Language of document : ECLI:EU:C:2013:50

PAOLO MENGOZZI

presentate il 31 gennaio 2012 (1)

Causa C‑418/11

TEXDATA Software GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Innsbruck (Austria)]

«Diritto societario – Libertà di stabilimento – Artt. 49 TFUE e 54 TFUE – Direttiva 2009/101/CE, quarta direttiva 78/660/CEE, undicesima direttiva 89/666/CEE – Pubblicità dei documenti contabili delle società di capitali e delle loro succursali – Sanzioni previste in caso di omessa pubblicità – Proporzionalità della sanzione – Principio della tutela giurisdizionale effettiva – Principio del rispetto dei diritti della difesa – Principio del ne bis in idem»





1.        Osta il diritto dell’Unione a una normativa nazionale che prevede, una volta scaduti i termini prescritti per la pubblicazione dei documenti contabili delle società, l’immediata irrogazione di una sanzione pecuniaria nei confronti tanto della società quanto dei suoi organi sociali, senza sollecito e senza possibilità preventiva di presentare osservazioni, e che prevede, in caso di ritardo continuato, l’immediata irrogazione di ulteriori sanzioni? Questa è in sostanza la questione sollevata dall’Oberlandesgericht di Innsbruck (Austria) con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

2.        Il giudice del rinvio chiede, in particolare, alla Corte di verificare la compatibilità di una normativa di tal genere, recentemente introdotta in Austria, da un lato, con la libertà di stabilimento di cui agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE e con le disposizioni relative alle sanzioni per omessa pubblicità dei documenti contabili previste dalle direttive dell’Unione in materia di società e, dall’altro, con i principi della tutela giurisdizionale effettiva, del rispetto dei diritti della difesa e del ne bis in idem, sanciti da diverse disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU»).

3.        Nonostante il valore relativamente minore della domanda in oggetto nel procedimento principale la Corte è, pertanto, chiamata, nella presente causa, a prendere posizione su questioni di diritto dell’Unione tutt’altro che trascurabili.

I –    Contesto Normativo

A –    Diritto dell’Unione

4.        L’articolo 6 della prima direttiva in materia di società, ossia la direttiva 68/151/CEE(2) divenuto, a seguito dell’abrogazione di tale direttiva, l’articolo 7 della direttiva 2009/101/CE(3), dispone quanto segue:

«Gli Stati membri stabiliscono adeguate sanzioni almeno per i casi di:

a)      mancata pubblicità dei documenti contabili, come prescritta dall’articolo 2, lettera f); (…)».

5.        L’articolo 60 bis della quarta direttiva in materia di società, ossia la direttiva 78/660/CEE (4), dispone che «[g]li Stati membri stabiliscono le regole relative alle sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate in applicazione della presente direttiva e adottano tutte le misure necessarie per assicurarne l’applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive».

6.        L’undicesima direttiva in materia di società, ossia la direttiva 89/666/CEE (5), prevede al suo articolo 1, paragrafo 1:

«Gli atti e le indicazioni concernenti le succursali create in uno Stato membro da società soggette alla legislazione di un altro Stato membro e alle quali si applica la direttiva 68/151/CEE sono pubblicati a norma della legislazione dello Stato membro in cui è situata la succursale, conformemente all’articolo 3 della suddetta direttiva».

7.        Ai termini dell’articolo 12 di tale direttiva, «[g]li Stati membri prescrivono adeguate sanzioni per i casi di inottemperanza all’obbligo di pubblicità di cui a[ll’] articol[o] 1, (…)».

B –    Diritto nazionale

8.        Ai termini dell’articolo 277, paragrafo 1, dell’Unternehmensgesetzbuch (codice delle imprese austriaco; in prosieguo: l’«UGB»), i rappresentanti legali di società di capitali sono tenuti a presentare presso il tribunale competente per la tenuta del registro delle imprese della sede della società i conti annuali, la relazione sulla gestione, nonché taluni altri documenti societari, dopo la loro discussione nell’assemblea generale e, in ogni caso, entro e non oltre nove mesi dalla data di chiusura del bilancio.

9.        L’articolo 280 bis dell’UGB, intitolato «Pubblicità delle succursali delle società di capitali straniere», dispone che, nel caso di succursali di società di capitali estere, i rappresentanti della succursale devono pubblicare, in lingua tedesca, conformemente all’articolo 277 dell’UGB, i documenti contabili costituiti, verificati e pubblicati secondo il diritto applicabile alla sede principale della società (6).

10.      L’articolo 283 dell’UGB è intitolato «Ammende» e determina le conseguenze per l’inadempimento dei suddetti obblighi di pubblicità. Esso è stato oggetto di una riforma nel 2011 (in prosieguo: la «riforma del 2011») (7).

11.      A norma del primo paragrafo di tale disposizione, come modificata, i membri del consiglio di amministrazione o i liquidatori sono tenuti ad osservare l’articolo 277 dell’UGB e, nel caso di una succursale di una società di capitali estera, le persone abilitate a rappresentarla sono tenute ad osservare l’articolo 280 bis dell’UGB a pena di essere condannati dal giudice a un’ammenda compresa tra EUR 700 e EUR 3 600. Tale ammenda deve essere irrogata dopo la scadenza del termine di pubblicità e l’irrogazione deve essere ripetuta ogni due mesi fino a quando i citati organi non abbiano adempiuto ai loro obblighi.

12.      I paragrafi 2 e 3 dell’articolo 283 dell’UGB prevedono il procedimento d’irrogazione dell’ammenda, il quale si articola in due fasi. In una prima fase, prevista dal paragrafo 2 di tale articolo, nel caso in cui gli organi sociali non abbiano adempiuto agli obblighi di pubblicità loro incombenti entro l’ultimo giorno del termine prescritto, deve essere irrogata, mediante provvedimento, un’ammenda di EUR 700, in assenza di qualsivoglia adempimento procedurale preliminare. Tale assenza di adempimenti procedurali preliminari all’irrogazione di questa prima sanzione costituisce una novità della riforma del 2011, volta a cambiare la prassi instauratasi tra i giudici austriaci, nel vigore del regime precedente, di inviare solleciti alle imprese inadempienti prima di irrogare la sanzione (8).

13.      Sempre ai termini del paragrafo 2 dell’articolo 283 dell’UGB è possibile prescindere dall’irrogazione dell’ammenda solo se l’organo obbligato non ha manifestamente potuto adempiere agli obblighi di pubblicità in tempo utile a causa di un evento imprevedibile o irresistibile. In tal caso l’adozione del provvedimento può essere sospesa per un periodo massimo di quattro settimane. L’organo interessato dispone di un termine di quattordici giorni per presentare ricorso contro il provvedimento che irroga l’ammenda, indicando le ragioni addotte a giustificazione del mancato adempimento. In assenza di ricorso, il provvedimento acquisisce carattere definitivo. Se il ricorso è tardivo o privo di ogni fondamento, deve essere rigettato mediante provvedimento. Tuttavia, può essere concessa una remissione nei termini.

14.      Il paragrafo 3 dell’articolo 283 dell’UGB prevede l’eventuale seconda fase del procedimento d’irrogazione dell’ammenda. Ai sensi di tale paragrafo, l’introduzione nei termini di un ricorso motivato contro il provvedimento che irroga l’ammenda menzionata al paragrafo 2 rende inapplicabile tale provvedimento e introduce un processo ordinario. Tale processo può concludersi con l’archiviazione della causa oppure con l’irrogazione di un’ammenda compresa tra EUR 700 e EUR 3 600. L’organo sociale interessato dispone della possibilità di proporre ricorso contro l’irrogazione dell’ammenda nel processo ordinario.

15.      Nel caso in cui la pubblicità non sia stata ancora effettuata nei due mesi successivi alla scadenza dell’ultimo giorno del termine di pubblicità indicato all’articolo 277 dell’UGB e menzionato al precedente paragrafo 8, il paragrafo 4 dell’articolo 283 dell’UGB prevede che, venga irrogata un’ulteriore ammenda di EUR 700 mediante provvedimento il quale, nel caso in cui continui a sussistere l’inadempimento all’obbligo di pubblicità, viene ripetuto per ogni periodo ulteriore di due mesi. L’articolo 283, paragrafo 5, dell’UGB prevede che nel caso di imprese che siano qualificabili come di medie o di grandi dimensioni secondo i criteri indicati nello stesso UGB, le ammende previste al paragrafo 3 nonché quelle inflitte di volta in volta in caso di inadempimento ulteriore siano aumentate rispettivamente di tre o di sei volte.

16.      Inoltre, ai termini del paragrafo 7 dell’articolo 283 dell’UGB, gli obblighi incombenti ai rappresentanti legali in virtù degli articoli 277 e 280 bis si applicano anche alla società. Se la società non adempie a tali obblighi mediante i suoi organi, essa stessa deve essere condannata simultaneamente al pagamento dell’ammenda.

II – Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

17.      Texdata Software GmbH (in prosieguo: «Texdata») è una società a responsabilità limitata che ha sede a Karlsruhe, in Germania, e che svolge attività di concezione e commercializzazione di software. Essa esercita le sue attività in Austria attraverso una succursale, iscritta dal 4 marzo 2008 nel registro delle società austriache come società straniera.

18.      Con provvedimento del 5 maggio 2011 il Landesgericht Innsbruck (Tribunale di Innsbruck) ha irrogato nei confronti di Texdata due ammende dell’ammontare di EUR 700 ciascuna ai sensi dell’articolo 283, paragrafo 2, dell’UGB, come modificato nel 2011, per omesso deposito dei conti annuali al 31 dicembre 2008 e al 31 dicembre 2009 entro la data limite, che il giudice di rinvio indica essere il 28 febbraio 2011.

19.      In data 23 maggio 2011 Texdata ha depositato dinanzi al Landesgericht, nei termini, due ricorsi con cui faceva valere che l’irrogazione di ammende senza sollecito o diffida era inammissibile, e che in ogni caso potevano essere depositati solo i conti annuali già resi pubblici presso l’Amtsgericht Karlsruhe (Tribunale distrettuale di Karlsruhe), dei quali si poteva prendere visione ricorrendo ai mezzi della giustizia elettronica.

20.      In pari data Texdata ha provveduto a depositare dinanzi al Landesgericht anche i due citati conti annuali.

21.      Con due provvedimenti datati 25 maggio 2011, il Landesgericht disponeva l’inapplicabilità dei due provvedimenti irrogativi dell’ammenda, data la tempestività dei ricorsi, e nel procedimento ordinario infliggeva di nuovo alla società, ai sensi dell’articolo 283, paragrafi 3 e 7, dell’UGB, due sanzioni pecuniarie dell’ammontare di EUR 700 ciascuna, per non aver presentato i conti annuali entro i termini.

