Language of document : ECLI:EU:T:1998:128

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

17 giugno 1998 (1)

«Accordo sulla politica sociale — Annullamento di una direttiva — Ricevibilità — Status delle parti sociali nel processo d'adozione della direttiva — Rappresentatività delle parti sociali»

Nella causa T-135/96,

Union européenne de l'artisanat et des petites et moyennes entreprises (UEAPMA), associazione di diritto belga, con sede in Bruxelles, con gli avv.ti Francis Herbert, Daniel Tomasevic, del foro di Bruxelles, e Geneviève Tuts, del foro di Liegi, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Carlos Zeyen, 67, rue Ermesinde,

ricorrente,

sostenuta da

Confédération général des petites et moyennes entreprises et du patronat réel (CGPMA), associazione di diritto francese con sede in Puteaux (Francia),

Union professionnelle artisanale (UPA), associazione di diritto francese, con sede in Parigi,

Koninklijke Vereniging MKB-Nederland, associazione di diritto olandese, con sede in Delft (Paesi Bassi),

Fédération des artisans, associazione di diritto lussemburghese, con sede in Lussemburgo (Gran Ducato di Lussemburgo),

Confederazione generale italiana dell'artigianato (Confartigianato), associazione di diritto italiano, con sede in Roma,

Wirtschaftskammer Österreich, ente pubblico austriaco, con sede in Vienna,

Bundesvereinigung der Fachverbände des deutschen Handwerks eV (BFH), associazione di diritto tedesco, con sede in Bonn,

rappresentate dall'avv. domiciliatario Paul Beghin, del foro di Lussemburgo, 67, rue Ermesinde,

intervenienti,

contro

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal signor Frédéric Anton, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione degli Affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

convenuto,

sostenuto da

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla signora Maria Patakia, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/CE, concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU L 145, pag. 4),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione ampliata),

composto dalla signora P. Lindh, presidente, e dai signori R. García-Valdecasas, K. Lenaerts, J.D. Cooke e M. Jaeger, giudici,

cancelliere: A. Mair, amministratore,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale dell'11 marzo 1998,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti e procedimento

1.
    L'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese (in prosieguo: «la ricorrente») è un'associazione europea che rappresenta e difende a livello europeo gli interessi delle piccole e medie aziende (in prosieguo: le «PMA»).

2.
    Il 3 giugno 1996 il Consiglio ha adottato, in base all'art. 4, n. 2, dell'accordo sulla politica sociale concluso tra gli Stati membri della Comunità europea ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord (in prosieguo: l'«Accordo»), allegato al protocollo n. 14 sulla politica sociale, allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea, la direttiva concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'Unione delle confederazioni dell'industria e dei datori di lavoro d'Europa e sue organizzazioni settoriali (UNICE), dal Centro europeo dell'impresa pubblica (CEEP) e dalla Confederazione europea dei sindacati e suoi comitati sindacali (CES) (GU L 145, pag. 4; in prosieguo: la «direttiva 96/34»).

3.
    Tale direttiva costituisce il primo atto normativo adottato in base agli artt. 3 e 4 dell'Accordo, il cui contenuto è il seguente:

«Articolo 3

1.     La Commissione ha il compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario e prende ogni misura utile per facilitarne il dialogo provvedendo ad un sostegno equilibrato delle parti.

2.     A tal fine la Commissione, prima di presentare proposte nel settore della politica sociale, consulta le parti sociali sul possibile orientamento di un'azione comunitaria.

3.     Se, dopo tale consultazione, dovesse ritenere opportuna un'azione comunitaria, la Commissione consulta le parti sociali sul contenuto della proposta prevista. Le parti sociali trasmettono alla Commissione un parere o, eventualmente, una raccomandazione.

4.     In occasione della consultazione le parti sociali possono informare la Commissione della loro volontà di avviare il processo previsto dall'articolo 4. La durata della procedura non potrà superare nove mesi, salvo proroga decisa in comune dalle parti sociali interessate e dalla Commissione.

Articolo 4

1.     Il dialogo fra le parti sociali a livello comunitario può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi.

2.     Gli accordi conclusi a livello comunitario sono attuati secondo le procedure e la prassi proprie delle parti sociali e degli Stati membri o, nell'ambito dei settori contemplati dall'articolo 2, e a richiesta congiunta delle parti firmatarie, in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione.

Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo allorché l'accordo in questione contiene una o più disposizioni relative ad uno dei settori di cui all'articolo 2, paragrafo 3, nel qual caso esso delibera all'unanimità.»

4.
    Nella sua comunicazione riguardante l'attuazione del protocollo sulla politica sociale [COM(93) 600 finale] (in prosieguo: la «comunicazione»), la Commissione ha considerato che la ricorrente era un'associazione di datori di lavoro «molto rappresentativa» di singole categorie d'imprese o di singoli aspetti delle attività di queste ultime, che rientrano nella categoria delle organizzazioni intercategoriali che rappresentano talune categorie di lavoratori o di imprese. La ricorrente figura, in tal senso, sull'elenco, riportato nell'allegato 2 della comunicazione, delle organizzazioni che rispondono ai criteri che essa ha stabilito al punto 24 della comunicazione per garantire il funzionamento del procedimento di consultazione previsto dall'art. 3 dell'Accordo. Tale elenco comprende, in particolare, alcune organizzazioni intercategoriali a carattere generale e talune organizzazioni intercategoriali che rappresentano talune categorie di lavoratori o di imprese. Al punto 49 della comunicazione, la Commissione dichiara che essa «considera che la presente Comunicazione stabilisce alcune regole di base per l'attuazione dei nuovi procedimenti, per condurre un'azione efficace e aperta».

5.
    Nel 1983, la Commissione aveva elaborato una proposta di direttiva relativa ai permessi parentali e ai permessi per motivi di famiglia, che non è mai stata adottata dal Consiglio. Il 21 gennaio 1995, la Commissione decideva di consultare le parti sociali sul possibile orientamento di un'azione comunitaria in materia di conciliazione della vita lavorativa e familiare, ai sensi dell'art. 3, n. 2, dell'Accordo.

6.
    La ricorrente e altre associazioni rappresentative consultate facevano pervenire alla Commissione il 6 aprile 1995 una posizione comune. Gli autori di tale documento insistevano presso la Commissione affinché facesse «tutto ciò che è in suo potere perché talune rilevanti questioni e taluni rappresentanti delle parti sociali non venissero esclusi dalle trattative».

7.
    Nel giugno 1995, ritenendo che fosse opportuna un'azione comunitaria, la Commissione consultava nuovamente le parti sociali sul contenuto della proposta di cui trattasi, ai sensi dell'art. 3, n. 3 dell'Accordo. Il 5 luglio 1995, la ricorrente e le altre organizzazioni consultate sottoponevano nuovamente una posizione comune.

8.
    Lo stesso giorno, le associazioni UNICE, CEEP e CES informavano la Commissione, ai sensi dell'art. 3, n. 4, dell'Accordo, che intendevano optare per la possibilità offerta dall'art. 4, n. 1, del detto Accordo, di avviare trattative sul congedo parentale.

9.
    Il 6 novembre 1995, l'UNICE, il CEEP e la CES convenivano una proposta di accordo quadro. Il 14 dicembre 1995, le tre citate organizzazioni concludevano l'accordo quadro sul congedo parentale (in prosieguo: l'«accordo quadro») e lo trasmettevano alla Commissione chiedendo che fosse attuato con una decisione del Consiglio su proposta della Commissione, ai sensi dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo. Nel frattempo, la ricorrente informava la Commissione, con lettere 30 novembre 1995 e 13 dicembre 1995, che si rammaricava di non aver potuto partecipare al dialogo sociale, facendole comunque presenti le proprie critiche riguardanti la proposta di accordo quadro.

10.
    Il 20 dicembre 1995 la Commissione trasmetteva l'accordo quadro di cui trattasi alle organizzazioni che aveva consultato o informato previamente e che ne erano le firmatarie, tra le quali figurava la ricorrente, invitandole ad una riunione d'informazione e di dialogo il 5 gennaio 1996. La ricorrente partecipava a tale riunione.

11.
    In conseguenza a ciò la direttiva 96/34, che attua l'accordo quadro, è stata adottata dal Consiglio il 3 giugno 1996.

12.
    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 settembre 1996, la ricorrente ha proposto, in forza dell'art. 173 del Trattato CE, un ricorso di annullamento della direttiva 96/34.

13.
    Con separato atto depositato, ai sensi dell'art. 114, n. 1, del regolamento di procedura del Tribunale, in cancelleria il 21 novembre 1996, il Consiglio ha sollevato un'eccezione d'irricevibilità. La ricorrente ha presentato osservazioni su tale eccezione d'irricevibilità con memoria 30 gennaio 1997, depositata in Tribunale il 31 gennaio 1997. Con ordinanza 18 marzo 1997, il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di riunire l'eccezione al merito.

14.
    Con atto depositato il 20 gennaio 1997, la Commissione ha chiesto, ai sensi dell'art. 115 del regolamento di procedura del Tribunale e dell'art. 37, primo comma, dello Statuto (CE) della Corte, di intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con ordinanza 18 marzo 1997, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha ammesso il suo intervento. La Commissione ha depositato una memoria d'intervento il 17 giugno 1997. La ricorrente ha depositato le sue osservazioni su tale memoria d'intervento il 9 settembre 1997.

15.
    Con istanza depositata il 24 gennaio 1997, la Confédération générale des petites et moyennes entreprises et du patronat réel (CGPMA), associazione di diritto francese, con sede in Puteaux (Francia), l'Union professionnelle artisanale (UPA), associazione di diritto francese, con sede in Parigi, il Nationaal Christelijk Middenstandsverbond (NCMV), associazione di diritto belga, con sede in Bruxelles, la Koninklijke Vereniging MKB-Nederland, associazione di diritto olandese, con sede in Delft (Paesi Bassi), la Fédération des artisans, associazione di diritto lussemburghese, con sede in Lussemburgo, la Confederazione generale italiana dell'artigianato (Confartigianato), associazione di diritto italiano, con sede in Roma, la Wirtschaftskammer Österreich, organizzazione di diritto pubblico austriaco, con sede in Vienna, e la Bundesvereinigung der Fachverbände des deutschen Handwerks e.V. (BFH), associazione di diritto tedesco, con sede in Bonn, hanno chiesto, ai sensi dell'art. 115 del regolamento di procedura del Tribunale e dell'art. 37, secondo comma, dello Statuto della Corte, di intervenire nella causa a sostegno delle conclusioni della ricorrente. Con ordinanza 18 marzo 1997, il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha ammesso il loro intervento (UEAPMA/Consiglio, Racc. pag. II-373). Dette parti hanno depositato una memoria d'intervento il 18 giugno 1997. Il Consiglio ha depositato osservazioni su tale memoria d'intervento l'8 settembre 1997.

