Language of document : ECLI:EU:C:2011:192

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 29 marzo 2011 (1)

Cause riunite C‑509/09 e C‑161/10

eDate Advertising GmbH

contro

X (C-509/09)

e

Olivier Martinez e

Robert Martinez

contro

Société MGN Limited (C-161/10)

[domande di pronuncia pregiudiziale proposte, rispettivamente, dal Bundesgerichtshof (Germania) e dal Tribunal de grande instance di Parigi Francia)]

«Competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Competenza “in materia di illeciti civili dolosi o colposi” – Violazioni dei diritti della personalità che possono avvenire mediante la pubblicazione di informazioni su Internet – Art. 5, punto 3 – Definizione di “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” – Applicabilità della giurisprudenza Shevill della Corte di giustizia – Direttiva 2000/31/CE – Art. 3, nn. 1 e 2 – Determinazione dell’esistenza di una norma di conflitto in materia di diritti della personalità»






1.        I presenti procedimenti riuniti, avviati in seguito alle domande proposte dal Bundesgerichtshof e dal Tribunal de grande instance di Parigi, vertono innanzitutto su diverse questioni relative all’interpretazione dell’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) n. 44/2001, concernente la competenza giurisizionale, il riconoscimento e l’esecuzione di decisioni in materia civile e commerciale (2).

2.        In particolare, le suddette giurisdizioni interrogano la Corte sulla portata della competenza dei giudici nazionali a conoscere delle controversie sulla violazione dei diritti della personalità compiuti per mezzo di siti Internet. Com’è noto, la Corte di giustizia si è già pronunciata in merito all’applicazione dell’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 (norma allora contenuta nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968) alle fattispecie di diffamazione (3) a mezzo stampa, con la sentenza Shevill dell’anno 1995 (4). Le due questioni sollevate nella presente occasione permettono alla Corte di definire l’adattabilità di tale pronuncia a una realtà soggetta a importanti cambiamenti, dove la stampa su supporto cartaceo ha ceduto terreno, a ritmo crescente e irreversibile, ai mezzi di comunicazione elettronici diffusi attraverso Internet.

3.        Con ciò si delinea un fattore che indubbiamente è sempre stato implicitamente presente nel complesso della problematica dei danni arrecati ai diritti della personalità derivanti da un’attività di comunicazione sociale, in qualunque modalità essa avvenga. La tutela giurisdizionale di tali diritti non può, in effetti, prescindere dal fatto che gli stessi devono essere affermati in un contesto di conflitto con la libertà di comunicazione (5), con la quale devono essere ponderati. Occorre essere consapevoli della complessità di tale situazione in modo da sviluppare un’adeguata riflessione sul tema centrale dei presenti procedimenti riuniti, che altro non è che la determinazione della competenza giurisdizionale internazionale nel caso di controversie originate da violazioni dei diritti della personalità avvenute nell’ambito della «rete».

4.        Infine, il Bundesgerichtshof domanda altresì se il diritto dell’Unione, in particolare l’art. 3 della direttiva 2000/31/CE, relativa al commercio elettronico in Internet (6), assuma il carattere di norma di conflitto per determinare la legge applicabile alla responsabilità extracontrattuale derivante da atti contrari ai diritti della personalità realizzati per mezzo di una pagina web.

I –    Contesto normativo dell’Unione

5.        Il regolamento n. 44/2001 prevede un insieme di regole sulla competenza giurisdizionale, così come sul riconoscimento di decisioni, volte a unificare i criteri di determinazione del foro in materia civile e commerciale. Gli obiettivi del regolamento sono riportati nei relativi ‘considerando’, tra cui, ai fini dell’attuale controversia, occorre richiamare i seguenti:

«(11)      Le norme sulla competenza devono presentare un alto grado di prevedibilità ed articolarsi intorno al principio della competenza del giudice del domicilio del convenuto, la quale deve valere in ogni ipotesi salvo in alcuni casi rigorosamente determinati, nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento. Per le persone giuridiche il domicilio deve essere definito autonomamente, in modo da aumentare la trasparenza delle norme comuni ed evitare i conflitti di competenza.

(12)      Il criterio del foro del domicilio del convenuto deve essere completato attraverso la previsione di fori alternativi, ammessi in base al collegamento stretto tra l’organo giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia».

6.        Nelle disposizioni sulla competenza giurisdizionale il regolamento prevede all’art. 2, e come regola generale, il foro del domicilio del convenuto:

«Articolo 2

1.      Salve le disposizioni del presente regolamento, le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro.

(…)».

7.        L’art. 3 del regolamento prevede possibili eccezioni alla regola del foro generale quando si verifichino le condizioni elencate nelle sezioni da 2 a 7 del capo II. Tra i fori speciali contemplati spicca la previsione del foro previsto all’art. 5, punto 3:

«Articolo 5

La persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:

(...)

3)      in materia di illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire;».

8.        La direttiva 2000/31, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, recita all’art. 1, n. 4: «La presente direttiva non introduce norme supplementari di diritto internazionale privato, né tratta delle competenze degli organi giurisdizionali».

9.        L’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 2000/31 configura una norma di mutuo riconoscimento del seguente tipo:

«Articolo 3

Mercato interno

1.      Ogni Stato membro provvede affinché i servizi della società dell’informazione, forniti da un prestatore stabilito nel suo territorio, rispettino le disposizioni nazionali vigenti in detto Stato membro nell’ambito regolamentato.

2.      Gli Stati membri non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la circolazione dei servizi [della] società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro».

II – Fatti

A –    Nella causa eDate Advertising (C‑509/09)

10.      Nel 1993 il sig. X, di nazionalità tedesca e residente nella Repubblica federale di Germania, veniva condannato all’ergastolo da un tribunale tedesco per l’omicidio di un famoso attore tedesco. A partire dal gennaio 2008 gli era concessa la sospensione condizionale della pena.

11.      La società austriaca eDate Advertising GmbH (in prosieguo: la «eDate») gestisce un portale Internet, che si definisce «medium liberale e politicamente indipendente» e si rivolge a «gay, bisessuali e transgender». Dal 23 agosto 1999 la eDate ha diffuso informazioni sul sig. X, identificandolo con nome e cognome e indicando che questi, assieme al fratello (condannato per lo stesso delitto), aveva presentato ricorso avverso la loro condanna dinanzi alla Corte costituzionale tedesca.

12.      In data 5 giugno 2007 il sig. X esortava la convenuta ad interrompere la diffusione di notizie sulla propria persona; a tale richiesta non seguiva una risposta scritta, anche se dopo diversi giorni, in data 18 giugno, tali informazioni venivano eliminate dal suddetto sito Internet.

13.      Il sig. X si rivolgeva ai giudici tedeschi, richiedendo l’ingiunzione per la eDate, valida su tutto il territorio della Repubblica federale di Germania, ad astenersi dalla pubblicazione di qualsivoglia notizia riguardante la propria persona. Il Landgericht Hamburg, investito della causa in primo grado, accoglieva il ricorso del sig. X, così come il giudice d’appello, l’Hanseatisches Oberlandesgericht.

14.      In entrambi i casi, la eDate si opponeva allegando il difetto di competenza giurisdizionale internazionale dei giudici civili tedeschi. Contro la sentenza d’appello, la eDate presentava ricorso per cassazione dinanzi al Bundesgerichtshof, invocando nuovamente il difetto di competenza dei giudici tedeschi, ed è su tale questione che vertono le tre domande di pronuncia pregiudiziale sollevate da detto tribunale.

B –    Nella causa Martinez e Martinez (C‑161/10)

15.      In data 3 febbraio 2008 il periodico britannico Sunday Mirror pubblicava nell’edizione on-line una serie di fotografie che accompagnavano un testo, dal titolo «Kylie Minogue torna con Olivier Martinez». L’articolo riportava l’incontro della coppia a Parigi, alludendo al fatto che «si erano separati lo scorso anno» e che la «romantica passeggiata di 23 ore» confermava la ripresa del rapporto sentimentale. L’articolo attribuiva poi una serie di dichiarazioni al sig. Robert Martinez, padre del sig. Olivier Martinez.

16.      Olivier Martinez e Robert Martinez, entrambi di nazionalità francese, hanno citato la società di diritto inglese MNG Limited, proprietaria del periodico Sunday Mirror, presso il Tribunal de grande instance di Parigi, in considerazione del fatto che le informazioni pubblicate con tale mezzo costituivano una violazione del diritto al rispetto della loro vita privata, e per Olivier Martinez, del diritto all’immagine. La convenuta, citata dinanzi al giudice il 28 agosto 2008, contestava la competenza giurisdizionale internazionale dei giudici francesi, allegando che il giudice competente a livello internazionale era quello britannico, e più specificamente la High Court of Justice.

17.      Ascoltate le parti, e dopo aver sollevato una questione pregiudiziale presso la Corte di giustizia (dichiarata irricevibile per manifesto difetto di competenza (7)), il Tribunal de grande instance si rivolgeva nuovamente al giudice dell’Unione al fine di confermare l’ambito di competenza dei giudici francesi.

III – Le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

18.      Il 9 dicembre 2009 è pervenuta alla Corte di giustizia la domanda di pronuncia pregiudiziale iscritta al ruolo con il numero C‑509/09, con cui il Bundesgerichtshof sollevava le seguenti questioni:

«1)      Se, per l’ipotesi di (minacciata) violazione di diritti della personalità attraverso contenuti di un sito Internet, la locuzione “luogo in cui l’evento dannoso può avvenire” di cui all’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in prosieguo: il “regolamento Bruxelles I”), debba essere interpretata nel senso che

l’interessato può esercitare un’azione inibitoria contro il gestore del sito Internet, indipendentemente dallo Stato membro di stabilimento del gestore, anche dinanzi ai giudici di ogni Stato membro in cui il sito Internet può essere consultato,

oppure

la competenza dei giudici di uno Stato membro, in cui il gestore del sito Internet non è stabilito, presuppone che, oltre alla mera accessibilità tecnica a tale sito, sussista uno specifico collegamento dei contenuti controversi o del sito Internet con lo Stato del foro.

