatturato dell’impresa Showa Denko KK (in prosieguo: la «SDK») era stato due volte superiore a quello dell’impresa VAW Aluminium AG (in prosieguo: la «VAW»). Orbene, la Commissione aveva imposto alla SDK una maggiorazione di entità sei volte maggiore (150%) di quella imposta alla VAW (25%). È in tale situazione che il Tribunale ha deciso di sostituire la maggiorazione imposta alla SDK con una maggiorazione del 50%, e dunque due volte più importante di quella inflitta alla VAW.

167    Tuttavia, ciò non significa che un’impresa come la ricorrente possa invocare a proprio vantaggio una presunta violazione del principio di parità di trattamento derivante dal fatto che la maggiorazione imposta ad un’impresa più grande di essa non è sufficientemente elevata da tener conto della differenza di dimensioni che intercorre tra queste due imprese.

168    In terzo luogo, e in ogni caso, il carattere giustificato del livello della maggiorazione inflitta alla ricorrente, alla luce dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, dovrebbe essere esaminato, se del caso, non soltanto in rapporto alla maggiorazione applicata alla Atofina, ma anche in rapporto alle maggiorazioni inflitte alle altre imprese coinvolte.

169    In particolare, come risulta dalla giurisprudenza, la soluzione adottata dal Tribunale nell’ambito dell’esame della presente parte del motivo non può produrre come conseguenza una disparità di trattamento tra le imprese che hanno partecipato all’infrazione in questione (v., in tal senso, sentenze della Corte Sarrió/Commissione, cit. supra al punto 97, punto 97, e del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P, Racc. pag. I‑829, punto 152).

170    Orbene, nel ricorso introduttivo, la ricorrente non adduce alcun argomento in tal senso.

171    Del resto, occorre ricordare che le maggiorazioni applicate nella decisione impugnata sono state, in ordine crescente, le seguenti:

–        la Barlo, con un fatturato di EUR 310,85 milioni (punto 46 della decisione impugnata), non si è vista applicare alcuna maggiorazione;

–        la Lucite, con un fatturato di EUR 1,14 miliardi circa (punto 36 della decisione impugnata), non si è vista applicare alcuna maggiorazione;

–        tre società del gruppo Total (la Arkema, la Altuglas e la Altumax), con un fatturato di EUR 5,71 miliardi (punto 14 della decisione impugnata), si sono viste applicare una maggiorazione «ipotetica» del 25% (coefficiente moltiplicatore 1,25), ai fini del calcolo della maggiorazione per la recidiva, specifica di queste tre società (v. la nota a piè di pagina n. 233 della decisione impugnata). Inoltre, statuendo sul ricorso proposto da tali società contro la decisione impugnata, il Tribunale ha ridotto l’importo dell’ammenda che era stata loro inflitta, ricalcolando il suo ammontare complessivo sulla base dell’applicazione della maggiorazione del 25% a titolo dell’effetto dissuasivo (sentenza del Tribunale del 7 giugno 2011, Arkema France e a./Commissione, T‑217/06, Racc. pag. II‑2593, punti 339 e 340);

–        la ricorrente, con un fatturato nel 2005 di EUR 8,49 miliardi, si è vista applicare una maggiorazione del 50% (coefficiente moltiplicatore 1,5);

–        la Degussa, con un fatturato di EUR 11,75 miliardi, si è vista applicare una maggiorazione del 75% (coefficiente moltiplicatore 1,75);

–        la Atofina (cinque società del gruppo Total) si è vista applicare una maggiorazione del 200% (coefficiente moltiplicatore 3) sulla base del fatturato della Total SA nel 2005 di EUR 143,168 miliardi (punti 349 e 350 della decisione impugnata).

172    Pertanto, risulta chiaramente dalla decisione impugnata che il caso della Atofina è un caso particolare di un’impresa che aveva un fatturato di gran lunga superiore a quello di tutte le altre imprese interessate. Per contro, l’atteggiamento della Commissione nei confronti delle altre imprese è stato coerente, dal momento che essa ha fissato le maggiorazioni del 25, del 50 e del 75% nei confronti delle imprese i cui fatturati ammontavano, rispettivamente, a 5,71, a 8,49 e a 11,75 miliardi di euro.

173    Indubbiamente, la Commissione non ha rispettato rigorosamente le proporzioni matematiche e, in particolare, la differenza relativa tra i livelli delle maggiorazioni (in termini percentuali) applicate alla Arkema e alla ricorrente (+ 100%) è più rilevante di quella intercorrente tra i loro fatturati (+ 48%), mentre tale scarto è minore per quanto riguarda la ricorrente e la Degussa (+ 50% per le maggiorazioni e + 38% per i fatturati).

174    Tuttavia, quest’ultima constatazione non è sufficiente per dimostrare una violazione dei principi invocati dalla ricorrente. Infatti, tenuto conto del margine di discrezionalità di cui la Commissione dispone in tale settore e della finalità di dissuasione perseguita mediante l’applicazione delle maggiorazioni di cui trattasi, non si può pretendere da essa, sulla base dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità, la garanzia che le differenze tra i livelli di tali maggiorazioni rispecchino rigorosamente qualsiasi differenza tra i fatturati delle imprese interessate (v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. supra al punto 145, punto 122). Come risulta dalla giurisprudenza, sebbene il fatturato costituisca un criterio pertinente nella determinazione dell’importo dell’ammenda ad un livello idoneo a garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo, la fissazione di un’ammenda appropriata non può però essere necessariamente il risultato di un semplice calcolo aritmetico fondato sul fatturato (v., in tal senso, sentenze Musique Diffusion française e a./Commissione, cit. supra al punto 128, punto 121, ed Evonik Degussa/Commissione e Consiglio, cit. supra al punto 145, punto 120).

175    Ne consegue che il trattamento delle imprese che si trovano, con riguardo al loro fatturato, in una situazione maggiormente paragonabile a quella della ricorrente di quanto non lo sia quella della Atofina non consente di constatare una violazione dei principi di parità di trattamento e di proporzionalità. Per contro, l’argomentazione della ricorrente con cui questa chiede un trattamento proporzionale a quello della sola Atofina — vale a dire, in sostanza, una maggiorazione dell’ordine del 12,5% (v. supra, punto 164) — sarebbe idonea, ove venisse accolta, a determinare una disparità di trattamento rispetto alle altre imprese interessate.

176    In tale contesto, occorre insistere anche sul fatto che la ricorrente passa sotto silenzio, in particolare, il caso della Lucite. Orbene, occorre ricordare che la ricorrente e la Lucite, in successione tra loro, hanno commesso l’infrazione con i medesimi beni aziendali, e che la Commissione ha assegnato loro gli stessi importi di partenza dell’ammenda, sulla base del medesimo fatturato per quanto riguarda i prodotti in PMMA. Pertanto, fino a quel punto, gli importi delle ammende di queste due imprese sono stati calcolati allo stesso modo, ma la Lucite, contrariamente alla ricorrente, non si è vista applicare alcuna maggiorazione a titolo dell’effetto dissuasivo. Tuttavia, dato che il fatturato della Lucite era 7,5 volte meno importante di quello della ricorrente, non si può sostenere che la maggiorazione del 50% imposta a quest’ultima sia contraria ai principi invocati.

177    Alla luce di tali circostanze, la seconda parte del motivo deve essere respinta là dove mira a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata.

178    Inoltre, per i motivi che precedono, gli elementi addotti dalla ricorrente nell’ambito del quarto motivo non consentono neppure di giustificare la riduzione dell’importo dell’ammenda, come risultante dalla maggiorazione dell’importo di partenza a titolo dell’effetto dissuasivo, sulla base della competenza estesa al merito spettante al Tribunale. Pertanto, tale motivo deve essere respinto nella sua interezza.

 Sul quinto motivo, relativo al rifiuto ingiustificato di concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione con la Commissione

179    Il presente motivo è suddiviso in due parti. Nell’ambito della prima parte, la ricorrente censura la Commissione per il suo rifiuto di concederle una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della comunicazione sulla cooperazione. Nell’ambito della seconda parte, la ricorrente fa valere, in via subordinata, che la Commissione avrebbe dovuto, quanto meno, riconoscere il merito della sua cooperazione al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione suddetta.

 Sulla prima parte del motivo, riguardante il rifiuto di concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della comunicazione sulla cooperazione

180    Tale parte del motivo si basa, in sostanza, su due censure. Da un lato, la ricorrente si duole che la Commissione abbia erroneamente ritenuto che gli elementi da essa forniti non apportassero alcun valore aggiunto all’indagine di detta istituzione. Dall’altro, la ricorrente fa valere che il suo ritardo nel fornire tali elementi rispetto alle altre imprese interessate era stato causato dal comportamento della Commissione.

–       Sull’erronea valutazione del valore aggiunto degli elementi contenuti nella domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione

181    In via preliminare, occorre ricordare che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende e può, a questo proposito, tener conto di molteplici elementi, tra i quali figura la cooperazione delle imprese interessate in occasione dell’indagine condotta dai servizi di detta istituzione. La Commissione dispone, al riguardo, di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa, segnatamente in rapporto ai contributi offerti da altre imprese (sentenza della Corte del 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, C‑328/05 P, Racc. pag. I‑3921, punti 81 e 88).

