Language of document : ECLI:EU:T:2022:556

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

14 settembre 2022 (*)

«Accesso ai documenti – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi – Documento di orientamento dell’EFSA relativo alla valutazione dei rischi dei prodotti fitosanitari per le api – Posizioni individuali degli Stati membri – Diniego di accesso – Articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 – Eccezione relativa alla tutela del processo decisionale»

Nelle cause riunite T‑371/20 e T‑554/20,

Pollinis France, con sede in Parigi (Francia), rappresentata da C. Lepage e T. Bégel, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da S. Delaude, C. Ehrbar e G. Gattinara, in qualità di agenti,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da A. Marcoulli (relatrice), presidente, S. Frimodt Nielsen, J. Schwarcz, C. Iliopoulos e R. Norkus, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione del 15 dicembre 2020 di riunire le cause T‑371/20 e T‑554/20 ai fini della fase scritta del procedimento, dell’eventuale fase orale del procedimento e della decisione che definisce il giudizio,

in seguito all’udienza del 6 maggio 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la ricorrente, Pollinis France, chiede l’annullamento della decisione C(2020) 4231 final della Commissione, del 19 giugno 2020 (in prosieguo: la «prima decisione impugnata»), e della decisione C(2020) 5120 final della Commissione, del 21 luglio 2020 (in prosieguo: la «seconda decisione impugnata»), con cui la Commissione le ha negato l’accesso ad alcuni documenti relativi al documento di orientamento dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) sulla valutazione del rischio dei prodotti fitosanitari per le api, adottato dall’EFSA il 27 giugno 2013, pubblicato inizialmente il 4 luglio 2013 e poi ripubblicato il 4 luglio 2014 (in prosieguo: il «documento di orientamento sulle api del 2013»), e le ha concesso l’accesso parziale ad alcuni altri documenti relativi al documento di orientamento sulle api del 2013.

I.      Fatti

2        La ricorrente è un’organizzazione non governativa francese che opera per la tutela dell’ambiente e ha l’obiettivo di proteggere le api selvatiche e comuni e di promuovere l’agricoltura sostenibile allo scopo di aiutare a preservare gli impollinatori.

A.      Causa T371/20

3        Il 27 gennaio 2020, in forza del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43), e del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13), la ricorrente ha presentato alla Commissione europea una domanda di accesso a taluni documenti riguardanti il documento di orientamento sulle api del 2013.

4        Dopo scambi intercorsi tra la Commissione e la ricorrente al fine di definire e ridurre la portata della sua domanda, tale domanda è stata limitata, in sostanza, ai documenti che riportavano la posizione degli Stati membri, dei membri del comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (Standing Committee on Plants, Animals, Food and feeds) (in prosieguo: lo «Scopaff») e della Commissione in merito al documento di orientamento sulle api del 2013, nonché qualsiasi progetto riguardante tale argomento ricevuto o redatto dalla Commissione dal mese di ottobre 2018.

5        Con lettera del 16 marzo 2020, la Commissione ha individuato 25 documenti rientranti nella domanda di accesso della ricorrente, ha indicato che 6 documenti (documenti da 20 a 25) erano disponibili sul sito Internet Europa e ha respinto la domanda di accesso per i restanti 19 documenti (documenti da 1 a 19) in forza dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1049/2001. Dalla tabella allegata a tale lettera risulta che i suddetti documenti da 1 a 19 sono messaggi di posta elettronica, talvolta muniti di allegati, inviati da alcuni Stati membri nell’ambito dello Scopaff tra i mesi di gennaio e di luglio 2019 e relativi, in sostanza, al documento di orientamento sulle api del 2013 o alla sua attuazione, segnatamente un progetto di modifica dei principi uniformi per la valutazione e l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari di cui all’articolo 29, paragrafo 6, del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive 79/117/CEE e 91/414/CEE del Consiglio (GU 2009, L 309, pag. 1) (in prosieguo: i «principi uniformi»).

6        Il 25 marzo 2020 la ricorrente ha presentato una domanda confermativa di accesso ai documenti.

7        Con messaggio di posta elettronica del 15 aprile 2020, la Commissione ha informato la ricorrente che il termine per rispondere alla domanda confermativa di accesso doveva essere prorogato e, con messaggio di posta elettronica dell’11 maggio 2020, ha informato la ricorrente che non era in grado di comunicarle una risposta alla domanda confermativa entro detto termine prorogato.

8        In mancanza di una risposta esplicita alla domanda confermativa, la ricorrente ha proposto, il 15 giugno 2020, un ricorso diretto ad ottenere l’annullamento della decisione implicita di rigetto (in prosieguo: la «decisione implicita di rigetto»), conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

9        Con la prima decisione impugnata, trasmessa alla ricorrente con messaggio di posta elettronica del 22 giugno 2020, la Commissione ha risposto esplicitamente alla domanda confermativa, concedendo un accesso parziale al documento 2, mentre l’accesso a talune parti di quest’ultimo veniva invece negato in forza delle eccezioni previste dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, e negando l’accesso a tutti gli altri documenti oggetto di tale domanda (documenti 1 e da 3 a 19) in forza dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

B.      Causa T554/20

10      L’8 aprile 2020, la ricorrente ha presentato alla Commissione una seconda domanda di accesso a taluni documenti riguardanti il documento di orientamento sulle api del 2013. Tale domanda riguardava, in sostanza, la corrispondenza, gli ordini del giorno, i verbali o le relazioni delle riunioni tra i membri dello Scopaff e taluni funzionari o membri della Commissione in merito al documento di orientamento sulle api del 2013 nel periodo compreso tra il luglio 2013 e il settembre 2018.

11      Con lettera dell’8 maggio 2020, la Commissione ha individuato 59 documenti rientranti nella seconda domanda di accesso della ricorrente e ha respinto tale domanda per l’insieme di detti documenti in forza dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. Dalla tabella allegata a tale lettera risulta che detti documenti sono messaggi di posta elettronica o «commenti», talvolta muniti di allegati, trasmessi da taluni Stati membri all’interno dello Scopaff tra i mesi di settembre 2013 e di dicembre 2018 e vertenti, in sostanza, sul documento di orientamento sulle api del 2013 o sulla sua attuazione (in prosieguo, unitamente ai documenti da 1 a 19 di cui al punto 5 supra: i «documenti richiesti»).

12      Il 25 maggio 2020, la ricorrente ha presentato una domanda confermativa di accesso a detti documenti.

13      Con messaggio di posta elettronica del 17 giugno 2020, la Commissione ha informato la ricorrente che il termine per rispondere alla domanda confermativa doveva essere prorogato.

14      Con la seconda decisione impugnata, la Commissione ha risposto alla domanda confermativa concedendo un accesso parziale a quattro documenti (documenti 3, 10, 12 e 33), ove l’accesso a talune parti dei medesimi veniva negato in forza delle eccezioni previste dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, e negando l’accesso a tutti gli altri documenti oggetto della suddetta domanda (documenti 1, 2, da 4 a 9, 11, da 13 a 32 e da 34 a 59) in forza dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. La Commissione ha peraltro precisato che detti documenti erano tutti messaggi di posta elettronica.

II.    Conclusioni delle parti

15      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare la memoria di adattamento del ricorso ricevibile e fondata nella causa T‑371/20;

–        dichiarare il ricorso ricevibile e fondato nella causa T‑554/20;

–        annullare la prima e la seconda decisione impugnata;

–        condannare la Commissione a versarle EUR 3 000 a titolo di spese in ciascuna causa riunita.

16      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare privo di oggetto il ricorso proposto contro la decisione implicita di rigetto e dichiarare irricevibile la memoria di adattamento del ricorso e, in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato nella causa T‑371/20;

–        respingere il ricorso nella causa T‑554/20;

–        respingere in quanto irricevibile la richiesta di condannare la Commissione al pagamento di EUR 3 000 a titolo di spese per ciascuna causa riunita;

–        condannare la ricorrente alle spese.

III. In diritto

17      La ricorrente deduce quattro motivi, sostanzialmente identici, nei confronti di ciascuna delle decisioni impugnate.

18      Il primo motivo verte, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione non avrebbe correttamente applicato l’eccezione relativa alla tutela del processo decisionale. Il secondo motivo verte, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, in quanto un interesse pubblico prevalente giustificherebbe la divulgazione dei documenti richiesti, i quali dovrebbero beneficiare del più ampio accesso accordato ai documenti legislativi. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, in quanto l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 dovrebbe essere interpretata tanto più restrittivamente in quanto le informazioni richieste riguardano emissioni nell’ambiente. Il quarto motivo verte sull’erronea applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 1049/2001.

19      Prima di esaminare tali motivi, occorre precisare l’oggetto del ricorso nella causa T‑371/20, tenuto conto della domanda di non luogo a statuire della Commissione e della memoria di adattamento del ricorso della ricorrente.

A.      Sull’oggetto del ricorso nella causa T371/20

20      Il 15 luglio 2020, la Commissione ha presentato una domanda di non luogo a statuire sul ricorso nella causa T‑371/20. La ricorrente ha presentato una memoria di adattamento del ricorso il 18 agosto 2020. Le osservazioni della ricorrente sulla domanda di non luogo a statuire e le osservazioni della Commissione sulla memoria di adattamento del ricorso sono state presentate rispettivamente il 31 agosto e il 1º ottobre 2020. Il 13 novembre 2020, il Tribunale ha deciso di riunire al merito l’esame della domanda di non luogo a statuire.

21      In primo luogo, è pacifico tra le parti che la decisione implicita di rigetto è stata sostituita dalla prima decisione impugnata, in quanto quest’ultima fornisce una risposta esplicita alla domanda confermativa presentata dalla ricorrente il 25 marzo 2020.

22      Occorre ricordare che, qualora una decisione implicita di diniego di accesso sia stata ritirata per effetto di una decisione esplicita adottata successivamente, non vi è più luogo a statuire sul ricorso nella parte in cui è diretto contro detta decisione implicita (sentenza del 2 luglio 2015, Typke/Commissione, T‑214/13, EU:T:2015:448, punto 36; v. altresì, in tal senso, sentenza del 2 ottobre 2014, Strack/Commissione, C‑127/13 P, EU:C:2014:2250, punti 88 e 89).