16.
    Con provvedimento del Tribunale 18 aprile 1997 la causa è stata assegnata alla Quarta Sezione ampliata. Le parti principali in causa hanno dichiarato il loro consenso a tale decisione.

17.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quarta Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere ad istruttoria. Nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento, le parti sono state tuttavia invitate a rispondere per iscritto a taluni quesiti prima dell'udienza e il Consiglio è stato invitato a produrre gli estratti di taluni documenti, cosa che è stata fatta entro i termini impartiti.

18.
    Le difese orali svolte dalle parti e le loro risposte ai quesiti orali del Tribunale sono state sentite nell'udienza svoltasi il 28 gennaio 1997.

Conclusioni delle parti

19.
    La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

—    in via principale, annullare, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, la direttiva 96/34;

—    in via subordinata, annullare, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, la direttiva96/34 solo per quanto riguarda l'applicazione alle PMA, di cui all'art. 2, n. 2, dell'Accordo;

—    condannare il Consiglio alle spese.

20.
    Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

—    dichiarare il ricorso irricevibile;

—    in via subordinata, respingerlo;

—    condannare la ricorrente e le parti intervenute a sostegno di quest'ultima alle spese.

21.
    Le intervenienti a sostegno delle conclusioni della ricorrente chiedono che il Tribunale voglia:

—    dare loro atto che esse vengono a sostegno delle conclusioni formulate dalla ricorrente;

—    in via principale annullare, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, la direttiva 96/34, e, in via subordinata, annullare, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, la direttiva 96/34 solo per quanto riguarda l'applicazione alle PMA, di cui all'art. 2, n. 2, dell'Accordo;

—    condannare il Consiglio a tutte le spese, comprese le spese per il loro intervento.

22.
    La Commissione, interveniente a sostegno delle conclusioni del Consiglio, chiede che il Tribunale voglia:

—    dichiarare il ricorso irricevibile;

—    respingere il ricorso;

—    condannare la ricorrente e le intervenienti al sostegno delle conclusioni di quest'ultima alle spese.

23.
    La ricorrente deduce cinque motivi a sostegno del ricorso. Il primo riguarda la violazione dell'art. 3, n. 1, e dell'art. 4, n. 1, dell'Accordo. Il secondo riguarda la violazione del principio patere legem quam ipse fecisti. Il terzo motivo riguarda l'esistenza di una discriminazione tra le organizzazioni rappresentative. Il quarto riguarda la violazione dell'art. 2, n. 2, dell'Accordo. Il quinto riguarda la violazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

24.
    Nell'ambito dell' eccezione d'irricevibilità, il Consiglio sostiene che il ricorso è irricevibile, in via principale, per la natura dell'atto impugnato e, in via subordinata, per il fatto che la direttiva 96/34 non riguarda né direttamente né individualmente la ricorrente.

25.
    In via principale, il Consiglio sostiene infatti che, essendo la direttiva 96/34 un atto normativo, non può, ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, essere impugnata con ricorso di annullamento proposto da una persona giuridica come la ricorrente. Secondo una costante giurisprudenza, la ricevibilità di un ricorso d' annullamento presentato da un singolo è subordinata alla condizione che l'atto impugnato, indipendentemente dalla forma e dalla qualifica, costituisca in realtà una decisione ai sensi dell'art. 189 del Trattato (sentenze della Corte 6 ottobre 1982, causa 307/81, Alusuisse/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3463, 29 gennaio 1985, causa 147/83, Binderer/Commissione, Racc. pag. 257, 24 febbraio 1987, causa 26/86, Deutz und Geldermann/Consiglio, Racc. pag. 941, punto 6, e 29 giugno 1989, cause riunite 250/86 e 11/87, RAR/Consiglio e Commissione, Racc. pag. 2045). Ebbene, nella fattispecie, l'atto impugnato possederebbe tutte le caratteristiche proprie di una direttiva. Al riguardo, il Consiglio fa presente che non è possibile stabilire con una certa precisione il numero o anche l'identità dei soggetti giuridici ai quali la direttiva si applica. Inoltre, esso rileva che la ricorrente non vi è menzionata. Peraltro, essendo redatta in termini particolarmente generali, la direttiva 96/34 potrebbe essere applicata solo dopo trasposizione da parte degli Stati membri, che usufruirebbero nella fattispecie di una notevole discrezionalità.

26.
    In via subordinata, il Consiglio sostiene che l'atto impugnato non riguarda la ricorrente né direttamente né individualmente. Esso afferma che la direttiva 96/34 non riguarda direttamente la ricorrente, dato che non mira a creare diritti in capo a singoli, ma soltanto obblighi per gli Stati membri, ai quali sarebbe riconosciuta una discrezionalità molto ampia per adempiere il loro obbligo di trasposizione nella fattispecie. Il Consiglio sottolinea che la ricorrente non ha provato l'esistenza di determinate qualità personali ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità in misura tale da doverne concludere che la direttiva 96/34 la

riguarda individualmente. Il Consiglio espone i vari elementi che lo conducono a tale conclusione.

27.
    Esso rammenta che la ricorrente non può limitarsi a dimostrare di aver partecipato al procedimento d'adozione della direttiva per dedurne la ricevibilità del ricorso di annullamento, poiché la direttiva rimane un atto normativo, generale e astratto di cui l'associazione non è destinataria (v. ordinanza della Corte 23 novembre 1995, causa C-10/95 P, Asocarne/Consiglio, Racc. pag. I-4149, punto 40; ordinanze del Tribunale 20 ottobre 1994, causa T-99/94, Asocarne/Consiglio, Racc. pag. II-871, e 11 gennaio 1995, causa T-116/94, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore degli avvocati e procuratori/Consiglio, T-116/94, Racc. pag. II-1).

28.
    Anche le sentenze della Corte 2 febbraio 1988, cause riunite 67/85, 68/85 e 70/85, Van der Kooy/Commissione, (Racc. pag. 219) e 24 marzo 1993, causa C-313/90, CIRFS e a./Commissione, Racc. pag. (I-1125) relative a decisioni che sopprimono aiuti o negano l'apertura del procedimento previsto dall'art. 93, n. 2, del Trattato, sono inconferenti. Il Consiglio segnala, infatti, che un'associazione che non sia destinataria dell'atto impugnato può proporre ricorso solo se è subentrata ad uno o più dei suoi membri che avrebbero potuto proporre un ricorso ricevibile (sentenza Tribunale 6 luglio 1995, cause riunite T-447/93, T-448/93 e T-449/93, AITEC/Commissione, Racc. pag. II-1971, punto 60) o qualora sia in grado di dimostrare di avere un proprio interesse ad agire (sentenza Van der Kooy/Commissione, citata, punti 17-25).

29.
    Nella fattispecie, esso ritiene che la ricorrente non possa sostenere di essere subentrata, con la proposizione del presente ricorso, ad uno o più membri che la direttiva avrebbe riguardato individualmente. Secondo il Consiglio, nessuno degli aderenti all'associazione ricorrente sarebbe stato legittimato ad agire.

30.
    Parimenti, la ricorrente non può sostenere che la direttiva 96/34 ha leso il suo diritto di trattare gli accordi conclusi tra parti sociali ai sensi dell'art. 4 dell'Accordo, in quanto essa attua un accordo alla cui conclusione non ha partecipato, mentre essa stessa ha partecipato alle consultazioni che hanno preceduto le trattative in vista di tale accordo.

31.
    Di conseguenza il Consiglio intende dimostrare che non esiste nesso diretto tra il riconoscimento del carattere rappresentativo di taluni interessi in capo alla ricorrente e al suo interesse ad agire nell'ambito del presente ricorso. Esso afferma in tal modo che la mancanza di rappresentatività della ricorrente riguardo all'ambito d'applicazione dell'atto impugnato osta alla ricevibilità del ricorso. Dato che la ricorrente rappresenta solo talune categorie d'imprese, essa non può considerarsi legittimata ad impugnare un atto che riguarda tutte le imprese. Peraltro il Consiglio sostiene che la ricorrente non contesta la sua iscrizione nell'elenco che figura all'allegato 2 alla comunicazione all'interno delle «organizzazioni interprofessionali che rappresentano talune categorie di lavoratori

o di imprese». Inoltre esso ritiene che la ricorrente non goda di un diritto né di una vocazione naturale a trattare qualsiasi norma in materia sociale a livello europeo. Comunque il Consiglio sostiene che l'eventuale riconoscimento della rappresentatività della ricorrente riguardo all'ambito d'applicazione dell'atto impugnato non le conferirebbe per ciò stesso un interesse ad agire, poiché la direttiva 96/34 non la riguarda a causa di circostanze particolari atte a distinguerla dalla generalità. Infatti il Consiglio considera che, per essere considerata in tale posizione, la ricorrente deve prima dimostrare di avere l'esclusività della rappresentatività che essa vanta. Ebbene, il Consiglio constata che la ricorrente non ha mai tentato di dimostrarlo.

32.
    Peraltro il Consiglio evidenzia che la ricorrente non può vantare né lo status di parte contrattuale o un diritto tale da giustificare il suo interesse ad agire, né il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo.

33.
    In primo luogo esso osserva che la ricorrente si attribuisce a torto lo «status di parte contraente» e un «diritto a trattare». Lo status di parte contraente sarebbe una questione di fatto che va valutata in relazione alla situazione dell'organizzazione interessata, accertata al termine della trattativa. Ebbene, nella fattispecie, il Consiglio fa presente che la ricorrente non ha partecipato in alcun momento alle trattative tra le parti sociali che hanno portato alla conclusione dell'accordo quadro. Poiché la ricorrente non ha dimostrato di aver partecipato in qualche modo alle trattative di cui trattasi, essa non può affermare di avere la qualità di parte contraente. Il «diritto a trattare» addotto dalla ricorrente non può essere dedotto dalla sola consultazione o dalla partecipazione al procedimento di consultazione.

34.
    Il Consiglio sottolinea anzitutto che l'operazione avviata con la consultazione e conclusa con l'adozione della direttiva 96/34 non corrisponde ad una sequenza di atti che rientrano in un unico e medesimo procedimento. Infatti gli artt. 2 e 4 dell'Accordo avrebbero attuato due procedimenti distinti.