182    Per giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda sulla base della comunicazione sulla cooperazione, le informazioni fornite devono poter essere ritenute idonee a dimostrare una genuina cooperazione da parte dell’impresa interessata, fermo restando che lo scopo di una riduzione dell’importo dell’ammenda consiste nel ricompensare un’impresa per un contributo nel corso del procedimento amministrativo che ha permesso alla Commissione di accertare un’infrazione con minori difficoltà (v., in tal senso, sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, cit. supra al punto 116, punto 305). Pertanto, il comportamento di un’impresa deve facilitare alla Commissione il compito consistente nell’accertamento e nella repressione delle infrazioni alle norme dell’Unione in materia di concorrenza (v. sentenza JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 54, punto 499 e la giurisprudenza ivi citata) e attestare un reale spirito di cooperazione (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 112, punti 395 e 396).

183    Tenuto conto della ragion d’essere della riduzione, la Commissione non può non tener conto dell’utilità dell’informazione fornita, la quale deve necessariamente dipendere dagli elementi di prova già in suo possesso (sentenza del Tribunale del 28 aprile 2010, Gütermann e Zwicky/Commissione, T‑456/05 e T‑457/05, Racc. pag. II‑1443, punto 221).

184    Inoltre, se certo la Commissione è tenuta ad esporre le ragioni per le quali ritiene che determinati elementi forniti dalle imprese nel quadro della comunicazione sulla cooperazione costituiscano un contributo che giustifica o meno una riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta, spetta però alle imprese che desiderino contestare la decisione della Commissione al riguardo dimostrare che quest’ultima, in mancanza di tali informazioni da esse fornite volontariamente, non sarebbe stata in grado di provare l’infrazione nelle sue componenti essenziali e dunque di adottare una decisione di condanna al pagamento di ammende (sentenza Erste Group Bank e a./Commissione, cit. supra al punto 116, punto 297).

185    Nella comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha precisato le condizioni alle quali le imprese che cooperano con essa nel corso della sua indagine su un’intesa potranno essere esonerate dall’ammenda o beneficiare di una riduzione dell’importo di quest’ultima che avrebbero altrimenti dovuto pagare.

186    In particolare, la Commissione ha dichiarato che le imprese che non soddisfano i requisiti necessari per beneficiare di un’immunità dalle ammende possono però ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda (punto 20 della comunicazione sulla cooperazione). Ai sensi del punto 21 di tale comunicazione, per poter beneficiare di tale riduzione «un’impresa deve fornire alla Commissione elementi di prova della presunta infrazione che costituiscano un valore aggiunto significativo rispetto agli elementi di prova già in possesso della Commissione, e deve inoltre [porre termine alla propria partecipazione al]la presunta infrazione entro il momento in cui presenta tali elementi di prova».

187    Inoltre, il punto 22 della comunicazione sulla cooperazione precisa:

«Il concetto di “valore aggiunto” si riferisce alla misura in cui gli elementi di prova forniti rafforzano, per la loro stessa natura e/o per il loro grado di precisione, la capacità della Commissione di dimostrare i fatti in questione. Nel procedere a tale valutazione, la Commissione riterrà di norma che gli elementi di prova scritti risalenti al periodo a cui si riferiscono i fatti abbiano un valore maggiore degli elementi di prova venuti ad esistenza successivamente. Analogamente, gli elementi di prova direttamente legati ai fatti in questione saranno in genere considerati come più importanti di quelli che hanno solo un legame indiretto».

188    Nella decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che la ricorrente aveva chiesto l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione il 18 ottobre 2004, dopo che detta istituzione aveva ricevuto le domande presentate ai sensi della comunicazione di cui sopra dalla Degussa (il 20 dicembre 2002), dalla Atofina (il 3 aprile 2003) e dalla Lucite (l’11 luglio 2003) (punto 416 della decisione impugnata). Il punto 417 della decisione impugnata dichiara che, in applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha esaminato il contributo della ricorrente nell’ordine cronologico in cui le domande erano state presentate, al fine di stabilire se esso costituisse un valore aggiunto significativo ai sensi del punto 21 della citata comunicazione. Sulla base di tali criteri, la Commissione ha ritenuto che gli elementi di prova forniti dalla ricorrente non apportassero alcun valore aggiunto significativo ai sensi della comunicazione sulla cooperazione (punto 417 della decisione impugnata).

189    Nel caso di specie, in primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione ha applicato un criterio giuridico erroneo per respingere la sua domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda, nella misura in cui l’Istituzione, al punto 419 della decisione impugnata, dichiara che i documenti forniti da essa ricorrente non le hanno consentito «di provare i fatti». Orbene, la ricorrente sostiene che il criterio corretto, a norma del punto 21 della comunicazione sulla cooperazione, era quello del rafforzamento della capacità della Commissione di provare i fatti.

190    Tale argomento è infondato in punto di fatto e deve essere respinto.

191    Infatti, come rilevato supra al punto 188, risulta chiaramente dai punti 416‑419 della decisione impugnata che la Commissione ha effettuato una corretta applicazione della pertinente disposizione della comunicazione sulla cooperazione, ossia del punto 21 di quest’ultima, facendo ricorso al criterio del «valore aggiunto significativo» (v. supra, punto 188). Inoltre, nella lettera dell’11 agosto 2005, che ha informato la ricorrente del rigetto della sua domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo, la Commissione ha affermato che «le prove fornite [dalla ricorrente] non costitui[vano] alcun valore aggiunto significativo ai sensi dei punti 21 e 22 della [comunicazione sulla cooperazione]», risultandone così che la suddetta istituzione ha fatto riferimento al criterio pertinente.

192    In secondo luogo, la ricorrente fa valere, in sostanza, che gli elementi da essa forniti soddisfano le condizioni fissate ai punti 21 e 22 della comunicazione sulla cooperazione.

193    A questo proposito, occorre ricordare che, in applicazione della giurisprudenza citata supra al punto 184, spetta alla ricorrente dimostrare che le suddette condizioni sono state soddisfatte. Orbene, occorre insistere sul fatto che, anche se nel suo ricorso introduttivo la ricorrente fa riferimento, in modo generico e non circostanziato, agli sforzi intensi che essa avrebbe intrapreso per cooperare con la Commissione, evocando «numerosi giorni di lavoro degli specialisti di tecnologie dell’informazione» e «più di mille ore di verifica da parte di consulenti esterni» che avrebbero portato alla comunicazione volontaria alla Commissione di «168 documenti estratti dai sistemi di salvataggio di dati e dai server», l’argomentazione da essa sviluppata nell’ambito della presente censura si basa in realtà su alcuni documenti risalenti al periodo dell’infrazione citati ai punti 101, 104, 115 e 156 della decisione impugnata. Essa sostiene che tali documenti hanno rafforzato la tesi della Commissione e l’hanno aiutata nella sua indagine, dal momento che essa li cita nella decisione impugnata e che si tratta di rari documenti contemporanei nell’ambito di tale indagine. Inoltre, la comunicazione sulla cooperazione riconoscerebbe un grande valore a simili documenti contemporanei.

194    Tuttavia, tali argomenti non consentono di rimettere in discussione la valutazione effettuata dalla Commissione.

195    In primo luogo, per quanto riguarda il messaggio di posta elettronica interna della ricorrente citato al punto 101 della decisione impugnata, esso fa riferimento ad un accordo per un rialzo dei prezzi per il secondo trimestre del 1998 e ad un aumento del 5% per le lastre colate a partire dal 1° gennaio 1999 sul mercato del Regno Unito (v. la nota a piè di pagina n. 27 della decisione impugnata). Allo stesso modo, i documenti citati al punto 156 della decisione impugnata menzionano un aumento dei prezzi per il secondo semestre del 1998. Tuttavia, come sostenuto dalla Commissione, risulta dalla decisione impugnata (v., ad esempio, i punti 155, 157 e 158 della medesima) che, prima del ricevimento di tali documenti, essa era già a conoscenza delle discussioni sui prezzi e degli accordi sui rialzi dei prezzi a livello europeo per il secondo semestre del 1998.

196    Indubbiamente, come sottolineato dalla ricorrente, il documento citato al punto 101 della decisione impugnata ha permesso alla Commissione di illustrare il modo in cui si svolgevano le riunioni anticoncorrenziali in questione. Allo stesso modo, i documenti citati al punto 156 della decisione impugnata mostrano come venivano attuati gli aumenti di prezzo. Tuttavia, si tratta soltanto di informazioni che consentono di ricollocare nel loro contesto gli aumenti di prezzo per i quali la Commissione già disponeva di prove sufficienti.