23      Di conseguenza, come sostenuto dalla Commissione, non occorre più statuire sulla domanda di annullamento della decisione implicita di rigetto.

24      In secondo luogo, tuttavia, in applicazione dell’articolo 86 del regolamento di procedura del Tribunale, la ricorrente ha presentato una memoria di adattamento del ricorso tenuto conto dell’adozione della prima decisione impugnata dopo il deposito di quest’ultima, diretta a far sì che il ricorso fosse ormai considerato come diretto all’annullamento di tale decisione esplicita.

25      Orbene, sebbene le conclusioni delle parti siano caratterizzate, in linea di principio, dalla loro immutabilità, l’articolo 86 del regolamento di procedura prevede una deroga a tale principio. Pertanto, conformemente all’articolo 86, paragrafi 1 e 2, del regolamento di procedura, quando un atto di cui si chiede l’annullamento è sostituito da un altro atto avente il medesimo oggetto, il ricorrente può, prima della chiusura della fase orale o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale del procedimento, adattare il ricorso per tener conto di tale elemento nuovo introducendo detto adattamento con atto separato ed entro il termine previsto dall’articolo 263, sesto comma, TFUE entro il quale può essere chiesto l’annullamento dell’atto che giustifica l’adattamento del ricorso.

26      Nel caso di specie, la decisione implicita di rigetto è stata sostituita dalla prima decisione impugnata e la memoria di adattamento del ricorso è stata depositata nelle forme ed entro il termine all’uopo previsti, circostanza che la Commissione ha peraltro riconosciuto espressamente nelle sue osservazioni su detta memoria di adattamento.

27      Da un lato, la Commissione ha tuttavia osservato, in via generale, che non era chiaramente precisato se tale memoria sostituisse o completasse il ricorso, ma che essa si è basata su quest’ultima comprensione. Interrogata al riguardo nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, la ricorrente, nella sua risposta depositata presso la cancelleria del Tribunale il 25 marzo 2022, ha confermato che, infatti, la sua memoria di adattamento completava il ricorso. Orbene, poiché quest’ultimo è la comprensione comune delle parti e che, inoltre, come risulta dall’articolo 86, paragrafo 4, del regolamento di procedura, la memoria di adattamento non deve sostituire integralmente il ricorso, ma deve contenere le conclusioni adattate e, se necessario, i motivi e gli argomenti adattati nonché le prove e le offerte di prova connesse all’adattamento delle conclusioni, l’osservazione della Commissione non può rimettere in discussione la ricevibilità della memoria di adattamento in quanto tale.

28      Dall’altro, la Commissione ha eccepito l’irricevibilità, l’inoperatività o la manifesta infondatezza dei motivi dedotti nella memoria di adattamento. Tuttavia, dal momento che tali censure vertono sulla ricevibilità, sull’operatività o sulla fondatezza di detti motivi, esse rientrano nella valutazione di ciascuno di tali motivi e sono quindi irrilevanti per quanto riguarda la ricevibilità della memoria di adattamento nel suo insieme.

29      Di conseguenza, poiché le condizioni previste dall’articolo 86, paragrafi 1 e 2, del regolamento di procedura sono soddisfatte nel caso di specie, si deve ritenere che il ricorso nella causa T‑371/20 abbia ormai ad oggetto una domanda di annullamento della prima decisione impugnata.

30      Peraltro, a quest’ultimo riguardo, la Commissione ha indicato, sulla base di una frase contenuta nelle osservazioni sulla domanda di non luogo a statuire depositate dalla ricorrente, che quest’ultima non sembrava contestare la prima decisione impugnata nella parte in cui aveva concesso un accesso parziale al documento 2 (v. punto 9 supra). Orbene, occorre rilevare, da un lato, che la frase della ricorrente invocata dalla Commissione si limita a dimostrare il suo interesse ad ottenere l’annullamento della prima decisione impugnata ricordando che quest’ultima continuava a negare l’accesso a tutti gli altri documenti (punto 9 supra) e, dall’altro, che la memoria di adattamento del ricorso non limita l’oggetto del ricorso ai soli documenti che sono stati oggetto di un diniego totale di accesso. Del resto, interrogata in udienza, la ricorrente ha confermato che i suoi ricorsi erano diretti a contestare le decisioni impugnate anche nella parte in cui esse concedevano un accesso parziale a taluni documenti, circostanza di cui si è preso atto nel verbale d’udienza. Di conseguenza, si deve considerare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il ricorso nella causa T‑371/20 ha ad oggetto una domanda di annullamento della prima decisione impugnata nel suo insieme.

B.      Sul primo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, in quanto la Commissione non avrebbe correttamente applicato l’eccezione relativa alla tutela del processo decisionale

31      In via preliminare, occorre osservare che, certamente, il titolo e i punti iniziali e finali del primo motivo dei ricorsi come sviluppato nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20 fanno riferimento al secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, riprendendo in ciò la terminologia e la struttura del primo motivo dedotto nel ricorso nella causa T‑371/20, vertente sulla decisione implicita di rigetto. Tuttavia, i rilievi afferenti a detto motivo, contenuti nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, non vertono unicamente su un’asserita violazione del secondo comma di detta disposizione, ma si riferiscono più concretamente ai motivi dedotti dalla Commissione nelle decisioni impugnate e vertono altresì sul primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

32      Il primo motivo si articola quindi, in sostanza, in due parti, vertenti sulla violazione, la prima, del secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 e, la seconda, del primo comma della medesima disposizione.

33      Anzitutto, per quanto riguarda la prima parte del primo motivo, come fa valere la Commissione, nella misura in cui la ricorrente si basa su un argomento vertente su un’errata applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1049/2001, o addirittura sulla mancata indicazione delle ragioni che consentono di applicare detta disposizione, è giocoforza constatare che tale parte è inoperante, in quanto non può comportare l’annullamento delle decisioni impugnate. Infatti, in queste ultime, la Commissione non ha applicato l’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1049/2001, ma ha negato l’accesso ai documenti richiesti sulla base dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del medesimo regolamento. Inoltre, è irrilevante al riguardo che la Commissione, nella sua lettera del 16 marzo 2020 (v. punto 5 supra), abbia invocato l’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, poiché le presenti cause mirano all’annullamento non della suddetta lettera, bensì delle decisioni impugnate, nelle quali la Commissione ha invocato l’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del suddetto regolamento. La prima parte del primo motivo deve pertanto essere respinta in quanto inoperante.

34      La seconda parte del primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, contiene due censure. La ricorrente contesta, in sostanza, da un lato, la pertinenza dell’eccezione prevista da detta disposizione, invocata dalla Commissione, in quanto il processo decisionale di cui trattasi non sarebbe in corso e, dall’altro, i motivi dedotti dalla Commissione per giustificare l’applicazione di tale eccezione.

1.      Osservazioni preliminari

35      Conformemente al suo considerando 1, il regolamento n. 1049/2001 è riconducibile all’intento di creare un’unione in cui le decisioni siano adottate nel modo più trasparente possibile e più vicino possibile ai cittadini. Come ricorda il considerando 2 di detto regolamento, il diritto di accesso del pubblico ai documenti delle istituzioni è connesso al carattere democratico di queste ultime (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

36      A tal fine, il regolamento n. 1049/2001, come indicano il considerando 4 e l’articolo 1 dello stesso, mira a conferire al pubblico un diritto di accesso che sia il più ampio possibile (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

37      Tale diritto è comunque sottoposto a determinate limitazioni fondate su ragioni di interesse pubblico o privato. Più specificamente, e in conformità con il suo considerando 11, il regolamento n. 1049/2001 prevede, all’articolo 4, un regime di eccezioni che autorizza le istituzioni a negare l’accesso a un documento nel caso in cui la divulgazione di quest’ultimo pregiudichi uno degli interessi protetti da tale articolo (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).

38      Dal momento che tali eccezioni derogano al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti, esse devono essere interpretate ed applicate in senso restrittivo (v. sentenze del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

39      Conformemente al principio di interpretazione restrittiva, qualora l’istituzione interessata decida di negare l’accesso a un documento che le è stato richiesto, essa deve, in linea di principio, spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da un’eccezione prevista dall’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, che tale istituzione invoca. Inoltre, il rischio di un siffatto pregiudizio dev’essere ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico. La mera circostanza che un documento riguardi un interesse tutelato da un’eccezione non può essere sufficiente per giustificare l’applicazione di quest’ultima (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

40      Va altresì ricordato che l’applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 presuppone che sia dimostrato che l’accesso ai documenti richiesti sia tale da arrecare concreto ed effettivo pregiudizio alla tutela del processo decisionale dell’istituzione e che tale rischio di pregiudizio sia ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

41      Per rientrare nell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, il pregiudizio al processo decisionale deve essere grave. Ciò avviene segnatamente quando la divulgazione del documento considerato ha un impatto sostanziale sul processo decisionale. La valutazione della gravità dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie, in particolare dagli effetti negativi di tale divulgazione sul processo decisionale invocati dall’istituzione (sentenza del 7 giugno 2011, Toland/Parlamento, T‑471/08, EU:T:2011:252, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

42      Non può essere richiesto alle istituzioni di fornire elementi di prova volti a dimostrare la sussistenza di un rischio siffatto. A tal riguardo, è sufficiente che la decisione contenga elementi tangibili che consentano di concludere che il rischio di pregiudizio per il processo decisionale fosse, alla data della sua adozione, ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico, in particolare, facendo menzione dell’esistenza, in tale data, di ragioni oggettive che consentano ragionevolmente di prevedere che siffatti pregiudizi si verificherebbero in caso di divulgazione dei documenti richiesti (v. sentenza del 22 marzo 2018, De Capitani/Parlamento, T‑540/15, EU:T:2018:167, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

43      È alla luce di tali disposizioni e principi che si deve esaminare la seconda parte del primo motivo dei ricorsi.

