Language of document : ECLI:EU:T:2016:421

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

20 luglio 2016(*)

«Responsabilità extracontrattuale – Danni causati dalla Commissione nell’ambito di un’indagine dell’OLAF nonché dall’OLAF – Ricorso per risarcimento danni – Domanda di dichiarazione dell’inesistenza giuridica e dell’irricevibilità, a fini probatori dinanzi alle autorità nazionali, di taluni atti dell’OLAF – Ricevibilità – Sviamento di potere – Trattamento di dati personali – Diritti della difesa»

Nella causa T‑483/13,

Athanassios Oikonomopoulos, residente in Atene (Grecia), rappresentato inizialmente da N. Korogiannakis e I. Zarzoura, avvocati, successivamente da G. Georgios, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da J. Baquero Cruz e A. Sauka, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, la domanda di risarcimento dei danni causati dalla Commissione nonché dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) e, dall’altro, una domanda volta alla dichiarazione che taluni atti dell’OLAF sono giuridicamente inesistenti e irricevibili a fini probatori dinanzi alle autorità nazionali,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da M. Prek (relatore), presidente, I. Labucka e V. Kreuschitz, giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 giugno 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza (1)

 Fatti

1        Il ricorrente, sig. Athanassios Oikonomopoulos, è ingegnere elettronico e imprenditore nel settore informatico del mercato della robotica. Egli ha fondato, e poi diretto, dal 1987 al 2006, la società Zenon Automation Technologies SA (in prosieguo: la «Zenon»), con sede in Grecia.

2        Tra il 2004 e il 2006, la Zenon ha stipulato diversi contratti con la direzione generale (DG) «Società dell’informazione e media» (in prosieguo: la «DG Società dell’informazione») della Commissione europea nell’ambito del sesto programma quadro di azioni di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione volto a contribuire alla realizzazione dello Spazio europeo della ricerca e all’innovazione (2002-2006) (in prosieguo: il «sesto programma quadro»).

3        Nel novembre del 2008, su richiesta della Commissione, una società di audit esterna ha eseguito un audit presso la Zenon sui progetti Alladin e Gnosys appartenenti al sesto programma quadro. Tale audit ha segnatamente dato luogo alla relazione di audit 08-BA59-028, del 13 maggio 2009 (in prosieguo: la «relazione di audit iniziale»).

4        La relazione di audit iniziale ha evidenziato l’esistenza di anomalie relative ai costi del personale. La Zenon avrebbe chiesto alla Commissione un finanziamento, di un importo rilevante, relativamente a costi che in realtà le erano stati fatturati dalla società cipriota Comeng Computerised Engineering (in prosieguo: la «Comeng»). Tali costi sarebbero stati indebitamente dichiarati nella categoria dei costi diretti del personale come costi per «consulenti in house», mentre avrebbero dovuto essere dichiarati come costi di subappalto. Tale pratica avrebbe avuto un carattere sistematico. La Commissione ne ha tratto la conclusione che tali costi non potevano essere considerati ammissibili né come costi del personale né come costi di subappalto.

5        In tale contesto, il 10 dicembre 2009, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha avviato un’indagine sul progetto GR/RESEARCH-INFSO-FP6-Robotics and informatics volto all’attuazione del sesto programma quadro. Detto organo è incaricato, ai sensi del regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, relativo alle indagini svolte dall’OLAF (GU 1999, L 136, pag. 1), di eseguire indagini esterne, vale a dire al di fuori delle istituzioni dell’Unione europea, e indagini interne, ossia in seno a tali istituzioni.

6        Il 25 e il 26 febbraio 2010 l’OLAF ha eseguito una verifica nei locali della Comeng.

7        Il 6 agosto 2010 la DG Società dell’informazione ha preparato un progetto di relazione di audit definitiva.

8        Il 18 febbraio 2011 la Commissione ha adottato la relazione di audit definitiva.

9        Nel luglio del 2011 il ricorrente è stato informato dall’OLAF di essere considerato persona interessata dall’indagine summenzionata al punto 5. Il 7 settembre 2011 alcuni rappresentanti dell’OLAF hanno sentito il ricorrente presso il suo domicilio, all’epoca ubicato a Patmos (Grecia).

10      Con lettera del 19 settembre 2012, l’OLAF ha notificato al ricorrente la chiusura dell’indagine, precisando che, in base alle conclusioni della medesima, vi era motivo di ritenere che fossero stati commessi reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione. Vi si comunicava parimenti che era stato raccomandato alle autorità giudiziarie greche di avviare un procedimento giudiziario su tale caso. L’OLAF ha peraltro invitato la DG Reti di comunicazione, contenuti e tecnologie, che aveva sostituito la DG Società dell’informazione, ad adottare le misure idonee a garantire il recupero dell’importo pari a EUR 1,5 milioni presso la Zenon.

 Procedimento e conclusioni delle parti

[omissis]

19      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare l’inesistenza giuridica degli atti e dei provvedimenti adottati dall’OLAF;

–        dichiarare l’irricevibilità a fini probatori delle informazioni e dei dati che lo riguardano, nonché di ogni altro elemento di prova attinente trasmesso alle autorità nazionali;

–        condannare la Commissione a corrispondergli la somma di EUR 2 milioni a titolo di riconoscimento dei suoi comportamenti illeciti e del danno cagionato alle attività professionali e alla reputazione del ricorrente;

–        ordinare misure istruttorie e misure di organizzazione del procedimento ai sensi degli articoli 64 e 65 del regolamento di procedura del 2 maggio 1991 dirette alla produzione di documenti e testimonianze;

–        condannare la Commissione alle spese.

20      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto in parte irricevibile e in parte infondato o, in ogni caso, integralmente infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese, comprese quelle del procedimento sommario.

 In diritto

 1. 1. 1. Sulla ricevibilità di taluni capi di conclusioni

[omissis]

25      In primo luogo, occorre esaminare la ricevibilità della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di inesistenza giuridica delle misure adottate dall’OLAF. In tale contesto, occorre rammentare i poteri del giudice dell’Unione quando è chiamato a pronunciarsi su un ricorso per risarcimento danni.

26      Secondo giurisprudenza consolidata, la responsabilità extracontrattuale dell’Unione, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, presuppone che ricorrano congiuntamente varie condizioni, ossia l’illiceità del comportamento contestato all’Unione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento dell’istituzione e il danno lamentato (v. sentenza del 9 novembre 2006, Agraz e a./Commissione, C‑243/05 P, EU:C:2006:708, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). Per quanto attiene alla condizione relativa al comportamento contestato, occorre che sia dimostrata una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenze del 4 luglio 2000, Bergaderm e Goupil/Commissione, C‑352/98 P, EU:C:2000:361, punti 42 e 43, e del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione, C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 173). Inoltre, occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, l’azione risarcitoria rappresenta un mezzo di ricorso autonomo, dotato di una particolare funzione nell’ambito del regime delle impugnazioni e subordinato, quanto al suo esercizio, a condizioni attinenti al suo specifico oggetto (sentenza del 28 aprile 1971, Lütticke/Commissione, 4/69, EU:C:1971:40, punto 6, e ordinanza del 15 ottobre 2013, Andechser Molkerei Scheitz/Commissione, T‑13/12, non pubblicata, EU:T:2013:567, punto 46).

27      Si deve considerare che un ricorso diretto ad ottenere l’accertamento dell’inesistenza giuridica delle misure adottate dall’OLAF equivale, in sostanza, a chiedere al Tribunale di annullare le misure adottate dall’OLAF statuendo al contempo che alle medesime non può essere riconosciuto alcun effetto giuridico [v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2011, dm-drogerie markt/UAMI – Distribuciones Mylar (dm), T‑36/09, EU:T:2011:449, punto 83]. Tutto ciò eccede la semplice constatazione di un’illiceità accertabile da parte del Tribunale nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni.

