Language of document : ECLI:EU:C:2011:575

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 14 settembre 2011 (1)

Cause riunite C‑424/10 e C‑425/10

Tomasz Ziolkowski (C‑424/10),

Barbara Szeja,

Maria-Magdalena Szeja,

Marlon Szeja (C‑425/10)

contro

Land Berlin

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Germania)]

«Diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Condizioni per l’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente – Nozione di “soggiorno legale” – Determinazione della durata del soggiorno necessaria»





1.        Le presenti cause offrono alla Corte l’occasione di precisare le condizioni per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente di cui all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38/CE (2). Tale disposizione prevede che i cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante acquisiscono il diritto di soggiorno permanente in tale territorio.

2.        Nelle cause principali, i ricorrenti, cittadini polacchi, sono entrati nel territorio tedesco prima dell’adesione della Repubblica di Polonia all’Unione. Conformemente al diritto nazionale tedesco, essi hanno tutti ottenuto un diritto di soggiorno per motivi umanitari. Regolarmente, il loro diritto di soggiorno è stato prorogato, per gli stessi motivi.

3.        Con l’entrata in vigore della direttiva 2004/38, i ricorrenti nelle cause principali chiedono alle autorità tedesche competenti un diritto di soggiorno pemanente, ritenendo di soddisfare le condizioni di acquisizione previste dall’art. 16, n. 1, di tale direttiva.

4.        Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) (Germania) si chiede allora se periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante conformemente al solo diritto nazionale, anche prima dell’adesione della Repubblica di Polonia all’Unione, possano essere considerati periodi di soggiorno legale ai sensi di tale disposizione ed essere pertanto presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno del cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

5.        Nelle presenti conclusioni, spiegherò i motivi per i quali ritengo che l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante ai sensi del solo diritto nazionale devono essere presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno del cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente in tale territorio.

6.        Proporrò altresì alla Corte di dichiarare che siffatti periodi di soggiorno compiuti prima dell’adesione dello Stato d’origine del cittadino dell’Unione all’Unione devono, anch’essi, essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione di tale diritto.

I –    Contesto normativo

A –    La direttiva 2004/38

7.        La direttiva 2004/38 riunisce e semplifica la legislazione dell’Unione relativa al diritto dei cittadini di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione. Essa istituisce un sistema a tre livelli, ciascuno dei quali è in funzione della durata del soggiorno nel territorio dello Stato membro ospitante.

8.        Per quanto riguarda il primo livello, l’art. 6, n. 1, di tale direttiva prevede che un cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato membro ospitante per un periodo non superiore a tre mesi, senza alcuna condizione o formalità, salvo il possesso di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità.

9.        Per quanto riguarda il secondo livello, che corrisponde ad un soggiorno di durata superiore a tre mesi nel territorio dello Stato membro ospitante, il legislatore dell’Unione ha previsto di sottoporre tale soggiorno a talune condizioni.

10.      Così, l’art. 7, n. 1, lett. a)‑d), della detta direttiva recita:

«Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)      di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)      di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o,

c)      –      di essere iscritto presso un istituto pubblico o privato, riconosciuto o finanziato dallo Stato membro ospitante in base alla sua legislazione o prassi amministrativa, per seguirvi a titolo principale un corso di studi inclusa una formazione professionale e,

–        di disporre di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di assicurare all’autorità nazionale competente, con una dichiarazione o con altro mezzo di sua scelta equivalente, di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il suo periodo di soggiorno; o

d)      di essere un familiare che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione rispondente alle condizioni di cui alle lettere a), b) o c)».

11.      Per quanto riguarda il terzo livello, il capitolo IV della direttiva 2004/38, probabilmente uno dei più innovativi, introduce un diritto di soggiorno permanente, non soggetto alle condizioni dell’art. 7 di tale direttiva, a favore dei cittadini dell’Unione che abbiano soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante (3).

