Language of document : ECLI:EU:T:2022:442

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

13 luglio 2022 (*)

«Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Intese – Settore dell’illuminazione a LED – Programma di concessione di licenze di brevetto (Patent Licensing Program) – Decisione di rigetto di una denuncia – Articolo 7 del regolamento (CE) n. 773/2004 – Errore manifesto di valutazione – Obbligo di motivazione – Difetto di interesse dell’Unione – Probabilità di poter accertare l’esistenza di un’infrazione»

Nella causa T‑886/19,

Design Light & Led Made in Europe, con sede in Milano (Italia),

Design Luce & Led Made in Italy, con sede in Roma (Italia),

rappresentate da M. Maresca, D. Maresca e S. Pelleriti, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da B. Ernst, C. Sjödin e J. Szczodrowski, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Signify Holding BV, con sede in Eindhoven (Paesi Bassi), rappresentata da R. Snelders, R. Lepetska e N. Van Belle, avvocati,

interveniente,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto da V. Kreuschitz (relatore), facente funzione di presidente, G. Steinfatt e K. Kecsmár, giudici,

cancelliere: P. Nuñez Ruiz, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento, in particolare:

–        la lettera dell’interveniente con la quale essa ha rinunciato al deposito di una memoria d’intervento;

–        la decisione del presidente del Tribunale del 5 ottobre 2021 di riattribuire la causa a un nuovo giudice relatore, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, e la decisione, di pari data, del presidente di sezione di designare un altro giudice della sezione per integrare il collegio giudicante ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di procedura;

–        l’impedimento del presidente di sezione a partecipare al procedimento e la sua decisione del 22 aprile 2022 di designare un altro giudice della sezione per integrare il collegio giudicante ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento di procedura;

–        la designazione del giudice più anziano del collegio giudicante per esercitare le funzioni di presidente della sezione, conformemente all’articolo 20, in combinato disposto con l’articolo 8 di detto regolamento;

in seguito all’udienza del 26 aprile 2022, alla quale l’interveniente non ha partecipato,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il loro ricorso fondato sull’articolo 263 TFUE, la Design Light & Led Made in Europe e la Design Luce & Led Made in Italy, ricorrenti, chiedono l’annullamento della decisione C(2019) 7805 final della Commissione, del 25 ottobre 2019, recante rigetto della loro denuncia relativa a presunte violazioni degli articoli 101 o 102 TFUE da parte della Koninklijke Philips NV (caso AT.39913 – LED) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Fatti

 Sulle ricorrenti e sulla loro denuncia

2        Le ricorrenti sono, rispettivamente, consociazioni di cittadini europei o italiani di qualsiasi professione, esperti o appassionati di illuminotecnica, di design e di prodotti europei o italiani.

3        Il 1° agosto 2016 le ricorrenti hanno presentato una denuncia alla Commissione europea sul fondamento dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 TFUE e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1).

4        In tale denuncia esse sostenevano che la Koninklijke Philips (in prosieguo: la «Philips»), la quale aveva trasferito le sue attività nel settore dell’illuminazione nel febbraio 2016 a una società separata, la cui denominazione attuale è Signify NV, aveva commesso violazioni degli articoli 101 o 102 TFUE nel settore degli apparecchi di illuminazione a diodi a emissione luminosa (LED) e delle loro componenti in Europa.

5        In primo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 102 TFUE, le ricorrenti hanno affermato, da un lato, che il suo ampio portafoglio di brevetti relativi alla tecnologia LED e la sua quota di mercato conferivano alla Philips una posizione dominante e, dall’altro, che la Philips abusava di tale posizione attraverso una serie di pratiche riguardanti il suo programma di concessione di licenze di brevetto (Patent Licensing Program; in prosieguo: il «PLP»). In particolare, le ricorrenti hanno sostenuto che la Philips costringeva i fabbricanti di prodotti per illuminazione ad aderire al PLP utilizzando argomenti fuorvianti, facendo valere la violazione di brevetti che non erano validi o che erano prossimi alla scadenza e astenendosi dal formulare domande di accertamento di un’infrazione chiare e precise. Inoltre, la Philips avrebbe imposto condizioni eccessive nell’ambito degli accordi di licenza sottoscritti con tali fabbricanti, in particolare royalties basate sul valore del prodotto per illuminazione finito, aliquote di royalties che variavano tra licenziatari in base a criteri discriminatori e obblighi di informazione eccessivi, come quelli riguardanti informazioni sui consumatori e dati sulle vendite classificati per paese e per prodotto, ai quali la divisione della Philips che si occupa di illuminotecnica avrebbe potuto avere accesso. Le ricorrenti hanno ritenuto che tali clausole degli accordi di licenza avessero l’effetto di disincentivare i licenziatari dall’effettuare ricerca e sviluppo e che le royalties consentissero ai fabbricanti di aumentare i prezzi dei prodotti finiti a danno dei consumatori finali.

6        In secondo luogo, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 101 TFUE, le ricorrenti hanno affermato che la Philips aveva stipulato accordi restrittivi multilaterali con le società Osram e Zumtobel. Infatti, in forza del PLP, la Philips avrebbe rinunciato al proprio diritto all’ottenimento di royalities ove i licenziatari avessero acquistato le componenti di base presso fornitori cosiddetti «qualificati», vale a dire la Osram e la Zumtobel. Le ricorrenti hanno considerato che ciò limitasse la libertà di scelta dei licenziatari ed escludesse i fornitori concorrenti.

7        Con la decisione impugnata, la Commissione ha respinto la denuncia in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18).

 Decisione impugnata

 Probabilità di accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE

8        Nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che vi fosse una scarsa probabilità di accertare che la Philips avesse violato l’articolo 102 TFUE abusando di una posizione dominante su un mercato rilevante (punto 86 della decisione impugnata).

9        In primo luogo, per quanto riguarda il mercato del prodotto e il mercato geografico rilevanti, la Commissione ha ritenuto che le ricorrenti non avessero specificato tali mercati nella denuncia (punti 29 e 40 della decisione impugnata). Le loro affermazioni avrebbero riguardato tre mercati rilevanti, vale a dire il mercato della costruzione di apparecchi di illuminazione, il mercato delle componenti di apparecchi di illuminazione a LED, in particolare dei supporti e dei driver per LED (LED boards and drivers), e il mercato della tecnologia LED (punto 30 della decisione impugnata). La Commissione ha rilevato che, anche se le ricorrenti avevano sostenuto, nelle loro osservazioni scritte, che il mercato geografico rilevante comprendeva gli Stati membri dell’Unione europea, non risultava chiaramente se esse intendessero fare riferimento a diversi mercati nazionali o a un mercato a livello dell’Unione (punto 40 della decisione impugnata). In ogni caso, secondo la Commissione, ai fini della valutazione della denuncia, la definizione del mercato del prodotto e del mercato geografico rilevanti poteva essere lasciata aperta (punti 37, 39, 41 e 42 della decisione impugnata).

10      In secondo luogo, per quanto riguarda la presunta posizione dominante della Philips, la Commissione ha concluso, basandosi sulle informazioni disponibili, che, anche se l’esistenza di una siffatta posizione non poteva essere esclusa, vi erano scarse probabilità che la Philips detenesse una posizione dominante su uno o più mercati rilevanti proposti (punto 59 della decisione impugnata).

11      Infatti, quanto ai mercati della costruzione di apparecchi di illuminazione, la Commissione ha ricordato di aver esaminato tali mercati nell’ambito della sua decisione del 23 novembre 2011 nel caso M.6357 – Koninklijke Philips/Indal Group, secondo la quale la quota detenuta dalla Philips nel mercato degli apparecchi di illuminazione professionali non superava il 20% nello Spazio economico europeo (SEE) e il 40% negli Stati membri interessati. La Commissione ha rilevato, rinviando alla sua decisione del 29 gennaio 2007 nel caso M.4509 – Philips/PLI, che la Philips era entrata nel mercato degli apparecchi di illuminazione destinati ai consumatori finali solo nel 2007, con l’acquisizione della PLI, la quale deteneva allora un’esigua quota di mercato nel SEE. I più recenti dati forniti dalla Philips non avrebbero indicato che tale posizione sul mercato fosse cambiata in misura significativa negli ultimi anni (punti 45 e 46 della decisione impugnata).

12      Per quanto riguarda il mercato delle componenti degli apparecchi di illuminazione a LED, la Commissione ha espresso dubbi circa la quota di mercato del 40% che la Philips deterrebbe, quale invocata dalle ricorrenti. Essa ha ritenuto che, anche se tale cifra fosse corretta, la presenza di concorrenti relativamente forti contraddirebbe l’esistenza di una posizione dominante della Philips. Nel complesso, non sarebbe chiaro se la Philips detenga una posizione dominante su un ipotetico mercato comprendente i supporti e i driver per apparecchi di illuminazione a LED o le componenti di apparecchi di illuminazione a LED in generale (punti 47 e 48 della decisione impugnata).

13      Per quanto riguarda il mercato dell’illuminazione a LED in quanto tale, la Commissione ha rilevato che la sua decisione del 23 novembre 2011 nel caso M.6357 – Koninklijke Philips/Indal Group lasciava supporre che la quota di mercato della Philips fosse inferiore al 10% e che detto mercato fosse caratterizzato dalla presenza di concorrenti più forti (punto 49 della decisione impugnata).