197    In secondo luogo, per quanto riguarda i due messaggi di posta elettronica interna della ricorrente citati al punto 104 e nella nota a piè di pagina n. 31 della decisione impugnata per illustrare il fatto che gli aumenti di prezzo non sono stati sempre attuati (v. la citata nota n. 31 della decisione impugnata), occorre rilevare che, prima del ricevimento di tali documenti, la Commissione era già venuta a conoscenza di tale fatto e disponeva di prove in tal senso, come risulta da vari punti della decisione impugnata (v., ad esempio, punti 110, 120, 123, 125, 128, 129, 134, 140, 143, 148, 167 e 184 della medesima decisione). La circostanza, evidenziata dalla ricorrente, che si tratti dei soli documenti contemporanei all’infrazione citati nella sezione 4.2.3 della decisione impugnata, intitolata «Attuazione e monitoraggio degli accordi sui prezzi», non è di per sé idonea a dimostrare il suo valore aggiunto significativo.

198    In terzo luogo, per quanto riguarda il resoconto di una riunione citata al punto 115 della decisione impugnata, tale documento conferma soltanto che alla data indicata si è svolta una riunione tra la ricorrente e la Degussa, tenendo presente che le informazioni relative al carattere anticoncorrenziale di tale riunione sono state fornite dalla Degussa medesima. Inoltre, occorre rilevare che, nell’ambito del presente ricorso, la ricorrente sostiene proprio che il suddetto documento attribuisce un carattere legittimo alla riunione in questione e dunque essa non può validamente pretendere che detto documento abbia avuto un valore aggiunto significativo per la Commissione.

199    Inoltre, occorre sottolineare che la ricorrente non contesta la valutazione della Commissione secondo cui questa, nel momento in cui ha ricevuto i documenti suddetti, disponeva già in misura sufficiente di prove determinanti di altre imprese per provare i fatti. La ricorrente sostiene però che, conformemente alla comunicazione sulla cooperazione, il punto non è sapere se la Commissione avesse già ricevuto «sufficienti prove» per dimostrare la fondatezza della propria tesi, bensì sapere se i suoi elementi di prova «rafforzassero» tale tesi. Orbene, ad avviso della ricorrente, per quanto solida possa essere una tesi, essa può sempre essere corroborata da elementi di prova complementari o migliori, e in particolare da documenti contemporanei.

200    Tale argomentazione non può essere accolta. Infatti, essa significa, in sostanza, che qualsiasi elemento di prova citato in una decisione in materia di intese, e a maggior ragione un documento contemporaneo, dovrebbe essere considerato come costituente un «valore aggiunto significativo» ai sensi della comunicazione sulla cooperazione e giustificante così una riduzione dell’importo dell’ammenda. Orbene, un simile risultato sarebbe incompatibile con la giurisprudenza ricordata supra ai punti 181‑183.

201    È stato infatti statuito, ad esempio, che una dichiarazione che si limitava a corroborare, in una certa misura, una dichiarazione di cui la Commissione disponeva già, non agevolava in modo significativo l’assolvimento dei compiti di quest’ultima, e che quindi detta dichiarazione non poteva essere sufficiente a giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione (v. sentenza Gütermann e Zwicky/Commissione, cit. supra al punto 183, punto 222 e la giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che il semplice fatto che un documento presenti una certa utilità per la Commissione e che questa dunque se ne avvalga nella propria decisione non consente di giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione.

202    Inoltre, occorre rilevare che la ricorrente incentra la propria argomentazione sul tenore letterale del punto 22 della comunicazione sulla cooperazione, secondo il quale occorre verificare se «gli elementi di prova forniti rafforz[i]no (...) la capacità della Commissione di dimostrare i fatti in questione». Nondimeno, risulta chiaramente da tale punto che esso fornisce la definizione della nozione di «valore aggiunto», mentre invece il criterio pertinente per valutare l’opportunità di una riduzione dell’importo dell’ammenda, enunciato al punto 21 della suddetta comunicazione, è quello del «valore aggiunto significativo». Orbene, la ricorrente non cerca neppure di dimostrare in che modo i documenti da essa invocati avrebbero facilitato il compito della Commissione in modo «significativo».

203    Ne consegue che la ricorrente non ha dimostrato che la conclusione della Commissione ricordata supra al punto 188 fosse viziata da un manifesto errore di valutazione.

204    Pertanto, la presente censura deve essere respinta.

–       Sulla responsabilità della Commissione per il ritardo fatto segnare dalla ricorrente nel produrre i propri elementi rispetto alle altre imprese coinvolte

205    La ricorrente imputa alla Commissione di essere stata la causa della presentazione tardiva della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

206    In primo luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione è venuta meno al proprio obbligo di informarla dell’indagine per oltre un anno dopo che ne aveva dato notizia a tutti gli altri partecipanti all’intesa.

207    Quanto a tale punto, occorre sottolineare come la ricorrente non deduca alcuna violazione dei suoi diritti della difesa derivante da un’informazione asseritamente tardiva in merito all’indagine. Essa sostiene invece, in sostanza, che le sue possibilità di ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della sua cooperazione con la Commissione sono state compromesse.

208    A questo proposito, occorre ricordare che la prima misura istruttoria indirizzata alla ricorrente nell’ambito dell’indagine, ossia una richiesta di informazioni, risale al 29 luglio 2004 (v. supra, punto 10). Orbene, la Degussa ha proposto la propria domanda di immunità il 20 dicembre 2002 e le altre imprese interessate (Atofina, Barlo e Lucite) sono state necessariamente informate dell’indagine il 25 marzo 2003, data in cui hanno avuto inizio le ispezioni nei loro locali (v. supra, punto 7). Inoltre, il 3 aprile e l’11 luglio 2003, la Atofina e la Lucite hanno presentato le loro rispettive domande ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, le quali hanno portato a un risultato finale (v. supra, punti 8 e 28).

209    Pertanto, la situazione della ricorrente si differenzia da quella di tutti gli altri destinatari della decisione impugnata che potevano aspirare ad una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, dal momento che detta ricorrente ha costituito l’oggetto di una prima misura istruttoria sedici mesi dopo tali imprese. Orbene, come risulta da quanto precede (v. ad esempio supra, punto 183), il momento della presentazione di una domanda ai sensi della comunicazione suddetta può essere decisivo per quel che riguarda le prospettive di una riduzione dell’importo dell’ammenda.

210    Tuttavia, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, tale considerazione non è idonea a invalidare la valutazione dell’utilità della sua cooperazione con la Commissione e non può portare ad una riduzione dell’importo dell’ammenda a tale titolo.

211    Da un lato, la ricorrente non fa valere alcuna norma giuridica che avrebbe costituito la fonte di un obbligo per la Commissione, in quella fase, di informarla specificamente dell’indagine o di procedere a misure istruttorie nei suoi confronti, segnatamente al fine di consentirle, in tempo utile, di presentare una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

212    Inoltre, all’udienza la ricorrente ha esplicitamente riconosciuto, in risposta ad un quesito del Tribunale, da una parte, che essa aveva avuto la possibilità, al pari di qualsiasi altra impresa coinvolta, di depositare una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione nel momento voluto e, dall’altra, che gli elementi del fascicolo dimostravano che essa avrebbe potuto sapere, molto prima della prima misura istruttoria nei suoi confronti, che l’indagine nel settore dei metacrilati era in corso (v. anche infra, punti 216 e 217).

213    Del resto, occorre ricordare, in particolare, come risulti chiaramente dagli articoli 11 e 14 del regolamento n. 17 del Consiglio, del 6 febbraio 1962, Primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), in vigore fino al 30 aprile 2004, nonché dagli articoli 18‑20 del regolamento n. 1/2003, applicabile dopo tale data, che la Commissione «può» procedere a misure istruttorie, come richieste di informazioni o ispezioni. Così come da essa sostenuto, nessuna norma la obbliga ad adottare simili misure simultaneamente nei confronti di tutte le imprese interessate.

214    Inoltre, nel caso di specie, la Commissione ha confermato, in risposta ad un quesito scritto del Tribunale, che sin dal ricevimento di una lettera della Lucite del 7 aprile 2003 — ossia poco dopo le ispezioni del 25 marzo 2003 — essa era al corrente del possibile coinvolgimento della ricorrente nella vicenda. La Commissione ha però indicato che, per i bisogni immediati dell’indagine, essa non aveva giudicato necessario prendere contatto con la ricorrente in quel momento. Infatti, dato che l’unità commerciale che aveva commesso l’infrazione, ossia la ICI Acryclics, era stata ceduta alla Lucite, la Commissione avrebbe supposto che quest’ultima impresa fosse quella che si trovava nella posizione migliore, in questa fase, per rispondere ai quesiti riguardanti l’intesa, in quanto la stessa aveva accesso ai documenti e ai membri del personale pertinenti.

215    Pertanto, dato che tale valutazione non è stata contestata dalla ricorrente all’udienza, risulta che la decisione di non procedere a misure istruttorie presso la ricorrente prima del 29 luglio 2004 è stata fondata su elementi oggettivi.

216    Dall’altro lato, e in ogni caso, la Commissione, rispondendo ad un quesito scritto del Tribunale, ha prodotto due documenti comprovanti che l’esistenza dell’indagine in questione era stata resa pubblica dall’istituzione il 14 aprile 2003 e dalla Lucite il 17 giugno 2003, ossia prima della presentazione da parte della Lucite della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, in data 11 luglio 2003, e molto prima della presentazione della domanda della ricorrente rivolta a tal fine in data 18 ottobre 2004.