35.
    Il primo procedimento, di cui all'art. 2 dell'Accordo, sarebbe aperto dalla consultazione delle parti sociali per l'elaborazione della proposta prevista dall'art. 3, n. 3, dell'Accordo. La ricorrente sarebbe stata consultata durante la fase della consultazione di tale primo procedimento. Il secondo procedimento, di cui all'art. 4 dell'Accordo, sarebbe aperto dalla trattativa tra le parti sociali per l'elaborazione di una proposta. Il Consiglio afferma che la Commissione non ha il controllo della fase della trattativa di tale secondo procedimento e che il testo che ne risulta è un accordo tra privati. La ricorrente non avrebbe partecipato a tale fase della trattativa che apre il secondo procedimento.

36.
    Inoltre il Consiglio sottolinea che tra i due procedimenti esiste solo il nesso del punto di partenza del secondo, che s'inquadra nella fase di consultazione del primo procedimento. Esso precisa altresì che i due procedimenti di cui trattasi non portano all'adozione dello stesso tipo di atto. Poiché il primo procedimento è di

natura legislativa classica, esso porterebbe all'adozione di un atto del Consiglio in base all'art. 2 dell'Accordo, secondo il procedimento previsto all'art. 189 C del Trattato, detto di cooperazione con il Parlamento europeo, previa consultazione del Comitato economico e sociale. Poiché il secondo procedimento è caratterizzato da un procedimento contrattuale gestito dai rappresentanti degli interessi economici e sociali che lo auspicano, esso porterebbe all'adozione di un atto del Consiglio in base all'art. 4 dell'Accordo, secondo un procedimento che non prevede né consultazione del Parlamento europeo, né consultazione del Comitato economico e sociale. Il Consiglio ne deduce che il fatto di essere stato consultato nell'ambito del primo procedimento non dà diritto di sostenere di essere stato escluso dal secondo procedimento.

37.
    Infine, il Consiglio dichiara che nessuna disposizione conferisce a una parte sociale il diritto di trattare qualsiasi testo con altre parti sociali in ragione del proprio diritto ad essere consultato dalla Commissione. Esso sostiene che l'Accordo, più in particolare l'art. 3, n. 4, offre soltanto alle controparti sociali la facoltà di trattare tra loro, e non un diritto. Il solo diritto che la ricorrente potrebbe rivendicare sarebbe quello di essere consultata dalla Commissione, poiché essa figura sull'elenco allegato alla comunicazione. Ebbene, nella fattispecie, la ricorrente sarebbe stata regolarmente consultata.

38.
    Replicando, al riguardo, alle osservazioni della ricorrente relative alle ordinanze del Tribunale 21 febbraio 1995, causa T-117/94, Associazione agricoltori della provincia di Rovigo e a./Commissione, Racc. pag. II-455, e 3 giugno 1997, causa T-60/96, Merck e a./Commissione, Racc. pag. II-849, il Consiglio sottolinea che la norma che la ricorrente deduce a contrario da tale giurisprudenza, e che il Consiglio contesta, non è applicabile nella fattispecie, dato che il Consiglio, autore dell'atto, non era tenuto a consultare la ricorrente. Tale obbligo di consultazione ricadrebbe infatti sulla sola Commissione.

39.
    Comunque, anche se si dovesse riconoscere un eventuale diritto di trattare alla ricorrente, questo non sarebbe sufficiente ad individuarla, poiché esso potrebbe essere altresì riconosciuto a qualsiasi altra parte sociale consultata ma che non abbia negoziato l'accordo quadro.

40.
    In secondo luogo, il Consiglio afferma che la ricorrente si avvale a torto di un diritto ad un rimedio giurisdizionale effettivo per motivare il suo interesse ad agire nella fattispecie. Esso sottolinea, anzitutto, che la ricorrente non ha dimostrato che un rinvio pregiudiziale ex art. 177 del Trattato sarebbe inefficace per garantire il controllo della legittimità della direttiva 96/34. Inoltre, esso chiarisce che la ricorrente non ha un proprio diritto a partecipare alla trattativa collettiva, e non può quindi avvalersi della giurisprudenza da essa citata (sentenza della Corte 22 maggio 1990, causa C-70/88, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I-2041). Infine, il Consiglio ritiene che l'irricevibilità del presente ricorso non significhi che il giudice

comunitario rifiuta di riconoscere il carattere rappresentativo della ricorrente per difendere in modo generale gli interessi delle PMA.

41.
    Anche la Commissione, intervenendo a sostegno delle conclusioni del Consiglio, deduce l'irricevibilità del presente ricorso. Essa insiste più in particolare su due punti. Ritiene che non si possa affermare che la misura di cui trattasi riguarda individualmente la ricorrente. Essa sottolinea a questo proposito il parallelismo tra la posizione della ricorrente nella presente causa e quella delle associazioni di agricoltori e di pescatori in questione nella citata ordinanza Associazione agricoltori della provincia di Rovigo e a./Commissione in cui il Tribunale ha dichiarato che l'atto impugnato non le riguardava individualmente. La Commissione chiarisce che, in quella causa, anche se le ricorrenti affermavano parimenti di dover essere considerate come individualmente interessate, dato che esse avrebbero avuto il diritto di partecipare al processo di elaborazione di un programma soggetto alla valutazione della Commissione nell'ambito dell'atto impugnato, il Tribunale ha confermato che non si può accettare il principio secondo il quale un'associazione, nella qualità di rappresentante di una categoria di imprenditori, è individualmente interessata da un atto che riguarda gli interessi generali di tale categoria, che si configura come una misura di portata generale che si applica a situazioni determinate oggettivamente e comporta effetti giuridici nei confronti di categorie di persone considerate in modo generale e astratto (ordinanza Associazione agricoltori della provincia di Rovigo e a./Commissione, citata, punti 16 e 24).

42.
    D'altra parte, la Commissione ritiene che la ricorrente non possa avvalersi di un interesse diretto, ai sensi della giurisprudenza della Corte, per motivare la ricevibilità del ricorso. Essa precisa infatti che, contrariamente alle affermazioni della ricorrente, per potersi considerare direttamente interessata, occorre che gli effetti giuridici prodotti sulla ricorrente dall'atto impugnato derivano direttamente da tale atto e che non siano la conseguenza di una successiva decisione che risulterebbe necessariamente o automaticamente dall'atto impugnato (v. al riguardo le conclusioni dell'avvocato generale W. Van Gerven per la sentenza della Corte 15 giugno 1993, causa C-213/91, Abertal/Commissione, Racc. pag. I-3177, 3183, punto 20) Ebbene, nella fattispecie, l'atto impugnato lascerebbe una rilevante discrezionalità agli Stati membri quanto ai mezzi per realizzare gli obiettivi stabiliti da questi ultimi. Essa aggiunge di aver precisamente proposto al Consiglio di adottare una direttiva tenuto conto della natura e del contenuto dell'accordo quadro, che lascia una notevole discrezionalità per l'attuazione a livello nazionale.

43.
    La ricorrente contesta gli argomenti dedotti sia dal Consiglio che dalla Commissione.

44.
    Agli argomenti esposti dal Consiglio, essa replica anzitutto che la ricevibilità del presente ricorso deve essere valutata alla luce della natura specifica della direttiva di cui trattasi. Al riguardo, essa sottolinea che la direttiva 96/34 è il primo atto normativo adottato in base all'Accordo e al protocollo. Il suo solo obiettivo sarebbe di obbligare gli Stati membri ad attuare un accordo quadro concluso da tre

organizzazioni intercategoriali a carattere generale. Nella fattispecie, le organizzazioni avrebbero esse stesse stabilità il contenuto della direttiva, mentre le istituzioni comunitarie, che di norma intervengono nell'iter legislativo, avrebbero avuto un ruolo meramente formale (v. il tredicesimo e il quattordicesimo considerando della direttiva 96/34 e la relazione del Parlamento europeo sulla proposta della Commissione relativa a tale direttiva). Peraltro sarebbe significativo che la Commissione abbia espresso l'opinione, nella sua comunicazione, che il Consiglio non conserva alcuna competenza per modificare l'accordo concluso dalle parti sociali. Di conseguenza, l'armonizzazione della materia del congedo parentale all'interno di tutti gli Stati membri dell'Unione, ad eccezione del Regno Unito di Gran Bretagna e d'Irlanda del Nord sarebbe lasciata soltanto alla valutazione delle tre parti sociali che, di propria iniziativa, hanno avviato il processo di trattativa previsto all'art. 4, n. 2, dell'Accordo, senza associarvi le altri parti sociali riconosciute dalla Commissione. In tale contesto, la direttiva 96/34 non può essere equiparata a quelle che hanno costituito oggetto della giurisprudenza della Corte. Essa si distinguerebbe infatti da una direttiva classica per due aspetti.

45.
    In primo luogo, l'utilizzazione nella fattispecie della direttiva come strumento normativo non sarebbe stata imposta da alcuna disposizione del Trattato, ma sarebbe il risultato di una doppia scelta. Le organizzazioni di categoria che hanno negoziato l'accordo quadro hanno scelto di dargli un effetto erga omnes, mentre si sarebbero potute limitare a negoziare un semplice accordo che producesse effetti inter partes. La Commissione ha scelto di sottoporre al Consiglio una proposta di direttiva per rendere obbligatorio erga omnes l'accordo quadro, mentre ai sensi dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo, essa avrebbe potuto optare per un altro strumento legislativo previsto dall'art. 189 del Trattato o, come afferma il governo tedesco in una presa di posizione a proposito delle questioni procedurali sollevate dall'applicazione dell'Accordo, essa avrebbe potuto proporre soltanto l'adozione di una decisione sui generis. Gli argomenti d'irricevibilità generalmente dedotti contro un ricorso di annullamento proposto da un singolo contro una direttiva non possono quindi essere rilevanti nella fattispecie, a causa di tale doppia scelta. Infatti, sarebbe paradossale affermare che il carattere normativo della direttiva incide sulla ricevibilità del presente ricorso, poiché un simile argomento equivale ad affermare che la ricorrente, come organizzazione rappresentativa esclusa dalle trattative, non può sottoporre la legittimità dell'accordo quadro e la sua genesi al controllo del giudice comunitario per il fatto che le organizzazioni di categoria che hanno concluso tale accordo hanno optato per una estensione dei suoi effetti alle altre parti sociali, mentre la ricorrente mette in discussione proprio la regolarità di tale estensione. Inoltre, tale argomento avrebbe come effetto quello di consentire alla Commissione, scegliendo nella fattispecie la direttiva come strumento legislativo, di togliere alla ricorrente qualsiasi tutela giuridica, allorché essa avrebbe potuto o persino dovuto proporre un altro tipo di atto.