14      Quanto al mercato della tecnologia LED, la Commissione ha osservato che, secondo la Philips, la quota di mercato dei prodotti che incorporano tecnologie le cui licenze erano concesse nel quadro del PLP non superava il 40% in nessuna delle segmentazioni significative del mercato del prodotto a valle, il che sarebbe confermato dal livello dell’aliquota forfettaria media concordata con i licenziatari (punto 51 della decisione impugnata). Peraltro, le informazioni raccolte dalla Commissione durante l’indagine indicherebbero che la Philips non deteneva alcun brevetto essenziale che le avrebbe permesso di conquistare una posizione di potere su detto mercato e che, al contrario, esistevano valide alternative ai suoi diritti di proprietà intellettuale (punto 54 della decisione impugnata).

15      In terzo luogo, per quanto riguarda le asserite pratiche abusive, la Commissione ha ritenuto che vi fosse una scarsa probabilità di accertare che la Philips avesse violato l’articolo 102 TFUE abusando di una posizione dominante su un mercato rilevante (punto 86 della decisione impugnata).

16      Più nello specifico, la Commissione ha rilevato, in primo luogo, che la corrispondenza presentata dalle ricorrenti non dimostrava né l’esistenza di una politica aggressiva e persecutoria da parte della Philips, né l’esistenza di minacce, in particolare di azioni legali. In tale corrispondenza, la Philips avrebbe fornito ai fabbricanti che riteneva utilizzassero i suoi brevetti informazioni in merito al PLP e li avrebbe invitati a intavolare una discussione in proposito. Secondo la Commissione, gli elementi di prova forniti non avrebbero neppure dimostrato che la Philips formulasse affermazioni ambigue o poco chiare o esigesse l’individuazione dei brevetti potenzialmente interessati. Contrariamente a quanto affermato dalle ricorrenti, la Philips avrebbe esplicitamente menzionato, ove possibile, i prodotti che riteneva violassero i suoi brevetti, informando le imprese in merito ai risultati delle analisi tecniche da essa realizzate su tali prodotti, al fine di avviare con essi una discussione tecnica per stabilire con esattezza quali prodotti potessero essere coperti (punti 61, 62, 64 e 69 della decisione impugnata).

17      In secondo luogo, la Commissione ha sottolineato che non era raro che i brevetti fossero revocati per mancanza di novità. Un siffatto approccio sarebbe quindi difficilmente attribuibile a una strategia deliberata consistente nel chiedere il deposito di brevetti privi di validità, strategia la cui esistenza non sarebbe stata suffragata da alcun indizio fornito dalle ricorrenti. La Commissione ha ricordato che i brevetti beneficiavano in genere di una presunzione di validità finché non veniva adottata alcuna decisione definitiva in proposito. Il fatto che taluni brevetti siano stati dichiarati nulli non significherebbe che gli altri brevetti del PLP fossero anch’essi nulli o che la Philips non potesse concedere licenze per l’uso di tali altri brevetti (punti 67 e 68 della decisione impugnata).

18      In terzo luogo, per quanto riguarda la pratica consistente nel calcolare le royalties sulla base del prezzo del prodotto finale, la Commissione ha osservato che, quando la tecnologia oggetto della licenza riguardava un fattore di produzione incorporato in un prodotto finale, una tale pratica non era in genere considerata restrittiva della concorrenza (punto 70 della decisione impugnata). L’affermazione delle ricorrenti secondo la quale l’aliquota di royalties variava tra i licenziatari sulla base di criteri discriminatori non sarebbe suffragata da elementi di prova. Al contrario, l’esame del modello di accordi di licenza standard della Philips consentirebbe di concludere che quest’ultima teneva conto dell’effettiva situazione di ciascun licenziatario dal punto di vista dei prodotti facenti uso delle sue tecnologie (punto 72 della decisione impugnata). La Commissione ha considerato che il fatto che il pagamento di royalties alla Philips non fosse previsto qualora i licenziatari utilizzassero le componenti acquistate presso i «fornitori qualificati» non era indice di un comportamento discriminatorio, dal momento che tale pratica teneva conto delle royalties ricevute da detti fornitori (punto 73 della decisione impugnata).

19      In quarto luogo, per quanto riguarda gli obblighi di informazione previsti dal PLP, la Commissione ha constatato che i modelli di accordi di licenza presentati dalla Philips indicavano che tali obblighi avevano il solo scopo di individuare i prodotti che richiedevano una licenza e di stabilire il corrispondente livello delle royalties. Rinviando alle spiegazioni della Philips secondo le quali detti obblighi variavano a seconda del metodo di calcolo delle royalties, essa ha concluso che non risultava che la Philips richiedesse informazioni inutili o eccessive (punti da 76 a 78 della decisione impugnata). Essa ha altresì considerato che, tenuto conto, in particolare, delle clausole di riservatezza contenute nei modelli degli accordi di licenza e delle misure strutturali e contrattuali adottate per garantire che la diffusione delle informazioni sensibili comunicate restasse circoscritta alla divisione «proprietà intellettuale» della Philips Lighting, appariva improbabile che la Philips utilizzasse tali informazioni per limitare la concorrenza nel mercato degli apparecchi di illuminazione (punti 80 e 81 della decisione impugnata). Inoltre, le ricorrenti non avrebbero fornito alcun elemento di prova a sostegno della loro affermazione secondo cui i termini degli accordi di licenza avevano l’effetto di disincentivare i licenziatari dall’impegnarsi in attività di ricerca e sviluppo. Essendo il mercato dei LED un mercato in crescita e innovativo, sarebbe improbabile, in mancanza di tali elementi di prova, che gli accordi di licenza della Philips comportassero una limitazione della produzione o dell’innovazione tecnologica (punti 84 e 85 della decisione impugnata).

 Probabilità di accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE

20      La Commissione ha ritenuto che vi fossero scarse probabilità di accertare che la Philips, la Osram e la Zumtobel avessero violato l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE stipulando un accordo o attuando pratiche concertate dagli effetti anticoncorrenziali (punto 97 della decisione impugnata).

21      In primo luogo, secondo la Commissione, non risultava che gli accordi bilaterali di concessione incrociata di licenze stipulati dalla Philips con la Osram e la Zumtobel fossero intesi a istituire un programma comune di concessione di licenze, avendo la Philips sostenuto che tali accordi erano stati stipulati individualmente e negoziati separatamente in diversi momenti tra essa stessa, da un lato, e, rispettivamente, la Osram e la Zumtobel, dall’altro (punto 91 della decisione impugnata). Da detti accordi risulterebbe che questi impegnavano essenzialmente tali imprese a non rivendicare i propri diritti relativi ai brevetti (punto 92 della decisione impugnata). La Commissione ha constatato che i termini del PLP, associati agli accordi di concessione incrociata di licenze, suggerivano anche che il PLP fosse un programma unilaterale elaborato e gestito dalla Philips. Il PLP coprirebbe soltanto la tecnologia Philips in materia di LED e nessun elemento di prova indicherebbe che vi siano stati casi di ridistribuzione alla Osram o alla Zumtobel delle royalties versate alla Philips nel quadro del PLP né casi di condivisione dei profitti generati dalla vendita di componenti da parte della Osram o della Zumtobel (punto 93 della decisione impugnata).

22      La Commissione ha ritenuto che lo scopo principale degli accordi bilaterali di concessione incrociata di licenze che la Philips aveva stipulato rispettivamente con la Osram e con la Zumtobel fosse la concessione in licenza delle rispettive tecnologie in forma non esclusiva. Essi non conterrebbero restrizioni idonee a incidere sulla vendita o lo sviluppo di prodotti che incorporano le tecnologie in oggetto o lo sviluppo di tecnologie concorrenti. Essa ne ha tratto la conclusione che era improbabile che tali accordi fossero anticoncorrenziali (punto 94 della decisione impugnata).

23      In secondo luogo, la Commissione ha ritenuto che non fosse probabile che l’esenzione dal pagamento delle royalties, che si applicava quando un costruttore di apparecchi di illuminazione acquistava tutte le «componenti qualificate» presso «fornitori qualificati», avesse l’effetto di limitare la libertà di scelta dei licenziatari e di precludere il mercato ai fornitori di componenti concorrenti. Infatti, potrebbe esistere una giustificazione oggettiva per tale esenzione, in quanto la Philips riteneva di aver già ottenuto una compensazione per l’utilizzo della propria tecnologia grazie agli accordi di concessione incrociata di licenze stipulati con i fornitori qualificati. Inoltre, la Philips avrebbe constatato che solo un esiguo numero di licenziatari avevano dichiarato di beneficiare di detta esenzione per i loro prodotti. La Commissione ne ha tratto la conclusione che era improbabile che il sistema generasse un effetto di fidelizzazione o impedisse ai fabbricanti di apparecchi di illuminazione di acquistare le componenti presso altri fornitori (punto 95 della decisione impugnata). La mera circostanza che una licenza incrociata non sia neutra sotto il profilo dei costi per i consumatori non sarebbe sufficiente perché essa sia considerata anticoncorrenziale (punto 96 della decisione impugnata).

 Portata delle indagini necessarie

24      La Commissione ha ritenuto che un’indagine approfondita della denuncia avrebbe richiesto l’investimento di notevoli risorse e sarebbe stata sproporzionata in considerazione delle ridotte probabilità di accertare l’esistenza di un’infrazione (punto 98 della decisione impugnata).

