Language of document : ECLI:EU:T:2009:236

Causa T‑24/07

ThyssenKrupp Stainless AG

contro

Commissione delle Comunità europee

«Concorrenza — Intese — Prodotti piatti di acciaio inossidabile — Decisione che accerta una violazione dell’art. 65 CA, successivamente alla scadenza del Trattato CECA, in applicazione del regolamento (CE) n. 1/2003 — Extra di lega — Competenza della Commissione — Imputabilità del comportamento illecito — Autorità di cosa giudicata — Diritti della difesa — Accesso al fascicolo — Prescrizione — Principio del ne bis in idem — Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo»

Massime della sentenza

1.      Atti delle istituzioni — Scelta del fondamento giuridico — Normativa comunitaria — Requisito di chiarezza e di prevedibilità — Indicazione espressa del fondamento giuridico

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 7, n. 1, e 23, n. 2)

2.      Concorrenza — Intese — Intese soggette ratione materiae e ratione temporis al regime giuridico del Trattato CECA — Scadenza del Trattato CECA

(Art. 65, n. 1, CA; art. 81 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 7, n. 1, e 23, n. 2)

3.      Atti delle istituzioni — Applicazione nel tempo — Norme di procedura — Norme sostanziali — Distinzione — Retroattività di una norma sostanziale — Presupposti

(Art. 65, n. 1, CA; art. 305 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 7, n. 1, e 23, n. 2)

4.      Ricorso di annullamento — Sentenza di annullamento — Portata — Autorità assoluta di cosa giudicata — Portata

5.      Concorrenza — Ammende — Decisione della Commissione che riguarda la stessa impresa e la stessa infrazione di una decisione precedente parzialmente annullata

(Art. 233 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23)

6.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Prescrizione in materia di azioni — Imputazione dell’infrazione a una persona giuridica diversa dalla persona responsabile della gestione dell’impresa al momento dell’infrazione

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 25, nn. 1 e 2; decisione generale n. 715/78, art. 1, nn. 1 e 2)

7.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Comunicazione degli addebiti — Contenuto necessario — Rispetto dei diritti della difesa

(Art. 233 CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 27)

8.      Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa — Accesso al fascicolo — Obbligo di consentire la consultazione integrale del fascicolo

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 27, n. 2; comunicazione della Commissione 2005/C 325/07, punti 18, 19 e 23)

9.      Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Non imposizione o riduzione dell’ammenda in contropartita della cooperazione dell’impresa incriminata

(Regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23; comunicazione della Commissione 96/C 207/04, titolo D)

1.      Nell’ordinamento giuridico comunitario le istituzioni dispongono soltanto di competenze di attribuzione. Per questo motivo nel preambolo degli atti comunitari viene indicato il fondamento normativo che legittima l’istituzione di cui trattasi ad agire nel settore considerato. La scelta del fondamento normativo appropriato riveste, infatti, un’importanza di natura costituzionale.

Inoltre, la legislazione comunitaria dev’essere chiara e la sua applicazione dev’essere prevedibile per tutti gli interessati. Tale esigenza di certezza del diritto impone che qualsiasi atto che miri a produrre degli effetti giuridici tragga la propria forza vincolante da una disposizione del diritto comunitario che dev’essere espressamente indicata come fondamento normativo e che prescrive la forma giuridica di cui l’atto dev’essere rivestito.

Peraltro, una sanzione, anche di natura non penale, può essere inflitta solo qualora abbia un fondamento normativo chiaro ed inequivoco.

Infine, la disposizione che costituisce il fondamento normativo di un atto e legittima l’istituzione comunitaria ad adottare l’atto in questione deve essere in vigore al momento della sua adozione.

Una decisione con cui la Commissione accerta, dopo la scadenza del Trattato CECA, che un’impresa ha commesso un’infrazione all’art. 65, n. 1, CA ed infligge a quest’ultima un’ammenda ha il suo fondamento normativo, quanto all’accertamento dell’infrazione, nell’art. 7, n. 1, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] e, quanto all’imposizione dell’ammenda, nell’art. 23, n. 2, dello stesso regolamento, e non nell’art. 65 CA. Una siffatta decisione può peraltro menzionare l’art. 65, n. 1, CA, ovvero la disposizione sostanziale diretta alle imprese ed alle associazioni di imprese con il divieto di taluni comportamenti anticoncorrenziali. Essa può altresì fare riferimento all’applicabilità dell’art. 65, n. 5, CA nel contesto di una discussione relativa al principio della lex mitior al fine di giustificare l’applicazione, per il calcolo dell’importo dell’ammenda, di tale disposizione e non dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003.