28      Da ciò consegue che il primo capo delle conclusioni del ricorrente dev’essere dichiarato irricevibile.

29      La declaratoria di irricevibilità in esame non costituisce una violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva né dei principi di buona amministrazione della giustizia e di economia del procedimento. Infatti, il controllo giurisdizionale del rispetto dell’ordinamento giuridico dell’Unione è garantito, come si evince dall’articolo 19, paragrafo 1, TUE, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dagli organi giurisdizionali degli Stati membri. A tal fine, mediante gli articoli 263 TFUE e 277 TFUE, da un lato, e l’articolo 267 TFUE, dall’altro, il Trattato FUE ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso a garantire il controllo della legittimità degli atti dell’Unione, affidandolo al giudice dell’Unione (sentenza del 19 dicembre 2013, Telefónica/Commissione, C‑274/12 P, EU:C:2013:852, punto 57). Orbene, le decisioni adottate dalle autorità nazionali sulla base delle informazioni dell’OLAF devono poter essere impugnabili dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali, i quali, a loro volta, possono presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che ritengono necessaria per emettere le loro sentenze [v., in tal senso, ordinanza del 19 aprile 2005, Tillack/Commissione, C‑521/04 P(R), EU:C:2005:240, punti 38 e 39].

30      Occorre precisare che il ricorrente non produce nessun altro elemento atto a dimostrare la violazione del diritto e dei principi summenzionati.

31      Ne consegue che la sola declaratoria di irricevibilità di un capo delle conclusioni non è di per sé sufficiente a dimostrare una violazione del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva o dei principi di buona amministrazione della giustizia e di economia del procedimento.

32      In secondo luogo, il capo delle conclusioni diretto ad ottenere dal Tribunale la declaratoria di irricevibilità a fini probatori delle informazioni e dei dati del ricorrente e di ogni altro elemento di prova attinente trasmesso alle autorità nazionali dev’essere parimenti respinto.

33      Infatti, l’unica interpretazione possibile di tale capo delle conclusioni è che esso sia diretto ad ottenere dal Tribunale una decisione in diritto in ordine all’irricevibilità degli elementi probatori dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali. Orbene, secondo una giurisprudenza consolidata, il seguito che le autorità nazionali riservano alle informazioni loro trasmesse dall’OLAF è rimesso esclusivamente ed interamente alla loro responsabilità e spetta a tali autorità verificare esse stesse se siffatte informazioni giustifichino o impongano l’avvio di procedimenti penali. Di conseguenza, la tutela giurisdizionale nei confronti di siffatti procedimenti deve essere assicurata a livello nazionale con tutte le garanzie previste dal diritto interno, ivi comprese quelle derivanti dai diritti fondamentali, e la possibilità di rivolgersi alla Corte con una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE [v. ordinanza del 19 aprile 2005, Tillack/Commissione, C‑521/04 P(R), EU:C:2005:240, punti 38 e 39 e giurisprudenza citata]. È stato inoltre precisato che le autorità nazionali, qualora decidessero di avviare un’indagine, valuterebbero le eventuali illiceità commesse dall’OLAF traendone le debite conseguenze e che le loro decisioni sarebbero impugnabili dinanzi ai giudici nazionali. In caso di mancato avvio del procedimento penale o della sua conclusione con una sentenza di assoluzione, la tutela dei diritti dell’interessato sarebbe garantita dall’avvio di un ricorso per risarcimento danni dinanzi al giudice dell’Unione che gli consentirebbe di ottenere il risarcimento di tutti i danni derivanti dal comportamento illecito dell’OLAF (v., in tal senso, sentenza del 20 maggio 2010, Commissione/Violetti e a., T‑261/09 P, EU:T:2010:215, punto 59).

34      Occorre considerare che, in applicazione della giurisprudenza summenzionata al punto 33, una decisione del Tribunale che dichiarasse l’irricevibilità delle prove presentate alle autorità giudiziarie greche eccederebbe, con ogni evidenza, l’ambito di competenza del Tribunale stesso. Quest’ultimo non è quindi competente a decidere in merito all’irricevibilità a fini probatori, dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali, delle informazioni e dei dati del ricorrente nonché di ogni altro elemento di prova pertinente trasmessi alle autorità nazionali.

35      Pertanto, il secondo capo delle conclusioni dev’essere respinto senza che sia necessario esaminarlo nel merito.

 2. 2. 2. Nel merito

36      In via preliminare, è opportuno esaminare l’argomento sollevato dalla Commissione secondo cui il ricorso per risarcimento danni sarebbe prematuro. Infatti, essa fa valere che la trasmissione della relazione dell’OLAF non è sfociata, fino a questo momento, in alcun provvedimento da parte delle autorità nazionali competenti. Inoltre, non esisterebbe alcun danno, posto che non vi sarebbe stata alcuna fuga o pubblica divulgazione di notizie.

37      È assodato che è ancora in corso un procedimento giudiziario nazionale. Tuttavia, gli eventuali esiti di tale procedimento non potrebbero influire sul presente procedimento. Infatti, nel caso di specie, non si tratta di sapere se il ricorrente abbia commesso un’irregolarità o una frode, ma di analizzare come l’OLAF ha condotto e concluso un’indagine che lo cita nominativamente, attribuendogli la responsabilità di eventuali irregolarità, e come si è comportata la Commissione nel contesto di tale indagine. Qualora il ricorrente fosse dichiarato non colpevole dalle autorità giudiziarie nazionali, tale circostanza non porrebbe necessariamente rimedio all’eventuale danno che quest’ultimo avrebbe comunque subito (v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punti 90 e 91).

38      Pertanto, dato che il danno lamentato nel ricorso in esame è diverso da quello che potrebbe attestare un verdetto di non colpevolezza del ricorrente emesso dalle autorità giudiziarie nazionali, le richieste risarcitorie non possono essere respinte in quanto premature, con la conseguenza che il ricorrente potrebbe proporre la domanda di risarcimento solo dopo le eventuali decisioni definitive delle autorità giudiziarie nazionali.

39      Pertanto, posto che il ricorso non è prematuro, non occorre rinviare a un’eventuale fase successiva l’esame delle questioni relative alla natura e alla gravità dei danni.

40      Nel terzo capo delle conclusioni, il ricorrente chiede il riconoscimento della responsabilità extracontrattuale dell’Unione.

[omissis]

 Sulla condotta illecita

[omissis]

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dei regolamenti n. 45/2001 e n. 1073/1999, dell’obbligo di tutela della riservatezza e del segreto professionale, del diritto alla vita privata e del principio di buona amministrazione

[omissis]

51      In via preliminare, va evidenziato che le disposizioni del regolamento n. 45/2001 rappresentano norme giuridiche preordinate a conferire diritti alle persone i cui dati personali sono in possesso delle istituzioni e degli organismi dell’Unione. Infatti, tali norme sono finalizzate a proteggere i dati di tali persone da eventuali trattamenti illeciti (sentenza del 12 settembre 2007, Nikolaou/Commissione, T‑259/03, non pubblicata, EU:T:2007:254, punti 210 e 232).

 – – Sulla prima, seconda e terza censura, relative alle violazioni degli articoli 4, 5, 7, 8 e 12 del regolamento n. 45/2001, dell’obbligo di tutela della riservatezza, del segreto professionale, del diritto alla vita privata, nonché del principio di buona amministrazione e, in particolare, dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1073/99 e dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 2185/96

52      In via preliminare, occorre anzitutto rammentare che l’articolo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001 prevede che per «dati personali» s’intende «qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile» e che «si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero d’identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale». L’articolo 2, lettera b), del suddetto regolamento definisce il «trattamento di dati personali» come «qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, l’allineamento o l’interconnessione, nonché il blocco, la cancellazione o la distruzione».