22.      Investito dell’impugnazione contro tali due provvedimenti proposta da Texdata, il giudice del rinvio si è posto la questione della compatibilità della normativa nazionale in causa, come modificata nel 2011, con il diritto dell’Unione e ha, pertanto, sospeso il procedimento sottoponendo alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il diritto dell’Unione, al suo stato attuale, ed in particolare:

1.      la libertà di stabilimento di cui agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE;

2.      il principio generale del diritto (articolo 6, paragrafo 3, TUE) a un ricorso effettivo (principio dell’effettività);

3.      il principio del contraddittorio di cui all’articolo 47, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali (articolo 6, paragrafo 1, TUE) e all’articolo 6, paragrafo 2, CEDU (articolo 6, paragrafo 1, TUE);

4.      il principio del ne bis in idem di cui all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali, o

5.      le disposizioni relative alle sanzioni nella procedura di pubblicità di cui all’articolo 6 della direttiva 68/151/CEE, all’articolo 60 bis della direttiva 78/660/CEE e all’articolo 38, paragrafo 6, della direttiva 83/349/CEE (9),

ostino a una normativa nazionale che, in caso di decorso del termine di nove mesi previsto per legge ai fini della predisposizione e della pubblicazione del conto annuale presso il competente tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese,

–      senza possibilità preventiva di formulare osservazioni sulla configurabilità dell’obbligo di pubblicità e su eventuali motivi di impedimento, in particolare senza esame preventivo dell’eventualità che il conto annuale sia già stato presentato al tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese del luogo in cui si trova la sede principale, e

–      senza preventivo specifico sollecito alla società o agli organi muniti del potere di rappresentanza di adempiere all’obbligo di pubblicità,

imponga l’immediata irrogazione, da parte del tribunale incaricato della tenuta del registro delle imprese di una sanzione pecuniaria minima pari a EUR 700 nei confronti della società e di ciascun organo munito del potere di rappresentanza, presupponendo, in caso di mancanza di prova contraria, che la società e i suoi organi abbiano colposamente omesso di provvedere alla pubblicazione, e, in caso di ulteriori ritardi nell’adempimento della durata di due mesi ciascuno, preveda l’immediata irrogazione, di volta in volta, di ulteriori sanzioni pecuniarie minime pari a EUR 700 nei confronti della società e di ciascun organo munito del potere di rappresentanza, ancora in mancanza di prova contraria, presupponendo che la società e i suoi organi abbiano colposamente omesso di provvedere alla pubblicazione».

III – Procedimento dinanzi alla Corte

23.      L’ordinanza di rinvio è pervenuta in cancelleria in data 10 agosto 2011. Hanno depositato osservazioni scritte Texdata, i governi austriaco e del Regno Unito, nonché la Commissione europea.

24.      All’udienza, la quale ha avuto luogo il 27 novembre 2012, sono intervenuti Texdata, il governo austriaco e la Commissione.

IV – Analisi giuridica

A –    Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

25.      Occorre preliminarmente analizzare gli argomenti diretti ad eccepire l’irricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

26.      Il governo austriaco evidenzia una serie di errori nell’esposizione della normativa nazionale contenuta nell’ordinanza di rinvio e sostiene quindi che il giudice a quo non avrebbe presentato tale normativa in modo da permettere alla Corte di dare una risposta utile e non puramente ipotetica.

27.      A tale proposito occorre, tuttavia, ricordare che risulta da giurisprudenza costante che il procedimento pregiudiziale come previsto dall’articolo 267 TFUE non è diretto all’interpretazione di norme legislative o regolamentari nazionali e che, pertanto, eventuali inesattezze contenute nella descrizione delle disposizioni nazionali litigiose operata nel provvedimento di rinvio dal giudice nazionale non possono avere la conseguenza di privare la Corte della competenza a risolvere la questione pregiudiziale proposta da detto giudice (10). Nel caso di specie, ritengo che sulla base delle informazioni contenute nell’ordinanza di rinvio la Corte disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte.

28.      Il governo del Regno Unito, senza sollevare formalmente un’eccezione d’irricevibilità, sostiene che non sarebbe chiaro per quale ragione la nuova procedura prevista dall’articolo 283 dell’UGB dopo la riforma del 2011 sarebbe stata applicata retroattivamente all’obbligo di depositare i conti concernenti gli esercizi 2008 e 2009.

29.      A questo proposito, risulta dalla giurisprudenza che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione e sull’applicabilità di disposizioni nazionali o stabilire i fatti rilevanti per la soluzione della controversia nella causa principale. La Corte è, infatti, tenuta a prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo con riferimento al quale è sollevata la questione pregiudiziale, come definito dal provvedimento di rinvio (11). Inoltre la Corte ha, altresì, dichiarato che l’individuazione della normativa nazionale applicabile ratione temporis costituisce una questione di interpretazione del diritto nazionale che non ricade nella sfera di competenza della Corte adita nell’ambito di una pronuncia pregiudiziale (12).

30.      Risulta, a mio avviso, dalle considerazioni che precedono che la questione pregiudiziale deve essere considerata ricevibile.

B –    Sulla questione pregiudiziale

1.      Libertà di stabilimento e direttive in materia di società

a)      Osservazioni generali

31.      Con la prima e la quinta parte della sua questione pregiudiziale, che vanno a mio avviso analizzate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la libertà di stabilimento prevista agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE nonché le disposizioni di cui agli articoli 6 della prima direttiva 68/151/CEE, 60 bis della quarta direttiva 78/660/CEE e 38, paragrafo 6, della settima direttiva 83/349/CEE debbano essere interpretate nel senso che ostano ad una normativa nazionale concernente il regime sanzionatorio per inadempimento agli obblighi di pubblicità dei documenti contabili delle società di capitali come quella prevista dall’UGB nella versione modificata nel 2011 e descritta ai precedenti paragrafi da 10 a 16.

32.      In particolare, il giudice del rinvio si chiede se l’obiettivo della pubblicazione dei conti annuali non possa essere raggiunto in modo altrettanto efficace con un procedimento meno «drastico» di quello introdotto con la riforma del 2011, quale, ad esempio, quello in vigore prima di tale riforma (13). Il nuovo regime imporrebbe, infatti, alle società estere spese e oneri superflui, essendo esse costrette a rivolgersi ad un avvocato per tutelare i diritti loro spettanti dalla libertà di stabilimento allorché, invece, per chiarire se tali società abbiano già pubblicato i documenti contabili rilevanti, ossia i bilanci resi pubblici dinanzi al tribunale del luogo della sede principale, sarebbe possibile condurre rilevamenti presso tale tribunale estero oppure presso la sede principale della società stessa.

33.      Va rilevato a titolo preliminare che l’obbligo di pubblicità dei conti annuali nonché il relativo regime sanzionatorio previsto dalla normativa nazionale oggetto di considerazione nel procedimento principale si applicano a Texdata in quanto quest’ultima, società di capitali tedesca, esercita le sue attività in Austria attraverso una succursale registrata in tale paese come succursale estera di società di capitali. In un contesto di tal genere ritengo, in linea con quanto osservato dal governo del Regno Unito, che per l’analisi relativa alla presente causa sia pertinente non tanto la settima direttiva 83/349/CEE relativa ai conti consolidati menzionata dal giudice del rinvio, la quale trova applicazione ai gruppi di imprese costituiti da società madri e da filiali che dispongono di personalità giuridica distinta (14), ma piuttosto l’undicesima direttiva 89/666/CEE relativa alla pubblicità delle succursali di società di capitali. Inoltre, come già rilevato al paragrafo 4, la prima direttiva 68/151/CEE, cui si riferisce il giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, è stata ormai abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE.

34.      A tale riguardo occorre ricordare che la circostanza che, formalmente, il giudice nazionale abbia formulato la questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni. A tal proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia (15).

35.      Alla luce delle circostanze di fatto della controversia principale e della normativa austriaca applicabile occorrerà pertanto che la Corte proceda ad interpretare, oltre agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE, la direttiva 2009/101/CE, la quarta direttiva 78/660/CEE e l’undicesima direttiva 89/666/CEE.

b)      Sulle direttive 2009/101/CE, 78/660/CEE e 89/666/CEE

36.      Le succitate direttive si inquadrano tutte tra le misure complementari adottate dal legislatore dell’Unione per facilitare l’esercizio della libertà di stabilimento. Esse costituiscono tutte disposizioni di attuazione dell’articolo 50, paragrafo 2, lettera g), TFUE (16), nonché del Programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento adottato dal Consiglio il 18 dicembre 1961 (17), che prevedono il coordinamento delle garanzie che sono richieste negli Stati membri alle società per proteggere gli interessi sia dei soci sia dei terzi. Dette garanzie includono l’obbligo di rendere pubbliche talune informazioni rilevanti che concernono le società stesse. È quindi in tale prospettiva che le succitate direttive prevedono disposizioni finalizzate a coordinare le normative nazionali concernenti la pubblicità di informazioni rilevanti relative alle società (18).

37.      Orbene, risulta da diversi considerando di tali direttive che l’obiettivo principale del coordinamento delle normative nazionali concernenti la pubblicità è specificamente quello della tutela degli interessi dei terzi. La previsione di obblighi di pubblicità in capo alle società è, infatti, finalizzata a consentire ai terzi che trattano o intendono trattare con la società di conoscere gli atti essenziali relativi a questa, nonché talune indicazioni rilevanti che la concernono e, in particolare, le generalità delle persone che hanno il potere di obbligarla (19).

38.      Inoltre, per ciò che riguarda specificamente la pubblicità dei conti annuali delle società di capitali, la Corte ha già avuto modo di rilevare che essa gioca un ruolo fondamentale al fine di tutelare i terzi (20) e che essa mira principalmente ad informare coloro che non conoscano o non possano conoscere sufficientemente la situazione contabile e finanziaria della società (21). L’obiettivo specifico è quello di permettere loro di valutare se sia il caso di instaurare o mantenere un qualsiasi rapporto giuridico con la società stessa (22).

39.      Essendo l’applicazione di una norma di diritto direttamente connessa all’esistenza di un sistema coercitivo che intervenga per garantirne il rispetto, il legislatore dell’Unione non si è limitato ad imporre agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché le società siano assoggettate ad obblighi di pubblicità, particolarmente riguardo ai documenti contabili, ma ha imposto loro di prescrivere «adeguate sanzioni» per i casi di inottemperanza a tali obblighi (23).

40.      Si deve pertanto constatare che la previsione, da parte di una normativa nazionale come quella in causa nel procedimento principale, di obblighi di pubblicità in capo alle società e alle succursali di società di capitali straniere dei documenti contabili e degli altri documenti indicati agli articoli 277, paragrafo 1, e 280 bis dell’UGB nonché la previsione di sanzioni per l’omessa pubblicazione di tali documenti sono conformi alle summenzionate direttive.