46.
    In secondo luogo, la ricorrente sostiene che la natura specifica della direttiva 96/34 mette le organizzazioni rappresentative escluse dai negoziati in una posizione

particolare che il Consiglio non può trascurare. L'argomento secondo il quale la ricorrente non è individualmente interessata in ragione del fatto che essa non è firmataria dell'accordo non sarebbe rilevante, poiché la questione se la ricorrente avrebbe dovuto partecipare alle trattative e sottoscrivere l'accordo quadro costituisce precisamente il nodo della presente controversia.

47.
    La ricorrente fa altresì presente che gli argomenti che il Consiglio deduce da un'analisi del contenuto della direttiva per definirla di natura normativa, non tengono presente la particolarità della direttiva 96/34. Infatti critica l'argomento secondo il quale essa non è menzionata nella direttiva poiché sarebbe sufficiente che essa abbia partecipato alle trattative perché il ricorso sia ricevibile. Tale argomento costituirebbe perciò una ragione supplementare, per le parti sociali che hanno partecipato alle trattative, di non associare la ricorrente alla trattativa. Parimenti, l'argomento secondo il quale il contenuto della direttiva sarebbe abbastanza vago, lasciando agli Stati membri un'ampia discrezionalità, non terrebbe conto del fatto che tale contenuto è stato stabilito dalle parti sociali e non dal Consiglio e che tale mancanza di precisione costituisce esattamente l'oggetto del primo motivo richiamato nel merito (v. supra punto 23).

48.
    In secondo luogo, la ricorrente rammenta che, secondo una giurisprudenza consolidata, il carattere normativo di un atto non esclude che possa riguardare individualmente taluni operatori economici interessati (sentenze della Corte 21 febbraio 1984, cause riunite 293/82 e 275/82, causa Allied e a./Commissione, Racc. pag. 1005, punto 11, causa 53/83, Allied Corporation/Consiglio, Racc. pag. 1621, punto 4, 16 maggio 1991, causa C-358/89, Extramet Industrie/Consiglio, Racc. pag. I-2501, punto 13, e 18 maggio 1994, causa C-309/89, Codorniu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punto 19). Anche se la giurisprudenza che essa cita riguarda soltanto ricorsi proposti contro regolamenti, la ricorrente ritiene che non vi sia alcun motivo di non applicarla allorché l'atto impugnato è una direttiva, in quanto la differenza tra tali due atti non risulta dalla loro portata generale, ma dal fatto che la direttiva impone allo Stato membro o agli Stati membri a(i) qual(i) è destinata un «risultato da raggiungere» lasciandoli liberi di scegliere la forma ed i mezzi per ottenere tale risultato (v. le conclusioni dell'avvocato generale W. Van Gerven per la sentenza della Corte 12 febbraio 1992, cause riunite C-48/90 e C-66/90, Paesi Bassi e PTT Nederland/Commissione, Racc. pag. I-565, I-597).

49.
    La ricevibilità del presente ricorso non dovrebbe essere in contrasto con una interpretazione letterale dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, secondo la quale solo le decisioni potrebbero essere impugnate con ricorso di annullamento proposto da un singolo. La ricorrente sostiene che le disposizioni per adire il giudice comunitario sono state sempre interpretate nell'ambito di una tutela giuridica altrettanto efficace sia per quanto riguarda gli atti impugnabili (v. sentenza della Corte 9 febbraio 1984, cause riunite 316/82 e 40/83, Kohler/Corte dei Conti, Racc. pag. 641; sentenza del Tribunale 24 marzo 1994, causa T-3/93, Air France/Commissione, Racc. pag. II-121), sia per quanto riguarda le istituzioni interessate (v. sentenze della Corte 15 giugno 1976, causa 110/75, Mills/BEI, Racc.

pag. 955, 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339, 3 luglio 1986, causa 34/86, Consiglio/Parlamento, Racc. pag. 2155, e 2 dicembre 1992, causa C-370/89, Etroy/BEI, causa C-370/89, Racc. pag. I-6211).

50.
    La ricorrente sottolinea che l'ordinanza del Tribunale 20 ottobre 1994 nella causa Asocarne/Consiglio (citata, punto 17), nella quale si è motivata l'esclusione di un ricorso di annullamento proposto da un singolo contro una direttiva sottolineando che «la tutela giuridica dei singoli è direttamente e sufficientemente garantita dai giudici nazionali che ne controllano la trasposizione nei vari ordinamenti nazionali», ha ricevuto un'accoglienza critica dalla dottrina e che l'ordinanza della Corte 23 novembre 1995, Asocarne/Consiglio, citata, anche se ha confermato l'ordinanza del Tribunale, basa il rigetto del ricorso non soltanto sul fatto che le sentenze Van der Kooy/Commissione e CIRFS e a./Commissione, citate, che riguardavano decisioni, non erano trasponibili al caso di specie, poiché si trattava di una direttiva, ma anche sulla considerazione che la direttiva era stata adottata in seguito ad un procedimento che non prevedeva intervento da parte della ricorrente, contrariamente alla causa CIRFS e a./Commissione, citata. Ebbene, la ricorrente sottolinea che, nella fattispecie, la direttiva è stata adottata nell'ambito di un procedimento che non solo prevede l'intervento delle parti sociali, come la ricorrente, ma che sussiste solo per l'intervento e per la scelta delle parti sociali che ne sarebbero i veri autori.

51.
    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la direttiva la riguarda individualmente in ragione di determinate qualità personali e di circostanze atte a distinguerla dalla generalità. Al riguardo sottolinea che essa è stata riconosciuta dalla Commissione nella sua comunicazione come organizzazione che risponde ai criteri di rappresentatività formulati al punto 24 della detta comunicazione. Inoltre, essa sostiene di essere stata consultata dalla Commissione in occasione delle due fasi previste dall'art. 3, nn. 2 e 3 dell'Accordo. Sottolinea altresì che gli interessi che essa rappresenta sono i soli che godono di una tutela specifica ai sensi dell'art. 2, n. 2, dell'Accordo, in quanto la creazione e lo sviluppo delle PMA non potrebbero essere ostacolati in occasione dell'attuazione della normativa nell'ambito dell'Accordo. Infine, la ricorrente sostiene che l'oggetto stesso dell'accordo quadro interessa in modo così rilevante le PMA che essa avrebbe dovuto partecipare alle trattative poiché altrimenti si sarebbero causati loro gravi danni e, di conseguenza, si sarebbe violato manifestamente l'art. 2, n. 2, dell'Accordo. Ne conseguirebbe che la direttiva riguarda individualmente la ricorrente alla luce del ruolo che avrebbe dovuto avere nella sua elaborazione.

52.
    Alla luce di tali elementi, la ricorrente sostiene che il suo ricorso soddisfa le condizioni stabilite nelle sentenze Van der Kooy/Commissione e CIRFS e a./Commissione, citate, per dimostrare che un'associazione è individualmente interessata. Essa osserva inoltre che risulterebbe dalla sentenza del Tribunale 27 aprile 1995, causa T-96/92, CCE Grandes Sources e a./Commissione, Racc. pag. II-1213, punti 35 e 36 che basta che essa abbia diritto a partecipare alle trattative

perché la direttiva la riguardi individualmente, senza che sia richiesta una partecipazione effettiva. Comunque essa rammenta che il Consiglio non può affermare che essa non è individualmente interessata poiché non ha partecipato alle trattative, poiché il nodo della controversia risale precisamente al fatto di non aver riconosciuto alla ricorrente la sua posizione e la sua qualità di parte contraente in occasione dell'elaborazione della direttiva 96/34.

53.
    In quarto luogo, la ricorrente afferma che i due punti dell'oggetto del ricorso dimostrano che i suoi interessi sono direttamente lesi dall'adozione della direttiva.

54.
    Il primo punto dell'oggetto del ricorso riguarderebbe la genesi della direttiva e denuncerebbe il fatto che la ricorrente, come organizzazione rappresentativa riconosciuta, è stata arbitrariamente esclusa dalle trattative. L'atto normativo, che sancisce un accordo quadro al quale essa non è stata associata, lederebbe direttamente i suoi interessi poiché riguarda uno dei suoi compiti principali ai sensi dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo, vale a dire partecipare ai negoziati degli accordi sociali (v. nello stesso senso, sentenza CCE Grandes Sources e a./Commissione, citata, punto 38).

55.
    Il secondo punto dell'oggetto del ricorso riguarderebbe il contenuto dell'accordo quadro e sarebbe criticabile per il suo carattere troppo vago e generico, poiché lascia agli Stati membri la facoltà di «autorizzare sistemazioni particolari» per rispondere alle esigenze di funzionamento e di organizzazione delle PMA. Ebbene, la ricorrente sostiene di avere un interesse diretto a che la considerazione degli interessi delle PMA abbia luogo nell'accordo quadro dovendo essere attuato negli Stati membri.

56.
    Nella replica, la ricorrente sottolinea che il Consiglio riconosce che la questione della ricevibilità del presente ricorso non può essere distinta dal merito. Essa tuttavia afferma che al riguardo l'atteggiamento del Consiglio è criticabile. Essa rileva la stranezza dell'argomento secondo il quale un'associazione rappresentativa delle PMA non può rivendicare il rispetto dell'art. 2, n. 2, dell'Accordo, se non riguardo ad una direttiva applicabile alle sole PMA, in quanto si tratterebbe dell'ipotesi di una direttiva applicabile alle sole PMA che comporta obblighi amministrativi, finanziari e giuridici che ostacolano la creazione e lo sviluppo di tali imprese. La ricorrente ritiene paradossale sostenere che, dal momento che la direttiva non riguarda soltanto le PMA, un'associazione rappresentativa di queste ultime non può adire il Tribunale per il mancato rispetto di una disposizione che impone una tutela specifica degli interessi di tali imprese, vale a dire l'art. 2, n. 2, dell'Accordo, precisamente perché essa rappresenta specificamente tali imprese.

57.
    La ricorrente considera che, allorché i suoi diritti di parte contraente, come parte sociale rappresentativa, vengono violati, essa deve potersi avvalere della tutela giuridica garantita dal diritto comunitario qualunque sia il contenuto del testo adottato. Essa insiste sulla rilevanza della rappresentatività nell'ambito dell'esame

della ricevibilità del ricorso, paragonando la sua posizione a quella del CEEP, che difende unicamente gli interessi delle imprese pubbliche.

58.
    Replicando agli argomenti della Commissione, la ricorrente afferma che la questione non è in realtà se la direttiva 96/34 la riguardi direttamente e individualmente, ma piuttosto in che modo essa possa ottenere che sia sanzionata la violazione del diritto alla trattativa collettiva di accordi-quadro negoziati a livello europeo. Comunque la ricorrente sostiene che si devono respingere i due argomenti esposti dalla Commissione.