25      In primo luogo, la Commissione ha constatato che essa avrebbe dovuto realizzare un’analisi scrupolosa dei pertinenti mercati del prodotto, al fine di procedere a una rigorosa definizione e segmentazione degli stessi. Ciò sarebbe stato particolarmente gravoso nel caso del mercato della tecnologia LED, in quanto avrebbe dovuto esaminare un gran numero di brevetti della Philips e realizzare una dettagliata analisi tecnica delle sue tecnologie e delle tecnologie potenzialmente sostituibili detenute da altre imprese (punto 99 della decisione impugnata). In secondo luogo, la Commissione ha constatato che essa avrebbe dovuto esaminare se la Philips occupasse una posizione dominante nei mercati pertinenti potenziali, il che avrebbe implicato la valutazione delle quote di mercato detenute dalla Philips e dalle imprese concorrenti, l’acquisizione di un gran numero di dati relativi alle vendite nonché la valutazione di eventuali barriere all’ingresso o di eventuali poteri di contrasto degli acquirenti (punto 100 della decisione impugnata). In terzo luogo, per valutare la fondatezza dell’asserzione secondo cui gli obblighi di informazione previsti dal PLP erano anticoncorrenziali, la Commissione ha constatato che essa avrebbe dovuto esaminare se, da un lato, le informazioni richieste dalla Philips andassero al di là di quanto necessario per attuare gli accordi di licenza e, dall’altro, se la Philips condividesse tali informazioni con le sue divisioni commerciali per assicurarsi un vantaggio concorrenziale sul mercato degli apparecchi di illuminazione, il che avrebbe reso probabilmente necessaria la realizzazione di ispezioni presso i locali della Philips (punto 101 della decisione impugnata). In quarto luogo, quanto all’asserita disincentivazione all’innovazione, la Commissione ha constatato che essa avrebbe dovuto, tra l’altro, analizzare il livello di innovazione che sarebbe esistito in assenza del PLP (punto 102 della decisione impugnata). In quinto luogo, la Commissione ha constatato che la verifica dell’affermazione secondo la quale l’esenzione dal pagamento delle royalties per gli acquisti presso «fornitori qualificati» comportava l’esclusione dal mercato dei produttori concorrenti avrebbe richiesto un’analisi dettagliata e ad elevata intensità di dati. A tal fine, essa ha ritenuto che fosse necessario trasmettere richieste di informazioni e analizzare una notevole quantità di dati, nonché possibili ragioni commerciali ed economiche connesse ai costi (punto 103 della decisione impugnata).

 Conclusione

26      Alla luce dei suesposti elementi, la Commissione, applicando il proprio potere discrezionale di stabilire priorità, è giunta alla conclusione che non vi erano motivi sufficienti per effettuare un’indagine approfondita sulle presunte infrazioni, tenuto conto del fatto che vi erano scarse probabilità di accertare una violazione degli articoli 101 o 102 TFUE e che le risorse necessarie ai fini di una siffatta indagine sarebbero state di notevole portata e dunque sproporzionate (punti 86, 97, 98 e 104 della decisione impugnata).

 Conclusioni delle parti

27      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata.

28      La Commissione, sostenuta dalla Signify Holding BV, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

29      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono tre motivi, vertenti, il primo, sulla violazione dell’articolo 105 TFUE, il secondo, sulla violazione dell’articolo 102 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 105 TFUE, in quanto la Commissione avrebbe erroneamente valutato l’esistenza di una posizione dominante e il carattere abusivo della condotta della Philips e, il terzo, sulla violazione dell’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 105 TFUE, in quanto la Commissione avrebbe erroneamente valutato la nozione di accordo e di pregiudizio alla concorrenza.

30      Il Tribunale ritiene opportuno esaminare anzitutto il primo motivo che verte in particolare sul potere discrezionale della Commissione in sede di trattamento di una denuncia, poi, congiuntamente, il secondo e il terzo motivo, che vertono sull’esercizio di detto potere nel caso di specie e che occorre quindi esaminare alla luce dei principi affermati nell’ambito dell’esame del primo motivo.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dellarticolo 105 TFUE

 Sulla ricevibilità del primo motivo

31      Secondo la Commissione, dalla sentenza del 10 giugno 1982, Bethell/Commissione (246/81, EU:C:1982:224, punti da 15 a 17), risulterebbe che un ricorso proposto da un soggetto sulla base dell’articolo 105 TFUE a seguito del rifiuto della Commissione di procedere a un’indagine nei confronti di terzi è irricevibile. Lo stesso varrebbe per un motivo fondato sulla violazione dell’articolo 105 TFUE, il che sarebbe confermato dalla sentenza del 12 settembre 2007, UFEX e a./Commissione (T‑60/05, EU:T:2007:269, punti da 189 a 196).

32      A tal riguardo, è sufficiente ricordare che, nell’ambito dell’esame delle denunce, che non è circoscritto entro termini perentori, la Commissione non è autorizzata a perpetuare uno stato di inerzia, ma è tenuta, entro un termine ragionevole a decorrere dalla ricezione delle osservazioni del denunciante, o ad avviare un procedimento contro la persona che costituisce oggetto della denuncia o ad adottare una decisione definitiva di rigetto della denuncia, che può costituire oggetto di un ricorso di annullamento dinanzi al giudice dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 18 marzo 1997, Guérin automobiles/Commissione, C‑282/95 P, EU:C:1997:159, punti 36 e 37). In tal senso, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 773/2004 dispone che, se, come nel caso di specie, i denuncianti hanno presentato osservazioni scritte entro i termini impartiti ma le stesse non inducono ad una diversa valutazione quanto all’inesistenza di motivi sufficienti per agire a seguito della denuncia, la Commissione è tenuta a respingerla con una decisione. I denuncianti hanno quindi il diritto di ottenere che la sorte della loro denuncia sia fissata con decisione della Commissione, che può costituire oggetto di un ricorso giurisdizionale (sentenza del 4 marzo 1999, Ufex e a./Commissione, C‑119/97 P, EU:C:1999:116, punto 86).

33      Ciò non può essere rimesso in discussione dalla sentenza del 12 settembre 2007, UFEX e a./Commissione (T‑60/05, EU:T:2007:269). Infatti, i punti da 189 a 196 di detta sentenza, come citati dalla Commissione, riguardano solo una parte di una denuncia che, a differenza del caso di specie, è fondata sull’articolo 106 TFUE e la questione se la Commissione sia tenuta ad avviare un procedimento ai sensi di tale disposizione, al quale i regolamenti nn. 1/2003 e 773/2004 non sono applicabili. Nemmeno la sentenza del 10 giugno 1982, Bethell/Commissione (246/81, EU:C:1982:224), invocata dalla Commissione, è pertinente, dal momento che, dopo la pronuncia di quest’ultima sentenza, da un lato, sono stati adottati tali regolamenti e, dall’altro, sono state fornite precisazioni supplementari dalla giurisprudenza illustrata al precedente punto 32.

34      Pertanto, poiché la decisione impugnata con la quale la Commissione respinge la denuncia delle ricorrenti riguarda violazioni degli articoli 101 o 102 TFUE, essa può costituire oggetto di ricorso e il presente motivo deve essere dichiarato ricevibile.

 Sulla fondatezza del primo motivo

35      Le ricorrenti sostengono che la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per decidere di respingere una denuncia. La Corte avrebbe abbandonato, nella sua giurisprudenza più recente, la teoria della «discrezionalità tecnica» a favore di quella della «valutazione tecnica», la quale lascia spazio al potere discrezionale solo per eventuali dubbi non risolvibili attraverso l’uso delle «scienze di supporto». L’attribuzione di un potere discrezionale eccessivo alla Commissione pregiudicherebbe il principio generale di effettività e una tutela giurisdizionale effettiva sarebbe richiesta dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Le ricorrenti ritengono che la Commissione non abbia rispettato i suoi obblighi nel caso di specie, in quanto avrebbe omesso di procedere alla valutazione tecnica dei documenti prodotti durante il procedimento amministrativo. Dalla relazione tecnica allegata alla replica (in prosieguo: la «relazione tecnica») risulterebbe che la Commissione disponeva, insieme alla denuncia, di elementi più che sufficienti per avviare un’indagine formale nei confronti della Philips.

36      Secondo le ricorrenti, la Commissione sarebbe tenuta ad avviare un’indagine quando sussiste un interesse dell’Unione sufficiente. Ciò si verificherebbe nel caso di specie, dal momento che l’infrazione denunciata sarebbe idonea a provocare importanti disfunzioni nel mercato interno. Le ricorrenti affermano che la Commissione ha l’obbligo di valutare la gravità delle asserite violazioni della concorrenza e la persistenza dei loro effetti, tenendo conto della durata e dell’importanza delle infrazioni denunciate nonché della loro incidenza sulla situazione della concorrenza nell’Unione.

37      La Commissione contesta tali argomenti.

38      A tal riguardo, occorre ricordare che la Commissione, investita dall’articolo 105, paragrafo 1, TFUE del compito di vigilare sull’applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE, dispone di un potere discrezionale nel trattare le denunce che l’autorizza ad attribuire un diverso grado di priorità alle denunce con cui viene adita (v., in tal senso, sentenze del 4 marzo 1999, Ufex e a./Commissione, C‑119/97 P, EU:C:1999:116, punto 88; del 18 settembre 1992, Automec/Commissione, T‑24/90, EU:T:1992:97, punti 73 e 83, e del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T‑480/15, EU:T:2017:339, punto 34).

39      La Commissione può non soltanto stabilire l’ordine in cui le denunce saranno esaminate, ma anche respingere una denuncia per mancanza di interesse per l’Unione sufficiente alla prosecuzione dell’esame della pratica (in prosieguo: l’«interesse dell’Unione»). Quando decide di non avviare un’indagine, essa non deve dimostrare l’assenza di un’infrazione a sostegno di una siffatta decisione (sentenza del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T‑480/15, EU:T:2017:339, punti 35 e 37 e giurisprudenza ivi citata).