2)      Qualora sia richiesto un siffatto collegamento con lo Stato del foro:

secondo quali criteri esso vada riscontrato;

se assume rilievo il fatto che il sito Internet cui si riferisce l’azione inibitoria si rivolga, alla luce delle scelte del gestore, (anche) agli utenti di Internet nello Stato del foro, o se sia sufficiente che le informazioni accessibili sul sito presentino un collegamento oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che, secondo le circostanze del caso concreto ed in particolare in base al contenuto del sito controverso, un conflitto tra interessi contrapposti – l’interesse del ricorrente al rispetto dei propri diritti della personalità e l’interesse del gestore ad impostare discrezionalmente il proprio sito e a fornire informazione – possa essersi verificato o potrà verificarsi nello Stato del foro;

se, al fine del riscontro di tale collegamento con lo Stato del foro, sia determinante il numero di accessi al sito Internet controverso operati da detto Stato.

3)      Ove, ai fini della sussistenza della competenza giurisdizionale, non sia necessario alcuno specifico collegamento con lo Stato del foro oppure tale collegamento si presuma qualora le informazioni controverse presentino un collegamento oggettivo con lo Stato del foro, nel senso che un conflitto tra contrapposti interessi, alla luce delle circostanze del caso concreto ed in particolare in base al contenuto del sito Internet controverso, possa essersi verificato o potrà verificarsi in detto Stato e la presunzione di tale collegamento non presupponga il riscontro di un numero minimo di accessi al sito Internet controverso dallo Stato del foro:

se l’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (in prosieguo: la “direttiva sul commercio elettronico”), debba essere interpretato nel senso che

alle menzionate disposizioni va attribuito carattere di norme di conflitto, nel senso che esse, anche nell’ambito del diritto civile, prescrivono la sola applicazione del diritto vigente nel paese d’origine, con esclusione delle norme di conflitto nazionali,

oppure

tali disposizioni costituiscono un correttivo rilevante sul piano giuridico materiale, attraverso il quale l’esito giuridico sostanziale del diritto individuato come applicabile dalle norme di conflitto nazionali viene modificato a livello contenutistico e ridotto alle prescrizioni normative dello Stato d’origine.

Per il caso in cui i nn. 1 e 2 dell’art. 3 della direttiva sul commercio elettronico abbiano carattere di norme di conflitto:

se le disposizioni citate si limitino a prescrivere la sola applicazione del diritto sostanziale del paese d’origine o prescrivano anche l’applicazione delle norme di conflitto ivi in vigore, con la conseguenza che resti possibile il rinvio da parte del diritto dello Stato di origine al diritto dello Stato del foro».

19.      Il 6 aprile 2010 è pervenuta alla Corte di Giustizia la domanda di pronuncia pregiudiziale, sollevata dal Tribunal de grande instance di Parigi, formulata nei seguenti termini:

«Se gli artt. 2 e 5, [punto 3,] del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, debbano essere interpretati nel senso che riconoscono la competenza del giudice di uno Stato membro a decidere in merito ad un’azione per una violazione dei diritti della personalità commessa mediante la pubblicazione di informazioni e/o fotografie su un sito Internet edito in un altro Stato membro da una società stabilita in detto secondo Stato (oppure in un terzo Stato membro, in ogni caso diverso dal primo):

–      alla mera condizione che tale sito Internet possa essere consultato a partire dal primo Stato, oppure

–      solamente qualora tra l’evento dannoso e il territorio del primo Stato sussista un collegamento sufficiente, sostanziale e significativo e, in questa seconda ipotesi, se il collegamento possa derivare:

–      dalla quantità di connessioni alla pagina controversa provenienti dal primo Stato membro, in valore assoluto o relativo al numero totale di connessioni alla pagina,

–      dalla residenza o dalla nazionalità della persona che lamenta la violazione dei propri diritti della personalità o, più in generale, dalla residenza o dalla nazionalità delle persone interessate,

–      dalla lingua in cui è diffusa l’informazione controversa o da qualunque altro elemento idoneo a dimostrare la volontà dell’editore del sito Internet di rivolgersi specificamente al pubblico del primo Stato,

–      dal luogo in cui sono avvenuti i fatti lamentati e/o dove sono state effettuate le riprese fotografiche eventualmente pubblicate in linea,

–      da altri criteri».

20.      Per la causa eDate Advertising (C‑509/09) hanno presentato osservazioni scritte i rappresentanti della eDate e il sig. X, i governi di Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Austria e Regno Unito, nonché la Commissione.

21.      Per la causa Martinez e Martinez (C‑161/10) hanno presentato osservazioni scritte la società MNG Limited, i governi di Danimarca, Francia e Austria, nonché la Commissione.

22.      Con ordinanza 29 ottobre 2010 il Presidente della Corte di giustizia ha deciso di riunire i procedimenti C-509/09 e C-161/10 ai sensi dell’art. 43 del regolamento di procedura.

23.      Il 22 novembre 2010 il sig. X ha presentato richiesta di gratuito patrocinio alla Corte di giustizia, la quale veniva respinta con ordinanza 10 dicembre 2010.

24.      All’udienza del 14 dicembre 2010 erano presenti i rappresentanti della MGN Limited e della eDate, gli agenti dei governi di Danimarca e Grecia, nonché della Commissione.

IV – Sull’ammissibilità della questione pregiudiziale della causa eDate Advertising (C‑509/09)

25.      La Repubblica italiana sostiene che le questioni pregiudiziali della causa eDate Advertising devono essere dichiarate irricevibili, in quanto le informazioni oggetto di controversia sono state rimosse dalla eDate in seguito alla richiesta della ricorrente. L’azione inibitoria esercitata dal sig. X sarebbe perciò, secondo il governo italiano, svincolata dalle questioni interpretative sollevate innanzi alla Corte di Giustizia.

26.      Secondo una costante giurisprudenza, in circostanze eccezionali, alla Corte di giustizia spetta esaminare le circostanze in cui è adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza. Quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica  (8).

27.      Esaminati i fatti e il procedimento della causa eDate Advertising, ritengo che la questione sia ricevibile. In realtà, il fatto che le informazioni siano state rimosse non esclude il diritto del ricorrente a richiedere un provvedimento inibitorio per il futuro, oppure a esercitare un’azione risarcitoria, in questo o in un ulteriore procedimento. La Corte di giustizia ha ripetutamente affermato che l’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 determina il foro, sia che la controversia abbia ad oggetto la riparazione di un danno già avvenuto, sia che essa riguardi un’azione volta a impedire il verificarsi del danno, che abbia carattere risarcitorio o inibitorio (9). Nel procedimento principale la domanda riguarda il secondo caso, che mira a evitare danni futuri e, in particolare nel caso del sig. X, a evitare la divulgazione di informazioni già oggetto di prolungata diffusione. Pertanto, la risposta del giudice dell’Unione può essere utile al giudice del rinvio ed è quindi da ritenere ammissibile secondo i criteri sviluppati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

V –    Sulle ragioni della riunione: grado di coincidenza delle domande e modalità di approccio alla risposta

28.      Come già esposto al paragrafo 22 delle presenti conclusioni, il Presidente della Corte di giustizia ha disposto la riunione dei due procedimenti trattati in virtù della loro connessione oggettiva. In entrambi è sollevata, in definitiva, la questione dell’applicabilità o meno della citata sentenza Shevill con riferimento all’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, in un contesto in cui le informazioni suscettibili di violare un diritto della personalità siano state diffuse per mezzo di Internet.

29.      Ebbene, è innegabile che entrambe le cause si differenziano su diversi punti, non del tutto irrilevanti. Da una parte, nella causa eDate Advertising il ricorrente ha esercitato un’azione inibitoria, mentre la causa Martinez e Martinez si basa sull’esercizio di un’azione risarcitoria. Dall’altra, la causa eDate Advertising si concentra su informazioni asseritamente calunniose, mentre la causa Martinez e Martinez riguarda informazioni che si presume possano violare il diritto all’intimità. Nella causa eDate Advertising la convenuta è l’azienda proprietaria di un portale informativo su Internet, mentre nella causa Martinez e Martinez è convenuto l’editore di un mezzo di comunicazione nel senso più stretto del termine, il Sunday Mirror, disponibile su supporto sia cartaceo che elettronico.

30.      Nonostante tali differenze, entrambe le cause condividono una preoccupazione comune, esplicita o sottintesa: la portata della giurisprudenza Shevill. Come già indicato al paragrafo 27 delle presenti conclusioni, l’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, e la giurisprudenza interpretativa dello stesso, risultano pertinenti in fattispecie come quelle di cui trattasi. Considerando che il principio della sentenza Shevill incide direttamente sulla competenza giurisdizionale internazionale dei giudici tedeschi e francesi, la Corte di giustizia può dare una risposta comune. Di conseguenza, affronterò le questioni sulla competenza congiuntamente, per passare solo in seguito all’analisi della terza questione pregiudiziale, sollevata esclusivamente dal Bundesgerichtshof nella causa eDate, sulle problematiche relative alla legge applicabile.

VI – Sulla prima e seconda questione pregiudiziale della causa eDate Advertising (C‑509/09) e sull’unica questione pregiudiziale della causa Martinez e Martinez (C‑161/10)

31.      L’apparizione e la diffusione di Internet, e in particolare della World Wide Web, negli ultimi dieci anni del secolo scorso ha provocato una profonda trasformazione delle modalità e delle tecniche di distribuzione e di ricezione delle informazioni. In seguito a tale fenomeno, diverse categorie giuridiche richiedono attualmente una ridefinizione della relativa concezione e portata allorché si estendono ai rapporti sociali e commerciali sorti nella rete. La causa di cui trattasi solleva le stesse questioni nell’ambito della competenza giurisdizionale internazionale, giacché le risposte fornite fino a oggi dalla nostra giurisprudenza non risultano adatte senza alcuna sfumatura, o se possibile, adeguamenti di maggior rilievo, al carattere libero e universale delle informazioni diffuse su Internet.

32.      Nell’immediato seguito presenterò un breve riassunto dei contenuti della giurisprudenza Shevill, e della valutazione di questa, per poi passare all’analisi della particolare natura dei danni ai diritti della personalità causati su Internet, con particolare attenzione alle differenze tra la pubblicazione di informazioni diffusa mediante supporti fisici e quella divulgata per mezzo di Internet. Infine mi pronuncerò sulla possibilità di adattare la soluzione offerta dalla sentenza Shevill alle circostanze di specie, proponendo un criterio aggiuntivo di collegamento basato sull’individuazione del «centro di gravità del conflitto» tra i beni e i valori in conflitto.