217    Ciò premesso, la ricorrente non può sostenere che il deposito tardivo della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione sia stato causato dal comportamento della Commissione. Inoltre, all’udienza, la ricorrente, rispondendo ad un quesito del Tribunale, ha riconosciuto, alla luce dei documenti suddetti, che essa avrebbe potuto sapere che vi era un’indagine in corso. Essa ha dunque dichiarato che a questo punto le sue censure nei confronti della Commissione si concentravano piuttosto sul modo in cui quest’ultima aveva agito nei suoi contatti con la Lucite (v. infra, punti 219 e segg.).

218    Ne consegue che l’argomentazione relativa ad un’informazione asseritamente tardiva in merito all’esistenza dell’indagine deve essere respinta.

219    In secondo luogo, la ricorrente si duole che la Commissione abbia comunicato alla Lucite che essa ricorrente non era a conoscenza dell’indagine e le abbia sconsigliato di informarla al riguardo.

220    Inoltre, all’udienza, la ricorrente ha sostenuto che il modo in cui la Commissione aveva agito nei suoi contatti con la Lucite, segnatamente nella sua lettera dell’8 maggio 2003 indirizzata a tale impresa, configurava una violazione dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento. Infatti, la Commissione avrebbe informato la Lucite che la ricorrente non aveva ancora presentato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, ed avrebbe dunque alterato la parità tra le imprese coinvolte, con riguardo all’applicazione della comunicazione suddetta. Fondandosi sulla soluzione elaborata dal Tribunale nella sentenza Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 148, la ricorrente chiede dunque una riduzione dell’importo dell’ammenda a motivo della violazione dei principi sopra menzionati.

221    In ordine a tale punto, occorre anzitutto rilevare che, nelle sue memorie difensive, la ricorrente non ha esplicitamente dedotto la violazione dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento nel presente contesto. Tuttavia, la ricorrente ha ampiamente criticato il modo in cui la Commissione aveva agito nei suoi contatti con la Lucite, affermando in particolare che, a causa del comportamento della Commissione, essa «non [era] stata informata in merito all’indagine su un piede di parità con gli altri partecipanti all’intesa» e che la Commissione aveva «interferito nella corsa a svantaggio [di essa ricorrente]». Date tali premesse, occorre constatare che l’argomentazione sollevata all’udienza costituisce l’ampliamento di un motivo dedotto nel ricorso introduttivo e presenta uno stretto collegamento con quest’ultimo, sicché essa deve essere dichiarata ricevibile ai sensi dell’articolo 48 del regolamento di procedura del Tribunale (v., in tal senso, ordinanza del presidente della Terza Sezione della Corte del 13 novembre 2001, Dürbeck/Commissione, C‑430/00 P, Racc. pag. I‑8547, punto 17; sentenza della Corte del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C‑402/05 P e C‑415/05 P, Racc. pag. I‑6351, punti 278 e 279, e sentenza del Tribunale del 21 marzo 2002, Joynson/Commissione, T‑231/99, Racc. pag. II‑2085, punto 156), come la ricorrente ha sostenuto all’udienza. Inoltre, invitata a formulare osservazioni in ordine a tale punto, la Commissione non ha sollevato alcuna obiezione quanto alla ricevibilità di tale argomentazione.

222    Occorre poi ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, nei casi in cui le istituzioni dell’Unione dispongono di un potere discrezionale per essere in grado di svolgere le proprie funzioni, il rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi ha un’importanza ancor più fondamentale. Tra queste garanzie rientra, in particolare, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare, con cura ed imparzialità, tutti gli elementi pertinenti del caso di specie (sentenze della Corte del 21 novembre 1991, Technische Universität München, C‑269/90, Racc. pag. I‑5469, punto 14, e del Tribunale del 24 gennaio 1992, La Cinq/Commissione, T‑44/90, Racc. pag. II‑1, punto 86). Tale obbligo deriva dal principio di buona amministrazione (v., in tal senso, sentenze Volkswagen/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 269, e Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 148, punto 129).

223    Per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, la Commissione non può, allorché valuta la cooperazione fornita dalle imprese, disattendere tale principio generale del diritto comunitario, il quale, per consolidata giurisprudenza, risulta violato quando situazioni paragonabili siano trattate in modo differente o quando situazioni differenti siano trattate in modo identico, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v. sentenza Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 148, punto 130 e la giurisprudenza ivi citata).

224    Occorre dunque esaminare il comportamento della Commissione nei suoi contatti con la Lucite alla luce di tali principi.

225    L’argomentazione della ricorrente in ordine a tale punto si basa su uno scambio di comunicazioni tra la Commissione e la Lucite, intervenuto nel corso del procedimento amministrativo.

226    Infatti, con lettera del 7 aprile 2003, ossia poco dopo l’ispezione del 25 marzo 2003 e prima della presentazione della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, la Lucite informava anzitutto la Commissione che la ricorrente era stata proprietaria del «business under investigation» durante la maggior parte del periodo indicato nella decisione di ispezione del 17 marzo 2003, ed affermava che la propria eventuale responsabilità avrebbe potuto riguardare soltanto il periodo a partire dall’ottobre 1999. Successivamente, la Lucite ha sollevato la questione «se la Commissione [avesse] preso dei contatti con la ICI plc o si propon[esse] di farlo nell’ambito della propria indagine». La Lucite precisava che, «[i]n caso negativo, essa [chiedeva] conferma alla Commissione riguardo al punto se tale istituzione avesse una qualche obiezione a che la Lucite prend[esse] contatto con la ICI plc e, una volta arrivato il momento, le [desse] accesso ai propri dipendenti e ai documenti relativi alla ICI Acrylics allo scopo di consentire alla ICI medesima di preparare la propria difesa».

227    Con una lettera dell’8 maggio 2003, il capo unità incaricato del caso ha risposto nei seguenti termini:

«(...) Desidero informarvi che non prendiamo posizione in merito ad una possibile presa di contatto da parte della Lucite con la ICI plc su questo tema. Desidero però attirare la vostra attenzione sul fatto che nel presente caso è già stata concessa un’immunità condizionata e che di conseguenza altre società coinvolte nel procedimento possono chiedere l’applicazione della clemenza soltanto a titolo della comunicazione [sulla cooperazione]. Inoltre, la clemenza può essere accordata soltanto ad una singola impresa. Una domanda congiunta di clemenza da parte di due o tre società non è dunque possibile (…)».

228    Secondo la ricorrente, la suddetta lettera della Commissione ha informato la Lucite che la ricorrente non era a conoscenza dell’indagine. Inoltre, la ricorrente sostiene che la Lucite ha creduto di ravvisare nella lettera e negli scambi di opinioni orali successivi una messa in guardia da parte della Commissione contro una presa di contatto con la ricorrente.

229    A sostegno di tale interpretazione, la ricorrente fa valere altresì alcuni scritti successivi della Lucite, intervenuti dopo il deposito da parte di quest’ultima della domanda presentata ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, l’11 luglio 2003, e dopo che la ricorrente era stata formalmente informata dalla Commissione dell’esistenza dell’indagine, mediante la richiesta di informazioni del 29 luglio 2004 (v. supra, punto 10).

230    Infatti, in un messaggio di posta elettronica del 12 agosto 2004 indirizzato alla ricorrente, l’avvocato della Lucite ha indicato in particolare quanto segue: «Come ho fatto presente in occasione della nostra conversazione, vi sono state delle osservazioni formulate nel corso delle indagini dalle quali risulta che la Commissione non teneva a che la Lucite discutesse dell’affare con la ICI».

231    Allo stesso modo, la ricorrente fa valere un messaggio di posta elettronica del 3 settembre 2004, indirizzato dall’avvocato della Lucite al funzionario della Commissione incaricato della pratica, nel quale detto avvocato indicava che «la ICI [aveva] chiesto alla Lucite alcuni documenti nonché la sua assistenza, ciò che la Lucite non [era] contrattualmente obbligata a fornire». La Lucite precisava inoltre che «[era] riluttante a soddisfare questo tipo di richieste senza la conferma scritta della posizione della Commissione, in particolare alla luce della propria domanda intesa alla riduzione dell’importo dell’ammenda», e che ciò era «in parte dovuto all’impressione, che la Lucite [aveva] ricavato da alcune conversazioni telefoniche e contatti precedenti con la Commissione, secondo cui quest’ultima non [aveva] contattato la ICI e non desidera[va] che la Lucite lo [facesse] (pur avendo la Commissione formalmente indicato nella propria lettera dell’8 maggio 2003 che essa non prendeva posizione su tale questione)».

232    In una lettera del 7 settembre 2004 indirizzata alla Lucite, la Commissione ha indicato che non vedeva obiezioni a che la Lucite accordasse alla ricorrente l’accesso al proprio personale e alla propria documentazione. Allo stesso tempo, la Commissione ha negato fermamente di aver dato una qualsivoglia istruzione alla Lucite riguardo ai contatti con la ricorrente.

233    Infine, in risposta a quest’ultima lettera, la Lucite, in una lettera del 7 settembre 2004 indirizzata alla Commissione, ha ricordato anzitutto il contenuto della lettera di quest’ultima dell’8 maggio 2003 ed ha successivamente indicato quanto segue:

«Nel corso di conversazioni telefoniche e scambi di corrispondenza con la Commissione (che possiamo indicare in dettaglio qualora sia necessario) era chiaro per la Lucite che la Commissione aveva deciso di non prendere contatto con la ICI plc fino ad oggi.