53      Secondo la giurisprudenza, la comunicazione di tali dati rientra nella definizione di «trattamento» di cui all’articolo 2, lettera b), del regolamento n. 45/2001 (sentenze del 29 giugno 2010, Commissione/Bavarian Lager, C‑28/08 P, EU:C:2010:378, punti 68 e 69, e del 7 luglio 2011, Valero Jordana/Commissione, T‑161/04, non pubblicata, EU:T:2011:337, punto 91). Nel caso di specie, va considerato che le informazioni riguardanti il ricorrente sono «dati personali» e che ha avuto luogo un «trattamento» degli stessi ai sensi della disposizione summenzionata sia da parte della Commissione che da parte dell’OLAF, circostanza questa che, del resto, le parti non contestano.

[omissis]

59      In primo luogo, è opportuno esaminare la censura secondo cui non è stata soddisfatta nessuna delle condizioni previste dall’articolo 5 del regolamento n. 45/2001.

60      Per quanto riguarda la trasmissione, da parte dell’OLAF, delle informazioni alla Commissione e alle autorità nazionali greche, si deve rammentare che, in linea di principio, l’OLAF esercita funzioni di interesse pubblico, ai sensi dell’articolo 5, lettera a), del regolamento n. 45/2001. Nella fattispecie, il trattamento dei dati personali del ricorrente è avvenuto nel contesto dell’indagine condotta dall’OLAF per accertare l’esistenza di un’eventuale frode lesiva delle finanze dell’Unione. Tale trattamento dei dati, da parte dell’OLAF, era dunque necessario all’espletamento del suo compito. Si deve pertanto considerare che la trasmissione, da parte dell’OLAF, delle informazioni alla Commissione e alle autorità nazionali greche è stata compiuta nell’interesse pubblico. L’OLAF non ha dunque ecceduto i limiti del potere discrezionale di cui dispone ai sensi dell’articolo 5, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

61      Riguardo alla trasmissione, da parte della Commissione, delle informazioni alla Zenon, si deve considerare che, in linea di principio, essa è conforme all’articolo 5 del regolamento n. 45/2001.

62      Infatti, la Commissione ha operato in modo legittimo trasmettendo alla Zenon la relazione di audit definitiva le cui conclusioni si basavano su alcuni estratti della relazione dell’OLAF che riguardavano informazioni contenute nella relazione sulla missione dell’OLAF, nella relazione dell’OLAF relativa ai controlli sul posto eseguiti presso la Comeng il 25 e il 26 febbraio 2010, nel verbale scritto dell’audizione del direttore della Comeng e nei documenti sottoposti a scansione durante i controlli sul posto dagli investigatori dell’OLAF, su autorizzazione del direttore della Comeng, e comunicati dall’OLAF alla DG Società dell’informazione il 4 maggio 2010.

63      Tali informazioni hanno consentito alla Commissione di confermare che la Zenon non aveva rispettato le disposizioni previste dai contratti FP6 stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro e di respingere l’ammontare complessivo dei costi dichiarati dalla Zenon in tale contesto.

64      Senza il riferimento alle conclusioni dell’OLAF nella relazione di audit definitiva, la Commissione non avrebbe potuto motivare la rettifica da essa operata nei confronti della Zenon. In tale contesto, la DG Società dell’informazione non è dunque censurabile per principio per aver trasmesso una relazione di audit definitiva alla Zenon contenente le informazioni che la medesima doveva necessariamente conoscere per capire le motivazioni che avevano portato alla richiesta di rettifiche finanziarie. Ne consegue che non si può nemmeno sostenere che la trasmissione alla Zenon di una siffatta relazione, contenente informazioni relative a un’indagine condotta dall’OLAF, non possa, per principio, essere conforme all’articolo 5 del regolamento n. 45/2001.

65      Va precisato che, tra le informazioni raccolte dall’OLAF e riportate nella relazione di audit definitiva della DG Società dell’informazione, quelle che menzionano il nome del ricorrente nel contesto di operazioni bancarie eseguite tra il 2002 e il 2006 a nome della Comeng su ordine del ricorrente erano necessarie per dimostrare che tali operazioni bancarie non avevano alcun nesso con l’esecuzione dei contratti FP6 stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro. Parimenti, la relazione di audit cita il nome del ricorrente nell’ambito di operazioni finanziarie effettuate nello stesso periodo a favore di altre società detenute o controllate da quest’ultimo e precisa che il medesimo non ha dimostrato che tali operazioni si erano svolte nel contesto dell’esecuzione, da parte della Zenon, dei contratti stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro. Tale informazione si rivelava altresì necessaria a motivare l’inesistenza di un nesso tra tali operazioni e l’esecuzione dei contratti FP6 da parte della Zenon. Inoltre, dalla relazione di audit emerge che è stato il ricorrente a decidere di ricorrere alla Comeng per emettere le fatture alla Zenon e di eseguire le operazioni bancarie tra quest’ultima e la Comeng. Va constatato che tali informazioni possono essere dedotte dal messaggio di posta elettronica del 29 settembre 2010, inviato dallo stesso ricorrente al nuovo direttore della Zenon e trasmesso alla Commissione dai nuovi azionisti di tale società. In tale messaggio, il ricorrente spiegava di essere ricorso alla Comeng per far gonfiare i profitti del 10% senza che la società risultasse in perdita. Tali dati consentivano, in tal modo, alla Commissione di confermare che il ricorso alla Comeng nel contesto dell’esecuzione dei contratti stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro non costituiva un «errore», ma un’operazione pianificata, di respingere, così, la tesi del mero errore di calcolo, di rifiutare, di conseguenza, la proposta di rettificare semplicemente il calcolo del costo del personale avanzata dalla Zenon nel suo messaggio di posta elettronica del 18 ottobre 2010 e, quindi, di giustificare l’entità della rettifica finanziaria operata nei confronti della Zenon. Pertanto, la trasmissione alla Zenon di tali informazioni tramite la relazione di audit sembra essere conforme all’articolo 5 del regolamento n. 45/2001.

[omissis]

67      Quanto agli altri argomenti dedotti dal ricorrente, quest’ultimo sostiene che l’articolo 5, lettere a) e b), del regolamento n. 45/2001 non sarebbe stato rispettato in quanto egli sarebbe terzo rispetto ai contratti stipulati tra la Zenon e l’Unione e che il diritto dell’Unione non prevede alcuna disposizione che autorizzi la Commissione al trattamento dei dati personali di terzi. Come correttamente rileva la Commissione, va evidenziato che, al momento dei fatti controversi, il ricorrente era il direttore della Zenon, nonché suo rappresentante legale in diversi contratti FP6 stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro e che il medesimo è stato direttore generale della Comeng fino al 2006, oltre che suo ultimo proprietario.

68      Inoltre, il ricorrente fa valere che, nel contesto dei contratti FP6, la Commissione, inviando la relazione di audit definitiva alla Zenon, ha agito in qualità di parte contraente e non come autorità pubblica e che da tale circostanza consegue necessariamente che non è stata rispettata nessuna delle condizioni di cui all’articolo 5 del regolamento n. 45/2001. L’argomento del ricorrente pare debba essere inteso nel senso che, poiché la relazione di audit definitiva era inscindibilmente inserita in un ambito puramente contrattuale, la DG Società dell’informazione non poteva, in tale contesto, trasmettere i dati personali del ricorrente alla Zenon.

