Language of document : ECLI:EU:C:2001:329

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

F.G. JACOBS

presentate il 14 giugno 2001 (1)

Causa C-377/98

Regno dei Paesi Bassi

contro

Parlamento europeo e Consiglio dell'Unione europea

1.
    Nella presente causa, i Paesi Bassi hanno proposto un ricorso in forza dell'art. 173 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE), chiedendo l'annullamento della direttiva 98/44 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (GU L 213, pag. 13) (2).

La direttiva

2.
    Il capitolo I (artt. 1-7) della direttiva è intitolato «Brevettabilità».

3.
    La direttiva impone agli Stati membri di proteggere le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti (3). Sebbene le «invenzioni biotecnologiche» non vengano definite, è chiaro che la nozione comprende essenzialmente le invenzioni aventi ad oggetto «un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico» (4) e quelle aventi ad oggetto «un procedimento microbiologico o altri procedimenti tecnici ovvero un prodotto ottenuto direttamente attraverso siffatti procedimenti» (5). I «procedimenti microbiologici» vengono definiti come «qualsiasi procedimento nel quale si utilizzi un materiale microbiologico, che comporta un intervento su materiale microbiologico, o che produce un materiale microbiologico» (6). Il «materiale biologico» viene definito come «un materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico» (7). Un materiale biologico che viene isolato dal suo ambiente naturale o viene prodotto tramite un procedimento tecnico può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale (8); analogamente, un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale (9).

4.
    La direttiva dispone che non sono brevettabili: i) le varietà vegetali e le razze animali (10); ii) i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali o di animali (11); iii) il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione edel suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene (12), e iv) le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume (13). Esempi di quest'ultimo genere sono a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; b) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano; c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali; d) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti (14).

5.
    Il capitolo II della direttiva (artt. 8-11) ha ad oggetto l'ambito della protezione conferita da un brevetto. Il capitolo III (art. 12) riguarda le licenze obbligatorie dipendenti (15). Il capitolo IV (artt. 13 e 14) riguarda il deposito, l'accesso e il nuovo deposito di materiale biologico. Il capitolo V (artt. 15-18) contiene disposizioni finali. In prosieguo farò riferimento alle disposizioni dei suddetti capitoli, ove necessario.

6.
    La direttiva ha una storia relativamente lunga, sebbene la versione adottata in definitiva abbia percorso l'iter legislativo con impressionante velocità.

7.
    Nel 1988, la Commissione ha presentato la sua prima proposta di direttiva del Consiglio sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (16). La proposta di direttiva partiva dalla premessa che «[l]'oggetto di un'invenzione non può ritenersi escluso dalla brevettabilità unicamente per il fatto di essere composto di sostanze viventi» (17). Da ultimo tale proposta non è stata accolta, principalmente a causa della resistenza del Parlamento contro una disciplina che non formulava principi etici di base in materia di concessione di brevetti aventi ad oggetto materia vivente.

8.
    Nel 1996, la Commissione ha presentato una nuova proposta (18). Dopo l'introduzione di modifiche sostanziali proposte dal Parlamento, la direttiva è stata adottata il 6 luglio 1998. I Paesi Bassi hanno votato contro la direttiva; l'Italia e ilBelgio si sono astenuti. La direttiva avrebbe dovuto essere messa in vigore dagli Stati membri entro il 30 luglio 2000 (19).

9.
    Il preambolo della direttiva adottata comprende 56 'considerando‘ (20), non tutti sostanziali, per un corpo di soli 18 articoli. Molti 'considerando‘ sono chiaramente intesi a rispondere alle obiezioni mosse dal Parlamento sia alla proposta del 1996 che a quella del 1988. Non tutti i 'considerando‘ trovano espressione negli articoli della direttiva. Analizzerò i 'considerando‘ e le disposizioni sostanziali più avanti, nel contesto dei vari capi del ricorso dei Paesi Bassi.

Il ricorso d'annullamento

10.
    I Paesi Bassi hanno contestato la validità della direttiva. Dal ricorso emerge chiaramente che l'obiezione riguarda in sostanza il principio secondo cui piante, animali e parti del corpo umano sono brevettabili. I Paesi Bassi ritengono che il diritto di brevetto nel campo della biotecnologia dovrebbe essere limitato al procedimento biotecnologico e non esteso ai prodotti con esso ottenuti: in altre parole, non dovrebbero essere brevettabili né le piante e gli animali in quanto tali, compresi piante ed animali geneticamente modificati, né il materiale biologico umano.

11.
    I motivi dedotti a sostegno della domanda di annullamento della direttiva sono i seguenti: i) la direttiva si basa erroneamente sull'art. 100 A del Trattato; ii) è in contrasto con il principio di sussidiarietà; iii) viola il principio della certezza del diritto; iv) è incompatibile con gli obblighi internazionali; v) lede diritti fondamentali, e vi) non è stata adottata in modo regolare in quanto la versione definitiva della proposta presentata al Parlamento e al Consiglio non è stata approvata con decisione del collegio dei Commissari.

12.
    Come si vedrà, alcuni dei predetti motivi riguardano l'interpretazione e l'effetto della direttiva in settori tecnici: ad esempio, il secondo capo del terzo motivo mette in discussione la portata del divieto di brevettabilità di varietà vegetali e di razze animali. Altri motivi sollevano questioni sostanziali di più ampia portata, quali la compatibilità della direttiva con la tutela di diritti fondamentali e con altri obblighi internazionali. Infine, il primo, secondo e sesto motivo riguardano questioni più formali, relative all'adozione della direttiva. Anche questi ultimi, tuttavia, implicano importanti questioni di principio: uno degli argomenti dedotti nell'ambito del motivo concernente il corretto fondamento giuridico, ad esempio, solleva la questione se la direttiva, istituendo un «brevetto sulla vita», costituiscaun nuovo diritto di proprietà intellettuale. Propongo di esaminare i motivi di annullamento nell'ordine in cui li hanno presentati i Paesi Bassi nel loro ricorso, anche se sarebbero possibili altre impostazioni.

13.
    I Paesi Bassi sono sostenuti dall'Italia (le cui osservazioni scritte si concentrano sul primo e sul terzo motivo d'annullamento) e dalla Norvegia (le cui osservazioni riguardano essenzialmente il primo, il terzo ed il quarto motivo). Il Parlamento e il Consiglio sono sostenuti dalla Commissione (le cui osservazioni si limitano al sesto motivo).

14.
    A questo punto occorre menzionare due questioni di carattere procedurale.

15.
    In primo luogo, il 6 luglio 2000 i Paesi Bassi hanno presentato una domanda di provvedimenti provvisori, chiedendo principalmente la sospensione dell'esecuzione della direttiva sino a che la Corte non si fosse pronunciata sul ricorso d'annullamento. Il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno presentato osservazioni scritte sulla domanda di provvedimenti provvisori. Il 18 luglio 2000 si è tenuta un'udienza cui erano presenti i Paesi Bassi, il Parlamento e il Consiglio, nonché l'Italia e la Commissione, entrambe ammesse ad intervenire. La domanda di provvedimenti provvisori è stata respinta con ordinanza del Presidente della Corte 25 luglio 2000.

16.
    In secondo luogo, il Consiglio ed il Parlamento contestano in limine la ricevibilità della memoria d'intervento della Norvegia. L'art. 37 dello Statuto della Corte esige che l'istanza d'intervento proposta da uno Stato che abbia sottoscritto l'accordo sullo Spazio economico europeo si limiti all'adesione alle conclusioni di una delle parti. Analogamente, l'art. 93, n. 5, lett. a), del regolamento di procedura della Corte dispone che la memoria d'intervento deve contenere le conclusioni dell'interveniente dirette al sostegno o al rigetto, totale o parziale, delle conclusioni di una delle parti. Nella specie, i Paesi Bassi chiedono l'annullamento della direttiva. Nell'introduzione della sua memoria d'intervento, la Norvegia afferma che i Paesi Bassi «sollevano vari problemi che potrebbero incidere sulla questione se la direttiva rientri o meno nell'ambito dell'accordo SEE e sulla sua trasposizione in detto accordo». Nell'istanza non si precisa che la Norvegia interviene a sostegno delle conclusioni dei Paesi Bassi. La conclusione di detta istanza è cosi formulata:

«Varie questioni sollevate dal governo dei Paesi Bassi nel suo ricorso d'annullamento contro la direttiva 98/44/CE potrebbero avere un'incidenza sulla questione se la direttiva rientri o meno nell'ambito dell'accordo SEE e sulla sua trasposizione in detto accordo. La Norvegia, pertanto, chiede rispettosamente che la Corte voglia tenere in debita considerazione gli argomenti sopra esposti».

17.
    Il Consiglio aggiunge che, in ogni caso, le osservazioni svolte dalla Norvegia nella memoria d'intervento sono state ampiamente superate dai fatti, in quanto l'art. 3, n. 4, del protocollo 28 dell'accordo SEE impone agli Stati EFTA di conformare il loro ordinamento alle disposizioni sostanziali della convenzione sulbrevetto europeo e tali disposizioni attualmente comprendono le norme della direttiva (v. infra).

18.
    Non condivido la tesi del Consiglio e del Parlamento secondo cui la memoria d'intervento della Norvegia sarebbe irricevibile. La Norvegia ha espressamente dichiarato nella sua istanza che intendeva intervenire a sostegno dei Paesi Bassi. Dalla memoria d'intervento emerge chiaramente, anche se non viene affermato esplicitamente, che la Norvegia sostiene gli argomenti dei Paesi Bassi secondo cui l'art. 100 A non costituiva il fondamento giuridico corretto della direttiva, che quest'ultima viola il principio della certezza del diritto e che è incompatibile con la convenzione sulla diversità biologica. Vi si afferma inoltre che conseguenza di tale incompatibilità, a parere della Norvegia, è che la direttiva andrebbe «revocata», termine che può essere interpretato come «annullata», e che la conseguenza della violazione del principio della certezza del diritto è che la direttiva dev'essere annullata. Pertanto, ritengo che la memoria d'intervento della Norvegia sia ricevibile.

Il contesto della direttiva - il diritto dei brevetti

19.
    Il brevetto è un diritto conferito ad un inventore su una specifica invenzione, che gli consente di impedire ad altri di realizzare, utilizzare o vendere l'invenzione per tutta la durata del brevetto. La maggior parte degli ordinamenti giuridici sviluppati ha istituito da tempo un regime dei diritti di brevetto. Il primo brevetto inglese conosciuto, ad esempio, fu rilasciato da Enrico VI ad un tale John di Utyam, di origine fiamminga, nel 1449. Il brevetto conferiva un monopolio ventennale su un metodo di produzione del vetro colorato, necessario per le finestre del collegio di Eton, in precedenza sconosciuto in Inghilterra.

20.
    I moderni regimi dei brevetti tendenzialmente prescrivono requisiti più o meno uniformi per il rilascio di brevetti. Esempi di tali requisiti sono riscontrabili nella convenzione sul brevetto europeo, entrata in vigore nel 1978. Sebbene detta convenzione non costituisca una fonte di diritto comunitario (21), poiché tutti gli Stati membri l'hanno sottoscritta, essa di fatto unifica le condizioni per il rilascio di brevetti in tutta l'Unione.

21.
    La convenzione istituisce un «diritto comune agli Stati contraenti in materia di concessione di brevetti per invenzioni» (22). Il brevetto concesso a norma della convenzione è denominato brevetto europeo e, in ciascuno degli Stati contraenti per i quali esso è concesso (23), ha gli stessi effetti ed è soggetto alle medesimeregole di un brevetto nazionale concesso in questo Stato (24). La tutela dei brevetti concessi ai sensi della convenzione è quindi disciplinata non dalla convenzione, bensì dal diritto e secondo le procedure nazionali.

22.
    I brevetti europei sono concessi per le invenzioni nuove che implicano un'attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale (25). Tuttavia, non vengono concessi brevetti europei per:

«a)    le invenzioni la cui pubblicazione o la cui attuazione sarebbe contraria all'ordine pubblico o al buon costume; l'attuazione di un'invenzione non può essere considerata contraria all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che essa è vietata in tutti gli Stati contraenti o in parte di essi da una disposizione legale o amministrativa;

b)    le varietà vegetali o le razze animali come pure i procedimenti essenzialmente biologici per l'ottenimento di vegetali o di animali; questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici e ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti» (26).

23.
    Gli stessi criteri vengono impiegati per definire l'oggetto del brevetto nell'ambito dell'accordo TRIPs (27), sebbene le eccezioni alla brevettabilità siano ivi previste come facoltative.

24.
    Altro elemento comune dei moderni regimi dei brevetti è il requisito per cui la domanda di brevetto deve descrivere l'invenzione in un modo sufficientemente chiaro e completo perché una persona esperta del ramo possa attuarla (28). La descrizione deve indicare dettagliatamente almeno un modo di attuazione dell'invenzione per la quale la protezione è richiesta e indicare in qual modo l'invenzione è atta ad avere un'applicazione industriale (29). Poiché le domande dibrevetto normalmente vengono pubblicate (30), le conoscenze di pubblico dominio aumentano con ciascun brevetto. Sebbene tali conoscenze, ovviamente, non possano essere usate da terzi per riprodurre l'invenzione per tutta la durata del brevetto, in quanto ciò normalmente costituisce contraffazione, esse possono tuttavia essere sviluppate e condurre a nuove invenzioni.

25.
    Una volta concesso, un brevetto conferisce al titolare solo il diritto di impedire a terzi di realizzare, utilizzare o vendere l'invenzione brevettata nel territorio in cui il brevetto è valido. Esso non attribuisce alcun diritto di proprietà in quanto tale, né alcun diritto esclusivo di fabbricazione o altra forma di sfruttamento dell'invenzione. Pertanto, il titolare di un brevetto deve comunque osservare il diritto nazionale allorché realizza, usa o vende la sua invenzione (31). Egli, ad esempio, può essere tenuto ad ottenere una licenza o un'autorizzazione; egli può persino brevettare un'invenzione (un tipo di arma, ad esempio) di cui il diritto nazionale vieta la realizzazione, l'uso o la vendita.

26.
    Un esempio può chiarire questo punto. Supponiamo che venga brevettato un tipo avanzato di fotocopiatrice che, grazie alle sue elevate prestazioni, sarebbe in grado di stampare banconote contraffatte di alta qualità. L'esistenza di un brevetto (che potrebbe essere concesso ai sensi della maggior parte dei regimi dei brevetti, compresa la convenzione sul brevetto europeo, partendo dal presupposto che non tutti gli impieghi dell'invenzione sono contrari all'ordine pubblico o al buon costume (32)) ovviamente non legittimerebbe tale impiego.

27.
    Di norma, solo lo sfruttamento per fini industriali o commerciali costituisce contraffazione di brevetto, e le normative sui brevetti precisano che determinati atti non costituiscono contraffazione. L'uso sperimentale è una di tali eccezioni: gli esperimenti mirati a perfezionare, migliorare o sviluppare invenzioni protette non costituiscono violazioni del brevetto.

Il contesto della direttiva - la biotecnologia

28.
    L'edizione 1993 dello Shorter Oxford English Dictionary definisce la «biotecnologia» (33) come «l'applicazione industriale di procedimenti biologici». L'Enciclopedia britannica la definisce come «l'applicazione all'industria di progressi realizzati nelle tecniche e negli strumenti di ricerca nelle scienze biologiche». Ai finidella convenzione sulla diversità biologica (34) essa viene definita come «tutte le applicazioni tecnologiche che utilizzano sistemi biologici, organismi viventi o loro derivati, per realizzare o modificare prodotti o procedimenti ad uso specifico» (35).

29.
    La biotecnologia in tale senso ampio è vecchia quanto il pane, il vino, la birra e il formaggio. Storicamente le invenzioni biotecnologiche, come i processi che utilizzano i lieviti e la fermentazione (36), sono stati considerati tipici oggetti di brevetto (37): non esistevano quindi divieti generali di brevetto che avessero ad oggetto questi tipi base di materiale vivente, anche se materiale vivente più sofisticato di regola non era brevettabile per disposizione espressa o per giurisprudenza.

30.
    La biotecnologia nel moderno senso di manipolazione genetica è stata resa possibile dai notevoli progressi della biochimica, della biologia molecolare e della genetica nella seconda metà del ventesimo secolo. La scoperta, nel 1953, della struttura del DNA ad opera di Francis Crick e James Watson (38) ha aperto la strada ad ulteriori scoperte. Ciascuna molecola di DNA è strutturata come una doppia elica, o come una coppia di spirali, legata da basi, di cui esistono quattro tipi. Il nucleo di una cellula contiene vari filamenti di DNA, detti cromosomi. Il gene è un segmento di cromosoma, e quindi un pezzo di DNA, che contiene le istruzioni necessarie per produrre una parte di proteina. La sequenza delle basi del DNA contenuto in una cellula costituisce il codice genetico di quella cellula. Le cellule hanno bisogno di vari tipi di proteine per svilupparsi e funzionare. Ai geni si deve la produzione di particolari proteine, con una loro specifica funzione, nelle cellule viventi. Nel trasmettere le informazioni ad una cellula su come produrre unadeterminata proteina, parte dell'elica del DNA è temporaneamente «aperta» (i due filamenti sono cioè separati) affinché un'impronta del suo codice possa essere copiata in una molecola di RNA (acido ribonucleico). Tale copia esce dal nucleo e dà alla cellula le istruzioni necessarie per sintetizzare una determinata proteina o una parte di proteina.

31.
    Il DNA è presente in tutti gli organismi (eccettuati alcuni virus); è quindi possibile trasferire un gene tra specie non correlate e addirittura tra generi e ordini diversi, ad esempio tra piante, batteri, esseri umani e altri animali. In linea di principio, quindi, qualsiasi caratteristica genetica di un organismo può essere trasferita ad un altro organismo.

32.
    Negli anni '70 venne scoperto un metodo per estrarre specifici geni e parti di geni da cromosomi mediante enzimi di restrizione (39), che come forbici biologiche tagliano un frammento di DNA dalle cellule. Il DNA può quindi essere inserito in cellule di batteri, di virus o di lievito mediante un procedimento di laboratorio. Di conseguenza, è possibile trasferire un singolo gene (o più geni) da un organismo all'altro; il DNA viene in tal modo ricomposto. Clonando il frammento di DNA importato, si possono moltiplicare in quantità enormi le cellule che incorporano il DNA alieno.

33.
    Questo tipo di ingegneria genetica di ricomposizione del DNA ha reso possibili alcuni procedimenti di indubbio beneficio per l'umanità (40), quali la produzione su vasta scala di insulina per la cura del diabete (41), dell'interferone e di altri farmaci per la cura di taluni tipi di cancro, di vaccini contro malattie come l'epatite B, dell'ormone umano della crescita per la cura di alcune forme di nanismo, nonché del fattore di coagulazione mancante negli emofiliaci.

34.
    Il trasferimento di uno o più geni rappresenta un diverso metodo di tecnologia genetica. Segmenti di DNA contenenti un gene o più geni specifici vengono dapprima isolati come sopra descritto e poi incorporati nel DNA di un uovo fecondato o, più tardi, in cellule embrionali. Il nuovo gene sarà presente nell'organismo adulto e verrà ereditato da alcuni discendenti di tale organismo.

35.
    La clonazione è un procedimento con cui il nucleo di un uovo non fecondato viene rimosso e sostituito con il nucleo di una cellula somatica (ossia una cellula proveniente da un animale o da una pianta diversi dalle cellule riproduttive),che contiene tutto il materiale genetico. Se l'uovo così trattato sopravvive e si sviluppa, l'animale risultante sarà un clone genetico dell'animale da cui è stata prelevata la cellula somatica.

36.
    L'industria biotecnologica ha iniziato a svilupparsi davvero dopo una sentenza del 1980 in cui la Supreme Court degli Stati Uniti ha dichiarato che «un microorganismo vivente derivato dall'uomo può essere oggetto di brevetto» (42). La causa aveva ad oggetto l'invenzione di un batterio geneticamente modificato tratto dall'uomo e in grado di scomporre il petrolio greggio. La Supreme Court ha dichiarato (con una maggioranza di cinque a quattro) che il microorganismo costituiva un «prodotto» o una «composizione di materia» ai sensi del Patent Act del 1952 (43). La Supreme Court ha rilevato che dalle relazioni della commissione sull'Act del 1952 emergeva che il Congresso intendeva estendere la portata della legge a «tutto ciò che al mondo sia opera dell'uomo» (44).