41.      Si pone tuttavia il problema, sollevato dal giudice del rinvio, dell’adeguatezza e della proporzionalità di tale sistema sanzionatorio.

42.      A tale riguardo la Corte ha dichiarato che, per chiarire la portata dell’esigenza relativa all’adeguatezza delle sanzioni stabilite per omesso adempimento degli obblighi di pubblicità, può essere utilmente presa in considerazione la giurisprudenza costante della Corte relativa al principio di leale cooperazione consacrato ormai dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE da cui deriva un’esigenza di identica natura. Secondo tale giurisprudenza, pur conservando la scelta delle sanzioni, gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto dell’Unione siano punite, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni del diritto interno simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo (24).

43.      Occorre inoltre rilevare che, benché le direttive prevedano l’adozione di sanzioni adeguate da parte degli Stati membri, esse non contengono norme precise riguardo alla fissazione di siffatte sanzioni nazionali e non stabiliscono, in particolare, alcun criterio esplicito in ordine alla valutazione della loro proporzionalità.

44.      Orbene, risulta da giurisprudenza costante che, in mancanza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi tuttavia sono tenuti ad esercitare questa competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (25).

45.      Pertanto, nel caso di specie, le sanzioni consentite dalla normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale non devono eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti da tale normativa, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (26).

46.      Resta inteso che, nel quadro di una pronuncia pregiudiziale, spetta al giudice del rinvio valutare se i provvedimenti nazionali siano compatibili con il diritto dell’Unione ed in particolare con il principio di proporzionalità, essendo la Corte competente solo a fornire tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che possano consentirgli di valutare siffatta compatibilità (27). Spetterà quindi a detto giudice, unico competente ad interpretare il diritto nazionale, decidere se il sistema sanzionatorio previsto dalla normativa nazionale in causa nel procedimento principale soddisfi i requisiti di effettività, proporzionalità e dissuasività e, in particolare, se esso non tratti sfavorevolmente le società formalmente straniere rispetto a quelle austriache in caso di violazione degli obblighi di pubblicità (28). Tuttavia, nella valutazione di siffatta compatibilità occorrerà che il giudice del rinvio tenga conto degli elementi interpretativi fornitigli dalla Corte.

47.      A tale proposito bisogna, in primo luogo, considerare il summenzionato obiettivo fondamentale della tutela dei terzi che interagiscono con la società, obiettivo che, oltre ad essere proprio alle norme dell’Unione, deve essere perseguito da quelle nazionali in materia di pubblicità. Al riguardo non posso, anzitutto, non rilevare che risulta dalle spiegazioni relative al progetto di legge governativo che ha introdotto la riforma del 2011 che, nel vigore del sistema precedente, in Austria meno della metà delle imprese assoggettate all’obbligo di pubblicità adempiva a tempo debito a tale obbligo (29). Questa osservazione sola mi sembra sufficiente a dimostrare che il sistema precedente (30), cui fa riferimento il giudice del rinvio per fondare taluni dei suoi dubbi riguardo alla proporzionalità del nuovo regime sanzionatorio, non fosse idoneo a garantire l’adempimento da parte delle società agli obblighi di pubblicità dei documenti contabili loro incombenti e non fosse pertanto conforme ai requisiti di effettività e dissuasività nonché al summenzionato obiettivo fondamentale della tutela dei terzi inerente alle direttive. Risulta del resto, sia dalle citate spiegazioni relative al progetto di legge governativo sia da quanto esplicitamente affermato dal governo austriaco all’udienza, che la riforma, ed in particolare la disposizione che ha introdotto l’imposizione automatica di un’ammenda minima di EUR 700, è stata adottata proprio con l’obiettivo di garantire una più efficiente e rapida esecuzione degli obblighi di pubblicità da parte delle imprese assoggettate a tali obblighi, obiettivo che, come chiarito dal governo austriaco sempre in occasione dell’udienza, è stato raggiunto visto l’aumento considerevole del tasso di adempimento nei termini agli obblighi di pubblicità da parte delle società a seguito dell’introduzione della riforma del 2011.

48.      In secondo luogo, occorre rilevare che risulta dalle osservazioni della Commissione che un’ammenda di importo minimo di 700 EUR per omesso rispetto degli obblighi di pubblicazione in capo alle società di capitali corrisponde approssimativamente alla media degli importi delle ammende previste negli Stati membri per infrazioni di tal genere, e che in alcuni Stati membri tali ammende minime possono raggiungere i 1 500 EUR. La previsione di una sanzione minima di tale importo non mi sembra eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento dello scopo fondamentale della normativa in causa indicato ai precedenti paragrafi 37 e 38.

49.      Inoltre, senza pregiudizio delle considerazioni che svolgerò successivamente riguardo al principio del ne bis in idem, la previsione della ripetizione dell’irrogazione dell’ammenda ogni due mesi in caso di inadempimento continuato non è neanch’essa sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti. Si tratta, infatti, di una misura volta a incentivare le società per le quali l’imposizione dell’ammenda non costituisce un deterrente sufficiente a osservare celermente l’obbligo di pubblicità che incombe loro.

50.      In terzo luogo, occorre rilevare che la normativa in causa prevede un termine di pubblicità di nove mesi dalla data di chiusura del bilancio. Tale termine sembra costituire un periodo di tempo ampiamente sufficiente, salvo situazioni eccezionali, per permettere alla società di adempiere all’obbligo di predisposizione e pubblicazione dei suoi conti annuali. Del resto, se si permettesse di pubblicare i conti dell’esercizio precedente in un termine ancora più lungo, l’obiettivo proprio agli obblighi di pubblicità, ossia la tutela dei terzi, sarebbe messo in pericolo in quanto questi ultimi avrebbero accesso ad informazioni sulla situazione della società che rischierebbero di non essere sufficientemente recenti per garantire loro l’esattezza di tali informazioni e la corrispondenza con la situazione reale della società.

51.      In quarto luogo, occorre anche osservare che, in ogni caso, la società e i suoi organi sociali dispongono della possibilità di impugnare il provvedimento che irroga l’ammenda adducendo le ragioni che hanno giustificato l’inadempimento all’obbligo di pubblicità loro incombente.

52.      In quinto luogo, in riferimento alle esigenze stabilite dalla giurisprudenza menzionata al precedente paragrafo 42, occorre osservare che la normativa nazionale prevede, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale, esattamente lo stesso regime sanzionatorio per le società austriache e per le succursali delle società straniere.

53.      Tutte le considerazioni che precedono mi portano a concludere che una normativa nazionale come quella applicabile nel procedimento principale non risulta eccedere i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa che prevede gli obblighi di pubblicità in capo alle società.

c)      Sugli articoli 49 TFUE e 54 TFUE

54.      Per quanto riguarda poi la questione se una normativa di tal genere sia conforme agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE, occorre esaminare se essa costituisca una misura che integra un ostacolo alla libertà di stabilimento in Austria di una società, costituita conformemente alla normativa di un altro Stato membro, mediante la creazione di una succursale (31).

55.      A tale riguardo risulta, anzitutto, dalle considerazioni che precedono che sanzioni come quelle imposte dalla normativa applicabile nella causa principale per il mancato adempimento agli obblighi di pubblicità sono adeguate e conformi al diritto dell’Unione. Orbene, è giocoforza constatare che l’imposizione di tali sanzioni dipende esclusivamente dall’eventuale violazione, da parte della società, di detti obblighi legali di pubblicità previsti dal diritto dell’Unione. Pertanto, come osservato a giusto titolo dalla Commissione, è solo una condotta, non conforme alla legge, della società e dei suoi organi sociali, che può far scattare le conseguenze giuridiche previste dalla normativa nazionale in causa.

56.      Inoltre, ho già rilevato che la normativa concernente l’imposizione di sanzioni per mancato adempimento agli obblighi di pubblicità è indistintamente applicabile tanto alle società austriache quanto alle società degli altri Stati membri che si costituiscono in Austria mediante la creazione di una succursale. Del resto, queste ultime sono obbligate a norma dell’articolo 280 bis, e conformemente alle disposizioni dell’undicesima direttiva 89/666/CEE, a pubblicare meramente «i documenti contabili costituiti, verificati e pubblicati secondo il diritto applicabile alla sede principale della società» (32).

57.      È proprio in riferimento a tali considerazioni che si può rispondere ai dubbi espressi dal giudice del rinvio, menzionati al precedente paragrafo 32, riguardo al fatto che il nuovo regime sanzionatorio imporrebbe oneri superflui alle società estere a causa delle spese legali che esse sarebbero costrette a sopportare per tutelare l’esercizio dei loro diritti derivanti dalla libertà di stabilimento. Infatti, tali oneri sono tutt’altro che necessari, ma dipendono esclusivamente dall’inadempimento ad un obbligo di legge da parte della società interessata. Inoltre, essi non sono propri solamente alle società estere, ma anche alle società austriache.

58.      Quanto invece all’eventuale possibilità, menzionata dal giudice del rinvio, di condurre i rilevamenti presso il tribunale del luogo della sede principale, rilevo che, ai termini dell’undicesima direttiva 89/666/CEE, non è sufficiente, affinché una succursale adempia al proprio obbligo di pubblicità, che la società principale abbia adempiuto a tali obblighi nello Stato membro ove essa è costituita. Inoltre, il giudice nazionale non può essere obbligato ad effettuare tali tipi di ricerche, potenzialmente estremamente dispendiose almeno in termini di tempo, presso i tribunali di altri Stati membri allorché incombe un obbligo legale di pubblicare i documenti sociali nello Stato membro in cui opera la succursale al fine di tutelare i terzi che entrano in contatto con essa. Nello stesso senso, il fatto che tali documenti contabili siano disponibili su Internet, nella lingua dello Stato membro della sede della società principale, la quale può essere diversa da quella dello Stato in cui opera la succursale, non è idoneo a giustificare l’inadempimento dell’obbligo di pubblicità nello Stato membro in cui è costituita la succursale.

59.      Alla luce di queste considerazioni ritengo che una normativa che, in circostanze come quelle della causa a qua, imponga, conformemente al diritto derivato dell’Unione applicabile, adeguate sanzioni per il mancato adempimento agli obblighi di pubblicazione dei conti annuali e degli altri documenti sociali rilevanti non sia tale da porre le società di altri Stati membri in una situazione di fatto o di diritto sfavorevole in relazione a quella delle società dello Stato membro di stabilimento (33) e non costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento nella misura in cui non vieta, non intralcia né rende meno attraente l’esercizio di tale libertà.