69      È vero che la relazione di audit definitiva s’inscrive nell’ambito contrattuale. Tuttavia, le sue conclusioni si basavano sulle informazioni contenute nella relazione dell’OLAF, il quale ha esercitato le sue competenze nell’interesse pubblico ai sensi dell’articolo 5, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

70      Pertanto, la censura secondo la quale non sarebbe stata rispettata nessuna delle condizioni di cui all’articolo 5 del regolamento n. 45/2001 dev’essere respinta.

71      In secondo luogo, il ricorrente fa erroneamente valere che, anche ammettendo che l’OLAF avesse il diritto di raccogliere i dati personali che lo riguardavano, tale organo avrebbe comunque violato gli articoli 7 e 8 del regolamento n. 45/2001 comunicandoli a diverse DG della Commissione, alle autorità nazionali greche, alla Zenon e ai suoi dipendenti, oltre che alla Comeng e ai suoi dipendenti.

72      Il trasferimento dei dati dall’OLAF alla DG Società dell’informazione era necessario a consentire a quest’ultima il legittimo esercizio della funzione di sua competenza. In effetti, le conclusioni dell’audit definitivo hanno potuto essere elaborate a partire dalle informazioni fornite dall’OLAF. Tali dati hanno consentito alla DG Società dell’informazione di constatare che l’aumento dei costi del personale corrispondeva ai costi del personale fatturati dalla Comeng e che le condizioni sancite dall’articolo II.6 dei contratti tipo del sesto programma quadro non erano state rispettate, poiché costi dichiarati quali costi per «consulenti in house» erano in realtà costi di subappalto. Sempre in base a tali informazioni, la Commissione ha successivamente proceduto alla rettifica dei costi. Pertanto, l’articolo 7 del regolamento n. 45/2001 non è stato violato.

73      Il ricorrente, peraltro, addebita alla DG Società dell’informazione di aver comunicato la relazione di audit definitiva alla DG «Energia e trasporti» e alla DG «Imprese e industria» e, pertanto, di aver loro trasmesso dati personali.

74      Va rilevato che, rispondendo a un quesito postole su tale argomento, la Commissione ha spiegato che la DG «Imprese e industria» e la DG «Energia e trasporti» facevano parte delle direzioni generali del «settore “ricerca”», che gestiscono i programmi quadro di ricerca. La Commissione ha precisato che gli scambi d’informazioni riguardanti le relazioni di audit, nell’ambito delle direzioni generali del «settore “ricerca”», costituivano una prassi consolidata finalizzata a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e a garantire un’attuazione coerente dei programmi quadro, posto che i loro beneficiari erano sovente interessati da diversi accordi di sovvenzione gestiti da direzioni generali differenti.

75      Nel caso di specie, la trasmissione della relazione di audit definitiva contenente i dati personali del ricorrente alla DG «Imprese e industria» e alla DG «Energia e trasporti» non si è svolta in violazione dell’articolo 7 del regolamento n. 45/2001. Infatti, stante il ruolo assunto dalle due suddette DG, appartenenti alle direzioni generali del «settore “ricerca”», nell’attuazione del sesto programma quadro, si deve considerare, come evidenziato al punto 65 supra, che i trasferimenti di dati personali erano necessari per il legittimo esercizio delle funzioni di loro competenza.

76      Il ricorrente adduce altresì una violazione dell’articolo 8 del regolamento n. 45/2001. Egli sostiene che l’OLAF avrebbe dovuto dimostrare, in ordine al trasferimento alle autorità competenti dello Stato membro disciplinato dalla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31), che i dati erano necessari per l’esercizio di una funzione di interesse pubblico. Questo argomento non può essere accolto. Infatti, è evidente che i dati raccolti dall’OLAF trasmessi alle autorità nazionali greche – che corrispondono segnatamente a quelli contenuti nella relazione di audit definitiva della Commissione – erano, per loro natura, necessari a tali autorità per l’esercizio della loro funzione di interesse pubblico consistente nel perseguimento di eventuali reati che il ricorrente avrebbe commesso in occasione dell’esecuzione dei contratti stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro.

77      In terzo luogo, la censura relativa alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1073/99 e dell’articolo 8 del regolamento n. 2185/96 non può essere accolta. Il combinato disposto di tali disposizioni prevede sostanzialmente che le informazioni ottenute nell’ambito d’indagini esterne sono coperte dal segreto professionale e fruiscono della protezione riconosciuta ai dati personali. Trasmettendo alla Zenon i dati menzionati ai punti 62 e 65 supra, la Commissione non ha fatto che confermare ciò che il ricorrente aveva già annunciato al nuovo direttore generale della Zenon nel suo messaggio di posta elettronica del 29 settembre 2010, vale a dire che era ricorso alla Comeng allo scopo di far gonfiare i profitti. Così facendo, il ricorrente ha ammesso di avere deliberatamente fatto ricorso al meccanismo del subappalto e che la situazione determinatasi non era dovuta quindi a un errore di calcolo. Inoltre, come rammentato ai punti 62 e 65 supra, tali informazioni dovevano necessariamente essere trasmesse alla Zenon per poter confutare la tesi del mero errore di calcolo e, al contempo, rifiutare la proposta di semplice rettifica del calcolo dei costi del personale avanzata da tale società alla Commissione nel suo messaggio di posta elettronica del 18 ottobre 2010.

78      In quarto luogo, il ricorrente sostiene, invano, che l’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 è stato parimenti violato in quanto egli non sarebbe mai stato informato della trasmissione dei suoi dati personali. Occorre constatare che l’OLAF ha deciso di posticipare l’informazione al ricorrente al 31 marzo 2010. Infatti, l’articolo 20 del regolamento n. 45/2001 prevede che «[l]e istituzioni e gli organismi comunitari possono limitare l’applicazione (…) dell’articolo 12, paragrafo 1, (…) se e in quanto necessario per salvaguardare: a) le attività volte a prevenire, indagare, accertare e perseguire reati». Nel caso di specie, come evidenziato dalla Commissione, il rinvio dell’informazione al ricorrente poteva essere agevolmente giustificato dall’esigenza di salvaguardare le attività volte a indagare, accertare e perseguire reati nonché di evitare un serio rischio di distruzione degli elementi di prova qualora il ricorrente fosse venuto a conoscenza dell’indagine dell’OLAF. In seguito, il ricorrente è stato debitamente informato del trattamento dei suoi dati da parte dell’OLAF in diverse occasioni, nella fattispecie, al momento dell’invito al colloquio, durante il colloquio stesso e alla chiusura dell’indagine.

79      Da quanto precede risulta che la prima e la seconda censura, relative alla violazione degli articoli 4, 5, 7, 8 e 12 del regolamento n. 45/2001, devono essere respinte. Dev’essere parimenti respinta la terza censura, relativa alla violazione dell’obbligo di tutela del segreto professionale e della riservatezza dei dati personali sostanzialmente previsto dal combinato disposto degli articoli 8, paragrafo 1, del regolamento n. 1073/99 e 8, paragrafo 1, del regolamento n. 2185/96.

 – – Sulla quarta censura, relativa al trattamento illegale dei dati personali del ricorrente, da parte della DG Società dell’informazione, nel corso degli audit finanziari realizzati nel contesto dei contratti

80      Il ricorrente ritiene che gli audit sui quali si basa l’indagine dell’OLAF sarebbero viziati da illegalità, non esistendo nessuna norma giuridica che autorizzi la Commissione al trattamento dei dati personali nel corso degli audit finanziari realizzati in ambito contrattuale. Non sarebbe stato soddisfatto alcun requisito di cui all’articolo 5, lettere da a) a c) ed e), del regolamento n. 45/2001. Inoltre, l’articolo 5, lettera d), del medesimo regolamento sarebbe stato violato in quanto non sarebbe stato neanche chiesto il consenso del ricorrente al trattamento dei dati personali. L’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 sarebbe stato parimenti violato, poiché il ricorrente non sarebbe mai stato informato della trasmissione dei suddetti dati.