A –    La giurisprudenza Shevill: analisi e valutazione

33.      Nella sentenza Mines de potasse d’Alsace (10), pronunciata nel 1976, la Corte di giustizia ha dichiarato che, nel caso in cui il luogo in cui avviene il fatto implicante un’eventuale responsabilità da [illeciti civili dolosi o colposi] non coincida con il luogo in cui tale fatto ha causato un danno, l’espressione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto» dell’attuale art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 va intesa nel senso ch’essa si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno, quanto al luogo dove si è verificato l’evento generatore dello stesso.

34.      Non si può trascurare l’importanza della sentenza Mines de potasse d’Alsace. Per evitare che il foro speciale per responsabilità da illecito civile doloso o colposo in tali casi finisca per coincidere con il foro generale del domicilio del convenuto, la Corte di giustizia ha interpretato il menzionato art. 5, punto 3, nel senso che questo ammette un’alternativa tra due fori, a scelta del ricorrente: uno nel luogo di produzione del fatto causale, l’altro in quello dove si verifica effettivamente il danno.

35.      La motivazione della suddetta sentenza, basata sull’insorgere di danni materiali, è stata estesa con la sentenza Shevill alle ipotesi di danni immateriali. In tale causa, com’è noto, la Corte ha ammesso l’applicabilità del suesposto principio ai casi di violazione di diritti della personalità (11). La Corte ha precisato in tale occasione che nel caso di «diffamazione internazionale» a mezzo stampa (segnatamente nel caso oggetto della sentenza Shevill) «la lesione arrecata da una pubblicazione diffamatoria all’onore, alla reputazione e alla considerazione di una persona fisica o giuridica si manifesta nei luoghi ove la pubblicazione viene diffusa, quando la vittima sia ivi conosciuta» (12). In tal caso, però, il titolare del diritto della personalità offeso potrebbe far valere in detto foro solo i danni sofferti in questo Stato.

36.      Ammettendo come criterio di collegamento il luogo ove la vittima sia conosciuta, la Corte di giustizia, seguendo la proposta degli avvocati generali Darmon e Léger (13), ha considerato che gli organi giurisdizionali degli Stati in cui la pubblicazione diffamatoria è stata diffusa e in cui il titolare del diritto della personalità asserisce di aver subito una lesione della propria reputazione sono competenti a conoscere dei danni causati in tale Stato alla reputazione della vittima (14). Al fine di evitare gli inconvenienti che tale foro avrebbe potuto comportare, la Corte di giustizia ha aggiunto che l’attore ha pur sempre la facoltà di far valere tutte le proprie pretese dinanzi al giudice sia del luogo del domicilio del convenuto, sia del luogo dove è stabilito l’editore della pubblicazione diffamatoria (15).

37.      In tal modo, la sentenza Shevill ha ammesso, partendo dall’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 e per i casi di lesione dei diritti della personalità attraverso i mezzi di comunicazione, un’alternativa tra due fori, a scelta del ricorrente: l’uno, nello Stato del domicilio del convenuto o nel quale è stabilito l’editore, dove il titolare del diritto potrà richiedere il totale risarcimento dei danni subiti; e l’altro, nello Stato in cui tale persona risulti conosciuta, e dove potrà ricorrere unicamente per i danni ivi subiti, una limitazione definita da certa dottrina come «principio mosaico» (16).

38.      La sentenza Shevill raggiunge un ragionevole equilibrio, in genere ben accolto dalla dottrina (17). La soluzione concilia, da una parte, la necessità di centralizzare in un unico Stato, quello dell’editore o del convenuto, le azioni sulla totalità dei danni richiesti, dall’altra, permette al titolare del diritto della personalità di adire, anche se in forma limitata, il giudice del luogo dove si materializza il danno a un bene immateriale quale la propria immagine. Da questo punto di vista, la soluzione Shevill evita che il foro speciale dell’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001 diventi l’equivalente del foro generale, che privilegia la giurisdizione del domicilio del convenuto, ma allo stesso tempo esclude il forum actoris, criterio questo chiaramente respinto dal regolamento che si basa, come la precedente Convenzione di Bruxelles, sulla norma generale di competenza actor sequitur forum rei (18).

39.      Come si dimostra, la giurisprudenza Shevill comprende le violazioni al diritto della personalità in cui esiste un conflitto tra la libertà di informazione e il diritto all’intimità o alla propria immagine. La sua portata è vasta e non riguarda unicamente la stampa, in quanto il suo ambito di applicazione comprende anche altri mezzi di comunicazione, quali i sistemi di informazione televisivi o radiofonici. Corrispondentemente essa riguarda un’ampia gamma di violazioni dei diritti della personalità, come le calunnie e le ingiurie, nel senso generalmente attribuito a tali lesioni negli ordinamenti continentali, o la «diffamazione», caratteristica degli ordinamenti di common law (19).

40.      L’elemento che caratterizza i due casi riuniti del presente procedimento rispetto a quello oggetto della sentenza citata è solamente il supporto dell’informazione. I danni derivanti dalla violazione dei diritti della personalità a mezzo di stampa, televisione o radio, sono stati tradizionalmente sollevati in ambito strettamente nazionale. Le ripercussioni internazionali di tali controversie costituivano casi isolati per gli ordinamenti nazionali, soprattutto a causa dell’ambito territoriale che caratterizzava i mezzi di comunicazione. Con l’attività limitata a un determinato territorio, la tendenza naturale del mezzo è quella di offrire informazioni di interesse per i destinatari potenziali presenti in tale spazio geografico. Di conseguenza, le violazioni dei diritti della personalità sarebbero effettuati tramite un mezzo e contro un soggetto situati, nella maggior parte dei casi, nello stesso ambito territoriale.

41.      Pertanto, e al fine di potermi pronunciare sull’adattabilità della citata sentenza Shevill, ritengo ora necessario soffermarmi, seppur sommariamente, sui cambiamenti provocati da Internet nelle tecniche e nei modi della comunicazione.

B –    Internet, la stampa e la diffusione delle informazioni

42.      Senza risalire ai tempi in cui la parola e, in misura minore, lo scritto, costituivano il veicolo per eccellenza della comunicazione sociale, le libertà di opinione e di comunicazione, così come le conosciamo oggi, hanno in realtà origine nel momento in cui inizia a essere possibile la loro diffusione a mezzo stampa. Allo stesso tempo, le comunicazioni scritte e grafiche in genere (20) si sono svolte, a partire da allora, su supporto cartaceo. Si deve a tali innovazioni tecniche la possibilità di rivendicare e successivamente di proclamare le libertà in parola, secondo un modello che è possibile applicare facilmente ai mezzi di comunicazione via etere di suoni e di immagini.

43.      L’invenzione e la diffusione di Internet, così come del World Wide Web (21), ha troncato radicalmente la tendenza alla frammentazione territoriale dei mezzi di informazione. Di più, l’ha rovesciata fino a trasformare la diffusione di informazioni in un fenomeno globale e non più nazionale (22). Utilizzando un supporto tecnico e immateriale che permette di immagazzinare una gran massa di informazioni e di distribuirle immediatamente in qualunque punto del pianeta, Internet offre una piattaforma senza precedenti nelle tecniche di comunicazione sociale. In tal modo, Internet ha avviato, da una parte, una trasformazione della nostra concezione spaziale e territoriale della comunicazione, globalizzando i rapporti sociali e minimizzando la rilevanza della dimensione regionale o statale, fino al punto di creare uno spazio immateriale e inafferrabile, il «cyberspazio», senza frontiere e senza limiti. D’altra parte, Internet ha trasformato la dimensione temporale di tali rapporti sia per l’immediatezza dell’accesso ai contenuti, sia per la loro potenziale permanenza in rete. Una volta che un contenuto circola in rete, la sua presenza nella stessa è, in linea di principio, indeterminata.

44.      In conseguenza di quanto detto sopra, un mezzo di informazione che decide di diffondere i propri contenuti su Internet adotta un metodo di «distribuzione» radicalmente diverso da quello previsto per i supporti convenzionali. A differenza della stampa, una pagina web non richiede una previa decisione aziendale sul numero degli esemplari da distribuire, e tanto meno da stampare, poiché la distribuzione avviene globalmente e instantaneamente: l’accessibilità di questa, com’è noto, si realizza in qualunque luogo del pianeta con un collegamento alla rete. Anche l’accesso al mezzo è diverso, così come le tecniche di pubblicità che riguardano il prodotto. La rete, come si è visto, permette un accesso permanente, universale e di immediata diffusione tra privati. Anche nel caso dei mezzi di comunicazione a pagamento presenti su Internet, questi si differenziano dagli altri supporti per il fatto dell’universalità del territorio in cui avviene l’acquisto.

45.      Internet è inoltre caratterizzato, a differenza dei mezzi tradizionali, da una significativa assenza di potere politico. È la sua stessa natura globale a rendere difficile l’intervento dei poteri pubblici nelle attività svolte in rete, producendo una deregolamentazione criticata da più parti (23). Alla deregolamentazione materiale si somma poi una frammentazione dei conflitti, uno sciame sparso di ordinamenti nazionali, con le relative norme di diritto internazionale privato, che possono sovrapporsi e rendere difficile ogni approssimazione alle norme che regolano una specifica controversia.

46.      Le caratteristiche appena esposte hanno un’indubbia influenza in ambito giuridico. La distribuzione globale e immediata di contenuti informativi attraverso Internet fa sì che gli editori, come già detto, debbano sottostare a una molteplicità di regimi giuridici locali, regionali, statali e internazionali. Inoltre, l’assenza di un contesto normativo globale delle attività di informazione su Internet, insieme all’eterogeneità delle norme di diritto internazionale privato dei diversi Stati, espongono i media a un contesto normativo frammentato, oltre che potenzialmente contraddittorio, poiché quello che uno Stato proibisce potrebbe, a sua volta, essere permesso in un altro (24). Pertanto, l’esigenza di offrire una certezza giuridica ai mezzi di comunicazione, prevenendo situazioni che scoraggino il legittimo esercizio della libertà di informazione (il cosiddetto chilling-effect), si converte in un obiettivo che anche la Corte di giustizia deve prendere in considerazione (25).

47.      Parallelamente, il controllo esercitato dal mezzo sulla distribuzione e l’accesso al mezzo stesso diventa a carattere diffuso e, a volte, irrealizzabile. Dal momento in cui un contenuto informativo viene riversato in rete, i privati diventano, volontariamente o involontariamente, distributori diretti dell’informazione, sia attraverso reti sociali, comunicazioni elettroniche, link, blog, o qualunque altro mezzo offerto da Internet (26). Anche la restrizione dei contenuti dovuta all’accesso a pagamento, a volte con limiti territoriali, hanno serie difficoltà a impedire la distribuzione di massa delle informazioni. Di conseguenza, il controllo e la misura dell’impatto delle informazioni, o la loro contabilizzazione, per cui esistono tecniche molto affidabili nell’ambito dei mezzi tradizionali, diventano compiti di impossibile realizzazione quando le informazioni circolano in rete (27).