12.      Infine, occorre aggiungere che, ai sensi dell’art. 37 della direttiva 2004/38, le disposizioni di quest’ultima non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di uno Stato membro che siano più favorevoli alle persone considerate dalla stessa direttiva.

B –    La legge nazionale

13.      La legge relativa alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione (Freizügigkeitsgesetz/EU) 30 luglio 2004 (4) traspone, nell’ordinamento giuridico tedesco, la direttiva 2004/38. In particolare, l’art. 2, n. 1, del FreizügG/EU prevede che i cittadini dell’Unione che beneficiano della libera circolazione nonché i loro familiari hanno il diritto di entrare e di soggiornare nel territorio federale conformemente alle disposizioni del FreizügG/EU.

14.      Ai sensi dell’art. 2, n. 2, du FreizügG/EU, fruiscono della libera circolazione, in forza del diritto dell’Unione, i cittadini dell’Unione non occupati, al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 4 del FreizügG/EU a norma del quale i cittadini dell’Unione non occupati, i loro familiari e partner, che accompagnano o raggiungono il cittadino dell’Unione, sono titolari del diritto di cui all’art. 2, n. 1, del FreizügG/EU, se dispongono di un’assicurazione malattia sufficiente e di risorse economiche sufficienti.

15.      Inoltre, l’art. 4a del FreizügG/EU stabilisce che i cittadini dell’Unione, i loro familiari e partner, che abbiano soggiornato legalmente per un periodo di cinque anni senza soluzione di continuità nel territorio federale, hanno il diritto di ingresso e di soggiorno indipendentemente dal fatto che essi soddisfino sempre le condizioni dell’art. 2, n. 2, del FreizügG/EU.

II – I fatti nelle cause principali

A –    Nella causa C‑424/10

16.      La causa C‑424/10 riguarda un cittadino polacco, il sig. Ziolkowski. Quest’ultimo è nato in Polonia nel 1977 ed è entrato in Germania nel mese di settembre 1989, con la madre ed il fratello. Egli ha ivi seguito, in particolare, una scuola professionale secondaria preparatoria. Nel 1994, egli ha ottenuto un permesso di lavoro illimitato e a tempo indeterminato. Il sig. Ziolkowski ha seguito un apprendistato, che ha poi interrotto. Successivamente egli ha tentato, senza successo, di creare un’impresa di pulizie. A partire dal suo ingresso nel territorio tedesco egli fruisce delle prestazioni dell’assistenza sociale.

17.      Il giudice del rinvio precisa che il sig. Ziolkowski ha ottenuto, dal mese di luglio 1991 al mese di aprile 2006, un titolo di soggiorno per ragioni umanitarie.

18.      Nel mese di luglio 2005, il sig. Ziolkowski ha sollecitato la proroga del suo permesso di soggiorno o, eventualmente, il rilascio di un permesso di soggiorno in base al diritto dell’Unione.

19.      Il Land Berlin gli ha rilasciato, nel mese di ottobre 2005, un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, valido sino al mese di aprile 2006. Esso gli ha precisato che non vi sarebbe stata alcuna proroga al di là di tale data, qualora il sig. Ziolkowski fosse sempre dipendente dagli aiuti sociali.

20.      Con decisione del 22 marzo 2006, e dopo una nuova domanda presentata dal sig. Ziolkowski, il Land Berlin ha rifiutato di prorogare il suo permesso di soggiorno in quanto l’interessato non soddisfaceva le condizioni previste dal FreizügG/EU, non avendo egli un lavoro o non essendo in grado di dimostrare di disporre di risorse proprie sufficienti. Il sig. Ziolkowski è stato successivamente informato che egli era oggetto di un provvedimento di espulsione verso la Polonia. Egli ha proposto opposizione contro tale decisione dinanzi al Land Berlin, che non si è ancora pronunciato.

21.      A seguito di un ricorso proposto dal sig. Ziolkowski, il Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo), ha accolto la sua domanda diretta ad ottenere un diritto di soggiorno permanente, con la motivazione che l’art. 16 della direttiva 2004/38 riconosce tale diritto ad ogni cittadino dell’Unione che abbia legalmente soggiornato per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante e senza che sia necessario verificare che egli disponga di risorse sufficienti.