40      Come sostenuto dalle ricorrenti, tale potere discrezionale non è tuttavia illimitato. Infatti, la Commissione deve prendere in considerazione, esaminandoli attentamente, tutti gli elementi di diritto e di fatto pertinenti messi a sua disposizione dal denunciante al fine di decidere del seguito da dare ad una denuncia (sentenza del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T‑480/15, EU:T:2017:339, punto 36; v. altresì, in tal senso, sentenze del 4 marzo 1999, Ufex e a./Commissione, C‑119/97 P, EU:C:1999:116, punto 86, e del 18 settembre 1992, Automec/Commissione, T‑24/90, EU:T:1992:97, punto 86).

41      Tuttavia, a differenza di quanto ritenuto dalle ricorrenti, tale obbligo di esame non implica necessariamente di effettuare «valutazioni tecniche», dato che siffatte valutazioni possono essere complesse e, pertanto, come giustamente rilevato dalla Commissione, esigere l’investimento di risorse notevoli, se non sproporzionate, che vanno oltre l’ambito di un’indagine preliminare, investimento che la Commissione può ragionevolmente decidere di evitare, in forza del suo potere discrezionale di stabilire priorità, considerandolo contrario all’interesse dell’Unione.

42      Analogamente, al pari della Commissione, occorre considerare privo di fondamento l’argomento delle ricorrenti secondo il quale la recente giurisprudenza avrebbe limitato tale potere discrezionale, in particolare circoscrivendolo al caso di eventuali «dubbi» non risolvibili attraverso l’uso di «scienze di supporto».

43      Infatti, da un lato, le sentenze invocate dalle ricorrenti a tale riguardo, vale a dire le sentenze dell’11 settembre 2008, Germania e a./Kronofrance (C‑75/05 P e C‑80/05 P, EU:C:2008:482, punto 59), dell’8 marzo 2016, Grecia/Commissione (C‑431/14 P, EU:C:2016:145, punto 68), del 19 luglio 2016, Kotnik e a. (C‑526/14, EU:C:2016:570), e del 10 luglio 2019, Commissione/Icap e a. (C‑39/18 P, EU:C:2019:584), riguardano non già il trattamento di una denuncia nell’ambito del compito di vigilare sull’attuazione dei principi stabiliti dagli articoli 101 e 102 TFUE, quale affidato alla Commissione dall’articolo 105, paragrafo 1, TFUE, bensì l’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato, e in particolare il contenzioso vertente sulle decisioni della Commissione di non sollevare obiezioni, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (GU 2015, L 248, pag. 9). Dall’altro lato, dalla recente giurisprudenza, in particolare dalle sentenze dell’11 gennaio 2017, Topps Europe/Commissione (T‑699/14, non pubblicata, EU:T:2017:2, punto 62), del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione (T‑480/15, EU:T:2017:339, punti 34 e 35), e del 16 dicembre 2020, Fakro/Commissione (T‑515/18, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2020:620, punti 66 e 67), risulta che, in forza del suo potere discrezionale di trattare le denunce e di attribuire loro un diverso grado di priorità, la Commissione è autorizzata a respingerle per difetto di interesse dell’Unione, senza procedere all’esame del caso. Inoltre, occorre ricordare che è già stato dichiarato nella sentenza del 18 settembre 1992, Automec/Commissione (T‑24/90, EU:T:1992:97, punto 74), che tale compito della Commissione non implica alcun obbligo di avviare un procedimento formale o approfondito, né quello di adottare una decisione definitiva vertente sull’esistenza di una violazione.

44      Nell’ambito della valutazione dell’interesse dell’Unione, spetta alla Commissione, in particolare, dopo aver esaminato, con tutta la diligenza necessaria, gli elementi di fatto e di diritto dedotti dal denunciante, mettere a confronto la rilevanza dell’asserita infrazione per il funzionamento del mercato interno, la probabilità di poterne accertare l’esistenza e la portata delle misure istruttorie necessarie al fine di adempiere, nel miglior modo possibile, al proprio compito di vigilanza sul rispetto degli articoli 101 e 102 TFUE (v. sentenza dell’11 gennaio 2017, Topps Europe/Commissione, T‑699/14, non pubblicata, EU:T:2017:2, punto 64 e giurisprudenza ivi citata; v. altresì, in tal senso, sentenze del 18 settembre 1992, Automec/Commissione, T‑24/90, EU:T:1992:97, punto 86, e del 12 marzo 2020, LL-Carpenter/Commissione, T‑531/18, non pubblicata, EU:T:2020:91, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

45      Nel caso di specie, ai punti 86, 97, 98 e 104 della decisione impugnata, la Commissione ha concluso, sulla base di varie constatazioni da essa effettuate, riferendosi al suo potere discrezionale di stabilire priorità, che non vi erano motivi sufficienti per effettuare un’indagine approfondita, tenuto conto del fatto che vi era una scarsa probabilità di accertare una violazione degli articoli 101 o 102 TFUE e che le risorse necessarie ai fini di un’indagine approfondita sulle presunte violazioni sarebbero state di notevole portata e, dunque, sproporzionate (v. altresì precedente punto 26). Pertanto, alla luce dei riferimenti fatti, nelle note a piè di pagina nn. 37 e 38, al punto 26 di detta decisione, alle sentenze del 18 settembre 1992, Automec/Commissione (T‑24/90, EU:T:1992:97, punto 86), e dell’11 luglio 2013, BVGD/Commissione (T‑104/07 e T‑339/08, non pubblicata, EU:T:2013:366, punto 218), e come essa ha confermato nella sua risposta a un quesito orale posto dal Tribunale in udienza, di cui si è preso atto nel verbale d’udienza, la Commissione si è fondata sulla costante giurisprudenza che la autorizza ad avvalersi del proprio potere discrezionale relativo alla valutazione dell’esistenza di un interesse dell’Unione a dare seguito alla denuncia.

46      Per quanto riguarda, in particolare, il motivo del rigetto, la giurisprudenza riconosce che la Commissione può respingere una denuncia per difetto di interesse dell’Unione sulla base degli unici rilievi che esiste solo una probabilità limitata di accertare una violazione degli articoli 101 e 102 TFUE e che la portata delle misure istruttorie necessarie a tal fine è sproporzionata (v., in tal senso, sentenze del 16 gennaio 2008, Scippacercola e Terezakis/Commissione, T‑306/05, non pubblicata, EU:T:2008:9, punti da 187 a 190, e del 14 settembre 2017, Contact Software/Commissione, T‑751/15, non pubblicata, EU:T:2017:602, punto 33).

47      Certamente tali criteri non sono esclusivi e la Commissione può altresì fondare l’esistenza di un interesse dell’Unione su importanti disfunzioni nel mercato interno o, al contrario, rinunciare a esaminare una denuncia in assenza di disfunzioni siffatte (v., in tal senso, ordinanza del 19 marzo 2012, Associazione «Giùlemanidallajuve»/Commissione, T‑273/09, EU:T:2012:129, punti 35, 51 e 52).

48      Tuttavia, poiché la valutazione dell’interesse dell’Unione presentato da una denuncia dipende dalle circostanze di fatto e di diritto di ciascun caso di specie, non occorre né limitare il numero dei criteri di valutazione cui la Commissione può riferirsi né, al contrario, imporle il ricorso esclusivo a determinati criteri [sentenze del 4 marzo 1999, Ufex e a./Commissione, C‑119/97 P, EU:C:1999:116, punto 79; del 23 aprile 2009, AEPI/Commissione, C‑425/07, EU:C:2009:253, punto 33, e del 2 febbraio 2022, Polskie Górnictwo Naftowe i Gazownictwo/Commissione (Rigetto della denuncia), T‑399/19, EU:T:2022:44, punto 47].

49      Tenendo conto del fatto che il contesto fattuale e legale può variare considerevolmente da un caso all’altro in un settore come quello del diritto della concorrenza, è possibile applicare criteri non presi in considerazione sino ad allora o dare la priorità a un solo criterio per valutare l’interesse dell’Unione (sentenza del 20 settembre 2018, Agria Polska e a./Commissione, C‑373/17 P, EU:C:2018:756, punto 61; v. altresì, in tal senso, sentenze del 4 marzo 1999, Ufex e a./Commissione, C‑119/97 P, EU:C:1999:116, punto 80, e del 17 maggio 2001, IECC/Commissione, C‑450/98 P, EU:C:2001:276, punto 47).

50      Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalle ricorrenti, la Commissione non era obbligata a fondare il suo esame sul solo criterio relativo alle importanti disfunzioni nel mercato interno e ancor meno ad avviare un procedimento diretto ad accertare una violazione degli articoli 101 e 102 TFUE su tale base, quando, come nel caso di specie, altri criteri e la loro ponderazione deponevano a sfavore dell’esistenza di un interesse dell’Unione.

51      Per quanto riguarda la sentenza del 23 aprile 2009, AEPI/Commissione (C‑425/07 P, EU:C:2009:253), è certamente vero, come sostenuto dalle ricorrenti, che dal punto 53 di tale sentenza risulta che, quando la Commissione considera l’interesse dell’Unione ad avviare un’indagine, essa è tenuta a valutare in ciascun caso di specie la gravità delle asserite violazioni della concorrenza e la persistenza dei loro effetti e che tale obbligo implica in particolare che essa tenga conto della durata e dell’importanza delle infrazioni denunciate nonché della loro incidenza sulla situazione della concorrenza nell’Unione. Tuttavia, la Corte ha successivamente precisato che la sentenza summenzionata deve essere interpretata alla luce del contesto particolare in cui è stata pronunciata e non rimette in discussione i principi menzionati al precedente punto 43 (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, Agria Polska e a./Commissione, C‑373/17 P, EU:C:2018:756, punti da 60 a 62). Orbene, le ricorrenti non hanno spiegato sotto quale profilo tale contesto sarebbe paragonabile a quello della presente causa.