81      In sostanza, alla DG Società dell’informazione si addebita, da un lato, di aver proceduto al trattamento dei dati personali in sede di audit violando l’articolo 5 del regolamento n. 45/2001 e, dall’altro, di averli trasmessi all’OLAF.

82      In primo luogo, quanto all’addebito mosso alla DG Società dell’informazione di aver trattato dati personali violando l’articolo 5 del regolamento n. 45/2001, occorre sottolineare che l’audit è stato realizzato per verificare la corretta esecuzione del contratto. La Commissione non nega di aver proceduto, in tale contesto, ad un trattamento dei dati personali. Tuttavia, essa rileva correttamente che il contratto prevedeva che i beneficiari del sesto programma quadro dovessero indicare i costi del personale effettivi, vale a dire le ore realmente impiegate dalle persone che eseguivano direttamente i lavori e le tariffe orarie dei consulenti. La Commissione, pertanto, per poter realizzare un audit in modo efficiente, aveva legittimamente accesso a determinati dati personali.

83      A tal proposito, nella relazione di audit iniziale, è stato osservato che gli auditor avevano riscontrato che pareva che i consulenti presentati come dipendenti della Zenon fossero in realtà consulenti di un’altra società, ossia la Comeng, che sarebbe esistito un contratto tra dette due società al riguardo e che l’impiego di tali consulenti avrebbe avuto una ricaduta sul costo del personale, in quanto la loro tariffa oraria risultava essere sensibilmente più elevata di quella dei dipendenti della Zenon. In risposta a tale constatazione, la Zenon faceva notare che, poiché l’esecuzione del contratto richiedeva un elevato livello di conoscenza scientifica, si era reso necessario il ricorso ai consulenti della Comeng che avevano le conoscenze e le competenze specialistiche richieste. In tale contesto, come evidenziato dalla Commissione, agli auditor doveva essere data la possibilità di accedere a tutti i dati per essere in grado di valutare i costi individuali delle persone che lavoravano sul progetto e stabilire se i costi del personale divergessero sensibilmente dai costi effettivi. Ne consegue che il trattamento di taluni dati personali era necessario, nel caso di specie, e che dati anonimi non avrebbero consentito agli auditor di assolvere efficientemente il loro compito.

84      Inoltre, è importante notare che il nome del ricorrente appare solo nell’allegato 2 della relazione di audit iniziale all’interno di una tabella in cui sono elencati i membri del personale e le relative ore lavorate nell’ambito dei progetti europei cui la Zenon partecipa. Per contro, non vi è alcun riferimento ad altri dati personali del ricorrente da cui si potrebbe evincere che quest’ultimo sarebbe stato l’autore o il complice di un’irregolarità o di una frode.

85      Tenuto conto della natura dei dati personali e delle circostanze del caso di specie, si deve ritenere che il trattamento di tali dati fosse necessario per l’esercizio da parte della Commissione della sua funzione di tutela degli interessi finanziari dell’Unione e che rispettasse la condizione di cui all’articolo 5, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

86      In secondo luogo, riguardo all’addebito mosso alla DG Società dell’informazione di aver trasmesso dati personali all’OLAF, va sottolineato che la relazione di audit iniziale precisava che le constatazioni relative all’impiego dei consulenti di una società terza rivelavano l’esistenza di una pratica potenzialmente sistematica. Sulla base di tali elementi, la Commissione poteva legittimamente porsi la questione dell’esistenza di potenziali frodi o irregolarità.

87      Orbene, come correttamente evidenziato dalla Commissione, il quadro contrattuale non è rilevante in caso di potenziali frodi o irregolarità. Infatti, in un siffatto contesto, la Commissione poteva legittimamente informare l’OLAF della circostanza controversa e trasmettergli le informazioni ottenute nell’ambito dell’audit. Il trasferimento all’OLAF dei dati personali era necessario per l’esercizio, da parte di quest’ultimo, della sua funzione di tutela degli interessi finanziari dell’Unione e rispettava, dunque, la condizione di cui all’articolo 7 del regolamento n. 45/2001. Accogliere la tesi del ricorrente equivarrebbe a ritenere che la Commissione, anche qualora avesse un sospetto di frode, non potrebbe avvertire l’OLAF in quanto parte di un rapporto contrattuale con l’impresa sospettata. Una simile interpretazione sarebbe in aperta contraddizione con la necessità di garantire la tutela degli interessi finanziari dell’Unione contro le frodi e altre irregolarità. Inoltre, la relazione di audit iniziale cita il nome del ricorrente solo in qualità di consulente e non dà adito al fatto che il medesimo sia sospettato di frode.

88      Deve parimenti essere respinto l’argomento secondo cui l’articolo 4, paragrafo 1, lettere b) ed e), e l’articolo 6 del regolamento n. 45/2001 sarebbero stati asseritamente violati in quanto i dati riguardanti la Zenon e i progetti di cui trattasi, quando sono stati trasmessi dalla DG Società dell’informazione all’OLAF, non erano più detenuti per la loro finalità originaria (vale a dire, valutare se tale impresa avesse rispettato le condizioni finanziarie del contratto).

89      In effetti, si deve rammentare che, ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 45/2001, «[i] dati personali devono essere: a) trattati in modo corretto e lecito; b) raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità (…); e) conservati in modo da consentire l’identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati». L’articolo 6, punto 1, del medesimo regolamento prevede che «[i]l trattamento dei dati personali per fini diversi da quelli per cui sono stati raccolti è consentito soltanto se il cambiamento di finalità è espressamente autorizzato dalla regolamentazione interna dell’istituzione o dell’organismo comunitario».

90      Nella fattispecie, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione rappresenta la finalità per la quale la Commissione ha raccolto i dati presso la Zenon e li ha trasmessi all’OLAF.

91      Infine, il ricorrente fa valere che l’articolo 4 del regolamento n. 45/2001 è stato violato in quanto gli interessi finanziari dell’Unione sarebbero stati perfettamente tutelati anche se l’OLAF e la DG Società dell’informazione non l’avessero direttamente citato nella relazione sull’indagine definitiva e nelle relazioni di audit trasmesse alle autorità greche. A suo parere, l’indicazione del suo nome non era necessaria, posto che le autorità greche erano di per sé competenti a conoscere della responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione della Zenon e a procedere al relativo addebito.

92      Tale censura è infondata. Da un lato, l’indicazione del nome del ricorrente e delle relazioni tra la Comeng e la Zenon al tempo in cui quest’ultimo era l’amministratore della Zenon ha permesso di motivare, in quella fase, l’imposizione, da parte della Commissione, di una rettifica alla Zenon nel contesto dell’esecuzione dei contratti del sesto programma quadro. Dall’altro, il fatto che sia indicato il nome del ricorrente non pregiudica affatto il potere delle competenti autorità greche di stabilire esse stesse eventuali responsabilità dei membri del consiglio di amministrazione della Zenon. La raccolta e il trattamento dei dati personali del ricorrente erano dunque necessari e non si sono svolti in violazione delle disposizioni dell’articolo 4 del regolamento n. 45/2001.

93      Di conseguenza, la quarta censura, relativa al trattamento illegale dei dati personali nel corso degli audit finanziari realizzati nel contesto dei contratti, dev’essere respinta.