Tenuto conto di tali elementi e nello spirito di una cooperazione completa e sistematica nell’ambito dell’indagine della Commissione ai sensi della comunicazione [sulla cooperazione], la Lucite ha concluso — così come a nostro avviso si doveva ragionevolmente concludere — che la Commissione non avrebbe accolto favorevolmente una presa di contatto della Lucite con la ICI plc nel quadro dell’indagine in questione, sebbene, come voi sottolineate nella vostra lettera in data odierna, la Commissione non abbia impartito alcuna “istruzione” formale in materia».

234    Contrariamente a quanto la ricorrente sostiene (v. supra, punto 220), gli scambi suddetti, e in particolare la lettera della Commissione dell’8 maggio 2003, non consentono di constatare che quest’ultima abbia agito in violazione dei principi di buona amministrazione o di parità di trattamento.

235    In particolare, risulta chiaramente da tali scambi che la Commissione, così come da essa giustamente sostenuto, non ha impartito alcuna istruzione formale alla Lucite riguardo all’opportunità di contattare la ricorrente in merito all’indagine. Infatti, nella lettera dell’8 maggio 2003, essa ha esplicitamente affermato che non prendeva posizione su tale questione. Inoltre, la stessa Lucite riconosce, nei propri scritti, che la Commissione non ha impartito alcuna istruzione in tal senso, e fa riferimento esclusivamente alla propria «impressione» secondo cui la Commissione «non avrebbe accolto favorevolmente una presa di contatto della Lucite con la [ricorrente]».

236    Del resto, il generico rinvio effettuato dalla Lucite alle conversazioni telefoniche o ad altri contatti con la Commissione (v. supra, punti 231 e 233) non è sufficiente per dimostrare — considerata la contestazione da parte della Commissione (v. supra, punto 232) e in assenza di altri elementi di prova — che simili istruzioni siano state effettivamente impartite all’impresa suddetta.

237    Allo stesso modo, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, la Commissione non ha specificato alla Lucite se la ricorrente fosse già stata contattata dalla Commissione in merito all’indagine oppure se la ricorrente avesse già depositato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

238    Invero, la formulazione della lettera dell’8 maggio 2003 può essere stata ragionevolmente intesa dalla Lucite nel senso che non fosse nel proprio interesse prendere contatto con la ricorrente in merito all’indagine, al fine di concederle accesso ai propri dipendenti e ai documenti relativi alla ICI Acrylics, allo scopo di consentirle di preparare la sua difesa. Infatti, la Commissione non si è limitata ad affermare che essa «non prendeva posizione» su tale questione, bensì ha proseguito la propria lettera indicando, in sostanza, le condizioni alle quali la Lucite poteva ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda, sottolineando al tempo stesso che la clemenza poteva essere accordata soltanto ad una singola impresa. Su tale base, la Lucite ha altresì potuto supporre che la ricorrente non fosse, a quella data, al corrente dell’esistenza dell’indagine e non avesse depositato alcuna domanda di clemenza.

239    Inoltre, gli scritti successivi della Lucite (v. supra, punti 230, 231 e 233) confermano chiaramente che questi sono stati effettivamente i termini in cui essa ha compreso la posizione della Commissione, quale formulata nella sua lettera dell’8 maggio 2003.

240    Tuttavia, tali considerazioni non consentono di concludere per l’esistenza di una violazione dei principi fatti valere dalla ricorrente.

241    Infatti, la ricorrente non rimette in discussione la valutazione della Commissione, formulata nella lettera di quest’ultima dell’8 maggio 2003, secondo cui la clemenza poteva essere concessa soltanto ad una singola impresa e non era dunque possibile la presentazione di una domanda di clemenza congiunta da parte di due società. Pertanto, occorre constatare che, in tale lettera, la Commissione non ha fatto altro che indicare alla Lucite le modalità di applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

242    Orbene, alla luce del tenore letterale della suddetta comunicazione, la stessa Lucite doveva porsi il dubbio che la presa di contatto con la ricorrente potesse, eventualmente, influire negativamente sulle sue possibilità di ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda. Ciò risulta peraltro dalla sua lettera del 7 aprile 2003 (v. supra, punto 226), in cui essa chiede precisamente quale sia la posizione della Commissione in ordine a tale questione. Allo stesso modo, tenuto conto della logica inerente alla comunicazione sulla cooperazione, la quale incita ciascuna impresa a cooperare con la Commissione prima delle altre imprese interessate, verificando la propria strategia nell’ambito dell’indagine, la Lucite doveva comunque partire dal presupposto che la ricorrente fosse una sua potenziale concorrente nella «corsa» alla clemenza.

243    Date tali premesse, non si può sostenere che, attraverso i suddetti contatti con la Lucite, la Commissione abbia «interferito nella corsa a svantaggio [della ricorrente]», così come quest’ultima sostiene (v. supra, punto 221). Infatti, la Lucite poteva, alla luce della comunicazione sulla cooperazione, avere ragionevolmente conoscenza delle informazioni che le sono state trasmesse.

244    Pertanto, la decisione della Lucite di non contattare la ricorrente in merito all’indagine deve essere considerata il risultato della visione che essa stessa aveva del proprio interesse in rapporto alla comunicazione sulla cooperazione. Risulta da quanto precede che la decisione della Lucite avrebbe potuto essere differente soltanto se la Commissione l’avesse esplicitamente autorizzata a prendere contatto con la ricorrente, assicurandole però che ciò non avrebbe avuto alcuna conseguenza sulle sue opportunità a titolo della cooperazione. Tuttavia, la ricorrente non sostiene che la Commissione fosse tenuta a fornire alla Lucite simili assicurazioni, alla luce dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento da essa invocati o, del resto, alla luce della comunicazione sulla cooperazione.

245    Pertanto, le circostanze del caso di specie si distinguono nettamente da quelle della vicenda su cui si è pronunciata la sentenza Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 148, fatta valere dalla ricorrente, nella quale la violazione dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento derivava dalle affermazioni apertamente discriminatorie nei confronti della società interessata nell’ambito dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione (v., in tal senso, sentenza Hoechst/Commissione, cit. supra al punto 148, punto 136). Come risulta da quanto precede, non è dimostrato che una simile situazione si sia verificata nel caso di specie.

246    Pertanto, l’argomentazione della ricorrente relativa ad una violazione dei principi di buona amministrazione e di parità di trattamento deve essere respinta.

247    Inoltre, la ricorrente non può utilmente invocare il comportamento tenuto dalla Commissione nei suoi contatti con la Lucite, al fine di rimettere in discussione l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione effettuata nei suoi confronti nell’ambito della decisione impugnata.

248    Infatti, occorre rilevare, da un lato, che l’applicazione della comunicazione sulla cooperazione si basa su una valutazione dell’utilità oggettiva degli elementi di prova comunicati ai fini della scoperta e della dimostrazione dell’illecito e, dall’altro, che essa mira a fornire un incitamento ai membri del cartello a cooperare spontaneamente con la Commissione. Orbene, la Commissione non può essere considerata responsabile né per l’estensione limitata della cooperazione della ricorrente, né per la tardività di tale cooperazione. Tali aspetti sono invece imputabili alla ricorrente medesima, così come risulta dal fascicolo, e, eventualmente, alla oggettiva situazione di fatto nella quale essa si trovava, a motivo della cessione della ICI Acrylics alla Lucite. In particolare, occorre ricordare che la ricorrente riconosce nella fattispecie che avrebbe potuto venire a conoscenza dell’indagine almeno a partire dal 14 aprile 2003 (v. supra, punti 212, 216 e 217).

249    Inoltre, non è dimostrato che la decisione impugnata avrebbe avuto un contenuto differente in ordine a tale punto se la Commissione si fosse semplicemente limitata, nella sua lettera dell’8 maggio 2003, a non prendere posizione sulla domanda della Lucite. Occorre ricordare, in particolare, che la ricorrente non rimette in discussione la valutazione compiuta dalla Commissione nella sua lettera dell’8 maggio 2003, secondo cui una domanda presentata congiuntamente a tale titolo dalla ricorrente stessa e dalla Lucite non era comunque possibile.

250    Ne consegue che la prima parte del motivo deve essere respinta là dove mira a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata.

 Sulla seconda parte del motivo, relativa al rifiuto di riconoscere il merito della cooperazione della ricorrente al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione

251    In via subordinata, la ricorrente asserisce di aver diritto ad una riduzione dell’importo dell’ammenda al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione, a titolo dell’importante cooperazione volontaria di cui essa ha dato prova nel corso dell’indagine. La ricorrente ritiene di aver fornito una cooperazione effettiva ed utile, offrendo informazioni che andavano oltre quanto la Commissione aveva chiesto in applicazione dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003, tra le quali, in particolare, alcuni elementi a carico che sono stati citati nei suoi confronti nella decisione impugnata, relativamente alle lastre compatte in PMMA.