52      Quanto all’argomento secondo cui il potere discrezionale della Commissione pregiudicherebbe il principio generale di effettività e la tutela giurisdizionale effettiva, è sufficiente ricordare, al pari della Commissione, che, conformemente all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, spetta agli Stati membri stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli il rispetto del loro diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, e non spetta invece alla Commissione ovviare – attraverso l’avvio di un’indagine che richieda risorse significative, allorché la probabilità di dimostrare una violazione degli articoli 101 e 102 TFUE sia bassa – alle possibili lacune della tutela giurisdizionale a livello nazionale (v. sentenza del 20 settembre 2018, Agria Polska e a./Commissione, C‑373/17 P, EU:C:2018:756, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

53      Le ricorrenti hanno, in particolare, la possibilità di proporre ricorsi dinanzi ai giudici nazionali per il risarcimento del danno asseritamente subito a seguito del comportamento oggetto della denuncia al fine di ottenere il rispetto degli articoli 101 e 102 TFUE (sentenza del 20 settembre 2018, Agria Polska e a./Commissione, C‑373/17 P, EU:C:2018:756, punto 83). Peraltro, come correttamente sostenuto dalla Commissione, una decisione di rigetto di una denuncia è soggetta al sindacato di legittimità del giudice dell’Unione nell’ambito dell’articolo 263 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 18 settembre 1992, Automec/Commissione, T‑24/90, EU:T:1992:97, punto 85) che garantisce così la tutela giurisdizionale effettiva del denunciante ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

54      Nell’affermare, segnatamente, che il giudice dell’Unione deve verificare se la Commissione abbia formato correttamente la sua valutazione sull’esistenza di un interesse dell’Unione e se essa disponesse di elementi sufficienti per avviare un’indagine formale nei confronti della Philips, le ricorrenti non tengono conto dell’effettiva portata del sindacato giurisdizionale.

55      Da una costante giurisprudenza emerge infatti che, quando la Commissione decide di non avviare un’indagine, spetta al Tribunale verificare non già se il denunciante abbia fornito, nella sua denuncia, elementi sufficienti a dimostrare la violazione del diritto della concorrenza, bensì se emerga dalla decisione impugnata che la Commissione ha messo a confronto la rilevanza dell’asserita infrazione per il funzionamento del mercato interno, la probabilità di poterne accertare l’esistenza e la portata delle misure istruttorie necessarie al fine di adempiere, nel miglior modo possibile, al proprio compito di vigilanza sul rispetto degli articoli 101 e 102 TFUE (sentenza del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T‑480/15, EU:T:2017:339, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

56      Per contro, il controllo del giudice dell’Unione sull’esercizio, da parte della Commissione, del potere discrezionale riconosciutole in materia di esame delle denunce non deve condurlo a sostituire la propria valutazione dell’interesse dell’Unione a quella della Commissione, bensì a verificare se la decisione controversa non si basi su fatti materialmente inesatti e non sia viziata da errori di diritto, da manifesti errori di valutazione o da sviamento di potere (v. sentenza del 15 dicembre 2010, CEAHR/Commissione, T‑427/08, EU:T:2010:517, punto 65 e giurisprudenza ivi citata) oppure da un difetto di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 16 maggio 2017, Agria Polska e a./Commissione, T‑480/15, EU:T:2017:339, punto 39).

57      Tenuto conto di quanto precede, le ricorrenti non hanno né dimostrato che la Commissione ha violato la portata del suo potere discrezionale nel caso di specie, né che essa è incorsa in un errore di diritto o in un errore manifesto di valutazione privilegiando, nell’ambito della valutazione dell’interesse dell’Unione, criteri relativi alla probabilità di accertare l’esistenza di una violazione degli articoli 101 e 102 TFUE e alla portata delle misure istruttorie necessarie a tal fine. Inoltre, gli argomenti delle ricorrenti relativi alla tutela giurisdizionale effettiva e al sindacato giurisdizionale sono infondati e devono essere respinti.

58      Il primo motivo dev’essere pertanto integralmente respinto.

 Sul secondo e sul terzo motivo, vertenti, rispettivamente, sulla violazione dellarticolo 101 e dellarticolo 102 TFUE, in combinato disposto con larticolo 105 TFUE

 Osservazioni preliminari

59      Con il secondo e il terzo motivo, le ricorrenti sostengono che il ricorso all’esercizio, da parte della Commissione, del suo potere discrezionale è illegittimo.

60      Occorre quindi esaminare, alla luce dei principi menzionati nell’ambito della risposta al primo motivo, in particolare ai precedenti punti 40, 44, 55 e 56, se, tenuto conto degli elementi di fatto e di diritto portati a conoscenza della Commissione mediante la denuncia, la conclusione di cui ai punti 86, 97, 98 e 104 della decisione impugnata, secondo la quale vi erano scarse probabilità di accertare una violazione degli articoli 101 o 102 TFUE e le risorse necessarie a tal fine sarebbero state di notevole portata e sproporzionate (v. altresì precedente punto 26) non si basi su fatti materialmente inesatti e non sia viziata da un errore di diritto, da un errore manifesto di valutazione, da uno sviamento di potere o da un difetto di motivazione.

 Sulla probabilità di accertare una violazione dell’articolo 102 TFUE e sulle risorse necessarie a tal fine (secondo motivo)

–       Sulla constatazione di una posizione dominante della Philips (prima parte)

61      Le ricorrenti sostengono di aver chiarito, nell’ambito del procedimento amministrativo, che il mercato rilevante comprendeva, da un lato, gli Stati membri dell’Unione e, dall’altro, gli apparecchi di illuminazione che utilizzano componenti e tecnologia LED coperti dai brevetti della Philips. Detto mercato coinciderebbe con l’ambito di applicazione del PLP. Le ricorrenti ritengono che la Commissione fosse in grado di delimitare facilmente il mercato rilevante, dato che le sarebbe stato sufficiente analizzare, secondo lo stato dell’arte, in particolare applicando il «modello Porteriano», i documenti e i dati in suo possesso. La Commissione avrebbe violato il suo obbligo di motivazione in quanto non avrebbe proceduto ad alcuna valutazione e avrebbe omesso di illustrare il metodo economico applicato. Inoltre, in considerazione della gravità assunta dall’impatto dei comportamenti della Philips, la definizione del mercato rilevante sarebbe di secondaria importanza.

62      Le ricorrenti contestano la constatazione secondo cui la probabilità di dimostrare l’esistenza di una posizione dominante è limitata e addebitano alla Commissione di non aver svolto alcuna valutazione tecnica o indagine. Dalla relazione tecnica risulterebbe che la Philips è capace di controllare quote di mercato rilevanti nei vari paesi, che la collaborazione con altri partner importanti a livello internazionale riduce ulteriormente la concorrenza e che la filiera produttiva per la costruzione di apparecchi di illuminazione si presenta concentrata a monte e frammentata a valle. Esse precisano che, secondo tale analisi, la quota di mercato della Philips è tale da configurare situazioni di abuso di posizione dominante che richiederebbero che la Commissione acquisisca informazioni per accertare se siano avvenuti tali abusi.

63      Le ricorrenti affermano che, a prescindere dalla sua quota di mercato, la posizione dominante della Philips sarebbe dimostrata dalla documentazione in possesso della Commissione e dall’esteso numero di brevetti detenuto da tale impresa, i cui effetti avrebbero dovuto essere esaminati in modo più dettagliato dalla Commissione, conformemente alla sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione (T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922). Dagli scambi tra la Philips e i potenziali licenziatari deriverebbe che il suo comportamento è quello di un’impresa consapevole di avere una posizione dominante. Le ricorrenti contestano il fatto che la Commissione, senza alcun approfondimento, abbia considerato sufficienti gli argomenti dedotti dalla Philips secondo i quali esisteva una tecnologia alternativa a tali brevetti. La corrispondenza tra la Philips e i potenziali licenziatari dimostrerebbe che questi ultimi non disponevano delle risorse necessarie ad aggirare i brevetti della Philips. Le ricorrenti affermano, fondando la propria affermazione sulla sentenza sopracitata, che la Commissione avrebbe dovuto verificare l’effettiva possibilità di ricorso a una tecnologia alternativa del genere, in particolare senza rischiare di andare incontro a onerosi contenziosi con la Philips.

64      La Commissione contesta tali argomenti.

65      In primo luogo, per quanto riguarda il mercato del prodotto e il mercato geografico rilevanti, le ricorrenti contestano principalmente la constatazione di cui ai punti 29 e 40 della decisione impugnata secondo cui esse non avevano sufficientemente specificato tali mercati nella loro denuncia. Tuttavia, pur avendo la Commissione rilevato una siffatta imprecisione, essa ha condotto un’analisi preliminare di detti mercati nell’ambito della quale è giunta alla conclusione che la definizione definitiva di detti mercati poteva essere lasciata aperta, dato che la valutazione delle presunte violazioni non sarebbe cambiata in base alla scelta di una delle tre possibili definizioni del mercato rilevante risultante dalla denuncia, vale a dire il mercato della costruzione di apparecchi di illuminazione, il mercato delle componenti di apparecchi di illuminazione a LED e il mercato della tecnologia LED (v. punti da 30 a 42 della decisione impugnata). Le ricorrenti sembrano condividere tale conclusione, in quanto esse sostengono che, tenuto conto della gravità dell’impatto dei presunti comportamenti della Philips, la definizione del mercato in cui tali comportamenti sono stati posti in essere sarebbe di secondaria importanza.