 – – Sulla quinta censura, relativa alle violazioni degli articoli 25, 27 e 28 del regolamento n. 45/2001

94      Secondo il ricorrente, gli articoli 25, 27 e 28 del regolamento n. 45/2001 sono stati violati in quanto il responsabile della protezione dei dati non sarebbe stato informato del trattamento dei dati personali e in quanto l’OLAF non avrebbe richiesto al GEPD [Garante europeo della protezione dei dati] di eseguire un controllo preventivo.

[omissis]

98      Innanzitutto, per quanto riguarda l’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001, il ricorrente sottolinea, senza che la Commissione abbia mosso obiezioni al riguardo, che la DG Società dell’informazione ha iniziato a sottoporre le notifiche dei trattamenti dei dati personali al responsabile della protezione dei dati a partire dal 2011.

99      La Commissione rinvia alla dichiarazione di riservatezza per le indagini esterne allo scopo di dimostrare di aver rispettato l’obbligo di previa notifica che le impone l’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001. Il ricorrente sottolinea tuttavia che il documento allegato dalla Commissione è stato in realtà depositato il 18 giugno 2013 ed è dunque irrilevante in ordine alla valutazione del rispetto della summenzionata disposizione. La Commissione tenta di giustificare tale ritardo adducendo che le pratiche richieste dall’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 richiedevano di essere adempiute secondo un ordine progressivo e che il GEPD ha ritenuto, in una decisione riguardante una notifica tardiva, che non vi fosse motivo di concludere per una violazione del regolamento summenzionato ove fosse stato posto rimedio all’inosservanza.

100    Tuttavia, è inammissibile che la regolarizzazione della situazione consenta di concludere che non vi sia stata violazione. L’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 è stato dunque violato in quanto la notifica dei dati è intervenuta in un momento successivo al loro trattamento. Si deve pertanto ritenere che la Commissione abbia violato una norma giuridica preordinata al riconoscimento dei diritti delle persone i cui dati personali sono detenuti dalle istituzioni e dagli organismi dell’Unione (v. giurisprudenza citata al punto 51 supra). Nondimeno, si pone la questione se una tale violazione possa essere considerata sufficientemente qualificata ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 42 supra. A tal proposito, si deve sottolineare che, in forza del regolamento n. 45/2001, il responsabile della protezione dei dati ha la funzione di garantire che il trattamento dei dati personali non leda i diritti e le libertà fondamentali degli interessati. Sotto questo profilo, egli ha segnatamente il compito di notificare al GEPD i trattamenti di dati che possono presentare un rischio ai sensi dell’articolo 27 del regolamento n. 45/2001. Ne consegue che, se il responsabile stesso non è informato di un trattamento dei dati, il medesimo non può a propria volta informarne il GEPD e quindi assolvere efficacemente alla funzione essenziale di garanzia conferitagli dal legislatore dell’Unione.

101    D’altro canto, si deve rammentare che, come precisato dal considerando 14 del regolamento n. 45/2001, le disposizioni del medesimo si applicano ad ogni trattamento di dati personali effettuato da tutte le istituzioni. Le istituzioni e gli organismi dell’Unione non dispongono quindi di alcuna discrezionalità riguardo all’applicazione del regolamento n. 45/2001.

102    Considerati tali elementi – il carattere essenziale della funzione di garanzia del responsabile della protezione dei dati e la mancanza di qualsivoglia potere discrezionale in capo alle istituzioni e agli organismi dell’Unione –, si deve constatare che la semplice inosservanza dell’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 è sufficiente, nel caso di specie, per decretare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata al riconoscimento dei diritti dei singoli.

103    In tale contesto, la Commissione fa inutilmente valere che, in una decisione del 17 maggio 2014, il GEPD ha ritenuto che il ritardo nella progressiva attuazione del regolamento n. 45/2001 fosse dovuto alle diverse tappe richieste dal medesimo, relative alle sue disposizioni. Infatti, una tale giustificazione non è in grado d’inficiare la conclusione secondo cui, nel caso di specie, la Commissione ha commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica.

104    La questione se tale violazione abbia cagionato un danno al ricorrente sarà oggetto di analisi del successivo punto 247.

105    Inoltre, il ricorrente deduce una violazione dell’articolo 27 del regolamento n. 45/2001 in quanto i trattamenti da disporre nel corso dei suddetti audit non sarebbero stati sottoposti a controllo preventivo da parte del GEPD. Tuttavia, per un verso, si deve rilevare che il ricorrente non ha dedotto nessun argomento ai fini di dimostrare che gli audit dovevano essere considerati come trattamenti che potevano presentare rischi specifici per i diritti e le libertà degli interessati per la loro natura, oggetto o finalità. Per altro verso, l’interpretazione della disposizione summenzionata sostenuta dalla Commissione dev’essere accolta. Difatti, quest’ultima correttamente osserva che, nei casi di audit come quello di cui trattasi, non è richiesta una notifica preventiva al GEPD se i trattamenti non possono presentare rischi specifici per i diritti e le libertà degli interessati per la loro natura, oggetto o finalità. Occorre sottolineare che lo scopo principale dell’audit eseguito dalla Commissione era quello di verificare la corretta esecuzione del contratto e la regolarità delle transazioni finanziarie operate per l’attuazione del progetto finanziato e non quello d’individuare eventuali frodi che potevano portare all’apertura di un’indagine da parte dell’OLAF.

106    È vero che, affinché un audit possa essere realizzato efficacemente ed utilmente e si possa trarne le debite conclusioni, può essere necessario raccogliere ed analizzare dati personali. Nondimeno, è possibile che, stante la finalità dell’audit, non si debba obbligatoriamente procedere al controllo preventivo di cui all’articolo 27 del regolamento n. 45/2001. Nel caso di specie, l’auditor ha trattato alcuni dati personali del ricorrente e di altri consulenti, ossia quelli riguardanti il loro ruolo, il numero di ore lavorate, nonché i costi diretti del personale rispetto alla loro tariffa oraria. Tuttavia, la finalità del trattamento non consisteva nella valutazione mirata delle prestazioni individuali del ricorrente e degli altri consulenti né nell’individuazione di un’eventuale frode. Ne consegue che, nel caso di specie, non era richiesto l’assoggettamento al controllo preventivo di cui all’articolo 27 del regolamento n. 45/2001 e che pertanto non è stato possibile violare tale disposizione.

107    In tale contesto, è utile sottolineare che, in caso di trattamento delle informazioni contenute nella relazione sulle indagini dell’OLAF, è richiesto un assoggettamento al controllo preventivo da parte del GEPD, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001, ove tale trattamento possa far sorgere in capo all’OLAF il sospetto di commissione di reati da parte di privati.

108    A tal proposito, riguardo alla dichiarazione del ricorrente secondo cui l’OLAF non avrebbe chiesto al GEPD di esaminare preventivamente i suoi controlli e le sue verifiche sul posto violando così l’articolo 27 del regolamento n. 45/2001, la Commissione fa notare che la conduzione delle indagini dell’OLAF si è svolta conformemente ai suggerimenti espressi dal GEPD in diversi pareri (del 4 ottobre 2007 e del 3 febbraio 2012) e che il 4 ottobre 2007, ossia molto prima dell’indagine esterna sul progetto relativo al caso di specie, le indagini esterne dell’OLAF erano state oggetto di un parere da parte di quest’ultimo. Il ricorrente ritiene tuttavia che il fondamento giuridico del parere del 4 ottobre 2007, costituito dagli articoli 18 e 20 del regolamento (CE) n. 2321/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativo alle regole di partecipazione delle imprese, dei centri di ricerca e delle università, nonché alle regole di diffusione dei risultati della ricerca, per l’attuazione del sesto programma quadro della Comunità europea (2002-2006) (GU 2002, L 355, pag. 23), non sia idoneo a giustificare le indagini esterne dell’OLAF sui progetti del sesto programma quadro. Quanto al parere del 3 febbraio 2012, cui la Commissione fa parimenti riferimento, non sarebbe rilevante per quanto riguarda il controllo eseguito presso la Comeng nel febbraio 2010.