252    A questo proposito, occorre ricordare che, al punto 3, sesto trattino, degli orientamenti, la Commissione ha previsto una circostanza attenuante relativa alla collaborazione effettiva dell’impresa al procedimento, al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

253    Nella specie, la Commissione ha dichiarato, al punto 392 della decisione impugnata, di aver esaminato, ai sensi della succitata disposizione, se la cooperazione di una delle imprese coinvolte le avesse permesso di constatare l’esistenza dell’infrazione con minori difficoltà. Al punto 393 della decisione impugnata, essa ha affermato — preso atto dell’entità e del valore assai limitato della cooperazione fornita dalle imprese e vista la loro contestazione dei fatti al di fuori di tale cooperazione limitata — che non esisteva alcuna altra circostanza che comportasse una riduzione degli importi delle ammende al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione, circostanza che, nelle ipotesi di intese segrete, potrebbe comunque essere soltanto di natura eccezionale.

254    Quanto a quest’ultimo punto, la Commissione ha citato la propria decisione C(2005) 4012 def., del 20 ottobre 2005, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81, paragrafo 1, [CE] (Caso COMP/C.38.281/B.2 — Tabacco greggio — Italia), nella quale essa ha revocato l’immunità condizionata concessa ad un’impresa per il fatto che quest’ultima era successivamente venuta meno all’obbligo di cooperazione cui era tenuta a norma della comunicazione sulla cooperazione. La Commissione ha tuttavia concesso a tale impresa una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo delle circostanze attenuanti previste dagli orientamenti, al fine di tener conto del contributo sostanziale da essa fornito alla sua indagine.

255    Inoltre, per quanto riguarda specificamente la ricorrente, la Commissione ha affermato anche, al punto 419 della decisione impugnata, che essa non soddisfaceva le condizioni per ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione.

256    In primo luogo, la ricorrente sostiene che la valutazione della Commissione è errata nella misura in cui quest’ultima ha limitato la possibilità di riduzione dell’importo dell’ammenda al di fuori della comunicazione sulla cooperazione a «circostanze eccezionali» (punto 393 della decisione impugnata).

257    Tale argomento deve essere respinto.

258    Infatti, l’applicazione del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti non può avere come conseguenza di privare la comunicazione sulla cooperazione del suo effetto utile. Orbene, risulta chiaramente dalla citata comunicazione che essa definisce il quadro che consente di ricompensare, per la loro cooperazione all’indagine della Commissione, le imprese che sono o sono state parte di intese segrete comportanti effetti pregiudizievoli per l’Unione. Ne consegue che le imprese non possono, in via di principio, ottenere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione fornita se non quando esse soddisfino le condizioni previste dalla citata comunicazione.

259    Inoltre, occorre sottolineare che la ricorrente ha depositato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, e che la sua cooperazione rientrava nell’ambito di applicazione di tale comunicazione, ma è stata ritenuta insufficiente per giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda. La presente fattispecie si differenzia dunque nettamente dal caso esaminato nella sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, T‑224/00 (Racc. pag. II‑2597), invocata dalla ricorrente. Infatti, in quel caso, l’impresa interessata aveva fornito alla Commissione informazioni relative ad atti per i quali essa non avrebbe dovuto comunque versare alcuna ammenda e che dunque, secondo il Tribunale, non rientravano nell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione. È in queste circostanze che il Tribunale ha ritenuto l’impresa suddetta comunque meritevole di una riduzione dell’importo dell’ammenda ai sensi del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti, segnatamente in considerazione del fatto che la sua cooperazione aveva permesso alla Commissione di dimostrare una maggior durata dell’infrazione (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit., punti 294‑298, 306 e 311). Pertanto, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, il Tribunale non ha riconosciuto in tale sentenza che la cooperazione di un’impresa possa essere ricompensata anche nel caso in cui essa non soddisfi il criterio del valore aggiunto significativo ai sensi della comunicazione sulla cooperazione.

260    Inoltre, va rigettato anche l’argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, una riduzione dell’importo dell’ammenda sarebbe giustificata per il solo fatto che un’impresa comunichi informazioni che vanno al di là di quelle il cui rilascio può essere preteso dalla Commissione ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003, come, ad esempio, elementi a carico.

261    Invero, la giurisprudenza ha statuito che la collaborazione di un’impresa all’indagine non dà diritto ad alcuna riduzione dell’importo dell’ammenda qualora tale collaborazione non sia andata oltre quanto tale impresa era tenuta a fare in forza degli obblighi che le incombevano ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 1/2003 (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 10 marzo 1992, Solvay/Commissione, T‑12/89, Racc. pag. II‑907, punti 341 e 342, e Groupe Danone/Commissione, cit. supra al punto 61, punto 451). Tuttavia, non è necessariamente vero l’inverso. Infatti, anche elementi a carico possono presentare un’utilità limitata per la Commissione, segnatamente in correlazione ai contributi precedenti delle altre imprese. Orbene, l’utilità di un’informazione costituisce l’elemento decisivo nell’ambito della valutazione della domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione con la Commissione (v. la giurisprudenza cit. supra ai punti 181‑183).

262    Ne consegue che giustamente la Commissione ha ritenuto che l’applicazione del punto 3, sesto trattino, degli orientamenti dovesse aver luogo in casi eccezionali.

263    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che, in ogni caso, il criterio delle «circostanze eccezionali» era soddisfatto nel caso di specie. Essa precisa di aver fatto sforzi considerevoli al fine di presentare documenti contemporanei, i quali sono stati successivamente citati nella decisione impugnata, e ciò sebbene essa avesse venduto la ICI Acrylics cinque anni prima dell’inizio dell’indagine, non fosse a conoscenza di alcuno dei fatti in questione e fosse stata esclusa dall’indagine fino ad una fase tardiva di quest’ultima, e fa valere di essere stata penalizzata nell’ambito della procedura di cooperazione «senza alcuna ragione legittima».

264    A questo proposito è sufficiente rilevare che, come risulta da quanto precede, la ricorrente non ha confutato la valutazione della Commissione secondo cui, su un totale di 168 documenti da essa trasmessi a quest’ultima, alcuni erano utili soltanto per le informazioni generali, ad esempio su taluni aspetti dell’attuazione dell’intesa, ma nessuno di essi ha permesso alla detta istituzione di provare i fatti, tenuto conto delle informazioni già in suo possesso (punto 419 della decisione impugnata).

265    La risposta al quesito se le circostanze del caso di specie siano a tal punto «eccezionali» da giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione non può prescindere dalla qualità e dall’utilità oggettiva delle informazioni trasmesse per l’indagine (v., in tal senso, la giurisprudenza ricordata supra ai punti 181‑183).

266    Orbene, risulta da quanto precede che l’utilità delle informazioni fornite dalla ricorrente era molto limitata in quanto, in particolare, esse non hanno consentito alla Commissione di dimostrare l’esistenza, l’ampiezza o la durata dell’infrazione (v., in tal senso e per analogia, sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 259, punti 302 e 311).

267    Date tali circostanze, gli elementi invocati dalla ricorrente e riepilogati supra al punto 263 non possono giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della sua cooperazione con la Commissione. Del resto, occorre ricordare che erroneamente la ricorrente sostiene che la presentazione tardiva della sua domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione potesse essere imputata al comportamento della Commissione (v. supra, punti 212, 216 e 217).

268    Infine, occorre esaminare l’argomento della ricorrente secondo cui, rifiutando di tener conto della sua cooperazione, la Commissione ha violato il principio di parità di trattamento, in quanto ha trattato la ricorrente allo stesso modo dei partecipanti all’intesa che non avevano cooperato, ancorché questi ultimi non si trovassero in situazioni analoghe.

269    A questo proposito occorre ricordare che, nell’ambito della valutazione della cooperazione fornita dalle imprese, la Commissione non può violare il principio di parità di trattamento (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 259, punto 308 e la giurisprudenza ivi citata).

270    Tale principio esige che situazioni paragonabili non siano trattate in modo differente e che situazioni differenti non siano trattate in modo identico, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v. sentenza della Corte dell’11 settembre 2007, Lindorfer/Consiglio, C‑227/04 P, Racc. pag. I‑6767, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

271    La ricorrente non ha dimostrato che nella fattispecie il suddetto principio sia stato violato.

272    Da un lato, essa non contesta la Commissione là dove questa afferma di averla trattata allo stesso modo di tutti gli altri partecipanti all’intesa che avevano presentato una domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione, valutando le prove fornite da ciascuno di essi.

273    Dall’altro, la ricorrente non ha dimostrato che si trovasse in una situazione differente da quella della Barlo, ossia l’unico destinatario della decisione impugnata che non ha presentato una domanda siffatta e che, al pari di essa, non ha ottenuto alcuna riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione con la Commissione. Al contrario, risulta dal fascicolo che, proprio come la Barlo, la ricorrente non aveva fornito informazioni la cui utilità avrebbe giustificato una riduzione dell’importo dell’ammenda. È dunque giocoforza constatare che la ricorrente si trovava in una situazione paragonabile a quella della Barlo, con riferimento all’obiettivo perseguito mediante la riduzione dell’importo dell’ammenda cui essa mira nell’ambito del presente motivo, e che essa ha ricevuto, sotto questo aspetto, lo stesso trattamento.