66      Pertanto, in considerazione del fatto che la Commissione ha esaminato le presunte posizioni dominanti della Philips e le presunte violazioni dell’articolo 102 TFUE che quest’ultima avrebbe commesso alla luce di queste tre possibili definizioni del mercato rilevante (punti da 43 a 86 della decisione impugnata), la questione se e come il mercato rilevante avrebbe potuto essere delimitato in modo più preciso è irrilevante ai fini della soluzione della presente controversia e le corrispondenti censure devono essere respinte in quanto inconferenti.

67      In ogni caso, la definizione del mercato rilevante richiede un’istruttoria approfondita e valutazioni economiche complesse da parte della Commissione, in particolare per quanto riguarda l’intercambiabilità o la sostituibilità dei prodotti di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2017, Topps Europe/Commissione, T‑699/14, non pubblicata, EU:T:2017:2, punti 80 e 81 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, la mera affermazione, priva di elementi a suo sostegno, delle ricorrenti, dedotta per la prima volta dinanzi al Tribunale, secondo la quale il mercato rilevante è composto da apparecchi di illuminazione che utilizzano componenti e tecnologia LED coperti dai brevetti della Philips non è idonea a dimostrare che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nella sua analisi preliminare di detto mercato che sia atto a viziare la sua valutazione globale dell’interesse dell’Unione in forza del suo potere discrezionale relativo alla prosecuzione dell’esame della denuncia. Del pari, tenuto conto di tale complessità e della necessità di investire notevoli risorse per svolgere una siffatta istruttoria e una siffatta analisi, l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione sarebbe stata in grado di delimitare facilmente il mercato rilevante ricorrendo ai metodi economici invocati deve essere respinto in quanto infondato o inconferente.

68      Inoltre, nei limiti in cui la Commissione ha spiegato le ragioni per le quali essa, da un lato, ha lasciato aperta la definizione del mercato rilevante (punti 31, 37, 39 e 42 della decisione impugnata) e, dall’altro, ha ritenuto che un’indagine approfondita avrebbe richiesto un’analisi scrupolosa di detto mercato (punto 99 della decisione impugnata), essa ha sufficientemente rispettato il suo obbligo di motivazione, quale previsto all’articolo 296, secondo comma, TFUE e all’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta, per quanto riguarda il modo in cui essa ha esercitato il proprio potere discrezionale che la autorizzava a rinunciare alla prosecuzione dell’esame della denuncia con la motivazione che non esisteva un interesse sufficiente dell’Unione a tal fine (v. precedente punto 45).

69      In secondo luogo, per quanto riguarda la presunta posizione dominante della Philips, dalla decisione impugnata risulta che la Commissione ha esaminato le quote di mercato detenute dalla Philips negli asseriti mercati rilevanti, vale a dire, sotto un primo profilo, nei mercati degli apparecchi di illuminazione professionali e degli apparecchi di illuminazione destinati ai consumatori finali, basandosi sulle sue decisioni del 23 novembre 2011 nel caso M.6357 – Koninklijke Philips/Indal Group, del 22 giugno 2011 nel caso M.6194 – Osram/Siteco Lighting e del 29 gennaio 2007 nel caso M.4509 – Philips/PL, che corrispondevano alle stime delle ricorrenti e ai dati forniti dalla Philips (punti 45 e 46 della decisione impugnata), sotto un secondo profilo, nel mercato delle componenti degli apparecchi di illuminazione a LED, ritenendo che la presenza di concorrenti relativamente forti rappresentasse un’argomentazione contraria all’esistenza di una posizione dominante della Philips (punti 47 e 48 della decisione impugnata), sotto un terzo profilo, nel mercato dell’illuminazione a LED, basandosi sulla sua decisione del 23 novembre 2011 nel caso M.6357 – Koninklijke Philips/Indal Group (punto 49 della decisione impugnata), e, sotto un quarto profilo, nel mercato della tecnologia LED. A quest’ultimo riguardo, essa ha tenuto conto in particolare del fatto che, da un lato, secondo la Philips, la quota di mercato dei prodotti che incorporano tecnologie oggetto del PLP detenuta dalla stessa non superava il 40% in nessuna delle segmentazioni significative del mercato del prodotto a valle e, dall’altro, la Philips non deteneva alcun brevetto essenziale ed esistevano valide alternative ai suoi brevetti (punti da 50 a 58 della decisione impugnata). La Commissione è giunta alla conclusione che, alla luce delle informazioni disponibili, vi erano scarse probabilità di poter dimostrare che la Philips detenesse una posizione dominante su uno o più mercati rilevanti possibili (punto 59 della decisione impugnata).

70      Gli argomenti addotti dalle ricorrenti non dimostrano che tale esame si basa su fatti materialmente inesatti, né che esso è viziato da un errore di diritto o da un errore manifesto di valutazione.

71      Infatti, in primo luogo, come già sottolineato ai precedenti punti da 41 a 43, in forza del suo potere discrezionale di valutare l’interesse dell’Unione e di stabilire priorità nella prosecuzione dell’esame e nel trattamento delle denunce su cui è chiamata a pronunciarsi, la Commissione non è tenuta né ad effettuare valutazioni tecniche complesse né ad avviare un’indagine. Le ricorrenti non sono legittimate a contestarle di non aver realizzato una siffatta valutazione tecnica o un’indagine oppure di non aver raccolto ulteriori informazioni. Al contrario, gli argomenti delle ricorrenti confermano che, come risulta dal punto 100 della decisione impugnata, l’esame dell’esistenza di un’eventuale posizione dominante della Philips avrebbe richiesto l’investimento di notevoli risorse. La Commissione poteva quindi legittimamente tenere conto di tale aspetto, nell’esercizio del suo potere discrezionale e della ponderazione richiesta, per concludere nel senso della carenza di interesse dell’Unione alla prosecuzione dell’esame delle presunte violazioni, in particolare per quanto riguarda i mercati rilevanti potenzialmente interessati dalle stesse.

72      In secondo luogo, quanto agli estratti della relazione tecnica secondo i quali la Philips sarebbe capace di controllare quote di mercato rilevanti nei vari paesi, la collaborazione con altri partner importanti a livello internazionale ridurrebbe la concorrenza, la filiera produttiva per la costruzione di apparecchi di illuminazione si presenterebbe concentrata a monte e frammentata a valle e le quote di mercato della Philips potrebbero configurare situazioni di abuso di posizione dominante, è sufficiente constatare che si tratta di affermazioni non suffragate dalla benché minima prova né tantomeno da una spiegazione sommaria, in particolare con riguardo ai mercati, ai paesi e ai partner cui le ricorrenti intendono fare riferimento.

73      In terzo luogo, per quanto riguarda i brevetti detenuti dalla Philips, come correttamente sostenuto dalla Commissione, il mero fatto di essere titolare di un diritto di proprietà intellettuale non è sufficiente per concludere nel senso dell’esistenza di una posizione dominante (sentenza del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione, C‑241/91 P e C‑242/91 P, EU:C:1995:98, punto 46), né per determinare se i prodotti o i servizi rientranti in tale diritto siano idonei a costituire un mercato rilevante distinto. Parimenti, il numero di brevetti invocato non è esplicativo del loro carattere essenziale, né dell’esistenza di alternative a tali brevetti. La sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione (T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922) è, come sostenuto dalla Commissione, irrilevante a questo proposito, in quanto riguarda una decisione accertante una violazione degli articoli 101 e 102 TFUE e una causa nell’ambito della quale era proprio l’impatto, in particolare, dei brevetti interessati sulla definizione del mercato dei prodotti in questione ad essere controverso tra le parti [sentenza del 12 dicembre 2018, Servier e a./Commissione, T‑691/14, con impugnazione pendente, EU:T:2018:922, punti 1304 e seguenti (non pubblicati)], il che si verifica spesso nel settore farmaceutico [v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti da 123 a 140 e giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, a differenza di quanto ritenuto dalle ricorrenti, nell’esercizio del suo potere discrezionale e della ponderazione richiesta per concludere nel senso della carenza di interesse dell’Unione alla prosecuzione dell’esame della denuncia per quanto concerne, in particolare, i mercati rilevanti potenzialmente interessati e le presunte posizioni dominanti della Philips su tali mercati, non era necessario che la Commissione esaminasse gli effetti di detti brevetti e le loro alternative in modo più dettagliato.

74      Da tutto quanto precede risulta che la Commissione, conformemente alla giurisprudenza citata ai precedenti punti 40 e 44, ha esaminato attentamente tutti gli elementi di fatto e di diritto e non è incorsa in errori di diritto o in errori manifesti di valutazione ritenendo che vi fossero scarse probabilità di dimostrare una posizione dominante della Philips (punto 59 della decisione impugnata) e che le risorse necessarie per definire, da un lato, il mercato rilevante e, dall’altro, la posizione detenuta dalla Philips su tale mercato erano di notevole entità e sproporzionate (punti da 98 a 100 della decisione impugnata).

75      La prima parte del secondo motivo dev’essere pertanto respinta.

–       Sulla dimostrazione del carattere abusivo del comportamento della Philips (seconda parte)

76      Le ricorrenti contestano la constatazione, esposta nella decisione impugnata, secondo la quale dalla corrispondenza prodotta nell’ambito della denuncia non emerge alcuna politica intimidatoria o aggressiva, ritenendo che tale corrispondenza dimostri il contrario. Esse considerano che il fatto che le aliquote di royalties siano calcolate tenendo conto della situazione individuale di ciascun licenziatario dimostri che la Philips pratica prezzi diversi per la stessa prestazione, in violazione dell’articolo 102 TFUE. Inoltre, la relazione tecnica indicherebbe che le modalità e i criteri di determinazione delle royalties sarebbero illegittimi, poiché il calcolo di queste ultime si basa sull’intero valore del prodotto finito, e non su quello della singola componente in cui è utilizzata la tecnologia oggetto di brevetto.