2.      Sulla prima censura della seconda parte del primo motivo, vertente sul fatto che il processo decisionale non era in corso

44      La ricorrente fa valere che l’interpretazione e l’utilizzo da parte della Commissione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 non sono giustificati. Secondo la ricorrente, il motivo fornito dalla Commissione per negare l’accesso, vale a dire quello di tutelare il processo decisionale in corso, è contraddetto dall’indicazione della Commissione secondo cui il processo decisionale è interrotto. Quest’ultima indicazione sarebbe fonte di confusione e indurrebbe in errore, poiché il processo sarebbe o «interrotto» o «in corso». Anche ammettendo che il processo decisionale fosse sospeso e riprenderebbe su una versione rivista del documento di orientamento sulle api del 2013, tale documento non sarà più lo stesso.

45      La Commissione replica che il processo decisionale in questione non è completato e precisa che, nelle decisioni impugnate, essa avrebbe utilizzato il termine «interrotto» nel senso di «sospeso» o di «messo in pausa». Inoltre, la circostanza che il documento di orientamento sulle api del 2013 possa essere modificato non sarebbe rilevante ai fini dell’applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. La motivazione di ciascuna delle decisioni impugnate non sarebbe quindi contraddittoria.

46      In via preliminare, occorre osservare che, sebbene la Commissione abbia contestato la ricevibilità e la pertinenza di numerosi argomenti addotti dalla ricorrente nell’ambito della seconda parte del primo motivo, in quanto non riguarderebbero l’eccezione applicata nelle decisioni impugnate o sarebbero stati indebitamente addotti in fase di replica, ciò non avviene necessariamente per gli argomenti vertenti sul fatto che il processo decisionale era in corso, ripresi al precedente punto 44. Infatti, nelle sue osservazioni sulla memoria di adattamento del ricorso nella causa T‑371/20, la Commissione ha riconosciuto che siffatti argomenti figuravano in detta memoria di adattamento e vertevano sull’eccezione invocata nelle decisioni impugnate, indicando che, «a prescindere dai punti (…) della memoria di adattamento che [facevano] riferimento al fatto che il processo decisionale era in corso, la ricorrente non [aveva] adattato i suoi motivi alla nuova base giuridica invocata nella [prima decisione impugnata]». Va infatti notato che siffatti argomenti sono stati presentati nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20. Inoltre, detti argomenti sono stati addotti, in modo identico, nel ricorso nella causa T‑554/20. Di conseguenza, ogni successiva affermazione della Commissione, in particolare nel suo controricorso o in udienza, volta a suggerire che tali argomenti sono irricevibili o inoperanti o che la ricorrente non contesterebbe che il processo decisionale in questione sia in corso, deve essere respinta in quanto infondata.

47      Occorre quindi esaminare la fondatezza di questa prima censura della ricorrente.

48      Dal fascicolo risulta che il documento di orientamento sulle api del 2013 è stato preparato dall’EFSA nel 2013 su richiesta della Commissione. Tale documento è stato presentato dalla Commissione allo Scopaff nel 2013 per parere, in vista della sua adozione secondo la procedura consultiva prevista dal regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (GU 2011, L 55, pag. 13), conformemente agli articoli 77 e 79, paragrafo 2, del regolamento n. 1107/2009.

49      È pacifico tra le parti che il documento di orientamento sulle api del 2013 è stato oggetto di discussioni per diversi anni in seno allo Scopaff, senza che si sia potuto trovare un accordo sul suo testo, a causa del disaccordo tra gli Stati membri, e senza che la Commissione sia quindi riuscita ad adottare detto documento di orientamento.

50      In mancanza di adozione del documento di orientamento sulle api del 2013 in quanto tale e ai fini di un’attuazione parziale di detto documento, nel 2018, la Commissione ha proposto di dare attuazione a talune parti di quest’ultimo, e ciò introducendo modifiche ai principi uniformi previsti dal regolamento (UE) n. 546/2011 della Commissione, del 10 giugno 2011, recante disposizioni di attuazione del regolamento (CE) n. 1107/2009 per quanto riguarda i principi uniformi per la valutazione e l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari (GU 2011, L 155, pag. 127). La Commissione ha quindi presentato, nel 2018, un progetto di regolamento di modifica del regolamento n. 546/2011 allo Scopaff per parere, in vista della sua adozione secondo la procedura di regolamentazione con controllo prevista dalla decisione 1999/468/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, recante modalità per l’esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU 1999, L 184, pag. 23), e ciò conformemente all’articolo 29, paragrafo 6, all’articolo 78, paragrafo 1, lettera c), e all’articolo 79, paragrafo 4, del regolamento n. 1107/2009.

51      È pacifico tra le parti che lo Scopaff ha emesso un parere positivo su un progetto di regolamento di modifica del regolamento n. 546/2011 nel luglio 2019, ma che neppure quest’ultimo è stato adottato dalla Commissione, dal momento che, nell’ambito della procedura di regolamentazione con controllo, il Parlamento europeo si è opposto alla sua adozione nell’ottobre 2019, considerando, in sostanza, che detto progetto non prevedeva un livello sufficiente di protezione.

52      Mentre fino al 2018 essa non programmava una revisione del documento di orientamento sulle api del 2013, nel marzo 2019, la Commissione ha chiesto all’EFSA di effettuare una revisione di detto documento, al fine di tener conto dell’evoluzione scientifica dal 2013.

53      È dunque in tale contesto che, nelle decisioni impugnate, adottate nei mesi di giugno e di luglio 2020, la Commissione ha indicato che, in attesa del completamento della revisione del documento di orientamento sulle api del 2013 da parte dell’EFSA, il suo esame in seno allo Scopaff era «interrotto» e che ciò significava che il processo decisionale poteva essere considerato «in corso», poiché sarebbe stato ripreso solo una volta terminata la revisione di detto documento di orientamento da parte dell’EFSA. Nelle decisioni impugnate, la Commissione ha del resto indicato di aver sottolineato presso l’EFSA l’importanza di trasmettere «la sua relazione rivista» per il mese di marzo 2021 e di averle altresì chiesto di coinvolgere gli esperti degli Stati membri e le parti interessate, affinché fossero presi in considerazione tutti i punti di vista, il che avrebbe dovuto consentire un’accettazione rapida del documento d’orientamento sulle api rivisto.

54      Interrogata in udienza sullo stato del documento di orientamento sulle api rivisto, la Commissione ha indicato che qualsiasi considerazione relativa al contenuto e al carattere eventualmente vincolante di tale documento era ipotetica, in quanto il processo di revisione di detto documento da parte dell’EFSA non era ancora concluso. Lo stesso varrebbe per qualsiasi considerazione relativa alla forma della sua eventuale adozione da parte della Commissione e alla procedura che potrebbe essere seguita a tal fine.

55      Dalle circostanze esposte ai precedenti punti da 48 a 54 discende che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione nelle decisioni impugnate, il processo decisionale al quale si riferiscono i documenti richiesti non poteva essere considerato in corso al momento dell’adozione di dette decisioni.

56      Infatti, si può certamente ritenere che i documenti richiesti si riferiscano a un processo decisionale della Commissione che si è svolto dal 2013 al 2019 e che mirava all’attuazione totale o parziale, da parte della Commissione, del documento di orientamento sulle api del 2013, vuoi adottando detto documento di orientamento in quanto tale secondo la procedura consultiva prevista dal regolamento n. 182/2011, vuoi modificando i principi uniformi previsti dal regolamento n. 546/2011 secondo la procedura di regolamentazione con controllo prevista dalla decisione 1999/468. Tuttavia, è giocoforza constatare che, al momento dell’adozione delle decisioni impugnate, nessun processo decisionale mirava più a dare attuazione a detto documento di orientamento del 2013, né in quanto tale né sotto forma di modifica dei principi uniformi. Al contrario, la Commissione aveva deciso, implicitamente ma necessariamente, di non dare più attuazione a tale documento di orientamento del 2013 e aveva persino espressamente chiesto all’EFSA di procedere alla revisione di quest’ultimo, ove siffatta revisione era sempre in corso al momento dell’adozione delle decisioni impugnate, peraltro con la conseguente impossibilità di determinare il contenuto dell’eventuale documento di orientamento rivisto, la forma della sua eventuale adozione e la procedura che sarebbe eventualmente seguita a tal fine. Tale revisione implica, pertanto, la mancanza stessa dell’oggetto di un processo decisionale della Commissione al momento dell’adozione delle decisioni impugnate.

57      L’argomento della Commissione secondo cui, nonostante le circostanze menzionate ai precedenti punti da 48 a 54, essa aveva sempre l’obiettivo di dare attuazione a un documento di orientamento sulle api, al fine di fornire alle autorità degli Stati membri un documento che riportasse «conoscenze scientifiche e tecniche attuali» ai sensi dell’articolo 36, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009, non può condurre a una conclusione diversa. Infatti, anche supponendo dimostrato un siffatto obiettivo, esso non implica affatto, di per sé, che un processo decisionale avente ad oggetto un siffatto documento fosse in corso al momento dell’adozione delle decisioni impugnate. Al contrario, gli elementi del fascicolo tendono a dimostrare che la Commissione aveva deciso di non dare più attuazione al documento di orientamento sulle api del 2013 e che, eventualmente, un processo decisionale avente ad oggetto un documento di orientamento sulle api rivisto avrebbe potuto aver luogo quando l’EFSA avrebbe consegnato tale documento alla Commissione e quest’ultima avrebbe deciso di attuarlo, il che era peraltro ipotetico al momento dell’adozione delle decisioni impugnate e lo rimaneva ancora alla data dell’udienza. Per le stesse ragioni, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il fatto che la ricorrente abbia chiesto, o addirittura chieda ancora, che il documento di orientamento sulle api del 2013 sia integralmente adottato non implica affatto che un processo decisionale vertente su tale documento fosse in corso al momento dell’adozione delle decisioni impugnate o sia persino ancora in corso.