48.      D’altro canto, le eventuali vittime di pubblicazioni lesive dei diritti della personalità si trovano in una posizione particolarmente vulnerabile quando il loro supporto è fornito da Internet. La portata universale delle informazioni contribuisce a rendere la lesione potenzialmente più incisiva di quella subita, ad esempio, attraverso un mezzo convenzionale (28). La gravità della lesione si scontra con la molteplicità di regimi applicabili, dato che la dispersione territoriale fa sì che coesistano diversi sistemi nazionali e con questi, altrettanti sistemi giurisdizionali nazionali competenti a conoscere in merito. Il titolare del diritto della personalità leso può quindi subire un danno potenzialmente maggiore, e al contempo vedere affievolita la tutela giuridica di tale diritto, a seguito della frammentazione e della incertezza giuridica della stessa.

C –    Sull’opportunità di adattamento o di conferma della giurisprudenza Shevill

49.      Mi permetto di ricordare come, nella sentenza Shevill, la Corte di giustizia ha offerto una risposta che conciliava l’interesse dei media con la salvaguardia della situazione giuridica del titolare di un diritto della personalità. La dottrina ivi contenuta permette di localizzare in modo chiaro e preciso il «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire» al fine di determinare uno o più fori. Tale giurisprudenza riveste evidente interesse in quei casi di danni ai diritti della personalità in cui il mezzo convenuto possiede un sistema di distribuzione più o meno territorializzato. Nella misura in cui il metodo di diffusione dell’informazione corrisponde a una strategia aziendale che misura la convenienza a livello economico e informativo dell’insediamento in uno o più Stati, una soluzione come quella della giurisprudenza Shevill, che territorializza allo stesso modo la portata del danno costituisce, in effetti, una riposta ragionevole.

50.      Ebbene, la sentenza in questione si ascrive agli anni immediatamente precedenti la diffusione di Internet. Le circostanze delle cause di cui trattasi sono evidentemente diverse da quelle che caratterizzano il caso di Fiona Shevill, e rendono difficile l’applicazione pratica della soluzione adottata dalla Corte di giustizia nel 1995. Ad esempio, il criterio di collegamento con il foro del luogo dove è conosciuto il titolare del diritto della personalità fa sì che tale giudice potrà pronunciarsi solo sui danni effettivamente causati in tale Stato. All’epoca della sentenza Shevill, tale regola poteva essere messa in pratica, tenendo per esempio in considerazione il numero di esemplari distribuiti in ciascuno Stato membro, dato questo facilmente ottenibile in quanto incluso nella politica commerciale del mezzo e sottoposto a decisioni aziendali volontarie. Al contrario, il grado di diffusione su Internet di un mezzo di comunicazione in quanto tale (o dei suoi contenuti) difetta di parametri di misurazione affidabili, così come hanno riconosciuto gli intervenienti che hanno partecipato alla fase orale delle cause di cui trattasi. Inoltre, anche se è vero che il numero e l’origine delle «visite» di una pagina web possono essere indicativi di un determinato impatto territoriale, si tratta in ogni caso di fonti che non offrono sufficienti garanzie agli effetti della determinazione concludente e definitiva del danno illecitamente arrecato (29).

51.      Al contempo, la giurisprudenza Shevill si basa sulla garanzia di una buona amministrazione della giustizia, obiettivo espressamente contemplato nell’esposizione dei motivi del regolamento n. 44/2001 (30). Ebbene, l’applicazione della suddetta dottrina all’ambito dei mezzi di comunicazione su Internet, in certi casi, può risultare incompatibile con tali obiettivi. Si pensi, ad esempio, al caso di una persona come il sig. Olivier Martinez, che appare godere di popolarità (è «conosciuto») in più di uno Stato membro. L’eccessiva frammentazione dei fori, così come, eventualmente, delle leggi applicabili, difficilmente si concilia con una buona amministrazione della giustizia (31). Allo stesso modo, il semplice fatto che le informazioni su tale persona pubblica sono direttamente accessibili in tutti gli Stati membri, esporrà l’editore del mezzo ad una situazione difficile da gestire, poiché qualsiasi Stato membro, in vista di un eventuale processo, costituirebbe un potenziale foro. Né si può dire che tale risultato faciliti la prevedibilità di definizione delle regole, tanto per l’attore come per il convenuto (32).

52.      Su un piano più generale, è inoltre importante sottolineare come dal 1995, anno di pubblicazione della giurisprudenza in questione, sono intervenuti importanti cambiamenti nel contesto normativo dell’Unione. L’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha confermato l’importanza sia del diritto fondamentale alla vita privata sia di quello della libertà di informazione. Gli artt. 7 e 11 della Carta manifestano la speciale protezione che merita l’informazione in una società democratica, sottolineando al tempo stesso l’importanza della sfera privata, che comprende anche la propria immagine. La Corte di giustizia aveva già avuto occasione di pronunciarsi su entrambi i diritti prima dell’entrata in vigore della Carta (33), e il contenuto degli stessi era già stato precisato da parte della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (34). L’entrata in vigore della Carta ha comunque un valore specifico nel nostro caso, poiché riflette chiaramente la necessità che tutti gli ambiti di intervento dell’Unione, compresi quelli relativi alla cooperazione giurisdizionale nelle cause civili, siano vincolati al contenuto definitorio dei diritti ivi previsti (35). In questi termini, la sovraesposizione a cui sono soggetti i mezzi di comunicazione di fronte a uno smisurato panorama di controversie, così come la gravità delle possibili lesioni di diritti della personalità e l’incertezza giuridica presente nella tutela di questi, ci obbligano a impostare il conflitto intrinseco della sentenza Shevill in termini che permettano di evitare tale risultato.

53.      D’altra parte, qualunque impostazione che implichi la modificazione della dottrina Shevill dovrà necessariamente rispondere a un’esigenza di neutralità tecnologica. Vale a dire le risposte offerte dalla Corte di giustizia ai problemi di interpretazione derivanti dall’avvento di Internet non devono nemmeno focalizzarsi eccessivamente su tale mezzo, pena il rischio di essere superate dai progressi della tecnologia oppure di provocare differenze di trattamento in funzione di un criterio, come l’uso di una determinata tecnologia, che può risultare arbitrario (36). Anche se è vero che Internet pone il conflitto tra libertà di informazione e diritto all’immagine in termini molto specifici, la soluzione offerta dalla Corte di giustizia deve risultare applicabile, nei limiti del possibile, a tutti i mezzi di comunicazione, qualunque sia il supporto che utilizzino (37). Tale conclusione diventa tanto più evidente se si considera che oggigiorno, soprattutto per quanto concerne i quotidiani di una certa importanza, non esistono praticamente mezzi che non dispongano di un’edizione elettronica diffusa in rete. I contenuti dell’informazione sono fungibili, e i relativi supporti intercambiabili. Di conseguenza, la determinazione del foro rilevante va ricercata secondo criteri che tengano conto, ad esempio, delle lesioni causate contemporaneamente sia a mezzo stampa che per mezzo di una pagina web (38).

54.      A questo punto, ritengo che sia possibile dare una risposta che permetta di adattare la sentenza Shevill, e che sia nel contempo tecnologicamente neutra. Tale risposta non si rinviene, a mio modo di vedere, in una riformulazione radicale della giurisprudenza citata. Considero anzi che la risposta data nel 1995 dalla Corte di giustizia resta a tutt’oggi valida per le ipotesi di «diffamazione internazionale» laddove avvengano a mezzo stampa. Basterebbe introdurre un criterio di collegamento aggiuntivo, rispetto a quelli allora già previsti, senza bisogno oltretutto di limitare specificamente la fattispecie ai danni causati per mezzo di Internet.

D –    Il «centro di gravità del conflitto» come criterio aggiuntivo di collegamento per il foro

55.      Come ho già detto, la sentenza Shevill introduce un doppio foro, a scelta del titolare del diritto della personalità, che permette a questi la scelta tra il foro dell’editore o del convenuto, e quello del luogo o dei luoghi in cui egli sia conosciuto. Tale approccio, come anticipato in precedenza, risulta valido in una molteplicità di casi, come quelli precedentemente esposti. Da ciò si desume che i criteri di collegamento offerti da tale dottrina non sono di per sé invalidi, ma possono e addirittura invitano al loro completamento con un criterio supplementare. In concreto, intendo che occorre formalizzare e introdurre un criterio aggiuntivo di collegamento, per cui il «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire», nel senso dell’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, si possa anche identificare con quello in cui si trova il «centro di gravità del conflitto» tra i beni e gli interessi in conflitto.

56.      La violazione dei diritti della personalità avvenuta attraverso i mezzi di comunicazione in rete produce il conflitto già esposto ai paragrafi 42-44 delle presenti conclusioni. A questo si aggiungono le difficoltà derivanti dal carattere transnazionale, o anche semplicemente globale, di tale conflitto, che obbligano alla ricerca di fori in grado di equilibrare i diritti e gli interessi in gioco, riguardo sia al mezzo di comunicazione come ai soggetti interessati. Pertanto, e in linea di principio, un possibile criterio di collegamento potrebbe basarsi sull’accessibilità all’informazione, che giustificherebbe in tal modo un collegamento automatico con tutti gli Stati membri, dato che in realtà le informazioni che si asseriscono lesive sono accessibili in tutti questi. Ciò nonostante, come rilevato da tutti gli intervenuti nel presente procedimento, tale opzione darebbe immediatamente luogo a un fenomeno di forum shopping insostenibile per qualunque mezzo di informazione operante in rete (39). Allo stesso modo, la gravità della lesione che può arrivare a subire il titolare del diritto fondamentale all’intimità, che vede le informazioni lesive della propria reputazione disponibili in tutto il mondo, risulta in contrasto con una soluzione che ne frammenti il diritto in ciascuno degli Stati membri dove siano conosciute (40).