37.
    Tale sentenza ha aperto la strada alla costituzione di numerose imprese commerciali che producono in quantità rilevante sostanze geneticamente modificate, soprattutto per impieghi medici ed ecologici.

38.
    Negli anni '80 l'università di Harvard ha presentato una domanda di brevetto ai sensi della convenzione sul brevetto europeo relativamente ad un topo geneticamente modificato in cui era stata inserita una sequenza di geni che lo rendevano più predisposto a contrarre malattie tumorali. Nel 1990, la commissione tecnica di ricorso dell'Ufficio europeo dei brevetti ha dichiarato che l'eccezione alla brevettabilità di cui all'art. 53, lett. b), della convenzione sul brevetto europeo (45) riguardava alcune categorie di animali ma non gli animali in quanto tali: essa ha rilevato che l'art. 53, lett. b), in quanto eccezione, dev'essere interpretato restrittivamente. Il brevetto è stato quindi concesso (46).

39.
    Gli sviluppi dell'ingegneria genetica hanno destato preoccupazione in molti ambienti. E' chiaro che una tecnologia che consente di modificare la struttura genetica di animali ed essere umani e che è potenzialmente in grado di creare cloni umani richiede un'attenta regolamentazione. Buona parte dei comprensibili timoricirca le conseguenze di ricerche non sufficientemente regolamentate in questo settore si è riversata sulla legislazione, di cui la direttiva fa parte, che disciplina la brevettabilità di tali invenzioni. Molti osservatori partono dal presupposto che tale legislazione fa sì che ora ogni gene o sequenza di geni, e persino l'intero genoma umano, possono essere automaticamente brevettati. Tale presupposto è errato. La direttiva non modifica i classici requisiti per il rilascio di un brevetto della novità, dell'inventiva e dell'applicazione industriale (47). La mera scoperta di un gene o di una sequenza di geni non è più brevettabile sotto il regime della direttiva di quanto non lo fosse prima dell'adozione di quest'ultima.

Gli argomenti relativi al fondamento giuridico

40.
    La direttiva si basa sull'art. 100 A del Trattato (divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE), il cui n. 1 impone al Consiglio di adottare, a maggioranza qualificata e in conformità della procedura di codecisione prevista all'art. 189 B (divenuto art. 250 CE), le misure relative al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno.

41.
    I Paesi Bassi, sostenuti dall'Italia, affermano che l'art. 100 A non costituisce il corretto fondamento giuridico della direttiva per vari motivi e che, se si ritenesse necessario regolamentare le invenzioni biotecnologiche, si dovrebbe applicare l'art. 235 del Trattato CE (divenuto art. 308 CE), che richiede l'unanimità.

I 'considerando‘ e le disposizioni della direttiva pertinenti

42.
    Il preambolo della direttiva comprende i seguenti 'considerando‘:

«(1)    considerando che la biotecnologia e l'ingegneria genetica stanno acquisendo una funzione crescente in una vasta gamma di attività industriali; che la protezione delle invenzioni biotecnologiche assumerà indubbiamente un'importanza fondamentale per lo sviluppo industriale della Comunità;

considerando che, soprattutto nel campo dell'ingegneria genetica, la ricerca e lo sviluppo esigono una notevole quantità di investimenti ad alto rischio che soltanto una protezione giuridica adeguata può consentire di rendere redditizi;

considerando che una protezione efficace e armonizzata in tutti gli Stati membri è essenziale al fine di mantenere e promuovere gli investimenti nel settore della biotecnologia;

[...]

(5)    considerando che nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche esistono divergenze tra le legislazioni e le pratiche dei diversi Stati membri; che tali disparità creano ostacoli agli scambi e costituiscono quindi un ostacolo al funzionamento del mercato interno;

(6)    considerando che dette divergenze potrebbero accentuarsi con l'adozione, da parte degli Stati membri, di nuove e divergenti legislazioni e prassi amministrative o con la diversa evoluzione delle giurisprudenze nazionali su tali legislazioni;

(7)    considerando che uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche nella Comunità rischia di disincentivare maggiormente gli scambi commerciali a scapito dello sviluppo industriale di tali invenzioni e del corretto funzionamento del mercato interno;

(8)    considerando che la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche non richiede la creazione di un diritto specifico che si sostituisca al diritto nazionale in materia di brevetti; che il diritto nazionale in materia di brevetti rimane il riferimento fondamentale per la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ma che deve essere adeguato o completato su taluni punti specifici, in conseguenza dei nuovi ritrovati tecnologici che utilizzano materiali biologici e che possiedono comunque i requisiti di brevettabilità;

(9)    considerando che, in casi come quello dell'esclusione dalla brevettabilità di varietà vegetali e razze animali o di procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali o animali, alcune nozioni delle legislazioni nazionali, basate su alcune convenzioni internazionali in materia di brevetti e varietà vegetali, hanno dato luogo ad una situazione di incertezza per quanto riguarda la protezione delle invenzioni biotecnologiche e di alcune invenzioni microbiologiche; che per dissipare tali incertezze occorre un'armonizzazione in questo settore;

[...]

(14)    considerando che un brevetto di invenzione non autorizza il titolare ad attuare l'invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare ai terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali e che, di conseguenza, il diritto dei brevetti non può sostituire né rendere superflue le legislazioni nazionali, europee o internazionali che fissino eventuali limiti o divieti, o dispongano controlli sulla ricerca e sull'utilizzazione o sulla commercializzazione dei suoi risultati, con particolare riguardo alle esigenze di sanità pubblica, sicurezza, tutela dell'ambiente, protezione degli animali, conservazione della diversità genetica e relativamente all'osservanza di alcune norme etiche».

43.
    L'art. 1 della direttiva dispone quanto segue:

«1.    Gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva.

La presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da accordi internazionali, in particolare dall'accordo TRIPS e dalla Convenzione sulla diversità biologica».

44.
    L'art. 11 della direttiva così recita:

«1.    In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un'altra forma di commercializzazione di materiale di riproduzione di origine vegetale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore a fini di sfruttamento agricolo implica l'autorizzazione per l'agricoltore ad utilizzare il prodotto del raccolto per la riproduzione o la moltiplicazione in proprio nella propria azienda; l'ambito e le modalità di questa deroga corrispondono a quelli previsti dall'articolo 14 del regolamento (CE) n. 2100/94.

2.    In deroga agli articoli 8 e 9, la vendita o un'altra forma di commercializzazione di bestiame di allevamento o di altro materiale di riproduzione di origine animale, da parte del titolare del brevetto o con il suo consenso, ad un agricoltore implica l'autorizzazione per quest'ultimo ad utilizzare il bestiame protetto per uso agricolo. Tale autorizzazione include la messa a disposizione dell'animale o di altro materiale di riproduzione di origine animale per la prosecuzione della propria attività agricola, ma non la vendita nell'ambito o ai fini di un'attività di riproduzione commerciale.

3.    L'ambito e le modalità di applicazione della deroga di cui al paragrafo 2 sono disciplinati dalle disposizioni legislative e regolamentari e dalle prassi nazionali».

Gli argomenti secondo cui non è stata dimostrata l'esistenza di ostacoli agli scambi commerciali

45.
    In primo luogo, i Paesi Bassi sostengono che, quand'anche si ammettesse - come dichiarato nel quinto e sesto 'considerando‘ del preambolo - che esistono divergenze effettive o potenziali tra le legislazioni nazionali nel settore della protezione delle invenzioni biotecnologiche, non è stato tuttavia dimostrato che tali differenze di fatto ostacolino o possano ostacolare gli scambi commerciali. Quand'anche così fosse, tali ostacoli riguarderebbero il commercio con gli Stati Uniti e il Giappone, in cui la produzione e la tutela di invenzioni biotecnologiche sono più avanzate, e non il mercato interno. In mancanza di una provadell'esistenza di divergenze tra le legislazioni nazionali o di effetti sugli scambi, l'armonizzazione mediante direttiva non è giustificata.

46.
    Il Consiglio ed il Parlamento si richiamano alla sentenza Spagna/Consiglio (48) in cui la Corte ha dichiarato che il ricorso all'art. 100 A è legittimo qualora siano necessarie «misure di armonizzazione nei settori ove sussiste il rischio che dette disparità creino o mantengano in essere condizioni di concorrenza falsate [o] nella misura in cui tali disparità rischino di ostacolare la libera circolazione delle merci all'interno della Comunità». In detta causa, la Corte ha confermato la validità di un regolamento sull'istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (49) adottato in base all'art. 100 A. La Corte ha rilevato che, secondo il Consiglio, alla data di adozione del regolamento controverso erano in vigore in due Stati membri e allo stadio di progetto in un ulteriore Stato membro disposizioni relative alla creazione di un certificato protettivo complementare per i medicinali. Il regolamento istituiva precisamente una soluzione uniforme a livello comunitario (50). Esso mirava dunque a «prevenire un'evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali che comport[asse] ulteriori differenze tali da ostacolare la libera circolazione dei medicinali all'interno della Comunità e da incidere, di conseguenza, direttamente sulla creazione e sul funzionamento del mercato interno» (51).

47.
    Rilevo che i predetti principi sanciti con la sentenza Spagna/Consiglio sono stati più recentemente ridefiniti dalla Corte nella sentenza Germania/Parlamento e Consiglio (52). In detta sentenza la Corte ha dichiarato che se il ricorso all'art. 100 A come fondamento giuridico è possibile al fine di prevenire l'insorgere di futuri ostacoli agli scambi dovuti all'evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali, tuttavia l'insorgere di tali ostacoli dev'essere probabile e la misura di cui trattasi deve avere per oggetto la loro prevenzione (53). Quanto all'effetto della misura sulla concorrenza, la Corte ha dichiarato che occorre verificare se le distorsioni della concorrenza che l'atto è volto ad eliminare siano «sensibili» (54) e quindi se la misura contribuisca effettivamente all'eliminazione di sensibili distorsioni della concorrenza (55). Per quanto riguarda l'effetto della misura sulla libera circolazionedelle merci, la Corte sembra essere stata meno perentoria: è sufficiente che «poss[ano] verosimilmente insorgere ostacoli alla libera circolazione» (56). Sebbene fosse provato che all'epoca dei fatti non esisteva alcun ostacolo, la Corte ha riconosciuto che «data l'evoluzione delle legislazioni nazionali [...] è verosimile che in futuro possano insorgere ostacoli alla libera circolazione dei prodotti» (57) e che l'art. 100 A potrebbe consentire in linea di principio l'adozione di una misura di armonizzazione (58).

48.
    A partire dalle prime fasi di sviluppo del diritto comunitario, la Corte ha chiarito che, in mancanza di armonizzazione, il carattere nazionale della tutela della proprietà industriale e le divergenze tra le relative legislazioni possono creare ostacoli, sia alla libera circolazione dei prodotti brevettati, sia al gioco della concorrenza all'interno del mercato comune (59). Inoltre, ha costantemente riconosciuto che in materia di brevetti, oggetto specifico della proprietà è il fatto che venga garantito al titolare, per compensare lo sforzo creativo concretatosi nell'invenzione, il diritto esclusivo di valersi di questa per la produzione e la prima immissione in commercio di beni industriali, nonché il diritto di opporsi alle contraffazioni (60). I brevetti promuovono quindi la concorrenza attraverso l'innovazione. In realtà, i Paesi Bassi riconoscono implicitamente questo fatto allorché rilevano che la produzione di invenzioni biotecnologiche è più avanzata negli Stati Uniti e in Giappone dove, come ho già accennato, le invenzioni biotecnologiche sono brevettabili, rispettivamente, già dal 1980 e dal 1981 (61). Legislazioni nazionali eterogenee e potenzialmente o effettivamente divergenti in materia di tutela, brevettabilità, portata della tutela, deroghe e limiti sono chiaramente atte a falsare la concorrenza nella Comunità e ad ostacolare la libera circolazione delle merci. Gradi diversi di protezione di uno stesso prodotto determinerebbero la frammentazione del mercato in mercati nazionali, in alcuni dei quali il prodotto sarebbe tutelato, e in altri no; il mercato comune non costituirebbe un ambiente unico per le attività economiche delle imprese. La Corte ha espressamente riconosciuto questo fatto nel contesto dei diritti di proprietà intellettuale (62).

49.
    Pertanto, concludo nel senso che il Consiglio e il Parlamento erano legittimati a ritenere che fosse necessaria una misura di armonizzazione per correggere le divergenze esistenti tra le legislazioni degli Stati membri in materia di tutela delle invenzioni biotecnologiche.

50.
    Per quanto riguarda l'argomento dei Paesi Bassi secondo cui la direttiva è intesa in particolare a rendere l'industria europea più competitiva rispetto a quella statunitense e giapponese, condivido il parere del Parlamento secondo cui è conforme all'art. 100 A l'idea che l'armonizzazione perseguita debba migliorare la posizione concorrenziale delle imprese europee sul mercato mondiale. Sebbene tale obiettivo possa essere considerato come un obiettivo di politica industriale, non ho dubbi ch'esso possa legittimamente ispirare l'azione della Comunità. Si potrebbe affermare che su considerazioni analoghe si fonda l'intero programma del mercato interno, quale concepito nel 1985: si è detto spesso che è stata proprio la concorrenza sui mercati mondiali a motivare tale progetto. Rilevo inoltre che il Trattato CE attualmente (63) contiene un titolo relativo all'industria a norma del quale l'azione della Comunità e degli Stati membri è intesa a «favorire un migliore sfruttamento del potenziale industriale delle politiche d'innovazione, di ricerca e di sviluppo tecnologico» (art. 130, n. 1, divenuto art. 157, n. 1, CE). All'art. 130 , n. 3, del Trattato CE (divenuto art. 157, n. 3, CE) si afferma inoltre che la Comunità «contribuisce alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1 attraverso politiche ed azioni da essa attuate ai sensi di altre disposizioni del presente Trattato».

L'argomento secondo cui l'armonizzazione a livello comunitario è inadeguata ed inefficace

51.
    Il secondo argomento dei Paesi Bassi si basa sul fatto che il nono 'considerando‘ del preambolo fa riferimento all'incertezza causata da alcune convenzioni internazionali in materia di brevetti e di varietà vegetali quale giustificazione dell'armonizzazione. I Paesi Bassi sostengono che tale armonizzazione non compete all'Unione europea. Per vari motivi sarebbe stato preferibile procedere all'armonizzazione modificando la convenzione sul brevetto europeo, il che avrebbe consentito di raggiungere un'armonizzazione più completa in quanto di tale convenzione sono parti contraenti anche Stati diversi dagli Stati membri (64). Attualmente, la convenzione incorpora la direttiva (mediante norme di trasposizione approvate dal Consiglio di amministrazione dell'Ufficio europeo deibrevetti (65)), la quale vincola pertanto quegli Stati contraenti che non fanno parte dell'Unione europea. Tale procedura non trova applicazione nelle relazioni esterne dell'Unione con altri Stati europei.

52.
    Questo argomento a mio parere non è pertinente, anche se, come rileva il Consiglio, esso sembra riconoscere implicitamente la necessità di un'armonizzazione nel settore. Tuttavia, è chiaro che nell'ambito del mercato interno solo la legislazione comunitaria può garantire armonizzazione ed uniformità d'interpretazione. L'armonizzazione a livello comunitario non di rado avviene sullo sfondo di convenzioni internazionali a cui aderiscono sia gli Stati membri dell'Unione che paesi terzi: nel settore della proprietà intellettuale, ad esempio, la direttiva sui marchi (66) si sovrappone in una certa misura ad accordi precedenti quali la convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale (67) e l'accordo di Madrid sulla registrazione internazionale dei marchi (68). L'esistenza di tale contesto, tuttavia, non priva le istituzioni comunitarie della competenza loro conferita dal Trattato in questo settore.

53.
    Condivido inoltre il parere del Parlamento secondo cui, in ogni caso, la modifica della convenzione, quand'anche risultasse possibile, considerando la complessa procedura (69) ed il coinvolgimento di paesi terzi, non garantirebbe l'armonizzazione in particolare per due motivi. In primo luogo, a livello di procedure nazionali di annullamento di brevetti europei emergerebbero divergenze d'interpretazione, mentre ai sensi della direttiva i giudici nazionali possono sottoporre questioni interpretative alla Corte. In secondo luogo, la convenzione non riguarda la portata della tutela garantita da un brevetto, che è fondamentale in materia di biotecnologia ed è disciplinata dal diritto nazionale. Queste osservazioni forniscono inoltre ulteriore sostegno alla tesi secondo cui la convenzione non solo «non garantisce l'armonizzazione», ma è semplicemente irrilevante per questoaspetto della direttiva, giacché settori importanti del diritto dei brevetti disciplinati dalla direttiva esulano dal suo campo di applicazione.

54.
    Quanto al fatto , criticato dai Paesi Bassi, che la convenzione sul brevetto europeo attualmente incorpora alcune disposizioni della direttiva mediante una decisione del Consiglio di amministrazione che ha modificato il regolamento di esecuzione (70), le quali pertanto vincolano le parti contraenti che non fanno parte dell'Unione europea, non spetta alla Corte pronunciarsi sulle modalità con cui l'Ufficio europeo dei brevetti ha scelto di applicare la direttiva nelle proprie norme e nella propria prassi. Tuttavia, si potrebbe sostenere che tale scelta indica che l'Ufficio dei brevetti, che ha una notevole esperienza nell'esame di domande di brevetto per invenzioni biotecnologiche, non ha previsto gravi problemi di interpretazione o di applicazione delle norme della direttiva concernenti il rilascio di tali brevetti.

55.
    L'Italia aggiunge che il fatto che la direttiva lasci spazio a norme nazionali non armonizzate per disciplinare in particolare la sanità pubblica, la sicurezza e la tutela dell'ambiente (71) fa sì che la direttiva non contribuisca alla libera circolazione dei prodotti in questione. Anche questo argomento, a mio parere, si basa su un'errata interpretazione della funzione del diritto dei brevetti. Come ho già detto (72), un brevetto conferisce solo il diritto di impedire ad altri di contraffarlo e non attribuisce al titolare alcun diritto esclusivo di sfruttamento del brevetto: lo sfruttamento è sempre disciplinato dal diritto nazionale. Molte sentenze della Corte secondo cui l'esercizio di diritti nazionali di brevetto che restringa la libera circolazione delle merci è in contrasto con l'art. 28 CE e pertanto illegittimo riguardano medicinali brevettati: il fatto che la commercializzazione e l'uso di tali prodotti sia disciplinato in modo rigoroso in tutti gli Stati membri a livello nazionale non sminuisce l'importanza del principio della libera circolazione delle merci ai fini della limitazione dell'esercizio di diritti nazionali di brevetto. Né, tanto meno, significa che la legislazione comunitaria di armonizzazione delle normative nazionali concernenti i certificati di protezione complementari, che conferiscono una tutela analoga a quella dei brevetti, sia erronea, inefficace o illegittima (73).

56.
    Pertanto, non condivido l'argomento secondo cui l'armonizzazione a livello comunitario è inadeguata e inefficace.

L'argomento secondo cui gli artt. 130 e 130 F, congiuntamente all'art. 235, sarebbe ro stati la corretta base giuridica

57.
    L'Italia sostiene anzitutto che gli scopi della direttiva travalicano l'armonizzazione, in quanto racchiudono obiettivi legati al sostegno dello sviluppo industriale della Comunità e della ricerca scientifica nel campo dell'ingegneria genetica. A difesa di tale argomento si richiama ai primi tre 'considerando‘ della direttiva. Altre disposizioni del Trattato (artt. 130 e 130 F, divenuti artt. 157 e 163 CE) potrebbero costituire una corretta base giuridica rispettivamente nei settori dell'industria e della ricerca, congiuntamente all'art. 235. Il funzionamento del mercato interno è un obiettivo secondario della direttiva, che quindi non avrebbe dovuto essere basata sull'art. 100 A (74).

58.
    La Corte ha chiarito che la scelta del fondamento giuridico di un atto deve basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, in particolare lo scopo e il contenuto dell'atto, quali emergono dalla sua stessa lettera (75). Inoltre, qualora una misura persegua più di uno scopo, il suo obiettivo principale è decisivo per stabilire la base giuridica corretta (76).

