Language of document : ECLI:EU:T:2016:485

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

15 settembre 2016 (*)

«Aiuti di Stato – Imposta comunale sugli immobili – Esenzione concessa agli enti non commerciali che svolgono attività specifiche – Testo unico delle imposte sui redditi – Esenzione dall’imposta municipale unica – Decisione che in parte accerta l’insussistenza di un aiuto di Stato e in parte dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato interno – Ricorso di annullamento – Atto regolamentare che non comporta misure di esecuzione – Incidenza diretta – Ricevibilità – Impossibilità assoluta di recupero – Articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 659/1999 – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑219/13,

Pietro Ferracci, residente a San Cesareo (Italia), rappresentato inizialmente da A. Nucara ed E. Gambaro, successivamente da E. Gambaro, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da V. Di Bucci, G. Conte e D. Grespan, successivamente da G. Conte, D. Grespan e F. Tomat, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri e G. De Bellis, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione 2013/284/UE della Commissione, del 19 dicembre 2012, relativa all’aiuto di Stato SA.20829 [C 26/2010, ex NN 43/2010 (ex CP 71/2006)], Regime riguardante l’esenzione dall’ICI per gli immobili utilizzati da enti non commerciali per fini specifici cui l’Italia ha dato esecuzione (GU 2013, L 166, pag. 24),

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da D. Gratsias, presidente, M. Kancheva (relatore) e C. Wetter, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 dicembre 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il ricorrente, sig. Pietro Ferracci, è il proprietario di una struttura ricettiva turistico-alberghiera «Bed & Breakfast», costituita da due camere e sita nel comune di San Cesareo, nelle vicinanze di Roma (Italia).

2        Egli è uno dei numerosi denuncianti che, nel corso del 2006, si sono rivolti alla Commissione delle Comunità europee lamentando che l’emendamento adottato dalla Repubblica italiana in merito, in particolare, all’ambito di applicazione del regime nazionale relativo all’imposta comunale sugli immobili (in prosieguo: l’«ICI») costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune ai sensi dell’articolo 87 CE.

3        In sostanza, detto emendamento era volto a stabilire che l’esenzione dall’ICI di cui beneficiavano, dal 1992, gli enti non commerciali che svolgono, nei loro immobili interessati, esclusivamente attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, di religione e di culto doveva intendersi parimenti applicabile a dette attività «a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse».

4        Il 5 maggio 2006 la Commissione ha inviato una richiesta di informazioni alle autorità italiane in merito all’esenzione dall’ICI. Queste hanno ottemperato a tale richiesta in data 6 giugno 2006, esponendo che l’ambito di applicazione relativo al regime dell’ICI sarebbe stato ridefinito al fine di limitare l’esenzione dalla suddetta imposta agli enti che svolgono attività specifiche «che non abbiano natura esclusivamente commerciale».

5        L’8 agosto 2006 la Commissione ha indicato ai denuncianti che, alla luce delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, e in seguito ai nuovi emendamenti apportati alla normativa italiana, non vi era motivo per proseguire con l’indagine.

6        Il 24 ottobre 2006, l’8 e il 16 gennaio 2007 e il 12 settembre 2007 i denuncianti si sono nuovamente rivolti alla Commissione asserendo, in sostanza, che l’esenzione dall’ICI per gli enti non commerciali non era conforme all’articolo 87 CE, neppure a seguito degli emendamenti adottati dalle autorità italiane. Inoltre, essi hanno richiamato l’attenzione della Commissione sul Testo unico delle imposte sui redditi (in prosieguo: il «TUIR»), il cui articolo 149, quarto comma, stabiliva, in sostanza, che, a differenza di tutti gli altri enti, gli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e le associazioni sportive dilettantistiche non erano soggetti ai criteri previsti da detto articolo per determinare la perdita della qualifica di ente non commerciale. Ad avviso dei denuncianti, tale disposizione comportava un trattamento fiscale di favore per questi due tipi di enti, poiché conferiva loro la possibilità di mantenere la loro qualifica di enti non commerciali anche qualora non fossero più tali sulla base dei criteri applicati agli altri enti.

7        Il 5 novembre 2007 la Commissione ha invitato le autorità italiane e i denuncianti a presentare ulteriori informazioni su tutte le disposizioni asseritamente di favore citate dai denuncianti. Le autorità italiane hanno fornito le informazioni richieste con lettere del 3 dicembre 2007 e del 30 aprile 2008.

8        Il 20 ottobre 2008 i denuncianti hanno inviato alla Commissione una lettera di costituzione in mora, ai sensi dell’articolo 232 CE, chiedendole di avviare il procedimento di indagine formale e di adottare una decisione formale in merito alle loro denunce.

9        Il 24 novembre 2008 la Commissione ha inviato un’ulteriore richiesta di informazioni alle autorità italiane, le quali hanno risposto con lettera dell’8 dicembre 2008.

10      Il 19 dicembre 2008 la Commissione ha informato i denuncianti che, sulla base di un’analisi preliminare, essa riteneva che le misure contestate non sembrassero configurarsi come aiuti di Stato e che non fosse pertanto necessario proseguire l’indagine.

11      Il 26 gennaio 2009 le autorità italiane hanno emanato una circolare per chiarire l’ambito di applicazione dell’esenzione dall’ICI per gli enti non commerciali. In particolare, tale circolare definiva quali enti potessero essere considerati non commerciali e precisava le caratteristiche che le attività svolte da questi ultimi dovevano presentare per poter beneficiare dell’esenzione in questione.

12      Il 2 marzo 2009 e l’11 gennaio 2010 i denuncianti si sono rivolti alla Commissione per esprimere la loro insoddisfazione nei confronti della normativa italiana sull’ICI e per criticare la circolare summenzionata. La Commissione ha risposto loro in data 15 febbraio 2010, ribadendo, in sostanza, le motivazioni già esposte nella sua lettera del 19 dicembre 2008.

13      Il 26 aprile 2010 il ricorrente ha proposto, dinanzi al Tribunale, un ricorso di annullamento avverso la decisione della Commissione contenuta nella sua lettera del 15 febbraio 2010. Tale ricorso è stato iscritto a ruolo con il numero T‑192/10.

14      Il 12 ottobre 2010 la Commissione ha deciso di avviare il procedimento di indagine formale, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, riguardante, da una parte, l’esenzione dall’ICI per gli enti non commerciali per fini specifici e, dall’altra, l’articolo 149, quarto comma, del TUIR. La decisione di avvio del procedimento formale, in cui la Commissione invitava le parti interessate a presentare le loro osservazioni, è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 21 dicembre 2010.

15      Con ordinanza del 18 novembre 2010, il Tribunale ha disposto, su richiesta del ricorrente, che la causa T‑192/10 fosse cancellata dal ruolo.

16      Tra il 21 gennaio e il 4 aprile 2011 la Commissione ha ricevuto le osservazioni sulla decisione di avvio del procedimento da 80 parti interessate.

17      Il 15 febbraio 2012 le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione la loro intenzione di adottare una nuova normativa in materia di imposta comunale sugli immobili e hanno annunciato che, a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’esenzione dall’ICI sarebbe stata sostituita dall’esenzione prevista dal nuovo regime relativo all’Imposta municipale unica (in prosieguo: l’«IMU»). In particolare, la nuova normativa aveva come obiettivo, tra l’altro, di limitare l’esenzione dall’IMU alle attività specifiche esercitate da enti non commerciali «con modalità non commerciali». Detta normativa prevedeva altresì norme che consentivano un pagamento proporzionale dell’IMU nel caso in cui lo stesso immobile fosse utilizzato per attività sia commerciali sia non commerciali. Infine, si prevedeva di definire, con regolamento attuativo successivo, i casi in cui le attività specifiche a cui si applicava l’esenzione dall’IMU dovevano considerarsi esercitate con modalità non commerciali. Tale regolamento è stato adottato in data 19 novembre 2012.

18      Il 16 maggio 2012 la Commissione ha inviato alle autorità italiane una richiesta di informazioni a seguito dell’adozione delle nuove disposizioni relative all’esenzione dall’IMU. Dette autorità hanno dato seguito a tale richiesta il 6 luglio 2012. Il 27 giugno e il 25 ottobre 2012 la Commissione ha altresì ricevuto informazioni supplementari da parte dei denuncianti.

19      Il 19 dicembre 2012 la Commissione ha adottato la decisione 2013/284/UE, relativa all’aiuto di Stato S.A. 20829 [C 26/2010, ex NN 43/2010 (ex CP 71/2006)], Regime riguardante l’esenzione dall’ICI per gli immobili utilizzati da enti non commerciali per fini specifici cui l’Italia ha dato esecuzione (GU 2013, L 166, pag. 24; in prosieguo: la «decisione impugnata»), avente quale unico destinatario la Repubblica italiana.

20      Nella decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato, anzitutto, che l’esenzione concessa agli enti non commerciali che svolgevano, nei loro immobili interessati, attività specifiche nell’ambito del regime dell’ICI costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno e illecitamente posto in essere dalla Repubblica italiana, in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. La Commissione ha poi considerato che, alla luce delle specificità del caso in esame, sarebbe risultato assolutamente impossibile per la Repubblica italiana recuperare gli eventuali aiuti illegittimi, ragion per cui la Commissione, nella decisione impugnata, non ha disposto di procedervi. Infine, la Commissione ha dichiarato che né l’articolo 149, quarto comma, del TUIR né l’esenzione prevista dal nuovo regime dell’IMU costituivano aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 aprile 2013, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

22      Lo stesso giorno, anche la Scuola Elementare Maria Montessori Srl ha presentato un ricorso di annullamento avverso la decisione impugnata, iscritto a ruolo con il numero T‑220/13.

23      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 luglio 2013, la Commissione ha sollevato un’eccezione di irricevibilità ai sensi dell’articolo 114, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991.