59.
    In primo luogo, essa afferma che l'atto impugnato la riguarda individualmente. Essa ritiene che l'ordinanza Associazione degli agricoltori della provincia di Rovigo e a./Commissione, citata, riguardi una diversa ipotesi rispetto a quella del caso di specie. La ricorrente sostiene che il Tribunale ha dichiarato irricevibile il ricorso in quella causa non perché abbia considerato che l'obbligo per la Commissione di consultare le associazioni di cui trattasi non fosse sufficiente ad individuarle, ma perché ha rilevato che non esisteva tale obbligo di consultazione nell'ambito normativo che disciplinava l'adozione dell'atto impugnato (punti 30 e 31). La ricorrente ne deduce a contrario che taluni operatori economici hanno un interesse individuale ad impugnare un atto nel caso in cui, prima della sua adozione, essi sono stati consultati, in forza di un obbligo che incombe all'istituzione che li consulta. Essa afferma, inoltre, che il Tribunale ha confermato tale interpretazione nell'ordinanza Merck e a./Commissione, citata (punti 73 e 74), dichiarando irricevibile un ricorso poiché la Commissione non aveva l'obbligo di sentire i ricorrenti prima dell'adozione dell'atto impugnato. Essa evidenzia che, in quella causa, la Commissione ha riconosciuto esplicitamente che occorreva riconoscere l'esistenza di un interesse individuale nel caso esistesse parallelamente un obbligo di sentire il ricorrente nella fase della preparazione dell'atto (punto 34).

60.
    In secondo luogo la ricorrente ritiene di avere un interesse diretto a chiedere l'annullamento della direttiva 96/34. Sottolineando che tale direttiva non ha un contenuto particolare e si limita a ratificare un accordo quadro negoziato in violazione del suo diritto alla trattativa collettiva, la ricorrente chiarisce che la sua critica riguarda il modo in cui l'accordo quadro è stato negoziato, il che le conferirebbe un interesse diretto ad impugnare la direttiva 96/34. Essa fa riferimento su tale punto alla sentenza CCE Grandes Sources e a./Commissione, citata (punto 38), nella quale il Tribunale avrebbe rifiutato di riconoscere un interesse diretto alle organizzazioni sindacali che agivano, dato che non erano stati lesi i diritti propri dei rappresentanti dei lavoratori.

61.
    La ricorrente sostiene di non essere nella posizione di un cittadino semplicemente interessato dal contenuto di una norma comunitaria, ma nella posizione di un cittadino che doveva essere coinvolto, in forza di disposizioni superiori dell'ordinamento giuridico comunitario, nella trattativa della norma di cui trattasi. Dal momento che la Commissione non ha vigilato sull'osservanza del testo

dell'Accordo, la ricorrente ritiene di dover aver adire il Tribunale il quale ha il compito di far rispettare la legittimità comunitaria nell'ambito del contenzioso dell'annullamento. La ricorrente sostiene peraltro che non vi è alcun altro rimedio giurisdizionale a sua disposizione, e certamente non gli ipotetici ricorsi per carenza o rinvio pregiudiziale, che le consentano di ottenere il sindacato di un iter che viola le sue prerogative come parte sociale europea (sentenza Parlamento/Consiglio, citata, punto 20).

Giudizio del Tribunale

62.
    Nella fattispecie, occorre valutare la ricevibilità di un ricorso di annullamento, proposto da una persona giuridica in forza dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, avverso una direttiva emanata dal Consiglio ai sensi dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo.

63.
    Qualora l'art. 173, quarto comma, del Trattato, non riguardi espressamente la ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti da una persona giuridica verso una direttiva, emerge comunque dalla giurisprudenza della Corte che questa unica circostanza non è sufficiente a dichiarare irricevibili tali ricorsi (v. al riguardo, sentenza della Corte 29 giugno 1993, causa C-298/89, Gibraltar/Consiglio, Racc. pag. I-3605, e ordinanza della Corte emessa in seguito a ricorso 23 novembre 1995, Asocarne/Consiglio, citata). Infatti nella citata ordinanza Asocarne/Consiglio, dopo aver constatato che l'atto impugnato era una direttiva, la Corte ha verificato se non si trattasse di una decisione riguardante direttamente e individualmente la ricorrente, ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, anche se tale decisione era stata emanata sotto forma di direttiva. Al riguardo, occorre constatare che le istituzioni comunitarie non possono escludere la tutela giurisdizionale che tale disposizione del Trattato offre ai singoli, con la sola scelta della forma dell'atto di cui trattasi (v. ordinanza del Tribunale 30 settembre 1997, causa T-122/96, Federolio/Commissione, Racc. pag. II-1559, punto 50). Inoltre, nella fattispecie, l'art. 4, n. 2, primo comma, dell'Accordo, prevede che «l'attuazione degli accordi conclusi a livello comunitario interviene sia secondo i procedimenti e le prassi proprie alla parti sociali e agli Stati membri, sia, nelle materie riguardanti l'art. 2, alla domanda congiunta dei firmatari, da una decisione del Consiglio su proposta della Commissione». Di conseguenza, la sola scelta della forma della direttiva non può permettere nella fattispecie al Consiglio di impedire ai singoli di esperire i mezzi d'impugnazione di cui dispongono in forza del Trattato.

64.
    Occorre quindi verificare, in primo luogo, se la direttiva 96/34 sia un atto normativo o se vada considerata come una decisione presa sotto forma di direttiva. Per stabilire la portata generale o meno di un atto, occorre valutare la sua natura e gli effetti giuridici che mira a produrre o produce effettivamente (sentenza Alusuisse/Consiglio e Commissione, citata, punto 8).

65.
    Nella fattispecie, l'art. 1 della direttiva 96/34 prevede che quest'ultima «mira ad attuare l'accordo quadro sul congedo parentale concluso il 14 dicembre 1995 tra

le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (UNICE, CEEP e CES) e che figura nell' allegato». Ebbene, emerge precisamente dalla clausola 1, nn. 1 e 2, dell'accordo intitolato «Oggetto e campo d'applicazione», che quest'ultimo «stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità di categoria e familiari dei genitori che lavorano» e «si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro».

66.
    Inoltre, sebbene la ricorrente abbia criticato la scelta della forma della direttiva per attuare l'accordo quadro in base all'art. 4, n. 2, dell'Accordo, essa non ha affermato che la direttiva 96/34 non rispondeva, in quanto direttiva, alle condizioni dell'art. 189 del Trattato. Infatti è sufficiente rilevare che la direttiva 96/34 è rivolta agli Stati membri (art. 3), che sono tenuti a prendere qualsiasi disposizione necessaria che permetta loro di essere in qualsiasi momento in grado di garantire i risultati prescritti da quest'ultima (art. 2, n. 1) e che la formulazione dell'accordo quadro al quale rinvia l'art. 1 lascia ai giudici nazionali la competenza quanto alla forma e ai mezzi che permettono di ottenere tali risultati.

67.
    Di conseguenza, la direttiva 96/34 ha di per sé carattere normativo e non costituisce una decisione ai sensi dell'art. 189 del Trattato.

68.
    In secondo luogo, occorre esaminare se, malgrado il carattere normativo della direttiva 96/34, si possa nondimeno considerare che quest'ultima riguarda la ricorrente direttamente e individualmente.

69.
    A tal proposito, occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza,in alcune circostanze, anche se un atto normativo si applica alla generalità degli operatori economici interessati, non può per questo escludersi che essa possa concernere individualmente alcuni di loro (v. al riguardo, sentenze Extramet Industrie/Consiglio, citata, punto 13, e Codorniu/Consiglio, citata, punto 19, e ordinanza Federolio/Commissione, citata, punto 58) Tuttavia, una persona fisica o giuridica non può affermare che l'atto di cui trattasi la riguarda individualmente salvo che quest'ultimo la tocchi in ragione di determinate qualità personali ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità (sentenza della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62, Plaumann/Commissione Racc. pag. 195, 220; sentenza del Tribunale 27 aprile 1995, causa T-12/93, Vittel e a./Commissione, Racc. pag. II-1247, punto 36; e ordinanza Federolio/Commissione, citata, punto 59).

70.
    Su tale punto, i diversi argomenti svolti dalla ricorrente si basano tutti sulla premessa che essa dispone di diritti particolari nell'ambito dei meccanismi procedurali istituiti dall'Accordo per permettere l'adozione di atti che rientrano nel suo ambito d'applicazione, diritti particolari che sarebbero stati violati nel caso di specie.

71.
    Nella fattispecie, per valutare se la direttiva 96/34 riguardi effettivamente la ricorrente in ragione di determinate qualità personali ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità, occorre esaminare le peculiarità del procedimento che ha portato alla sua adozione, iniziando con l'analisi dei meccanismi procedurali istituiti dall'Accordo. Emerge dalle disposizioni di quest'ultimo che gli atti necessari per realizzare gli obiettivi che esso si pone possono essere adottati con due procedimenti alternativi.

72.
    I due procedimenti di cui trattasi hanno una fase iniziale comune che consiste, per la Commissione, nel consultare le parti sociali, ai sensi dell'art. 3, nn. 2 e 3 dell'Accordo. Il testo di quest'ultimo non precisa tuttavia quali sono le parti sociali interessate. Di conseguenza, nella sua comunicazione, la Commissione ha definito taluni criteri che permettono di identificare le parti sociali la cui rappresentatività giustifica ai suoi occhi che siano consultate nel corso di tale fase iniziale, imprescindibile preliminare di qualsiasi iniziativa comunitaria basata sulle disposizioni dell'Accordo. In riferimento a tali criteri, la Commissione ha redatto un elenco, che è allegato alla comunicazione. Al punto 24 di quest'ultima, la Commissione precisa che il detto elenco sarà rivisto alla luce dell'esperienza acquisita in materia. La ricorrente viene menzionata su tale elenco, come organizzazione intercategoriale che rappresenta talune categorie di lavoratori o di imprese. E' pacifico tra le parti che la ricorrente, nella fattispecie, è stata consultata dalla Commissione, ai sensi dell'art. 3, nn. 2 e 3, dell'Accordo.

73.
    Per quanto riguarda il primo procedimento, si evince dall'art. 2 dell'Accordo, che il Consiglio può adottare talune direttive, secondo il procedimento di cui all'art. 189 C del Trattato e dopo consultazione del Comitato economico e sociale, nelle materie elencate all'art. 2, n. 1, dell'Accordo, e, statuendo all'unanimità su proposta della Commissione, previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, nelle materie elencate dall'art. 2, n. 3, dell'Accordo. Per quanto riguarda il secondo procedimento, si evince dall'art. 4 dell'Accordo che un accordo concluso a livello europeo tra parti sociali può essere attuato sia secondo i procedimenti e le prassi proprie alle parti sociali e agli Stati membri, sia, nelle materie che rientrano nell'art. 2 dell'Accordo, su domanda congiunta delle parti sociali, mediante decisione del Consiglio su proposta della Commissione. Quest'ultimo procedimento ha portato all'adozione dell'atto impugnato.