57.      A mio parere, una soluzione per completare adeguatamente i criteri di collegamento della sentenza Shevill sarebbe quella che, oltre alle ipotesi previste in origine, permetta di localizzare il foro in cui il giudice si trova nella situazione migliore per analizzare il conflitto tra gli interessi in gioco e può perciò conoscere della totalità dei danni subiti. Si tratterebbe, perciò, di una situazione intermedia tra le due già esistenti, poiché permetterebbe al titolare del diritto della personalità di adire il giudice del foro in cui si trovi il proprio centro di interessi, al mezzo di comunicazione di prevederlo, e consentirebbe di valutare complessivamente il danno subito (41). Ritengo che il criterio del luogo dove si manifesta il «centro di gravità del conflitto» risponda senz’altro a questa pluralità di scopi.

58.      Detto in modo estremamente conciso, il luogo del «centro di gravità del conflitto» sarebbe quello in cui il giudice si trova nelle migliori condizioni per valutare il conflitto tra la libertà di informazione e il diritto all’immagine. Tale circostanza si verifica nello Stato dove si «visualizzi» o si manifesti con maggiore intensità la possibilità di una violazione del diritto alla propria reputazione o intimità e il valore intrinseco della comunicazione di una data informazione o opinione, a seconda dei casi. Sarà questo lo Stato dove il titolare del diritto della personalità subirà una lesione di maggiore portata e intensità. Parallelamente, e ciò è senza dubbio importante dal punto di vista della certezza del diritto, questo sarà il territorio dove il mezzo di informazione avrebbe potuto prevedere la possibilità di un’eventuale lesione e, di conseguenza, l’esistenza del rischio di essere ivi convenuto in giudizio. In questi termini, il centro di gravità sarà quello in cui il giudice si trova nella migliore situazione per valutare integralmente il conflitto tra gli interessi in gioco.

59.      Per determinare il luogo in cui si trova il «centro di gravità del conflitto» bisogna quindi individuare due elementi. Il primo riguarda il titolare del diritto della personalità asseritamente violato, per cui il «centro di gravità del conflitto» sarà situato in corrispondenza del luogo in cui questi abbia il proprio «centro di interessi». Questo criterio risulta, entro certi limiti, simile a quello previsto nella sentenza Shevill laddove esige che «la vittima sia ivi conosciuta». Per la determinazione del luogo dove si trova il «centro di gravità del conflitto», comunque, non è sufficiente che la vittima sia semplicemente conosciuta. Al contrario, occorre identificare il luogo (e quindi, lo Stato membro) in cui il singolo che subisca una lesione dei diritti della personalità porta essenzialmente avanti il proprio progetto di vita, sempre e quando tale luogo esista.

60.      Il secondo elemento riguarda la natura delle informazioni. Per determinare il luogo in cui si trova il «centro di gravità del conflitto», le informazioni oggetto di controversia devono essere espresse in modo tale da far ragionevolmente prevedere che queste risultino oggettivamente rilevanti all’interno di un determinato territorio. Vale a dire le informazioni da cui origina la controversia devono essere espresse in termini tali da costituire, in considerazione delle circostanze presenti, informazioni di interesse in tale territorio e perciò capaci di spingere attivamente i lettori presenti nel suddetto territorio ad accedere alle stesse (42).

61.      Ritengo si possa affermare, senza eccessivi rischi, che la peculiarità del tipico conflitto che può sorgere tra entrambi i diritti risiede nel fatto che il centro di gravità della potenziale lesione dei diritti della personalità tende a coincidere con il centro di gravità o di interesse delle notizie o delle opinioni in questione. Insomma, è proprio perché le notizie o le opinioni risultano particolarmente interessanti in un certo luogo, che questo corrisponde al luogo dove la possibile violazione di diritti della personalità può arrecare danni più gravi.

62.      Detto questo, è importante non confondere il secondo dei suddetti elementi con il criterio di intenzionalità dei media. L’informazione non è oggettivamente rilevante per il fatto che sia volontariamente diretta da parte dell’editore verso uno Stato membro. Un criterio basato sull’intenzionalità sarebbe contrario alla lettera dell’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, come confermato dalla sua comparazione con l’art. 15, n. 1, lett. c), dello stesso testo, che prevede un foro speciale per i contratti conclusi da consumatori nei casi in cui il fornitore di servizi svolga attività «dirette (...) verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati [membri]» (43). Nel citato art. 5, punto 3, non troviamo nulla di equivalente e non è dato quindi determinare la competenza internazionale sulla base di criteri di intenzionalità (44). Inoltre, un criterio basato sulla volontà soggettiva dell’informatore genera notevoli problemi a livello probatorio, come dimostrato dai casi in cui è stato applicato (45).

63.      Proponendo che le informazioni devono essere obiettivamente rilevanti, mi riferisco alle ipotesi in cui un mezzo di comunicazione può ragionevolmente prevedere che le informazioni distribuite nell’edizione elettronica abbiano un «interesse notiziabile» in un determinato territorio, invitando i lettori di quel territorio ad accedervi. Tale criterio di rilevanza oggettiva può essere applicato sulla base di vari indizi, la valutazione dei quali, come posso già anticipare, spetta al giudice nazionale.

64.      Innanzitutto, e come si può dedurre da quanto esposto fin qui, il primo elemento che va necessariamente considerato è il contenuto dell’informazione controversa. Una determinata informazione può avere un certo interesse in un territorio e risultarne totalmente priva in un altro. Le notizie su un cittadino austriaco residente in Austria, che informano sulle asserite attività criminali commesse in Austria, possiedono un evidente «interesse notiziabile» nel territorio di questo Paese, anche quando l’informazione venga diffusa attraverso un quotidiano digitale il cui editore risieda nel Regno Unito. A partire dal momento in cui un mezzo di comunicazione mette in rete contenuti che per la loro stessa natura avranno un indiscutibile impatto informativo in un altro Stato, l’editore può ragionevolmente prevedere, nel caso in cui abbia diffuso informazioni lesive di un diritto della personalità, che potrebbe essere convenuto in giudizio in quello Stato. Perciò, quanto maggiore sarà l’interesse informativo di una determinata notizia nel territorio nazionale tanto più stretto sarà, in linea di principio, il collegamento delle lesioni ai diritti ivi commesse con i giudici di tale territorio.

65.      L’organo giurisdizionale può inoltre prendere in considerazione altri indizi che contribuiscano a localizzare il territorio in cui le informazioni siano oggettivamente rilevanti. Si noti che potrebbe trattarsi di indizi che indichino una volontà oggettiva dell’editore di dirigere le informazioni verso un determinato Stato. Per quanto ci riguarda, costituiscono comunque solo indizi che orientano la ricerca di un collegamento con un territorio, e non un’intenzione di chi emette l’informazione. Così, nell’ambito di questa relazione tra i possibili elementi da valutare bisogna prendere in considerazione il fatto per cui le informazioni potrebbero essere distribuite attraverso una pagina con un nome di dominio di primo livello diverso da quello dello Stato membro in cui risiede l’editore, mostrando così l’esistenza di uno spazio territoriale determinato dove possano essere particolarmente seguite (46). Allo stesso modo, la lingua della pagina web contribuisce a delimitare l’area di influenza delle informazioni pubblicate. Anche la pubblicità contenuta nella pagina, se presente, potrebbe indicare l’ambito territoriale in cui tali informazioni sono destinate ad essere consultate (47). Risulta altresì pertinente la sezione della pagina nella quale venga diffusa per ottenere risalto in un certo territorio. Prendiamo, per esempio, il caso di un quotidiano on-line con una sezione di informazione divisa per Stati. La pubblicazione di un’informazione sotto la rubrica «Germania» costituirà un indizio per ritenere le notizie ivi pubblicate specialmente significative in quel Paese. Le parole chiave fornite ai motori di ricerca per identificare la pagina dei media possono, allo stesso modo, offrire indicazioni sul luogo in cui la notizia risulti oggettivamente rilevante. Infine, e senza presunzione di completezza, i registri di accesso alla pagina possono costituire, nonostante la loro scarsa affidabilità, una fonte meramente illustrativa per confermare se una data informazione ha avuto o no effetti in un determinato territorio (48).

66.      Tali criteri permettono al giudice di determinare se le informazioni controverse siano oggettivamente rilevanti in un determinato spazio territoriale. In effetti, se le informazioni acquistano una portata oggettivamente rilevante in uno Stato membro che, a sua volta, coincide con lo Stato in cui è situato il «centro di interessi» del titolare del diritto della personalità, considero i tribunali di tale Stato competenti a conoscere dell’azione di risarcimento per la totalità del danno causato dall’atto illecito. Lo Stato membro dove si producano entrambe le circostanze è evidentemente il luogo dove il giudice si trova nelle migliori condizioni per valutare i fatti e conoscere della totalità della causa. Tale giudice sarebbe, in definitiva, il foro in cui si trova il «centro di gravità del conflitto».

67.      In conclusione, propongo alla Corte di giustizia di dichiarare che l’espressione «luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire», ai sensi dell’art. 5, punto 3, del regolamento n. 44/2001, si deve interpretare, nel caso di violazione dei diritti della personalità per mezzo di informazioni diffuse in vari Stati membri per mezzo di Internet, nel senso che il titolare del diritto della personalità possa esperire un’azione per risarcimento danni

–       sia dinanzi ai giudici dello Stato membro ove è stabilito l’editore della pubblicazione lesiva dei diritti della personalità, i quali sono competenti a pronunciarsi sul risarcimento della totalità dei danni derivati dalla lesione dei suddetti diritti,

–       sia dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro dove la pubblicazione è stata diffusa e dove il titolare del diritto della personalità asserisce di aver subito una lesione della propria reputazione, i quali sono competenti a conoscere dei soli danni cagionati nello Stato del giudice adito,

–       o anche dinanzi ai giudici dello Stato membro ove è situato il «centro di gravità del conflitto» tra i beni e gli interessi in gioco, i quali sono perciò competenti a pronunciarsi sul risarcimento della totalità dei danni derivati dalla lesione dei diritti della personalità. Per Stato membro ove è situato il «centro di gravità del conflitto» si intende quello nel cui territorio le informazioni controverse risultano oggettivamente e specificamente rilevanti, e dove, contemporaneamente, il titolare del diritto della personalità possiede il proprio «centro di interessi».