(v. punti 64, 69-70, 74, 160, 163, 168)

2.      Se è pur vero che la successione del quadro normativo del Trattato CE a quello del Trattato CECA ha comportato, a partire dal 24 luglio 2002, una modifica dei fondamenti normativi, delle procedure e delle norme sostanziali applicabili, quest’ultima si inserisce tuttavia nel contesto dell’unità e della continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e dei suoi obiettivi. A questo proposito, l’istituzione e il mantenimento di un regime di libera concorrenza, nel cui ambito siano garantite le normali condizioni di concorrenza, e che è in particolare all’origine delle norme in materia di intese tra imprese, costituiscono uno degli obiettivi essenziali sia del Trattato CE sia del Trattato CECA. In questo contesto, per quanto le norme dei Trattati CECA e CE che disciplinano la materia delle intese tra imprese divergano in una certa misura, le nozioni di accordo e di pratica concordata sotto la vigenza dell’art. 65, n. 1, CA corrispondono a quelle di accordo e di pratiche concordate ai sensi dell’art. 81 CE e entrambe tali disposizioni sono state interpretate allo stesso modo dal giudice comunitario. Pertanto, il perseguimento dell’obiettivo di una concorrenza non falsata nei settori inizialmente rientranti nel mercato comune del carbone e dell’acciaio non subisce interruzione a seguito della scadenza del Trattato CECA, poiché questo obiettivo è parimenti perseguito nell’ambito del Trattato CE, dalla medesima istituzione, la Commissione, autorità amministrativa incaricata dell’attuazione e dello sviluppo della politica della concorrenza nell’interesse generale della Comunità.

La continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e degli obiettivi che presiedono al suo funzionamento richiede, pertanto, che la Comunità europea, in quanto subentrata alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, e nel suo proprio quadro procedurale, assicuri, nei riguardi delle situazioni sorte sotto la vigenza del Trattato CECA, il rispetto dei diritti e degli obblighi che a suo tempo si imponevano sia agli Stati membri, sia pure ai singoli, in forza del Trattato CECA e delle disposizioni adottate per la sua applicazione. Tale requisito si afferma a maggior ragione in quanto la distorsione della concorrenza risultante dall’inosservanza delle norme in materia di intese è tale da estendere i suoi effetti nel tempo dopo la scadenza del Trattato CECA, sotto la vigenza del Trattato CE.

Ne risulta che il regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] e, più particolarmente, i suoi artt. 7, n. 1, e 23, n. 2, devono essere interpretati nel senso che consentono alla Commissione di accertare e sanzionare, dopo il 23 luglio 2002, le intese tra imprese realizzate in settori rientranti ratione materiae e ratione temporis nell’ambito di applicazione del Trattato CECA e questo benché le citate disposizioni di detto regolamento non menzionino espressamente l’art. 65 CA.

(v. punti 80-84)

3.      Benché le norme di procedura si ritengano generalmente applicabili a tutte le controversie pendenti al momento in cui entrano in vigore, altrettanto non vale per le norme sostanziali. Invero, queste ultime debbono essere interpretate, al fine di garantire il rispetto dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, nel senso che non riguardano situazioni maturate anteriormente alla loro entrata in vigore salvo che emerga chiaramente dai loro termini, dalle loro finalità o dalla loro sistematica che si deve attribuire loro questo effetto.

In questa ottica, la continuità dell’ordinamento giuridico comunitario e i dettami dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento impongono l’applicazione delle disposizioni sostanziali adottate conformemente al Trattato CECA ai fatti rientranti nel loro ambito di applicazione ratione materiae e ratione temporis. La circostanza che, a causa della scadenza del Trattato CECA, il quadro normativo di cui trattasi non sia più in vigore al momento in cui viene effettuata la valutazione della situazione di fatto è irrilevante, in quanto tale valutazione verte su una situazione giuridica definitivamente maturata in un’epoca in cui erano applicabili le disposizioni sostanziali adottate ai sensi del Trattato CECA.