2.      Sui principi della tutela giurisdizionale effettiva, del rispetto dei diritti della difesa e del ne bis in idem

a)      Osservazioni preliminari

60.      Con la seconda, la terza e la quarta parte della sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza se i principi generali della tutela giurisdizionale effettiva, del rispetto dei diritti della difesa e del ne bis in idem, come sanciti dalla Carta e dalla CEDU, debbano essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale concernente il regime sanzionatorio per inadempimento agli obblighi di pubblicità dei documenti contabili delle società di capitali come quella prevista dall’UGB, nella versione modificata nel 2011 e descritta ai paragrafi da 10 a 16.

61.      I tre principi richiamati dal giudice del rinvio costituiscono tutti principi riconosciuti dalla Corte come principi generali del diritto dell’Unione. Essi sono ormai sanciti in diverse disposizioni della Carta (oltre che della CEDU) e hanno acquisito il rango di diritti fondamentali dell’Unione.

62.      Più in particolare, il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce, secondo giurisprudenza costante, un principio generale di diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (34). Esso è sancito dagli articoli 6 e 13 della CEDU ed è stato ribadito all’articolo 47 della Carta.

63.      Il principio del rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento che possa concludersi con l’irrogazione di sanzioni è stato definito dalla Corte a più riprese come principio fondamentale del diritto dell’Unione (35). Esso è previsto all’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU ed è stato codificato nella Carta agli articoli 41, paragrafo 2, lettera a), e 48, paragrafo 2.

64.      Il divieto di punire due volte ovvero di perseguire due volte lo stesso fatto (principio del ne bis in idem) è anch’esso stato riconosciuto dalla Corte quale principio generale di diritto (36). Esso è esplicitamente previsto dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 della CEDU nonché dall’articolo 50 della Carta.

65.      Il richiamo da parte del giudice del rinvio a tali principi e alle relative disposizioni della Carta pone due questioni di natura preliminare ampiamente discusse all’udienza: in primo luogo, la questione sollevata dal governo austriaco tanto nelle sue osservazioni scritte quanto all’udienza, in merito all’applicabilità o meno delle disposizioni della Carta ad una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale; in secondo luogo, la questione, considerata espressamente dal giudice del rinvio, riguardante la natura penale o meno del regime sanzionatorio previsto dalla normativa nazionale in questione. In effetti, un’eventuale qualificazione di tale regime come penale avrebbe un’incidenza sull’applicazione dei summenzionati principi.

b)      Sull’applicabilità della Carta

66.      Ai termini dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, essa si applica «agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione».

67.      Il governo austriaco osserva che, benché le direttive summenzionate obblighino gli Stati membri a prescrivere adeguate sanzioni per le violazioni degli obblighi di pubblicità, il diritto dell’Unione non disciplina nel dettaglio né il procedimento sanzionatorio né quello di ricorso. Poiché il diritto procedurale rientra nella competenza degli Stati membri, la Carta non sarebbe, in linea di principio, applicabile nell’ambito di una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale.

68.      A tale riguardo, non posso esimermi dal rilevare che l’interpretazione della nozione di «attuazione del diritto dell’Unione» da parte degli Stati membri e, di conseguenza, l’ambito di applicazione della Carta sono questioni che sono state oggetto, recentemente, di ampia discussione, sia in dottrina sia, soprattutto, tra gli avvocati generali (37).

69.      Tuttavia, senza soffermarmi sulle possibili interpretazioni più o meno restrittive dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta e, conseguentemente, sui possibili differenti ambiti di applicazione attribuibili alla stessa, osservo che, nella presente causa, non solamente gli obblighi di pubblicità per cui è previsto il regime sanzionatorio oggetto della domanda pregiudiziale derivano direttamente dal diritto dell’Unione, ma le sanzioni stesse sono prescritte dalla normativa nazionale in attuazione diretta del diritto dell’Unione, in particolare delle disposizioni della prima, della quarta e dell’undicesima direttiva 89/666/CEE, che prevedono l’obbligo in capo agli Stati membri di prescrivere adeguate sanzioni al fine di garantire l’osservanza di detti obblighi di pubblicità (38). La normativa nazionale contiene quindi disposizioni specifiche che disciplinano il procedimento d’applicazione − incluse le modalità di ricorso − di sanzioni previste esplicitamente dal diritto dell’Unione.

70.      In un contesto di tal genere, la circostanza, evidenziata dal governo austriaco, che il diritto dell’Unione abbia lasciato all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro la facoltà di determinare le modalità procedurali per l’imposizione di tali sanzioni non toglie nulla, a mio avviso, al fatto che, adottando una normativa nazionale come quella applicata nel procedimento principale, lo Stato membro in causa ha dato attuazione al diritto dell’Unione. Infatti, allorché, come nel caso di specie, gli Stati membri adottano disposizioni specifiche volte a trasporre nel diritto nazionale un regime sanzionatorio previsto esplicitamente dal diritto dell’Unione e, pertanto, le norme nazionali sono direttamente ispirate dal diritto dell’Unione, l’autonomia procedurale riconosciuta agli Stati membri non implica in alcun modo che questi non stiano dando attuazione a tale diritto (39).

71.      Alla luce delle considerazioni che precedono ritengo, pertanto, che le disposizioni della Carta debbano trovare applicazione nella presente causa.

c)      Sulla natura penale del regime sanzionatorio previsto dalla normativa nazionale

72.      Secondo il giudice del rinvio, la giurisprudenza e la dottrina austriache maggioritarie ritengono che il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 283 dell’UGB abbia carattere allo stesso tempo coercitivo e repressivo e presenti, pertanto, elementi di natura penale (40). Tale tesi è tuttavia contestata dalla Commissione nonché dal governo del Regno Unito.

73.      I criteri da prendere in considerazione nel valutare la natura penale o meno di un regime sanzionatorio si evincono dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte eur. D.U.») relativa all’interpretazione delle nozioni di «accusa penale», di «pena» e di «procedura penale» di cui agli articoli 6 e 7 della CEDU nonché all’articolo 4, paragrafo 1, del relativo protocollo n. 7 (41). Tale giurisprudenza è ormai ripresa esplicitamente dalla Corte (42).

74.      Secondo tale approccio, sono pertinenti tre criteri denominati «criteri Engel» con riferimento alla sentenza in cui sono stati enunciati per la prima volta (43). Il primo criterio consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la quale viene tuttavia considerata esplicitamente come un mero «punto di partenza» (44). Il secondo criterio consiste nella natura dell’illecito, mentre il terzo criterio riguarda la natura e il grado di severità della sanzione prevista (45). Il secondo e il terzo criterio, che assumono una rilevanza maggiore rispetto al primo, sono alternativi e non necessariamente cumulativi, ciò che non esclude tuttavia un approccio cumulativo se l’analisi separata di ciascun criterio non permette di giungere ad una conclusione chiara (46).

75.      Nella presente causa, riguardo al primo criterio, ossia la qualificazione giuridica dell’illecito in diritto austriaco, essa non sembra essere esplicitamente di natura penale. Tuttavia, come detto, questa circostanza non ha carattere decisivo (47).

76.      Riguardo al secondo criterio, ossia la natura dell’illecito, la Corte eur. D.U. verifica una serie di elementi tra cui la cerchia dei destinatari cui la disposizione è rivolta, il bene giuridico tutelato e la finalità della sanzione. A tale riguardo occorre anzitutto osservare che le sanzioni previste all’articolo 283 dell’UGB per omesso adempimento degli obblighi di pubblicità non sono rivolte alla collettività, ma sono intese a garantire il rispetto di tali obblighi da parte delle società di capitali e dei loro rappresentanti (48). Tali obblighi e le relative sanzioni per il loro inadempimento perseguono, come si è detto ai precedenti paragrafi 37 e 38, obiettivi di tutela dei terzi nelle relazioni commerciali con le società. Il bene giuridico tutelato, ossia il diritto dei terzi di conoscere lo stato di salute della società, può essere protetto sia dal diritto amministrativo sia dal diritto penale (49). Quanto alla finalità perseguita dalle sanzioni, mi sembra innegabile che lo scopo di esse non sia tanto retributivo, nella misura in cui esse non sono intese a ripristinare lo status antecedente alla violazione (50). Il loro obiettivo mi sembra essere essenzialmente preventivo in quanto esse sono previste con l’obiettivo di garantire il rispetto degli obblighi di pubblicità e di evitare il ripetersi delle violazioni di tali obblighi (51). A tale riguardo è altresì pertinente notare come l’Oberster Gerichtshof austriaco con giurisprudenza costante neghi che il regime sanzionatorio in causa, anche dopo la riforma del 2011, abbia carattere repressivo (52). Inoltre, contrariamente alle sanzioni oggetto della citata causa Bonda, in cui la Corte ha applicato i «criteri Engel», le sanzioni in questione nella presente causa non costituiscono riduzioni di aiuti concessi su domanda dell’interessato (53), ma incidono direttamente sul patrimonio del soggetto sanzionato.

77.      Il terzo «criterio Engel» concerne il grado di gravità della sanzione prevista dalla normativa in questione. Secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., per determinare detto grado di gravità, occorre tenere conto della sanzione massima prevista dalle disposizioni giuridiche applicabili (54). Orbene, quanto all’entità della sanzione automatica irrogata con il primo provvedimento, prevista al paragrafo 2 dell’articolo 283 dell’UGB, che costituisce l’oggetto specifico della domanda del giudice a quo, essa ha un importo fisso di EUR 700. Non si può pertanto non rilevare come il grado di gravità di tale sanzione sia piuttosto basso (55). Ciò non è, tuttavia, necessariamente vero per le sanzioni ulteriori inflitte ai termini del paragrafo 4 dell’articolo 283 dell’UGB (56). In ogni caso, non mi sembra che le sanzioni in questione comportino effetti stigmatizzanti particolari (57).

78.      In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono ritengo che, anche se il regime sanzionatorio in causa dovesse essere considerato come rientrante in ambito penale ai sensi della CEDU, esso non farà certamente parte del «nocciolo duro del diritto penale», di modo che, come precisato dalla stessa Corte eur. D.U., le «garanzie offerte dal profilo penale [dell’articolo 6 CEDU] non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore» (58).

d)      Sui principi della tutela giurisdizionale effettiva e del rispetto dei diritti della difesa

i)      Osservazioni generali

79.      Il giudice del rinvio si chiede, anzitutto, se le disposizioni dell’UGB, come modificate dalla riforma del 2011, concernenti il procedimento sanzionatorio per inadempimento agli obblighi di pubblicità dei documenti contabili delle società di capitali rendano eccessivamente difficile per tali società l’esercizio dei diritti derivanti dalla libertà di stabilimento e non siano, pertanto, contrarie al principio della tutela giurisdizionale effettiva. Il giudice a quo identifica una serie di «deficit strutturali» − che saranno analizzati nel dettaglio qui di seguito ai paragrafi 87 e seguenti − che potrebbero rendere la normativa nazionale incompatibile con il principio di effettività. In relazione a tali presunti «deficit strutturali» il giudice del rinvio si chiede anche se la normativa nazionale in questione non sia incompatibile con il principio del rispetto dei diritti della difesa. Il giudice del rinvio chiede pertanto alla Corte se esso non sia tenuto a disapplicare la nuova normativa introdotta con la riforma del 2011.