274    Del resto, e ad ogni buon conto, risulta dalla sentenza del Tribunale del 30 novembre 2011, Quinn Barlo e a./Commissione, T‑208/06 (Racc. pag. II‑7953, punto 274), che anche la Barlo ha cooperato, in una certa misura, con la Commissione, senza che tale cooperazione abbia giustificato una riduzione dell’importo dell’ammenda.

275    Ne consegue che la seconda parte del motivo deve essere respinta là dove mira a sostenere la domanda di annullamento dell’articolo 2 della decisione impugnata.

276    Inoltre, per i motivi che precedono, gli elementi addotti dalla ricorrente nell’ambito del quinto motivo non consentono di giustificare una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della sua cooperazione con la Commissione, nell’esercizio della competenza estesa al merito spettante al Tribunale.

277    Pertanto, alla luce di quanto precede, il quinto motivo deve essere interamente respinto.

 Sul sesto motivo, sollevato all’udienza a titolo della competenza estesa al merito del Tribunale e relativo alla durata eccessiva del procedimento

278    La ricorrente fa valere che la durata del procedimento amministrativo e di quello giurisdizionale ha complessivamente ecceduto il termine ragionevole, in violazione dei suoi diritti fondamentali sanciti, in particolare, dall’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Essa rileva, infatti, che la prima misura adottata nei suoi confronti nell’ambito della presente vicenda risale al 29 luglio 2004 e che, al giorno dell’udienza, l’8 novembre 2011, essa era ancora in attesa della sentenza del Tribunale.

279    Inoltre, la ricorrente censura specificamente la durata del procedimento dinanzi al Tribunale compresa tra la fine della fase scritta e la decisione di avvio della fase orale del procedimento. Essa afferma di non conoscere le circostanze che possono giustificare tale durata.

280    Di conseguenza, fondandosi sulla sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, e sulle conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nelle cause decise dalla Corte con le sentenze del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione, C‑109/10 P (Racc. pag. I‑10329), e Solvay/Commissione, C‑110/10 P (Racc. pag. I‑10439), la ricorrente sostiene che la durata eccessiva del procedimento dovrebbe portare alla riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta nella decisione impugnata.

281    La Commissione sostiene che vi sono circostanze idonee a giustificare la durata del procedimento. Ad ogni modo, essa insiste sul fatto che il presente motivo non può essere diretto contro la decisione impugnata e che la durata del procedimento amministrativo non può essere considerata eccessiva. Inoltre, essa rileva la mancanza di chiarezza degli argomenti della ricorrente.

282    A questo proposito occorre ricordare che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, ai fini della determinazione sia dei suoi diritti e doveri di carattere civile sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta.

283    In quanto principio generale del diritto dell’Unione, tale diritto si applica nell’ambito di un ricorso giurisdizionale avverso una decisione della Commissione. Tale diritto è stato del resto riaffermato all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1), e detto articolo attiene al principio di tutela giurisdizionale effettiva (v. sentenza della Corte del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt — Duales System Deutschland/Commissione, C‑385/07 P, Racc. pag. I‑6155, punti 178 e 179 e la giurisprudenza ivi citata).

284    Inoltre, secondo una costante giurisprudenza, il principio del termine ragionevole è applicabile anche nell’ambito dei procedimenti amministrativi in materia di politica della concorrenza dinanzi alla Commissione (v. sentenza della Corte del 21 settembre 2006, Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione, C‑105/04 P, Racc. pag. I‑8725, punto 35 e la giurisprudenza ivi citata). Esso è stato riaffermato, in quanto tale, all’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a norma del quale ogni persona ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione.

285    L’articolo 41, paragrafo 1, e l’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea contengono dunque due enunciazioni di un unico e medesimo principio a carattere procedurale, vale a dire quello secondo cui gli amministrati possono attendersi l’adozione di una decisione entro un termine ragionevole.

286    Nel caso di specie, pur deducendo la violazione del suddetto principio, la ricorrente non sostiene che la durata del procedimento abbia avuto una qualche incidenza sul contenuto della decisione impugnata o che essa possa pregiudicare la soluzione della presente controversia. In particolare, la ricorrente non sostiene che la suddetta durata abbia avuto un effetto qualsivoglia sulle sue possibilità di difesa, e ciò indifferentemente nell’ambito del procedimento amministrativo oppure di quello giurisdizionale. Essa non chiede neppure l’annullamento della decisione impugnata a motivo dell’asserita violazione.

287    Per contro, la ricorrente chiede al Tribunale di tener conto della durata eccessiva del procedimento ai fini della propria competenza estesa al merito e di ridurre l’importo dell’ammenda per tale motivo, così come la Corte ha fatto nella sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53.

288    Occorre ricordare che la fattispecie su cui si è pronunciata la sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, invocata dalla ricorrente, riguardava un’impugnazione proposta contro una sentenza del Tribunale, con la quale quest’ultimo aveva inflitto alla parte ricorrente un’ammenda per violazione delle regole di concorrenza, in virtù della competenza estesa al merito di cui detto giudice dispone a tal fine — competenza estesa al merito di cui la Corte stessa può beneficiare quando annulla una siffatta sentenza del Tribunale e statuisce sul ricorso (sentenza della Corte del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, Racc. pag. I‑6513, punto 206).

289    Al punto 33 della sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, la Corte ha rammentato a questo proposito il diritto della parte ricorrente ad un processo equo entro un termine ragionevole e, in particolare, il diritto ad ottenere una pronuncia sulla fondatezza delle accuse di violazione del diritto della concorrenza sollevate nei suoi confronti dalla Commissione, nonché sulla fondatezza delle ammende che le sono state inflitte (sentenza FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 288, punto 207).

290    Avendo constatato che tale termine era stato, in quel caso, superato dal Tribunale, la Corte ha statuito, per ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo contro tale vizio procedurale, che un annullamento e una riforma della sentenza del Tribunale limitate alla sola questione della determinazione dell’importo dell’ammenda permettevano nel caso di specie la concessione dell’equo indennizzo richiesto (sentenze Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, punti 47, 48 e 141, e FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 288, punto 208).

291    Occorre constatare che tale soluzione è applicabile, in via analogica, nel caso di specie.

292    Infatti, occorre ricordare che il Tribunale dispone nella fattispecie di una competenza estesa al merito, a norma dell’articolo 31 del regolamento n. 1/2003, in applicazione dell’articolo 261 TFUE, e che, peraltro, la ricorrente ha presentato dinanzi ad esso conclusioni in tal senso.

293    Orbene, come già statuito dalla giurisprudenza, tale competenza estesa al merito legittima il Tribunale a riformare l’atto impugnato, anche in assenza di annullamento, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto, al fine di modificare, ad esempio, l’importo dell’ammenda inflitta (sentenze Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, cit. supra al punto 97, punto 692; Prym e Prym Consumer/Commissione, cit. supra al punto 112, punto 86, e JFE Engineering e a./Commissione, cit. supra al punto 54, punto 577).

294    Pertanto, qualora nella fattispecie dovesse constatarsi una violazione del principio del termine ragionevole, anche dovuta, eventualmente, alla durata del procedimento giurisdizionale dinanzi al Tribunale, quest’ultimo sarebbe in grado, attraverso la riforma della decisione impugnata, di condannare la ricorrente al pagamento di un importo dal quale potrebbe essere eventualmente detratta la somma corrispondente ad un equo indennizzo per la durata eccessiva della procedura (v., in tal senso e per analogia, sentenza FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 288, punto 210).

295    Un siffatto esercizio della competenza estesa al merito si imporrebbe in particolare per ragioni di economia processuale e al fine di garantire un rimedio immediato ed effettivo contro una siffatta violazione del principio del termine ragionevole (v., in tal senso e per analogia, sentenza Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 48).

296    Ne consegue che il Tribunale è nella specie competente a statuire sull’espressa domanda della ricorrente intesa alla riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della durata eccessiva della procedura, anche là dove detta domanda riguarda la durata del procedimento dinanzi al Tribunale [v. anche, in tal senso, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Solvay/Commissione, C‑109/10 P, cit. supra al punto 280 (paragrafi 243 e 275), e nella causa Solvay/Commissione, C‑110/10 P, cit. supra al punto 280 (paragrafi 86 e 118)].

297    Inoltre, occorre insistere sul fatto che il presente motivo verte sulla durata complessiva della procedura riguardante la ricorrente, vale a dire sulla durata combinata del procedimento amministrativo e di quello giurisdizionale. Date tali circostanze, anche se il suddetto motivo è stato sollevato soltanto all’udienza, esso non può essere considerato irricevibile perché tardivo, anche là dove riguarda la durata del procedimento amministrativo. Infatti, la durata complessiva della procedura costituisce un elemento di fatto nuovo, che giustifica, a norma dell’articolo 48, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la presentazione di detto motivo in corso di giudizio.

298    A questo proposito, occorre ricordare che la durata dell’iter procedurale censurata dalla ricorrente è compresa tra il 29 luglio 2004, data della prima misura istruttoria emessa nei suoi confronti nell’ambito dell’indagine condotta dalla Commissione, e l’8 novembre 2011, data dell’udienza nella presente causa. Essa corrisponde dunque ad un periodo di sette anni e quattro mesi circa.