VII – Sulla terza questione pregiudiziale della causa eDate Advertising (C‑509/09)

68.      Con la terza questione, il Bundesgerichtshof interpella la Corte sulla portata dell’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/31, relativa al commercio elettronico su Internet, applicato all’ipotesi di cui si tratta. In breve, chiede se tale disposizione, nel prevedere che gli Stati membri «non possono, per motivi che rientrano nell’ambito regolamentato, limitare la libera circolazione dei servizi società dell’informazione provenienti da un altro Stato membro» costituisca, in questi termini, una norma di legge applicabile oppure, in caso contrario, un semplice correttivo alle norme di diritto nazionale applicabili alla controversia.

69.      Per rispondere a quest’ultima domanda occorre premettere alcune osservazioni di carattere generale.

70.      Il Bundesgerichtshof solleva questa terza questione, e lo fa nei suddetti termini, in quanto dubita di quale sia la legge applicabile ad una controversia come quella di cui trattasi. In sostanza, la domanda potrebbe essere intesa in questo modo: se la direttiva 2000/31 abbia armonizzato il diritto internazionale privato nazionale, imponendo una norma di conflitto che rimette il giudice competente alle norme di diritto sostanziale dello Stato membro ove è stabilito l’editore. In caso di risposta negativa e se la Corte di giustizia considerasse inesistente tale armonizzazione, il Bundesgerichtshof passa poi a chiedere quale portata e quale incidenza (il «correttivo sul piano sostanziale») la direttiva 2000/31 avrebbe sul diritto internazionale privato tedesco, che sarebbe quindi applicabile a un caso come quello della causa eDate Advertising.

71.      Se questa mia valutazione risulta corretta, considero innanzitutto necessario ricordare la posizione funzionale e sistematica della norma della direttiva 2000/31 che forma specifico oggetto della questione. L’art. 3 della citata direttiva, dal titolo «Mercato interno», esprime un precetto che rispecchia il contenuto convenzionale della libera prestazione di servizi. La norma esprime in uno strumento di diritto derivato una garanzia già contemplata dal diritto primario dell’art. 56 TFUE, adattandola alle particolari esigenze di armonizzazione normativa del commercio elettronico. Il n. 1 dell’articolo conferma l’applicabilità delle norme dello Stato membro del prestatore del servizio, mentre il n. 2 rimarca la necessità di prendere in considerazione le condizioni legali alle quali il prestatore del servizio ha già adempiuto nello Stato membro ove è stabilito. Tale numero stabilisce di nuovo, in modo estremamente chiaro, un precetto di mutuo riconoscimento in linea con la giurisprudenza della Corte (49). La libera prestazione di servizi è ulteriormente concretizzata dal n. 4 dell’articolo citato con l’elenco delle giustificazioni che gli Stati possono addurre per derogare alla libera prestazione di servizi nel settore citato.

72.      Alla luce di quanto detto, sembra possibile rilevare, nella formulazione della questione di cui trattasi, una certa distanza rispetto a quanto nel complesso stabilisce, o almeno sembra stabilire, l’art. 3 della direttiva 2000/31. La norma citata, in definitiva, secondo quanto si è visto, definisce i termini in cui gli Stati devono disciplinare un settore economico inserito nel mercato interno, delineando nei suoi enunciati il contenuto della libera prestazione di servizi, che comprende, com’è noto, un precetto di mutuo riconoscimento. Orbene, l’articolo citato non introduce una norma sulla legge applicabile laddove ordina allo Stato membro in cui si presta il servizio di applicare il diritto nazionale dello Stato di residenza del prestatore. L’art. 3 della direttiva 2000/31 semplicemente definisce il contenuto della libera prestazione di servizi, e con esso le condizioni in cui va applicata la tecnica del mutuo riconoscimento.

73.      Considero che tale valutazione venga inoltre suffragata dall’art. 1 della direttiva 2000/31, che al n. 4 dispone: «La presente direttiva non introduce norme supplementari di diritto internazionale privato, né tratta delle competenze degli organi giurisdizionali». In altri termini: il testo non prevede direttamente, né armonizza, norme sulla legge applicabile né sulla competenza giurisdizionale internazionale in materia (50). Si tratta, in definitiva, di una normativa neutra agli effetti del diritto internazionale privato, che non modifica né innova i criteri di definizione della competenza, della legge applicabile o del riconoscimento di provvedimenti giudiziali provenienti da altri Stati membri (51).

74.      Il precetto di neutralità rispetto alle norme di conflitto della direttiva 2000/31 deve al contempo guidare l’interpretazione del citato art. 3, poiché risulta già contenuto, in modo da formare sistema, nello stesso art. 1. Al contrario, nulla indica che l’art. 3 agisca in deroga all’art. 1.

75.      Un altro indizio concludente sul fatto che la direttiva 2000/31 non propone una risposta di diritto internazionale privato è rinvenibile negli ordinamenti nazionali, in particolare nelle norme interne di trasposizione del testo citato. Dagli atti risulta che gli Stati membri hanno effettuato una trasposizione eterogenea dell’art. 3 della direttiva 2000/31. Mentre alcuni hanno introdotto norme sulla legge applicabile (52), altri hanno scelto una trasposizione in termini espressi di mutuo riconoscimento (53). Nel secondo caso, in alcuni ordinamenti il citato art. 3 è stato addirittura trasposto riproducendone letteralmente l’enunciato (54).

76.      Inoltre, una lettura della direttiva 2000/31 da cui discenda una norma sulla legge applicabile risulterebbe superata dall’attuale diritto derivato sulla cooperazione giudiziaria in materia civile. Com’è noto, il regolamento (CE) n. 864/2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali («Roma II»), esclude dal proprio ambito di applicazione «le obbligazioni extracontrattuali che derivano da violazioni della vita privata e dei diritti della personalità, compresa la diffamazione» (55). I lavori preparatori del regolamento evidenziano le marcate differenze tra le tesi difese, in materia, dagli Stati membri, le quali hanno portato a un’esclusione dal regolamento alla quale ora si cerca di riparare con una nuova iniziativa legislativa della Commissione (56). A mio parere, è quanto meno dubbio che il regolamento n. 864/2007 dovesse operare un’esclusione del genere se nella direttiva 2000/31 fosse già stata prevista una regola di armonizzazione delle norme di legge nazionale applicabili in materia.

77.      Pertanto, in considerazione di quanto esposto sopra, propongo alla Corte di giustizia di rispondere in primo luogo, nel senso che l’art. 3 non effettua un’armonizzazione imponendo agli Stati membri una norma di conflitto.

78.      Infine, il giudice del rinvio completa la terza questione chiedendo se l’art. 3, n. 2, della direttiva 2000/31 costituisca, in alternativa, un «correttivo rilevante sul piano giuridico materiale, attraverso il quale l’esito giuridico sostanziale del diritto individuato come applicabile dalle norme di conflitto nazionali viene modificato a livello contenutistico e ridotto alle prescrizioni del diritto dello Stato d’origine».

79.      Tale questione rivela, come già sottolineato, una concezione dell’art. 3 della direttiva 2000/31 quale norma di diritto internazionale privato. È vero che, se si esclude la natura di norma di conflitto del precetto citato, ne deriva che tale norma non armonizza le regole sulla determinazione della legge applicabile al caso di specie. Questo non significa neanche che l’art. 3 sia di per sé efficace come regola di correzione di una norma di legge nazionale applicabile. Come già indicato ai paragrafi 71‑73 delle presenti conclusioni, il citato precetto si limita a delineare un regime di armonizzazione della libera prestazione di servizi nell’ambito del commercio elettronico. Il giudice che segue la regola del mutuo riconoscimento in una controversia con aspetti di carattere internazionale non applica la legge dello Stato di origine del prestatore di servizi, ma deve limitarsi a considerare valida l’osservanza delle norme che disciplinano il servizio in tale Stato, sempre e quando non esistano cause di giustificazione (57). Questo non impedisce che, in virtù di una causa di giustificazione, lo Stato del giudice competente preveda ulteriori misure a protezione di determinati beni meritevoli di una tutela particolare (v. il n. 4 del citato art. 3). In nessun caso, comunque, viene applicata la legge dello Stato membro di origine, né lo Stato del giudice competente risulta obbligato, a norma della direttiva, a prevedere in particolare una norma correttiva di diritto internazionale privato nel caso in cui contempli misure di protezione rafforzata.

80.      Non è perciò neanche possibile affermare, a mio parere, che l’art. 3 della direttiva 2000/31 abbia ad oggetto l’armonizzazione di un correttivo con effetti sul diritto sostanziale applicabile. L’art. 3 non impedisce agli Stati membri, all’interno del margine discrezionale ad essi conferito dalla stessa direttiva, così come dall’art. 56 TFUE, di prevedere misure a tutela di interessi meritevoli di particolare protezione, quali eccezioni alla libera prestazione di servizi. Di conseguenza, il legislatore tedesco può stabilire tali eccezioni, sia attraverso misure sostanziali o anche, nel suo caso, mediante dispositivi di correzione della legge applicabile. Questo non significa però che la direttiva 2000/31 predetermini una soluzione del problema per via di una norma di conflitto.

81.      In definitiva, considero che l’art. 3 della direttiva 2000/31 vada interpretato nel senso che non impone una norma di conflitto né un «correttivo sul piano sostanziale». La norma citata configura a livello legislativo, in termini di armonizzazione, la libera prestazione di servizi applicata al commercio elettronico, permettendo contemporaneamente agli Stati membri, all’interno del margine discrezionale ad essi conferito dalla stessa direttiva, così come dall’art. 56 TFUE, di prevedere misure a tutela di interessi meritevoli di particolare protezione, quali eccezioni alla libera prestazione di servizi.

VIII – Conclusione

82.      In considerazione di quanto esposto, propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni sollevate dal Bundesgerichtshof e dal Tribunal de grande instance di Parigi nei seguenti termini:

«1)       L’espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire” utilizzata all’art. 5, punto 3, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, si deve interpretare, nel caso di violazione dei diritti della personalità per mezzo di informazioni diffuse in vari Stati membri attraverso Internet, nel senso che il titolare del diritto della personalità possa esperire un’azione per risarcimento danni

–       sia dinanzi ai giudici dello Stato membro ove è stabilito l’editore della pubblicazione lesiva dei diritti della personalità, i quali sono competenti a pronunciarsi sul risarcimento della totalità dei danni derivati dalla lesione dei suddetti diritti,

–      sia dinanzi ai giudici di ciascuno Stato membro dove la pubblicazione è stata diffusa e dove il titolare del diritto della personalità asserisce di aver subito una lesione della propria reputazione, i quali sono competenti a conoscere dei soli danni cagionati nello Stato del giudice adito,

–       o anche, dinanzi ai giudici dello Stato membro ove è situato il “centro di gravità del conflitto” tra i beni e gli interessi in gioco, i quali sono perciò competenti a pronunciarsi sul risarcimento della totalità dei danni derivati dalla lesione dei diritti della personalità. Per Stato membro ove è situato il “centro di gravità del conflitto” si intende quello nel cui territorio le informazioni controverse risultano oggettivamente e specificamente rilevanti, e dove, contemporaneamente, il titolare del diritto della personalità possiede il proprio “centro di interessi”.