24      Il 16 settembre 2013 il ricorrente ha presentato le proprie osservazioni sull’eccezione sollevata dalla Commissione. Egli ha chiesto al Tribunale, in particolare, di respingere l’eccezione di irricevibilità o, in subordine, di rinviare la decisione su detta eccezione insieme al merito.

25      A seguito della modifica delle sezioni del Tribunale, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione, alla quale, di conseguenza, è stata attribuita la presente causa.

26      Il 18 marzo 2014 il Tribunale ha invitato le parti, ai sensi dell’articolo 64 del regolamento di procedura del 2 maggio 1991, a rispondere al quesito se la decisione impugnata costituisse un atto regolamentare che non comporta alcuna misura di esecuzione e che riguarda direttamente il ricorrente ai sensi dell’ultima parte di frase dell’articolo 263, quarto comma, TFUE. Le parti hanno dato seguito a tale richiesta nel termine impartito.

27      Con ordinanza del 29 ottobre 2014, il Tribunale ha deciso di pronunciarsi sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione unitamente al merito della causa.

28      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale l’8 aprile 2015, la Repubblica italiana ha chiesto di essere ammessa a intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 1° giugno 2015, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda.

29      Il 3 novembre 2015 il Tribunale ha in particolare invitato la Commissione, ai sensi dell’articolo 89 del regolamento di procedura del Tribunale, a precisare taluni aspetti relativi al merito della controversia e a produrre determinate disposizioni della normativa italiana citate nella decisione impugnata. La Commissione ha dato seguito all’invito del Tribunale nel termine impartito.

30      Lo stesso giorno, il Tribunale ha interrogato le parti sull’eventuale riunione delle cause T‑219/13 e T‑220/13 ai fini della fase orale del procedimento, in conformità all’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento di procedura. Il 13 novembre 2015 sia il ricorrente sia la Commissione hanno depositato le proprie osservazioni, affermando al contempo di non avere obiezioni a tale riunione.

31      Il 16 novembre 2015 il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale ha deciso di riunire le cause T‑219/13 e T‑220/13 ai fini della fase orale del procedimento.

32      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

33      Le difese orali delle parti e le loro risposte ai quesiti del Tribunale sono state sentite all’udienza del 17 dicembre 2015.

34      Nell’atto introduttivo, il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

35      La Commissione, sostenuta dalla Repubblica italiana, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

36      Come emerge dalla lettura del ricorso, il primo capo delle conclusioni del ricorrente deve essere inteso come diretto all’annullamento della decisione impugnata là dove la Commissione vi ha dichiarato, da un lato, che era impossibile per le autorità italiane recuperare gli aiuti considerati illegittimi e incompatibili con il mercato comune (prima parte della decisione impugnata) e, dall’altro, che né l’articolo 149, quarto comma, del TUIR né l’esenzione di cui al nuovo regime dell’IMU costituivano aiuti di Stato (rispettivamente seconda e terza parte della decisione impugnata).

 Sulla ricevibilità

37      La Commissione sostiene che il presente ricorso è irricevibile sulla base del motivo che, in primo luogo, la decisione impugnata non riguarda individualmente il ricorrente. In secondo luogo, la decisione impugnata non può essere considerata un atto regolamentare che non comporta misure di esecuzione e che riguarda direttamente il ricorrente, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, ultima parte di frase, TFUE. A tale riguardo, la Commissione deduce, sotto un primo profilo, che una decisione indirizzata a uno Stato membro e riguardante un regime di aiuti non costituisce un atto regolamentare. Essa afferma, sotto un secondo profilo, che la decisione impugnata comporta misure di esecuzione, in particolare per quanto attiene alla sua parte relativa all’articolo 149, quarto comma, del TUIR e alla sua parte riguardante la prevista esenzione dall’IMU. Essa rileva, sotto un terzo profilo, che il ricorrente non è direttamente interessato dalle misure contemplate dalla decisione impugnata.

38      Il ricorrente confuta gli argomenti della Commissione. Da un lato, egli sostiene di essere individualmente interessato dalla decisione impugnata. Dall’altro, egli afferma che, nel caso di specie, non sarebbe tenuto a dimostrare di essere individualmente interessato dalla decisione impugnata, poiché tale decisione deve essere qualificata come atto regolamentare che non comporta misure di esecuzione e che lo riguarda direttamente, ai sensi dell’ultima parte di frase dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

39      Ai fini dell’esame della ricevibilità del presente ricorso, il Tribunale ritiene opportuno analizzare, anzitutto, se il ricorso sia ricevibile in base all’articolo 263, quarto comma, ultima parte di frase, TFUE. Ai sensi di tale disposizione, qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre un ricorso contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione. Un singolo è, pertanto, legittimato ad agire per l’annullamento senza dover fornire la prova dell’incidenza individuale dell’atto in questione, ma a condizione, anzitutto, che tale atto lo riguardi direttamente, poi, che abbia un carattere regolamentare e, infine, che non comporti delle misure di esecuzione.

 Sulla condizione riguardante l’incidenza diretta

40      Per quanto riguarda la questione di stabilire se il ricorrente sia direttamente interessato dalla decisione impugnata, occorre rammentare che, secondo giurisprudenza costante, l’incidenza diretta nei confronti di un singolo presuppone, anzitutto, che l’atto impugnato produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di tale singolo e, poi, che non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari di tale atto che sono incaricati della sua applicazione, per il fatto che quest’ultima ha un carattere meramente automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione europea, senza l’intervento di altre norme intermedie (sentenze del 5 maggio 1998, Dreyfus/Commissione, C‑386/96 P, EU:C:1998:193, punto 43, e del 10 settembre 2009, Commissione/Ente per le Ville Vesuviane e Ente per le Ville Vesuviane/Commissione, C‑445/07 P e C‑455/07 P, EU:C:2009:529, punto 45).

41      In via preliminare, è necessario respingere l’affermazione della Commissione, formulata sia negli atti di causa sia in udienza, secondo cui le prove prodotte dal ricorrente non consentono di dimostrare la sua qualità di operatore sul mercato.

42      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, per l’attività della Corte e del Tribunale vale il principio del libero apprezzamento delle prove e che il solo criterio di apprezzamento dell’efficacia delle prove prodotte risiede nella loro attendibilità. Inoltre, per valutare l’efficacia probatoria di un documento, si deve verificare la verosimiglianza dell’informazione in esso contenuta, considerare, in particolare, la provenienza del documento, le circostanze in cui esso è stato elaborato e il suo destinatario, e chiedersi se, in base al suo contenuto, esso appaia ragionevole e affidabile (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, Shell Petroleum e a./Commissione, T‑343/06, EU:T:2012:478, punto 161 e giurisprudenza ivi citata).

43      Orbene, il ricorrente ha fornito al Tribunale un documento proveniente dalle autorità italiane che riconosce l’idoneità delle strutture di cui egli è proprietario all’esercizio dell’attività ricettiva e di servizio di prima colazione. Il Tribunale ritiene, pertanto, che tale documento attesti la qualità di operatore sul mercato turistico-alberghiero del ricorrente, essendone sufficientemente dimostrata l’affidabilità. Inoltre, sebbene la Commissione confuti in maniera globale la veridicità di una simile dichiarazione nonché la sua attuale validità, essa non deduce alcun elemento che suggerisca che specifiche informazioni contenute nel documento trasmesso dal ricorrente siano false o che tali informazioni possano non essere attualmente valide.

44      Per quanto riguarda la questione della possibile incidenza delle misure di cui alla decisione impugnata sulla situazione giuridica del ricorrente, occorre rammentare che un concorrente del beneficiario di un aiuto è direttamente interessato da una decisione della Commissione che autorizza uno Stato membro a versarlo qualora la volontà di detto Stato di procedervi non lasci spazio a dubbi (v., in tal senso, sentenze del 28 gennaio 1986, Cofaz e a./Commissione, 169/84, EU:C:1986:42, punto 30; del 6 luglio 1995, AITEC e a./Commissione, da T‑447/93 a T‑449/93, EU:T:1995:130, punto 41, e del 22 ottobre 1996, Skibsværftsforeningen e a./Commissione, T‑266/94, EU:T:1996:153, punto 49).

45      Nel caso di specie, occorre rilevare che i servizi ricettivi offerti da taluni degli enti oggetto delle misure di cui alla decisione impugnata, e che beneficiano, ad avviso del ricorrente, dei prospettati aiuti, potrebbero essere in concorrenza con quelli delle altre strutture ricettive. Infatti, come emerge dagli estratti dei siti Internet allegati dal ricorrente ai suoi atti di causa, tali enti, ossia in particolare gli enti ecclesiastici e religiosi, appaiono come una categoria di strutture ricettive turistiche allo stesso titolo dei bed and breakfast, degli affittacamere e dei campeggi, in quanto offrono servizi di alloggio per le vacanze e strutture di accoglienza simili a quelle degli altri esercizi alberghieri. Ciò considerato, occorre constatare che, in quanto titolare di una struttura «Bed & Breakfast», il ricorrente potrebbe trovarsi in un rapporto di concorrenza con gli enti suddetti e, per tale ragione, essere interessato dalle misure di cui alla decisione impugnata.