Quanto ad una decisione della Commissione adottata dopo la scadenza del Trattato CECA sul fondamento degli artt. 7, n. 1, e 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE], a seguito di un procedimento condotto conformemente al detto regolamento, dato che le disposizioni relative al fondamento normativo e al procedimento seguito fino all’adozione della decisione rientrano nelle norme di procedura, le norme applicabili sono appunto quelle contenute nel regolamento n. 1/2003.

L’art. 23 del regolamento n. 1/2003, che autorizza la Commissione ad imporre ammende alle imprese e associazioni d’imprese che hanno violato gli artt. 81 CE e 82 CE, non stabilisce una norma sostanziale, la quale, per definizione, non è diretta a fornire un fondamento normativo all’azione della Commissione.

Peraltro, quanto alle norme sostanziali, dato che la detta decisione riguarda una situazione giuridica definitivamente maturata anteriormente alla scadenza del Trattato CECA, e in assenza di qualsiasi efficacia retroattiva del diritto sostanziale della concorrenza applicabile dal 24 luglio 2002, l’art. 65, n. 1, CA costituisce la norma sostanziale applicabile, fermo restando che proprio dalla natura di lex generalis del Trattato CE rispetto al Trattato CECA, sancita dall’art. 305 CE, risulta che il regime specifico del Trattato CECA e delle norme adottate per la sua applicazione è, in forza del principio lex specialis derogat legi generali, l’unico applicabile alle situazioni maturate prima del 24 luglio 2002.

(v. punti 85-89, 165)

4.      La questione relativa all’autorità della cosa giudicata è di ordine pubblico e, pertanto, dev’essere sollevata d’ufficio dal giudice comunitario.

Il principio dell’autorità di cosa definitivamente giudicata riveste un’importanza fondamentale sia nell’ordinamento giuridico comunitario sia negli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, quanto una buona amministrazione della giustizia, occorre che decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento degli strumenti di ricorso esperibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione.

L’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale di cui trattasi. Non riguarda solo il dispositivo delle decisioni giurisdizionali di annullamento, ma si estende alla motivazione che costituisce il necessario fondamento del suo dispositivo e ne è di conseguenza inscindibile.

Qualora il giudice comunitario venga invitato a pronunciarsi, nell’ambito di un secondo ricorso − dopo aver parzialmente annullato una decisione che sanzionava un’impresa per violazione delle regole comunitarie di concorrenza a motivo del fatto che la Commissione, quand’anche eccezionalmente legittimata ad imputare ad un’impresa, in considerazione della dichiarazione di quest’ultima in tal senso, la responsabilità del comportamento contestato ad un’altra impresa, non rispetta tuttavia i diritti di difesa della prima impresa allorché non le dà modo di presentare le proprie osservazioni in merito al detto comportamento − sulla legittimità dell’atto che sostituisce la decisione parzialmente annullata, il punto di diritto attinente alla validità della dichiarazione summenzionata quale fondamento giuridico dell’imputazione dell’operato della seconda impresa alla prima impresa è già stato esaminato e deciso in modo definitivo dal giudice comunitario e, quindi, ha autorità di cosa giudicata, sebbene il secondo ricorso verta su un atto formalmente diverso dalla prima decisione.

(v. punti 94, 112-113, 139-140, 143-144)

5.      Il principio del ne bis in idem, principio fondamentale del diritto comunitario, sancito peraltro dall’art. 4, n. 1, del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, vieta, in materia di concorrenza, che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile. L’applicazione del principio del ne bis in idem è soggetta ad una triplice condizione di identità dei fatti, di unicità del contravventore e di unicità dell’interesse giuridico tutelato.