22.      Il Land Berlin ha interposto appello contro tale decisione dinanzi all’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg (Tribunale amministrativo regionale superiore dei Länder di Berlino e del Brandeburgo), che, con sentenza del 28 aprile 2009, ha riformato la detta decisione. Secondo tale giudice, anche se il sig. Ziolkowski risiede da oltre cinque anni nel territorio federale, nondimeno solo un soggiorno fondato sul diritto dell’Unione può essere considerato legale e possono essere presi in considerazione solo i periodi nei quali lo Stato di origine è membro dell’Unione.

23.      Il sig. Ziolkowski ha proposto un ricorso per «Revision» avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio e chiede che gli venga riconosciuto un diritto di soggiorno permanente.

B –    Nella causa C‑425/10

24.      La causa C‑425/10 riguarda, anch’essa, una cittadina polacca, la sig.ra Szeja, nata nel 1960, che è entrata in Germania nel 1988, e i suoi due figli nati in territorio tedesco nel 1994 e nel 1996. Il padre di questi ultimi vive separato, ma ha la custodia dei figli congiuntamente alla madre.

25.      La sig.ra Szeja ha ottenuto un diritto di soggiorno dal mese di maggio 1990 al mese di ottobre 2005 per ragioni umanitarie. I due figli hanno anch’essi ottenuto titoli di soggiorno corrispondenti a quello della madre.

26.      Nel mese di agosto 2005 la sig.ra Szeja e i figli hanno chiesto la proroga dei loro permessi di soggiorno o, eventualmente, il rilascio di un permesso di soggiorno permanente in base al diritto dell’Unione.

27.      Con decisioni del 26 ottobre 2005, il Land Berlin ha respinto tali domande in quanto gli interessati non erano in grado di provvedere al loro sostentamento e ha minacciato la sig.ra Szeja e i suoi figli di provvedimenti di espulsione verso la Polonia.

28.      Questi ultimi hanno proposto, nei confronti di tali decisioni, opposizioni che non sono state accolte. Essi hanno quindi avviato un procedimento dinanzi al Verwaltungsgericht perché fosse loro riconosciuto un diritto di soggiorno permanente in applicazione della direttiva 2004/38. Nel mese di gennaio 2007 tale giudice ha accolto le loro domande considerando che l’art. 16 di tale direttiva riconosce ad ogni cittadino dell’Unione che abbia legalmente soggiornato per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante un siffatto diritto di soggiorno permanente, senza che sia necessario verificare che egli disponga di risorse sufficienti.

29.      Il Land Berlin ha interposto appello contro tale sentenza dinanzi all’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg, che l’ha riformata con sentenza 28 aprile 2009.

30.      Avverso tale sentenza la sig.ra Szeja e i figli hanno proposto ricorso per «Revision» dinanzi al Bundesverwaltungsgericht.

31.      Occorre inoltre aggiungere che, a seguito di una petizione ad iniziativa della camera dei deputati di Berlino, la sig.ra Szeja e i figli hanno ottenuto, nel mese di novembre 2006, permessi di soggiorno di durata limitata per ragioni umanitarie che, da allora, sono stati prorogati ogni sei mesi.

III – Le questioni pregiudiziali

32.      Il Bundesverwaltungsgericht nutre dubbi in ordine all’interpretazione da dare all’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38. Esso ha pertanto sospeso il giudizio sottoponendo alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 16, n. 1, prima frase, della direttiva 2004/38[…] debba essere interpretato nel senso che conferisce al cittadino dell’Unione, che abbia soggiornato legalmente per oltre cinque anni in uno Stato membro soltanto sulla base del diritto nazionale ma che in tale periodo non soddisfaceva i presupposti di cui all’art. 7, n. 1, di [tale] direttiva […], un diritto di soggiorno permanente in tale Stato membro.