46      Inoltre, con riferimento ai rilievi svolti nel corso dell’udienza dalla Commissione secondo cui, conformemente alle sentenze del 28 aprile 2015, T & L Sugars e Sidul Açúcares/Commissione (C‑456/13 P, EU:C:2015:284, punto 37 e giurisprudenza ivi citata) e del 17 settembre 2015, Confederazione Cooperative Italiane e a./Anicav e a. (C‑455/13 P, C‑457/13 P e C‑460/13 P, non pubblicata, EU:C:2015:616, punti da 47 a 50), la circostanza che talune misure di aiuti incidano sulla posizione di un concorrente sul mercato non riguarda la sua situazione di diritto, ma la sua situazione di fatto, è sufficiente osservare che, a differenza del caso di specie, nelle due cause citate le ricorrenti non erano presenti sui mercati disciplinati dalle disposizioni impugnate. Per tale ragione, la Corte ha considerato che il fatto che le disposizioni in parola ponessero le ricorrenti in una situazione concorrenziale svantaggiosa non consentiva, di per sé, di affermare che tali disposizioni incidevano sulla loro sfera giuridica e, pertanto, le riguardavano direttamente.

47      Ne discende che le misure di cui alla decisione impugnata incidono sulla situazione giuridica del ricorrente.

48      Con riferimento al secondo presupposto dell’incidenza diretta, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 40, si deve constatare che, tenuto conto della natura della decisione impugnata, che consente alla Repubblica italiana, da una parte, di non procedere al recupero degli aiuti considerati illegittimi e incompatibili con il mercato interno e, dall’altra, di applicare un regime di esenzioni fiscali che, ad avviso della Commissione, non comporta elementi di aiuto, tale decisione spiega i suoi effetti giuridici in modo puramente automatico in forza della sola normativa dell’Unione e senza intervento di altre norme intermedie, permettendo così alla Repubblica italiana di non recuperare detti aiuti illegittimi e di applicare il suo regime di esenzioni fiscali.

49      Alla luce di quanto precede, occorre dichiarare che la decisione impugnata riguarda direttamente il ricorrente.

 Sulla qualificazione come atto regolamentare della decisione impugnata

50      Per quanto riguarda la possibilità di qualificare la decisione impugnata come atto regolamentare, è necessario rammentare che, secondo la giurisprudenza, gli atti regolamentari, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, sono atti di portata generale, ad esclusione degli atti legislativi (sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 60, e ordinanza del 6 settembre 2011, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, T‑18/10, EU:T:2011:419, punto 56).

51      La distinzione tra un atto legislativo e un atto regolamentare, ai sensi del Trattato FUE, è basata sul criterio della procedura, legislativa o meno, che ha condotto alla sua adozione (ordinanza del 6 settembre 2011, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio, T‑18/10, EU:T:2011:419, punto 65). Nel caso di specie, poiché la decisione impugnata non è stata adottata nell’ambito di una procedura legislativa, la stessa non costituisce un atto legislativo ai sensi dell’articolo 297 TFUE. Occorre, dunque, esaminare se la decisione impugnata rivesta portata generale.

52      A tale riguardo, è necessario ricordare che, secondo giurisprudenza costante, una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato che si applica a situazioni determinate oggettivamente e comporta effetti giuridici nei confronti di una categoria di persone considerate in modo generale e astratto riveste portata generale (sentenze del 2 febbraio 1988, Kwekerij van der Kooy e a./Commissione, 67/85, 68/85 e 70/85, EU:C:1988:38, punto 15; del 19 ottobre 2000, Italia e Sardegna Lines/Commissione, C‑15/98 e C‑105/99, EU:C:2000:570, punto 33; del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 31, e del 17 settembre 2009, Commissione/Koninklijke FrieslandCampina, C‑519/07 P, EU:C:2009:556, punto 53).

53      In particolare, l’oggetto della decisione impugnata è quello di esaminare, alla luce dell’articolo 107 TFUE, se una normativa nazionale applicata a un numero indeterminato di persone considerate in modo generale e astratto contenga elementi qualificabili come aiuto di Stato e, eventualmente, se l’aiuto in questione sia compatibile con il mercato interno e recuperabile. Tenuto conto della natura delle competenze di cui è investita la Commissione ai sensi delle disposizioni del Trattato relative agli aiuti di Stato, una tale decisione riflette, pur avendo un solo destinatario, la portata degli atti giuridici nazionali oggetto dell’esame svolto da tale istituzione vuoi per concedere l’autorizzazione necessaria per l’attuazione di una misura di aiuto, vuoi per stabilire le conseguenze derivanti dal suo carattere eventualmente illegittimo o incompatibile con il mercato interno. Orbene, gli atti giuridici in questione hanno appunto portata generale, poiché gli operatori rientranti nel loro campo di applicazione sono definiti in modo generale e astratto.

54      Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve affermare che la decisione impugnata riveste portata generale nelle sue tre parti la cui legittimità è contestata nell’ambito del presente ricorso, vale a dire, da un lato, il fatto che la Commissione non abbia disposto il recupero degli aiuti di Stato riguardanti l’esenzione relativa all’ICI che la stessa ha considerato illegittimi e incompatibili e, dall’altro, il fatto che essa abbia considerato che né l’articolo 149, quarto comma, del TUIR né l’esenzione prevista dall’IMU costituissero aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 107 TFUE (v. punto 36 supra).

55      Di conseguenza, l’atto impugnato, che costituisce un atto di portata generale senza essere un atto legislativo, si configura come atto regolamentare ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

 Sull’esistenza di misure di esecuzione

56      Per quanto riguarda l’esistenza di misure di esecuzione della decisione impugnata, occorre rilevare che la Corte ha avuto occasione di precisare che la nozione di «atti regolamentari (...) che non comportano alcuna misura d’esecuzione», ai sensi dell’articolo 263 TFUE, deve essere interpretata alla luce dell’obiettivo di tale disposizione, consistente, come emerge dalla sua genesi, nell’evitare che un singolo sia costretto a violare il diritto per poter accedere alla giustizia. Orbene, qualora un atto regolamentare produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di una persona fisica o giuridica senza richiedere misure di esecuzione, quest’ultima rischia di essere privata di tutela giurisdizionale effettiva ove non disponga di un rimedio diretto dinanzi al giudice dell’Unione al fine di contestare la legittimità dell’atto regolamentare medesimo. Infatti, in assenza di misure di esecuzione, una persona fisica o giuridica, ancorché direttamente interessata dall’atto in questione, non sarebbe in grado di ottenere un controllo giurisdizionale dell’atto se non dopo aver violato le disposizioni dell’atto medesimo facendone valere l’illegittimità nell’ambito dei procedimenti avviati nei suoi confronti dinanzi ai giudici nazionali (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 27).

57      Di contro, laddove un atto regolamentare comporti misure di esecuzione, il sindacato giurisdizionale sul rispetto dell’ordinamento giuridico dell’Unione è garantito indipendentemente dalla questione di stabilire se tali misure provengano dall’Unione o dagli Stati membri. Le persone fisiche o giuridiche che non possono, in considerazione dei requisiti di ricevibilità previsti dall’articolo 263, quarto comma, TFUE, impugnare direttamente dinanzi al giudice dell’Unione un atto regolamentare dell’Unione sono protette contro l’applicazione, nei loro confronti, di un atto di tal genere dalla possibilità di impugnare le misure di esecuzione che l’atto medesimo comporta (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 28).

58      Inoltre, laddove l’attuazione di un simile atto spetti agli Stati membri, dette persone possono far valere l’invalidità dell’atto di base in questione dinanzi ai giudici nazionali e sollecitare questi ultimi a interpellare la Corte, sulla base dell’articolo 267 TFUE, mediante la proposizione di questioni pregiudiziali (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 29).

59      Per determinare se un atto regolamentare comporti misure di esecuzione, occorre far riferimento alla posizione della persona che invoca il diritto di ricorso ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, ultima parte di frase, TFUE. Risulta quindi irrilevante la circostanza che l’atto di cui trattasi comporti o meno misure di esecuzione nei confronti di altri singoli (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 30).

60      Al fine di verificare se l’atto impugnato comporti misure di esecuzione, occorre far esclusivo riferimento all’oggetto del ricorso e, nel caso in cui un ricorrente chieda solamente l’annullamento parziale di un atto, sono soltanto le misure di esecuzione che tale capo dell’atto eventualmente comporti a dover essere, all’occorrenza, prese in considerazione (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 31).

61      Nel presente caso, innanzitutto, quanto alla prima parte censurata della decisione impugnata, si deve rilevare che, nei limiti in cui la Commissione ha considerato che, alla luce delle specificità della presente causa, sarebbe assolutamente impossibile procedere al rimborso degli aiuti illegittimi concessi nell’ambito del regime dell’ICI e ha così deciso di non obbligare la Repubblica italiana a recuperare, da ogni beneficiario, gli importi accordati in base a detto regime, le autorità nazionali non dovranno adottare alcuna misura, in particolare nei confronti del ricorrente, per attuare la decisione impugnata.

62      Quanto, poi, alla seconda parte contestata, da un lato, è necessario rilevare che, secondo la conclusione alla quale la Commissione è pervenuta nella decisione impugnata, l’esenzione di cui all’articolo 149, quarto comma, del TUIR non costituisce un aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. In tali circostanze, la decisione impugnata, in forza della quale non sono imposti obblighi allo Stato membro, non comporta l’adozione di alcuna misura di esecuzione, e le autorità nazionali si limitano, a tale riguardo, ad applicare la legislazione nazionale. Dall’altro lato, e in ogni caso, occorre constatare che le disposizioni di cui all’articolo 149, quarto comma, del TUIR riguardano soltanto la perdita della qualifica di enti non commerciali. In tali circostanze, non può essere adottata alcuna misura di esecuzione da parte delle autorità italiane nei confronti del ricorrente, in quanto ente commerciale.

63      Infine, quanto alla terza parte censurata, si deve rilevare che l’esenzione prevista dal regime dell’IMU è stata, parimenti, considerata dalla Commissione come non costitutiva di un aiuto ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Di conseguenza, poiché la decisione impugnata non impone obblighi allo Stato membro, non sarà emessa alcuna misura in esecuzione di detta decisione a livello nazionale, in particolare nei confronti del ricorrente.