2)      L’art. 3 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, va interpretato nel senso che non impone una norma di conflitto né un “correttivo sul piano sostanziale”. La norma citata configura a livello legislativo, in termini di armonizzazione, la libera prestazione di servizi applicata al commercio elettronico, permettendo contemporaneamente agli Stati membri, all’interno del margine discrezionale ad essi conferito dalla stessa direttiva, così come dall’art. 56 TFUE, di prevedere misure a tutela di interessi meritevoli di particolare protezione, quali eccezioni alla libera prestazione di servizi».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Regolamento del Consiglio 22 dicembre 2000 (GU 2001, L 12, pag. 1).


3 – Avverto fin d’ora che il termine «diffamazione», utilizzato dalla Corte di giustizia nella causa Shevill, è stato utilizzato nel presente procedimento in senso generale e quale sinonimo dell’espressione «lesione dei diritti della personalità». Nel corso delle presenti conclusioni propendo per quest’ultima espressione, fatti salvi i casi di uso del termine «diffamazione» in riferimento alla sentenza Shevill, in quanto termine originariamente utilizzato dalla Corte di giustizia nella sentenza stessa.


4 – Sentenza 7 marzo 1995, causa C‑68/93 (Racc. pag. I‑415).


5 –      Artt. 7 e 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


6 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).


7 – Ordinanza 20 novembre 2009, causa C-278/09, Martinez e Martinez (Racc. pag. I‑11099).


8 – V., in tal senso e inter alia, le sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 21); 13 marzo 2001, causa C‑379/98, PreussenElektra (Racc. pag. I‑2099, punto 39), e 23 aprile 2009, causa C‑544/07, Rüffler (Racc. pag. I-3389, punto 37)..


9 – Sentenze 1° ottobre 2002, causa C‑167/00, Henkel (Racc. pag. I‑8111, punti 46 e 48), e 5 febbraio 2004, causa C‑18/02, DFDS Torline (Racc. pag. I‑1417, punti 26 e 27).


10 – Sentenza 30 novembre 1976, causa 21/76, Bier, detta «Mines de potasse d’Alsace» (Racc. pag. 1735).


11 – Sentenza Shevill, cit. (punto 23).


12 – Sentenza Shevill, cit. (punto 29). Il corsivo è mio.


13 – Conclusioni dell’avvocato generale Darmon, presentate il 14 luglio 1994, e dell’avvocato generale Léger, presentate il 10 gennaio 1995. L’evento abbastanza insolito di conclusioni di due avvocati generali nella stessa causa si deve al fatto che la Corte di giustizia aveva deciso di riaprire la fase orale in seguito alla presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale Darmon, il cui mandato presso la Corte si era concluso pochi giorni prima della decisione di riapertura.


14 – Sentenza Shevill, cit. (punto 31).


15 – Sentenza Shevill, cit. (punto 32).


16 – V. Magnus, U., e Mankowski, P., Brussels I Regulation, Séller, European Law Publishers, 2007, Monaco, pagg. 192 e 193.


17 – V., inter alia, i commenti di Crespo, A., «Precisión del forum locus delicti commissi en los supuestos de daños contra la persona causados a través de prensa», La Ley – Comunidades Europeas, 1995, n. 96, pagg. 1 e segg.; Gardella, A., «Diffamazione a mezzo stampa e Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968», Rivista di diritto internazionale privato eprocessuale, 1997, pagg. 657 e segg.; Hogan, G., «The Brussels Convention, Forum Non Conveniens and the Connecting Factors Problem», European Law Review, 1995, pagg. 471 e segg.; Huber, P., «Persönlichkeitsschutz gegenüber Massenmedien im Rahmen des Europäischen Zivilprozessrechts», Zeitschrift für europäisches Recht, 1996, pagg. 300 e segg.; Idot, L., «L’application de la Convention de Bruxelles en matière de diffamation. Des précisions importantes sur l’interpretation de l’article 5.3», Europe, 1995, giugno, pagg. 1 e 2.


18 – V. le conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Shevill, cit. (paragrafi 39 e 40).


19 – V. Sánchez Santiago, J., e Izquierdo Peris, J.J., «Difamar en Europa: las implicaciones del asunto Shevill», Revista de Instituciones Europeas, 1996, n. 1, pag. 168.


20 – V. Ivins Jr., W.M., Prints and Visual Communication, The M.I.T. Press, Cambridge-Londra, 1969.


21 – Sul concetto e sulla definizione giuridica di «Internet» e della «World Wide Web» v., per tutti, Lloyd, I.J., Information Technology Law, 4ª ed., 2004.


22 – V., per tutti, Castells, M., La Era de la Información. Economía, Sociedad y Cultura. La Sociedad Red, Siglo XXI, 2002.


23 – V., inter alia, Gigante, A., «Blackhole in Cyberspace: the Legal Void in the Internet», Journal of Computer & Information Technology, vol. XV, 1997; Gould, M., «Rules in the Virtual Society», International Review of Computers & Technology, vol. 10, 1996; Reidenberg, J.R., «Governing Networks and Rule-Making in Cyberspace», Emory Law Review, vol. 45, 1996, e Strömer, T.H., Online-Recht: Juristische Probleme der Internet-Praxis erkennen und vermeiden, 4ª ed., Dpunkt, Heidelberg, 2006.


24 – V., inter alia, Hoeren, T., «Internet und Recht – Neue Paradigmen des Informationsrechts», Neue Juristische Wochenschrift, vol. 51, 1998, pagg. 2852‑2854; Katsch, M.E., Law in a Digital World, Oxford University Press, Oxford – New York, 1995, pagg. 240 e segg.; Levine, N., «Establishing Legal Accountability for Anonymous Communications in Cyberspace», Columbia Law Review, vol. 96, 1996, pagg. 1540‑1564; Susskind, R., Transforming the Law: Essays on Technology, Justice and the Legal Marketplace, Oxford University Press, Oxford – New York, 2000, pagg. 143 e segg.


25 – In particolare, v. Determann, L., Kommunikationsfreiheit im Internet. Freiheitsrechte und gesetzliche Beschränkungen, Nomos, Baden-Baden, 1999, pagg. 304 e segg.


26 – Come sottolineato dal Bundesgerichtshof nella sentenza di rinvio della causa C‑509/09, Internet non distribuisce le informazioni, le rende semplicemente accessibili. Sono gli utenti di Internet che, volontariamente o meno, ne diventano i distributori.


27 – Pichler, R., in Hoeren, T., e Sieber, U. (a cura di), Handbuch Multimedia-Recht. Rechtsfragen des elektronischen Geschäftsverkehrs, Beck, Monaco, 2009, capitolo 25, punto 224.


28 – V. le diverse modalità in cui sorge tale conflitto in Fernández Esteban, M.L., Nuevas tecnologías, Internet y derechos fundamentales, McGraw Hill, Madrid, 1999; Banisar, D., e Davies, S., «Global Trenes in Privacy Protection: An International Survey of Privacy, Data Protection, and Surveillance Law and Developments», Journal of Computer and Information Law, vol. XVIII, 1999; Fleischmann, A., «Personal Data Security: Divergent Standards in the European Union and the United States», Fordham International Law Journal, vol. 19, 1995; Geis, I., «Internet und Datenschutzrecht», Neue Juristische Wochenschrift, vol. 50, 1997, e Morón Lerma, E., Internet y Derecho penal: hacking y otras conductas ilícitas en la Red, Aranzadi, Navarra, 1999.


29 – V. Jerker, D., e Svantesson, B., Private International Law and the Internet, Kluwer Law International, 2007, pagg. 324 e segg., e Roth, I., Die internationale Zuständigkeit deutscher Gerichte bei Persönlichkeitsrechtsverletzungen im Internet, Peter Lang, 2006, pag. 283.


30 – Sentenza Shevill, cit. (punto 31).


31 – Lo stesso avvocato generale Darmon anticipava tale obiezione nelle conclusioni presentate nella causa Shevill (paragrafo 72).


32 – Roth, I., Die internationale Zuständigkeit…, op. cit., pagg. 310 e segg.


33 – Sull’art. 11 della Carta e sull’applicazione del diritto alla libertà di informazione precedente alla Carta stessa, v., inter alia, le sentenze 30 aprile 1974, causa 155/73, Sacchi (Racc. pag. 409); 18 giugno 1991, causa C‑260/89, ERT (Racc. pag. I‑2925); 13 dicembre 1989, causa C‑100/88, Oyowe e Traore/Commissione (Racc. pag. 4285); 5 ottobre 2000, causa C‑376/98, Germania/Parlamento e Consiglio (Racc. pag. I‑8419); 25 luglio 1991, causa C‑288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda (Racc. pag. I‑4007); 3 febbraio 1993, causa C‑148/91, Veronica Omroep Organisatie (Racc. pag. I‑487); 6 marzo 2001, causa C‑274/99 P, Connolly/Comissione (Racc. pag. I‑1611). Per quanto riguarda l’art. 7 della Carta e la giurisprudenza che la precede, v., inter alia, le sentenze 8 aprile 1992, causa C‑62/90, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑2575, punto 23), e 5 ottobre 1994, causa C‑404/92 P, X/Commissione (Racc. pag. I‑4737, punto 17)


34 – Sulla libertà di informazione o, nella terminologia usata all’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la «libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee» v., inter alia, Corte eur. D.U., sentenze Handyside c. Regno Unito del 7 dicembre 1976; Leander c. Svezia del 26 marzo 1987; Bladet Tromso e Stensaas c. Norvegia del 29 maggio 1999; Feldek c. Slovacchia del 27 febbraio 2001, e McVicar c. Regno Unito del 7 maggio 2002. Rispetto al diritto fondamentale all’intimità, contenuto nell’art.8 della Convenzione, relativo al rispetto della vita privata e familiare, v., inter alia, Corte eur. D.U., sentenze X e Y c. Paesi Bassi del 26 marzo 1985; Niemetz c. Germania del 16 dicembre 1992; Stjerna c. Finlandia del 25 novembre 1994; Vertiere c. Svizzera del 28 giugno 2001, e Von Hannover c. Germania del 24 giugno 2004.