80.      A tale riguardo occorre anzitutto osservare che la tutela giurisdizionale effettiva sancita dal relativo principio generale consacrato nelle disposizioni menzionate al paragrafo 62 consiste nel garantire ai singoli la possibilità di far valere i diritti loro conferiti dal diritto dell’Unione (59).

81.      Risulta da giurisprudenza costante, da un lato, che è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di leale cooperazione enunciato dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, garantire la tutela giurisdizionale di tali diritti (60) e, dall’altro, che, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, fermo restando che, tuttavia, gli Stati membri sono tenuti a garantire in ogni caso la tutela effettiva di tali diritti (61). A tale riguardo occorre osservare che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE consacra ormai l’obbligo a carico degli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

82.      Sotto tale profilo, risulta altresì da giurisprudenza consolidata, che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (62).

83.      Il giudice del rinvio non evidenzia alcun elemento relativo ad un’eventuale inosservanza del principio di equivalenza. I suoi dubbi riguardano esclusivamente la compatibilità della normativa nazionale con il principio di effettività.

84.      Per quanto riguarda, specificamente, l’applicazione di tale principio, la Corte ha già affermato che ciascun caso in cui si ponga la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (63).

85.      Quanto specificamente al principio del rispetto dei diritti della difesa sancito dalle disposizioni menzionate al paragrafo 63, risulta dalla giurisprudenza della Corte che tali diritti sono diritti fondamentali che esigono, da un lato, che alla persona interessata vengano comunicati gli elementi ritenuti a suo carico per fondare l’atto che le arreca pregiudizio e, dall’altro, che tale persona debba essere messa nelle condizioni di far valere utilmente il suo punto di vista in merito a tali elementi. Il rispetto dei diritti della difesa dev’essere garantito in qualsiasi procedimento che possa sfociare in un atto lesivo (64).

86.      È alla luce dei principi menzionati ai punti precedenti che occorre, quindi, analizzare i presunti «deficit strutturali» del regime sanzionatorio in causa identificati dal giudice del rinvio.

ii)    Sui presunti «deficit strutturali» identificati dal giudice del rinvio

87.      Il primo preteso «deficit strutturale» identificato dal giudice del rinvio concerne presunti requisiti irragionevoli di forma e di competenza, complessi e non sanabili, che potrebbero rendere la normativa in causa incompatibile con il principio di effettività. Il giudice del rinvio si riferisce, in particolare, alla previsione da parte dell’articolo 283, paragrafo 2, dell’UGB del rigetto dei ricorsi tardivi e immotivati, in relazione al divieto di proporre motivi nuovi in appello.

88.      Quanto al rigetto dei ricorsi tardivi, osservo che, secondo giurisprudenza costante, la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza soddisfa, in linea di principio, l’esigenza di effettività, dal momento che essa configura un’applicazione del principio fondamentale di certezza del diritto. Termini del genere non sono tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Nel rispetto di tale condizione, gli Stati membri restano liberi di prevedere termini più o meno lunghi. Riguardo in particolare ai termini di decadenza, la Corte ha parimenti dichiarato che spetta agli Stati membri determinare, per le normative nazionali che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, termini in funzione, segnatamente, della rilevanza che le decisioni da adottare rivestono per gli interessati, della complessità dei procedimenti e della legislazione da applicare, del numero di soggetti che possono essere coinvolti e degli altri interessi pubblici o privati che devono essere presi in considerazione (65).

89.      La normativa in causa prevede un termine di decadenza di quattordici giorni per impugnare una sanzione di EUR 700 per omesso adempimento agli obblighi, derivanti dal diritto dell’Unione, di pubblicare i documenti contabili della società. Occorre rilevare che la società e i suoi rappresentanti dispongono, però, di nove mesi dalla data di chiusura del bilancio per pubblicare tali documenti. In tale contesto non risulta, a mio avviso, alcun elemento che possa far considerare che la fissazione di un tale termine di decadenza, per quanto breve, sia irragionevole e sia atta a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (66). A tale riguardo occorre, tra l’altro, ricordare che la norma in causa prevede espressamente la possibilità di una remissione nei termini (67).

90.      Un ragionamento analogo vale per la previsione del rigetto immediato di ricorsi totalmente immotivati i quali, come risulta dalle osservazioni del governo austriaco, erano piuttosto ricorrenti nel vigore della normativa precedente la riforma del 2011. In effetti, la previsione di un obbligo di motivazione, anche succinta, dell’atto introduttivo di un ricorso che permetta al giudice di comprendere le ragioni a supporto della domanda in esso contenuta non può essere considerata un requisito contrario al principio di effettività. Inoltre, il divieto di motivi nuovi in appello che, secondo il giudice del rinvio, impedirebbe alla società sanzionata il cui ricorso è stato respinto perché tardivo o immotivato di far valere anche successivamente le proprie ragioni è un divieto comune a ordinamenti di diversi Stati membri e non è, a mio avviso, neanch’esso tale da compromettere l’effettività del ricorso. Inoltre, tale divieto non è applicabile in caso di errore scusabile, nozione ampia che può essere interpretata dai giudici alla luce del principio della protezione giurisdizionale effettiva (68).

91.      Il secondo e il terzo dei pretesi «deficit strutturali» identificati dal giudice del rinvio riguardano, rispettivamente, la mancata previsione di un’udienza e la mancata possibilità di presentare osservazioni prima che venga inflitta la sanzione, ciò che potrebbe comportare una violazione del principio del contraddittorio.

92.      A tale riguardo occorre anzitutto rilevare che, come ricordato dal giudice del rinvio stesso, secondo la giurisprudenza costante della Corte eur. D.U., benché la tenuta di un’udienza orale e pubblica costituisca un principio fondamentale consacrato nell’articolo 6 della CEDU, che assume particolare importanza in procedimenti di natura penale, l’obbligo di tenere una tale udienza non è considerato come assoluto (69). Inoltre, risulta da giurisprudenza costante della Corte che i diritti fondamentali non costituiscono prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste ultime rispondano effettivamente ad obiettivi d’interesse generale perseguiti dai provvedimenti di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, una violazione manifesta e smisurata dei diritti così garantiti (70).

93.      Riguardo alla normativa in causa, risulta dall’articolo 283 dell’UGB che la ricezione del ricorso motivato con cui si impugna il provvedimento che infligge la sanzione iniziale di EUR 700 rende immediatamente inapplicabile tale provvedimento e apre un processo ordinario in cui potrà aver luogo un’udienza e in cui la società sanzionata potrà far valere pienamente il suo punto di vista nel rispetto del principio del contraddittorio.

94.      In tale contesto, anche se, in applicazione delle considerazioni effettuate ai precedenti paragrafi 74 e seguenti, si dovesse ammettere la natura penale del regime sanzionatorio in questione, il fatto che esso non rientri nel «nocciolo duro» del diritto penale implica che le garanzie derivanti da tale natura penale non debbano essere applicate in tutto il loro rigore. In tale prospettiva ritengo, pertanto, che possa essere compatibile con i principi della tutela giurisdizionale effettiva e del rispetto dei diritti di difesa una normativa che, in circostanze quali quelle della presente causa, prevede la comminazione in prima istanza di una sanzione di entità economica minore non avente effetti stigmatizzanti, anche nel quadro di un regime sanzionatorio qualificato come avente natura penale, con un procedimento che, in assenza di udienza e di contraddittorio, non soddisfa di per sé i requisiti posti dall’articolo 6 della CEDU. Un regime di tal genere potrà tuttavia essere compatibile con i principi richiamati solo a condizione che il provvedimento sanzionatorio sia soggetto al controllo di un organo dotato di pieni poteri giurisdizionali e il cui procedimento risponde ai suddetti requisiti. In altre parole, deve risultare chiaramente che le modalità di ricorso disponibili rendono possibile ovviare a qualsiasi carenza del procedimento di prima istanza (71).

95.      Pertanto, alla luce degli obiettivi d’interesse generale perseguiti dalla normativa in causa, indicati ai precedenti paragrafi 37 e 38, la previsione dell’imposizione automatica di un’ammenda di EUR 700 per omessa pubblicità dei documenti sociali, in presenza di modalità di ricorso come quelle indicate precedentemente, non costituisce, rispetto allo scopo perseguito, una violazione manifesta e smisurata dei diritti della difesa e non è, a mio avviso, contraria al principio della tutela giurisdizionale effettiva.

96.      Il quarto preteso «deficit strutturale» è prospettato dal giudice del rinvio come suscettibile di consistere in una ripartizione dell’onere della prova sfavorevole per la società, cui verrebbe applicata una presunzione legale di colpevolezza. A tale riguardo occorre osservare che anche ad ammettere che l’imposizione dell’ammenda mediante provvedimento adottato automaticamente senza sentire la società interessata si fondi su una presunzione di colpevolezza, essa consisterebbe, in ogni caso, in una presunzione semplice confutabile nel processo ordinario introdotto con l’impugnazione del provvedimento sanzionatorio. In tale processo la società ha la possibilità, presentando mezzi di prova adeguati, di dimostrare le ragioni previste dalla legge come possibile giustificazione del mancato adempimento all’obbligo di pubblicità. Ritengo che in tali circostanze i diritti della difesa e l’effettività del ricorso siano sufficientemente garantiti (72).

97.      Il quinto ipotizzato «deficit strutturale» concerne la previsione di termini perentori non ragionevoli e, in particolare, la previsione della possibilità di infliggere ulteriori ammende senza attendere il passaggio in giudicato delle ordinanze precedenti. Il giudice del rinvio esprime dubbi tanto sul termine di nove mesi, la cui decorrenza comincerebbe senza che esso sia stato notificato alla società, quanto sul termine di due mesi per la ripetizione delle ammende in caso di omissione continuata.

98.      Riguardo, in primo luogo, al termine di nove mesi ho già rilevato al paragrafo 50 che le direttive in causa prevedono la pubblicazione dei documenti contabili annualmente al fine di garantire ai terzi, soggetti protetti da tali disposizioni, di aver accesso ad informazioni aggiornate sulla situazione contabile delle società. Orbene, le società e i loro organi competenti devono sapere che, entro un termine determinato dalla legge che comincia a decorrere dalla data di chiusura del bilancio, essi dovranno rendere pubblici tali documenti. Incombe pertanto loro di informarsi sulla durata di tale termine nei vari Stati membri in cui intendono esercitare le loro attività attraverso una succursale, senza che sia necessario notificare loro quale essa sia. D’altronde, risulta da uno studio comparatistico della Commissione che il termine di nove mesi previsto dal regime austriaco è uno dei più lunghi tra quelli concessi dai vari membri dell’Unione. In tali circostanze, nessun elemento permette di affermare che un termine di tal genere possa essere considerato irragionevole.