64      Da quanto precede emerge che nessuna delle parti censurate della decisione impugnata comporta misure di esecuzione nei confronti del ricorrente, con la conseguenza che il ricorrente non avrà la possibilità di agire dinanzi a un giudice nazionale italiano, in conformità alla giurisprudenza citata al precedente punto 58, lamentando, nell’ambito del ricorso, l’invalidità di dette parti della decisione impugnata.

65      In senso contrario alla constatazione che precede, la Commissione sostiene – richiamando, in particolare, le sentenze del 26 settembre 2014, Dansk Automat Brancheforening/Commissione (T‑601/11, EU:T:2014:839) e Royal Scandinavian Casino Århus/Commissione (T‑615/11, EU:T:2014:838) e la giurisprudenza ivi citata – che le conseguenze specifiche e concrete della decisione impugnata si materializzeranno, in realtà, per mezzo degli atti che stabiliranno l’importo delle imposte dovute dai contribuenti, che in quanto tali costituiranno misure d’esecuzione che la decisione impugnata comporta. Essa aggiunge, altresì, che il ricorrente potrà censurare, dinanzi al giudice nazionale, il carattere asseritamente discriminatorio di tali attività impositive, esigendo i medesimi vantaggi dei loro beneficiari o, altrimenti, facendo valere l’illegittimità, sulla base del diritto dell’Unione, dei vantaggi di cui essi beneficiano in quanto concorrenti.

66      Un simile argomento non può, tuttavia, essere accolto.

67      Infatti, da una parte, le attività impositive che possono essere adottate dalle autorità italiane ai sensi del regime dell’IMU non saranno conseguenza della decisione impugnata, ma deriveranno dalla mera normativa fiscale italiana, dal momento che, come risulta dal punto 202 della decisione impugnata, quest’ultima si limita a dichiarare che l’esenzione prevista dall’IMU non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

68      Dall’altra parte, per quanto riguarda le attività impositive di cui il ricorrente sarà destinatario in quanto persona che non beneficia delle esenzioni controverse, egli è nell’impossibilità di chiedere che l’esenzione di cui confuta la legittimità sia applicata in via estensiva alla sua situazione (v. sentenza del 20 settembre 2001, Banks, C‑390/98, EU:C:2001:456, punti 80 e da 92 a 94 e giurisprudenza ivi citata). Per gli stessi motivi, deve altresì essere respinto l’argomento della Commissione secondo cui il ricorrente può pur sempre chiedere alle autorità tributarie italiane di beneficiare degli stessi vantaggi fiscali concessi agli enti interessati dalle misure controverse e, in caso di decisione di diniego, impugnare quest’ultima. Inoltre, è necessario rilevare che, nel contesto delineato dalla Commissione, la decisione di diniego dell’amministrazione italiana non può essere propriamente qualificata come misura di esecuzione derivante dalla decisione impugnata, ma sarebbe la conseguenza di una misura interna adottata autonomamente dalle autorità nazionali competenti in seguito alla domanda individuale presentata dal ricorrente.

69      Da ultimo, occorre rilevare come, a differenza del presente caso, nelle sentenze del 26 settembre 2014, Dansk Automat Brancheforening/Commissione (T‑601/11, EU:T:2014:839) e Royal Scandinavian Casino Århus/Commissione (T‑615/11, EU:T:2014:838), il dispositivo della decisione impugnata prevedesse espressamente, al suo articolo 1, l’adozione di disposizioni di attuazione della misura notificata, ragion per cui il Tribunale aveva dichiarato che una siffatta decisione comportava misure di esecuzione ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, ultima parte di frase, TFUE. In particolare, ai rispettivi punti 59 e 51 di tali due sentenze, il Tribunale ha affermato che esistevano una legge danese e taluni atti di applicazione di tale legge che dovevano intervenire dopo l’adozione della decisione impugnata affinché il regime di aiuti in questione producesse effetti nei confronti della ricorrente, cosa che non può verificarsi nel caso di specie. Occorre segnalare, a tal riguardo, che il solo atto di applicazione cui la decisione impugnata fa riferimento nel presente caso attiene all’esenzione relativa al nuovo regime dell’IMU e che, come indicato al precedente punto 17, l’adozione di detto atto ha preceduto quella della decisione stessa.

70      Alla luce di quanto precede, occorre concludere che la decisione impugnata non comporta misure di esecuzione nei confronti del ricorrente e che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato ricevibile ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, ultima parte di frase, TFUE.

 Nel merito

71      A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce quattro motivi. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 93 del trattato CE (GU 1999, L 83, pag. 1). Il secondo e il terzo motivo riguardano la violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Il quarto motivo verte sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999

72      Con il suo primo motivo, il ricorrente contesta alla Commissione di non avere ordinato alla Repubblica italiana, in violazione dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999, di recuperare le esenzioni fiscali di cui gli enti non commerciali per fini specifici hanno beneficiato ai sensi dell’ICI e che la Commissione aveva considerato illegittime e incompatibili con il mercato interno.

73      Tale motivo si articola in due parti, vertenti, rispettivamente, sull’esistenza di un errore di diritto e su quella di un errore di valutazione.

–       Sulla prima parte del primo motivo, vertente su un errore di diritto

74      Il ricorrente asserisce che la Commissione ha violato l’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999 in quanto non ha soddisfatto i presupposti che le avrebbero consentito di dichiarare l’impossibilità assoluta di recuperare l’aiuto illegittimo in un caso come quello di cui trattasi. Infatti, egli ritiene che solamente a seguito di una decisione della Commissione che avesse disposto il recupero dell’aiuto illegittimo e dell’effettivo accertamento, da parte della Repubblica italiana, dell’impossibilità di dare seguito a tale domanda sarebbe stato possibile escludere il recupero. A suo avviso, inoltre, prima di dichiarare l’impossibilità assoluta di procedere al recupero, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare che detto recupero fosse impossibile presso tutti i beneficiari dell’aiuto illegittimo, e che non fosse realizzabile neppure un recupero quanto meno parziale.

75      La Commissione confuta tali argomenti.

76      In via preliminare, occorre rilevare che il regolamento n. 659/1999 prevede, al suo considerando 13, quanto segue:

«[C]onsiderando che in caso di aiuti illegali non compatibili con il mercato comune occorrerebbe ripristinare la concorrenza effettiva; che a tal fine è necessario che l’aiuto, compresi gli interessi, venga recuperato senza indugio; che è opportuno che il recupero avvenga nel rispetto delle procedure di legge nazionali; che l’applicazione di queste procedure non dovrebbe impedire, facendo ostacolo ad un’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione, il ripristino della concorrenza effettiva; che, per ottenere detto risultato, gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire l’efficacia della decisione della Commissione».

77      L’articolo 14 di detto regolamento, intitolato «Recupero degli aiuti», così dispone:

«1. Nel caso di decisioni negative relative a casi di aiuti illegali la Commissione adotta una decisione con la quale impone allo Stato membro interessato di adottare tutte le misure necessarie per recuperare l’aiuto dal beneficiario (...). La Commissione non impone il recupero dell’aiuto qualora ciò sia in contrasto con un principio generale del diritto comunitario».

78      Secondo giurisprudenza costante, la soppressione di un aiuto di Stato mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità (v. sentenza del 9 luglio 2015, Commissione/Francia, C‑63/14, EU:C:2015:458, punto 44 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la finalità delle disposizioni del Trattato relative agli aiuti di Stato è il ripristino di una concorrenza effettiva, cosicché, in via di principio, le decisioni della Commissione impongono allo Stato membro interessato l’obbligo di ottenere effettivamente, e senza ritardo, la restituzione degli aiuti in questione (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2009, Commissione/MTU Friedrichshafen, C‑520/07 P, EU:C:2009:557, punto 57 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, un’impossibilità assoluta può giustificare il mancato recupero degli aiuti di Stato illegittimi (v., in tal senso, sentenza del 14 febbraio 2008, Commissione/Grecia, C‑419/06, non pubblicata, EU:C:2008:89, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

79      Nella decisione impugnata, la Commissione ha indicato, ai punti da 191 a 198, che, alla luce della specificità del caso in esame, risulterebbe assolutamente impossibile per la Repubblica italiana procedere al recupero degli eventuali aiuti illegittimi concessi nell’ambito delle disposizioni dell’ICI. In sostanza, essa ha spiegato che né le banche dati catastali né le banche dati fiscali consentivano di identificare il tipo di attività (economica o non economica) svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali, e nemmeno di calcolare oggettivamente l’importo dell’imposta da recuperare.

80      Da una parte, occorre rilevare che la giurisprudenza della Corte riguardante l’impossibilità assoluta di recuperare gli aiuti illegittimi si riferisce, in generale, a casi in cui lo Stato membro in questione lamenta una tale impossibilità dopo l’adozione di una decisione di recupero e nell’ambito dell’esecuzione di questa (sentenze del 4 aprile 1995, Commissione/Italia, C‑348/93, EU:C:1995:95; del 22 marzo 2001, Commissione/Francia, C‑261/99, EU:C:2001:179; del 26 giugno 2003, Commissione/Spagna, C‑404/00, EU:C:2003:373; del 1° aprile 2004, Commissione/Italia, C‑99/02, EU:C:2004:207; del 12 maggio 2005, Commissione/Grecia, C‑415/03, EU:C:2005:287; del 14 dicembre 2006, Commissione/Spagna, da C‑485/03 a C‑490/03, EU:C:2006:777, e del 13 novembre 2008, Commissione/Francia, C‑214/07, EU:C:2008:619).