74.
    Il secondo procedimento, che inizia in occasione della fase di consultazione disciplinata dall'art. 3, nn. 2 e 3, dell'Accordo, si svolge nel modo seguente. L'art. 3, n. 4, dell'Accordo prevede che le parti sociali possono in tale occasione informare la Commissione della loro volontà di avviare il processo previsto dall'art.4. E' inoltre precisato che la durata del procedimento non può superare i nove mesi, salvo proroga decisa in comune dalle parti sociali interessate e dalla Commissione. Come sopra menzionato, l'art. 4 dell'Accordo aggiunge che il dialogo tra parti sociali può portare a accordi che, nelle materie riguardanti l'art. 2, possono essere attuati dal Consiglio su domanda congiunta delle parti firmatarie.

75.
    Le formulazioni dell'art. 3, n. 4, e dell'art. 4 dell'Accordo non precisano quindi esplicitamente quali sono le parti sociali dalla trattativa menzionata. La struttura delle citate disposizioni e l'esistenza di una preventiva fase di consultazione indicano tuttavia che le parti sociali interessate dalla trattativa si trovano almeno tra quelle che sono state consultate dalla Commissione. Ciò non implica tuttavia che tutte le parti sociali consultate dalla Commissione, vale a dire le parti sociali riportate sulla lista che figura all'allegato 2 della comunicazione, abbiano il diritto di partecipare alle trattative che saranno intraprese. Infatti, occorre constatare che la fase di trattativa, che inizia eventualmente nel corso della fase di consultazione iniziata dalla Commissione, è devoluta unicamente all'iniziativa delle parti sociali che vogliano avviarla. Le parti sociali interessate da tale fase di trattativa sono quindi quelle che hanno reciprocamente manifestato la loro volontà di avviare il processo previsto dall'art. 4 dell'Accordo e di portarlo a termine.

76.
    Il punto 31 della comunicazione, che si trova nella parte dal titolo «Dalla consultazione al negoziato», precisa d'altronde che «le parti sociali che svolgono i loro negoziati in modo indipendente non sono tenute affatto a limitarsi al contenuto delle proposte che la Commissione elabora o ad apportare delle modifiche, restando inteso che soltanto i settori contemplati dalla proposta della Commissione potranno essere oggetto di un'azione comunitaria. Le parti sociali interessate saranno quelle che accettano di negoziare tra di loro. La conclusione di questo accordo è una faccenda esclusiva delle varie organizzazioni. Tuttavia la Commissione ritiene che le disposizioni riguardanti le piccole e medie imprese di cui all'art. 2, par. 2 dell'Accordo, dovrebbero essere tenute in debito conto dalle organizzazioni firmatarie di un accordo».

77.
    Emerge, inoltre, dal testo della comunicazione che la redazione dell'elenco di cui all'allegato 2, che riporta le parti sociali considerate rappresentative dalla Commissione, risponde alla necessità di organizzare la sola fase di consultazione delle parti sociali prevista dall'art. 3, nn. 2 e 3, dell'Accordo. Infatti, la Commissione ne fa menzione soltanto nella parte della comunicazione riguardante la «Consultazione delle parti sociali» (punti 11-28) e più in particolare ai punti 22-28 intitolati «Le organizzazioni da consultare», mentre essa non la menziona affatto negli sviluppi riguardanti la fase di negoziato (i punti 29-36 della comunicazione intitolati «Dalla consultazione al negoziato»).

78.
    Emerge dagli elementi di cui sopra che l'art. 3, nn. 2, 3 e 4, e l'art. 4 dell'Accordo non conferiscono alle parti sociali, qualunque siano gli interessi che affermano di rappresentare, un diritto generale a partecipare a qualsiasi negoziato intrapreso ai sensi dell'art. 3, n. 4, dell'Accordo, anche se tutte le parti sociali consultate ai sensi dell'art. 3, nn. 2 e 3, dell'Accordo, hanno la facoltà di avviare tale trattativa.

79.
    Il mero fatto che, nella fattispecie, la ricorrente abbia chiesto a più riprese alla Commissione di poter partecipare alle trattative intraprese da altre parti sociali è

irrilevante, poiché il controllo della fase di trattativa propriamente detta compete unicamente nell'iniziativa delle parti sociali interessate e non della Commissione.

80.
    Parimenti, l'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo non conferisce alla ricorrente un diritto a partecipare ai negoziati di cui all'art. 3, n. 4, dell'Accordo. Infatti, sebbene effettivamente la seconda frase dell'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo preveda che «tali direttive evitano di imporre limiti amministrativi, finanziari e giuridici tali da ostare alla creazione e allo sviluppo delle piccole e medie imprese», questa disposizione non riguarda il diritto dei rappresentanti delle PMA ad essere automaticamente associati a tutte le trattative intraprese da parti sociali ai sensi dell'art. 3, n. 4, dell'Accordo (v. al riguardo sentenza del Tribunale CCE Grandes Sources e a./Commissione, citata, punto 29). Si tratta di una disposizione che impone un obbligo sostanziale, il cui rispetto può essere sottoposto al sindacato del giudice comunitario da qualsiasi interessato, nell'ambito del rimedio giurisdizionale appropriato, e non solo dalla ricorrente nell'ambito del ricorso di annullamento previsto dall'art. 173, quarto comma, del Trattato. Ne consegue che nessuna organizzazione intercategoriale che rappresenti gli interessi delle PMA, qualunque sia d'altra parte il grado di rappresentatività che essa rivendica, può dedurre dall'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo, un diritto a partecipare a tali trattative.

81.
    Occorre peraltro respingere l'argomento della ricorrente, svolto in particolare in udienza, secondo il quale emergerebbe dalla giurisprudenza che talune disposizioni sostanziali di diritto comunitario devono, per produrre il loro effetto utile, vedersi riconoscere implicazioni procedurali. Infatti, la giurisprudenza citata dalla ricorrente in tale occasione non permette di dedurre dall'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo, che essa disponga di un diritto a partecipare a tutte le trattative intraprese da parti sociali in base all'art. 3, n. 4, dell'Accordo. Infatti, da un lato, nell'ordinanza 17 gennaio 1980, causa 792/79 R, Camera Care/Commissione, (Racc. pag. 119), la Corte non ha riconosciuto l'implicazione procedurale di disposizioni sostanziali, nella fattispecie gli artt. 85 e 86 del Trattato ma ha determinato la portata di una disposizione che conferisce immediatamente una competenza particolare alla Commissione, vale a dire l'art. 3, n. 1, del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d'applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato (GU, pag. 204). D'altra parte, nella sentenza 27 ottobre 1993, causa C-127/92, Enderby, Racc. pag. I-5535, la Corte si è pronunciata, in occasione di un rinvio pregiudiziale, sulla ripartizione dell'onere della prova del carattere discriminatorio o meno di una prassi alla luce dell'art. 119 del Trattato, nei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. A differenza della presente fattispecie, in quella causa, la Corte non è stata indotta a riconoscere un diritto processuale ad un singolo nell'ambito di un procedimento d'adozione di un atto da parte di un'istituzione comunitaria.

82.
    Deriva da quanto precede che, tenuto conto delle disposizioni dell'Accordo, la ricorrente non può affermare di avere un diritto generale a partecipare alla fase

di trattativa del secondo procedimento previsto dall'Accordo, né, nella fattispecie, un diritto particolare a partecipare al negoziato dell'accordo quadro.

83.
    Tale considerazione tuttavia non motiva di per sé l'irricevibilità del presente ricorso. Le peculiarità del procedimento che ha portato all'adozione della direttiva 96/34 in base all'art. 4, n. 2, dell'Accordo, impongono, infatti, di esaminare inoltre se l'eventuale mancata osservanza, da parte del Consiglio o della Commissione, degli obblighi che incombono loro nell'ambito di tale procedimento violi un diritto della ricorrente la cui tutela giurisdizionale implichi che sia considerata direttamente ed individualmente interessata, in ragione di determinate qualità personali ovvero di particolari circostanze atte a distinguerla dalla generalità (v. giurisprudenza citata supra al punto 69).

84.
    Al riguardo occorre constatare che, sebbene l'iniziativa e il controllo della fase di trattativa propriamente detta del procedimento disciplinato dagli artt. 3, n. 4 e 4 dell'Accordo, riguardino esclusivamente le parti sociali interessate (v. supra punti 75 e 76), allorché queste ultime concludono un accordo di cui chiedono congiuntamente l'attuazione a livello comunitario, in forza dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo, il Consiglio agisce su proposta della Commissione. Le parti sociali interessate rivolgono quindi la loro domanda congiunta alla Commissione che, recuperando allora il controllo del procedimento, esamina se occorra presentare una proposta in tal senso al Consiglio.

85.
    L'intervento della Commissione deve essere conforme ai principi che reggono la sua azione nel settore della politica sociale, più in particolare concretizzati nell'art. 3, n. 1, dell'Accordo, secondo il quale «la Commissione ha per compito di promuovere la consultazione delle parti sociali a livello comunitario e prende qualsiasi misura utile per facilitare il loro dialogo vigilando ad un sostegno equilibrato delle parti». Come hanno giustamente sottolineato sia la ricorrente che la Commissione, si tratta in particolare per quest'ultima, al momento in cui essa dispone di nuovo di un diritto di intervenire nello svolgimento del procedimento, di esaminare la rappresentatività dei firmatari di tale accordo.

86.
    Peraltro la Commissione si è impegnata, nella sua comunicazione, a verificare la rappresentatività delle parti sociali firmatarie di un accordo prima di proporre al Consiglio di adottare una decisione che impone la sua attuazione a livello comunitario. Essa ha infatti dichiarato al punto 39 della sua comunicazione che «elaborerà le proposte di decisione che essa presenterà al Consiglio tenendo conto del carattere rappresentativo delle parti contraenti, del loro mandato e della 'legalità‘ di ciascuna clausola della convenzione collettiva riguardo al diritto comunitario. Nonché del rispetto delle disposizioni relative alle piccole e medie imprese di cui all'art. 2, n. 2».

87.
    Da parte sua il Consiglio è tenuto a verificare se la Commissione ha soddisfatto gli obblighi impostile dalle disposizioni dell'Accordo, onde evitare di ratificare una

irregolarità di procedura che può inficiare la legittimità dell'atto che sarà infine adottato.