59.
    I primi tre 'considerando‘ della direttiva fanno effettivamente riferimento all'importanza della tutela delle invenzioni biotecnologiche per lo sviluppo dell'industria comunitaria, per la ricerca e lo sviluppo nel settore dell'ingegneria genetica e per gli investimenti nel settore della biotecnologia. Tuttavia, il quinto, sesto e settimo 'considerando‘ sottolineano l'esigenza di eliminare le divergenze esistenti tra le legislazioni nazionali sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche che rischiano di creare ostacoli agli scambi commerciali e di impedire in tal modo il corretto funzionamento del mercato interno. Al settimo 'considerando‘ si afferma in particolare che la disincentivazione degli scambi dovuta ad uno sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali andrebbe «a scapito dello sviluppo industriale di tali invenzioni e del corretto funzionamento del mercato interno», collegando così tra loro i due obiettivi. L'ottavo e il nono 'considerando‘ fanno anch'essi riferimento allo scopo di armonizzazione della direttiva.

60.
    Soprattutto risulta che, sebbene le legislazioni di tutti gli Stati membri che disciplinano le condizioni per il rilascio dei brevetti e le eccezioni alla brevettabilità rispecchino ampiamente la Convenzione sul brevetto europeo e siano quindi in una certa misura già allineate, tuttavia esistono differenze significative in taluni settori delle normative e delle prassi nazionali. Risulta ad esempio che alcuni Stati membri concedono già brevetti per invenzioni biotecnologiche riguardanti animali: inFrancia, ad esempio, nel 1991 è stato rilasciato un brevetto (77) relativo ad un procedimento per la produzione di un topo transgenico (78) e in Italia il primo brevetto su un mammifero transgenico è stato rilasciato nel 1996 (79). Il Parlamento ha fornito altri esempi di divergenze tra legislazioni e prassi nazionali la cui esistenza non viene contestata dai Paesi Bassi.

61.
    Il fatto che l'armonizzazione costituisca il principale obiettivo della direttiva è inoltre dimostrato dal contenuto della stessa: l'art. 1, n. 1, infatti, impone inequivocabilmente agli Stati membri di adeguare il loro diritto nazionale dei brevetti in modo da tenere conto delle disposizioni della direttiva. E' più difficile valutare l'impatto di tali disposizioni sullo sviluppo industriale della Comunità e sulla ricerca scientifica nel settore dell'ingegneria genetica. Tuttavia, sembra chiaro che l'impatto della direttiva nei suddetti settori è indissolubilmente legato alla sua efficacia sotto il profilo dell'armonizzazione.

62.
    Sebbene gli artt. 130 e 130 F conferiscano alla Comunità il potere di avviare azioni specifiche nelle materie ivi menzionate, tali articoli non conferiscono alcun potere legislativo e lasciano impregiudicate le competenze attribuite alla Comunità da altre disposizioni del Trattato, anche qualora i provvedimenti da adottare in virtù di queste ultime perseguano al contempo uno degli obiettivi di cui agli artt. 130 e 130 F (80).

63.
    Nella specie, ritengo che l'armonizzazione non sia un obiettivo incidentale o secondario della direttiva, bensì ne costituisca l'essenza, e che l'art. 100 A ne fosse pertanto il corretto fondamento giuridico. L'art. 235 non avrebbe potuto quindi essere utilizzato quale base giuridica della direttiva, né da solo né congiuntamente ad altre disposizioni, in quanto detto articolo si applica solo qualora altre disposizioni del Trattato non conferiscano la necessaria competenza a legiferare.

L'argomento secondo cui la direttiva sarebbe in contrasto con l'art. 100 A, n. 3

64.
    L'Italia si richiama anche all'art. 100 A, n. 3, del Trattato, a norma del quale la Commissione «si basa su un livello di protezione elevato» nelle sue proposte in forza dell'art. 100 A «in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori». L'Italia sostiene che l'art. 100 A non può costituire il fondamento giuridico di una misura di armonizzazione in un settore che toccainteressi fondamentali quali la sanità e l'ambiente, salvo che il contenuto della proposta sia conforme all'art. 100 A, n. 3. Dal 14° 'considerando‘ del preambolo della direttiva emerge chiaramente che il legislatore comunitario ha riconosciuto l'impatto sulla sanità e sull'ambiente dello sfruttamento delle invenzioni biotecnologiche ma non ha disciplinato tali materie poiché riteneva che ciò spettasse agli Stati membri. Pertanto, non sussistono le condizioni per l'applicazione dell'art. 100 A.

65.
    A mio parere, la direttiva non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 100 A, n. 3. Tale disposizione si applica alle «proposte [...] in materia di sanità, sicurezza, protezione dell'ambiente e protezione dei consumatori». Una proposta di direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche non rientra nel campo di applicazione di tale articolo. Se è pacifico che tanto la ricerca che culmina in invenzioni biotecnologiche quanto l'uso cui tali invenzioni vengono destinate possono comportare effetti significativi in particolare per quanto riguarda la sanità, la sicurezza e la tutela dell'ambiente, la misura proposta non era intesa a disciplinare tale ricerca o uso dal punto di vista della sanità, della sicurezza, della tutela dell'ambiente o del consumatore (a differenza, ad esempio, della legislazione comunitaria sull'immissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati (81)): infatti al 14° 'considerando‘ si afferma espressamente che «il diritto dei brevetti non può sostituire né rendere superflue le legislazioni nazionali, europee o internazionali che fissino eventuali limiti o divieti, o dispongano controlli sulla ricerca e sull'utilizzazione o sulla commercializzazione dei suoi risultati, con particolare riguardo alle esigenze di sanità pubblica, sicurezza, tutela dell'ambiente [...]».

L'argomento secondo cui la direttiva crea un nuovo diritto di proprietà intellettuale

66.
    I Paesi Bassi affermano che la direttiva crea uno specifico diritto e pertanto non si può sostenere ch'essa si limiti ad armonizzare i principi nazionali del diritto dei brevetti. La direttiva impone agli Stati membri di proteggere le invenzioni biotecnologiche in forza del diritto nazionale dei brevetti. Un brevetto su un'invenzione biotecnologica è un brevetto sulla vita. Il materiale biologico, in particolare animali e vegetali viventi, non può essere equiparato a materia inerte che fino a pochi anni fa costituiva l'unico possibile oggetto di brevetti. Il fatto che il materiale biologico possa riprodursi senza intervento dell'uomo implica che proteggerlo mediante brevetto è sostanzialmente diverso dal proteggere allo stesso modo materia inanimata.

67.
    A me tuttavia sembra che, come ha sostenuto il Parlamento, la brevettabilità di materiale vivente non sia un'innovazione introdotta dalla direttiva, bensì il riconoscimento di ciò che attualmente sta accadendo in virtù del diritto nazionale:gli Stati membri hanno ammesso da tempo la brevettabilità di alcune invenzioni aventi ad oggetto materiale vivente.

68.
    Il Parlamento fa riferimento a brevetti rilasciati per il lievito in Belgio e in Finlandia rispettivamente nel 1833 e nel 1843 (82). Più recentemente, in Germania nel 1975 il Bundesgerichtshof ha dichiarato che nuovi microorganismi di per sé possono essere protetti mediante brevetto (83), e nel 1993 ha ammesso la brevettabilità di vegetali (84). Brevetti relativi ad invenzioni biotecnologiche aventi ad oggetto animali transgenici, come ho già detto, sono stati rilasciati in Francia e in Italia rispettivamente nel 1991 e nel 1996 (85). Numerosi brevetti europei relativi ad invenzioni biotecnologiche sono stati rilasciati a partire dai primi anni '80 e sono stati riconosciuti dagli Stati membri cui si estendono (86).

69.
    Inoltre il Trattato di Budapest sul riconoscimento internazionale del deposito dei microorganismi ai fini della procedura in materia di brevetti, firmato nel 1977 ed entrato in vigore nel 1980 (87), era inteso a risolvere il problema di fornire, in caso di domande di brevetti aventi ad oggetto organismi viventi quali lieviti ed altri organismi in grado di riprodursi autonomamente, una descrizione scritta abbastanza dettagliata da soddisfare il requisito della descrizione sufficientemente chiara previsto dalla maggior parte dei regimi giuridici di brevetto. Detto trattato ha permesso di integrare la descrizione contenuta in una domanda di brevetto con il deposito di un campione dell'organismo presso un depositario autorizzato. Domande per tale tipo di brevetti vengono quindi ammesse e disciplinate a livello internazionale da oltre vent'anni.

70.
    Inoltre, la nozione di «brevetto sulla vita» mi sembra inutile e poco chiara. Come ho già detto (88), un brevetto non conferisce diritti di proprietà né diritti di sfruttamento illimitati. Esso attribuisce semplicemente al titolare del brevetto il diritto di opporsi alla produzione, all'uso e alla vendita dell'invenzione senza il suo consenso. Tuttavia, il titolare del brevetto non è esentato dall'obbligo di conformarsi ai requisiti imposti dalla legislazione nazionale in settori quali la sanitàpubblica, la sicurezza, il benessere degli animali e l'osservanza di norme etiche. La direttiva lo riconosce espressamente al 14° 'considerando‘. Essa prevede esplicitamente anche numerosi limiti alla brevettabilità in linea con i diritti nazionali e con le convenzioni internazionali, come illustrerò nel dettaglio nell'ambito del terzo motivo d'annullamento.

71.
    I Paesi Bassi aggiungono che, oltre a creare un nuovo diritto consistente in un brevetto su prodotti viventi di procedimenti biotecnologici, la direttiva istituisce anche un nuovo diritto, il cosiddetto «privilegio degli agricoltori». Tale privilegio, ossia il diritto degli agricoltori di usare prodotti brevettati per scopi agricoli, è ben noto nel settore della protezione dei vegetali, ma non nel diritto dei brevetti.

72.
    Il «privilegio degli agricoltori» previsto all'art. 11 della direttiva presenta due aspetti.

73.
    In primo luogo, l'art. 11, n. 1, consente agli agricoltori di utilizzare per la produzione di un nuovo raccolto i semi avanzati da un raccolto ottenuto da un seme brevettato vendutogli ad uso agricolo. La deroga è analoga a quella di cui all'art. 14, n. 1, del regolamento del Consiglio n. 2100/94 sulla privativa comunitaria per ritrovati vegetali (89) (a sua volta basato sulle disposizioni della convenzione UPOV 1961 e 1991 (90)), sebbene essa abbia portata più ampia in quanto l'art. 14, n. 1, del regolamento è limitato a specifiche varietà vegetali di piante da foraggio, cereali, patate e piante da olio e da fibra. La portata e le condizioni della deroga devono corrispondere a quelle di cui all'art. 14 del regolamento, il quale dispone in particolare che gli agricoltori diversi dai piccoli agricoltori devono versare un'«equa remunerazione» al titolare.

74.
    In secondo luogo, l'art. 11, n. 2, prevede un analogo privilegio per quanto riguarda il bestiame da allevamento. In altre parole, un agricoltore può utilizzare per scopi agricoli (ma non per la riproduzione commerciale) bestiame da allevamento o «altro materiale di riproduzione di origine animale» brevettato da lui acquistato. A tenore della relazione esplicativa sulla proposta di direttiva della Commissione (91), la deroga autorizza gli agricoltori a «utilizzare bestiame protetto a scopi di allevamento nelle proprie aziende, per il mantenimento del numero di capi». L'art. 11, n. 3, dispone che l'ambito e le modalità di applicazione della deroga sono stabilite a livello nazionale.

75.
    A mio parere, è chiaro che l'art. 11 non crea un nuovo diritto in quanto è unicamente diretto a limitare la portata della tutela garantita da un brevetto ai sensi della direttiva. Per un ulteriore esame della tutela cui l'art. 11 deroga, e del fondamento logico di tale tutela, si veda l'analisi degli artt. 8 e 9 ai paragrafi 121 e seguenti.

76.
    Concludo pertanto che occorre disattendere l'argomento secondo cui la direttiva è stata erroneamente basata sull'art. 100 A e andrebbe quindi annullata.

L'argomento relativo alla sussidiarietà

77.
    L'art. 3 B del Trattato CE (divenuto art. 5 CE) così dispone:

«La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente Trattato.

Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

L'azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente Trattato».

78.
    L'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE) dispone quanto segue:

«I regolamenti, le direttive e le decisioni, adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio [...] sono motivati e fanno riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del presente Trattato».

79.
    Il principale argomento dei Paesi Bassi è che la direttiva viola l'art. 3 B, secondo comma. Essi si richiamano alle osservazioni svolte nell'ambito del primo motivo (fondamento giuridico), che a loro parere inficiano qualsiasi argomento secondo cui gli obiettivi della direttiva non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri o che tali obiettivi potrebbero essere realizzati meglio a livello comunitario a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione di cui trattasi. I 'considerando‘ si limitano a precisare che la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche richiede una chiarificazione (quarto e nono 'considerando‘) e che esistono divergenze tra le legislazioni e le prassi degli Stati membri che rischiano di ostacolare gli scambi commerciali e costituire quindi un ostacolo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto e settimo 'considerando‘). Tuttavia, poiché il diritto nazionale dei brevetti è stato quasi interamente armonizzato dalla convenzione sul brevetto europeo, la necessaria chiarificazione dovrebbe essere effettuata mediante una modifica della convenzione. Gli Stati membri pertanto sono perfettamente in grado di realizzare tale obiettivo.

80.
    In subordine, i Paesi Bassi sostengono che dai 'considerando‘ non risulta con chiarezza se si sia tenuto conto dell'art. 3 B, secondo comma, come richiesto dall'art. 190 e dalla sentenza Germania/Parlamento e Consiglio (92).

81.
    A mio parere, e in base alle considerazioni svolte nell'ambito del primo motivo (relativo al fondamento giuridico), si può legittimamente ritenere che la direttiva fosse necessaria per armonizzare le legislazioni degli Stati membri sulla protezione mediante brevetto delle invenzioni biotecnologiche. Poiché, sempre per i motivi indicati in precedenza, tale armonizzazione poteva essere effettuata solo dalla Comunità, e poiché quest'ultima ha competenza esclusiva per quanto riguarda il ravvicinamento delle normative nazionali concernenti l'istituzione e il funzionamento del mercato interno, l'argomento in favore dell'azione comunitaria è adeguatamente giustificato e il principio di sussidiarietà, di conseguenza, non è stato violato.

82.
    Peraltro, il fatto che il detto principio sia stato rispettato emerge in particolare dal terzo, quinto, sesto, settimo e nono 'considerando‘, i quali dimostrano che il Consiglio e il Parlamento hanno tenuto conto dell'inadeguatezza di un'azione a livello nazionale nel settore della protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e hanno riconosciuto l'esigenza di armonizzare determinati principi. Dalla giurisprudenza della Corte emerge con chiarezza che in circostanze del genere non occorre che il legislatore faccia espresso riferimento al principio di sussidiarietà (93).

83.
    Infine, la chiarificazione del diritto mediante modifica della convenzione sul brevetto europeo, come rilevano i convenuti, sarebbe inadeguata, inefficace e forse impossibile.

84.
    Concludo pertanto nel senso che la direttiva non viola il principio di sussidiarietà. Va quindi disatteso l'argomento secondo cui essa dovrebbe essere annullata per tale motivo.

L'argomento relativo alla certezza del diritto

85.
    I Paesi Bassi, sostenuti dall'Italia e dalla Norvegia, sostengono che, nonostante la dichiarazione del preambolo secondo cui l'armonizzazione è necessaria per dissipare le incertezze per quanto riguarda la protezione delle invenzioni biotecnologiche (94), la direttiva non elimina del tutto i dubbi circa la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche; essa anzi crea ulteriore incertezzain quanto non risultano chiari l'esatto significato e la portata degli artt. 4, 6, 8 e 9. La direttiva violerebbe quindi il principio della certezza del diritto.

86.
    Prima di esaminare più attentamente il merito di tali argomenti, occorre valutare l'effetto dell'incertezza in un atto comunitario quale una direttiva. I Paesi Bassi, come del resto l'Italia e la Norvegia, non hanno citato alcun precedente a sostegno della tesi secondo cui, se il significato di una o due disposizioni di una direttiva non è del tutto e perfettamente chiaro, la direttiva va annullata. Per quanto è a mia conoscenza, in realtà nemmeno la Corte ha mai affermato tale principio.

87.
    L'art. 249 CE (ex art. 189 del Trattato CE) dispone che la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Le direttive sono quindi inidonee per natura a disciplinare dettagliatamente le materie rientranti nel loro campo di applicazione. Se da un lato ovviamente ciò non significa che una formulazione poco chiara sia adeguata, dall'altro indica senza dubbio che il semplice fatto che una direttiva attribuisca un certo grado di discrezionalità agli Stati membri di per sé non costituisce un motivo per invalidarla.

88.
    Quand'anche una disposizione di una direttiva possa essere interpretata in modi diversi, come accade nella specie secondo i Paesi Bassi, non ritengo che ciò costituisca di per sé un motivo di annullamento. In casi recenti in cui la Corte ha dichiarato che uno Stato membro, trasponendo in modo errato una disposizione di una direttiva redatta in modo impreciso, ha attribuito a detta disposizione un significato ch'essa avrebbe potuto ragionevolmente avere, non è stato affatto suggerito che la direttiva (né la disposizione) andasse considerata invalida solo perché era imprecisa e quindi suscettibile di più interpretazioni (95). Analogamente, nel formulare il principio secondo cui solo le disposizioni di direttive chiare ed inequivocabili possono avere effetto diretto, la Corte non ha inteso dire, che io sappia, che tutte le disposizioni non altrettanto precise e incondizionate sono da considerarsi per ciò stesso invalide.

89.
    D'altro canto, ritengo quanto meno sostenibile che una disposizione di una direttiva del tutto priva di significato, o manifestamente inconciliabile con un'altra disposizione della stessa direttiva, possa essere invalidata per tale motivo, anche se a mio parere da ciò non discende necessariamente che la direttiva debba essere annullata nella sua interezza.

90.
    Alla luce di tali considerazioni, esaminerò la questione se le disposizioni della direttiva ritenute in contrasto con il principio della certezza del diritto siano in tal misura prive di significato o contraddittorie. Gli argomenti sono concentratiprincipalmente sul significato e sulla portata, anzitutto, dell'art. 6, e, in secondo luogo, degli artt. 8 e 9.

Gli argomenti relativi all'art. 6

I 'considerando‘ e le disposizioni pertinenti della direttiva.

91.
    Il 36°, 38° e 39° 'considerando‘ sono così formulati:

«(36)    considerando che l'accordo TRIPS prevede la possibilità, per i paesi aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio, di escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio dev'essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, in particolare per proteggere la vita e la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali, o per evitare gravi danni ambientali, purché l'esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni;

[...]

    considerando che è altresì importante inserire nel dispositivo stesso della presente direttiva un elenco indicativo di invenzioni escluse dalla brevettabilità, per fornire ai giudici e agli uffici nazionali dei brevetti orientamenti di massima ai fini dell'interpretazione del riferimento all'ordine pubblico o al buon costume; che questo elenco non può certo essere considerato esauriente; che i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana, come ad esempio i procedimenti per la produzione di esseri ibridi risultanti da cellule germinali o totipotenti umane o animali, devono ovviamente essere esclusi anch'essi dalla brevettabilità (96);

    considerando che l'ordine pubblico e il buon costume corrispondono in particolare a principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro e la cui osservanza è indispensabile in particolare in materia di biotecnologia, data la portata potenziale delle invenzioni in questo settore ed il loro nesso intrinseco con la materia vivente; che questi principi etici o morali completano le normali verifiche giuridiche previste dal diritto dei brevetti, a prescindere dal settore tecnico dell'invenzione».

92.
    L'art. 6 della direttiva così dispone:

«1.    Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume; losfruttamento di un'invenzione non può di per sé essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare.

2.    Ai sensi del paragrafo 1, sono considerati non brevettabili in particolare:

    a)    i procedimenti di clonazione di esseri umani;

    b)    i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano;

    c)    le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali;

    d)    i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti» (97).

93.
    I Paesi Bassi e l'Italia deducono quattro argomenti per dimostrare che l'art. 6 viola il principio della certezza del diritto. Propongo di esaminare separatamente ciascuno di tali argomenti.

Le nozioni di ordine pubblico e buon costume sono sufficientemente chiare?