2)      Se, ai fini del soggiorno legale ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38[...], debbano essere computati anche i periodi di soggiorno del cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante anteriori all’adesione del suo Stato d’origine all’Unione europea [...]».

IV – Analisi

33.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio si chiede, sostanzialmente, se l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante unicamente ai sensi del diritto nazionale possano essere presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno di un cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

34.      Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte se, in sostanza, siffatti periodi di soggiorno compiuti prima dell’adesione dello Stato di origine di un cittadino dell’Unione all’Unione debbano essere presi in considerazione in tale calcolo ai fini dell’acquisizione di tale diritto.

A –    Sulla presa in considerazione dei periodi di soggiorno compiuti unicamente ai sensi del diritto nazionale dello Stato membro ospitante ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente

35.      L’art. 7, n. 1, della decisione 2004/38 prevede che l’acquisizione di un diritto di soggiorno di più di tre mesi è subordinata al rispetto di talune condizioni. Per beneficiarne, il cittadino dell’Unione deve, in particolare, essere un lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante o disporre, per sé e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti al fine di non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale di tale Stato e di un’assicurazione malattia completa nel detto Stato.

36.      Il giudice del rinvio chiede se, ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il cittadino dell’Unione debba aver soddisfatto, durante i cinque anni di soggiorno senza soluzione di continuità che precedono tale acquisizione, una delle condizioni elencate all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38 ovvero se basti che, durante tali anni, il suo soggiorno sia stato legale ai sensi della legge nazionale.

37.      Il governo tedesco, l’Irlanda, i governi greco e del Regno Unito nonché la Commissione europea considerano che un cittadino dell’Unione può acquisire un diritto di soggiorno permanente solo se ha soggiornato cinque anni senza soluzione di continuità nel territorio dello Stato membro ospitante e se, durante tali cinque anni, soddisfaceva alle condizioni elencate all’art. 7, n. 1, della direttiva 2004/38. In altri termini, essi ritengono che il soggiorno di un cittadino dell’Unione che non soddisfi a tali condizioni non possa essere qualificato come «soggiorno legale» ai sensi dell’art. 16, n. 1, di tale direttiva.

38.      Tali governi e la Commissione adducono, in particolare, il fatto che il diciassettesimo ‘considerando’ della detta direttiva precisa che «occorre (…) istituire un diritto di soggiorno permanente per tutti i cittadini dell’Unione ed i loro familiari che abbiano soggiornato nello Stato membro ospitante per un periodo ininterrotto di cinque anni, conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva (5), e senza diventare oggetto di una misura di allontanamento». A loro parere, l’espressione «conformemente alle condizioni previste dalla presente direttiva» riguarda le condizioni elencate all’art. 7, n. 1, di tale direttiva e dimostra che esse devono essere state preliminarmente soddisfatte dal cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

39.      Non condivido tale parere.

40.      La Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla portata dell’art. 16, n. 1, della detta direttiva, ed in particolare su cosa debba intendersi per «soggiornare legalmente (6) nello Stato membro ospitante».

41.      Infatti, nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza 7 ottobre 2010, Lassal (7), la Corte ha dichiarato che periodi di soggiorno ininterrotto di cinque anni, compiuti prima della data di trasposizione della direttiva 2004/38, conformemente a strumenti di diritto dell’Unione anteriori a tale data, devono essere presi in considerazione ai fini del diritto di soggiorno permanente.

42.      Più recentemente, nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza 21 luglio 2011, Dias (8), alla Corte era stata posta la questione se i periodi di soggiorno di un cittadino dell’Unione in uno Stato membro ospitante compiuti unicamente sulla base di un permesso di soggiorno validamente rilasciato in forza della direttiva 68/360/CEE (9), sebbene il titolare di tale permesso non soddisfacesse le condizioni per beneficiare di un qualsivoglia diritto di soggiorno, potessero essere considerati legalmente compiuti ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38.