Qualora il giudice comunitario dichiari che, in considerazione della dichiarazione di un’impresa diretta ad assumersi la responsabilità di un comportamento illecito di una seconda impresa, la Commissione è eccezionalmente legittimata ad imputare alla prima impresa la responsabilità del comportamento della seconda impresa, poi, dopo aver rilevato l’esistenza di un vizio di procedura relativo ad una violazione dei diritti della difesa della prima impresa, annulli la decisione nella parte in cui imputa a quest’ultima la responsabilità della violazione commessa dalla seconda impresa, riduca, di conseguenza, la sua ammenda dell’importo di quella ad essa inflitta per l’infrazione commessa dalla seconda impresa e fissi ad un certo importo l’ammenda inflitta alla prima impresa per il suo proprio comportamento anticoncorrenziale, spetta alla Commissione, ai sensi dell’art. 233 CE, porre rimedio all’illegittimità accertata dal giudice comunitario. La Commissione può quindi, dopo aver rimediato al vizio di procedura, legittimamente, adottare una decisione intesa unicamente ad imputare alla prima impresa la responsabilità della violazione delle regole di concorrenza commessa dalla seconda impresa, sul fondamento della dichiarazione summenzionata, e imporle, di conseguenza, un’ammenda. Una siffatta decisione non costituisce, in nessun caso, una seconda sanzione del comportamento illecito della prima impresa, già punita, in modo definitivo, dalla prima decisione.

Inoltre, l’assunzione di responsabilità tramite la detta dichiarazione non riduce le due infrazioni commesse dalle imprese in causa ad un’unica infrazione. Peraltro, esaminando di nuovo ed unicamente l’operato anticoncorrenziale della seconda impresa, una siffatta decisione non viola nemmeno il principio del ne bis idem. Infine, il principio del ne bis in idem non osta, di per sé, ad una riattivazione dei procedimenti aventi ad oggetto lo stesso comportamento anticoncorrenziale nel caso in cui una prima decisione sia stata annullata per motivi di forma, senza che sia intervenuta una pronuncia sul merito dei fatti contestati, poiché in tal caso la decisione di annullamento non ha valore di «assoluzione» nel senso attribuito a tale termine in materia penale. In un’ipotesi siffatta, le sanzioni irrogate dalla nuova decisione non si cumulano con quelle inflitte dalla decisione annullata, bensì vi si sostituiscono.

(v. punti 141, 178-179, 183-190)

6.      Benché, in linea di principio, incomba alla persona fisica o giuridica che dirigeva l’impresa interessata al momento della commissione dell’infrazione alle regole comunitarie di concorrenza risponderne, anche qualora, alla data dell’adozione della decisione che accerta l’infrazione, la gestione dell’impresa fosse posta sotto la responsabilità di un’altra persona, questo eccezionalmente non vale qualora la persona sotto la cui responsabilità è stata ormai posta la gestione dell’impresa abbia dichiarato di accettare di essere ritenuta responsabile dei fatti contestanti alla sua dante causa. Dal punto di vista giuridico si ritiene pertanto che l’infrazione de qua sia stata commessa dalla persona sotto la cui responsabilità è stata ormai posta la gestione dell’impresa. Spetta unicamente ad essa rispondere dell’infrazione che le è giuridicamente imputabile in considerazione della dichiarazione effettuata. In tale contesto, per determinare se una decisione della Commissione che sanziona un’impresa che ha fatto una simile dichiarazione sia stata adottata nel rispetto delle norme di prescrizione, si deve esaminare se, alla data in cui è stata adottata la decisione, la Commissione fosse ancora legittimata ad infliggere un’ammenda a tale impresa, non se la sanzione avrebbe potuto essere imposta al «dante causa» di tale impresa.

(v. punti 200, 202-203, 207-208)

7.      La comunicazione degli addebiti deve contenere una descrizione degli addebiti redatta in termini sufficientemente chiari, se anche sommari, da consentire agli interessati di prendere effettivamente atto dei comportamenti di cui la Commissione fa loro carico. Il rispetto dei diritti della difesa in un procedimento che può risolversi in sanzioni per infrazione alla regole di concorrenza impone, infatti, che le imprese ed associazioni di imprese interessate siano messe in grado, fin dal procedimento amministrativo, di esprimere efficacemente il loro punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti, degli addebiti e delle circostanze allegati dalla Commissione. Tale esigenza è rispettata quando la decisione non pone a carico degli interessati infrazioni diverse da quelle contemplate nell’esposizione degli addebiti e prende in considerazione soltanto fatti sui quali gli interessati hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista. Ne deriva che la Commissione può prendere in considerazione soltanto quegli addebiti sui quali questi ultimi hanno avuto modo di manifestare il proprio punto di vista.