58      Inoltre, occorre osservare che la circostanza che la revisione del documento di orientamento sulle api del 2013 da parte dell’EFSA fosse ancora in corso non implica affatto che un processo decisionale della Commissione vertente sull’attuazione di questo stesso documento fosse ancora in corso alle date di adozione delle decisioni impugnate. Al contrario, lo svolgimento stesso di tale processo di revisione corrobora la constatazione secondo cui, dopo il rigetto della modifica dei principi uniformi, al momento dell’adozione delle decisioni impugnate, la Commissione non conduceva più alcun processo decisionale avente ad oggetto il documento di orientamento sulle api del 2013. Infatti, come sottolineato dalla ricorrente senza essere stata contraddetta dalla Commissione, fino al 2018, quest’ultima non programmava di chiedere una tale revisione. Orbene, come emerge dalle decisioni impugnate, tale revisione risulta essere stata prevista stante l’impossibilità di adottare il documento di orientamento sulle api del 2013 e nella prospettiva di consentire una rapida accettazione di un documento di orientamento sulle api rivisto.

59      Ne consegue che il processo decisionale della Commissione avente ad oggetto il documento di orientamento sulle api del 2013 era stato concluso al momento dell’adozione delle decisioni impugnate e che, di conseguenza, nelle particolari circostanze delle presenti cause, la Commissione non poteva validamente fondare dette decisioni sull’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, volta a tutelare il processo decisionale dell’istituzione in ordine ad una questione sulla quale quest’ultima non ha ancora adottato una decisione.

60      Infatti, l’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 opera una distinzione chiara in funzione della circostanza che un procedimento sia concluso o meno. Una volta adottata la decisione, le esigenze di tutela del processo decisionale presentano minore rilevanza, sicché la divulgazione di qualsiasi documento diverso da quelli menzionati dall’articolo 4, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1049/2001 non può mai ledere detto processo e il diniego di divulgazione di un siffatto documento non può essere autorizzato, persino quando la divulgazione di quest’ultimo avrebbe gravemente pregiudicato questo processo se essa fosse avvenuta prima di adottare la decisione in questione. Pertanto, le ragioni addotte da un’istituzione per rifiutare l’accesso a tale documento, la cui divulgazione è stata richiesta prima della chiusura del procedimento amministrativo, non possono essere sufficienti per rifiutare la divulgazione dello stesso documento dopo l’adozione della decisione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Svezia/MyTravel e Commissione, C‑506/08 P, EU:C:2011:496, punti 78, 80 e 82).

61      Occorre quindi accogliere la prima censura della seconda parte del primo motivo e, di conseguenza, annullare le decisioni impugnate nella parte in cui negano l’accesso ai documenti richiesti sulla base dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

62      Nelle circostanze delle presenti cause, tuttavia, occorre altresì esaminare, inoltre, la seconda censura della seconda parte del primo motivo, riguardante i motivi dedotti dalla Commissione nelle decisioni impugnate per giustificare l’applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, supponendo quindi che tale disposizione sia applicabile nel caso di specie.

3.      Sulla seconda censura della seconda parte del primo motivo, riguardante i motivi dedotti nelle decisioni impugnate

63      In via preliminare, occorre ricordare che, nelle decisioni impugnate, la Commissione si è basata, in sostanza, su una serie di tre motivi connessi al fine di negare l’accesso ai documenti richiesti sulla base dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. Secondo la Commissione, in primo luogo, le procedure di comitologia preserverebbero la riservatezza delle posizioni individuali degli Stati membri. In secondo luogo, la divulgazione delle posizioni degli Stati membri scambiate in un contesto di riservatezza comprometterebbe la cooperazione tra gli Stati membri nonché la fiducia reciproca tra gli Stati membri e la Commissione. Talune circostanze caratterizzanti le discussioni sul documento di orientamento sulle api del 2013 costituirebbero prove solide della complessità e del carattere sensibile del processo decisionale di cui trattasi, il quale dovrebbe essere tutelato. In terzo luogo, la Commissione sarebbe stata, e sarebbe tuttora, oggetto di pressioni esterne provenienti da diverse parti interessate portatrici di interessi contraddittori, cosicché la divulgazione dei documenti richiesti esporrebbe un processo decisionale lungo e complesso a maggiori pressioni esterne. La divulgazione dei documenti richiesti ridurrebbe il margine di manovra e la flessibilità degli Stati membri, che dovrebbero essere liberi di esplorare, senza pressioni esterne, tutte le opzioni in seno ai comitati permanenti.

64      Prima di esaminare gli argomenti della ricorrente diretti a contestare tali motivi dedotti dalla Commissione nelle decisioni impugnate, occorre, preliminarmente, esaminare la ricevibilità di detti argomenti, contestata dalla Commissione in quanto costituirebbero un motivo nuovo.

a)      Sulla ricevibilità degli argomenti della ricorrente

65      La ricorrente, nella replica, afferma di confermare che le decisioni impugnate violerebbero anche il primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, e ciò senza modificare la sua argomentazione, se non per «sostituire “secondo comma” con “primo comma”», poiché il diritto applicabile sarebbe lo stesso. In ogni caso, la ricorrente avrebbe fatto espressamente riferimento a tale primo comma nell’adattamento del ricorso nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20. Tale argomentazione non costituirebbe pertanto un «motivo nuovo», poiché il ragionamento esposto è esattamente lo stesso e la ricorrente vi avrebbe già fatto riferimento. Inoltre, basandosi sulla giurisprudenza relativa all’ampliamento dei motivi, la ricorrente sostiene che, nel caso di specie, i due commi costituirebbero «complementi necessari alle condizioni di divulgazione dei documenti (…) per quanto riguarda la necessità di tutelare il processo decisionale» e che il senso del suo argomento, nel ricorso e nella replica depositati in ciascuna delle cause riunite, sarebbe lo stesso. La ricorrente conclude che il primo motivo non sarebbe quindi irricevibile in quanto verte sul primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

66      La Commissione, nella controreplica, per quanto riguarda la possibilità per la ricorrente di precisare la portata del primo motivo, osserva preliminarmente che la tesi della ricorrente si fonderebbe sull’erronea premessa secondo cui il primo e il secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 riguarderebbero una sola ed unica eccezione, mentre riguarderebbero invece due eccezioni distinte che si applicano in modo alternativo. In tale contesto, da un lato, la Commissione sostiene che la ricorrente ha confermato che intendeva dedurre una violazione del secondo comma di detta disposizione, e invocare tale comma non era quindi un errore materiale. Per contro, sarebbe la menzione del primo comma di detta disposizione (una volta nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e una volta nel ricorso nella causa T‑554/20) a costituire un errore materiale, in quanto non vi sarebbe alcun argomento autonomo al riguardo, tanto più che le due eccezioni si applicherebbero alternativamente. Se la ricorrente avesse inteso sviluppare un ragionamento sussidiario o cumulativo vertente sul primo comma, essa avrebbe dovuto indicarlo chiaramente nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 o nel ricorso nella causa T‑554/20; essa non può operare un simile ampliamento retroattivamente. D’altro lato, la Commissione sostiene che la ricorrente non può invocare nella replica argomenti vertenti sul primo comma in quanto sarebbero strettamente connessi a quelli dedotti nel ricorso, poiché le due eccezioni sono distinte e tutelano due interessi diversi. Il fatto che i documenti possano rientrare nelle due eccezioni non inciderebbe in alcun modo sulla valutazione che la Commissione deve effettuare, la quale differisce a seconda che l’interesse tutelato sia un processo decisionale in corso o concluso. Peraltro, il fatto che la ricorrente avrebbe potuto basarsi sulla stessa argomentazione non sarebbe pertinente. La Commissione conclude quindi che la ricorrente, nella replica, avrebbe dedotto un motivo nuovo che sarebbe irricevibile.

67      Sotto un primo profilo, si deve respingere l’affermazione della ricorrente secondo cui l’argomento sviluppato in relazione al secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 potrebbe essere trasposto al primo comma della medesima disposizione, in quanto il diritto applicabile sarebbe lo stesso e l’argomento della ricorrente potrebbe quindi rimanere lo stesso sostituendo semplicemente alle parole «secondo comma» le parole «primo comma». Infatti, tale affermazione si basa su premesse erronee. Come risulta dal precedente punto 60, il ragionamento applicabile nell’ambito dell’una e dell’altra di tali eccezioni previste all’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 non è lo stesso, poiché queste due eccezioni mirano a tutelare due interessi diversi e sono soggette a condizioni di applicazione diverse. Inoltre, la ricorrente non può validamente sostenere di potersi basare su disposizioni diverse da quelle invocate adducendo che sarebbe sufficiente cambiare, nella sua argomentazione, il solo riferimento alle disposizioni di cui trattasi.

68      Sotto un secondo profilo, tuttavia, la ricorrente fa valere che, in ogni caso, negli atti introduttivi del giudizio, essa avrebbe dedotto una violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 e che, di conseguenza, nella replica, essa potrebbe operare un ampliamento dell’argomentazione sviluppata a sostegno di tale deduzione.

69      A tal riguardo, da un lato, è sufficiente ricordare che, effettivamente, come risulta peraltro dai precedenti punti da 44 a 46, nella memoria di adattamento del ricorso nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, nell’ambito del primo motivo, la ricorrente si è espressamente avvalsa della violazione dell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, indicando che «la ricorrente rit[eneva] che l’interpretazione e l’utilizzo da parte della Commissione dell’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento (…) n. 1049/2001 non [fosse] giustificata».

70      Inoltre, coerentemente con la suddetta deduzione, nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, nell’argomentazione sviluppata nell’ambito del primo motivo, la ricorrente ha ricordato espressamente «il motivo addotto dalla Commissione per negare l’accesso ai documenti, ossia “tutelare il processo decisionale in corso”».

71      Analogamente, nella parte introduttiva sia della memoria di adattamento nella causa T‑371/20 sia del ricorso nella causa T‑554/20, la ricorrente ha ricordato che ciascuna delle decisioni impugnate era «basata sull’eccezione di cui al primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3 (tutela del processo decisionale in corso) del regolamento n. 1049/2001».

72      Peraltro, nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, nell’ambito del terzo motivo di ricorso, la ricorrente ha dedotto la violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, in relazione all’eccezione prevista al primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001.