94.
    In primo luogo, si afferma che l'art. 6 non fornisce indicazioni sufficienti e che i principi menzionati nei 'considerando‘ per stabilire se sussista violazione dell'ordine publico o del buon costume sono generici ed equivoci. Secondo il 39° 'considerando‘, gli uffici dei brevetti ed i giudici devono completare le normali verifiche giuridiche previste dal diritto dei brevetti con i principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro. E' quindi inevitabile che l'art. 6 venga interpretato ed applicato in modi diversi.

95.
    Rilevo in limine che le nozioni di ordine pubblico e buon costume hanno una storia lunga e diversificata quali criteri di legittimità per la concessione o l'esercizio di diritti di proprietà intellettuale. Per quanto riguarda i marchi, ad esempio, l'art. 6 quinquies, punto A, n. 3, della convenzione di Parigi, introdotto con la revisione di Washington del 1911, prevede un'eccezione al divieto generale di rifiutare la registrazione o di invalidare un marchio qualora ciò sia «contrario all'ordine pubblico o al buon costume». Per quanto riguarda i brevetti, l'art. 6, n. 1, della direttiva, come ho già detto (98), ha effetti sostanzialmente analoghi a quellidell'art. 53, lett. a), della convenzione sul brevetto europeo, sebbene la convenzione vieti altresì di brevettare invenzioni la cui pubblicazione sarebbe contraria all'ordine pubblico o al buon costume (99). Lo stesso art. 53 riproduce in modo quasi letterale l'art. 2 della convenzione di Strasburgo del 1963 (100), sebbene tale disposizione non sia obbligatoria («Gli Stati Contraenti non sono tenuti a prevedere la concessione di brevetti per: [...]»). Anche l'art. 27, n. 2, dell'accordo TRIPS è redatto in termini analoghi, sebbene anche in questo caso la disposizione conceda una facoltà, anziché imporre un obbligo (101). Le disposizioni come l'art. 6, n. 1, sono state descritte come «un elemento ben noto del diritto dei brevetti» (102).

96.
    La legislazione comunitaria sulla proprietà intellettuale riprende questo modello. Il regolamento sul marchio comunitario (103) e la direttiva sui marchi (104) prevedono entrambi il rifiuto di registrazione o l'invalidità dei marchi «contrari all'ordine pubblico o al buon costume» («contraire à l'ordre public ou aux bonnes moeurs») (105). Il regolamento concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali (106) prevede un impedimento all'attribuzione di una denominazione varietale qualora «la denominazione possa costituire un illecito in uno degli Stati membri o possa essere contraria all'ordine pubblico» («est susceptible de contrevenir aux bonnes moeurs dans un des Etats membres ou est contraire à l'ordre public») (107). La direttiva 98/71 sulla protezione giuridica dei disegni e deimodelli (108) dispone che non è protetto un disegno o modello contrario all'ordine pubblico o al buon costume («contraire à l'ordre public ou à la moralité publique» (109)). La proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al ravvicinamento dei regimi giuridici di protezione delle invenzioni attraverso il modello d'utilità (110) dispone che non sono considerate invenzioni suscettibili di essere protette le invenzioni la cui attuazione sia contraria all'ordine pubblico o al buon costume («contraire à l'ordre public ou aux bonnes moeurs») (111).

97.
    La nozione di ordine pubblico in particolare ha un significato più ampio nel diritto comunitario. Essa viene utilizzata ad esempio nel testo francese del Trattato, sebbene in inglese venga normalmente resa con «public policy» (112). Gli artt. 30, 39, n. 3, 46, n. 1, e 58, n. 1, lett. b) [ex artt. 36, 48, n. 3, 56, n. 1, e 73 D, n. 1, lett. b)] fanno tutti riferimento (in quanto motivi che giustificano le restrizioni, rispettivamente, alla libera circolazione dei beni, alla libera circolazione dei lavoratori, alla libertà di stabilimento ed alla libera circolazione dei capitali) all'ordine pubblico («public policy» nella versione inglese). La Corte ha riconosciuto che le particolari circostanze che giustificano il ricorso alla nozione di ordine pubblico possono variare da un paese all'altro e da un'epoca all'altra ed è quindi necessario lasciare, in questa materia, alle competenti autorità nazionali un certo potere discrezionale entro i limiti imposti dal Trattato (113).

98.
    Il legislatore comunitario ha fatto ricorso alla nozione di ordine pubblico anche in vari provvedimenti di armonizzazione e quindi, apparentemente, non vede alcuna contraddizione nel conferire un certo potere discrezionale alle autorità nazionali in un settore oggetto di armonizzazione (114).

99.
    La nozione di buon costume («bonnes moeurs») non ha molto riscontro nel diritto comunitario, a parte gli atti normativi comunitari sulla proprietà intellettuale citati in precedenza. Tuttavia, in tali provvedimenti essa sembra essere stata utilizzata in modo intercambiabile con «moralità pubblica» («moralité publique»), e ne può probabilmente essere considerata un sinonimo. L'art. 30 del Trattato include la «moralità pubblica» («moralité publique», «public morality») tra le cause che legittimano la deroga alla libera circolazione delle merci. La Corte ha esaminato l'espressione nelle sentenze Henn e Darby (115) e Conegate (116). Nella prima ha dichiarato che spetta a ciascuno Stato membro determinare gli imperativi della moralità pubblica nell'ambito del proprio territorio in base alla propria scala di valori (117). Ha confermato tale principio nella sentenza Conegate, in cui ha tuttavia precisato che la deroga non era applicabile nella fattispecie.

100.
    Pertanto, l'affermazione formulata al 39° 'considerando‘ della direttiva, secondo cui «l'ordine pubblico e il buon costume corrispondono in particolare a principi etici o morali riconosciuti in uno Stato membro», rispecchia fedelmente l'interpretazione e l'applicazione di tali nozioni da parte della Corte nell'ambito del Trattato. Pertanto, a mio parere non si può affermare che l'impostazione della direttiva sia in contrasto con il principio della certezza del diritto.

101.
    L'applicazione da parte delle autorità nazionali delle nozioni di ordine pubblico e buon costume, tuttavia, sarà sempre soggetta al sindacato della Corte: gli Stati membri non fruiscono di un potere discrezionale illimitato nel determinarne l'ambito di applicazione. La Corte ha dichiarato che «il richiamo alla nozione di ordine pubblico, da parte degli organi nazionali, presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell'ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l'esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degliinteressi fondamentali della collettività» (118). Tale dichiarazione dimostra chiaramente che l'impostazione della Corte è sostanzialmente simile a quella dell'Ufficio europeo dei brevetti, nelle cui direttive per l'esame di merito si afferma che lo scopo delle disposizioni relative all'ordine pubblico e al buon costume è «escludere dalla protezione invenzioni che possano causare disordini o incidenti, o generare comportamenti criminosi o comunque illeciti [...]» (119). Le autorità nazionali competenti in materia di brevetto che hanno agito conformemente alle suddette direttive a partire dall'entrata in vigore della convenzione sul brevetto europeo negli Stati membri non dovrebbero sperimentare alcun conflitto dopo l'entrata in vigore della direttiva.

102.
    Si può aggiungere che il potere discrezionale degli Stati membri di determinare gli imperativi della moralità pubblica in base alla propria scala di valori, così definito dalla Corte oltre 20 anni fa (120), ora va forse letto con una certa cautela. In questo settore, come in molti altri, gli standard comuni cambiano col tempo. Può darsi che la dimensione etica di alcuni degli elementi fondamentali oggetto della direttiva sia attualmente, più adeguatamente, considerata disciplinata da standard comuni. Tale era chiaramente il parere della commissione tecnica di ricorso 3.3.4 dell'Ufficio europeo dei brevetti nel 1995, allorché ha affermato, nel procedimento Plant Genetic Systems, che la nozione di buon costume «è collegata all'idea che taluni comportamenti sono giusti ed accettabili mentre altri sono sbagliati, e tale idea si basa sul complesso delle norme profondamente radicate in una determinata cultura. Ai fini della CBE, la cultura in questione è quella che sta alla base della civiltà e della società europee» (121). Tuttavia, il fatto che alcune questioni etiche possano essere valutate in modo più adeguato nel contesto della cultura di un determinato Stato membro ed altre possano esserlo in base a standard comuni, a mio parere, non preclude - né in questo caso né in altri - un certo grado di armonizzazione.

Quali sono il significato e lo scopo dell'art. 6, n. 1?

103.
    In secondo luogo, i Paesi Bassi e l'Italia affermano che il significato e lo scopo dell'art. 6, n. 1, a norma del quale lo sfruttamento di un'invenzione non può di per sé essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare, non sono chiari. Inoltre, l'affermazione contenuta al 14° 'considerando‘ (122), secondo cui «unbrevetto di invenzione non autorizza il titolare ad attuare l'invenzione» sarebbe contraria ai principi fondamentali del diritto nazionale ed internazionale dei brevetti, in base al quale il brevetto conferisce al titolare il diritto esclusivo di sfruttare l'invenzione a fini commerciali; inoltre, se ciò fosse vero, non occorrerebbe escludere la brevettabilità di invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all'ordine pubblico e al buon costume.

104.
    La disposizione appare sia all'art. 53, lett. a), della convenzione sul brevetto europeo che all'art. 2 della convenzione di Strasburgo del 1963 (123). Essa è tuttavia preesistente ad entrambe, essendo tratta dall'art. 4 quater della convenzione di Parigi. Tale disposizione, aggiunta dalla conferenza di revisione di Lisbona del 1958, recita:

«La concessione di un brevetto non potrà essere rifiutata e un brevetto non potrà essere invalidato per il motivo che la vendita del prodotto brevettato o ottenuto mediante un procedimento brevettato è sottoposta a restrizioni o limitazioni risultanti dalla legislazione nazionale».

105.
    Il Bureau international de la propriété intellectuelle (il predecessore della World Intellectual Property Organisation) ha spiegato in una pubblicazione (124) che la ratio di tale disposizione sta nel fatto che le restrizioni o le limitazioni possono essere temporanee, con la conseguenza che il brevetto acquisterà valore dopo la loro rimozione. Inoltre, l'invenzione oggetto di brevetto, così limitata, può costituire la base per altri brevetti non soggetti alle restrizioni: in tal caso non vi è alcun motivo per privare il titolare del primo brevetto dei diritti di licenza ecc. cui potrebbe avere diritto a motivo del collegamento tra le due invenzioni.

106.
    E' inoltre errato affermare che sarebbe inutile rilasciare un brevetto per un'invenzione il cui sfruttamento è vietato. Come ho già detto, l'inventore potrebbe volersi assicurare una protezione in previsione di una modifica della normativa che gli consenta di sfruttare l'invenzione in futuro. Un buon esempio in materia è costituito dagli organismi geneticamente modificati: nell'Unione europea al momento vige una moratoria generale sul loro impiego, ma non è detto ch'essa duri indefinitamente. Analogamente, un inventore può prevedere un cambio di regime a livello nazionale. Oppure, un inventore può voler produrre un'invenzione in uno Stato membro in cui lo sfruttamento (ma non la fabbricazione) dell'invenzione è vietata, al fine di esportarla verso Stati in cui non ne sia vietato lo sfruttamento.

107.
    Pertanto, non condivido la tesi secondo cui l'art. 6, n. 1, è oscuro di per sé oppure incompatibile con l'affermazione di cui al 14° 'considerando‘. Nemmeno ritengo che detta affermazione sia in contrasto con i principi generali del diritto dei brevetti: sebbene sia vero che il brevetto conferisce il diritto esclusivo di sfruttare l'invenzione, tale diritto, come ho già detto (125), dev'essere esercitato conformemente alle leggi e ai regolamenti nazionali applicabili. Pertanto, il brevetto di per sé non conferisce alcun diritto di sfruttamento assoluto e positivo, ma solo il diritto di impedire ad altri di sfruttare l'invenzione nel territorio in cui il brevetto è riconosciuto.

L'ordine pubblico comprende i danni all'ambiente?

108.
    In terzo luogo, i Paesi Bassi e l'Italia si richiamano al 36° 'considerando‘, in cui si afferma che l'accordo TRIPs include nell'ambito dell'ordine pubblico e del buon costume la protezione della vita e della salute dell'uomo, degli animali e dei vegetali e il fine di evitare gravi danni ambientali. Ciò solleva la questione se, ai fini dell'art. 6, n. 1, i gravi danni ambientali, o il relativo rischio, possano rientrare nella nozione di ordine pubblico.

109.
    Ho già esaminato in generale la portata dell'eccezione dell'ordine pubblico. La tutela dell'ambiente, all'attuale stadio di sviluppo del diritto comunitario, va considerata come uno degli interessi fondamentali della società. Ciò è stato riconosciuto dalla Corte già nel 1988 nella sentenza Commissione/Danimarca (126) ed è attualmente contemplato all'art. 2 del Trattato, che comprende la promozione di «un elevato livello di protezione dell'ambiente e il miglioramento di quest'ultimo» tra i compiti della Comunità. A mio parere, si deve ritenere che gli «interessi fondamentali della collettività» menzionati dalla Corte nella sentenza Bouchereau (127) abbiano al giorno d'oggi ad oggetto anche l'ambiente. Dunque, una minaccia reale e sufficientemente grave all'ambiente rientrerebbe perfettamente nella nozione di ordine pubblico (128); pertanto, non vi è alcuna incompatibilità tra il 36° 'considerando‘ e l'art. 6, n. 1.

Qual è la portata giuridica del 38° 'considerando‘?

110.
    Infine, i Paesi Bassi affermano che, sebbene l'art. 6, n. 2, elenchi esempi di invenzioni da considerare non brevettabili ai sensi dell'art. 6, n. 1, tale elenco non comprende (e la direttiva non prevede) l'importante eccezione alla brevettabilità di cui all'ultima frase del 38° 'considerando‘: «i procedimenti per la produzione di esseri ibridi risultanti da cellule germinali o totipotenti umane o animali, devono ovviamente essere esclusi anch'essi dalla brevettabilità». I Paesi Bassi sembrano quindi contestare il fatto che un'eccezione menzionata in un 'considerando‘ non trovi espressione nel corpo della direttiva.

111.
    A me sembra tuttavia che, come ha rilevato il Parlamento, tale eccezione rientri nell'esclusione dalla brevettabilità dei «procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano» di cui all'art. 6, n. 2, lett. b). Un essere ibrido («chimera») è un organismo o una combinazione di molecole di DNA creato collegando frammenti di DNA di due o più organismi diversi. Le cellule germinali sono cellule destinate a diventare sperma o uova. Le cellule totipotenti sono cellule che hanno capacità illimitate (129). La produzione di esseri ibridi a partire da cellule germinali o da cellule totipotenti di esseri umani ed animali modificherà inevitabilmente l'identità genetica germinale degli esseri umani.

112.
    Quand'anche non fosse così, non ritengo che un provvedimento legislativo vada annullato per mancanza di certezza del diritto solo perché un esempio di comportamento escluso dall'ambito di applicazione di tale provvedimento è menzionato nel preambolo ma non nelle disposizioni (130). Inoltre ciò costituisce una tecnica legislativa non priva di precedenti per fornire esempi indicativi e non esaustivi di situazioni in cui trova applicazione un'eccezione relativa all'ordine pubblico: si vedano ad esempio l'art. 9, n. 7, della direttiva 98/34, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (131), come modificata dalla direttiva 98/48 (132) e l'art. 3, n. 4, lett. a), sub i), della direttiva sul commercio elettronico (133).

L'argomento relativo alle varietà vegetali e alle razze animali

I 'considerando‘ e le disposizioni pertinenti della direttiva

113.
    Il 31° e il 32° 'considerando‘ della direttiva sono così formulati:

«(31)    considerando che un insieme vegetale, caratterizzato da un determinato gene (e non dal suo intero genoma), non rientra nella tutela delle varietà e non è pertanto escluso dalla brevettabilità, anche se comprende varietà vegetali;

(32)    considerando che, laddove un'invenzione consista solo nella modifica genetica di una determinata varietà vegetale dalla quale viene prodotta una nuova varietà, la nuova varietà è esclusa dalla brevettabilità anche se la modifica genetica non è il frutto di un procedimento essenzialmente biologico, bensì di un procedimento di ingegneria genetica».

114.
    L'art. 4, nn. 1 e 2, così dispone:

«1.    Non sono brevettabili:

    a)    le varietà vegetali e le razze animali,

    b)    i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali o di animali.

2.    Le invenzioni che hanno quale oggetto piante o animali sono brevettabili se l'eseguibilità tecnica dell'invenzione non è limitata ad una determinata varietà vegetale o razza animale».

115.
    Ai fini della direttiva, la «varietà vegetale» viene definita (134) mediante richiamo alla definizione di cui all'art. 5 del regolamento n. 2100/94 (135).

116.
    L'art. 8 dispone:

«1.    La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un materiale biologico dotato, in seguito all'invenzione, di determinate proprietà si estende a tutti i materiali biologici da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà.

2.    La protezione attribuita da un brevetto relativo ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effettodell'invenzione, di determinate proprietà si estende al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà».

117.
    L'art. 9 dispone quanto segue:

«Fatto salvo l'articolo 5, paragrafo 1, la protezione attribuita da un brevetto ad un prodotto contenente o consistente in un'informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l'informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione».

118.
    Nell'ambito del secondo argomento relativo alla certezza del diritto, i Paesi Bassi, l'Italia e la Norvegia fanno riferimento a vari aspetti delle disposizioni della direttiva concernenti varietà vegetali e razze animali il cui significato ed effetto sono - si asserisce - oscuri. Propongo di esaminare separatamente ciascuno di tali punti.

L'argomento relativo agli artt. 8 e 9

119.
    In primo luogo, i Paesi Bassi e la Norvegia fanno valere che non è chiaro se le varietà vegetali siano sempre escluse dalla brevettabilità. L'art. 4, n. 1, lett. a), dispone che le varietà vegetali e le razze animali non sono brevettabili. Tuttavia, a norma degli artt. 8 e 9 è possibile ottenere un brevetto sui procedimenti biotecnologici e sui prodotti che ne derivano, compresi piante e animali. Se tale procedimento crea una nuova varietà, la protezione conferita dal brevetto parrebbe estesa a tale varietà. Inoltre, se tale procedimento conduce alla creazione di un nuovo vegetale protetto da una privativa per ritrovati vegetali potrebbe verificarsi un conflitto tra il titolare del brevetto e il titolare della privativa che non è possibile risolvere interamente in base al sistema delle licenze dipendenti di cui all'art. 12.

120.
    A mio parere non vi è alcun conflitto tra l'art. 4, n. 1, lett. a), da un lato, e gli artt. 8 e 9, dall'altro.

121.
    Il brevetto relativo ad un prodotto normalmente conferisce al titolare il diritto esclusivo di realizzare il prodotto (conformemente alle leggi e ai regolamenti applicabili). Nel caso di un materiale brevettato in grado di riprodursi, il valore del brevetto ovviamente diminuirebbe qualora esso non fosse esteso alle generazioni future di tale materiale. Ad esempio, se l'acquirente di semi brevettati potesse usare i semi ottenuti dal raccolto prodotto con i semi acquistati, il valore di tale brevetto si ridurrebbe notevolmente. Per tale motivo, l'art. 8, n. 1, dispone che in casi del genere la protezione conferita dal brevetto originario si estende alle generazioni future del materiale biologico ottenuto mediante propagazione o moltiplicazione. Al 46° 'considerando‘ si afferma espressamente tale principio intermini di diritto del titolare del brevetto «di vietare l'utilizzazione del materiale autoriproducibile brevettato in circostanze analoghe a quelle in cui l'utilizzazione di prodotti brevettati non autoriproducibili potrebbe essere vietata, ossia la produzione del prodotto brevettato stesso». (Per quanto riguarda i semi, come ho già detto (136), l'art. 11, n. 1, prevede deroghe a tale protezione nelle circostanze indicate in tale disposizione e dietro pagamento di una remunerazione).

122.
    Analogamente, l'art. 8, n. 2, adegua un ben noto principio del diritto dei brevetti tradizionale alle caratteristiche delle invenzioni biotecnologiche. Qualora l'oggetto del brevetto sia un procedimento, la protezione conferita dal brevetto si estende ai prodotti ottenuti direttamente mediante tale procedimento. Il principio è stato accolto nel diritto internazionale dei brevetti a partire almeno dal 1958, data in cui è stato introdotto l'art. 5 quater nella convenzione di Parigi (137). Esso trova espressione nell'art. 64, n. 2, della convenzione sul brevetto europeo, che dispone:

«Se l'oggetto del brevetto europeo è un procedimento, i diritti conferiti da questo brevetto si estendono ai prodotti ottenuti direttamente mediante questo procedimento».