81      Dall’altra parte, secondo giurisprudenza costante, uno Stato membro che, in sede di esecuzione di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato, incontri difficoltà impreviste e imprevedibili o si renda conto di conseguenze non considerate dalla Commissione deve sottoporre tali problemi alla valutazione di quest’ultima, proponendo appropriate modifiche della decisione di cui trattasi. In tal caso, in forza del principio che impone agli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione doveri reciproci di leale cooperazione, principio che informa in particolare l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, lo Stato membro e la Commissione devono collaborare in buona fede per superare le difficoltà nel pieno rispetto delle disposizioni del Trattato e, in particolare, di quelle relative agli aiuti (v. sentenza del 22 dicembre 2010, Commissione/Italia, C‑304/09, EU:C:2010:812, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

82      Richiamandosi, in sostanza, alla giurisprudenza summenzionata, il ricorrente afferma che è possibile escludere il recupero solamente a seguito di una decisione della Commissione che disponga il recupero dell’aiuto illegittimo e dell’effettivo accertamento da parte dello Stato membro interessato dell’impossibilità di dare seguito a tale domanda.

83      Tuttavia, l’argomento del ricorrente non può essere accolto.

84      Infatti, come rilevato dalla Commissione, sebbene sia vero che, finora, la questione dell’impossibilità assoluta è stata fatta valere dagli Stati membri in particolare durante la fase di esecuzione della decisione, principalmente quale difesa nell’ambito di un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, né la normativa applicabile nel caso di specie né la giurisprudenza della Corte hanno stabilito che un’impossibilità assoluta non potesse essere rilevata nella fase del procedimento amministrativo che si conclude con una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato.

85      Inoltre, l’unico obbligo che, ai sensi della giurisprudenza di cui al precedente punto 81, grava sullo Stato membro interessato e sulla Commissione, nel caso di un’eventuale impossibilità assoluta di recupero, è quello di instaurare una leale cooperazione in base alla quale lo Stato membro deve sottoporre alla valutazione della Commissione le ragioni che giustificano tale impossibilità, e la Commissione deve effettuare un esame approfondito di dette ragioni. Ciò premesso, e contrariamente a quanto rilevato dal ricorrente, la cooperazione tra lo Stato membro e la Commissione può avere luogo prima dell’adozione della decisione finale della Commissione laddove l’impossibilità assoluta possa già essere rilevata nella fase del procedimento di indagine formale. Per di più, se, nel corso di tale esame, la Commissione accerta che non esistono metodi alternativi per il recupero dell’aiuto illegittimo o che neppure un recupero parziale è realizzabile, nulla osta a che un’impossibilità assoluta sia riconosciuta dalla Commissione ancor prima che essa disponga il recupero di detti aiuti.

86      Nella fattispecie, alla luce delle osservazioni che precedono, in primo luogo, occorre constatare che il ricorrente non nega che un’impossibilità assoluta possa essere invocata quale giustificazione del mancato recupero degli aiuti illegittimi. In ogni caso, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 78, è necessario considerare che la Commissione non è incorsa in un errore di diritto laddove ha dichiarato, nella decisione impugnata, che non poteva imporre alle autorità italiane il recupero dell’aiuto illegittimo a causa di un’impossibilità assoluta. Occorre ricordare, a tale riguardo, che la Commissione non può imporre, in materia di aiuti di Stato, obblighi la cui esecuzione sia, fin dall’origine, in maniera obiettiva e assoluta, impossibile da realizzare (v., in tal senso, sentenza del 17 giugno 1999, Belgio/Commissione, C‑75/97, EU:C:1999:311, punto 86).

87      In secondo luogo, come emerge dai punti da 192 a 197 della decisione impugnata, tanto la Repubblica italiana quanto la Commissione hanno adempiuto al proprio dovere di leale cooperazione, ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 81.

88      Infatti, la Repubblica italiana si è rivolta alla Commissione prima dell’adozione della decisione impugnata, affermando che le era assolutamente impossibile dare esecuzione a un obbligo di recupero. Essa ha, pertanto, sottoposto alla valutazione della Commissione problematiche riguardanti il recupero dell’aiuto controverso. Inoltre, dato che le autorità italiane hanno sollevato tale questione nella fase dell’indagine formale, la Commissione ha potuto ritenere necessario trattare tale questione prima dell’adozione di una decisione finale. È peraltro necessario rilevare come la Repubblica italiana abbia indicato che, per via della struttura del catasto e dell’assenza di informazioni fiscali pertinenti, era impossibile estrapolare dalle banche dati catastali e fiscali, con effetto retroattivo, il tipo di dati necessari per avviare un’azione di recupero del presunto aiuto. Alla luce di tali spiegazioni, la Commissione ha ritenuto che fosse effettivamente impossibile identificare i beneficiari dell’aiuto in questione e che quest’ultimo non potesse essere calcolato in modo oggettivo a causa dell’insufficienza dei dati disponibili, come dalla stessa esposto nella decisione impugnata.

89      In terzo luogo, con riferimento all’allegazione del ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto, in ogni caso, accertare che non esistevano metodi alternativi per l’attuazione dell’obbligo di recupero nel caso di specie, quantomeno a titolo parziale, un tale esame deve essere effettuato nell’ambito della seconda parte del presente motivo, vertente sull’esistenza di un errore di valutazione.

90      Dalle suesposte considerazioni emerge che la Commissione non è incorsa in un errore di diritto per aver dichiarato, sin dalla fase della procedura di indagine formale e prima dell’adozione di un ordine di recupero, l’impossibilità assoluta per la Repubblica italiana di recuperare gli aiuti considerati illegittimi nella decisione impugnata.

91      La prima parte del motivo dev’essere quindi respinta.

–       Sulla seconda parte del motivo, vertente sull’esistenza di un errore di valutazione

92      Il ricorrente asserisce che nessuna circostanza eccezionale consentiva alla Commissione di dichiarare l’impossibilità assoluta di recuperare l’aiuto illegittimo. Egli censura in particolare la considerazione secondo cui non era possibile identificare i beneficiari dell’aiuto in parola, e secondo cui quest’ultimo non poteva essere in alcun caso calcolato ai fini del suo recupero da parte delle autorità italiane. A tale riguardo, egli sottolinea che la Corte ha respinto argomenti basati su un’asserita impossibilità di recupero dovuta al numero elevato di imprese beneficiarie o all’indisponibilità delle informazioni necessarie a quantificare le somme da recuperare. In aggiunta, ad avviso del ricorrente, esistevano adeguati metodi alternativi attraverso cui le autorità italiane avrebbero potuto procedere all’individuazione dei beneficiari dell’aiuto illegittimo e al suo recupero, per lo meno in modo parziale.

93      La Commissione confuta tali argomenti.

94      Secondo giurisprudenza costante, il presupposto dell’impossibilità assoluta di adempiere non è soddisfatto quando lo Stato membro convenuto si limiti a comunicare alla Commissione le difficoltà giuridiche, politiche o pratiche che l’attuazione della decisione presenta (v. sentenza del 13 novembre 2008, Commissione/Francia, C‑214/07, EU:C:2008:619, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

95      Inoltre, occorre rammentare che la Corte, in situazioni riguardanti il recupero di importi di aiuti da un elevato numero di imprese in combinazione con numerosi fattori individuali di calcolo, ha dichiarato che siffatte difficoltà di attuazione delle decisioni interessate non configurano un’impossibilità assoluta (v. sentenza del 17 novembre 2011, Commissione/Italia, C‑496/09, EU:C:2011:740, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

96      Infine, il presupposto riguardante l’impossibilità assoluta di adempiere è soddisfatto solo se le circostanze contribuiscono a creare una situazione di impossibilità assoluta oggettiva (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Commissione/Francia, C‑214/07, EU:C:2008:343, paragrafo 46 e giurisprudenza ivi citata).

97      Nel caso di specie, occorre sottolineare, in via preliminare, che, come emerge dai punti 102 e 106 della decisione impugnata, la Commissione ha considerato incompatibile con il mercato interno, ai sensi dell’articolo 107 TFUE, soltanto l’esenzione dall’ICI di cui beneficiavano gli enti non commerciali per fini specifici quando esercitavano attività di natura economica. Essa ha infatti ritenuto, in sostanza, che, in tali casi, detti enti dovessero essere qualificati come imprese, con la conseguenza che dovevano essere soggetti alla summenzionata disposizione del Trattato. Quando, invece, detti enti esercitavano solamente attività non commerciali, il regime di aiuto di Stato non trovava applicazione e l’esenzione dall’ICI non era perciò considerata illegittima.

98      Peraltro, nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto, in sostanza, che il recupero degli aiuti illegittimi da parte delle autorità italiane fosse impossibile, in termini assoluti e oggettivi, per il motivo che la natura economica o non economica delle attività svolte dagli enti beneficiari negli immobili soggetti alla normativa relativa all’ICI non era determinabile. Infatti, ai punti da 194 a 198 della decisione impugnata, essa ha fatto proprie le spiegazioni della Repubblica italiana secondo cui le banche dati catastali, da una parte, e fiscali, dall’altra, non consentivano né di identificare il tipo di attività svolta negli immobili di proprietà di detti enti né di calcolare in modo oggettivo l’importo dell’imposta da recuperare.

99      In primo luogo, il ricorrente contesta la valutazione della Commissione, facendo valere che questa è viziata da errore sia per quanto riguarda le banche dati catastali sia per quanto attiene alle banche dati fiscali.

100    A tale riguardo, occorre constatare, anzitutto, che, salvo il riferimento generale, effettuato dal ricorrente nei suoi atti, alla giurisprudenza menzionata ai precedenti punti da 94 a 96, egli non adduce alcun argomento concreto volto a rimettere in discussione la valutazione della Commissione.

101    In ogni caso, per quanto riguarda, da una parte, le banche dati catastali, è necessario considerare che, come indicato in sostanza dalla Commissione al punto 195 della decisione impugnata, i sistemi catastali censiscono gli immobili sulla base delle loro caratteristiche oggettive, in particolare dei loro elementi fisici e della loro struttura. Alla luce di tali circostanze, la Commissione ha potuto considerare, a giusto titolo, che non era possibile risalire al tipo di attività, economiche o meno, svolte dagli enti non commerciali nei loro immobili, al fine di poter determinare se detti enti avessero illegittimamente beneficiato dell’esenzione dall’ICI e, in caso affermativo, di quantificare l’importo da rimborsare alle autorità italiane.