88.
    Occorre insistere sull'importanza dell'obbligo della Commissione e del Consiglio di verificare la rappresentatività delle parti sociali firmatarie di un accordo concluso in forza degli artt. 3, n. 4, e 4 dell'Accordo, la cui attuazione a livello comunitario è richiesta al Consiglio. Infatti, al momento preciso del procedimento disciplinato dalle disposizioni citate, l'intervento delle due istituzioni di cui trattasi ha per effetto di conferire un fondamento comunitario di natura legislativa ad un accordo concluso tra parti sociali, senza ricorrere ai procedimenti classici d'elaborazione di un testo legislativo previsti dal Trattato, che implicano la partecipazione del Parlamento europeo. Ebbene, emerge dalla giurisprudenza che la partecipazione di quest'ultimo al processo legislativo della Comunità è il riflesso, sul piano comunitario, di un fondamentale principio di democrazia secondo il quale i popoli partecipano all'esercizio del potere per il tramite di un'assemblea rappresentativa (sentenze della Corte 11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-2867, punto 20, e 29 ottobre 1980, causa 138/79, Roquettes Frères/Consiglio, Racc. pag. 3333, punto 33, e causa 139/79, Maizena/Consiglio, Racc. pag. 3393, punto 34). Al riguardo, occorre constatare che, secondo la citata giurisprudenza, la legittimità democratica degli atti adottati dal Consiglio in forza dell'art. 2 dell'Accordo, risulta dall'intervento del Parlamento europeo nello svolgimento di tale primo procedimento (v. supra punto 73).

89.
    Per contro, il secondo procedimento di cui agli artt. 3, n. 4, e 4 dell'Accordo non prevede l'intervento del Parlamento europeo. Ebbene, il rispetto del principio della democrazia, sul quale l'Unione è fondata, richiede —in mancanza di partecipazione del Parlamento europeo al processo d'adozione di un atto legislativo— che la partecipazione dei popoli a tale processo sia garantita in modo alternativo, nella fattispecie per il tramite delle parti sociali che hanno concluso l'Accordo al quale il Consiglio, statuendo a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione, conferisce un fondamento legislativo a livello comunitario. Per controllare il rispetto di tale condizione, spetta alla Commissione e al Consiglio verificare la rappresentatività delle parti sociali interessate.

90.
    Tale esame impone loro di verificare se, alla luce del contenuto dell'accordo di cui trattasi, le parti sociali firmatarie di quest'ultimo hanno una rappresentatività cumulativa sufficiente. Ogniqualvolta vi sia rappresentatività cumulativa insufficiente la Commissione e il Consiglio devono negare l'attuazione dell'accordo concluso a livello comunitario. In quest'ultimo caso, le parti sociali consultate dalla Commissione ai sensi dell'art. 3, nn. 2 e 3, dell'Accordo, che non avrebbero concluso l'accordo di cui trattasi e la cui rappresentatività propria, sempre alla luce del contenuto di quest'ultimo, è necessaria per integrare la rappresentatività cumulativa dei firmatari, dispongono del diritto di impedire alla Commissione e al Consiglio di garantire l'attuazione a livello comunitario con un atto legislativo. La tutela giurisdizionale resa necessaria dall'esistenza di tale diritto implica che, qualora le parti sociali non firmatarie che possiedano tali caratteristiche

propongano un ricorso di annullamento dell'atto del Consiglio che attua l'Accordo a livello comunitario in forza dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo, si deve considerare che tale atto le riguarda direttamente e individualmente. Va peraltro rilevato in proposito che, per motivi analoghi, la Corte e il Tribunale hanno già dichiarato ricevibili ricorsi di annullamento proposti contro un atto di natura normativa poiché esisteva una disposizione di rango superiore che imponeva all'autore dell'atto di tener conto della situazione specifica della parte ricorrente (v. sentenze della Corte 17 gennaio 1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki/Commissione, Racc. pag. 207, punti 11-32, e 26 giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I-2477, punti 11-13; e sentenza Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II-2305, punti 67-78).

91.
    Nel caso di specie occorre accertare in primo luogo se la Commissione e il Consiglio hanno effettivamente verificato se la rappresentatività cumulativa dei firmatari dell'accordo quadro era sufficiente. Al riguardo, si evince dagli elementi presentati dal Consiglio che tale esame è stato effettuato. Il Consiglio e la Commissione hanno infatti chiarito, nell'ambito del presente procedimento, che il loro esame ha riguardato il grado di rappresentatività dei firmatari e la loro rappresentatività alla luce dell'ambito d'applicazione ratione materiae dell'accordo quadro. Il tredicesimo 'considerando‘ della direttiva 96/34 evidenzia peraltro che la Commissione ha elaborato la proposta trasmessa al Consiglio, ai sensi dell'art. 4, n. 2, dell'Accordo, tenendo conto della rappresentatività delle parti sociali firmatarie dell'accordo quadro. Parimenti, ottemperando ad una richiesta del Tribunale nel contesto delle misure d'organizzazione del procedimento, il Consiglio ha depositato gli estratti dei documenti del «gruppo delle questioni sociali al Consiglio» relativi alle riunioni del 22 febbraio, 5 marzo e 12 marzo 1996, da cui emerge che la questione della rappresentatività dei firmatari ha costituito oggetto di discussioni all'interno del Consiglio.

92.
    Di conseguenza, le affermazioni della ricorrente, secondo cui la Commissione e il Consiglio non avrebbero esaminato la rappresentatività dei firmatari dell'accordo quadro, non inficiano l'effettività del controllo svolto dalla Commissione e dal Consiglio, comprovata dagli elementi prodotti al riguardo dal Consiglio. Comunque, occorre segnalare che le varie tabelle presentate dal Consiglio in allegato alla controreplica e lo studio della Commissione alla base della classificazione delle parti sociali nella lista che figura all'allegato 2 della comunicazione, classificazione che peraltro non è stata contestata all'epoca dalla ricorrente, dimostrano se non altro che il Consiglio e la Commissione si sono informati relativamente alla rappresentatività delle varie parti sociali di cui trattasi nel caso di specie.

93.
    In secondo luogo, occorre verificare se l'esame della rappresentatività cumulativa dei firmatari dell'accordo quadro operato dalla Commissione e dal Consiglio, ha

soddisfatto le condizioni richieste al riguardo, quali sono state sopra illustrate ai punti 83-90.

94.
    Anzitutto, occorre rammentare che l'accordo quadro è volto ad enunciare prescrizioni minime valide per tutti i rapporti di lavoro qualunque sia l'ambito nel quale si inseriscono (v. supra punto 65). Per soddisfare la condizione di una rappresentatività cumulativa sufficiente, è di conseguenza necessario che i diversi firmatari dell'accordo quadro possano rappresentare tutte le categorie d'imprese e di lavoratori a livello comunitario.

95.
    Inoltre occorre constatare che i firmatari dell'accordo quadro sono, nella fattispecie, le tre parti sociali qualificate come organizzazioni intercategoriali a carattere generale dalla Commissione nella lista che figura all'allegato 2 della comunicazione, in relazione, in particolare, alle organizzazioni intercategoriali che rappresentano talune categorie di lavoratori o d'imprese, tra le quali figura la ricorrente.

96.
    A priori, non può quindi essere rimproverato al Consiglio di avere considerato, in base alla valutazione operata dalla Commissione, che i firmatari dell'accordo quadro potevano disporre di una rappresentatività cumulativa sufficiente alla luce del contenuto dell'accordo quadro, tenuto conto del fatto che erano organizzazioni intercategoriali a carattere generale.

97.
    Sebbene la ricorrente non contesti che le organizzazioni firmatarie dell'accordo quadro sono organizzazioni intercategoriali, essa afferma tuttavia che le due organizzazioni intercategoriali di imprese, l'UNICE e la CEEP, non hanno un carattere più generale del suo. Al riguardo, essa insiste sul fatto che essa rappresenta molto più le PMA dell'UNICE, a prescindere dalle dimensioni, e, d'altra parte, sul fatto che il CEEP rappresenta soltanto gli interessi delle imprese pubbliche che, in termini economici, non sarebbero importanti come quelli che la ricorrente difende.

98.
    Ebbene, per quanto riguarda l'UNICE, occorre constatare che è pacifico tra le parti che, nel momento in cui l'accordo quadro è stato concluso, l'UNICE rappresentava imprese del settore privato di tutte le dimensioni, di modo che essa poteva rappresentare le PMA, e che essa annoverava, tra i suoi membri, associazioni di PMA molti dei quali erano peraltro altresì soci della ricorrente. La tabella riportata nell'allegato 2 della controreplica (p. 36), che la ricorrente non ha commentato in udienza, indica altresì che le organizzazioni nazionali riunite in seno all'UNICE comprendono imprese dell'industria, dei servizi, del commercio, dell'artigianato e delle PMA.

99.
    Inoltre, la ricorrente non può invocare un numero più elevato di PMA rappresentate dai suoi membri in relazione al numero di PMA rappresentate dai membri dell'UNICE, per contestare il carattere generale dell'UNICE. Infatti, tale circostanza è inoltre tale da confermare il carattere generale dell'UNICE, incaricata di difendere gli interessi di tutte le imprese, in relazione al carattere più particolare

di una organizzazione intercategoriale come la ricorrente, piuttosto che invalidarla. Parimenti, la distinzione che la ricorrente evidenzia tra la difesa degli interessi delle PMA che essa può garantire e quella cui può provvedere l'UNICE, costituisce un'illustrazione ulteriore delle caratteristiche particolari della ricorrente, che difende specificamente ed esclusivamente gli interessi di una categoria di imprese, quelle delle PMA, e del carattere generale dell'UNICE, che difende gli interessi di tutte le imprese del settore privato, fra cui quelli delle PMA. Ne consegue che il carattere generale dell'UNICE al momento in cui l'accordo quadro è stato concluso è dimostrato con i fatti.

100.
    Per quanto riguarda la CEEP, sebbene la ricorrente ne ridimensioni la rilevanza economica, essa non contesta che tale organizzazione intercategoriale rappresenti il complesso delle imprese del settore pubblico a livello comunitario, riunendo imprese di tutte le dimensioni. In tal senso, il carattere generale riconosciutole all'allegato 2 alla comunicazione e all'art. 1 della direttiva 96/34, non può neppure rimettere in discussione l'accertamento di una rappresentatività cumulativa sufficiente che il Consiglio e la Commissione devono effettuare. Inoltre, contrariamente alla situazione della ricorrente, risulta che la sola assenza del CEEP tra le organizzazioni firmatarie dell'accordo quadro avrebbe inficiato definitivamente il carattere sufficiente della rappresentatività cumulativa di queste ultime alla luce del contenuto dell'accordo quadro, poiché una categoria particolare d'imprese, quella del settore pubblico, non sarebbe stata rappresentata nella fattispecie.