123.
    Qualora i prodotti così ottenuti siano in grado di riprodursi, sorge il problema esaminato al paragrafo 121. Ad esempio, un procedimento brevettato può condurre alla produzione di un microorganismo clonabile. Se tale materiale potesse essere liberamente riprodotto dall'acquirente, il valore del brevetto relativo al procedimento diverrebbe nullo. L'art. 8, n. 2, pertanto, chiarisce che la protezione conferita a materiale biologico ottenuto direttamente mediante un procedimento brevettato si estende alle generazioni future di tale materiale.

124.
    L'art. 9 disciplina la situazione in cui un brevetto conferisce protezione relativamente ad un prodotto contenente o consistente in informazioni genetiche, come una particolare sequenza di DNA, o un gene particolare. Esso estende la protezione conferita da tale brevetto, fatto salvo l'art. 5, n. 1 (138), a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l'informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione. Pertanto, qualora la sequenza di DNA o il gene siano incorporati in un microorganismo ospitante in grado di moltiplicarsi, la protezione loro conferita dal brevetto si estende a detto microorganismo.

125.
    I Paesi Bassi e la Norvegia sostengono che, nonostante l'esclusione dalla brevettabilità delle varietà vegetali di cui all'art. 4, n. 1, lett. a), una varietà vegetale può essere protetta da brevetto ai sensi degli artt. 8 e 9.

126.
    Tale affermazione, a mio parere, è basata su un'analisi errata della situazione: occorre infatti distinguere la nozione di brevettabilità da quella di protezione conferita da un brevetto. Entrambe ovviamente possono essere rilevanti in un singolo caso: ad esempio, qualora un gene brevettato che rende resistente ai diserbanti venga inserito in una varietà vegetale senza il consenso del titolare, tale uso del gene equivale a contraffazione del brevetto. Se non attribuisse protezione contro tale uso, il brevetto originale relativo al gene avrebbe chiaramente scarso valore. Ciò tuttavia non significa che la varietà vegetale in sé sarà brevettabile. Un esempio tratto dal settore della tecnologia tradizionale può aiutare a chiarire questo punto. Storicamente, molti paesi hanno vietato i brevetti su prodotti farmaceutici. Qualora fosse stato realizzato un prodotto farmaceutico non brevettabile che incorporasse uno specifico composto chimico brevettato, è chiaro che tale brevetto sarebbe risultato contraffatto dalla produzione del prodotto farmaceutico, sebbene quest'ultimo di per sé non potesse essere tutelato da brevetto.

127.
    Pertanto, gli artt. 8 e 9 non implicano che le varietà vegetali siano brevettabili di per sé. Non può perciò verificarsi alcun conflitto tra il titolare di un brevetto relativo ad una determinata varietà vegetale ed il titolare di una privativa per ritrovati vegetali relativa a detta varietà. Tuttavia, potrebbe frequentemente accadere che un coltivatore desideri acquisire o sfruttare una privativa per ritrovati vegetali in circostanze in cui tale acquisizione o uso viola un brevetto esistente, ad esempio su un gene incorporato in detta varietà vegetale. L'art. 12 della direttiva prevede un sistema di licenze obbligatorie dipendenti (139) a condizioni ragionevoli qualora in tali circostanze il titolare di una privativa per ritrovati vegetali abbia vanamente chiesto una licenza al titolare del brevetto e la varietà vegetale costituisca un progresso tecnico significativo, di notevole interesse economico rispetto all'invenzione rivendicata nel brevetto (140).

128.
    Pertanto non esiste alcun conflitto tra l'art. 4, n. 1, lett. a), da un lato, e gli artt. 8 e 9, dall'altro.

L'argomento secondo cui le «razze animali» non sono definite

129.
    I Paesi Bassi obiettano che la direttiva non definisce l'espressione «animal varietes» («razze animali») utilizzata all'art. 4, n. 1, lett. a). Per contro,l'espressione «varietà vegetali», anch'essa utilizzata in detto articolo, è definita all'art. 2, n. 3. Risulterebbe quindi oscura la portata dell'eccezione relativa agli animali.

130.
    Le esclusioni dalla brevettabilità di cui all'art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva echeggiano quelle di cui all'art. 53, lett. b), della convenzione sul brevetto europeo, a loro volta basate su quelle dell'art. 2, lett. b), della convenzione di Strasburgo. Tale contesto nella specie non fornisce alcuna indicazione ai fini dell'interpretazione dell'espressione impiegata; occorre pertanto esaminare i singoli termini.

131.
    E' vero che non esiste alcuna definizione tassonomica generalmente accettata del termine «variety» («varietà»), che invece esiste per «specie» o «genere» (141), sebbene si possa rilevare che lo Shorter Oxford English Dictionary (142) dà la seguente definizione biologica del termine «variety»:

«Gruppo tassonomico classificato subito al di sotto di una sottospecie (143) (se presente) o di una specie, i cui membri differiscono dagli altri membri della stessa specie o sottospecie per caratteristiche minori ma permanenti o ereditarie: organismi che compongono tale gruppo».

Tutte le altre versioni linguistiche della direttiva utilizzano un termine, che corrisponde a «razza», conforme alla suesposta definizione. Così interpretata, a mio parere la nozione di «razza animale» non è ambigua.

Gli argomenti relativi al 31° e 32° 'considerando‘ e all'art. 4, nn. 1 e 2.

132.
    I Paesi Bassi, sostenuti dalla Norvegia, deducono due argomenti per affermare che le predette disposizioni sono contraddittorie e quindi infrangono il principio della certezza del diritto.

133.
    In primo luogo, al 31° 'considerando‘ si afferma che un insieme vegetale, caratterizzato da un determinato gene, non rientra nella tutela di nuove varietà e non è pertanto escluso dalla brevettabilità, anche se comprende nuove varietà vegetali. Tuttavia, nel testo della direttiva l'esclusione dalla brevettabilità non è collegata alla possibilità di ottenere una privativa per ritrovati vegetali. Inoltre al 32° 'considerando‘ si legge che un'invenzione consistente nella modifica geneticadi una determinata varietà vegetale dalla quale viene prodotta una nuova varietà è comunque esclusa dalla brevettabilità, il che è in contraddizione con quanto affermato al 31° 'considerando‘. Tuttavia, il 32° 'considerando‘ sarebbe illogico, in quanto la creazione di una nuova varietà vegetale dev'essere irrilevante sotto il profilo della brevettabilità: nessun brevetto può essere ottenuto per una varietà vegetale in quanto tale.

134.
    In secondo luogo, anche l'art. 4 sarebbe illogico: l'art. 4, n. 1, lett. a), esclude dalla brevettabilità le varietà vegetali e le razze animali in generale, mentre a norma dell'art. 4, n. 2, sono escluse dalla brevettabilità solo le invenzioni riguardanti una singola varietà. Non è pensabile in termini scientifici che un'invenzione debba essere applicabile tecnicamente ad una sola varietà vegetale o razza animale: qualsiasi invenzione collegata ad una modificazione genetica di una varietà vegetale o di una razza animale sarà applicabile a più varietà o razze. Pertanto, l'art. 4, n. 2, sarebbe privo di senso.

135.
    In limine, può essere utile citare i motivi alla base dell'esclusione dalla brevettabilità di varietà vegetali e razze animali prevista dalla direttiva, formulata negli stessi termini impiegati nella convenzione sul brevetto europeo (144) e nella convenzione di Strasburgo (145) (sebbene in quest'ultima l'esclusione sia facoltativa (146)).

136.
    Nel 1961, e quindi anche prima che fosse stipulata la convenzione di Strasburgo, la maggior parte degli Stati che avrebbero in seguito firmato le due convenzioni successive hanno sottoscritto la convenzione UPOV (147). Detta convenzione, nella sua versione originale, disponeva che gli Stati contraenti potevano rilasciare privative speciali su ritrovati vegetali oppure brevetti (in entrambi i casi ai sensi del diritto nazionale) su varietà vegetali rientranti nell'ambito della convenzione, ma non potevano conferire entrambi i tipi di protezione. L'art. 2, lett. b), della convenzione di Strasburgo e l'art. 53, lett. b), della successiva convenzione sul brevetto europeo escludono la brevettabilità di varietà vegetali, conformemente a tale impostazione accettata a livello internazionale (148).

137.
    Può essere utile rammentare che all'epoca in cui la direttiva è stata redatta ed ha iniziato l'iter legislativo, non era chiara la portata dell'eccezione relativa alla varietà vegetali di cui all'art. 53, lett. b).

138.
    Nel febbraio 1995, la commissione tecnica di ricorso 3.3.4 dell'Ufficio europeo dei brevetti ha emesso una decisione (149) da molti interpretata nel senso che statuisce - in contrasto con la giurisprudenza precedente - che una domanda di brevetto per varietà vegetali rientranti nel campo di applicazione della direttiva non poteva essere accolta. Nel novembre 1995, la Commissione allargata di ricorso ha dichiarato (150) che la predetta decisione, correttamente interpretata, statuiva che le piante derivate da cellule in cui era stata introdotta una sequenza di geni che conferiva resistenza ai diserbanti costituivano, in quanto risultato di tale modificazione genetica, una «varietà vegetale» ai sensi dell'art. 53, lett. b).

139.
    E' chiaro che quest'ultima decisione, in base alla quale qualunque vegetale geneticamente modificato andava considerato come una varietà vegetale e quindi non brevettabile, avrebbe inficiato gravemente uno dei principali obiettivi della direttiva. Il Consiglio e il Parlamento nelle loro osservazioni scritte hanno confermato alla Corte che la giurisprudenza dell'Ufficio europeo dei brevetti chiarisce il testo delle disposizioni pertinenti della direttiva, che è stato così redatto per garantire ch'esse non producessero il medesimo risultato. Al 31° 'considerando‘ si afferma che un insieme vegetale, caratterizzato da un determinato gene non rientra nella tutela di nuove varietà, anche se comprende nuove varietà. Tale situazione va però tenuta distinta da quella di un'invenzione consistente solo nella modificazione genetica di una determinata varietà vegetale che dia origine ad una nuova varietà: in tal caso, secondo il 32° 'considerando‘ trova applicazione l'eccezione alla brevettabilità. Di fatto, l'art. 4, n. 2, rovescia la decisione Plant Genetic Systems: un'invenzione - come la modificazione genetica di un vegetale che lo renda più resistente ai diserbanti - può essere brevettata se la sua eseguibilità tecnica non è limitata ad una determinata varietà vegetale o, in altre parole, non è esclusa dalla brevettabilità solo perché la relativa domanda ha ad oggetto un insieme vegetale che comprende più di una varietà.

140.
    Si può rilevare che la suesposta interpretazione del 31° e del 32° 'considerando‘ e dell'art. 4, n. 2, è conforme all'attuale giurisprudenza dell'Ufficio europeo dei brevetti successiva alla decisione del dicembre 1999 della Commissione allargata di ricorso nel procedimento Novartis (151).

141.
    Pertanto, concludo nel senso che occorre disattendere tutti gli argomenti secondo cui la direttiva andrebbe annullata in quanto contraria al principio della certezza del diritto.

Sull'argomento relativo alla violazione di obblighi internazionali

142.
    I Paesi Bassi fanno valere che il Parlamento e il Consiglio, adottando la direttiva, hanno violato l'art. 228, n. 7, del Trattato CE (divenuto art. 300, n. 7, CE) in quanto la direttiva è incompatibile con vari obblighi internazionali.

143.
    L'art. 228 riguarda gli accordi conclusi tra la Comunità ed uno o più Stati o organizzazioni internazionali. L'art. 228, n. 7, così dispone:

«Gli accordi conclusi alle condizioni indicate nel presente articolo sono vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri».

144.
    Gli obblighi internazionali evocati dai Paesi Bassi derivano dall'accordo TRIPs, dall'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, dalla convenzione sul brevetto europeo e dalla convenzione sulla diversità biologica.

145.
    Il Consiglio sostiene in limine che la questione se un atto comunitario sia illegittimo in quanto contrario a norme di accordi internazionali di cui la Comunità è parte si pone solo qualora dette norme abbiano effetto diretto (152). Esso ritiene che le disposizioni dell'accordo TRIPs, dell'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi e della convenzione sulla diversità biologica siano per loro natura prive di effetto diretto. La loro presunta violazione pertanto non può essere fatta valere quale motivo per sindacare la legittimità della direttiva.

146.
    Tuttavia, presumendo che le disposizioni degli accordi internazionali citate non abbiano effetto diretto, non ritengo che ciò corrobori necessariamente la conclusione tratta dal Consiglio. Nella sentenza Germania/Consiglio (153), citata dal Consiglio a sostegno del suo argomento, la Corte si è dichiarata competente a controllare la legittimità di un atto comunitario alla luce di obblighi internazionali (le norme del GATT) che non abbiano efficacia diretta nell'ipotesi in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell'ambito di dette norme, o in quella in cui l'atto comunitario rinviiespressamente a precise disposizioni (154). Nel presente contesto sembra adeguato quest'ultimo criterio, anziché quello dell'effetto diretto.

147.
    In generale, si potrebbe ritenere comunque auspicabile, sotto il profilo politico, che la Corte possa sindacare la legittimità della legislazione comunitaria alla luce di trattati che vincolano la Comunità. Non vi è alcun altro giudice che possa sindacare la legislazione comunitaria; di conseguenza, se la Corte si dichiara incompetente, gli Stati membri possono trovarsi soggetti ad obblighi confliggenti senza disporre di strumenti per risolvere tali conflitti.

148.
    Pertanto, nonostante il parere del Consiglio, propongo di esaminare il merito degli argomenti dei Paesi Bassi relativi alla presunta violazione, da parte della direttiva, di vari obblighi internazionali degli Stati membri.

Violazione dell'accordo TRIPs

149.
    Il 12° e il 36° 'considerando‘ della direttiva sono così formulati:

«(12)    considerando che è entrato in vigore l'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) [...], sottoscritto dalla Comunità europea e dagli Stati membri; che esso prevede che la tutela brevettuale per prodotti e procedimenti sia garantita in tutti i campi della tecnologia;

[...]

(36)    considerando che l'accordo TRIPS prevede la possibilità, per i paesi aderenti all'Organizzazione mondiale del commercio, di escludere dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale nel loro territorio dev'essere impedito per motivi di ordine pubblico o di moralità pubblica, in particolare per proteggere la vita e la salute dell'uomo, degli animali o dei vegetali, o per evitare gravi danni ambientali, purché l'esclusione non sia dettata unicamente dal fatto che lo sfruttamento è vietato dalle loro legislazioni».

150.
    L'art. 1, n. 2, della direttiva così dispone:

«La presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da accordi internazionali, in particolare dall'accordo TRIPS e dalla Convenzione sulla diversità biologica».

151.
    L'art. 27, n. 3, lett. b), dell'accordo TRIPs autorizza gli Stati membri ad escludere dalla brevettabilità:

«i vegetali e gli animali, tranne i microorganismi, e i processi essenzialmente biologici per la produzione di vegetali o animali, tranne i processi non biologici e microbiologici [...]».

152.
    I Paesi Bassi sostengono che la direttiva impedisce agli Stati membri di scegliere se avvalersi di tale facoltà, in quanto istituisce un regime di brevettabilità che si estende ai vegetali e agli animali diversi dalle varietà vegetali e dalle razze animali. Pertanto, la direttiva sarebbe incompatibile con l'accordo TRIPS.

153.
    Mi sembra che questo argomento possa essere confutato senza che occorra esaminare ulteriormente la questione se il 12° e il 36° 'considerando‘, nonché l'art. 1, n. 2, della direttiva siano sufficienti per consentire alla Corte di sindacare la legittimità della direttiva stessa alla luce dell'accordo TRIPs.

154.
    L'opzione concessa ai membri dell'OMC dall'art. 27, n. 3, lett. b), dell'accordo TRIPs consente loro di escludere dalla brevettabilità un'ampia gamma di oggetti. La Comunità, membro dell'accordo, all'art. 4, n. 1, della direttiva ha scelto di escludere dalla brevettabilità solo una parte di tale gamma. La Comunità ha in tal modo esercitato la sua facoltà conformemente all'art. 27, n. 3. Il fatto che tale opzione non sia più disponibile per i Paesi Bassi è conseguenza non di una violazione dell'accordo TRIPs, bensì dell'effetto di armonizzazione della direttiva.

155.
    Inoltre i Paesi Bassi non possono far valere l'art. 1, n. 2, della direttiva. Detto articolo dispone che la direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti dall'accordo TRIPs. Gli obblighi imposti ai Paesi Bassi da detto accordo tuttavia non sono compromessi per effetto dell'art. 4, n. 1, della direttiva, con cui viene semplicemente esercitata una facoltà (di scelta) e che non incide su tali obblighi.

Sull'incompatibilità con l'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi

156.
    I Paesi Bassi sostengono che la direttiva contiene norme tecniche ai sensi dell'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi (155), il cui art. 2 disciplina l'adozione di tali norme. Inoltre i progetti di regolamenti tecnici devono essere pubblicati e notificati al segretariato dell'Organizzazione mondiale del commercio ai sensi dell'art. 2.9 dell'accordo. I Paesi Bassi non sono a conoscenza del fatto che sia statarispettata la procedura prevista; in ogni caso, ciò non emerge dalla direttiva e pertanto la Corte non può verificarne la conformità.

157.
    L'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi è inteso a garantire che i regolamenti tecnici e le norme, comprese le prescrizioni in materia di imballaggio, di marcatura e di etichettatura non creino indebiti ostacoli al commercio internazionale (156). L'art. 1.3 dispone che tutti i prodotti, compresi quelli industriali ed agricoli, sono soggetti alle disposizioni dell'accordo. L'accordo impone ai membri di fare in modo che i regolamenti tecnici non vengano elaborati, adottati o applicati in modo da creare o da conseguire l'effetto di indebiti ostacoli al commercio internazionale (157) e impone alcuni obblighi di pubblicazione e notifica per quanto riguarda i regolamenti tecnici che possano influire in modo significativo sugli scambi tra i membri (158). Il «regolamento tecnico» è così definito: «Documento che definisce le caratteristiche di un prodotto o i relativi processi e metodi di produzione, comprese le pertinenti disposizioni amministrative la cui osservanza è obbligatoria. Può anche comprendere o riguardare esclusivamente requisiti di terminologia, simboli, imballaggio, marcatura o etichettatura applicabili ad un prodotto, processo o metodo di produzione» (159).

158.
    L'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, così come l'accordo TRIPs, è un accordo dell'OMC. La direttiva non vi fa riferimento, e nulla sembra indicare ch'essa sia intesa a dargli attuazione ai sensi della giurisprudenza della Corte (160). Pertanto, a mio parere l'accordo non può essere fatto valere nell'ambito di un ricorso d'annullamento contro una direttiva.

159.
    In ogni caso, non vedo alcun argomento a sostegno della tesi secondo cui la direttiva costituisce un regolamento tecnico quale definito dall'accordo e rientra quindi nell'ambito di applicazione di quest'ultimo. Essa non stabilisce le caratteristiche dei prodotti ai sensi dell'accordo, né crea ostacoli al commercio internazionale. Ritengo quindi che l'argomento dei Paesi Bassi su questo punto vada disatteso.

Sull'incompatibilità con la convenzione sul brevetto europeo

160.
    L'art. 53, lett. a), della convenzione sul brevetto europeo dispone che non vengono concessi brevetti europei per le invenzioni la cui pubblicazione o la cui attuazione sia contraria all'ordine pubblico o al buon costume, ma detta attuazionenon può essere considerata tale per il solo fatto che essa è vietata in tutti gli Stati contraenti o in parte di essi da una disposizione legale o amministrativa.

161.
    L'art. 6, n. 1, della direttiva, dispone che sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all'ordine pubblico o al buon costume; tuttavia, lo sfruttamento di un'invenzione non può di per sé essere considerato contrario all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare. L'art. 6, n. 2, elenca vari procedimenti e un'utilizzazione in particolare che vanno considerati esclusi dalla brevettabilità (161).