73      Dal tenore del primo motivo, al pari dei ricorsi nel loro insieme, deriva quindi che l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 è stato espressamente invocato dalla ricorrente nell’ambito dei rilievi afferenti al primo motivo dei ricorsi. L’argomento della Commissione secondo cui tali menzioni sarebbero errori redazionali della ricorrente non può quindi essere accolto.

74      Se è certamente deplorevole che, nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, nell’ambito del primo motivo, la ricorrente abbia invocato indistintamente disposizioni aventi portata diversa, come il primo e il secondo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, resta il fatto che l’invocazione della violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 risulta sia dalla memoria di adattamento nella causa T‑371/20 sia dal ricorso nella causa T‑554/20.

75      D’altro lato, è certamente esatto che, oltre agli argomenti già ricordati al precedente punto 44, è solo nella replica che, in risposta alle censure della Commissione, la ricorrente ha maggiormente articolato tale invocazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, sviluppando un argomento diretto a suffragare ulteriormente la seconda parte del primo motivo.

76      Ai sensi dell’articolo 84, paragrafo 1, del regolamento di procedura, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento. Tuttavia, deve essere dichiarato ricevibile un motivo che costituisce l’ampliamento di un motivo enunciato precedentemente, direttamente o implicitamente, nel ricorso, e che presenta uno stretto legame con questo. Peraltro, gli argomenti la cui sostanza presenta uno stretto legame con un motivo enunciato nel ricorso non possono essere considerati motivi nuovi e la loro presentazione è consentita nella fase della replica o dell’udienza (sentenza dell’8 novembre 2018, “Pro NGO!”/Commissione, T‑454/17, EU:T:2018:755, punto 70).

77      Orbene, nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’argomentazione sviluppata dalla ricorrente nella replica non costituisce un motivo nuovo, ma presenta uno stretto legame con l’invocazione della violazione del primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 che era già contenuta nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20.

78      Infatti, nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20, la ricorrente ha fatto valere che l’applicazione del primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001 «non [era] giustificata». Peraltro, in detti atti, la ricorrente ha aggiunto, certamente in modo generico, che «la Commissione [aveva] omesso di spiegare come l’accesso ai documenti richiesti avrebbe arrecato un pregiudizio specifico ed effettivo al processo decisionale». Nella replica, la ricorrente ha spiegato perché, a suo avviso, la Commissione «non [aveva] dimostrato che l’autorizzazione alla divulgazione dei documenti richiesti avrebbe fatto correre un rischio concreto ed effettivo al processo decisionale in corso» e, più precisamente, perché i motivi addotti nelle decisioni impugnate non dimostravano «in modo adeguato che l’autorizzazione alla divulgazione dei documenti avrebbe fatto correre un rischio concreto, effettivo e serio al processo decisionale in corso». Gli argomenti esposti nella replica in ciascuna causa mirano quindi a sviluppare direttamente la censura contenuta negli atti introduttivi riguardanti la mancanza di una giustificazione adeguata che consenta di applicare l’eccezione prevista all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

79      Di conseguenza, poiché, nel caso di specie, gli argomenti addotti nella replica in ciascuna causa riguardanti la violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 costituiscono un ampliamento del motivo enunciato nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20 vertente su questa stessa disposizione, essi devono essere considerati ricevibili.

80      Peraltro, in aggiunta, si deve rilevare che tali argomenti, poiché vertono sui motivi dedotti nelle decisioni impugnate, coincidono, in sostanza, con gli argomenti sviluppati – certo in modo talvolta deplorevolmente impreciso quanto alle disposizioni la cui violazione era invocata – nella memoria di adattamento nella causa T‑371/20 e nel ricorso nella causa T‑554/20 in relazione al contenuto concreto delle decisioni impugnate (v. punti 31 e 74 supra).

81      Occorre quindi esaminare gli argomenti addotti dalla ricorrente nella replica al fine di rimettere in discussione i motivi ricordati al precedente punto 63 dedotti dalla Commissione nelle decisioni impugnate.

b)      Sulla fondatezza degli argomenti della ricorrente

82      La ricorrente sostiene, da un lato, che il regolamento interno tipo per i comitati (GU 2011, C 206, pag. 11; in prosieguo: il «regolamento interno tipo») non può prevalere sul regolamento n. 1049/2001 e, dall’altro, che la Commissione non ha spiegato in che modo la divulgazione dei documenti richiesti avrebbe fatto correre un rischio concreto ed effettivo al processo decisionale in corso. In primo luogo, la Commissione non dimostrerebbe in che modo l’impatto sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri e la Commissione pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale. Il fatto che il documento di orientamento sulle api del 2013 sia discusso da più di sette anni o sia in corso di revisione sarebbe irrilevante al riguardo. In secondo luogo, neppure le pressioni esterne invocate dalla Commissione proverebbero che la divulgazione pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale. Tali pressioni non dovrebbero neppure essere prese in considerazione, poiché non sarebbero la conseguenza diretta della divulgazione dei documenti e spetterebbe alle istituzioni adottare le misure necessarie per evitarle. Nel caso di specie, la Commissione non solo non avrebbe dimostrato l’effettività delle asserite pressioni, ma non avrebbe spiegato per quali ragioni tali pressioni farebbero correre un «serio rischio» al processo decisionale. In terzo luogo, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di un rischio specifico per ciascuno dei documenti richiesti.

83      La Commissione sostiene che gli argomenti della ricorrente sono infondati. Da un lato, la ricorrente disattenderebbe il contesto normativo pertinente, in particolare il regolamento interno tipo. Dall’altro, la ricorrente sembrerebbe contestare per la prima volta, e in modo incoerente rispetto alla sua precedente argomentazione, il fatto che la Commissione avrebbe subito pressioni esterne. Gli elementi comprovanti l’esistenza del rischio per il processo decisionale non dovrebbero essere considerati separatamente, bensì come facenti parte di un insieme di indizi concordanti. Peraltro, la Commissione precisa che essa non avrebbe applicato una presunzione generale, ma valutato in modo specifico il contenuto di tutti i documenti richiesti.

84      Anzitutto, occorre respingere in quanto infondati gli argomenti della ricorrente in quanto potrebbero essere intesi nel senso che essi fanno valere un difetto di motivazione o una motivazione insufficiente delle decisioni impugnate. Infatti, come risulta dal precedente punto 63, le decisioni impugnate menzionano i motivi che hanno indotto la Commissione a negare l’accesso ai documenti richiesti. Per contro, la questione se i motivi dedotti dalla Commissione consentano di giustificare validamente un siffatto diniego rientra nella fondatezza delle decisioni impugnate, e non in un difetto di motivazione o una motivazione insufficiente delle stesse. Occorre quindi proseguire con l’esame di detti motivi.

1)      Sulla posizione individuale degli Stati membri nelle procedure di comitatologia

85      Nelle decisioni impugnate, la Commissione ha indicato che le procedure di comitatologia preservano la riservatezza delle posizioni individuali degli Stati membri e che ciò si riflette in talune disposizioni del regolamento interno tipo, adottato dalla Commissione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 182/2001, disposizioni che, secondo la Commissione, «escludono espressamente le posizioni individuali degli Stati membri dall’accesso del pubblico».

86      La ricorrente sostiene che il regolamento interno tipo non può prevalere sul regolamento n. 1049/2001.

87      La Commissione replica che la ricorrente omette di prendere in considerazione il contesto normativo pertinente.

88      In via preliminare, occorre rilevare che la presente controversia verte non già, in via generale, sulle norme che disciplinano i lavori dei comitati di comitatologia né sull’accesso diretto a tali lavori, bensì unicamente sull’accesso, a seguito di una domanda di accesso presentata ai sensi del regolamento n. 1049/2001 dalla ricorrente, a taluni documenti scambiati in seno allo Scopaff nell’ambito dell’esame del documento di orientamento sulle api del 2013, e tali documenti sono messaggi di posta elettronica contenenti, in sostanza, la posizione individuale di taluni Stati membri in merito al documento di orientamento o su un progetto di modifica dei principi uniformi volti alla sua attuazione (v. punti 5, 11 e 14 supra).

89      In primo luogo, nel caso di specie, si deve osservare che, nelle decisioni impugnate, a sostegno della tesi secondo cui la posizione individuale degli Stati membri dovrebbe essere tutelata nelle procedure di comitatologia e dovrebbe quindi essere esclusa dall’accesso del pubblico, la Commissione si è basata esclusivamente sul contenuto di due disposizioni del regolamento interno tipo, vale a dire l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 13, paragrafo 2, dello stesso; la prima di dette disposizioni stabilisce che il «resoconto sommario non menziona la posizione individuale degli Stati membri durante le deliberazioni del comitato» e la seconda che le «deliberazioni del comitato sono riservate»

90      In altri termini, nelle decisioni impugnate, la Commissione non si è basata né su disposizioni del regolamento n. 1049/2001, o addirittura del regolamento n. 182/2011, né sul contenuto di un regolamento interno di cui lo Scopaff si sarebbe effettivamente dotato.

91      Peraltro, a quest’ultimo riguardo, interrogata nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, alla questione se lo Scopaff si fosse dotato di un regolamento interno, la Commissione, nella sua risposta depositata presso la cancelleria del Tribunale il 15 marzo 2022, ha indicato che tale comitato non si era dotato di un regolamento interno, ma organizzava i propri lavori conformemente al regolamento interno tipo. Tuttavia, la Commissione non ha prodotto alcun elemento di prova a sostegno di quest’ultima indicazione. Interrogata in udienza in merito al fondamento di tale approccio dello Scopaff, la Commissione non ha evocato un fondamento particolare, bensì ha indicato, in sostanza, che lo Scopaff, non avendo ripreso le norme del regolamento interno tipo in un regolamento interno, vi si riferiva «per prassi» al fine di organizzare i propri lavori.