101.
    Occorre inoltre verificare se, come sostiene la ricorrente, malgrado il carattere generale delle organizzazioni intercategoriali d'imprese che hanno concluso l'accordo quadro, la loro rappresentatività cumulativa alla luce del suo contenuto non era sufficiente. Al riguardo, la ricorrente sostiene che, tenuto conto del numero delle PMA che essa rappresenta e dell'attenzione particolare riservata a tale categoria d'imprese dall'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo, la sua assenza in occasione dei negoziati per l'accordo quadro rende necessariamente insufficiente la rappresentatività cumulativa delle parti sociali incaricate di difendere gli interessi delle imprese. La ricorrente produce come prova il contenuto dell'accordo quadro che sarebbe particolarmente lesivo agli interessi delle PMA, contrariamente alle condizioni dell'art. 2, n. 2, dell'Accordo.

102.
    Le critiche della ricorrente non possono essere condivise. Anzitutto occorre constatare che esse sono basate solo sul criterio del numero di PMA rappresentate da essa stessa e dall'UNICE. Anche se tale criterio può essere preso in considerazione al momento di valutare il carattere sufficiente della rappresentatività cumulativa dei firmatari dell'accordo quadro, non può essere presentato come decisivo alla luce del contenuto di quest'ultimo. Infatti, dato che esso riguarda qualsiasi rapporto di lavoro (v. supra punto 65), non è in particolare la qualità dell'impresa che conta, ma piuttosto quella del datore di lavoro. Ebbene, mentre il Consiglio ha dichiarato che, rappresentando principalmente l'artigianato,

la maggior parte dei membri della ricorrente non annoverava nessun impiegato, questa non ha fornito elementi concreti che dimostrino il contrario, malgrado le richieste espresse del Tribunale in udienza. Essa si è limitata in tale occasione a citare alcune percentuali relative ad uno o all'altro Stato membro interessato dall'Accordo.

103.
    Inoltre, emerge dalle varie tabelle trasmesse dalla ricorrente in allegato alla replica e dal Consiglio in allegato alla controreplica che, tra le PMA rappresentate dalla ricorrente nei quattordici Stati membri interessati dall'Accordo (5 565 300 secondo la tabella di cui all'allegato I alla replica; 4 835 658, secondo la tabella che figura all'allegato 1 della controreplica, completata dalle risposte della ricorrente ai quesiti scritti del Tribunale; e 6 600 000, secondo quanto dichiarato dalla ricorrente in udienza), un terzo (2 200 000 sui 6 600 000, secondo la ricorrente in udienza), e due terzi (3 217 000 sui 4 835 658, secondo la tabella di cui all'allegato 1 della controreplica), di quelle PMA fanno parte peraltro di un'organizzazione rappresentata dall'UNICE.

104.
    Inoltre, la ricorrente non può dedurre dall'art. 2, n. 2, primo comma dell'Accordo, un grado di rappresentatività tale da implicare necessariamente che, in sua assenza, la conclusione di un accordo tra organizzazioni intercategoriali a carattere generale non soddisferebbe la condizione di rappresentatività cumulativa sufficiente. Infatti occorre rammentare al riguardo che si tratta di una disposizione di diritto sostanziale di cui qualsiasi interessato può chiedere l'osservanza, esperendo l'azione adeguata (v. supra punto 80).

105.
    Infine, per quanto riguarda la rappresentanza degli interessi delle PMA, emerge dal testo stesso dell'accordo quadro che non sono stati assenti dalle trattative che ne hanno portato alla conclusione. Cosicché il punto 12 delle condizioni generali dell'accordo quadro prevede che «il presente accordo prende in considerazione la necessità di migliorare le esigenze della politica sociale, di favorire la competitività dell'economia della Comunità e di evitare di imporre limiti amministrativi, finanziari e giuridici tali che contrastassero la creazione e lo sviluppo delle piccole e medie imprese». Parimenti, la clausola 2, n. 3, lett. f), dell'accordo quadro precisa che gli Stati membri e/o le parti sociali possono in particolare, «autorizzare accomodamenti particolari per rispondere alle esigenze di funzionamento e di organizzazione delle piccole imprese».

106.
    Comunque, le critiche che la ricorrente rivolge al contenuto dell'accordo quadro, lamentando una violazione dell'art. 2, n. 2, dell'Accordo, non dimostrano affatto che una o l'altra delle disposizioni imponga limiti amministrativi, finanziari e giuridici tali da contrastare la creazione e lo sviluppo delle PMA. Occorre precisare al riguardo che l'oggetto dell'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo non è di vietare l'adozione di misure che implicano limiti amministrativi finanziari e giuridici per le PMA, ma piuttosto di vegliare a che le misure emanate nel settore sociale non violino in modo sproporzionato la creazione e lo sviluppo delle PMA, imponendo loro taluni limiti amministrativi, finanziari e giuridici. Risulta inoltre

che, conformemente alla natura dell'atto del Consiglio che attua l'accordo quadro, gli Stati membri e/o le parti sociali dispongono ancora di un margine di valutazione per trasporre le prescrizioni minime adottate in tale accordo quadro.

107.
    Anzitutto la ricorrente non può dedurre dalla clausola 2, n. 3, lett. e) e f) dell'accordo quadro, che le medie imprese non godano della facoltà di riportare la concessione del congedo parentale chiesto da un lavoratore. Il testo della clausola 2, n. 3, lett. e), non permette infatti di sostenere tale argomento. Risulta inoltre che l'elenco dei motivi che consentono di utilizzare tale facoltà di rinvio della concessione del congedo parentale non è esauriente, poiché secondo i termini stessi dell'accordo quadro, tale elenco tra parentesi fornisce soltanto un certo numero di esempi. L'interpretazione della clausola 2, n. 3, lett. e), sostenuta dalla ricorrente è quindi manifestamente infondata. Peraltro, il testo della clausola 2, n. 3, lett. f), dell'accordo quadro deve essere interpretato nel senso che concede una facoltà supplementare di modulare l'esercizio del diritto ad un congedo parentale, per rispondere alle esigenze di funzionamento e di organizzazione delle sole piccole imprese. Tale facoltà supplementare propria delle piccole imprese non implica tuttavia che le medie imprese siano private del diritto che accorda loro la clausola 2, n. 3, lett. e), di riportare la concessione del congedo parentale per talune ragioni, contrariamente a quello che sostiene la ricorrente.

108.
    Inoltre, sebbene sia pacifico che il testo dell'accordo quadro non prevede la possibilità di un regime eccezionale per la tutela contro il licenziamento per il caso in cui gli interessi economici del datore siano ostacolati dal mantenimento del contratto di lavoro durante e dopo il congedo parentale, occorre constatare che, oltre al fatto che la possibilità di autorizzare la risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro in occasione del congedo parentale toglie ogni sostanza alla nozione stessa di congedo parentale, la ricorrente non ha dimostrato, né chiarito dinanzi al Tribunale, come la mancanza di tale possibilità per le PMA implichi, nella fattispecie, l'imposizione di un limite amministrativo, finanziario e giuridico tale da contrastare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.

109.
    Infine le disposizioni dell'accordo quadro relative alla durata del congedo parentale non possono neppure, in quanto tali, violare l'art. 2, n. 2, primo comma, dell'Accordo. Infatti, la clausola 2, n. 1, dell'accordo quadro definisce una durata minima irriducibile del congedo parentale equivalente a tre mesi, senza tuttavia imporre una durata massima in modo generale e assoluto, potendo quest'ultima essere definita in sede di trasposizione al massimo fino a 8 anni. Essa precisa che «fatta salva la clausola 2.2, il presente accordo attribuisce ai lavoratori, di ambo i sessi, il diritto individuale al congedo parentale per la nascita o l'adozione di un bambino, affinché possano averne cura per un periodo minimo di tre mesi fino a un'età non superiore a 8 anni determinato dagli Stati membri e/o dalle parti sociali». I termini utilizzati in tale disposizione dimostrano quindi che essa non impone limiti amministrativi, finanziari e giuridici tali da ostare alla creazione e allo

sviluppo delle PMA e che sussiste un margine di discrezionalità considerevole in capo a coloro che saranno incaricati di attuare l'accordo quadro.

110.
    Ne consegue che, conformemente agli obblighi loro imposti in particolare dal rispetto di un principio democratico fondamentale, la Commissione e il Consiglio hanno correttamente considerato che la rappresentatività cumulativa dei firmatari dell'accordo quadro era sufficiente alla luce del contenuto di quest'ultimo, per attuarlo a livello comunitario per mezzo di un atto legislativo del Consiglio, conformemente all'art. 4, n. 2, dell'Accordo. Occorre sottolineare che tale constatazione, circoscritta al solo caso di specie, non incide né sulla rappresentatività propria della ricorrente in quanto organizzazione intercategoriale che rappresenta specificamente e esclusivamente gli interessi delle PMA, né la valutazione del carattere sufficiente della rappresentatività cumulativa delle parti sociali firmatarie di qualsiasi altro accordo la cui attuazione venga richiesta al Consiglio in base all'art. 4, n. 2, dell'Accordo.

111.
    La ricorrente non è quindi riuscita a dimostrare che, nella fattispecie, tenuto conto della sua rappresentatività, essa si distingueva dal complesso delle altre organizzazioni di parti sociali consultate dalla Commissione che non hanno concluso l'accordo quadro e che aveva diritto, di conseguenza, di esigere dal Consiglio che impedisse l'attuazione dell'accordo quadro a livello comunitario (v. supra punto 90).

112.
    Emerge da quanto precede che, siccome la direttiva 96/34 non riguarda la ricorrente in ragione di circostanze specifiche o di caratteristiche proprie atte a distinguerla da qualsiasi altro soggetto, nella fattispecie la detta direttiva non la riguarda individualmente. Occorre di conseguenza dichiarare il ricorso irricevibile.

Sulle spese

113.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente e le parti intervenienti sono rimaste soccombenti, ed avendo il Consiglio chiesto la loro condanna alle spese devono essere quindi condannate alle spese del Consiglio.

114.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni che sono intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Ne consegue che la Commissione, interveniente, dovrà sopportare le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1.
    Il ricorso è irricevibile.

2.
    La ricorrente e le parti intervenute a suo sostegno sono condannate alle     spese del Consiglio.

3.
    La Commissione sopporterà le proprie spese.

Lindh
García-Valdecasas
Lenaerts

Cooke

Jaeger

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 17 giugno 1998.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

P. Lindh


1: Lingua processuale: il francese.

Racc.