162.
    I Paesi Bassi rilevano che il criterio di esclusione dalla brevettabilità utilizzato dalla direttiva attiene quindi al fatto che lo sfruttamento commerciale di un'invenzione sia contrario all'ordine pubblico o al buon costume. Il criterio della convenzione tuttavia è se la «pubblicazione o l'attuazione» di un'invenzione sia contraria all'ordine pubblico o al buon costume. Inoltre un brevetto nazionale dev'essere rifiutato per i motivi specificamente indicati all'art. 6, n. 2, della direttiva, mentre la convenzione prevede un motivo più generale. Un'invenzione considerata esclusa dalla brevettabilità ai sensi della direttiva può quindi essere nondimeno legittima in uno Stato membro in quanto brevetto europeo. La direttiva e la convenzione sarebbero pertanto incompatibili, e in tal modo verrebbe contraddetto l'art. 1, n. 2, della direttiva.

163.
    Tuttavia, a mio parere è chiaro che l'art. 228, n. 7, del Trattato CE non si applica alla convenzione sul brevetto europeo, in quanto essa non è un accordo concluso dalla Comunità. Pertanto, quest'ultima non è vincolata dalla convenzione e la direttiva non può essere in contrasto con essa. Di conseguenza, l'asserita incompatibilità tra la convenzione e la direttiva, anche qualora esistesse realmente, non può costituire un motivo di annullamento della direttiva.

164.
    In ogni caso, le differenze tra i requisiti sostanziali prescritti dai due atti a mio parere sono marginali. Come è stato dimostrato nell'ambito del terzo motivo d'annullamento dei Paesi Bassi, e in particolare nell'esame dell'ambito di applicazione dell'eccezione relativa all'ordine pubblico, non vi è alcun motivo di ritenere che la nozione di ordine pubblico debba essere interpretata in modo diverso nella convenzione e nella direttiva. Inoltre Il rischio che i giudici nazionali, nell'applicare le norme nazionali di attuazione della direttiva, interpretino la nozione diversamente da come fa l'Ufficio europeo dei brevetti allorché applica la convenzione è ora ancor più ridotto, in quanto l'intero testo della direttiva è stato incorporato (da quando è stato depositato il presente ricorso) nel regolamento diesecuzione della convenzione, a norma del quale la direttiva «costituisce uno strumento complementare d'interpretazione» (162).

165.
    Senza dubbio rimane il problema che l'esclusione dalla brevettabilità della convenzione si estende alle invenzioni la cui pubblicazione sarebbe contraria all'ordine pubblico e al buon costume, mentre il divieto contenuto nella direttiva non è altrettanto esteso, in quanto riguarda solo lo sfruttamento commerciale (163). Nondimeno, a mio parere tale differenza non ha alcun impatto dal punto di vista pratico, in quanto è difficilmente immaginabile un'invenzione di cui sarebbe illecita la pubblicazione ma non la commercializzazione.

166.
    Pertanto, ritengo che questo capo del motivo dei Paesi Bassi vada disatteso.

Sull'incompatibilità con la convenzione sulla diversità biologica

167.
    Il 55° e il 56° 'considerando‘ della direttiva sono così redatti:

«(55)    considerando che, ai sensi della decisione 93/626/CEE [...], la Comunità è parte della Convenzione sulla diversità biologica del 5 giugno 1992; che, nel mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva, gli Stati membri tengono conto, in particolare, dell'articolo 3, dell'articolo 8, lettera j), e dell'articolo 16, paragrafo 2, seconda frase, e paragrafo 5 di detta convenzione;

(56)    considerando che la terza conferenza delle parti contraenti della convenzione sulla diversità biologica, svoltasi nel novembre 1996, nella decisione III/17 stabilisce che ”è necessario continuare a lavorare per contribuire a sviluppare una valutazione comune della relazione tra i diritti di proprietà intellettuale e le disposizioni attinenti all'accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS) e della Convenzione sulla diversità biologica, in particolare in ordine alle questioni riguardanti i trasferimenti di tecnologie, la conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica, nonché la giusta ed equa ripartizione dei vantaggi derivanti dall'uso di risorse genetiche, compresa la protezione delle conoscenze, delle innovazioni e delle prassi delle comunità indigene e locali che incarnano stili di vita tradizionali importanti ai fini della conservazione e dell'uso sostenibile della diversità biologica».

168.
    L'art. 1, n. 2, della direttiva dispone quanto segue:

«La presente direttiva non pregiudica gli obblighi degli Stati membri derivanti da accordi internazionali, in particolare dall'accordo TRIPS e dalla Convenzione sulla diversità biologica».

169.
    La convenzione sulla diversità biologica, sottoscritta dalla Comunità e da tutti gli Stati membri il 5 giugno 1992 e approvata dalla Comunità il 25 ottobre 1993 (164), è intesa a garantire la conservazione della diversità biologica e l'utilizzazione durevole dei suoi elementi (165). Un aspetto importante è la ripartizione giusta ed equa dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche, mediante, tra l'altro, un accesso adeguato alle risorse genetiche e un trasferimento opportuno delle tecnologie pertinenti, tenendo conto di tutti i diritti su tali risorse e tecnologie (166). Anche la Norvegia, in quanto membro dello Spazio economico europeo, è parte della convenzione.

170.
    Le «risorse genetiche» vengono definite come «il materiale genetico che abbia un valore effettivo o potenziale». Il materiale genetico viene definito come «il materiale di origine vegetale, animale, microbica o di altra origine, contenente unità funzionali dell'eredità». La tecnologia comprende la biotecnologia (167).

171.
    L'art. 3 della convenzione così recita:

«Conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e ai principi del diritto internazionale, gli Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le loro proprie risorse applicando la propria politica ambientale ed hanno il dovere di fare in modo che le attività esercitate sotto la loro giurisdizione o il loro controllo non pregiudichino l'ambiente di altri Stati o di regioni che si trovino al di fuori della giurisdizione nazionale».

172.
    L'art. 8 della convenzione indica una serie di misure che devono essere adottate per favorire la diversità biologica degli habitat naturali. A norma della lett. j), ogni parte contraente «rispetta, preserva e mantiene le conoscenze, le innovazioni e le pratiche delle comunità autoctone e locali che impersonano modi di vita tradizionali, importanti per la conservazione e l'utilizzazione durevole della diversità biologica».

173.
    L'art. 16, n. 2, della convenzione impone di garantire e/o facilitare l'accesso alla tecnologia e il trasferimento di tecnologia, compresa la biotecnologia, ai paesi in via di sviluppo, applicando condizioni eque e il più possibile favorevoli. A normadell'art. 16, n. 2, seconda frase, qualora una biotecnologia costituisca oggetto di brevetti, l'accesso ed il trasferimento sono assicurati secondo modalità che riconoscano i diritti di proprietà intellettuale e siano compatibili con una loro protezione adeguata ed efficace. L'art. 16, n. 5, riconosce che i brevetti possono avere un influsso sull'applicazione della convenzione ed impone alle parti contraenti di garantire che tali diritti costituiscano un aiuto e non un ostacolo alla realizzazione dei suoi obiettivi.

174.
    I Paesi Bassi affermano che non è chiaro il rapporto tra la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche e gli obblighi derivanti dalla convenzione sulla diversità biotecnologica. In particolare non è chiaro in quale misura il rilascio di un brevetto relativo ad un'invenzione biotecnologica ottenuta da materiale biologico o consistente in materiale biologico reperibile esclusivamente in paesi in via di sviluppo o che venga ottenuta mediante metodi tradizionali sia compatibile con l'obbligo di condividere a condizioni eque le conoscenze e i vantaggi delle risorse genetiche. Qualora venga rilasciato un brevetto, i diritti del titolare hanno ad oggetto non solo l'invenzione biotecnologica o il materiale protetti, bensì anche i prodotti di tale materiale. Pertanto, gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo potranno trarre vantaggio da tale invenzione solo dopo il pagamento di diritti al titolare del brevetto. L'attuazione della direttiva potrebbe quindi comportare l'inosservanza della convenzione.

175.
    Inoltre, sebbene la direttiva distingua chiaramente tra invenzioni, che sono brevettabili, e scoperte, che non lo sono, vi è il rischio che possano essere erroneamente concessi brevetti sui prodotti e sui procedimenti tradizionali originari dei paesi in via di sviluppo anche nel caso in cui costituiscano scoperte anziché invenzioni: nella pratica è difficile stabilire se materiale vivente costituisca una scoperta o un'invenzione, proprio perché non tutti i prodotti e i procedimenti tradizionali sono noti. In questo caso, i profitti generati da tali brevetti avvantaggerebbero non il paese in via di sviluppo interessato, bensì il titolare (occidentale) del brevetto. Il paese in via di sviluppo potrebbe dover avviare procedimenti giudiziari lunghi e onerosi per opporsi al brevetto già rilasciato, il che sarebbe in contrasto con il principio, sancito dalla convenzione, dell'equa condivisione con i paesi in via sviluppo delle conoscenze e dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse genetiche.

176.
    La Norvegia sostiene che vari aspetti della direttiva sono incompatibili con l'oggetto e con lo scopo della convenzione. L'attuazione della direttiva pertanto potrebbe costringere gli Stati ad ignorare le disposizioni della convenzione. Inoltre l'adozione della direttiva da parte del comitato congiunto SEE creerebbe seri problemi alla Norvegia, che verrebbe ad essere soggetta ad obblighi conflittuali derivanti dal Trattato. Pertanto, la direttiva andrebbe annullata.

177.
    A mio parere, gli argomenti secondo cui la direttiva è incompatibile con la convenzione sulla diversità biologica rivelano che non sono stati presi in considerazione i rispettivi scopi e ambiti di applicazione dei due atti.

178.
    La direttiva, come emerge chiaramente dall'analisi svolta nel contesto dei precedenti motivi d'annullamento, impone agli Stati membri dell'Unione europea di garantire che i loro diritti nazionali predispongano una tutela brevettuale per le invenzioni biotecnologiche, quali definite dalla direttiva stessa. A tal fine, in questo ambito ristretto essa impone alcuni obblighi molto specifici agli Stati membri. Ovviamente i brevetti concessi ai sensi della direttiva, come tutti i brevetti, hanno un'efficacia territoriale.

179.
    Per converso, la convenzione ha piuttosto natura di un accordo quadro. Dopo aver indicato i propri obiettivi all'art. 1, la convenzione propone una serie di approcci che le parti contraenti (le quali al 5 giugno 2001 comprendevano 180 Stati di tutto il mondo) sono tenute ad adottare, in molti casi solo «per quanto possibile e opportuno» (168). Il campo di applicazione della convenzione è piuttosto ampio; le misure proposte sono abbastanza varie e nella maggior parte dei casi vi si fa cenno in termini generali.

180.
    E' assiomatico il fatto che nulla, nella direttiva, può imporre a Stati che non sono membri dell'Unione europea (o parti contraenti dell'accordo sullo Spazio economico europeo) di prestare tutela brevettuale alle invenzioni biotecnologiche (anche se, naturalmente, altri atti internazionali, fra i quali l'accordo TRIPs, possono avere proprio questo effetto). Pertanto, l'approccio dei paesi in via di sviluppo - nei quali, come rilevano i Paesi Bassi e la Norvegia, si concentra una grande ricchezza genetica - alla protezione brevettuale delle invenzioni biotecnologiche non risulta pregiudicato dalla direttiva.

181.
    Quest'ultima, poiché ha ad oggetto i brevetti, non è intesa a disciplinare materie che esulano dal settore della proprietà industriale. Come ho già detto e come ripeterò più avanti (169), non spetta al diritto dei brevetti regolare materie più ampie quali il controllo della fonte del materiale biologico per il quale si chiede protezione brevettuale. La direttiva non incide, né può incidere, sulla possibilità dei paesi in via di sviluppo di stabilire controlli sulle loro risorse genetiche al fine di impedirne il saccheggio incontrollato. Sono almeno una dozzina i paesi che hanno già adottato provvedimenti del genere, conformemente alla convenzione sulla diversità biologica, e altrettanti stanno attualmente predisponendo sistemi di controllo (170).

182.
    Non vedo in che modo, come sostengono i Paesi Bassi, i prodotti e i procedimenti tradizionali originari di paesi in via di sviluppo possano essere brevettati ai sensi della direttiva anche qualora si tratti di scoperte e non di invenzioni. Come enuncia esplicitamente la direttiva (171), per poter essere brevettate le invenzioni devono essere nuove, comportare un'attività inventiva ed essere suscettibili di applicazione industriale. Tali requisiti, che costituiscono parte del diritto dei brevetti, in una forma o nell'altra, a partire dalle legge veneziana del 1474 (172) non sono mere formalità, bensì condizioni essenziali di brevettabilità che devono essere tutte soddisfatte affinché possa essere rilasciato un brevetto. Pertanto, le risorse naturali in quanto tali non possono formare oggetto di brevetto.

183.
    In ogni caso, la convenzione non vieta né limita in alcun modo la brevettabilità di materiali biotecnologici, né di risorse genetiche; l'art. 16, n. 2, della convenzione prescrive anzi che l'accesso alla biotecnologia ed il trasferimento di biotecnologia oggetto di brevetti devono essere assicurati secondo modalità che riconoscano i diritti di proprietà intellettuale e siano compatibili con una loro protezione adeguata ed efficace.

184.
    Respingo quindi gli argomenti secondo cui la direttiva e la convenzione sulla diversità biologica sono incompatibili; di conseguenza, non occorre esaminare le eventuali implicazioni di tale incompatibilità.

Sugli argomenti relativi ai diritti fondamentali

185.
    L'art. F, n. 2, del Trattato sull'Unione europea dispone:

«L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario».

186.
    Il 16°, 20°, 21°, 26° e 43° 'considerando‘ del preambolo della direttiva sono così redatti:

«(16)    considerando che il diritto dei brevetti dev'essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l'integrità dell'uomo; che occorre ribadire il principio secondo cui il corpo umano, in ogni stadio della sua costituzione e del suo sviluppo, comprese le cellule germinali, la semplice scoperta di uno dei suoi elementi o di uno dei suoi prodotti, nonché la sequenza o sequenza parziale di un gene umano, non sonobrevettabili; che tali principi sono conformi ai criteri di brevettabilità previsti dal diritto dei brevetti, secondo i quali una semplice scoperta non può costituire oggetto di brevetto;

[...]

(20)    considerando, quindi, che è necessario dichiarare che un'invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, tramite un procedimento tecnico, e utilizzabile a fini industriali, non è esclusa dalla brevettabilità, anche se la struttura dell'elemento è identica a quella di un elemento naturale, fermo restando che i diritti attribuiti dal brevetto non si estendono al corpo umano e ai suoi elementi nel loro ambiente naturale;

(21)    considerando che tale elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto non è escluso dalla brevettabilità perché, ad esempio, è il risultato di procedimenti tecnici che l'hanno identificato, purificato, caratterizzato e moltiplicato al di fuori del corpo umano, procedimenti tecnici che soltanto l'uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per sé stessa non è in grado di compiere;

[...]

(26)    considerando che nell'ambito del deposito di una domanda di brevetto, se un'invenzione ha per oggetto materiale biologico di origine umana o lo utilizza, alla persona da cui è stato prelevato il materiale deve essere stata garantita la possibilità di esprimere il proprio consenso libero e informato a tale prelievo in base al diritto nazionale;

[...]

(43)    considerando che l'articolo F, paragrafo 2, del trattato sull'Unione europea stabilisce che l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario».

187.
    L'art. 3, n. 1, della direttiva dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un'attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico».

188.
    L'art. 5 così recita:

«1.    Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili.

2.    Un elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un'invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale.

3.    L'applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene dev'essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto».

189.
    I Paesi Bassi, richiamandosi alla sentenza X/Commissione (173), sostengono che ogni atto comunitario che violi un diritto fondamentale è illegittimo. A suo parere, la direttiva viola la convenzione sia per quanto dispone che per quanto omette.

190.
    I Paesi Bassi sostengono in primo luogo che l'art. 5, n. 2 della direttiva dispone che elementi isolati dal corpo umano sono brevettabili. Il diritto alla dignità umana viene riconosciuto dalla Corte come diritto fondamentale. Il corpo umano è il veicolo della dignità umana. Fare della materia umana vivente uno strumento non è ammissibile dal punto di vista della dignità umana.

191.
    In secondo luogo, i Paesi Bassi affermano che la direttiva non prevede un'attenta gestione del materiale umano né il consenso delle persone interessate in due punti.

192.
    In primo luogo, la persona dalla quale vengono prelevati elementi isolati dal corpo umano che vengano brevettati deve quanto meno avere un certo controllo sul destino del proprio corpo, o di una sua parte. La direttiva invece menziona il diritto dell'interessato solo al 26° 'considerando‘. Tuttavia, i 'considerando‘ non hanno efficacia vincolante. Il fatto che nessuna disposizione della direttiva garantisca che il materiale umano venga gestito con cautela andrebbe considerato in contrasto con i diritti fondamentali.

193.
    In secondo luogo, nessuna disposizione della direttiva riguarda la tutela del destinatario del materiale elaborato o ottenuto con procedimenti biotecnologici. Un paziente pertanto può essere sottoposto a tale trattamento senza il suo consenso o senza esserne informato. I Paesi Bassi sostengono che l'obbligo di rispettare la vita privata, la riservatezza in campo medico, il diritto all'integrità fisica e la tuteladel diritto all'informazione personale, quali riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte, possono essere classificati come «diritti personali». Nell'ambito delle cure mediche, il diritto all'autodeterminazione dei pazienti rientra nella stessa categoria. La direttiva violerebbe tale diritto in modo grave e senza giustificazione.

194.
    L'Italia sostiene la tesi dei Paesi Bassi, aggiungendo che una direttiva che disciplini una materia quale la biotecnologia, il cui effetto sui diritti fondamentali è incontestabile, ma che non garantisca adeguatamente che in sede di sua applicazione tali diritti saranno tutelati, non può essere valida.

195.
    I Paesi Bassi ritengono quindi che la direttiva violi diritti fondamentali in due modi: essa contiene una disposizione (art. 5, n. 2) contraria alla dignità umana e non garantisce il rispetto del diritto del donatore di esercitare un controllo sulla materia prelevatagli, né il diritto dei pazienti di acconsentire o meno alle cure. A mio parere, può essere utile esaminare questi due argomenti separatamente.

196.
    Rilevo che gli argomenti dedotti dinanzi alla Corte in merito alla compatibilità della direttiva con i diritti fondamentali si concentrano solo sulle specifiche questioni sopra menzionate. Devo quindi limitare ad esse la mia analisi della presunta incompatibilità della direttiva con i diritti fondamentali.

197.
    A mio avviso non si può dubitare che i diritti fatti valere dai Paesi Bassi siano effettivamente diritti fondamentali, di cui l'ordinamento giuridico comunitario deve garantire il rispetto. Il diritto alla dignità umana è probabilmente fra tutti il più fondamentale e attualmente trova espressione all'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (174), il quale dispone che la dignità umana è inviolabile e dev'essere rispettata e tutelata. Anche il diritto ad un consenso libero e informato da parte sia delle persone dalle quali vengono prelevati elementi del corpo umano sia dei destinatari di cure mediche può essere correttamente ritenuto fondamentale; esso trova attualmente espressione all'art. 3, n. 2, della Carta UE, il quale prescrive che nell'ambito della medicina e della biologia dev'essere rispettato «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge». Si deve ammettere che qualsiasi atto comunitario che leda tali diritti fondamentali è illegittimo.

198.
    A mio parere, tuttavia, la direttiva non lede diritti fondamentali, come sostengono i Paesi Bassi e l'Italia.

L'art. 5, n. 2, lede diritti fondamentali?

199.
    In primo luogo, non posso accogliere l'affermazione formulata in termini assoluti dai Paesi Bassi secondo cui il rilascio di un brevetto relativo ad un elemento isolato dal corpo umano è contrario alla dignità umana. Taleaffermazione sembra fondata sulla premessa che la tutela brevettuale di tale elemento equivalga ad un'appropriazione di parte del corpo umano di cui trattasi. Un brevetto invece non conferisce alcun diritto di proprietà. Inoltre la direttiva dispone che né il corpo umano in sé né la mera scoperta di uno dei suoi elementi sono brevettabili (175). Secondo un principio generale del diritto dei brevetti, enunciato espressamente all'art. 3, n. 1, della direttiva, sono brevettabili solo le invenzioni nuove che comportino un'attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale (176). Pertanto, la scoperta di un elemento del corpo umano, quale un gene, non è brevettabile; il gene può essere brevettato solo nel caso in cui sia stato isolato dal suo stato naturale mediante, ad esempio, un procedimento di purificazione che lo abbia separato da altre molecole che in natura sono associate ad esso e solo qualora la sua applicazione industriale, ad esempio la produzione di nuovi farmaci, venga indicata nella domanda di brevetto in conformità dell'art. 5, n. 3, della direttiva. Pertanto, il brevetto non avrà ad oggetto il gene quale si presenta nel corpo umano, in quanto i geni nel corpo non si presentano nella forma isolata e purificata che costituisce l'oggetto del brevetto (177).