99.      Quanto, in secondo luogo, alla previsione del termine di due mesi per l’imposizione di ulteriori ammende in caso di omissione continuata, senza attendere il passaggio in giudicato delle ordinanze precedenti, occorre rilevare che essa ha come finalità di persuadere le imprese a rispettare l’obbligo di pubblicità in caso di ripetuta mancata osservanza. Nessun elemento permette di ritenere che tale termine di due mesi impedisca alle società di presentare ricorso contro i provvedimenti sanzionatori rendendo loro praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.

100. In conclusione, emerge a mio avviso da tutte le considerazioni che precedono che un regime sanzionatorio quale quello di cui trattasi nella causa principale non è contrario né al principio di effettività né al principio del rispetto dei diritti della difesa.

e)      Sul principio del ne bis in idem

101. Il giudice del rinvio esprime infine un duplice dubbio riguardo alla compatibilità della normativa nazionale con il principio del ne bis in idem. Tale principio, come formulato all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali, stabilisce che nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

102. Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se l’articolo 283, paragrafo 7, dell’UGB, nella sua nuova formulazione, non comporti una violazione di tale principio, in quanto esso prevede che gli stessi fatti vengano sostanzialmente addebitati tanto alla società quanto ai suoi organi sociali e che a entrambi venga inflitta una pena pecuniaria per tali fatti. In secondo luogo, il giudice del rinvio esprime altresì dubbi sulla compatibilità con il principio del ne bis in idem della ripetizione della sanzione ad intervalli di due mesi in caso di inadempimento continuato.

103. A titolo preliminare non posso non rilevare come, a quanto risulta dall’ordinanza di rinvio, nella causa principale solo la società sia stata sanzionata per l’omessa pubblicazione dei documenti contabili e non anche i suoi organi sociali. Inoltre, poiché, come risulta dal precedente paragrafo 20, Textdata ha provveduto al deposito dei conti annuali, non è stata irrogata alcuna ammenda ulteriore. In tale contesto, dato che, ai termini della giurisprudenza costante menzionata al precedente paragrafo 29, la Corte è tenuta a prendere in considerazione il contesto fattuale con riferimento al quale è sollevata la questione pregiudiziale come definito dal provvedimento di rinvio, e dato che è chiaro che né l’imposizione contestuale dell’ammenda agli organi sociali e alla società né l’irrogazione di ulteriori sanzioni periodiche sono oggetto della causa principale, la Corte potrebbe dichiarare irricevibile questa parte della domanda pregiudiziale (73).

104. Tuttavia, anche nel caso in cui la Corte dovesse ammettere la ricevibilità della presente parte della questione pregiudiziale, nonché ammesso che la Corte riconosca la natura penale del regime sanzionatorio previsto dalla normativa in questione, la quale costituisce una condizione di applicazione del principio, ritengo che nessuno dei dubbi espressi dal giudice del rinvio siano fondati. Infatti, indipendentemente dalla concezione più o meno ampia che può essere attribuita al principio del ne bis in idem (74), nel presente caso non sussistono, a mio avviso, comunque i requisiti per la sua applicazione.

105. Quanto al primo dubbio sollevato dal giudice del rinvio, si deve rilevare che l’articolo 283 dell’UGB prevede, al paragrafo 1, l’imposizione dell’ammenda ai membri degli organi sociali e, in caso di succursali, alle persone abilitate a rappresentarla, mentre, al paragrafo 7, prevede l’imposizione dell’ammenda alla società. È dunque giocoforza constatare che la normativa nazionale non prevede l’imposizione di una duplice pena in capo alla stessa persona per gli stessi fatti, ma prevede l’imposizione di sanzioni a carico di persone diverse. La società di capitali, la quale dispone di una propria personalità giuridica, non coincide, infatti, con le persone che costituiscono i membri degli organi sociali pertinenti nella società stessa (75). Non ricorrendo la condizione dell’identità del contravventore, la normativa nazionale non può essere, a mio avviso, considerata incompatibile, per questo aspetto, con il principio del ne bis in idem (76).

106. Quanto al secondo dubbio del giudice del rinvio, occorre rilevare che il paragrafo 4 dell’articolo 283 dell’UGB prevede che, nel caso in cui continui a sussistere l’inadempimento all’obbligo di pubblicità, venga irrogata un’ulteriore ammenda di EUR 700 mediante provvedimento che venga ripetuto per ogni periodo ulteriore di due mesi. Ritengo che una previsione di tal genere non sia neanch’essa idonea a violare il principio del ne bis in idem in quanto non ricorre la condizione dell’identità dei fatti nella misura in cui le condotte punite sono diverse. Infatti, la prima sanzione viene irrogata per l’omissione della pubblicazione dei conti sociali nel termine di nove mesi dalla data di chiusura del bilancio, mentre nei casi successivi viene sanzionata l’omessa pubblicazione degli stessi documenti negli ulteriori termini successivi di due mesi ciascuno previsti dalla legge (77). Le sanzioni successive quindi, da un lato, sanzionano violazioni distinte che hanno luogo in tempi differenti e, dall’altro, hanno uno scopo dissuasivo differente (78).

107. Risulta pertanto, a mio avviso, dalle considerazioni che precedono che un regime sanzionatorio quale quello di cui trattasi nel procedimento principale non è contrario al principio del ne bis in idem.

V –    Conclusione

108. Per le ragioni suesposte suggerisco dunque alla Corte di rispondere come segue alla questione pregiudiziale sollevata dall’Oberlandesgericht di Innsbruck:

«La libertà di stabilimento di cui agli articoli 49 TFUE e 54 TFUE, i principi della tutela giurisdizionale effettiva, del rispetto dei diritti di difesa e del ne bis in idem, di cui agli articoli 47, 48, paragrafo 2, e 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché le disposizioni della direttiva 2009/101/CE, della quarta direttiva 78/660/CEE e dell’undicesima direttiva 89/666/CEE, non ostano ad una normativa nazionale che, in caso di decorso del termine di nove mesi previsto per la pubblicazione dei documenti contabili presso il competente tribunale, senza possibilità preventiva di formulare osservazioni, e senza preventivo specifico sollecito alla società o agli organi muniti del potere di rappresentanza di adempiere all’obbligo di pubblicità, imponga l’immediata irrogazione, da parte di detto tribunale, di una sanzione pecuniaria pari a EUR 700 nei confronti della società e di ciascun organo munito del potere di rappresentanza e, in caso di ulteriori ritardi nell’adempimento della durata di due mesi ciascuno, preveda l’immediata irrogazione, di volta in volta, di ulteriori sanzioni pecuniarie minime pari a EUR 700 nei confronti degli stessi soggetti».


1 – Lingua originale: l’italiano.


2 – Prima direttiva del Consiglio 68/151/CEE, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 65, pag. 8).


3 – Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2009/101/CE, del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 48, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (GU L 258, pag. 11).


4 – Quarta direttiva del Consiglio 78/660/CEE, del 25 luglio 1978, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società (GU L 222, pag. 11). Tale articolo è stato inserito dalla direttiva 2006/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006, che modifica le direttive del Consiglio 78/660/CEE, relativa ai conti annuali di taluni tipi di società, 83/349/CEE, relativa ai conti consolidati, 86/635/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e 91/674/CEE, relativa ai conti annuali e ai conti consolidati delle imprese di assicurazione (GU L 224, pag. 1).


5 –      Undicesima direttiva del Consiglio 89/666/CEE, del 21 dicembre 1989, relativa alla pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al diritto di un altro Stato (GU L 395, pag. 36).


6 – Risulta dal nono considerando dell’undicesima direttiva 89/666/CEE che, alla luce del coordinamento delle normative nazionali in materia di redazione, di controllo e di pubblicità dei documenti contabili, è sufficiente pubblicare, presso il registro della succursale, i documenti contabili controllati e pubblicati dalla società estera che ha creato la succursale. Si veda al riguardo l’articolo 3 di tale direttiva.


7 –      Tale articolo è stato modificato dal Budgetbegleitgesetz del 2011 (Legge d’accompagnamento di bilancio), BGBl. I, 111/2010.


8 –      Risulta, infatti, dall’ordinanza di rinvio che, in passato, fra i giudici austriaci presso i quali vengono depositati i registri si era consolidata la prassi di inviare alla società inadempiente, non prima di un mese dalla scadenza del termine di pubblicità di nove mesi, un primo sollecito informale, nel quale veniva concesso un ulteriore termine di quattro settimane. Dopo l’inutile decorso di tale termine veniva inviato un secondo sollecito a presentare i documenti contabili entro una determinata data a pena di ammenda. Solo nel caso in cui non si fosse dato seguito neppure a questo secondo sollecito, i giudici disponevano l’irrogazione dell’ammenda.


9 –      Settima direttiva del Consiglio 83/349/CEE, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato e relativa ai conti consolidati (GU L 193, pag. 1).


10 – V., in particolare, sentenze del 30 aprile 1986, Ministère public/Asjes (209/84‑213/84, Racc. pag. 1425, punto 12), e del 1° dicembre 2005, Burtscher (C‑213/04, Racc. p. I-10309, punto 33).


11 – V. sentenze del 17 luglio 2008, ASM Brescia (C-347/06, Racc. pag. I-5641, punto 28), e del 29 gennaio 2009, Josef Vosding Schlacht-, Kühl‑ und Zerlegebetrieb e a. (da C‑278/07 a C‑280/07, Racc. pag. I‑457, punto 16).


12 – V. sentenza del 21 ottobre 2010, Padawan (C-467/08, Racc. pag. I-10055, punto 24).


13 – V., specificamente, supra, paragrafo 12 e nota 8.


14 – V. articolo 1 della settima direttiva 83/349/CEE (cit. alla nota 9).


15 – V. sentenza del 21 ottobre 2010, Idryma Typou (C‑81/09, Racc. pag. I‑10161, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Riguardo all’inidoneità dell’erroneo richiamo a disposizioni del diritto dell’Unione ad incidere sulla ricevibilità della questione pregiudiziale, si veda anche la sentenza del 22 marzo 2012, Nilaş ea. (C-248/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 31 e 32).


16 – Già articolo 44, paragrafo 2, lettera g), CE e, precedentemente, articolo 54, paragrafo 2, lettera g), del Trattato CE.