102    Per quanto riguarda, dall’altra parte, le banche dati fiscali, la Commissione ha affermato, al punto 196 della decisione impugnata, che nemmeno queste fornivano sufficienti informazioni per il recupero.

103    A tal riguardo, il Tribunale rileva, alla luce della normativa italiana fornita dalla Commissione nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento adottata ai sensi dell’articolo 89 del regolamento di procedura, che le banche dati fiscali non consentivano di individuare la natura economica o non economica delle attività esercitate dagli enti non commerciali nei loro immobili.

104    Infatti, sotto un primo profilo, occorre osservare che, in conformità al «Modello “Unico – Enti non commerciali ed equiparati”» nonché alle istruzioni relative alla dichiarazione dei redditi degli enti non commerciali, gli immobili che generavano un reddito immobiliare per tali enti dovevano essere indicati nel quadro «RB» del modulo. Tale quadro, composto da undici colonne, richiedeva l’indicazione, in particolare, dell’importo dell’imposta comunale sugli immobili dovuta per l’esercizio in questione e per ogni unità immobiliare. Tuttavia, secondo le istruzioni relative alla dichiarazione, la colonna afferente all’imposta comunale sugli immobili non doveva essere compilata in caso di esenzione dal pagamento di detta imposta. Pertanto, come correttamente sostenuto dalla Commissione, le informazioni da riportare nel quadro «RB» non consentivano di sapere in quale immobile fosse stata svolta l’attività che aveva generato il reddito dell’attività commerciale eventualmente indicato negli altri quadri della dichiarazione.

105    Sotto un secondo profilo, occorre osservare che il modello unico comprendeva altresì il quadro «RS», relativo alla deducibilità delle spese e dei componenti negativi promiscui. Conformemente alle istruzioni relative alla dichiarazione, tale quadro doveva essere compilato con i dati richiesti ai fini del calcolo degli importi deducibili di spese e di altri componenti negativi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e di altre attività. Orbene, come emerge dal punto 196 della decisione impugnata, il quadro «RS» comprende dati aggregati relativi a beni e servizi utilizzati con modalità sia commerciali sia non commerciali. Ciò premesso, come indicato dalla Commissione, se nel quadro «RB» erano dichiarati più fabbricati, non risultava possibile individuare l’immobile in cui si era svolta l’attività che aveva generato il reddito dichiarato. Parimenti, quando nel quadro «RB» era indicato un solo fabbricato, non era possibile, in ragione delle caratteristiche strutturali del sistema catastale, individuare in quale porzione dell’immobile fossero state svolte le attività economiche che avevano generato il reddito dichiarato.

106    Alla luce di quanto precede, si deve concludere che il ricorrente non è riuscito a rimettere in discussione l’analisi della Commissione secondo la quale, da una parte, le banche dati catastali oggettivamente non consentivano di ricavare le informazioni necessarie per l’individuazione dei beneficiari interessati, nonché per il calcolo dell’eventuale importo delle esenzioni da recuperare e, dall’altra, neppure le banche dati fiscali permettevano di risalire retroattivamente al tipo di attività svolte dagli enti beneficiari dell’esenzione dall’ICI nei loro immobili, né di calcolare l’importo delle esenzioni percepite illegittimamente.

107    In secondo luogo, il ricorrente asserisce che esisterebbero, in ogni caso, metodi alternativi che consentono di individuare la natura commerciale o meno delle attività svolte dagli enti beneficiari dell’ICI nei loro immobili, e propone a tal fine, segnatamente, quattro metodi. In sostanza, egli ritiene che detti metodi avrebbero potuto dimostrare che un recupero quantomeno parziale sarebbe stato realizzabile.

108    Sotto un primo aspetto, il ricorrente sostiene che – considerato, da un lato, che la nuova normativa relativa all’IMU (v. punto 17 supra) esige che gli enti non commerciali dichiarino gli immobili assoggettati a tale imposta e quelli che sono stati esentati e, dall’altro, che la maggior parte degli immobili in questione manterrebbe stabilmente la propria destinazione d’uso – le autorità italiane potrebbero utilizzare le dichiarazioni presentate in base alla normativa dell’IMU per accertare l’uso o meno degli immobili per fini commerciali in passato.

109    A tal riguardo, è giocoforza constatare anzitutto che, come rilevato dalla Commissione, il ricorrente non fornisce alcun dato che permetta di presumere che gli immobili degli enti non commerciali mantengano solitamente e stabilmente la propria destinazione. Ciò considerato, le dichiarazioni effettuate nell’ambito del regime dell’IMU non costituirebbero un metodo valido per risalire all’informazione ricercata. Inoltre, se tale argomento del ricorrente dovesse essere interpretato come un invito alla Commissione a disporre il recupero dell’aiuto, a meno che l’ente beneficiario non sia in grado di dimostrare di aver esercitato attività non economiche in passato, occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, la Commissione non può supporre che un’impresa abbia beneficiato di un vantaggio che costituisce un aiuto di Stato basandosi semplicemente su una presunzione negativa, fondata sull’assenza di informazioni che le consentano di giungere alla conclusione contraria, in mancanza di altri elementi atti a dimostrare positivamente l’esistenza di un siffatto vantaggio (sentenza del 17 settembre 2009, Commissione/MTU Friedrichshafen, C‑520/07 P, EU:C:2009:557, punto 58).

110    Sotto un secondo aspetto, il ricorrente deduce che un obbligo di autocertificazione costituirebbe un valido modo di rivelare l’informazione richiesta. Tuttavia, è necessario osservare, alla stregua di quanto rilevato dalla Commissione, che tale metodo non può essere considerato efficace, a causa dell’inesistenza di informazioni sulla precedente situazione degli immobili. Se informazioni del genere fossero disponibili, la veridicità dell’autocertificazione potrebbe essere verificata.

111    Sotto un terzo aspetto, ad avviso del ricorrente, le autorità italiane potrebbero effettuare controlli in loco tramite organi ispettivi, sull’esempio di quanto già fatto da taluni comuni italiani. Orbene, anche in tal caso, occorre considerare che siffatto metodo, pur potendo fornire informazioni sulle attività attualmente svolte dagli enti beneficiari dell’IMU, non è tuttavia valido per identificare la natura dell’utilizzo dei loro immobili in passato.

112    Sotto un quarto aspetto, sebbene il ricorrente deduca che la Commissione avrebbe potuto basarsi sulle informazioni che egli le avrebbe fornito durante il procedimento di indagine formale, quantomeno ai fini di un recupero parziale, è necessario constatare che informazioni del genere non risultano dal fascicolo e, dunque, non è possibile esaminarne l’adeguatezza ai predetti fini.

113    Ne discende che il ricorrente non è giunto a dimostrare che la natura delle attività svolte dagli enti beneficiari dell’ICI avrebbe potuto essere individuata ricorrendo a metodi alternativi. Pertanto, non è possibile contestare alla Commissione di essere incorsa in un errore di valutazione per aver dichiarato che le autorità italiane non disponevano di alcun mezzo che consentisse loro di procedere al recupero, anche solo parziale, dell’aiuto considerato illegittimo.

114    Alla luce delle suesposte considerazioni, la seconda parte del primo motivo, nonché il primo motivo nel suo complesso, devono essere respinti.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE con riferimento alla mancata qualificazione come aiuto di Stato dell’articolo 149, quarto comma, del TUIR

115    Con il suo secondo motivo, il ricorrente rileva che la Commissione ha violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto ha ritenuto che l’articolo 149, quarto comma, del TUIR non costituisse un aiuto di Stato ai sensi del Trattato. In sostanza, egli sostiene che tale disposizione consente in particolare agli enti ecclesiastici di non perdere in alcun caso la loro qualifica di enti non commerciali, indipendentemente dalla natura commerciale o meno delle loro attività. Ciò considerato, gli enti ecclesiastici beneficerebbero in modo permanente delle esenzioni previste dalla legislazione fiscale, tra cui le esenzioni dall’ICI e dall’IMU.

116    La Commissione confuta tali argomenti.

117    In via preliminare, è necessario osservare che, innanzitutto, come indicato dalla Commissione ai punti da 31 a 34 della decisione impugnata, l’articolo 149 del TUIR figura al capo III del titolo II del TUIR. Il titolo II contiene disposizioni in materia di imposta sul reddito delle società e il capo III prevede le disposizioni fiscali applicabili agli enti non commerciali, come le norme sul calcolo della base imponibile e sull’aliquota d’imposta.

118    L’articolo 149 del TUIR definisce, poi, le condizioni che possono condurre alla perdita della «qualifica di ente non commerciale». In particolare, esso prevede che un ente non commerciale perda tale qualifica qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta. L’articolo 149, secondo comma, del TUIR definisce la «qualificazione commerciale» dell’ente in funzione, ad esempio, della prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, o di quella delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale rispetto alle restanti attività. La forma giuridica adottata dagli enti in questione non influisce in alcun modo sulla perdita della «qualifica di ente non commerciale». Dal canto suo, l’articolo 149, quarto comma, del TUIR stabilisce che le disposizioni sopra citate, ossia l’articolo 149, primo e secondo comma, non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e alle associazioni sportive dilettantistiche.

119    Infine, occorre ricordare che, come risulta dal punto 38 della decisione impugnata, la Commissione ha giustificato l’avvio del procedimento di indagine formale per quanto attiene all’articolo 149, quarto comma, del TUIR sostenendo che tale disposizione poteva essere, prima facie, selettiva. Essa ha indicato, a tal riguardo, che l’articolo 149, quarto comma, del TUIR sembrava riservare in particolare agli enti ecclesiastici la possibilità di mantenere la propria qualifica di ente non commerciale, anche qualora non fossero più tali sulla base dei criteri applicabili agli altri enti.