200.
    Lo slogan «nessun brevetto sulla vita» costituisce quindi una semplificazione eccessiva.

201.
    Nondimeno, si possono forse immaginare circostanze in cui il rilascio di un brevetto relativo ad un elemento isolato dal corpo umano risulti irrispettoso della dignità umana; inoltre futuri sviluppi della biotecnologia potrebbero rendere possibili prodotti e procedimenti ora inimmaginabili che analogamente potrebbero risultare irrispettosi della dignità umana. Tali invenzioni, tuttavia, sarebbero senza dubbio escluse dalla brevettabilità ai sensi della direttiva in forza dell'eccezione di cui all'art. 6, n. 1, relativa alle invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario al buon costume. Pertanto, la direttiva appresta una tutela essenziale contro il rilascio di brevetti del genere. Detta tutela è inoltre strutturata in modo da adeguarsi agli sviluppi futuri: la generalità del criterio ne garantisce l'applicabilità alle invenzioni attualmente non prevedibili nei particolari in questosettore in rapida evoluzione. Senza dubbio è sempre per tale motivo che il legislatore ha scelto di non fornire all'art. 6, n. 2, un elenco esaustivo di invenzioni che vanno considerate escluse dalla brevettabilità ai sensi dell'art. 6, n. 1. Una valutazione caso per caso delle domande di brevetto alla luce del consenso morale costituisce la migliore garanzia per il rispetto del diritto alla dignità umana, e tale è il quadro predisposto dalla direttiva.

202.
    Mi sembra quindi che gli artt. 5 e 6 della direttiva mantengano nettamente distinti i casi in cui gli elementi di origine umana vanno considerati esclusi dalla brevettabilità da quelli in cui possono essere legittimamente considerati brevettabili.

203.
    La direttiva rispecchia anche le conclusioni del gruppo dei consiglieri della Commissione europea sulle implicazioni etiche della biotecnologia. Nella sua relazione sugli aspetti etici delle invenzioni brevettabili che comprendono elementi di origine umana (178), il gruppo dei consiglieri non propone di escludere tali invenzioni dalla brevettabilità in linea di principio, ma ritiene ch'essa debba essere subordinata a determinati principi etici, in modo da garantire il rispetto dei diritti umani. Il gruppo afferma infatti: «Qualunque sia la natura dell'invenzione biotecnologica comprendente elementi di origine umana, la direttiva deve fornire sufficienti garanzie, in modo che il diniego di un brevetto relativo ad un'invenzione ritenuta lesiva dei diritti della persona ed irrispettosa della dignità umana risulti giuridicamente fondato». Tale garanzia si rinviene nell'esclusione dalla brevettabilità delle invenzioni contrarie al buon costume stabilita all'art. 6, n. 1, della direttiva.

204.
    Pertanto, non ritengo che la direttiva, disponendo che elementi isolati dal corpo umano sono brevettabili, violi la dignità umana.

Il fatto di non prescrivere l'acquisizione del consenso lede diritti fondamentali?

205.
    Tuttavia non basta dire che le disposizioni della direttiva di per sé non ledono diritti fondamentali. I Paesi Bassi e l'Italia lamentano anche il fatto che la direttiva non prevede determinate disposizioni necessarie alla tutela di tali diritti, e quindi li lede. In particolare non garantirebbe che detti diritti siano rispettati allorché vengono rilasciati brevetti relativi a prodotti e procedimenti biotecnologici e successivamente quando tali prodotti e procedimenti vengono sfruttati ed utilizzati.

206.
    I Paesi Bassi affermano in primo luogo che la direttiva dovrebbe prescrivere che la persona dalla quale vengono prelevati elementi isolati dal corpo umano che vengano brevettati abbia il controllo sul destino del proprio corpo o di una parte di esso.

207.
    Al 26° 'considerando‘ si afferma che nell'ambito del deposito di una domanda di brevetto su un'invenzione avente per oggetto materiale biologico di origine umana, alla persona da cui è stato prelevato il materiale «deve essere stata garantita la possibilità di esprimere il proprio consenso libero e informato a tale prelievo in base al diritto nazionale».

208.
    Tale 'considerando‘ trae origine da una modifica proposta dal Parlamento, il quale avrebbe voluto introdurre nella direttiva un nuovo art. 8, lett. a), n. 2, a norma del quale, tra l'altro, nella domanda di tale brevetto il richiedente avrebbe dovuto fornire «alle competenti autorità la prova che il materiale è stato utilizzato e proposto per il brevetto con il libero ed informato consenso della persona in questione [...]» (179). Tale modifica non è stata accolta.

209.
    Dalle varie versioni linguistiche del 26° 'considerando‘ non risulta con chiarezza se il consenso debba avere ad oggetto il deposito della domanda di brevetto o il prelievo di materiale dalla persona interessata. Pertanto, il 26° 'considerando‘ potrebbe non avere la portata proposta alla Commissione dal gruppo di consiglieri (180), il quale ha dichiarato:

«Dev'essere rispettato il principio etico del consenso libero e informato della persona sulla quale viene effettuato il prelievo. Detto principio implica che l'informazione di tale persona dev'essere completa e precisa, in particolare per quanto riguarda l'eventuale domanda di brevetto sull'invenzione che potrebbe essere tratta dall'uso di questo elemento. Un'invenzione basata sull'uso di elementi di origine umana prelevati senza rispettare il principio del consenso non risponde agli imperativi etici».

210.
    Naturalmente, è auspicabile che nessun elemento di origine umana venga prelevato da una persona senza il suo consenso. Tale principio viene espresso nella prima parte della Carta dei diritti fondamentali (181) dell'Unione europea; esso è altresì sancito al capitolo II della convenzione del Consiglio d'Europa sui diritti umani e la biomedicina (182), che dispone che un'intervento nel settore della salute è possibile solo dopo che la persona interessata vi abbia dato il proprio consenso libero e informato (183).

211.
    A mio parere, tuttavia, sebbene il requisito del consenso a tutti i possibili usi di materiale umano possa essere considerato fondamentale, il diritto dei brevetti non costituisce la cornice adeguata per l'imposizione ed il controllo di tale requisito. Come ho già detto (184), un brevetto conferisce solo il diritto di impedire a terzi di utilizzare o comunque sfruttare l'invenzione brevettata; le modalità di impiego o di sfruttamento dell'invenzione da parte del titolare del brevetto sono disciplinate non dal diritto dei brevetti, bensì dal diritto e dalla prassi nazionale in materia.

212.
    Inoltre subordinare il rilascio di un brevetto biotecnologico alla prova dell'esistenza di tale consenso - presumibilmente in base al principio del buon costume - a mio parere rischia di essere impraticabile. Le invenzioni biotecnologiche possono costituire il risultato di ricerche su migliaia di campioni di sangue o di tessuto, magari mescolati tra loro e quasi certamente anonimi al momento dell'analisi. Non ritengo che ci si possa ragionevolmente attendere che gli esaminatori di brevetti possano raggiungere la persuasione che la catena del consenso relativa a ciascun campione è ininterrotta e comprovata. Spetta semmai al personale medico o ai ricercatori che effettuano il prelievo garantire che il consenso è stato dato; tale responsabilità, congiuntamente alla forma e alla portata del consenso, sarà imposto dalle normative, dai codici deontologici ecc. a livello nazionale, al di fuori del campo dei brevetti. Tale impostazione non è incoerente rispetto al 26° 'considerando‘, che fa riferimento al «diritto nazionale». D'altro canto, la brevettabilità va valutata solo in base alla natura del prodotto o del procedimento, o alla luce della considerazione che ogni applicazione commerciale o industriale sarebbe censurabile.

213.
    A mio parere, pertanto, la direttiva non costituisce la sede appropriata di norme che disciplinino il consenso della persona dalla quale viene effettuato il prelievo o del destinatario di elementi di origine umana. In realtà, questioni del genere sorgono in generale per l'uso di sostanze umane, come nel caso dei trapianti, della donazione di organi ecc. Ciò a mio parere corrobora la tesi secondo cui le questioni non vanno risolte in base al diritto dei brevetti, e in particolare del diritto dei brevetti applicabile in questo specifico settore.

214.
    I Paesi Bassi sostengono inoltre che la direttiva, non prescrivendo che un paziente debba prestare il proprio consenso a ricevere cure mediche che comportano l'uso di materiale elaborato o ottenuto con procedimenti biotecnologici, lede diritti fondamentali. A mio parere questo argomento non è pertinente. Le condizioni per lo sfruttamento o l'uso di invenzioni brevettate, come ho già detto (185), esulano dall'ambito di applicazione della legislazione sui brevetti, e vanno verificate con altri mezzi. Ciò viene enunciato con chiarezza al 14°'considerando‘: il diritto sostanziale dei brevetti, che si limita a conferire al titolare il diritto di vietare a terzi di sfruttare le sue invenzioni a fini industriali e commerciali, non può sostituire il controllo in base a criteri etici sulla ricerca o sull'impiego a fini commerciali dei risultati di questa. Analogamente, come rileva il Consiglio, la direttiva non contiene alcuna disposizione secondo cui il destinatario di materiale trattato biotecnologicamente debba essere informato semplicemente perché detta direttiva non mira né è atta a disciplinare l'uso o la commercializzazione di siffatto materiale.

215.
    Pertanto, concludo nel senso che la direttiva di per sé non lede, né per quanto dispone né per quanto omette, diritti fondamentali riconosciuti dal diritto comunitario. Ovviamente non si può escludere che una particolare applicazione della direttiva all'interno di uno Stato membro possa ledere diritti fondamentali, sebbene essa contenga norme volte ed evitare tale conseguenza. Ma a mio parere è chiaro, in conclusione, che la direttiva di per sé non lede diritti fondamentali.

Sull'argomento secondo cui non sarebbe stata seguita la procedura corretta

216.
    I Paesi Bassi sostengono che la direttiva non è stata adottata in modo corretto in quanto è basata su una proposta irregolare della Commissione. Essa pertanto viola il combinato disposto degli artt. 100 A e 189 B, n. 2, del Trattato CE o, quanto meno, le suddette disposizioni lette congiuntamente all'art. 190 del Trattato CE.

217.
    L'art. 189 B, n. 2 (divenuto, in seguito a modifica, art. 215, n. 2, CE), dispone, per quanto riguarda la legislazione disciplinata da detto articolo, che la Commissione presenta una proposta al Parlamento europeo e al Consiglio.

218.
    L'art. 190 (divenuto art. 253 CE) dispone quanto segue:

«I regolamenti, le direttive e le decisioni, adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio [...] sono motivati e fanno riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente richiesti in esecuzione del presente Trattato».

219.
    I Paesi Bassi fanno valere che il funzionamento della Commissione è retto dal principio di collegialità (186). Detto principio si fonda sull'eguaglianza dei membri della Commissione nella partecipazione all'adozione delle decisioni e, in particolare, implica che le decisioni siano deliberate in comune e che tutti i membri del Collegio siano collettivamente responsabili, sul piano politico, del complesso delle decisioni adottate (187). Le condizioni di forma cui è subordinata l'effettiva osservanza del principio di collegialità variano in funzione della natura e deglieffetti giuridici degli atti adottati da detta istituzione (188). La proposta della Commissione, che era indispensabile per l'adozione della direttiva, avrebbe dovuto essere adottata dal Collegio nella sua versione definitiva presentata al Parlamento e al Consiglio; inoltre il testo della proposta avrebbe dovuto essere messo a disposizione di tutti i membri del Collegio in tutte le lingue ufficiali allorché è stato adottato dalla Commissione. Nessun elemento della direttiva sembrerebbe indicare che questa essenziale condizione di procedura è stata rispettata.

220.
    Per quanto riguarda l'argomento relativo al principio di collegialità, dalla replica dei Paesi Bassi risulta che essi non affermano che il principio sia stato effettivamente infranto, ma solo che la Commissione non ha ne verificato l'osservanza, o quanto meno che nel preambolo della direttiva non vi è traccia di tale verifica.

221.
    Riguardo alla tesi secondo cui la Commissione non avrebbe verificato l'osservanza del principio, la Commissione afferma (e i Paesi Bassi non contestano) che la proposta è stata adottata nella riunione del 13 dicembre 1995; pertanto, l'adozione è stata indiscutibilmente legittima.

222.
    Quanto al fatto che il preambolo della direttiva taccia sul punto, rilevo che nulla, nelle disposizioni del Trattato invocate dai Paesi Bassi, corrobora la loro tesi secondo cui negli atti normativi comunitari dev'essere precisato che è stato rispettato il principio di collegialità.

223.
    Per quanto riguarda l'argomento secondo cui la proposta avrebbe dovuto essere messa a disposizione di tutti i membri del Collegio in tutte le lingue ufficiali al momento in cui è stata adottata dalla Commissione, occorre rammentare che le proposte della Commissione non sono decisioni aventi la forma di uno degli atti menzionati all'art. 189 del Trattato CE e pertanto il Trattato non prescrive che siano adottate in versione autentica in tutte le lingue. Condivido il parere della Commissione secondo cui sarebbe inopportuno, e superfluo ai fini del rispetto del principio di collegialità, pretendere che una proposta venga adottata dal Collegio in tutte le lingue.

224.
    A sostegno di questa conclusione, la Commissione si richiama all'art. 6 del regolamento del Consiglio n. 1, che stabilisce il regime linguistico della Comunità Economica Europea (189), a norma del quale le istituzioni comunitarie possono determinare nei propri regolamenti interni le modalità di applicazione del regime linguistico stabilito dal regolamento stesso. In esecuzione di quest'ultima norma, l'art. 4 del regolamento di procedura della Commissione dispone che «[l]'ordine delgiorno e i necessari documenti di lavoro sono comunicati ai membri della Commissione entro i termini e nelle lingue di lavoro da questa stabiliti, a norma dell'articolo 23», il quale impone alla Commissione di stabilire le modalità di esecuzione del regolamento interno. Tali modalità prevedono che i documenti di lavoro relativi all'ordine del giorno vengono trasmessi ai membri della Commissione nelle lingue che il Presidente stabilisce tenendo conto delle esigenze minime dei membri. La proposta di direttiva è stata presentata ai membri della Commissione in inglese, francese e tedesco, ed è stata trasmessa - com'è consuetudine - alle altre istituzioni in tutte le lingue ufficiali.

225.
    Pertanto, respingerei l'argomento secondo cui la direttiva non è stata adottata in modo corretto in quanto è basata su una proposta irregolare della Commissione.

Conclusione

226.
    Dalle suesposte considerazioni discende che il presente ricorso, a mio parere, dev'essere respinto. Tuttavia l'azione potrebbe non risultare inutile. Mi sembra chiaro ch'essa è stata ispirata da preoccupazioni comprensibili, che rispecchiano il timore generalizzato che un'irresponsabile prosecuzione della ricerca biotecnologica possa comportare conseguenze inaccettabili sotto il profilo etico. Sebbene alcuni motivi di ricorso abbiano carattere meramente tecnico, tali timori costituiscono il fondamento del ricorso. Esso può non essere stato inutile nel senso che ha dimostrato come tali timori possano e debbano essere dissipati.

227.
    Infatti la direttiva riguarda in particolare la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, e non il loro impiego. All'interno di tale contesto, esistono adeguate clausole morali di salvaguardia che in certa misura travalicano la mera applicazione dei criteri di brevettabilità vigenti. Il fatto che i criteri etici relativi alla brevettabilità non vengano definiti ini modo esaustivo, lungi dallo sminuire la salvaguardia morale, ne agevola l'applicazione, in quanto i futuri sviluppi continueranno ad essere disciplinati da tali criteri, anche qualora si tratti di sviluppi attualmente non prevedibili. Pertanto, ai sensi della direttiva le invenzioni biotecnologiche contrarie alla dignità umana non sono brevettabili né lo saranno in futuro.

228.
    Inoltre il ricorso sottolinea l'importanza di disciplinare a livello nazionale l'impiego del materiale biotecnologico, proprio perché tale impiego, esulando dai parametri di brevettabilità, non è, e di fatto non può essere, disciplinato dalla direttiva. In particolare , occorre garantire che il principio del consenso informato venga rispettato ogniqualvolta venga prelevato da esseri umani materiale suscettibile di impiego a scopi scientifici o tecnologici.

229.
    Pertanto, la direttiva di per sé non è contestabile a motivo di ciò che dispone od omette. Naturalmente è fondamentale che la sua attuazione siasottoposta ad un attento controllo onde garantire in particolare la piena trasposizione e la stretta osservanza delle clausole morali di salvaguardia. Tuttavia, ritengo che il quadro normativo comunitario di per sé non sia illegittimo.

230.
    Di conseguenza, concludo proponendo alla Corte di dichiarare che:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    Il Regno dei Paesi Bassi è condannato alle spese sostenute dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

3)    Gli intervenienti sosterranno le rispettive spese.


1: -     Lingua originale: l'olandese.


2: -     Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, 98/44/CE (GU L 213, pag. 13).


3: -     Art. 1, n. 1.


4: -     Art. 3, n. 1.


5: -     Art. 4, n. 3.


6: -     Art. 2, n. 1, lett. b).


7: -     Art. 2, n. 1, lett. a).


8: -     Art. 3, n. 2.


9: -     Art. 5, n. 2.


10: -     Art. 4, n. 1, lett. a).


11: -     Art. 4, n. 1, lett. b).


12: -     Art. 5, n. 1.


13: -     Art. 6, n. 1.


14: -     Art. 6, n. 2.


15: -     V. nota 139.


16: -     COM(88) 496 del 17 ottobre 1998; GU 1989, C 10, pag. 3.


17: -     Art. 2.


18: -     Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; COM(95) 661 del 13 dicembre 1995; GU 1996, C 296, pag. 4.


19: -     Art. 15, n. 1.


20: -     Alcuni dei 'considerando‘ più importanti sono citati infra, ai paragrafi 42, 91, 113, 149, 167 e 186.


21: -     Attualmente gli Stati contraenti sono i 15 Stati membri dell'UE più Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco, Cipro e Turchia.


22: -     Art. 1.


23: -     Il richiedente deve indicare almeno uno Stato contraente.


24: -     Art. 2.


25: -     Art. 52, n. 1, che riproduce in modo letterale la prima frase dell'art. 1 della convenzione di Strasburgo del 1963 concernente l'unificazione di taluni elementi del diritto sostanziale dei brevetti d'invenzione. Tale convenzione era ampiamente ispirata ai lavori preparatori (risalenti al 1950) svolti dai paesi scandinavi su un brevetto nordico (successivamente sostituito dalla convenzione sul brevetto europeo) e sui lavori dei sei Stati membri fondatori della CEE su un diritto europeo comune dei brevetti.


26: -     Art. 53, che riproduce in modo letterale l'art. 2 della convenzione di Strasburgo.


27: -     Art. 27 dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l'«accordo TRIPs»; GU 1994, L 336, pag. 213).


28: -     Art. 83 della convenzione sul brevetto europeo; art. 29, n. 1, dell'accordo TRIPs.


29: -     Regola 27, n. 1, lett. e) e f), del regolamento di esecuzione della convenzione sulla concessione di brevetti europei.


30: -     V., ad esempio, art. 93 della convenzione sul brevetto europeo.


31: -     V., in generale, il 14° 'considerando‘ della direttiva, citato infra, paragrafo 42.


32: -     Si vedano le direttive per l'esame dell'Ufficio europeo dei brevetti, modificate da ultimo nel febbraio 2001, Parte C, capitolo IV, paragrafo 3.3.


33: -     Tale voce non era contemplata nell'edizione precedente.


34: -     Sottoscritta dalla Comunità e da tutti gli Stati membri alla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992; allegato A della decisione del Consiglio 25 ottobre 1993, 93/626/CEE, relativa alla conclusione della convenzione sulla diversità biologica (GU L 309, pag. 1).