17 – GU 15 gennaio 1962, n. 2, pag. 36. V., in particolare, il titolo VI.


18 – V., in particolare, il capo 2 della direttiva 2009/101/CE, la sezione 10 della quarta direttiva 78/660/CEE, nonché l’undicesima direttiva 89/666/CEE.


19 – Si vedano, in particolare, il secondo e il terzo considerando della direttiva 2009/101/CE, il primo e il sesto considerando della quarta direttiva 78/660/CEE nonché il sesto e il settimo considerando dell’undicesima direttiva 89/66/CEE. Riguardo alla prima direttiva 68/151/CEE, abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE, si veda anche la sentenza del 1° giugno 2006, Innoventif (C-453/04, Racc. pag. I‑4929, punto 3).


20 – V. sentenza del 3 maggio 2005, Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, Racc. pag. I‑3565, punto 62).


21 – Sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu (C-97/96, Racc. pag. I‑6843, punto 22).


22 – V. paragrafo 32 delle conclusioni dell’avvocato generale Cosmas presentate il 5 giugno 1997 nella causa C‑191/95, Commissione/Germania (Racc. 1998, pag. I‑5449), nonché il paragrafo 14 delle conclusioni dello stesso avvocato generale presentate il 3 luglio 1997 nella causa Daihatsu cit. alla nota precedente.


23 – V., in particolare, l’articolo 7, lettera a), della direttiva 2009/101/CE e l’articolo 12 dell’undicesima direttiva 89/666/CE. A tale riguardo non posso esimermi dall’osservare come la circostanza che l’articolo 7, lettera a), della direttiva 2009/101/CE − come del resto precedentemente la prima direttiva 68/151/CEE da essa sostituita − imponga agli Stati membri di adottare adeguate sanzioni almeno per i casi di mancata pubblicità dei documenti contabili dimostra come il legislatore dell’Unione attribuisca particolare importanza al rispetto dell’obbligo di pubblicità di tali documenti rispetto alla pubblicità di altre informazioni sociali. In tal senso, v. anche le conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nella causa Commissione/Germania (cit. alla nota 22), paragrafo 27.


24 – V. sentenza Berlusconi (cit. alla nota 20), punti 64 e 65.


25 – V., segnatamente, sentenze del 12 luglio 2001, Louloudakis (C‑262/99, Racc. pag. I‑5547, punto 67); del 29 luglio 2010, Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski (C‑188/09, Racc. pag. I‑7639, punto 29), e del 9 febbraio 2012, Urbán (C-210/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).


26 – V., in tal senso, sentenze del 9 marzo 2010, ERG e a. (C‑379/08 e C‑380/08, Racc. pag. I‑2007, punto 86), e Urbán (cit. alla nota 25), punto 24.


27 – V. sentenza Profaktor Kulesza, Frankowski, Jóźwiak, Orłowski (cit. alla nota 25), punto 30 e giurisprudenza citata.


28 – Sentenza del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, Racc. pag.  I‑10155, punto 63).


29 – V. spiegazioni relative al progetto di legge governativo, pag. 70 (tale documento è consultabile sul sito Internet del Parlamento austriaco al seguente indirizzo: www.parlament.gv.at/PAKT/VHG/XXIV/I/I_00981/fnameorig_201069.html). All’udienza il governo austriaco ha affermato che prima della riforma del 2011 solo il 37% delle imprese di grandi dimensioni adempiva agli obblighi di pubblicità entro il termine prescritto. Risulta dalle citate spiegazioni che, alla luce di tali dati, il governo austriaco si era addirittura posto la questione se si potesse considerare che la Repubblica d’Austria stesse rispettando in modo sufficiente il proprio obbligo, derivante dal diritto dell’Unione, di adottare misure adatte a garantire il rispetto degli obblighi di pubblicità delle società.


30 – V. la descrizione di tale sistema supra, al paragrafo. 12 e alla nota 8.


31 – V., in tal senso, sentenza Idryma Typou (cit. alla nota 15), punto 54 e giurisprudenza ivi citata.


32 – V. supra, nota 6.


33 – V., per un tipo analogo di analisi, sentenza Innoventif (cit. alla nota 19), punto 39, e sentenza del 17 giugno 1997, Sodemare e a. (C‑70/95, Racc. pag. I‑3395, punto 33).


34 – V., inter alia, sentenze del 13 marzo 2007, Unibet (C‑432/05, Racc. pag. I‑2271, punto 37 e giurisprudenza ivi citata), e del 18 marzo 2010, Alassini e a. (da C‑317/08 a C‑320/08, Racc. pag. I‑2213, punto 61).


35 – V., inter alia, sentenza del 14 settembre 2010, Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione e a. (C‑550/07 P, Racc. pag. I-8301, punto 92 e giurisprudenza ivi citata).


36 – V., inter alia, sentenze del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C-238/99 P, C-244/99 P, C-245/99 P, C-247/99 P, da C-250/99 P a C-252/99 P e C-254/99 P, Racc. pag. I-8375, punto 59), nonché del 29 giugno 2006, Showa Denko/Commissione (C-289/04 P, Racc. pag. I-5859, punto 50).


37 – V., da ultimo, in ordine cronologico decrescente, le conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón presentate il 12 giugno 2012 nella causa Åkerberg Fransson, (C‑617/10, paragrafi 25‑65 ove altri riferimenti alla nota 4); dell’avvocato generale Kokott presentate il 15 dicembre 2011 nella causa Bonda (sentenza del 5 giugno 2012, C‑489/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 13-20); dell’avvocato generale Bot presentate il 5 aprile 2011 nella causa Scattolon (sentenza del 6 settembre 2011, C‑108/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 116-119), nonché dell’avvocato generale Trstenjak presentate il 22 settembre 2011 nella causa N.S. e a. (sentenza del 21 dicembre 2011, C‑411/10 e C‑493/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 71‑81). Per riferimenti alla dottrina, v. la nota 66 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot menzionate nella presente nota.


38 – V. supra, paragrafi. 4, 5 e 7.


39 – Il presente caso si differenzia, pertanto, sostanzialmente da quello, certamente più problematico, di cui alla causa Åkerberg Fransson (cit. alla nota 37). Infatti, la direttiva che entra in linea di conto in tale caso non prevede, come nel presente caso, un obbligo esplicito degli Stati membri di stabilire adeguate sanzioni per le violazioni degli obblighi da essa previsti, ma, come rilevato nelle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón, si limita a stabilire un obbligo degli Stati membri di perseguire in modo efficace la percezione dell’imposta (v. paragrafo 58 di tali conclusioni, cit. alla nota 37). Pertanto, mentre nel caso Åkerberg Fransson il diritto nazionale è semplicemente messo al servizio degli obiettivi stabiliti dal diritto dell’Unione (v., in particolare, paragrafo 60 delle citate conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón), nel presente caso l’attività normativa nazionale è invece ispirata direttamente dal diritto dell’Unione.


40 – A tale regime dovrebbero quindi, secondo il giudice del rinvio, applicarsi sia le garanzie di diritto civile che quelle di diritto penale previste dall’articolo 6 della CEDU.


41 – V. il paragrafo 45 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Bonda (cit. alla nota 37).


42 – A tale riguardo si veda la sentenza Bonda (cit. alla nota 37), punti 36 e seguenti. L’esigenza di prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte eur. D.U. risulta dal principio di omogeneità sancito all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e all’articolo 52, paragrafo 3, prima frase, della Carta. V. paragrafo 43 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Bonda (cit. alla nota 37) e la giurisprudenza ivi citata.


43 – Corte eur. D.U., sentenza Engel e a. c. Paesi Bassi (Grande Camera) dell’8 giugno 1976 (ricorsi n. 5100/71; 5101/71; 5102/71; 5354/72; 5370/72, serie A, n. 22, §§ 80‑ 82).


44 – Corte eur. D.U., sentenze Engel (cit. alla nota precedente), § 82; Öztürk c. Germania del 21 febbraio 1984 (ricorso n. 8544/79, serie A, n. 73, § 52); Menarini c. Italia, del 27 settembre 2011 (ricorso n. 43509/08, § 39).


45 – V., in particolare, Corte eur. D.U., sentenza Zolotukhin c. Russia (Grande Camera) del 10 febbraio 2009 (ricorso n. 14939/03, §§ 52 e 53). Per un’analisi dettagliata degli elementi che la Corte eur. D.U. prende in considerazione nell’analisi del secondo e terzo criterio, v. i paragrafi. 48 e 49 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Bonda (cit. alla nota 37), nonché la giurisprudenza ivi citata.


46 – Corte eur. D.U. sentenze Jussila c. Finlandia del 23 novembre 2006 (ricorso n. 73053/07, § 31 e la giurisprudenza ivi citata). V. anche sentenze Menarini (cit. alla nota 44), § 38, e Zolotukhin (cit. alla nota 45), § 52.


47 – Occorre tuttavia osservare che risulta dalla giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof (OGH) austriaco, cui ha fatto riferimento Texdata all’udienza, che tale giudice supremo austriaco ritiene in modo costante che le ammende imposte ai sensi dell’articolo 283 dell’UGB non hanno natura penale ai sensi dell’articolo 6 della CEDU. Tale giurisprudenza è stata confermata più volte anche dopo la riforma del 2011 (v. OGH sentenze del 13 settembre 2012, causa 6Ob152/12i, punto 4, nonché del 16 febbraio 2012, causa 6Ob17/12m, punto 2). Risulta pertanto esplicitamente da tale giurisprudenza che è infondata la tesi sostenuta da Texdata all’udienza secondo cui si desumerebbe dalla giurisprudenza dell’OGH che il regime sanzionatorio di cui all’articolo 283 dell’UGB avrebbe natura penale.


48 – Nella giurisprudenza della Corte eur. D.U., il fatto che una disposizione sia rivolta alla collettività e non ad un gruppo che riveste un determinato status depone a favore della natura penale della sanzione. V. sentenza Öztürk (cit. alla nota 44), § 53. La Corte ha del resto anch’essa considerato tale elemento, si veda il punto 40 della sentenza Bonda (cit. alla nota 37).


49 – I valori e gli interessi tutelati dalla normativa di cui al procedimento principale mi sembrano appartenere, generalmente, più alla sfera del diritto civile o amministrativo che a quella del diritto penale. Occorre tuttavia osservare che non è escluso che in relazione alla violazione di obblighi concernenti i documenti contabili delle società vengano previste sanzioni penali. Basti pensare al reato di false comunicazioni sociali previsto agli articoli 2621 e 2622 del codice civile italiano oggetto della domanda pregiudiziale nella sentenza Berlusconi (cit. alla nota 20).


50 – Nella giurisprudenza della Corte eur. D.U., la natura penale viene negata qualora la sanzione miri unicamente a risarcire danni patrimoniali. V. sentenza Jussila (cit. alla nota 46), § 38.