299    Il carattere ragionevole di tale periodo di tempo deve essere valutato alla luce delle circostanze proprie di ciascuna fattispecie e, in particolare, tenendo conto degli interessi che vengono in gioco per l’interessato nella controversia, della complessità del caso, nonché del comportamento di detto interessato e di quello delle autorità competenti (sentenze Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, punto 29, e FIAMM e a./Consiglio e Commissione, cit. supra al punto 288, punto 212).

300    Occorre rilevare che tale durata complessiva censurata dalla ricorrente si suddivide in due fasi chiaramente distinte, vale a dire il procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione e il procedimento giurisdizionale dinanzi al Tribunale.

301    In primo luogo, per quanto riguarda il procedimento amministrativo, è giocoforza rilevare che la ricorrente non ha chiarito in che modo la durata di quest’ultimo potrebbe di per sé essere considerata eccessiva.

302    In ogni caso, tale durata, nella parte riguardante la ricorrente (un anno e dieci mesi circa, tra il 29 luglio 2004 e il 31 maggio 2006, data di adozione della decisione impugnata), non può, nelle circostanze del caso di specie, essere considerata eccessiva. A questo proposito, è sufficiente rilevare che si tratta di un’indagine che ha coinvolto un numero elevato di imprese e che ha richiesto l’esame di una notevole quantità di questioni di fatto e di diritto. Inoltre, la descrizione dell’iter procedurale seguito dalla Commissione, contenuta nei punti 79‑93 della decisione impugnata, non consente di individuare periodi di inattività ingiustificata.

303    In secondo luogo, occorre esaminare la durata del procedimento giurisdizionale, alla luce delle circostanze pertinenti del caso di specie (v. supra, punto 299).

304    Per quanto riguarda l’importanza degli interessi in gioco per la ricorrente nella presente causa, è giocoforza constatare che la ricorrente non adduce alcun argomento al riguardo.

305    Ad ogni modo, occorre ricordare che la ricorrente non ha, nel caso di specie, presentato conclusioni dirette all’annullamento dell’articolo 1 della decisione impugnata, nella parte in cui tale disposizione la dichiara responsabile per la violazione dell’articolo 81 CE. Così, la ricorrente non ha chiesto di statuire sulla fondatezza delle accuse mosse nei suoi confronti dalla Commissione, e dunque la causa non verte sull’esistenza o meno di una violazione delle norme in materia di concorrenza (v., in tal senso e per analogia, sentenze Baustahlgewebe/Commissione, cit. supra al punto 53, punti 30 e 33, e Der Grüne Punkt — Duales System Deutschland/Commissione, cit. supra al punto 283, punto 186).

306    Pertanto, l’unico interesse che potrebbe venire in gioco per la ricorrente nella presente causa riguarda l’ammenda che le è stata inflitta in virtù della decisione impugnata. Orbene, va sottolineato il fatto che la ricorrente non ha presentato alcun argomento che consenta di valutare l’importanza per essa di tale interesse in gioco.

307    Inoltre, anche se nelle sue conclusioni la ricorrente chiede l’annullamento dell’articolo 2, lettera c), della decisione impugnata (v. supra, punto 36), è giocoforza constatare che i motivi dedotti a sostegno del presente ricorso non avrebbero potuto — anche a supporli tutti fondati — determinare la soppressione pura e semplice dell’ammenda, ma soltanto una riduzione del suo importo.

308    Non è dunque dimostrato che nella presente causa venga in gioco un interesse rilevante per la ricorrente.

309    Per quanto riguarda il comportamento della ricorrente, esso non ha contribuito in modo significativo alla durata del procedimento.

310    Per quanto riguarda il comportamento delle autorità competenti e la complessità del caso, occorre constatare che la durata del periodo compreso tra l’11 aprile 2007, data di conclusione della fase scritta del procedimento, e il 15 settembre 2011, data di avvio della fase orale del medesimo (quattro anni e cinque mesi circa), censurata dalla ricorrente, è notevole.

311    Tale durata si spiega però con le circostanze e con la complessità della causa.

312    Infatti, occorre ricordare che la Commissione ha concluso, nella decisione impugnata, che quattordici società, costituenti cinque imprese ai sensi del diritto della concorrenza, avevano violato l’articolo 81 CE mediante un insieme di accordi e di pratiche concordate a carattere anticoncorrenziale nel settore dei metacrilati (v. supra, punti 1‑4). Il ricorso della ricorrente costituisce uno dei cinque ricorsi contro la decisione impugnata, che sono stati proposti in due lingue di procedura differenti.

313    Tali ricorsi sollevavano un numero rilevante di questioni di fatto e di diritto, tali da richiedere un’approfondita istruttoria da parte del Tribunale, la quale si è tradotta, in particolare, in una serie di misure di organizzazione del procedimento adottate in ciascuna delle cause instaurate nonché, in una di queste, nella riapertura della fase orale della procedura.

314    Inoltre, la connessione per oggetto di tali ricorsi ha richiesto che il loro esame avvenisse, in parte, in modo parallelo. Tuttavia, fatta eccezione per una connessione più stretta tra due di tali ricorsi (cause T‑206/06 e T‑217/06), ciascuno di essi sollevava questioni di fatto e di diritto differenti, di modo che gli effetti sinergici sono stati limitati. Il Tribunale ha così pronunciato cinque sentenze, delle quali la presente è l’ultima di tale gruppo, mentre le altre sono le sentenze del 7 giugno 2011, Total e Elf Aquitaine/Commissione, T‑206/06 (non pubblicata nella Raccolta), ed Arkema France e a./Commissione, cit. supra al punto 171; del 15 settembre 2011, Lucite International e Lucite International UK/Commissione, T‑216/06 (non pubblicata nella Raccolta), e del 30 novembre 2011, Quinn Barlo e a./Commissione, T‑208/06 (Racc. pag. II‑7953).

315    Inoltre, occorre rilevare che l’istruttoria approfondita della causa ha permesso in particolare la pronuncia della presente sentenza entro un termine relativamente breve dopo la chiusura della fase orale del procedimento in data 15 dicembre 2011, e ciò pur in presenza delle incombenze di natura linguistica che si impongono al Tribunale in forza del regolamento di procedura.

316    Pertanto, la durata del procedimento giurisdizionale nel suo complesso è stata di cinque anni e nove mesi.

317    Orbene, in assenza di qualsiasi argomento della ricorrente riguardante l’importanza dell’interesse che verrebbe in gioco per essa nella presente causa, e tenuto conto delle considerazioni enunciate supra ai punti 305‑308, dalle quali risulta che la causa non esigeva, in virtù della sua natura o della sua importanza per la ricorrente, una particolare rapidità, tale durata non è idonea, nelle circostanze del caso di specie, a giustificare la richiesta riduzione dell’importo dell’ammenda.

318    Tale constatazione si impone, a fortiori, con riguardo alla durata complessiva del procedimento amministrativo e di quello giurisdizionale costituente l’oggetto del presente motivo di ricorso (v. supra, punti 297 e 298), la quale, presa nel suo complesso, non può essere considerata eccessivamente lunga, alla luce delle circostanze qui sopra esaminate.

319    Pertanto, il presente motivo deve essere respinto, e con esso va altresì respinto il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

320    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Imperial Chemical Industries Ltd è condannata alle spese.

Czúcz

Labucka

Gratsias

Firme

Indice

Fatti

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, relativo all’insufficienza degli elementi comprovanti la partecipazione della ricorrente all’infrazione per quanto riguarda le masse da stampaggio in PMMA

Sul secondo motivo, relativo all’assenza di motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda l’«importo di base» dell’ammenda

Sul terzo motivo, relativo alla violazione, da parte della Commissione, dell’obbligo ad essa incombente di suddividere l’«importo di base» tra la ricorrente e la Lucite

Sul quarto motivo, relativo al carattere inappropriato della maggiorazione dell’importo di partenza dell’ammenda a titolo dell’effetto dissuasivo

Sulla prima parte del motivo, relativa all’erronea valutazione, da parte della Commissione, della capacità finanziaria effettiva della ricorrente

Sulla seconda parte del motivo, relativa alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

Sul quinto motivo, relativo al rifiuto ingiustificato di concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della cooperazione con la Commissione

Sulla prima parte del motivo, riguardante il rifiuto di concedere una riduzione dell’importo dell’ammenda a titolo della comunicazione sulla cooperazione

– Sull’erronea valutazione del valore aggiunto degli elementi contenuti nella domanda ai sensi della comunicazione sulla cooperazione

– Sulla responsabilità della Commissione per il ritardo fatto segnare dalla ricorrente nel produrre i propri elementi rispetto alle altre imprese coinvolte

Sulla seconda parte del motivo, relativa al rifiuto di riconoscere il merito della cooperazione della ricorrente al di fuori dell’ambito di applicazione della comunicazione sulla cooperazione

Sul sesto motivo, sollevato all’udienza a titolo della competenza estesa al merito del Tribunale e relativo alla durata eccessiva del procedimento

Sulle spese


* Lingua processuale: l’inglese.