43.      In tale causa la Corte ha considerato che un soggiorno effettuato nel territorio dello Stato membro ospitante unicamente sulla base di un permesso di soggiorno validamente rilasciato in virtù del diritto dell’Unione, ma senza che il cittadino dell’Unione soddisfacesse i requisiti per beneficiare di un diritto di soggiorno, non può qualificarsi «legale» e non può, pertanto, essere preso in considerazione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente (10).

44.      Essa ha spiegato che il permesso di soggiorno della sig.ra Dias aveva solo un carattere dichiarativo e non costitutivo di diritti (11). Poiché tale permesso di soggiorno non era di natura tale da costituire diritti a beneficio del suo titolare, e in particolare un diritto di soggiorno, la Corte ha considerato che periodi compiuti sulla sola base di un permesso del genere non possono essere presi in considerazioni ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

45.      Le citate sentenze Lassal e Dias non disciplinano la questione se periodi di soggiorno compiuti unicamente sulla base del diritto nazionale possano essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente. Nelle presenti cause, infatti, è incontestabile che il soggiorno si basava su un diritto riconosciuto dalla legge nazionale. Il punto di diritto in discussione consiste nello stabilire se i periodi di soggiorno, regolarmente compiuti conformemente al diritto nazionale, possano essere presi in considerazione in base al diritto dell’Unione, qualora quest’ultimo venga a sostituire una normativa comune nuova a quelle che esistevano in precedenza, che si tratti di norme dell’Unione ovvero di norme nazionali non contrastanti con il diritto anteriore dell’Unione.

46.      Al riguardo, osservo, in primo luogo, che la stessa direttiva 2004/38 precisa, all’art. 37, che le disposizioni da essa introdotte non pregiudicano le disposizioni nazionali più favorevoli.

47.      È indubbio che ciò si verifica nel caso di un diritto di soggiorno rilasciato per ragioni umanitarie, senza che venga presa in considerazione l’entità delle risorse economiche della persona interessata.

48.      Mi sembra che, pertanto, specificando ciò senza precisare che, tuttavia, tali disposizioni nazionali più favorevoli sarebbero escluse dal meccanismo dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, la direttiva 2004/38 le abbia, in realtà, forse implicitamente, ma tuttavia necessariamente, convalidate in base al meccanismo in questione.

49.      Quale sarebbe l’utilità dell’art. 37 di tale direttiva se dovesse essere accolta la soluzione inversa? Se tale articolo esiste, è perché ha un senso, che non può che essere in armonia con la finalità della detta direttiva, come ora vedremo.

50.      In secondo luogo, infatti, come la Corte ha ricordato nella citata sentenza Lassal, in considerazione del contesto e degli scopi perseguiti dalla direttiva 2004/38, le disposizioni della medesima non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private della loro efficacia pratica (12). Orbene, è indubbio che lo scopo della detta direttiva, quale espresso in particolare nei suoi terzo e diciassettesimo ‘considerando’, è quello di giungere ad un sistema imperniato sul rafforzamento della coesione sociale nel quale il diritto di soggiorno permanente appare qui come un fattore chiave in quanto elemento della cittadinanza dell’Unione, cittadinanza chiamata a costituire lo «status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno» (13).

51.      La volontà del legislatore dell’Unione è quella di raggiungere, per i cittadini dell’Unione che soddisfano le condizioni di acquisizione di tale diritto di soggiorno permanente, una parità di trattamento quasi totale con i cittadini nazionali (14). Esso parte dal principio che, dopo un periodo sufficientemente lungo di residenza sul territorio dello Stato membro ospitante, il cittadino dell’Unione ha posto in essere stretti legami con tale Stato ed è divenuto parte integrante della società di quest’ultimo (15).

52.      La durata del soggiorno del cittadino dell’Unione nel territorio dello Stato membro ospitante è rivelatrice di una certa integrazione in tale Stato. Più il periodo di soggiorno nel territorio del detto Stato è lungo, più si presuppongono stretti i legami con quest’ultimo e più l’integrazione tende ad essere totale, sino a dare a tale cittadino la sensazione di essere equiparato ad un cittadino nazionale e di far parte integrante della società dello Stato membro ospitante. È incontestabile, dal mio punto di vista, che tale è la situazione che si forma quando i legami tra l’individuo e lo Stato membro ospitante si creano nell’ambito di rapporti di solidarietà umanitaria.