92      È dunque giocoforza constatare che, a differenza della situazione presa in considerazione dal Tribunale al punto 86 della sentenza del 28 maggio 2020, ViaSat/Commissione (T‑649/17, non pubblicata, EU:T:2020:235), relativa a talune attività di un altro comitato di comitatologia, nel caso di specie, nessun elemento agli atti consente di ritenere che lo Scopaff si sia dotato di norme interne corrispondenti alle disposizioni del regolamento interno tipo invocate dalla Commissione nelle decisioni impugnate e che sottolineerebbero l’importanza che tale comitato attribuirebbe alla riservatezza di talune informazioni scambiate al suo interno e delle sue deliberazioni.

93      In secondo luogo, in ogni caso, anche supponendo che lo Scopaff abbia adottato o segua «per prassi» le norme del regolamento interno tipo, ivi comprese le disposizioni invocate dalla Commissione nelle decisioni impugnate, una simile circostanza non consentirebbe di ritenere che tali disposizioni, quand’anche dovessero essere interpretate nel senso che sottolineerebbero la riservatezza delle deliberazioni dello Scopaff e delle posizioni espresse dagli Stati membri in tale contesto, possano escludere, per principio, taluni documenti dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001.

94      Infatti, occorre rilevare che il considerando 19 del regolamento n. 182/2011 precisa che occorre garantire l’accesso del pubblico alle informazioni relative ai lavori dei comitati, conformemente al regolamento n. 1049/2001. A tal fine, l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 182/2011 stabilisce che i principi e le condizioni di accesso del pubblico ai documenti applicabili alla Commissione si applicano ai comitati (una disposizione identica era del resto contenuta nell’articolo 7, paragrafo 2, della decisione 1999/468). Il regolamento n. 182/2011 ricorda infatti che i comitati sono soggetti alle stesse norme della Commissione per quanto riguarda l’accesso del pubblico ai documenti, vale a dire quelle del regolamento n. 1049/2001, e non contiene regole specifiche relative all’accesso del pubblico ai documenti riguardanti i lavori dei comitati.

95      È vero che l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 182/2011 prevede che ciascun comitato adotti il proprio regolamento interno sulla base del regolamento interno tipo, elaborato dalla Commissione, previa consultazione degli Stati membri, e pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

96      Tuttavia, le disposizioni del regolamento interno di un comitato, o addirittura quelle del regolamento interno tipo, a prescindere dal fatto che siano state o meno riprese dal comitato nel suo regolamento interno, non possono consentire di concedere, in risposta a una domanda di accesso del pubblico, una tutela ai documenti che vada al di là di quanto previsto dal regolamento n. 1049/2001.

97      Pertanto, le disposizioni del regolamento interno tipo invocate dalla Commissione nelle decisioni impugnate non possono consentire di tutelare le posizioni individuali espresse dagli Stati membri al di là di quanto previsto dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 (v., per analogia, sentenza del 18 dicembre 2008, Muñiz/Commissione, T‑144/05, non pubblicata, EU:T:2008:596, punto 92).

98      Inoltre, dalla giurisprudenza emerge che la normativa dell’Unione in materia di accesso ai documenti non può giustificare che un’istituzione rifiuti, in linea di principio, l’accesso ai documenti relativi alle sue deliberazioni per il fatto che essi contengono informazioni relative alla posizione assunta dai rappresentanti degli Stati membri [v., in tal senso, sentenza del 10 ottobre 2001, British American Tobacco International (Investments)/Commissione, T‑111/00, EU:T:2001:250, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

99      Ne consegue che, per quanto riguarda l’accesso del pubblico ai documenti inerenti ai lavori dei comitati di comitatologia, la Commissione non può ritenere che il contesto normativo pertinente escluda, per principio, l’accesso del pubblico alle posizioni individuali degli Stati membri.

100    In terzo luogo, in aggiunta, occorre osservare che le disposizioni del regolamento interno tipo invocate dalla Commissione nelle decisioni impugnate non possono essere interpretate nel senso che esse escluderebbero l’accesso del pubblico, su richiesta, alle posizioni individuali degli Stati membri.

101    Sotto un primo profilo, l’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento interno tipo verte sul contenuto del «resoconto sommario» dei lavori dei comitati. Orbene, come risulta dall’articolo 10, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 182/2011, il resoconto sommario è uno dei documenti che fanno parte del registro dei lavori dei comitati tenuto dalla Commissione in forza di quest’ultima disposizione, documenti i cui riferimenti sono pubblicati in detto registro, conformemente al paragrafo 5 della medesima disposizione. L’articolo 10 del regolamento interno tipo aggiunge, certamente, al suo paragrafo 2, che, se il resoconto sommario descrive i punti dell’ordine del giorno e i risultati dei voti, esso «non menziona la posizione individuale degli Stati membri nel corso delle deliberazioni». Tuttavia, quest’ultima disposizione non riguarda l’accesso del pubblico ai documenti dei comitati, bensì il contenuto del registro dei lavori dei comitati, in particolare il contenuto di uno dei documenti che lo compongono, il resoconto sommario. Orbene, la circostanza che il resoconto sommario non menzioni la posizione individuale degli Stati membri è priva di incidenza in materia di accesso ai documenti e non può quindi pregiudicare l’accesso del pubblico, su richiesta, a documenti che riportano tali posizioni individuali. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione in udienza, detta disposizione non può essere interpretata nel senso che la posizione individuale degli Stati membri non dovrebbe essere registrata in alcun documento, poiché detta disposizione riguarda unicamente il contenuto del resoconto sommario.

102    Peraltro, nella misura in cui, dinanzi al Tribunale, la Commissione si è altresì basata sull’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 182/2011 al fine di sostenere che la posizione individuale degli Stati membri dovrebbe essere tutelata, poiché solo i risultati dei voti figurerebbero nel registro dei lavori dei comitati, un argomento del genere deve anch’esso essere respinto secondo la stessa logica. Infatti, detta disposizione riguarda unicamente il contenuto del registro dei lavori del comitato, e non l’accesso del pubblico ai documenti, il quale, come risulta dall’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 182/2011, può avvenire conformemente al regolamento n. 1049/2001.

103    Sotto un secondo profilo, l’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento interno tipo indica che «[l]e deliberazioni del comitato hanno carattere riservato».

104    Tuttavia, da un lato, tale disposizione si limita ad evocare il carattere riservato delle «deliberazioni del comitato», e non dell’intera procedura al termine della quale i membri del comitato deliberano (v., per analogia, sentenza del 13 luglio 2017, Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione, C‑60/15 P, EU:C:2017:540, punto 81). D’altro lato, senza che occorra definire la nozione di «deliberazioni del comitato» ai sensi di detta disposizione, è sufficiente rilevare che la portata di tale disposizione appare relativizzata dall’insieme dell’articolo 13 del regolamento interno tipo. Infatti, il suo paragrafo 1 indica che le domande di accesso ai documenti del comitato sono trattate dalla Commissione conformemente al regolamento n. 1049/2001 e al suo paragrafo 3 aggiunge che «[i] documenti trasmessi ai membri del comitato, agli esperti e ai rappresentanti di terzi hanno carattere riservato (…), a meno che l’accesso a tali documenti sia concesso conformemente al paragrafo 1, o non siano peraltro pubblicati dalla Commissione».

105    Così, l’articolo 13, paragrafi 1 e 3, del regolamento interno tipo prevede la possibilità che, conformemente al regolamento n. 1049/2001, l’accesso sia concesso in particolare ai documenti trasmessi da un membro del comitato agli altri membri del comitato e che, in tal caso, tali documenti non abbiano carattere riservato o perdano quest’ultimo. Orbene, tali disposizioni non escludono affatto documenti, quali messaggi di posta elettronica, contenenti le osservazioni o proposte di un membro del comitato su un progetto di misura, salvo ridurre indebitamente la portata di detto paragrafo 3 in materia di accesso ai documenti.

106    Peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione in udienza, nulla comproverebbe l’interpretazione secondo cui, tenuto conto dell’asserita riservatezza derivante dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento interno tipo, le deliberazioni di un comitato sarebbero per principio sensibili.

107    Da quanto precede risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nelle decisioni impugnate, le procedure di comitatologia, e in particolare il regolamento interno tipo, non impongono di per sé di rifiutare l’accesso a documenti che illustrano la posizione individuale degli Stati membri in seno allo Scopaff, al fine di tutelare il processo decisionale di tale comitato, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, il che non impedisce in alcun modo alla Commissione, in casi debitamente giustificati, di negare l’accesso a documenti relativi alle posizioni individuali degli Stati membri in seno a tale comitato, qualora la loro divulgazione possa arrecare un pregiudizio concreto agli interessi tutelati dalle eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001.

2)      Sulla cooperazione e la fiducia reciproca nonché sulla complessità e la sensibilità del processo decisionale

108    Nelle decisioni impugnate, la Commissione ha indicato che la divulgazione della posizione individuale degli Stati membri, espressa in un contesto di riservatezza, avrebbe inciso negativamente sulla loro cooperazione «nelle procedure di comitatologia» e inciderebbe sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri e la Commissione. La Commissione ha aggiunto, in sostanza, che il fatto che il documento di orientamento sulle api del 2013 fosse stato oggetto di discussioni da più di sei anni, il fatto che non fosse stato raggiunto un accordo tra gli Stati membri durante tale periodo e il fatto che detto documento d’orientamento fosse oggetto di una revisione costituivano una prova solida della complessità e della sensibilità del processo decisionale che doveva essere tutelato nel caso di specie. Inoltre, nella seconda decisione impugnata, la Commissione ha evocato il carattere politicamente sensibile del documento di orientamento sulle api del 2013, il che sarebbe stato dimostrato dalla durata delle discussioni al riguardo.

109    La ricorrente fa valere che la Commissione non avrebbe spiegato in che modo l’impatto sulla fiducia reciproca pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale e che le circostanze invocate nelle decisioni impugnate sarebbero irrilevanti, mentre sarebbe piuttosto l’assenza di trasparenza ad ostacolare il processo decisionale.

110    La Commissione replica, in sostanza, che gli elementi dedotti nelle decisioni impugnate devono essere considerati non individualmente, bensì nel loro insieme.