77      Inoltre, le ricorrenti sostengono che la Commissione non ha tenuto conto del fatto che la Philips richiede, nell’ambito del PLP, informazioni che non sono necessarie per il calcolo delle royalties. Al riguardo, la Philips non avrebbe dimostrato l’esistenza di una rigida separazione tra la divisione «proprietà intellettuale» della Philips Lighting e le divisioni commerciali della Philips. La Commissione avrebbe dovuto verificare, in particolare effettuando ispezioni presso i locali della Philips, se le soluzioni adottate fossero concretamente efficaci a garantire la tutela dei dati sensibili.

78      Rinviando alla relazione tecnica, le ricorrenti rilevano altresì che l’affermazione della Philips secondo la quale la maggioranza dei licenziatari aderenti al PLP non hanno scelto l’esenzione dal pagamento dalle royalties per i propri apparecchi di illuminazione, bensì l’utilizzo di una o più delle proprie componenti o un approvvigionamento presso produttori indipendenti, appare poco credibile.

79      Oltre a ciò, secondo tale relazione, i criteri atti all’individuazione dei brevetti di interesse per il singolo licenziatario sarebbero illegittimi, dal momento che la Philips imporrebbe spesso ai licenziatari vasti «pacchetti» di brevetti che andrebbero al di là delle loro reali necessità. Del resto, spesso l’estensione degli obblighi relativi agli accordi di licenza eccederebbe la durata residua dei singoli brevetti, il che avrebbe la conseguenza di determinare un ulteriore ingiustificato arricchimento della Philips o dei suoi partner «qualificati».

80      Infine, le ricorrenti contestano il fatto che la Commissione abbia archiviato la denuncia senza effettuare un’analisi. Essa sarebbe stata tenuta ad analizzare l’esistenza di pratiche abusive alla luce dei fatti e dei documenti ricorrendo a valutazioni tecniche. In considerazione della sentenza del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289), sarebbe evidente che la Philips avrebbe sfruttato la sua presenza molto forte sul mercato a valle per riservarsi una serie di diritti sul mercato della costruzione di apparecchi di illuminazione a LED imponendo commissioni sganciate dalle normali logiche di mercato.

81      La Commissione contesta tali argomenti.

82      In primo luogo, per quanto riguarda la corrispondenza tra la Philips e i potenziali licenziatari, prodotta come allegato A.8 dell’atto introduttivo del ricorso, occorre constatare, al pari della Commissione, che tale corrispondenza si limita a dimostrare la legittima volontà della Philips di impedire l’uso dei suoi brevetti senza il suo consenso e senza remunerazione.

83      Infatti, con la lettera raccomandata del 10 ottobre 2014, sulla quale le ricorrenti si basano in particolare, la Philips chiede al destinatario della stessa di non continuare a utilizzare la tecnologia coperta dai suoi brevetti senza il suo consenso e di regolarizzare tale situazione, affermando al contempo la sua volontà di risolvere la questione in via bonaria. A tal riguardo, detta lettera, da un lato, rinvia alla possibilità di ottenere la licenza necessaria alle condizioni standard di cui al PLP e, dall’altro, contiene un invito a tenere un incontro tecnico e a proporre una data a tal fine. La medesima lettera si inserisce in una serie di scambi, tra cui, in particolare, messaggi di posta elettronica del 29 gennaio e del 1° febbraio 2013 e del 29 gennaio, 20 maggio e 16 giugno 2014 nonché un messaggio di posta elettronica non datato, da cui risulta che la Philips aveva segnalato, indicando i brevetti e i prodotti interessati, che i suoi brevetti erano violati dai prodotti del destinatario di tali lettere e messaggi di posta elettronica, circostanza che quest’ultimo aveva contestato. Il resto della corrispondenza prodotta, ossia la lettera raccomandata del 9 maggio 2014 e i messaggi di posta elettronica del 28 aprile, 16 maggio e 21 luglio 2014, sembra riguardare destinatari diversi ai quali la Philips, da un lato, dopo il loro rifiuto di partecipare al PLP, ha chiesto di regolarizzare la loro situazione e, dall’altro, ha trasmesso informazioni sul PLP e un invito a un incontro per la presentazione di tale programma.

84      Come esposto ai punti da 61 a 64 e 69 della decisione impugnata, dalla suddetta corrispondenza risulta non già che la Philips mira ad attuare una politica intimidatoria o persecutoria, o una politica minatoria, bensì che essa sembra perseguire l’obiettivo legittimo di proteggere i suoi brevetti e di ottenere una remunerazione adeguata per l’uso delle tecnologie da essi coperte, il che non sarebbe possibile in assenza di una verifica tecnica dei prodotti per illuminazione interessati. Non emergono indizi sufficientemente seri quanto al fatto che la domanda, in forza del PLP, di una siffatta verifica tecnica da parte dei costruttori, degli utilizzatori o dei rivenditori di tali prodotti rientri nella sola volontà della Philips di preservare i propri interessi commerciali, in particolare difendendo i brevetti di cui essa è titolare, mediante una pratica estranea alla concorrenza basata sui meriti, e pertanto inammissibile [v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punti 151 e 152 e giurisprudenza ivi citata].

85      Inoltre, l’esercizio di un diritto esclusivo connesso a un diritto di proprietà intellettuale fa parte delle prerogative del suo titolare, cosicché l’esercizio di un siffatto diritto esclusivo, pur provenendo da un’impresa in posizione dominante, non può costituire di per sé un abuso di quest’ultima [v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a., C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 150 e giurisprudenza ivi citata]. Al contrario, l’elevato livello di protezione dei diritti di proprietà intellettuale, quale risultante dall’articolo 17, paragrafo 2, e dall’articolo 47 della Carta nonché dalla direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45), comporta che il loro titolare non può, in via di principio, vedersi privato della facoltà di ricorrere ad azioni giudiziali atte a garantire il rispetto effettivo dei suoi diritti esclusivi e che il loro utilizzatore, se non ne è il titolare, è tenuto, in via di principio, ad ottenere una licenza prima di qualsiasi utilizzo (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Huawei Technologies, C‑170/13, EU:C:2015:477, punti 57 e 58).

86      Pertanto, anche il titolare di un brevetto essenziale ai fini dell’applicazione di una norma tecnica stabilita da un organismo di normalizzazione può ricorrere ad azioni giudiziali se avverte preventivamente il presunto contraffattore della contraffazione e gli trasmette una proposta di licenza concreta a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie, dette «FRAND» (fair, reasonable and non-discriminatory). Fintanto che non abbia accettato la proposta che gli è stata presentata, il presunto contraffattore può eccepire il carattere abusivo di un’azione inibitoria o per richiamo di prodotti soltanto qualora sottoponga a detto titolare, entro un breve termine e per iscritto, una controproposta concreta rispondente a condizioni siffatte (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Huawei Technologies, C‑170/13, EU:C:2015:477, 61, 63 e 66).

87      Alla luce di tali principi, sui quali le ricorrenti hanno avuto modo di esprimersi in udienza a seguito di un quesito orale del Tribunale, la Philips poteva legittimamente avvertire i presunti contraffattori e presentare loro una proposta di licenza, e ciò anche nell’ipotesi in cui i suoi brevetti potessero essere qualificati come essenziali. Poiché dalla corrispondenza presentata non risulta che il presunto contraffattore abbia sottoposto una controproposta concreta, il comportamento della Philips non può costituire un abuso.

88      Pertanto, risulta che la Commissione non è incorsa in errori di diritto o in errori manifesti di valutazione nel ritenere improbabile che la Philips mettesse in atto una pratica abusiva di protezione dei suoi brevetti.

89      In secondo luogo, per quanto riguarda il carattere asseritamente discriminatorio delle aliquote di royalties calcolate sulla base del fatturato derivante dalla vendita del prodotto dotato della tecnologia protetta dal brevetto, è sufficiente rilevare, al pari della Commissione e conformemente a quanto esposto ai punti da 70 a 73 della decisione impugnata, che appare legittimo calcolare l’importo complessivo delle royalties dovute in relazione alla variazione di detto fatturato, costituendo quest’ultimo un parametro oggettivo idoneo a misurare il successo commerciale della vendita dei prodotti di cui trattasi che dipende anch’esso necessariamente da detto brevetto, a meno che non sia dimostrato che il suo utilizzo sia già stato remunerato nell’ambito di accordi di concessione incrociata di licenze con fornitori qualificati, quali la Osram e la Zumtobel. Pertanto, correttamente la Commissione non ha attribuito a tale aspetto carattere di indizio dell’esistenza di una pratica discriminatoria o altrimenti abusiva da parte della Philips. Inoltre, le ricorrenti non hanno fornito alcun indizio relativo all’applicazione di condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, ai sensi della sentenza del 15 marzo 2007, British Airways/Commissione (C‑95/04 P, EU:C:2007:166), da esse invocata a sostegno della loro argomentazione.