120    Il ricorrente asserisce, in sostanza, che la Commissione avrebbe dovuto confermare le proprie valutazioni iniziali sull’articolo 149, quarto comma, del TUIR in esito al procedimento di indagine formale, e non invece dichiarare, come emerge dal punto 159 della decisione impugnata, che tale misura non conferiva alcun vantaggio selettivo agli enti ecclesiastici.

121    Tuttavia, nessuno degli argomenti del ricorrente può rimettere in discussione la valutazione finale della Commissione.

122    Infatti, in primo luogo, la circostanza che i criteri di cui all’articolo 149, quarto comma, del TUIR, applicabili agli enti relativamente alla perdita della qualifica di «ente non commerciale», non lo siano agli enti ecclesiastici non significa, come spiegato dalla Commissione, che questi ultimi non possano perdere detta qualifica in base ad altri criteri previsti dalla normativa italiana. In particolare, è necessario rilevare che la circolare del 12 maggio 1998, n. 124/E, precisa che gli enti ecclesiastici possono beneficiare del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali soltanto se l’oggetto principale della loro attività non ha natura commerciale.

123    In secondo luogo, occorre osservare che, come emerge dal punto 154 della decisione impugnata, la legge del 20 maggio 1985, n. 222, di attuazione degli accordi internazionali tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, prevede che il Ministero dell’Interno è competente per il riconoscimento e la revoca della personalità giuridica agli effetti civili degli enti ecclesiastici sulla base di specifici criteri stabiliti dalla legge predetta. Orbene, la perdita della personalità giuridica dell’ente implica, a sua volta, la perdita della qualifica di ente non commerciale e, pertanto, del trattamento fiscale vantaggioso.

124    Il ricorrente confuta tali considerazioni e deduce, in sostanza, che le disposizioni di cui alla legge del 20 maggio 1985, n. 222, non consentono al Ministero dell’Interno italiano di garantire un controllo costante della perdita della qualifica di ente non commerciale degli enti ecclesiastici.

125    A tal riguardo, è necessario rilevare che, anzitutto, l’articolo 1 della legge del 20 marzo 1985, n. 222, prevede che gli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, i quali abbiano fine di religione o di culto, possano essere riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili. L’articolo 2, terzo comma, di detta legge dispone, poi, che il fine religioso o di culto dev’essere costitutivo ed essenziale dell’ente. Inoltre, l’articolo 16 della legge in parola prevede che le attività commerciali o a scopo di lucro non possano in alcun caso essere considerate attività di religione o di culto. Infine, l’articolo 19 di detta legge, in combinato disposto con l’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica del 13 febbraio 1987, n. 33, dispone che, in caso di mutamento nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, mutamento che faccia perdere all’ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento, quest’ultimo è revocato su proposta del Ministro dell’Interno e con decreto del Presidente della Repubblica, sentita l’autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato. Occorre aggiungere che, a seguito dell’adozione della legge del 12 gennaio 1991, n. 13, il decreto del Presidente della Repubblica previsto all’articolo 19 della legge del 20 maggio 1985, n. 222, non è più necessario per la revoca del riconoscimento civile degli enti ecclesiastici, la quale rientra oramai tra le competenze del Ministro dell’Interno.

126    Tenuto conto di quanto precede, e contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Ministero dell’Interno della Repubblica italiana è effettivamente competente a controllare la perdita della personalità giuridica degli enti ecclesiastici e, di conseguenza, della loro qualifica di ente non commerciale. Inoltre, nei limiti in cui, conformemente all’articolo 16 della legge del 20 maggio 1985, n. 222, gli enti ecclesiastici possono mantenere la loro personalità giuridica solo se non esercitano attività commerciali o a scopo di lucro, è necessario respingere l’argomento del ricorrente secondo il quale la perdita del riconoscimento civile non comporterebbe alcuna conseguenza sulla loro qualifica fiscale.

127    In terzo luogo, occorre rilevare che, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica del 10 febbraio 2000, n. 361, il Ministero dell’Interno verifica che gli enti ecclesiastici soddisfino i criteri che consentono loro di mantenere la personalità giuridica agli effetti civili, con la conseguenza che, come ritenuto dalla Commissione al punto 158 della decisione impugnata, gli enti ecclesiastici sono soggetti a disposizioni e a misure di controllo che garantiscono la perdita del beneficio del trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali in caso di esercizio di attività commerciali o a scopo di lucro.

128    Ne discende che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non può riscontrarsi alcuna qualifica permanente di ente non commerciale per gli enti ecclesiastici. Risulta dunque corretta la considerazione della Commissione secondo cui la misura prevista all’articolo 149, quarto comma, del TUIR non conferiva alcun vantaggio fiscale selettivo agli enti ecclesiastici e, pertanto, detta disposizione non costituiva un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE.

129    Per quanto riguarda gli argomenti formulati dal ricorrente nei suoi atti e relativi all’applicazione dell’articolo 351 TFUE nel presente caso, è sufficiente rilevare che la Commissione non ha basato la sua valutazione sull’esistenza di un accordo internazionale rientrante nell’ambito di applicazione di detto articolo e che, ciò considerato, gli argomenti del ricorrente non possono minimamente incidere sulla legittimità della valutazione della Commissione secondo la quale l’articolo 149, quarto comma, del TUIR non costituisce un aiuto di Stato ai sensi del Trattato. Occorre, pertanto, respingere tali argomenti in quanto inconferenti.

130    Il secondo motivo dev’essere quindi respinto.

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE con riferimento alla mancata qualificazione come aiuto di Stato dell’esenzione dall’IMU

131    Il ricorrente sostiene che la Commissione ha violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, in quanto ha ritenuto che l’esenzione dall’IMU non costituisse un aiuto di Stato ai sensi di detta disposizione.

132    Innanzitutto, egli asserisce che, contrariamente a quanto dichiarato dalla Commissione nella decisione impugnata, il fatto che la normativa sull’IMU limiti il beneficio dell’esenzione sugli immobili agli enti che esercitano attività economiche secondo «modalità non commerciali» non significa che detti enti non possano essere considerati imprese ai sensi del diritto della concorrenza. Egli rileva che, secondo giurisprudenza costante, la nozione di impresa include qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento. Il ricorrente sostiene, poi, che i criteri fissati per determinare le attività che possono beneficiare dell’esenzione dall’IMU sono vaghi e contrari alle norme in materia di aiuti di Stato. In particolare, egli censura il fatto che le attività ricettive svolte a titolo gratuito o dietro versamento di un corrispettivo simbolico si considerino esercitate con modalità non commerciali. Il ricorrente rileva, altresì, che tali censure sono applicabili ai criteri che valgono per le attività didattiche e sanitarie. Infine, egli deduce che l’esenzione dall’IMU soddisfa tutte le condizioni che consentono di dichiarare l’esistenza di un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e non rispetta le esigenze di compatibilità di cui a paragrafi 2 e 3 dello stesso articolo.

133    La Commissione confuta tali argomenti.

134    Secondo giurisprudenza costante, la nozione di «impresa» abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (v. sentenza del 16 marzo 2004, AOK Bundesverband e a., C‑264/01, C‑306/01, C‑354/01 e C‑355/01, EU:C:2004:150, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

135    Costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (v. sentenza del 12 settembre 2000, Pavlov e a., da C‑180/98 a C‑184/98, EU:C:2000:428, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

136    La circostanza che l’offerta di beni e servizi sia fatta senza scopo di lucro non osta a che l’ente che effettua tali operazioni sul mercato vada considerato come un’impresa, qualora tale offerta si ponga in concorrenza con quella di altri operatori che perseguono uno scopo di lucro (sentenza del 1° luglio 2008, MOTOE, C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 27).

137    Nel caso di specie, occorre constatare, anzitutto, che l’esenzione dall’IMU adottata ai sensi del decreto legge del 24 gennaio 2012, n. 1, come descritta ai punti da 82 a 86 della decisione impugnata, differisce dal regime previsto dall’ICI, in particolare per il fatto che si applica solo alle attività svolte da enti non commerciali, ivi inclusi gli enti ecclesiastici, «con modalità non commerciali».

138    La normativa relativa all’IMU ha, poi, introdotto norme specifiche per consentire un pagamento proporzionale dell’IMU nell’ipotesi in cui lo stesso immobile sia utilizzato per attività sia commerciali sia non commerciali. In particolare, è previsto che qualora l’unità immobiliare abbia un’utilizzazione promiscua, l’esenzione si applichi solo alla frazione di unità nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale, purché sia possibile individuare la frazione di unità immobiliare adibita esclusivamente a tale attività. Nei casi in cui non sia possibile individuare le frazioni di unità immobiliari autonome, l’esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile, la quale dovrà essere indicata in un’apposita dichiarazione.