35 – A proposito dell’effetto plasmante della Carta in tutti gli ambiti di intervento legislativo dell’Unione, v. Lenaerts, K., e Gutiérrez-Fons, J., «The Constitutional Allocation of Powers and General Principles of EU Law», Common Market Law Review, vol. 47, 2010. Sul piano del diritto internazional privato, v. Requejo Isidro, M., Violaciones Graves de Derechos Humanos y Responsabilidad Civil, Thomson-Aranzadi, 2009.


36 – V. Knutsen, E.S., «Techno-Neutrality of Freedom of Expression in New Media Beyond the Internet», UCLA Entertainment Law Review, n. 8, 2001, pag. 95; Koops, B.-J., «Should ICT Regulation be Technology-Neutral?», in Koops, B.-J., Lips, M., Prins, C. e Schellekens, M., Starting Points for ICT Regulation: deconstructing prevalent policy one-liners, TMC Asser Press, L’Aia, 2006, pagg. 77‑79; Escudero-Pascual, A., e Hosein, I., «The Hazards of Technology-Neutral Policy: Questioning Lawful Access to Traffic Data», Communications of the Association for Computing Machinery, n. 47, 2004, pag. 77.


37 – La Commissione europea ha più volte sostenuto il concetto del principio di «neutralità tecnologica» quale precetto di non discriminazione per i supporti utilizzati. Come la stessa ha dichiarato nella sua comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, relativa ai principi e agli orientamenti per la politica audiovisiva della Comunità nell’era digitale [COM(1999) 657 def., del 14 diciembre 1999, pag. 11) «convergenza tecnologica significa che i servizi precedentemente espletati attraverso un numero limitato di reti di comunicazione possono ora essere effettuati da diversi soggetti in competizione fra loro. Detto fenomeno richiede che le normative siano improntate alla neutralità tecnologica: in via di principio, servizi identici dovrebbero essere disciplinati nella stessa maniera, indipendentemente dai rispettivi mezzi di trasmissione». Nello stesso senso, v. anche la comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, sul riesame del quadro normativo comunitario per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica [COM(2006) 334, del 29 giugno 2006, pag. 8). Sempre nello stesso senso, v. la Dichiarazione ministeriale della Conferenza ministeriale sulle reti globali di informazione, tenuta a Bonn nei giorni 6‑8 luglio 1997.


38 – V., in tal senso, Virgós Soriano, M., e Garcimartín Alférez, F.J., Derecho Procesal Civil Internacional. Litigación Internacional, 2ª ed., Civitas, Madrid, 2007, pag. 194.


39 – Nello stesso senso, v. la sentenza del Bundesgerichtshof nella causa 2 marzo 2010, Vl ZR 23/09, punto 17, nonché Roth, I., Die internationale Zuständigkeit…, op. cit., pagg. 310 e segg., Dessemontet, F., «Internet, la propriété intellectuelle et le droit international privé», in Boele-Woelki, K., e Kessedjan, C. (a cura di), Internet: Which Court Decides? Which Law Applies? Quel tribunal décide? Quel droit s’applique?, Kluwer, L’Aia, 1998, pag. 63, e De Miguel Asensio, P., Derecho Privado de Internet, 2ª ed., 2001, pagg. 295 e 296. Nel contesto dei contratti internazionali di consumo e di trasporto, la Corte di giustizia ha ugualmente respinto il criterio della semplice accessibilità nella sentenza 7 dicembre 2010, cause riunite C-585/08 e C-144/09, Pammer e Hotel Alpenhof (Racc. pag. I-12527, punto 94).


40 – La dottrina aveva espresso preoccupazione sulla vulnerabilità della vittima derivante dal cosiddetto principio del mosaico anche prima della sentenza Shevill (v., ad esempio, i lavori di Gaudemet-Tallon, H., Revue critique de droit international privé, 1983, pag. 674; Heinrichs, J., Die Bestimmung der gerichtlichen Zuständigkeit nach dem Begehungsort im nationalen und internationalen Zivilprozessrecht, Diss., Friburgo, 1984, pagg. 188‑201, e di Schwiegel-Klein, E., Persönlichkeitsrechtverletzungen durch Massenmedien im internationalen Privatrecht. Zur Anwendung der lex loci delicti commissi auf Pressedelikte unter besonderer Berücksichtigung der amerikanischen Rechtsprechung, Münster, 1983, pagg. 68‑82). Successivamente alla sentenza Shevill, la vulnerabilità del titolare del diritto della personalità continua ad apparire come elemento critico. V., inter alia, Fernández Rozas, J.C., e Sánchez Lorenzo, S., Derecho Internacional Privado, 3ª ed., Civitas, Madrid, pag. 501.


41 – Pichler, R., in Hoeren, T. e Sieber, U. (a cura di), Handbuch Multimedia-Recht, op. cit., capitolo 25, punti 211 e segg., soprattutto il punto 268.; Lutcke, J., Persönlichkeitsrechtsverletzungen im Internet. Eine rechtsvergleichende Untersuchung zum deutschen und amerikanischen Recht, Herbert Utz, Monaco, 2000, pag. 135.


42 – V., in tal senso le sentenze del Bundesgerichtshof 2 marzo 2010, cit., punto 20; della High Court di Inghilterra e del Galles 22 maggio 2003, causa Harrods c. Dow Jones, punti 32 e segg.; della Scottish Court of Session 1° luglio 2002, causa Bonner Media Limited, punto 19, così come della High Court dell’Australia 10 dicembre 2002, causa Dow Jones & Company Inc., punto 154.


43 – La Corte di giustizia si è pronunciata sulla specifica dimensione di tale foro speciale applicato a contratti di trasporto e consumo conclusi attraverso Internet nella sentenza 7 dicembre 2010, causa Pammer e Hotel Alpenhof, cit. A questo riguardo, la Corte, nella citata sentenza, affermava che «tra gli indizi che consentono di stabilire se una attività sia “diretta verso” lo Stato membro sul territorio del quale il consumatore risiede figurano tutte le espresse manifestazioni di volontà di avviare rapporti commerciali con i consumatori di detto Stato membro» (il corsivo è mio). Risultano specialmente esplicative, sul punto, le conclusioni dell’avvocato generale Trstenjak nelle cause citate, che considera, al pari della Corte, che la «direzione» di un contenuto di Internet verso un territorio non si riduce né alla semplice accessibilità né all’interesse oggettivo verso tale territorio (v. i paragrafi 78 e segg.).


44 – V. la sentenza del Bundesgerichtshof 2 marzo 2010, cit., punto 18.


45 – V. il caso degli Stati Uniti, dove la regola della «single-publication», stabilita dall’Uniform Single Publication Act e dal Restatement (Second) of Torts § 577A (1977), provoca gravi problemi nel caso di Internet. V. al riguardo la sentenza della Corte federale di appello del 4º circuito, Stanley Young v. New Haven Advocate, et al., (N. 01-2340, del 13 dicembre 2002), che esige la chiara intenzione da parte del mezzo di dirigere le informazioni verso uno Stato per giustificare la competenza dei giudici di quest’ultimo. Al riguardo, v. Borchers, P.J., «Internet Libel: The Consequences of a Non-Rule Approach to Personal Jurisdiction», Northwestern University Law Review, 98, 2004, così come il numero monografico «Cyberspace Regulation and the Discourse of State Sovereignty», Harvard Law Review, 1999, pagg. 1697 e segg.


46 – V. la sentenza Pammer e Hotel Alpenhof, cit., dove, in relazione al foro speciale dell’art. 15, n. 1, lett. c), è stato utilizzato il criterio del livello del nome del dominio (punto 83).


47 – V. ancora la sentenza Pammer e Hotel Alpenhof, cit. (punto 84).


48 – Pichler, R., in Hoeren, T., e Sieber, U. (a cura di), Handbuch Multimedia-Recht…, op. cit., capitolo 25, punto 224, e Roth, I., Die internationale Zuständigkeit…, op. cit., pag. 283.


49 – V., inter alia, le sentenze 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon» (Racc. pag. 649); 10 novembre 1982, causa 261/81, Rau Lebensmittelwerke (Racc. pag. 3961), e 14 luglio 1988, causa 407/85, Drei Glocken e a. (Racc. pag. 4233) e causa 90/86, Zoni (Racc. pag. 4285). Più in particolare, per l’ambito della libertà di stabilimento e della prestazione di servizi, v., inter alia, le sentenze 17 dicembre 1981, causa 279/80, Webb (Racc. pag. 3305); 4 dicembre 1986, causa 205/84, Commissione/Germania (Racc. pag. 3755), e 25 luglio 1991, causa C-76/90, Säger (Racc. pag. I‑4221).


50 – Al riguardo, v. Martiny, D., in Münchener Kommentar zum Bürgerlichen Gesetzbuch, vol. 10, TMG § 3 Herkunftslandprinzip, 5ª ed., Beck, Monaco, 2010, punto 36.


51 – Il considerando 23 della direttiva 2000/31 riprende la stessa idea, quando aggiunge: «La presente direttiva non è volta a introdurre norme supplementari di diritto internazionale privato sui conflitti di leggi, né tratta della competenza degli organi giurisdizionali. Le disposizioni della legge applicabile in base alle norme del diritto internazionale privato non limitano la libertà di fornire servizi della società dell’informazione come stabilito dalla presente direttiva».


52 – Questo è il caso di Austria, Francia, Lussemburgo, Repubblica ceca, Polonia, Portogallo e Slovacchia.


53 – Come Germania, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Spagna, Svezia, Romania e Regno Unito.


54 – È il caso, in particolare, della Germania.


55 – Art. 1, n. 2, lett. g), del regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio 11 luglio 2007, n. 864 (GU L 199, pag. 40).


56 – Juan José Álvarez Rubio, J.J., (dir.), Difamación y Protección de los Derechos de la Personalidad: Ley Aplicable en Europa, Aranzadi, 2009.


57 – V. Sánchez Lorenzo, S., Derecho Privado Europeo, Comares, Granada, 2002, pagg. 137 e 138, e Sonnenberger, H.J., «Europearecht und Internacionales Privatrechts», Zeitschrift für Rechtsvergleichung, Internacionales Privatrecht und Europarecht, 1996, pagg. 3 e segg.