51 – Da questo punto di vista le sanzioni prescritte dalla normativa in causa non si differenziano dalle sovrattasse oggetto della giurisprudenza della Corte eur. D.U., cui questa aveva attribuito natura penale, in quanto esse non miravano ad un risarcimento finanziario, bensì erano concepite come pena intesa a prevenire una reiterazione. V. sentenza Jussila (cit. alla nota 46), § 38.


52 – Il giudice supremo austriaco ritiene, infatti, che l’imposizione di sanzioni quali quelle previste dalla normativa in causa serva non alla repressione di un comportamento vietato, ma, piuttosto, al conseguimento coercitivo di un comportamento prescritto giuridicamente (si veda, in particolare, il punto 2 della sentenza del 16 febbraio 2012, cit. alla nota 47, nonché la sentenza del 21 dicembre 2011, causa 6Ob23511v, ove, specificamente al punto 4, l’OGH esplica le ragioni per cui il regime sanzionatorio in causa non presenta un carattere repressivo).


53 – Sulla base di tale ragionamento la Corte ha escluso la finalità repressiva delle sanzioni in questione in tale causa. V. punti 39‑42 della sentenza Bonda (cit. alla nota 37).


54 – V . Corte eur. D. U. sentenza Zolotoukhin (cit. alla nota 45), § 56.


55 – Nutro pertanto dubbi sul fatto che una sanzione pecuniaria di tale entità possa essere qualificata come «considerevole» alla luce della giurisprudenza della Corte eur. D. U.. A tale riguardo, sebbene la Corte eur. D. U. abbia statuito che la natura minore della pena non sia decisiva per privare un illecito della propria inerente natura penale (sentenza Öztürk, cit. alla nota 44 § 54 e Jussila, cit. alla nota 46, § 35), tale Corte ha in taluni casi considerato che la circostanza che la sanzione pecuniaria fosse di montante importante costituisse un elemento che, indicando la severità di questa, contribuisse a determinarne la sua natura penale. V. sentenze Bendenoun c. Francia del 24 febbraio 1994 (ricorso n. 12547/86, Serie A n. 284, § 47) e Menarini, cit alla nota 44, § 42). Al riguardo, si vedano anche i punti 9 e 10 dell’opinione dissenziente dei giudici Costa, Cabral Barreto, Mularoni e Caflisch alla sentenza Jussila (cit. alla nota 46).


56 – Infatti, ai termini del paragrafo 5 dell’articolo 283 dell’UGB le ammende inflitte nel procedimento ordinario nonché quelle ulteriori in caso di inadempimento continuato sono aumentate di tre o sei volte per le imprese rispettivamente di medie o grandi dimensioni. Ciò significa che, nel caso di imposizione ripetuta di ammende moltiplicate a persone che detengono cariche negli organi sociali di società di medie o grandi dimensioni, l’importo totale delle ammende potrebbe raggiungere importi non trascurabili per tali persone.


57 – Sulla rilevanza degli effetti stigmatizzanti, v. Corte eur. D.U., sentenza Jussila (cit. alla nota 46), § 43.


58 – Corte eur. D.U., sentenza Jussila (cit. alla nota 46), § 43; v. anche le conclusioni dell’avvocato generale Sharpston presentate il 10 febbraio 2011 nella causa KME Germany e a./Commissione (sentenza dell’ 8 dicembre 2011, C-272/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafo 67).


59 – V. il paragrafo 43 delle mie conclusioni presentate il 2 settembre 2010 nella causa DEB (sentenza del 22 dicembre 2010, C-279/09, Racc. pag. I-13849).


60 – Sentenza Unibet (cit. alla nota 34), punto 38 e giurisprudenza citata.


61 – V. sentenze Unibet (cit. alla nota 34), punti 41 e 42 nonché giurisprudenza citata e Alassini e a. (cit. alla nota 34, punto 47) nonché sentenza dell’8 luglio 2010, Bulicke (C‑246/09, Racc. pag. I-7003), punto 25 e giurisprudenza ivi citata.


62 – V. sentenze Unibet (cit. alla nota 34), punto 43 e giurisprudenza ivi citata, nonché Bulicke (cit. alla nota precedente), punto 25 e giurisprudenza ivi citata.


63 – Sentenze del 29 ottobre 2009, Pontin (C-63/08, Racc. pag. I-10467, punto 47), nonché Bulicke (cit. alla nota 61), punto 35 e giurisprudenza ivi citata.


64 – La Corte ha espresso a più riprese tali principi. Si veda, in particolare, sentenza del 25 ottobre 2011, Solvay/Commissione (C‑110/10 P non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47 e giurisprudenza ivi citata); v. anche sentenza del 24 ottobre 1996, Commissione/Lisrestal e a. (C-32/95 P, Racc. pag. I-5373, punto 21), nonché, recentemente, il paragrafo 60 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot presentate il 12 settembre 2012, relative alla causa ZZ (C-300/11), e la giurisprudenza ivi citata.


65 – Sentenza Bulicke (cit. alla nota 61), punto 36 e giurisprudenza ivi citata.


66 – Risulta dalle osservazioni del governo austriaco che, di regola, il provvedimento sanzionatorio è nella prassi accompagnato da un formulario di ricorso che semplifica la presentazione del ricorso, che contiene anche una rubrica specifica per l’indicazione dei motivi di ricorso e che, come dimostrato dal governo austriaco all’udienza, indica il termine di impugnazione di quattordici giorni.


67 – Risulta dalle osservazioni del governo austriaco che, nel diritto austriaco, tale remissione in termini è possibile, sulla base del combinato disposto delle disposizioni citate nell’articolo 283 dell’UGB, solo nel caso in cui un evento imprevisto e irresistibile abbia impedito di presentare il ricorso nei termini.


68 – Il giudice del rinvio evidenzia anche che il provvedimento che irroga l’ammenda non indica le conseguenze giuridiche del rigetto del ricorso tardivo o immotivato, né la preclusione di motivi nuovi non invocati. A tale riguardo osservo che non risultando un divieto ex lege di menzionare tali elementi, nulla impedisce ai giudici di menzionarli nel provvedimento che irroga l’ammenda In ogni caso, tale circostanza non mi sembra neanch’essa atta a compromettere l’effettività del ricorso.


69 – Corte eur. D.U., sentenze Jussila (cit. alla nota 46), §§ 40, 41 e 43, e del 12 maggio 2010, Kammerer/Austria (ricorso n. 32435/06, §§ 23 e 24).


70 – V. sentenze Alassini e a. (cit. alla nota 34), punto 63, e del 6 settembre 2012, Trade Agency (C-619/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


71 – In presenza di un tal tipo di garanzie la giurisprudenza della Corte eur. D.U. ammette la possibilità di derogare alle garanzie di cui all’articolo 6 della CEDU. V. Corte eur. D.U., sentenze Belilos c. Svizzera del 29 aprile 1988 (serie A, n. 132, § 68); Jussila (cit. alla nota 46), § 43 in fine, e Menarini (cit alla nota 44), § 58. V. anche il paragrafo 67 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston relative alla causa KME Germany e a./Commissione (cit. alla nota 58).


72 – Quanto alla giustificazione avanzata da Textdata, e ripresa dal giudice del rinvio, secondo cui essa non era a conoscenza delle disposizioni dell’articolo 283 dell’UGB, osservo, da un lato, che non è irragionevole pretendere che società straniere abbiano conoscenza del diritto dello Stato membro in cui intendono esercitare le proprie attività e, dall’altro, che, in ogni caso, gli obblighi di pubblicazione dei documenti sociali in capo alle società e, in particolare, alle succursali nonché la previsione di sanzioni in caso di omessa pubblicazione esistono in tutti gli Stati membri e derivano dal diritto dell’Unione che li ha previsti ormai da più di venti anni.


73 – V. sentenza dell’11 settembre 2003, Safalero (C-13/01, Racc. p. I-8679, punto 40).


74 – Per l’analisi dell’evoluzione di tale principio nella giurisprudenza della Corte, rimando alle conclusioni dell’avvocato generale Kokott presentate l’8 settembre 2011 nella causa Toshiba (sentenza del 14 febbraio 2012, C-17/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, paragrafi 115 e seguenti), nonché alle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón, nella causa Åkerberg Fransson (cit. alla nota 37, paragrafi 88 e seguenti). In particolare, in casi concernenti l’esecuzione a livello nazionale del diritto dell’Unione, come quello della presente causa, la Corte ha applicato la concezione estensiva di tale principio la quale prescinde dal requisito dell’identità dell’oggetto giuridico e dà rilievo esclusivamente al requisito dell’identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro, la quale implica necessariamente l’identità del contravventore. V., a tale riguardo, specificamente il paragrafo 91 delle conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella succitata causa Åkerberg Fransson nonché i paragrafi 122 e 124 di quelle dell’avvocato Kokott nella causa Toshiba, citata in questa nota. Tale interpretazione è quella adottata anche dalla Corte eur. D.U. a partire dalla sentenza Zolotukhin (cit. alla nota 45), in particolare al punto 82.


75 – La responsabilità dei membri degli organi di amministrazione, gestione e controllo delle società di capitali è del resto sancita dagli articoli 50 ter e quater della quarta direttiva 78/660/CEE.


76 – Questa posizione è del resto conforme a quella adottata dal giudice supremo austriaco (v. OGH, sentenza del 13 settembre 2012, cit. alla nota 47, punto 3). Certamente, come è stato osservato dalla Commissione, è possibile che, in casi particolari come, ad esempio, quello della società unipersonale, la stessa persona sia sanzionata due volte come membro di un organo sociale della società e come socio unico. In casi particolari di tal genere, spetta al giudice nazionale interpretare l’articolo 283 dell’UGB in modo conforme al principio del ne bis in idem.


77 – Risulta, del resto, dall’ordinanza di rinvio che nella giurisprudenza austriaca si ritiene che non vi sia violazione del principio del ne bis in idem qualora i periodi d’infrazione distinti siano chiaramente delimitati nel tempo e le differenti sanzioni si riferiscano pertanto a periodi diversi. Si vedano in particolare le sentenze dell’OGH del 21 dicembre 2012 nelle cause 6Ob235/11v, 6Ob17/12m e 6Ob152/12i, nonché il punto 8 di quella del 13 settembre 2012 (cit. alla nota 47).


78 – D’altro canto, concordo con il governo austriaco quando osserva che impedire la ripetizione della sanzione a seguito della continuata omissione in un termine chiaramente determinato potrebbe permettere all’impresa che non ha adempiuto all’obbligo di pubblicità di pagare l’ammenda senza poi, una volta pagata l’ammenda, adempiere all’obbligo.