139    Infine, la normativa relativa all’IMU rinvia, per la definizione di una serie di elementi, a un regolamento di attuazione, vale a dire il decreto ministeriale del 19 dicembre 2012, n. 200, che verte sui termini e sulle condizioni per la presentazione della dichiarazione sopracitata, sugli elementi rilevanti ai fini dell’individuazione dell’utilizzo proporzionale dell’immobile e sui requisiti generali e di settore che devono essere soddisfatti affinché un’attività si consideri esercitata con modalità non commerciali. A quest’ultimo riguardo, e per poter beneficiare dell’esenzione dall’IMU, il regolamento di attuazione dispone quanto segue:

–        sotto un primo profilo, a titolo generale, le attività svolte dagli enti interessati non devono avere scopo di lucro; inoltre, non devono, per loro natura, porsi in concorrenza con quelle di altri operatori del mercato che perseguono fini di lucro e devono costituire espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà;

–        sotto un secondo profilo, a titolo di criteri soggettivi per gli enti non economici, l’atto costitutivo o lo statuto dell’ente devono segnatamente prevedere un generale divieto di distribuzione di qualsiasi utile, avanzo di gestione, fondo e riserva; occorre inoltre reinvestire gli eventuali utili esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; in caso di scioglimento dell’ente non commerciale, quest’ultimo deve devolvere il suo patrimonio ad un altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività;

–        sotto un terzo profilo, a titolo di criteri oggettivi per gli enti che svolgono attività nel settore ricettivo, il beneficiario deve fornire servizi a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio.

140    In primo luogo, dagli aspetti generali della nuova normativa IMU e dai requisiti concreti elencati al punto precedente risulta che detta normativa si applica solamente a enti che non possono essere considerati «imprese» ai fini dell’applicazione del diritto dell’Unione. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, e come rilevato dalla Commissione al punto 166 della decisione impugnata, il regolamento di attuazione esclude espressamente, dal campo di applicazione dell’esenzione dall’IMU, le attività che, per loro natura, si pongono in concorrenza con quelle di altri operatori del mercato che perseguono uno scopo di lucro.

141    In secondo luogo, occorre respingere l’argomento del ricorrente afferente al carattere vago della nuova normativa, poiché, tra gli altri aspetti, la legislazione italiana precisa che, in caso di utilizzazione promiscua di un immobile, è necessario calcolare il rapporto proporzionale dell’uso commerciale dell’immobile e applicare l’IMU alle sole attività economiche. Inoltre, nei casi in cui un ente svolga al contempo attività economiche e non economiche, l’esenzione parziale di cui esso beneficia per la frazione dell’immobile utilizzata per attività non economiche non gli attribuisce alcun vantaggio quando esso esercita un’attività economica in quanto impresa.

142    In terzo luogo, anche se il ricorrente sembra sostenere che i servizi ricettivi sono, per loro natura, offerti sul mercato in concorrenza con altri operatori, anzitutto, è necessario rilevare che tale deduzione è formulata solo come osservazione astratta, senza essere accompagnata da un’argomentazione concreta.

143    Come emerge, poi, dal punto 174 della decisione impugnata, il regolamento di attuazione limita l’esenzione alle attività svolte da enti non commerciali che prevedono l’accessibilità a determinate categorie di destinatari e la discontinuità nell’apertura. Per quanto riguarda, in modo più specifico, la «ricettività sociale», il regolamento precisa che le attività devono essere dirette a persone con bisogni speciali temporanei o permanenti o a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.

144    Il regolamento chiarisce inoltre che, in ogni caso, l’esenzione non è applicabile alle attività svolte in strutture alberghiere o paralberghiere, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo del 23 maggio 2011, n. 79. Ai sensi di tale articolo, sono considerate strutture alberghiere e paralberghiere le strutture ricettive, gli alberghi, i motel, i villaggi-albergo, le residenze turistico alberghiere, gli alberghi «diffusi», le residenze d’epoca alberghiere, i bed and breakfast organizzati in forma imprenditoriale, le residenze della salute - beauty farm, nonché ogni altra struttura turistica-ricettiva che presenti elementi collegabili a una o più delle precedenti categorie. L’esenzione risulta, quindi, esclusa per le attività svolte, in particolare, in alberghi, motel e bed and breakfast.

145    Occorre, infine, osservare che il Tribunale è chiamato, con il ricorso qui esaminato, a pronunciarsi sulla legittimità della decisione impugnata, che verte, a sua volta, sulle condizioni e sui criteri generali di applicazione dell’esenzione dall’IMU. Compete alle autorità nazionali decidere caso per caso dell’attuazione di tale regime e, più specificamente, dell’esistenza o meno di un rapporto di concorrenza tra il beneficiario effettivo dell’IMU e i restanti operatori del settore ricettivo; il ricorrente può esperire i rimedi nazionali nell’ipotesi in cui il regime autorizzato dalla Commissione non sia applicato in modo corretto.

146    Ne consegue che la Commissione ha potuto considerare, in sostanza, che i servizi ricettivi, quali quelli disciplinati nelle precedenti disposizioni, non erano offerti sul mercato in un contesto di concorrenza con altri operatori.

147    In quarto luogo, il ricorrente censura il criterio del carattere simbolico del corrispettivo, che non escluderebbe, a suo avviso, la natura onerosa del servizio. Tale criterio avrebbe l’effetto perverso di accordare l’aiuto a operatori che, grazie a tale aiuto, potrebbero praticare prezzi inferiori.

148    Tuttavia, si deve rilevare che, come emerge dal punto 173 della decisione impugnata, il regolamento di attuazione dell’IMU dispone, da una parte, che, per avere natura simbolica, il compenso non deve essere in relazione con il costo del servizio e, dall’altra, che il limite della metà del prezzo medio, fissato per le stesse attività svolte nel medesimo ambito territoriale con modalità commerciali, può essere utilizzato solo per escludere il diritto all’esenzione e non implica, a contrario, che possano beneficiare dell’esenzione i fornitori di servizi che praticano un prezzo al di sotto di tale limite. Ciò considerato, e tenuto conto del fatto che il corrispettivo simbolico non è che una condizione che si affianca a quelle descritte ai punti precedenti, il ricorrente non può sostenere che la Commissione sia incorsa in un errore di valutazione.

149    Alla luce di quanto precede, il ricorrente non riesce a dimostrare che la normativa sull’IMU consenta l’applicazione dell’esenzione ad attività di carattere economico e che la Commissione abbia, perciò, violato l’articolo 107 TFUE per aver considerato che detta normativa non ricadeva nell’ambito di applicazione di tale disposizione del Trattato. Inoltre, con riferimento alle allegazioni del ricorrente secondo cui le condizioni di esistenza di un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, sarebbero soddisfatte dalla normativa IMU, occorre respingere tali argomenti in quanto inconferenti.

150    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il terzo motivo deve essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

151    Il ricorrente sostiene che la lettura della decisione impugnata non consente di comprendere le ragioni poste alla base delle tre parti di cui essa si compone.

152    La Commissione confuta tali argomenti.

153    Secondo giurisprudenza costante, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve fare apparire, in modo chiaro e inequivocabile, l’iter logico seguito dall’istituzione da cui promana l’atto, in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di difendere i loro diritti e al giudice di esercitare il suo controllo. Tuttavia, non si può pretendere che la motivazione specifichi tutti gli elementi in fatto e in diritto rilevanti. Infatti, la questione di stabilire se la motivazione di una decisione soddisfi tali requisiti deve essere valutata alla luce non solo del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia in questione (sentenze del 22 aprile 2008, Commissione/Salzgitter, C‑408/04 P, EU:C:2008:236, punto 56; del 30 aprile 1998, Vlaamse Gewest/Commissione, T‑214/95, EU:T:1998:77, punti 62 e 63, e del 27 settembre 2005, Common Market Fertilizers/Commissione, T‑134/03 e T‑135/03, EU:T:2005:339, punto 156).

154    Nel caso di specie, è sufficiente constatare che, come correttamente rilevato dalla Commissione, tenuto conto tanto del suo tenore letterale quanto del contesto in cui è stata adottata, la decisione impugnata contiene, ai punti da 22 a 198, una motivazione che soddisfa gli obblighi di cui all’articolo 296 TFUE.

155    Invero, da una parte, la Commissione ha esposto, ai punti 191 e 198 della decisione impugnata, le motivazioni per cui risulterebbe assolutamente impossibile per la Repubblica italiana procedere al recupero di aiuti illegittimi eventualmente concessi nel quadro delle disposizioni di esenzione dall’ICI. Tali motivazioni attengono alla struttura del catasto nonché alle banche dati fiscali, che non consentono di ottenere, con effetto retroattivo, gli elementi necessari per il calcolo degli importi da recuperare.

156    Dall’altra parte, la Commissione ha esposto, ai punti da 151 a 159 della decisione impugnata, le ragioni per cui essa ha ritenuto che l’articolo 149, quarto comma, del TUIR non attribuisse alcun vantaggio selettivo né agli enti ecclesiastici né alle associazioni sportive dilettantistiche. Lo stesso vale per l’esenzione dall’IMU, a proposito della quale la Commissione ha chiarito, ai punti da 160 a 170 della decisione impugnata, le ragioni per cui essa ha ritenuto che gli enti non commerciali in questione, quando svolgono le attività suindicate rispettando integralmente le condizioni previste dalla legislazione italiana, non agiscono come imprese ai sensi del diritto dell’Unione, cosicché l’articolo 107 TFUE non è loro applicabile.

157    Siffatta motivazione ha consentito, da una parte, al ricorrente di comprendere e confutare – come dimostrato dal contenuto del suo ricorso – l’iter logico seguito dalla Commissione per adottare la decisione impugnata e, dall’altra, al Tribunale di esercitare il suo controllo di legittimità, come emerge dall’esame dei motivi sopra analizzati.

158    Di conseguenza, la Commissione non ha violato l’articolo 296 TFUE.

159    Il quarto motivo deve, quindi, essere respinto, così come il ricorso nel suo complesso.

 Sulle spese

160    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Inoltre, conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni intervenuti nella causa restano a loro carico.

161    Il ricorrente, rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese, conformemente alla domanda della Commissione. Le spese sostenute dalla Repubblica italiana per il suo intervento resteranno a suo carico.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Pietro Ferracci è condannato a farsi carico, oltre che delle proprie spese, anche di quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      Le spese sostenute dalla Repubblica italiana per il suo intervento resteranno a suo carico.

Gratsias

Kancheva

Wetter

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 settembre 2016.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.