90      In terzo luogo, nei limiti in cui le ricorrenti sostengono che la Philips esige, nell’ambito del PLP, la fornitura di informazioni sensibili non necessarie per il calcolo delle royalties, anche per quanto riguarda i clienti ai quali sono destinati i prodotti dei licenziatari, occorre rilevare, al pari della Commissione, che tale censura è carente in fatto e non è comprovata. In ogni caso, come esposto ai punti da 76 a 78 della decisione impugnata, tali obblighi di informazione avevano il solo scopo di individuare i prodotti che necessitavano di una licenza di brevetto e di stabilire il livello delle royalties. Inoltre, in considerazione delle clausole di riservatezza contenute nei modelli di accordi di licenza, le ricorrenti non dimostrano che il trasferimento di informazioni sensibili alla divisione «proprietà intellettuale» della Philips Lighting darebbe luogo alla loro divulgazione o alla loro diffusione all’interno dei diversi dipartimenti della Philips, tanto meno se si tiene conto del fatto che quest’ultima ha garantito il mantenimento di efficaci misure di separazione interne volte a evitare una conseguenza siffatta (v. punti da 80 a 82 della decisione impugnata). La Commissione poteva quindi legittimamente ritenere che non esistesse alcun indizio di una pratica abusiva da parte della Philips al riguardo e che sarebbe stato sproporzionato procedere a ulteriori misure di indagine al fine di verificare le censure speculative delle ricorrenti.

91      Infine, nemmeno le altre censure, molto poco circostanziate e in parte ridondanti, formulate dalle ricorrenti in tale contesto (v. precedenti punti da 78 a 80), in particolare sulla base delle considerazioni generali e vaghe esposte nella relazione tecnica, sono tali da fondare una sufficiente probabilità dell’esistenza di pratiche abusive da parte della Philips che avrebbe giustificato che la Commissione proseguisse l’esame della loro denuncia. Tali censure non sono quindi idonee a dimostrare che la Commissione sarebbe incorsa in errori di diritto o in errori manifesti di valutazione nel ritenere che l’approfondimento dell’esame delle asserite pratiche abusive fosse sproporzionato e contrario all’interesse dell’Unione.

92      Da tutto quanto precede risulta che la Commissione, conformemente alla giurisprudenza citata ai precedenti punti 40 e 44, ha esaminato attentamente tutti gli elementi di fatto e di diritto e non è incorsa in errori di diritto o in errori manifesti di valutazione nel concludere che vi fosse una scarsa probabilità di dimostrare il carattere abusivo del comportamento della Philips (punto 86 della decisione impugnata) e che le risorse necessarie per dimostrare l’eventuale esistenza di un tale comportamento abusivo, in particolare tenuto conto della necessità di effettuare ispezioni presso i locali della Philips, sarebbero state di notevole portata e sproporzionate (punti 98 e da 101 a 103 della decisione impugnata).

93      La seconda parte del secondo motivo dev’essere, di conseguenza, respinta in quanto infondata. Tale motivo dev’essere pertanto integralmente respinto.

 Sulla probabilità di accertare una violazione dell’articolo 101 TFUE e sulle risorse necessarie a tal fine (terzo motivo)

94      Le ricorrenti sostengono che la Commissione ha erroneamente valutato le nozioni di accordo e di pregiudizio alla concorrenza. Esse ritengono che, anche ipotizzando che il PLP e gli accordi bilaterali di concessione incrociata di licenze tra la Philips e, rispettivamente, la Osram e la Zumtobel non siano mirati a elaborare un programma comune, ma che si tratti di un programma unilaterale della Philips, l’esistenza di un accordo non sarebbe esclusa. Le ricorrenti sostengono, facendo riferimento alla sentenza del 6 luglio 2000, Volkswagen/Commissione (T‑62/98, EU:T:2000:180), che, nell’ambito dei rapporti contrattuali intercorrenti tra un produttore e i suoi rivenditori, misure prese in modo apparentemente unilaterale da tale produttore costituiscono accordi ai sensi dell’articolo 101 TFUE nei limiti in cui risultano essere accettate da detti rivenditori.

95      Secondo le ricorrenti, la Commissione avrebbe omesso di effettuare una valutazione tecnica e sarebbe stata in possesso di tutti gli elementi necessari per verificare l’esistenza di eventuali accordi collusivi o di pratiche anticoncorrenziali. Sulla base della relazione tecnica, esse ritengono che esista un legame fattuale e strategico tra il PLP e gli accordi bilaterali di concessione incrociata di licenze, il quale rivelerebbe la sussistenza di meccanismi compensativi non dichiarati all’esterno e, pertanto, una partnership trilaterale «implicita» tra le parti o tra le associate. La rinuncia alla riscossione della royalty per le componenti acquistate presso le associate non sembrerebbe sostenibile per la Philips né da un punto di vista strategico né da un punto di vista economico-finanziario. Una siffatta rinuncia dovrebbe essere compensata altrimenti o richiederebbe un profitto condiviso tra le associate in proporzioni presumibilmente concordate in accordi ignoti.

96      Per quanto riguarda la constatazione della Commissione secondo la quale vi sono scarse probabilità che gli accordi bilaterali in questione incidano sulla concorrenza, le ricorrenti sottolineano, facendo riferimento alla sentenza del 15 settembre 1998, European Night Services e a./Commissione (T‑374/94, T‑375/94, T‑384/94 e T‑388/94, EU:T:1998:198), che è sufficiente che il pregiudizio sia anche solo potenziale, in quanto sarebbe difficile dimostrarlo in concreto. Esse non sarebbero quindi state tenute a dimostrare il pregiudizio alla concorrenza invocato, ma avrebbero potuto portare all’attenzione della Commissione gli elementi utili per approfondire l’accertamento della violazione. Secondo le ricorrenti, spettava quindi alla Commissione verificare come il PLP e tali accordi avessero influenzato la concorrenza sul mercato dei fornitori di apparecchi di illuminazione che utilizzano tecnologia o componenti LED.

97      La Commissione contesta tali argomenti.

98      Al pari della Commissione, occorre constatare che le censure dedotte dalle ricorrenti, anche nella relazione tecnica, a sostegno del terzo motivo sono particolarmente vaghe, se non addirittura speculative, e tendono a far gravare sulla Commissione l’onere di indagare in modo casuale sul carattere potenzialmente anticoncorrenziale di accordi di concessione incrociata di licenze non esclusivi stipulati tra la Philips e, rispettivamente, la Osram e la Zumtobel, la cui logica commerciale e i cui effetti benefici sono stati spiegati in modo plausibile sia dalla Philips durante il procedimento amministrativo sia nella decisione impugnata (v., in particolare, punti da 91 a 96 di detta decisione). Orbene, non esiste alcun serio indizio di un siffatto carattere anticoncorrenziale e le ricorrenti non sono riuscite a rimettere in discussione la logica commerciale volta a tener conto del fatto che, nel caso dei prodotti della Osram e della Zumtobel, le royalties per l’integrazione delle componenti brevettate dalla Philips sono già state versate. Inoltre, è particolarmente speculativa l’affermazione relativa all’esistenza di un’intenzione comune di tali imprese di costituire il PLP quale programma comune di concessione di licenze diretto a ridistribuire royalties o a condividere i profitti.

99      Ne consegue che la Commissione, conformemente alla giurisprudenza citata ai precedenti punti 40 e 44, ha esaminato attentamente tutti gli elementi di fatto e di diritto e non è incorsa in errori di diritto o in errori manifesti di valutazione nel concludere che vi fossero scarse probabilità di dimostrare una violazione dell’articolo 101 TFUE (punto 97 della decisione impugnata) e che le risorse necessarie per verificare l’eventuale esistenza di una siffatta violazione sarebbero notevoli e sproporzionate, tenuto conto della necessità di condurre un’analisi dettagliata di dati (punti 98 e 103 della decisione impugnata).

100    Il terzo motivo dev’essere, pertanto, parimenti respinto in quanto infondato.

101    Alla luce di tutto quanto precede, la Commissione non è incorsa in errori manifesti di valutazione o in errori di diritto nel concludere, applicando il proprio potere discrezionale di stabilire priorità nel trattamento delle denunce, che vi erano scarse probabilità che le presunte violazioni potessero essere accertate e che l’investimento di ulteriori risorse per la prosecuzione dell’esame della denuncia era sproporzionato e contrario all’interesse dell’Unione (punti 86, 97, 98 e 104 della decisione impugnata).

102    Il ricorso dev’essere, di conseguenza, integralmente respinto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità della relazione tecnica, allegata alla replica.

 Sulle spese

103    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

104    In applicazione dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, l’interveniente sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Design Light & Led Made in Europe e la Design Luce & Led Made in Italy sono condannate alle spese.

3)      La Signify Holding BV sopporterà le proprie spese.

Kreuschitz

Steinfatt

Kecsmár

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 luglio 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

S. Papasavvas


Indice


Fatti

Sulle ricorrenti e sulla loro denuncia

Decisione impugnata

Probabilità di accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 102 TFUE

Probabilità di accertare l’esistenza di una violazione dell’articolo 101 TFUE

Portata delle indagini necessarie

Conclusione

Conclusioni delle parti

In diritto

Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 105 TFUE

Sulla ricevibilità del primo motivo

Sulla fondatezza del primo motivo

Sul secondo e sul terzo motivo, vertenti, rispettivamente, sulla violazione dell’articolo 101 e dell’articolo 102 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 105 TFUE

Osservazioni preliminari

Sulla probabilità di accertare una violazione dell’articolo 102 TFUE e sulle risorse necessarie a tal fine (secondo motivo)

– Sulla constatazione di una posizione dominante della Philips (prima parte)

– Sulla dimostrazione del carattere abusivo del comportamento della Philips (seconda parte)

Sulla probabilità di accertare una violazione dell’articolo 101 TFUE e sulle risorse necessarie a tal fine (terzo motivo)

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’italiano.