109    Si deve rilevare che il GEPD ha espresso un parere il 4 ottobre 2007 e che quest’ultimo riguardava, segnatamente, le indagini esterne dell’OLAF relative al sesto programma quadro. Pertanto, l’argomento del ricorrente è infondato in fatto.

110    Inoltre, tale argomento è parimenti infondato in diritto. Infatti, l’articolo 20 del regolamento n. 2321/2002 dispone quanto segue:

«Tutela degli interessi finanziari della Comunità

Nell’attuazione delle azioni indirette la Commissione garantisce che gli interessi finanziari della Comunità siano tutelati mediante effettivi controlli e misure deterrenti, nonché, qualora siano accertate delle irregolarità, mediante sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, conformemente ai regolamenti del Consiglio (CE, Euratom) n. 2988/95 e (CE, Euratom) n. 2185/96 e al regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio».

111    Tale disposizione si riferisce inequivocabilmente al regolamento n. 1073/1999 e costituisce un fondamento giuridico idoneo a consentire all’OLAF di eseguire controlli e verifiche sul posto. A tal riguardo, il ricorrente non precisa sotto quale profilo tale interpretazione sarebbe scorretta, limitandosi ad addurre che l’articolo 20 del regolamento summenzionato non autorizza l’OLAF a condurre indagini esterne su contraenti di progetti del sesto programma quadro.

112    Il ricorrente sostiene inoltre che gli audit finanziari esterni configurano un provvedimento amministrativo nei confronti dei consulenti interessati e che, pertanto, era necessaria una notifica al GEPD, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento n. 45/2001. Tuttavia, il ricorrente non precisa sotto quale profilo la disposizione summenzionata sarebbe applicabile al caso di specie. L’argomento dev’essere quindi respinto.

113    Infine, il ricorrente deduce che la notifica del documento eseguita il 2 febbraio 2011 al responsabile della protezione dei dati è avvenuta in violazione dell’articolo 25 del regolamento n. 45/2001, in quanto tale documento conteneva due dichiarazioni false, una riferita al parere del GEPD che concludeva per la non applicazione dell’articolo 27 del regolamento n. 45/2001, l’altra consistente nella non menzione del nome del «subcontraente» (v. punti da 152 a 155 infra).

114    Per quanto concerne la prima dichiarazione asseritamente falsa, dai punti 105 e 106 supra risulta che l’articolo 27 del regolamento n. 45/2001 non fosse comunque applicabile al caso di specie. Pertanto, la notifica non contiene alcun errore su questo punto.

115    Quanto alla seconda dichiarazione asseritamente falsa riguardante il punto 3 della notifica, relativo ai «subcontraenti», la mancanza di un riferimento esplicito al subcontraente consente tutt’al più di ritenere che la notifica sia imprecisa ma non che essa sia falsa. Pertanto, non si può ritenere che l’articolo 25 del regolamento n. 45/2001 sia stato violato a motivo di quest’unica imprecisione.

116    Dai punti da 98 a 102 supra risulta che il motivo dev’essere accolto per quanto riguarda la violazione dell’articolo 25 del regolamento n. 45/2001 e respinto per la restante parte.

 Sul primo motivo, vertente su uno sviamento di potere da parte dell’OLAF

[omissis]

 – Sul potere dell’OLAF di condurre un’indagine sull’esecuzione di un contratto

128    Il ricorrente deduce, in sostanza, che l’OLAF non era competente a condurre un’indagine sull’esecuzione di un contratto stipulato per l’attuazione di un programma quadro.

129    A tal riguardo, va ricordato che l’articolo 310, paragrafo 6, TFUE prevede che «[l]’Unione e gli Stati membri, conformemente all’articolo 325, combattono la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione» e che l’articolo 325 TFUE relativo alla lotta contro la frode dispone che «[l]’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure (…) che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione».

130    In effetti, si deve rilevare che ogni anno una parte considerevole dei fondi dell’Unione va sprecata a causa di frodi e altre irregolarità commesse da persone fisiche e giuridiche e che le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri hanno dotato l’Unione di un fondamento giuridico specifico per agire nel settore della prevenzione delle frodi, hanno istituito strutture amministrative e hanno adottato misure legislative intese alla prevenzione delle frodi commesse negli Stati membri dai beneficiari di fondi dell’Unione o dai membri o dal personale delle istituzioni e degli organi dell’Unione (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Commissione/BEI, C‑15/00, EU:C:2002:557, paragrafo 4).

131    Per conseguire tale obiettivo è stato istituito l’OLAF con la decisione 1999/352. L’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, di tale decisione prevede quanto segue:

«L’[OLAF] esercita le competenze della Commissione in materia di indagini amministrative esterne al fine di intensificare la lotta contro la frode, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari delle Comunità, nonché ai fini della lotta contro le frodi inerenti a qualsiasi fatto o atto compiuto in violazione di disposizioni comunitarie».

132    Riguardo alle indagini svolte dall’OLAF, il regolamento n. 1073/1999, al suo articolo 1, prevede quanto segue:

«1. Al fine di potenziare la lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea, l’[OLAF] (…) esercita le competenze di indagine conferite alla Commissione dalla normativa comunitaria e dagli accordi vigenti in questi settori.

2. L’[OLAF] apporta il contributo della Commissione agli Stati membri per organizzare una collaborazione stretta e regolare tra le loro autorità competenti, al fine di coordinare la loro azione mirante a proteggere dalla frode gli interessi finanziari della Comunità europea. L’[OLAF] contribuisce all’elaborazione e allo sviluppo dei metodi di lotta contro la frode nonché contro ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità europea».

133    L’articolo 2 del regolamento n. 1073/1999 definisce la nozione di «indagini amministrative» nei seguenti termini:

«Ai sensi del presente regolamento si intende per “indagine amministrativa” (in prosieguo denominata “indagine”) l’insieme dei controlli, delle verifiche e delle operazioni che gli agenti dell’[OLAF] svolgono nell’esercizio delle loro funzioni, a norma degli articoli 3 e 4, al fine di conseguire gli obiettivi definiti all’articolo 1 e di accertare, ove opportuno, l’irregolarità delle attività controllate. Queste indagini non incidono sulla competenza degli Stati membri in materia di azione penale».

134    L’articolo 3, intitolato «Indagini esterne», del regolamento n. 1073/1999, così recita:

«L’[OLAF] esercita la competenza conferita alla Commissione dal regolamento (CE, Euratom) n. 2185/96, ad eseguire controlli e verifiche sul posto negli Stati membri, e, secondo gli accordi di cooperazione vigenti, nei paesi terzi.

Nell’ambito delle sue funzioni d’indagine, l’[OLAF] effettua i controlli e le verifiche di cui all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 e alla normativa settoriale di cui all’articolo 9, paragrafo 2, del medesimo negli Stati membri, secondo gli accordi di cooperazione vigenti, nei paesi terzi».

135    Per quanto riguarda la decisione di avviare un’indagine, l’articolo 5, primo comma, del regolamento n. 1073/1999 prevede che «[l]e indagini esterne sono avviate con decisione del direttore dell’[OLAF], di propria iniziativa o su richiesta di uno Stato membro interessato».

136    Quanto alle condizioni dell’esecuzione delle indagini, l’articolo 6 del regolamento n. 1073/1999 precisa quanto segue:

«1. Il direttore dell’[OLAF] dirige l’esecuzione delle indagini.

2. Per eseguire i loro compiti, gli agenti dell’[OLAF] presentano una procura scritta, indicante la loro identità e qualifica.