111    In primo luogo, nei limiti in cui, nelle decisioni impugnate, la Commissione ha menzionato la necessità di tutelare la cooperazione tra gli Stati membri, è sufficiente rilevare che, a tal riguardo, la Commissione si è basata su una motivazione di ordine astratto, vertente sul mantenimento di tale cooperazione nelle procedure di comitatologia in generale. Parimenti, nei limiti in cui, nelle decisioni impugnate, la Commissione ha evocato la necessità di tutelare la fiducia reciproca tra la Commissione e gli Stati membri, poiché le posizioni individuali di questi ultimi si sarebbero scambiate in «un contesto di riservatezza», è giocoforza constatare che la Commissione si è parimenti basata su una motivazione di ordine generale. Tali giustificazioni si basano sulla premessa secondo cui le procedure di comitatologia tutelerebbero, rispetto ad una domanda di accesso ai documenti, la riservatezza delle posizioni individuali degli Stati membri espresse in seno ai comitati, premessa che, tuttavia, è già stata respinta al precedente punto 107. Si tratta quindi di giustificazioni che non presentano alcun nesso concreto con le circostanze specifiche del processo decisionale di cui trattasi nella presente causa.

112    Di conseguenza, come rilevato dalla ricorrente, le spiegazioni contenute nelle decisioni impugnate non sono idonee a dimostrare come la cooperazione e la fiducia reciproca nel processo decisionale di cui trattasi sarebbero pregiudicate in caso di divulgazione dei documenti richiesti.

113    Del resto, occorre ricordare che gli Stati membri sono tenuti ad un obbligo di leale cooperazione tra loro e con le istituzioni dell’Unione in forza dell’articolo 4 TUE, cosicché la divulgazione dei documenti richiesti non può, in ogni caso, far temere l’inosservanza di un siffatto obbligo e l’indebolimento dei doveri degli Stati membri al riguardo.

114    In secondo luogo, nei limiti in cui, nelle decisioni impugnate, la Commissione si è basata su talune circostanze di fatto per sostenere che il processo decisionale da tutelare nel caso di specie sarebbe complesso e sensibile, o addirittura che il documento di orientamento sulle api del 2013 sarebbe politicamente sensibile, occorre osservare che la Commissione non ha fatto riferimento al contenuto dei documenti richiesti, bensì, in via generale, al processo decisionale in questione nel suo insieme, o al documento di orientamento sulle api del 2013.

115    A tal riguardo, anzitutto, occorre rilevare che, nelle decisioni impugnate, la Commissione non ha quindi sostenuto, né a fortiori dimostrato, che i documenti richiesti avrebbero un carattere sensibile o che si tratterebbe di documenti sensibili ai sensi dell’articolo 9 del regolamento n. 1049/2001, disposizione che non è affatto in discussione nel caso di specie. Inoltre, la Commissione non ha neppure fatto valere che un qualsiasi Stato membro le avrebbe chiesto, conformemente all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001, di non divulgare, senza il suo consenso, la sua posizione sul documento di orientamento sulle api del 2013.

116    Va poi notato che la giurisprudenza dimostra che l’asserita complessità del processo decisionale non costituisce di per sé un motivo particolare per temere che la divulgazione dei documenti richiesti possa pregiudicare gravemente tale processo (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 7 giugno 2011, Toland/Parlamento, T‑471/08, EU:T:2011:252, punto 81). Del pari, la circostanza che un soggetto sia sensibile non può neppure costituire in sé una ragione oggettiva sufficiente per temere un pregiudizio grave al processo decisionale in caso di divulgazione dei documenti richiesti (v., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2011, Toland/Parlamento, T‑471/08, EU:T:2011:252, punto 80, e del 20 settembre 2016, PAN Europe/Commissione, T‑51/15, non pubblicata, EU:T:2016:519, punto 34). Infatti, un argomento asseritamente sensibile non può essere confuso con un documento sensibile (sentenza del 21 aprile 2021, Pech/Consiglio, T‑252/19, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2021:203, punto 57).

117    Così il Tribunale ha già statuito che la complessità delle discussioni, le eventuali divergenze di opinione tra i partecipanti o la natura sensibile di un dibattito non consentono di giustificare, in quanto tali, l’applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2021, Pech/Consiglio, T‑252/19, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2021:203, punto 56).

118    Infine, occorre rilevare che le circostanze invocate dalla Commissione nelle decisioni impugnate non consentono di temere un grave pregiudizio al processo decisionale in caso di divulgazione dei documenti richiesti.

119    Sotto un primo profilo, il fatto che il documento di orientamento sulle api del 2013 sia stato oggetto di discussioni per diversi anni e il fatto che, durante tale periodo, non sia stato raggiunto un accordo tra gli Stati membri non corroborano l’esigenza di tutela dei documenti richiesti invocata dalla Commissione, bensì, al contrario, nelle circostanze del caso di specie, tendono a contraddirla. Infatti, il processo decisionale in questione non è sfociato nell’adozione del documento di orientamento sulle api del 2013, mentre è pacifico che tale processo si è svolto senza che il pubblico abbia avuto accesso alla posizione individuale degli Stati membri al riguardo. Pertanto, da un lato, il mancato compimento del processo non presenta alcun nesso con una qualsivoglia forma di informazione o di trasparenza nei confronti del pubblico e, dall’altro, non è dimostrato che il mancato accesso ai documenti richiesti consenta a tale processo di giungere a compimento. La divulgazione di tali documenti non risulta quindi idonea ad arrecare un qualsiasi pregiudizio al processo decisionale di cui trattasi.

120    Sotto un secondo profilo, neppure il fatto che il documento di orientamento sulle api del 2013 sia oggetto di una revisione da parte dell’EFSA corrobora l’esigenza di tutela invocata dalla Commissione. Infatti, la divulgazione dei documenti richiesti non ha alcun impatto su detta revisione, effettuata dall’EFSA, e non dalla Commissione.

121    Da quanto precede deriva che il motivo invocato nelle decisioni impugnate vertente sulla cooperazione e sulla fiducia reciproca nonché sulla complessità e la sensibilità del processo decisionale non è idoneo a dimostrare, nelle circostanze delle presenti cause, un rischio di grave pregiudizio al processo decisionale di cui trattasi.

3)      Sulle pressioni esterne, sul margine di manovra e sulla flessibilità

122    Nelle decisioni impugnate, la Commissione ha indicato che essa era stata, ed era sempre, oggetto di pressioni esterne da parte di diverse parti interessate, che rappresentavano talvolta interessi divergenti. Essa ha aggiunto che gli Stati membri e la Commissione stessa devono essere liberi di esplorare tutte le opzioni nei «comitati permanenti» ed essere liberi da pressioni esterne. La divulgazione dei documenti richiesti esporrebbe un processo decisionale lungo e difficile a maggiori pressioni esterne. Pertanto, ad avviso della Commissione, la divulgazione dei documenti richiesti ridurrebbe il margine di manovra degli Stati membri ai voti nonché la loro flessibilità, pregiudicando seriamente il processo decisionale che riprenderà in seno alla Commissione.

123    La ricorrente fa valere che le pressioni esterne non dovrebbero essere prese in considerazione e che, in ogni caso, esse non sarebbero la conseguenza della divulgazione dei documenti richiesti.

124    La Commissione replica che la ricorrente stessa ha ammesso l’esistenza di tali pressioni.

125    In primo luogo, per quanto riguarda le pressioni esterne invocate nelle decisioni impugnate, dalla giurisprudenza risulta che la tutela del processo decisionale contro una pressione esterna mirata può essere idonea a costituire un motivo legittimo per limitare l’accesso a documenti relativi a tale processo decisionale. Nondimeno, l’effettività di tale pressione esterna deve essere stabilita con certezza e deve essere dimostrato che il rischio di incidere sostanzialmente sul processo decisionale in corso era ragionevolmente prevedibile, a causa di tale pressione esterna (v., in tal senso, sentenza del 18 dicembre 2008, Muñiz/Commissione, T‑144/05, non pubblicata, EU:T:2008:596, punto 86).

126    Orbene, è giocoforza constatare che, nelle decisioni impugnate, il motivo legato all’esistenza di pressioni esterne è stato dedotto dalla Commissione in modo generico e vago.

127    Anzitutto, sebbene la Commissione abbia indicato di essere stata, ed era ancora, oggetto di pressioni esterne da parte di diversi soggetti interessati, occorre rilevare che tali pressioni sono state semplicemente asserite, e la loro effettività non è stata dimostrata nelle decisioni impugnate. Peraltro, la Commissione ha menzionato siffatte pressioni in modo così astratto («[l] a Commissione è stata, ed è ancora, oggetto di pressioni esterne da parte di varie parti interessate, che rappresentano talvolta interessi divergenti») che una siffatta giustificazione potrebbe essere impiegata per qualsiasi processo decisionale in qualsiasi settore.

128    Certamente, come fa valere la Commissione, nella memoria di adattamento del ricorso nella causa T‑371/20, la ricorrente ha affermato che «riconosce[va] che, in tale processo, la Commissione [era] stata oggetto di pressioni esterne». Tuttavia, oltre al fatto che il controllo di legittimità del Tribunale verte sulle decisioni impugnate e che una siffatta enunciazione della ricorrente non può quindi supplire alla mancanza di indicazioni contenute nelle decisioni impugnate, tale enunciazione è vaga e generica come quella della Commissione. Infatti, sebbene la ricorrente si riferisca a «tale processo», essa non precisa neppure le pressioni esterne di cui si tratterebbe, cosicché non si può concludere che l’«effettività» di dette pressioni sia stata stabilita «con certezza» ai sensi della giurisprudenza richiamata al precedente punto 125.

129    In ogni caso, poi, come sottolineato, in sostanza, dalla ricorrente, la giustificazione addotta nelle decisioni impugnate riguarda unicamente pressioni esterne di cui la stessa Commissione sarebbe stata oggetto. Per contro, le decisioni impugnate non fanno riferimento ad alcuna pressione esterna subita dagli Stati membri. Inoltre, le decisioni impugnate non forniscono alcun elemento che consenta di stabilire un nesso tra le pressioni esterne subite dalla Commissione, anche supponendole accertate, e il pregiudizio che deriverebbe dalla divulgazione dei documenti richiesti, che vertono sulle posizioni individuali degli Stati membri.