53.      La Corte ha precisato, nella citata sentenza Dias, che l’integrazione, sottesa all’acquisizione del diritto di soggiorno permanente previsto dall’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38, è coniugata non solo a elementi spaziali e temporali, ma anche ad elementi qualitativi, relativi al grado di integrazione nello Stato membro ospitante (16).

54.      A mio parere, e come l’avvocato generale Kokott ha rilevato al paragrafo 52 delle sue conclusioni nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza McCarthy (17), tale grado di integrazione del cittadino dell’Unione non dipende dal fatto che il suo diritto di soggiorno provenga dal diritto dell’Unione ovvero dal diritto nazionale.

55.      Aggiungerò che, a mio parere, il detto grado di integrazione non dipende neppure dalla situazione materiale di tale cittadino, sia essa precaria o meno, allorché tale situazione è stata presa in considerazione e gestita dallo Stato membro ospitante per un periodo di tempo la cui durata, superiore a quella minima richiesta dalla direttiva 2004/38, ha costituito appunto una manifestazione di coesione sociale.

56.      Se si prende come riferimento la situazione di un cittadino dell’Unione, ad esempio francese, che abbia ottenuto un diritto di soggiorno permanente sulla base del diritto dell’Unione, sia stabilito in territorio tedesco dall’età di dodici anni, vi abbia fondato una famiglia e si trovi senza lavoro in circostanze identiche a quelle delle presenti cause, non vedo come l’integrazione di tale cittadino sia più piena di quella del sig. Ziolkowski, entrato anch’egli all’età di 12 anni nel territorio tedesco, che ha ivi seguito una parte del suo iter scolastico e che ha oggi un figlio in possesso della cittadinanza tedesca, ovvero di quella della sig.ra Szeja che risiede da oltre 20 anni in tale territorio in cui i suoi figli sono nati e hanno sempre vissuto.

57.      Si farebbe in tal caso una distinzione tra tali cittadini che equivarrebbe a considerare che taluni cittadini dell’Unione lo sono meno di altri per il solo fatto di essere stati accolti prima che il loro Stato di origine aderisse all’Unione e benché ciò sia avvenuto per motivi umanitari, condizione più favorevole che la direttiva 2004/38 ci dice tuttavia non essere in contrasto con essa. La mia valutazione sarebbe evidentemente del tutto diversa se la persona in questione soggiornasse illegalmente nel territorio dello Stato membro ospitante, il che non si verifica nelle presenti cause.

58.      Infine, in questa fase, mi sembra utile considerare nuovamente l’art. 37 della direttiva 2004/38. Quest’ultima, infatti, viene a creare un diritto di soggiorno permanente innovativo che non esisteva nelle normative anteriori. Essa procede quindi alla rifusione del vecchio sistema per sostituirlo con un testo unico al fine di creare uno status unico di cui ho precedentemente ricordato la finalità. Così facendo, la direttiva 2004/38 emana le norme che si impongono agli Stati membri e che faranno sì che, una volta soddisfatte queste ultime, essi non potranno opporsi al riconoscimento del diritto di soggiorno permanente. Nel contempo, e tenuto conto dello scopo perseguito con l’art. 37 contenuto nel capo VII riservato alle disposizioni finali, tale direttiva non impedisce a tali Stati di prevedere norme proprie più favorevoli, che possano accelerare il processo di integrazione e di coesione sociale. Mi sembra dunque che tale articolo abbia effettivamente un senso e un’utilità coerenti, nell’ambito dell’esame da me proposto, con la finalità della detta direttiva.

59.      Di conseguenza, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, sono del parere che l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante unicamente ai sensi del diritto nazionale devono essere presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno del cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente in tale territorio.