35: -     Art. 2.


36: -     I primi a scoprire che i lieviti erano costituiti da cellule viventi furono uno scienziato francese ed uno tedesco (autonomamente uno dall'altro) nel 1836 e nel 1837; inizialmente tale scoperta fu ridicolizzata, ma venne in seguito accettata quando fu illustrata da Pasteur nel 1885. Nel 1871 furono presentate due domande di brevetto all'Ufficio brevetti del Regno Unito per una formula di farina autolievitante composta da farina e lievito disidratato. Nel 1873 l'Ufficio brevetti degli Stati Uniti concesse a Pasteur un brevetto sul «lievito, privo di batteri organici patogeni, quale oggetto di fabbricazione». Nel 1883 Hansen, allora direttore della birreria Carlsberg di Copenhagen, che era riuscito ad ottenere colture pure di lievito da singole cellule, utilizzò una di tali colture per far fermentare un lotto di birra dopo che il lievito originale si era guastato. Il proprietario della birreria si rifiutò di brevettare il processo di coltivazione; esso venne quindi reso pubblico ed impiegato dalla maggior parte delle birrerie in Europa e in America.


37: -     Sebbene l'Australia abbia concesso il primo brevetto nazionale per un organismo vivente, un tipo di lievito dotato di migliori proprietà per la produzione del pane, solo nel 1976.


38: -     Acido diossiribonucleico.


39: -     Così denominati in quanto agiscono su un segmento ristretto di DNA.


40: -     Nonché per gli animali, giacché sono stati elaborati vari vaccini, ad esempio, contro l'afta epizootica e contro parassiti del bestiame. I benefici più notevoli sotto il profilo dell'ambiente comprendono batteri utilizzati per decomporre chimicamente gli oli esausti e i rifiuti tossici.


41: -     Sviluppata nel 1982.


42: -     Sentenza Diamond/Chakrabarty, 447 US 303 (1980).


43: -     La formulazione è stata tratta senza modifiche dal primo Patent Act 1793, opera di Thomas Jefferson.


44: -     Il primo brevetto per un microorganismo in Giappone è stato concesso l'anno seguente. Può essere significativo il fatto che né negli Stati Uniti né in Giappone esistono apparentemente motivi preminenti di esclusione dalla brevettabilità per ragioni etiche o morali (sebbene, negli Stati Uniti, considerazioni etiche possono quanto meno rilevare al fine di valutare se ricorra il criterio dell'utilità).


45: -     Citato al paragrafo 22.


46: -     Nel 1988 è stato rilasciato un brevetto anche negli Stati Uniti.


47: -     V. art. 3, n. 1, citato al paragrafo 3. L'art. 5, n. 3, dispone inoltre che «[l]'applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene dev'essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto».


48: -     Sentenza 13 luglio 1995, causa C-350/92 (Racc. pag. I-1985, punti 32 e 33).


49: -     Regolamento (CEE) del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768, sull'istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (GU L 182, pag. 1).


50: -     Punto 34.


51: -     Punto 35.


52: -     Sentenza 5 ottobre 2000, causa C-376/98 (Racc. pag. I-8419, pubblicità a favore dei prodotti del tabacco).


53: -     Punto 86.


54: -     Punto 106.


55: -     Punto 108.


56: -     Punto 96.


57: -     Punto 97.


58: -     Punto 98.


59: -     V., ad esempio, sentenza 29 febbraio 1968, causa 24/67, Parke, Davis (Racc. pag. 76, in particolare pag. 99).


60: -     V., ad esempio, sentenza 31 ottobre 1974, causa 15/74, Centrafarm e De Peijper (Racc. pag. 1147, punto 9).


61: -     V. nota 43.


62: -     Sentenza Spagna/Consiglio, citata alla nota 48, punto 36.


63: -     A partire dall'entrata in vigore del Trattato sull'Unione europea.


64: -     V. nota 21.


65: -     La decisione del Consiglio di amministrazione del 16 giugno 1999 ha modificato il regolamento di esecuzione della convenzione sul brevetto europeo mediante l'introduzione di un nuovo capitolo VI intitolato «Invenzioni biotecnologiche» che contiene disposizioni sostanzialmente identiche agli artt. 2, 3, 4, nn. 2 e 3, 5 e 6, n. 2, della direttiva e dispone che la direttiva costituisce uno strumento complementare d'interpretazione.


66: -    Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi (GU L 40, pag. 1).


67: -     Del 20 marzo 1883, come rivista a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all'Aia il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934, a Lisbona il 31 ottobre 1958 e a Stoccolma il 14 luglio 1967.


68: -     Del 14 aprile 1891, come rivista a Bruxelles il 14 dicembre 1900, a Washington il 2 giugno 1911, all'Aia il 6 novembre 1925, a Londra il 2 giugno 1934, a Nizza il 15 giugno 1957 e a Stoccolma il 14 luglio 1967, e come modificata il 28 settembre 1979.


69: -     Art. 172 della convenzione.


70: -     V. nota 64.


71: -     V. 14° 'considerando‘, citato al paragrafo 42.


72: -     V. supra, paragrafo 25.


73: -     Sentenza Spagna/Consiglio, citata alla nota 48.


74: -     Sentenza 17 marzo 1993, causa C-155/91, Commissione /Consiglio (smaltimento dei rifiuti) (Racc. pag. I-939, punto 19).


75: -     V., ad esempio, sentenza 11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione/Consiglio (biossido di titanio) (Racc. pag. I-2867, punti 10-13).


76: -     V., ad esempio, sentenza Commissione/Consiglio, citata alla nota 74.


77: -     Citato in F. Pollaud-Dulian, La brevetabilité des inventions (1997), paragrafo 244.


78: -     Geneticamente modificato in modo da incorporare un gene di un'altra specie.


79: -     Citato da G.M. Gradi in «Patenting biotechnologies: the European Union Directive 98/44/EC of the European Parliament and of the Council of 6th July 1998 on the legal protection of biotechnological inventions» [reperito su Internet].


80: -     V., per analogia, sentenza 29 marzo 1990, causa C-62/88, Grecia/Consiglio (Racc. pag. I-1527, in particolare punto 19).


81: -     Direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, 90/220/CEE, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati (GU L 117, pag. 15).


82: -     V. anche nota 36.


83: -     Decisione «Bäckerhefe», citata in K. Goldbach, H. Vogelsang-Wenke e F.-J. Zimmer, Protection of Biotecnhological Matter under European and German Law, pag. 1.


84: -     Decisione «Tetraploide Kamille», ibidem.


85: -     V. supra, paragrafo 60.


86: -     V. H.-R. Jaenichen, The European Patent Office's Case Law on the Patentability of Biotechnology Inventions (1993); K. Goldbach, H. Vogelsang-Wenke e F.-J. Zimmer, Protection of Biotechnological Matter under European and German Law; E. S. van de Graaf, Patent Law and Modern Biotechnology (1997).


87: -     Ne sono parti contraenti tutti gli Stati membri ad eccezione del Lussemburgo.


88: -     V. paragrafo 25.


89: -     Regolamento (CE) del Consiglio n. 2100/94, concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali (GU L 227, pag. 1).


90: -     La convenzione internazionale per la protezione delle nuove varietà vegetali (UPOV è l'acronimo di Union internationale pour la protection des obtentions végétales, la denominazione francese dell'Unione istituita dalla convenzione).


91: -     V. nota 17.


92: -     Sentenza 13 maggio 1997, causa C-233/94 (Racc. pag. I-2405, punto 28).


93: -     V. sentenza Germania/Parlamento e Consiglio, citata alla nota 92, punto 28.


94: -     Nono 'considerando‘, citato al paragrafo 42.


95: -     V., ad esempio, sentenze 26 marzo 1996, causa C-392/93, British Telecommunications (Racc. pag. I-1631), e 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94, Denkavit International (Racc. pag. I-5063).


96: -     Per una spiegazione di alcuni dei termini utilizzati in questo 'considerando‘ v. infra, paragrafo 111.


97: -     La linea germinale è costituita dal gruppo di cellule che danno origine alle cellule riproduttive. Le modificazioni della linea germinale possono quindi essere trasmesse ai discendenti.


98: -     V. paragrafo 22.


99: -     Risulta tuttavia che nel settembre 1988 il comitato consultivo permanente dinanzi all'Ufficio europeo dei brevetti abbia proposto una modifica dell'art. 53, lett. a), in modo che facesse riferimento unicamente allo sfruttamento: v. Deryck Beyleveld, «Why Recital 26 of the EC Directive on the Legal Protection of Biotechnological Inventions Should Be Implemented in National Law‘ [2000] I.P.Q. 1.


100: -     Citata alla nota 25.


101: -     Presumibilmente per accontentare Stati Uniti e Giappone, in cui, come detto (v. nota 44), apparentemente non è prevista alcuna esclusione generale di carattere etico dalla brevettabilità.


102: -     M. Van Empel, The Granting of European Patents (1975), pag. 68, che cita un'indagine svolta in 10 paesi europei e pubblicata in GRUR Int. 1960, pag. 105.


103: -     Regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1).


104: -     Citata alla nota 65.


105: -     Art. 7, n. 1, lett. f) del regolamento e art. 3, n. 1, lett. f), della direttiva. Si può rilevare che l'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer, nelle sue conclusioni relative alla causa C-229/99, Philips Electronics, paragrafo 18, ha indicato quale esempio di marchio la cui registrazione sarebbe vietata in quanto contraria all'ordine pubblico il marchio «Babykiller» per un farmaco abortivo.


106: -     Citato alla nota 89.


107: -     Art. 63, n. 3, lett. e).


108: -     Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1998, 98/71/CE (GU L 289, pag. 28).


109: -     Art. 8.


110: -     GU 2000, C 248 E, pag. 56.


111: -     Art. 4, lett. a).


112: -     Per un'analisi delle nozioni di «public policy» e «ordre public» si vedano le conclusioni presentate dall'avvocato generale Warner nella causa 30/77, Bouchereau, decisa con sentenza 27 ottobre 1977 (Racc. pagg. 1999, in particolare pagg. 2023-2026).


113: -     Sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn (Racc. pag. 1337, punto 18).


114: -     Art. 11, n. 2, lett. b), della prima direttiva del Consiglio 9 marzo 1968, 68/151/CEE, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società a mente dell'art. 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8; tradotto nella versione inglese con «public policy»); art. 10, n. 2, lett. a), della direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/592/CEE, sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (insider trading) (GU L 334, pag. 30; «public policy»); art. 14, n. 5, della direttiva del Consiglio 8 novembre 1990, 90/619/CEE, che coordina ledisposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l'assicurazione diretta sulla vita, fissa le disposizioni destinate a facilitare l'esercizio effettivo della libera prestazione di servizi e modifica la direttiva 79/267/CEE (GU L 330, pag. 50; «public policy»); art. 5, lett. b), della direttiva del Consiglio 18 giugno 1991, 91/447/CEE, relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi (GU L 256, pag. 51; «public order»); art. 15, n. 6, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/42/CEE, concernente i dispositivi medici (GU L 169, pag. 1; «public policy»); art. 6, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 1994, 94/22/CE, relativa alle condizioni di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi (GU L 164, pag. 3; «public safety»), e art. 9, n. 7, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU L 204, pag. 37), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (GU L 217, pag. 18; «public policy»).


115: -     Sentenza 14 dicembre 1979, causa 34/79 (Racc. pag. 3795).


116: -     Sentenza 11 marzo 1986, causa 121/85 (Racc. pag. 1007).


117: -     Punto 15. Si vedano anche le conclusioni dell'avvocato generale Warner.


118: -     Sentenza Bouchereau, citata alla nota 112, punto 35.


119: -     Direttive per l'esame dell'Ufficio europeo dei brevetti, come modificato da ultimo nel febbraio 2001, parte C, capitolo IV, paragrafo 3.1.


120: -     Nella sentenza Henn e Darby, citata alla nota 115.


121: -     Procedimento T-356/93, Plant Genetic Systems/Plant Cells (EPOR 1995, pag. 357, punto 6).


122: -     Citato al paragrafo 42.


123: -     L'art. 27, n. 2, dell'accordo TRIPs contiene una disposizione analoga.


124: -     Bureau international de la propriété intellectuelle, Convention de Paris - La protection de la propriété industrielle de 1883 à 1983 (1983).


125: -     V. supra, paragrafo 25.


126: -     Sentenza 20 settembre 1988, causa 302/86, (Racc. pag. 4607, punto 8), in cui si fa riferimento alla precedente sentenza 7 febbraio 1985, causa 240/83, Association de défense des brûleurs d'huiles usagées (Racc. pag. 531).


127: -     Citata alla nota 112. V., supra, paragrafo 101.


128: -     Rilevo che tale è anche l'interpretazione fornita dall'Ufficio europeo dei brevetti; si vedano le decisioni della commissione tecnica di ricorso 3.3.2 nel procedimento T-19/90, Harvard/Onco-mouse (EPOR 1990, pag. 501) e della commissione tecnica di ricorso 3.3.4 nel procedimento Plant Genetic Systems, citata alla nota 121.


129: -     Un uovo umano fecondato ad esempio è un totipotente per i primi giorni e cicli di divisione della cellula dopo la fecondazione: ciascuna delle cellule in cui esso si suddivide è in grado di svilupparsi dando luogo ad un feto. Dopo alcuni di tali cicli, tuttavia, le cellule iniziano a specializzarsi; alcune formano la placenta, altre formano i vari tessuti del corpo umano. Da questo punto in poi nessuna cellula può più costituire un organismo (in quanto la placenta o l'embrione non si sviluppano).


130: -     V. per analogia sentenza 31 marzo 1998, cause riunite C-68/94 e C-30/95, Francia e a./Commissione (Racc. pag. I-1375, punti 176 e 177).


131: -     Citata alla nota 114.


132: -     Citata alla nota 114.


133: -     Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1).


134: -     All'art. 2, n. 3.


135: -     Citato alla nota 89.


136: -     V. paragrafo 73.


137: -    «Quando un prodotto è importato in un paese dell'Unione [di Parigi per la protezione internazionale della proprietà industriale] dove esiste un brevetto che protegge un procedimento di fabbricazione di detto prodotto, il titolare del brevetto avrà, riguardo al prodotto importato, tutti i diritti che la legislazione del paese d'importazione gli accorda, sulla base del brevetto di procedimento, riguardo ai prodotti fabbricati nel paese stesso».


138: -     «Il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili».


139: -     Così denominate in quanto la disposizione prevede anche licenze speculari a favore del titolare di un brevetto che non possa sfruttarlo senza violare una privativa per ritrovati vegetali.


140: -     Art. 12, n. 3.


141: -     Decisione della commissione tecnica di ricorso 3.3.2 dell'Ufficio europeo dei brevetti nel procedimento Lubrizol/Hybrid Plants (EPOR 1990, pag. 173, punto 12).


142: -     Edizione 1993.


143: -     La «sottospecie» viene definita come un «sottogruppo distinto morfologicamente [cioè per quanto riguarda la forma] di una specie, per lo più isolato geograficamente o ecologicamente (anche se in genere non geneticamente) rispetto ad altri sottogruppi analoghi».


144: -     Art. 53, lett. b).


145: -     Citata alla nota 25, art. 2, lett. b).


146: -     Per un'analisi dei motivi alla base di tale differenza, e in generale delle esclusioni nelle due convenzioni, si veda la decisione della Commissione allargata di ricorso dell'Ufficio europeo dei brevetti nel procedimento G01/98, Novartis/Transgenetic plant (EPOR 2000, pag. 303, punti 3.4-3.7).


147: -     V. nota 90.


148: -     Il divieto di protezione parallela è stato eliminato con la revisione del 1991 della convenzione UPOV.


149: -     Plant Genetic System, citata alla nota 121.


150: -     Decisione 27 novembre 1995 nel procedimento G03/95, Plant Genetic Systems/Plant cells.


151: -     Citata alla nota 146.


152: -     Sentenza 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio (Racc. pag. I-4973, punti 103-111), confermata, per quanto riguarda l'accordo OMC, dalla sentenza 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo/Consiglio (Racc. pag. I-8395).


153: -     Citata alla nota 152.


154: -     Punto 111.


155: -     Per quanto riguarda la Comunità, l'accordo OMC e gli altri accordi ad esso correlati, compreso l'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi, sono stati approvati con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell'Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336, pag. 1). Detti accordi sono stati pubblicati come allegati della decisione; l'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi è pubblicato in GU 1994, L 336, pag. 86. Gli accordi sono entrati in vigore il 1° gennaio 1996 per la Comunità ed i suoi Stati membri.


156: -     V. quinto 'considerando‘ del preambolo.


157: -     Art. 2.2.


158: -     Art. 2.9.


159: -     Punto 1 dell'allegato 1.


160: -     V. sentenza Germania/Consiglio, citata alla nota 152.


161: -     L'art. 6 è citato nella sua interezza al paragrafo 92.


162: -     V. nota 65.


163: -     V. tuttavia supra, nota 99.


164: -     Citata alla nota 34.


165: -     Si vedano i 'considerando‘ del preambolo, in particolare l'ultimo, e l'art. 1.


166: -     Art. 1.


167: -     Art. 2.


168: -     Artt. 5, 6, lett. b), 7, 8, 9, 10, 11 e 14.


169: -     V., supra, paragrafo 25, e infra, paragrafi 211-214.


170: -     Le Filippine, ad esempio, impongono ai bioricercatori di acquisire un previo consenso informato dal governo e dalle popolazioni locali; l'Istituto nazionale della biodiversità del Costa Rica ha sottoscritto un accordo con una grande società farmaceutica in forza del quale riceve fondi e condivide i vantaggi derivanti dai materiali biologici commercializzati; vari paesi del Patto andino impongono ai bioricercatori di rispettare determinate condizioni (informazioni tratte dal sito web della convenzione sulla diversità biologica).


171: -     All'art. 3, n. 1, citato infra, al paragrafo 187.


172: -     «Qualsiasi congegno nuovo [...] perfezionato in modo da poter essere utilizzato e sfruttato». V. S.P. Ladas, Patents, Trademarks, and Related Rights - National and International Protection (1975), pagg. 6-7.


173: -     Sentenza 5 ottobre 1994, causa C-404/92 P (Racc. pag. I-4737).


174: -     Fatta a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU C 364, pag. 1).


175: -     Art. 5, n. 1.


176: -     A titolo di esempio di revoca o di annullamento di un brevetto rilasciato per un prodotto o un procedimento biotecnologico a motivo, tra l'altro, del fatto che i requisiti di novità e di inventiva prescritti dal diritto nazionale dei brevetti non erano stati soddisfatti, si vedano le sentenze della Court of Appeal (England and Wales) in Re Genentech's Patent [1989] RPC 147 (proteina geneticamente modificata a partire da cellule umane) e della House of Lords (England and Wales) nella causa Biogen/Medeva [1997] RPC 1 (sequenza di DNA contenente un antigene del virus dell'epatite B).


177: -     Si veda anche la decisione della divisione d'opposizione dell'Ufficio europeo dei brevetti nel procedimento Howard Florey/Relaxin (EPOR 1995, pag. 541), in cui sono stati respinti analoghi argomenti basati sull'eccezione relativa al buon costume di cui all'art. 53, lett. a), della convenzione sul brevetto europeo dedotti contro il rilascio di un brevetto su frammenti isolati di DNA contenenti i codici della relaxina H2 (una proteina) presente nell'uomo.


178: -     Parere del 25 settembre 1996.


179: -     Emendamento 76/riv., contenuto nella risoluzione legislativa recante il parere del Parlamento europeo sulla proposta di direttiva (GU 1997, C 286, pag. 87).


180: -     V. nota 177.


181: -     V. supra, paragrafo 197.


182: -     Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e della dignità dell'essere umano nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997; European Treaty Series n. 164.


183: -     La convenzione è entrata in vigore il 1° dicembre 1999, sebbene tra gli Stati membri dell'UE soltanto la Danimarca, la Grecia e la Spagna l'abbiano sottoscritta e ratificata.


184: -     V. supra, paragrafo 25.


185: -     V. supra, paragrafo 25.


186: -     Sentenza 15 giugno 1994, causa C-137/92 P, Commissione/BASF (Racc. pag. I-2555, punto 62).


187: -     Sentenza BASF, punto 63.


188: -     Sentenza 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania (Racc. pag. I-5449, punto 41).


189: -     GU 1958, n. 17, pag. 385.