130    Peraltro, occorre ricordare che, nelle decisioni impugnate, la Commissione non ha sostenuto che il mancato compimento del processo decisionale sarebbe la conseguenza di pressioni esterne, ma ha indicato espressamente che era dovuto al disaccordo tra gli Stati membri, il che non presenta alcun nesso con le asserite pressioni subite dalla Commissione.

131    Infine, sebbene la Commissione abbia indicato che gli Stati membri ed essa stessa dovevano essere liberi da pressioni esterne per esplorare ogni opzione nei «comitati permanenti», è sufficiente osservare che essa non ha fatto riferimento al processo decisionale di cui trattasi in seno allo Scopaff, ma ha menzionato espressamente, in via generale, i «comitati permanenti» nel loro insieme.

132    In secondo luogo, per quanto riguarda il margine di manovra e la flessibilità fatti valere nelle decisioni impugnate, occorre anzitutto rilevare che la Commissione si è limitata a formulare affermazioni generiche, le quali non consentono di dimostrare che la divulgazione dei documenti richiesti comporterebbe una riduzione del margine di manovra o della flessibilità degli Stati membri in seno allo Scopaff.

133    Infatti, la Commissione non ha fatto riferimento ad alcun elemento concreto idoneo a dimostrare un qualsivoglia peggioramento della posizione degli Stati membri in caso di divulgazione dei documenti richiesti. Al contrario, come osservato al precedente punto 131, quando ha indicato che gli Stati membri dovevano poter esplorare tutte le opzioni, essa ha fatto riferimento non alla situazione in seno allo Scopaff nell’ambito del processo decisionale in questione, bensì, in via generale, alla loro posizione in seno ai «comitati permanenti».

134    Nei limiti in cui le decisioni impugnate dovrebbero poi essere intese come dirette a stabilire un nesso tra la riduzione del margine di manovra degli Stati membri e le pressioni esterne subite dalla Commissione, occorre ricordare che la Commissione non ha fornito alcun elemento che consenta di ritenere che dette pressioni subirebbero un impatto sulla posizione degli Stati membri e che, pertanto, la divulgazione dei documenti richiesti ridurrebbe il loro margine di manovra o la loro flessibilità.

135    Infine, occorre ricordare che dalla giurisprudenza emerge che la circostanza che il margine di manovra e la capacità di raggiungere un compromesso tra gli Stati membri sarebbero ridotte non può configurare un rischio sufficientemente grave e ragionevolmente prevedibile per giustificare l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2016, PAN Europe/Commissione, T‑51/15, non pubblicata, EU:T:2016:519, punto 36).

136    Da quanto precede deriva che il motivo invocato nelle decisioni impugnate vertente sulle pressioni esterne, sul margine di manovra e sulla flessibilità non è idoneo a dimostrare, nelle circostanze delle presenti cause, un rischio di grave pregiudizio al processo decisionale di cui trattasi.

137    Ne consegue che i motivi dedotti dalla Commissione nelle decisioni impugnate non possono giustificare, nelle circostanze delle presenti cause, l’applicazione dell’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, anche supponendo, come menzionato al precedente punto 62, che tale disposizione sia applicabile nel caso di specie.

138    Occorre quindi accogliere altresì la seconda censura della seconda parte del primo motivo e, anche su tale fondamento, annullare le decisioni impugnate nella parte in cui negano l’accesso ai documenti richiesti sulla base dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

4.      Conclusioni sul primo motivo

139    Da tutto quanto precede risulta che, nelle decisioni impugnate, la Commissione ha violato l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 rifiutando la divulgazione dei documenti richiesti adducendo come motivazione che ne deriverebbe un grave pregiudizio al processo decisionale in corso.

140    Di conseguenza, non occorre esaminare la questione dell’esistenza di un interesse pubblico prevalente che giustifichi la divulgazione dei documenti richiesti tenuto conto del loro carattere legislativo e ambientale, questione sollevata nell’ambito del secondo e del terzo motivo.

141    Occorre invece esaminare il quarto motivo.

C.      Sul quarto motivo, vertente sull’erronea applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 1049/2001

142    La ricorrente fa valere che le decisioni impugnate non possono essere fondate sulla necessità di tutelare la vita privata e l’integrità dell’individuo per quanto riguarda i dati personali contenuti nei documenti richiesti, poiché, se informazioni del genere figurano in detti documenti, la Commissione dovrebbe anonimizzarli e divulgare le altre parti dei documenti.

143    La ricorrente aggiunge di non essere vincolata dal contenuto delle decisioni impugnate e sostiene che la Commissione avrebbe potuto divulgare i documenti richiesti dopo aver anonimizzato le informazioni sui dati personali: sebbene la Commissione abbia proceduto in tal senso per il documento n. 2 di cui alla prima decisione impugnata e per i documenti nn. 3, 10, 12 e 33 di cui alla seconda decisione impugnata, i restanti documenti non sono ancora stati pubblicati.

144    La Commissione replica che il quarto motivo sarebbe errato sul piano fattuale e inoperante.

145    In via preliminare, occorre ricordare che nelle decisioni impugnate la Commissione ha concesso l’accesso parziale, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 1049/2001, a taluni documenti richiesti, vale a dire il documento n. 2 nella prima decisione impugnata e i documenti nn. 3, 10, 12 e 33 nella seconda decisione impugnata (v. punti 9 e 14 supra). Pertanto, pur avendo concesso l’accesso a talune parti di detti documenti, la Commissione ha negato l’accesso ad altre parti di tali documenti. A tal fine, la Commissione si è basata sulle eccezioni volte a tutelare, da un lato, il processo decisionale in corso, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, e, dall’altro, la vita privata e l’integrità dell’individuo, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento. È in relazione a detti documenti ai quali la ricorrente ha avuto un accesso parziale che la Commissione, nelle decisioni impugnate, ha dunque applicato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, al fine di proteggere i dati personali di taluni individui.

146    Orbene, come risulta dall’argomentazione sviluppata dalla ricorrente in relazione al quarto motivo, e come essa ha confermato in udienza, con tale motivo essa non mira a sostenere che, per quanto riguarda i documenti ai quali essa ha avuto un accesso parziale, la Commissione avrebbe violato l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001, non concedendole l’accesso ai dati personali ai quali l’accesso le è stato negato in forza di detta disposizione. In altri termini, pur contestando le decisioni impugnate nella parte in cui hanno concesso un accesso parziale ad alcuni dei documenti richiesti, la ricorrente non chiede di avere accesso ai dati personali protetti dalla Commissione figuranti in tali documenti e, del resto, essa non ha addotto alcun argomento volto a rimettere in discussione l’applicazione di detta eccezione operata dalla Commissione al riguardo. Per contro, ciò che la ricorrente afferma, in sostanza, è che la Commissione avrebbe dovuto seguire lo stesso approccio per gli altri documenti richiesti, nel senso che essa avrebbe altresì dovuto concederle un accesso parziale a tali altri documenti limitandosi a proteggere i soli eventuali dati personali ivi contenuti. L’argomento della ricorrente mira dunque, in sostanza, a sostenere che la Commissione avrebbe applicato indebitamente l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

147    Date siffatte circostanze, come sostenuto dalla Commissione, è giocoforza constatare che il quarto motivo è inoperante, in quanto, da un lato, non può rimettere in discussione l’applicazione fatta dalla Commissione nel caso di specie dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001 e, dall’altro, l’applicazione di detta disposizione è priva di impatto su quella dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, di tale regolamento. Infatti, un’eventuale violazione della prima disposizione, quand’anche dimostrata, non può di per sé portare alla divulgazione dei documenti o delle parti di documenti richiesti ai quali è stato negato l’accesso in forza della seconda disposizione.

148    Il quarto motivo deve pertanto essere respinto.

149    Poiché la seconda parte del primo motivo è stata accolta nella sua prima censura (v. punti 61 e 62, supra) e nella sua seconda censura (v. punti 137 e 138 supra) e l’accoglimento di ciascuna di tali censure dovrebbe comportare, di per sé, l’annullamento delle decisioni impugnate, occorre annullare le decisioni stesse.

 Sulle spese

150    La ricorrente chiede che la Commissione sia condannata, in ciascuna delle presenti cause, a versarle un importo di EUR 3 000 a titolo di spese.

151    A tal riguardo, occorre ricordare che, nella decisione che conclude il procedimento, il Tribunale determina esclusivamente la ripartizione dell’onere delle spese tra le parti, senza pronunciarsi sul loro importo. In caso di contestazione, l’importo delle spese ripetibili può essere oggetto di un procedimento autonomo, disciplinato dalle disposizioni dell’articolo 170 del regolamento di procedura, distinto dalla decisione sulla ripartizione delle spese. Pertanto, si può procedere alla liquidazione delle spese solo a seguito della sentenza o dell’ordinanza che definisce il giudizio (sentenza del 6 febbraio 2019, Karp/Parlamento, T‑580/17, non pubblicata, EU:T:2019:62, punto 100).

152    Di conseguenza, occorre respingere in quanto irricevibile la parte del capo delle conclusioni della ricorrente relativo alle spese in cui essa chiede al Tribunale di fissare in EUR 3 000 l’importo che la Commissione dovrebbe versarle a titolo di spese in ciascuna delle presenti cause.

153    Resta nondimeno il fatto che la ricorrente chiede la condanna della Commissione alle spese.

154    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

155    La Commissione, rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata a sopportare le proprie spese nonché quelle della ricorrente, conformemente alla domanda di quest’ultima.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Le decisioni della Commissione europea C(2020) 4231 final, del 19 giugno 2020, e C(2020) 5120 final, del 21 luglio 2020, sono annullate, in quanto negano l’accesso ai documenti richiesti in base all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.

2)      La Commissione è condannata alle spese.

Marcoulli

Frimodt Nielsen

Schwarcz

Iliopoulos

 

      Norkus

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 settembre 2022.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.