B –    Sulla presa in considerazione dei periodi di soggiorno compiuti prima dell’adesione dell’Unione dello Stato di origine di un cittadino dell’Unione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente

60.      Il giudice del rinvio intende altresì stabilire se i periodi di soggiorno compiuti da un cittadino dell’Unione prima dell’adesione del suo Stato d’origine all’Unione debbano essere presi in considerazione nel calcolo della durata del suo soggiorno ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

61.      Nella citata sentenza Lassal, la Corte ha affermato che la presa in considerazione dei periodi di soggiorno conclusi prima della data di trasposizione della direttiva 2004/38 ha come conseguenza non di conferire all’art. 16 di tale direttiva un effetto retroattivo, bensì semplicemente di associare un effetto presente a situazioni createsi anteriormente a tale data (18).

62.      Essa ha altresì ricordato, a tal fine, che le disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione sono applicabili sin dal momento della loro entrata in vigore e che occorre allora considerare che esse devono trovare applicazione con riferimento agli effetti presenti di circostanze createsi anteriormente (19).

63.      È del resto quanto risulta dalla relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 10 dicembre 2008 sull’applicazione della direttiva 2004/38 (20). Risulta dagli elementi di tale relazione che i periodi di soggiorno compiuti da cittadini dell’Unione prima dell’adesione del loro Stato membro d’origine devono essere presi in considerazione dallo Stato membro ospitante (21). Orbene, ricordo che, poiché le disposizioni nazionali più favorevoli sono riconosciute dalla direttiva stessa come non in contrasto con essa, non vi è alcun motivo di non far loro produrre in questo caso gli effetti a cui esse sono destinate.

64.      Pertanto, ritengo che l’art. 16, n. 1, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante unicamente ai sensi del diritto nazionale e prima dell’adesione all’Unione dello Stato d’origine del cittadino dell’Unione devono essere presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno di tale cittadino ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente.

V –    Conclusione

65.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni proposte dal Bundesverwaltungsgericht:

«L’art. 16, n. 1, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, dev’essere interpretato nel senso che:

–        periodi di soggiorno compiuti nel territorio dello Stato membro ospitante unicamente ai sensi del diritto nazionale devono essere presi in considerazione nel calcolo della durata del soggiorno di un cittadino dell’Unione europea ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente in tale territorio;

–        anche periodi di soggiorno compiuti prima dell’adesione all’Unione dello Stato d’origine di un cittadino dell’Unione devono essere presi in considerazione in tale calcolo ai fini dell’acquisizione di tale diritto».


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e – rettifiche – GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34).


3 – Art. 16, n. 1, della detta direttiva.


4 – BGBl. 2004 I, pag. 1950, così come modificata dalla legge 26 febbraio 2008 (BGBl. 2008 I, pag. 215, in prosieguo: il «FreizügG/EU»).


5 – Il corsivo è mio.


6 – Il corsivo è mio.


7 – Causa C‑162/09 (Racc. pag. I‑9217).


8 – Causa C‑325/09 (Racc. pag. I‑2359).


9 – Direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968 relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 13).


10 – Sentenza Dias, cit. (punto 55).


11 – Ibidem (punti 48‑52).


12 – Ibidem (punto 31).


13 – V. terzo ‘considerando’ della direttiva 2004/38.


14 – V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 def., pag. 3].


15 – Ibidem (pag. 18).


16 – V. punto 64.


17 – Sentenza 5 maggio 2011, causa C‑434/09 (Racc. pag. I‑3375).


18 – Punto 38.


19 – Punto 39 e giurisprudenza citata. V., anche, in questo senso, sentenza 30 novembre 2000, causa C‑195/98, Österreichischer Gewerkschaftsbund (Racc. pag. I‑10497), nella quale la Corte ha ammesso che uno Stato membro era tenuto a prendere in considerazione, per il calcolo della retribuzione degli insegnanti e degli assistenti a contratto, i periodi di attività effettuati da tale personale prima dell’adesione della Repubblica d’Austria all’Unione (punti 52‑56).


20 – COM(2008) 840 def.


21 – V. pag. 8.