Solo i documenti citati o menzionati nella comunicazione degli addebiti costituiscono, in linea di massima, mezzi di prova opponibili al destinatario della comunicazione degli addebiti.

L’unico obbligo a carico della Commissione, ai sensi dell’art. 233 CE, allorché dà esecuzione ad una sentenza che rileva l’esistenza di un vizio di procedura attinente ad una violazione dei diritti della difesa e annulla una decisione della Commissione nella parte in cui imputa ad un’impresa la responsabilità dell’infrazione commessa da un’altra impresa, è quello di rimuovere, nell’atto destinato a sostituirsi all’atto annullato, l’illegittimità effettivamente constatata. Il procedimento diretto a sostituire l’atto annullato deve in linea di principio essere ripreso dal punto preciso in cui l’illegittimità si è verificata. Nel dare esecuzione ad una siffatta sentenza, la Commissione può quindi indirizzare una nuova comunicazione degli addebiti all’impresa i cui diritti della difesa sono stati violati e, alla luce dell’identità degli elementi di fatto e di diritto rispetto al procedimento originario, presentare in allegato la vecchia comunicazione degli addebiti con i suoi allegati.

(v. punti 225, 228, 230-233, 235)

8.      La comunicazione riguardante le regole per l’accesso al fascicolo istruttorio della Commissione nei casi relativi all’applicazione degli articoli 81 [CE] e 82 [CE], degli articoli 53, 54 e 57 dell’accordo SEE e del regolamento n. 139/2004 precisa che il fascicolo della Commissione può contenere documenti accessibili e non accessibili, laddove questi ultimi comprendono, in particolare, documenti contenenti due categorie d’informazioni, ossia segreti aziendali e altre informazioni riservate, l’accesso alle quali può essere soggetto a restrizione parziale o totale e che sono definiti ai punti 18 e 19 della detta comunicazione. Ai sensi dell’ultimo periodo del punto 23 della detta comunicazione, «come regola generale, la Commissione presume che non siano più riservate le informazioni riguardanti il fatturato, le vendite e i dati sulla quota di mercato delle parti, e altre informazioni analoghe, se esse risalgono a più di cinque anni prima». Le espressioni «come regola generale» e «presume», che figurano nel detto periodo, escludono qualsiasi automaticità nel qualificare un documento risalente a più di cinque anni prima. Il diniego della Commissione di dare accesso ad un documento non può quindi essere considerato ingiustificato per il solo fatto che il detto documento risale a più di dieci anni prima e avrebbe pertanto perduto il suo carattere riservato.

(v. punti 257-260, 270)

9.      Per beneficiare di una riduzione dell’importo dell’ammenda sulla base della comunicazione sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese del 1996, il comportamento di un’impresa deve agevolare il compito della Commissione che consiste nel constatare e reprimere infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza e spetta alla Commissione valutare, in ogni singolo caso, se il detto comportamento le abbia effettivamente agevolato il lavoro. Inoltre, una riduzione sulla base della comunicazione sulla cooperazione è giustificabile solo ove le informazioni fornite e, più in generale, il comportamento dell’impresa interessata potessero essere considerati, al riguardo, una prova di un effettivo spirito di cooperazione da parte della stessa.

Il comportamento di un’impresa che, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, contesta con vigore che la Commissione possa applicare le regole comunitarie di concorrenza e imputarle la responsabilità dell’infrazione alle dette regole, aggiungendo una dichiarazione intesa a dimostrare la sua cooperazione, che, in realtà, è intrinsecamente ambigua e fuorviante, rivela una strategia diretta a conciliare obiettivi contraddittori e non può essere reputato quale prova di un genuino spirito di cooperazione da parte sua.

(v. punti 309, 311-313)