3. Gli agenti dell’[OLAF] incaricati di un’indagine devono essere muniti, per ogni loro intervento, di un mandato scritto del direttore, indicante l’oggetto della medesima.

4. Nel corso dei controlli e delle verifiche in loco, gli agenti dell’[OLAF] si comportano conformemente alle regole e agli usi vigenti per i funzionari dello Stato membro interessato, allo statuto nonché alle decisioni di cui all’articolo 4, paragrafo 1, secondo comma.

5. Le indagini si svolgono senza interruzioni per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze ed alla complessità del caso.

6. Gli Stati membri provvedono affinché le loro autorità competenti, secondo le disposizioni nazionali, fornisc[a]no agli agenti dell’[OLAF] il contributo necessario all’assolvimento dei loro compiti. Le istituzioni e gli organi provvedono affinché i loro membri e il loro personale, e gli organismi provvedono affinché i loro dirigenti [e il loro personale] forniscano agli agenti dell’[OLAF] il contributo necessario all’assolvimento dei loro compiti».

137    L’articolo 7 del regolamento n. 1073/1999 prevede altresì un obbligo, per le istituzioni, gli organi e gli organismi, di comunicare senza indugio all’OLAF qualsiasi informazione relativa a eventuali casi di frode o di corruzione o ad ogni altra attività illecita.

138    La relazione sulle indagini e i provvedimenti conseguenti alle indagini sono definiti dall’articolo 9 del regolamento n. 1073/1999, nei seguenti termini:

«1. Al termine di un’indagine, l’[OLAF] redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’[OLAF] sui provvedimenti da prendere.

2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni procedurali previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.

3. La relazione redatta in seguito a un’indagine esterna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi alle autorità competenti degli Stati membri interessati in base alla regolamentazione relativa alle indagini esterne (…)».

139    Occorre parimenti evidenziare che l’articolo 20 del regolamento n. 2321/2002 è preordinato alla tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Tale disposizione opera un esplicito riferimento al regolamento n. 1073/1999, confermando pertanto la competenza dell’OLAF a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione nei seguenti termini:

«Nell’attuazione delle azioni indirette la Commissione garantisce che gli interessi finanziari della Comunità siano tutelati mediante effettivi controlli e misure deterrenti, nonché, qualora siano accertate delle irregolarità, mediante sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, conformemente ai regolamenti del Consiglio (CE, Euratom) n. 2988/95 e (CE, Euratom) n. 2185/96 e al regolamento (CE) n. 1073/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio».

140    Infine, va sottolineato che, secondo costante giurisprudenza, quando una norma di diritto derivato dell’Unione ammette più di un’interpretazione, si deve dare preferenza, per quanto possibile, a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato (sentenze del 24 giugno 1993, Dr Tretter, C‑90/92, EU:C:1993:264, punto 11, e del 10 settembre 1996, Commissione/Germania, C‑61/94, EU:C:1996:313, punto 52).

141    A tal riguardo, si deve rammentare la costante giurisprudenza secondo la quale, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v. sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a., C‑17/03, EU:C:2005:362, punto 41 e giurisprudenza citata).

142    D’altra parte, ove la genesi di una norma di diritto derivato dell’Unione e la sua interpretazione letterale, in particolare quella di una delle sue disposizioni, non consentano di coglierne la portata esatta, la norma in esame va interpretata sulla scorta della sua finalità e della sua economia generale (v., in tal senso, sentenze del 31 marzo 1998, Francia e a./Commissione, C‑68/94 e C‑30/95, EU:C:1998:148, punto 168, e del 25 marzo 1999, Gencor/Commissione, T‑102/96, EU:T:1999:65, punto 148).

143    È alla luce di tali disposizioni e della giurisprudenza summenzionata che si deve analizzare la normativa sulla competenza dell’OLAF a condurre un’indagine relativa all’esecuzione di un contratto stipulato per l’attuazione di un programma quadro.

144    Dalle disposizioni rammentate ai punti da 129 a 139 supra risulta che all’OLAF è stata attribuita un’ampia competenza in materia di lotta contro la frode, la corruzione e ogni altra attività illecita pregiudizievole degli interessi finanziari dell’Unione.

145    Per rendere efficace la protezione degli interessi finanziari dell’Unione di cui all’articolo 325 TFUE, è necessario che la dissuasione e la lotta contro le frodi e le altre irregolarità operino a tutti i livelli e per tutte le attività nell’ambito delle quali i detti interessi possono essere lesi da fenomeni del genere. Proprio per realizzare al meglio tale obiettivo, la Commissione ha previsto che sia l’OLAF ad esercitare le sue competenze in materia di indagini amministrative esterne.

146    Sempre in tal senso, l’articolo 20 del regolamento n. 2321/2002, citato al punto 139 supra – che disciplina le regole di partecipazione delle imprese per l’attuazione del sesto programma quadro –, ha concretamente previsto che la Commissione garantisca che gli interessi finanziari dell’Unione siano tutelati mediante effettivi controlli conformemente al regolamento n. 1073/1999. Precisamente, quest’ultimo regolamento ha previsto che l’OLAF eserciti la competenza, conferita alla Commissione dal regolamento n. 2185/96, in ordine all’esecuzione dei controlli e delle verifiche sul posto negli Stati membri.

147    Sembra pertanto che l’esistenza di un rapporto contrattuale tra l’Unione e persone fisiche o giuridiche sospettate di esercitare attività illecite non incida sulla competenza d’indagine dell’OLAF. Tale organo è autorizzato a condurre indagini nei confronti di dette persone se un sospetto di frode o di attività illecite grava sulle medesime, indipendentemente dall’esistenza di un contratto fra le parti summenzionate.

148    È pertanto inutile, da parte del ricorrente, sostenere che le disposizioni sopra menzionate andrebbero interpretate nel senso che le competenze dell’OLAF siano escluse in caso di contratti conclusi a nome dell’Unione. Una simile interpretazione – implicante quindi una limitazione delle competenza delle istituzioni nella lotta contro la frode e ogni altra attività illecita – è incompatibile sia con le disposizioni del Trattato sia con la finalità o l’economia generale delle disposizioni in esame.

149    In tale contesto, il ricorrente mette erroneamente in discussione l’indipendenza dell’OLAF supponendo un conflitto d’interessi della Commissione nel caso di un contratto concluso dalla medesima a nome dell’Unione. In effetti, il considerando 12 del regolamento n. 1073/1999 sottolinea la necessità di garantire l’indipendenza dell’OLAF nell’esecuzione dei compiti conferitigli da detto regolamento, attribuendo al suo direttore il potere di avviare indagini di propria iniziativa. L’articolo 12, paragrafo 3, del medesimo regolamento applica il considerando in esame prevedendo che «[i]l direttore non sollecita né accetta istruzioni da alcun governo, istituzione, organo od organismo nell’adempimento dei doveri relativi all’avvio ed allo svolgimento delle indagini esterne ed interne ed alla presentazione delle relazioni redatte su conclusione delle stesse» e che, «[q]ualora il direttore ritenga che un provvedimento adottato dalla Commissione comprometta la propria indipendenza può presentare ricorso contro la propria istituzione davanti alla Corte di giustizia».

150    Tale indipendenza dell’OLAF è ribadita all’articolo 3 della decisione 1999/352, come modificata dalla decisione 2013/478/UE della Commissione, del 27 settembre 2013 (GU 2013, L 257, pag. 19), che prevede quanto segue:

«Indipendenza nell’esercizio della funzione d’indagine

L’[OLAF] esercita in piena indipendenza i poteri d’indagine di cui all’articolo 2, paragrafo 1. Nell’esercizio delle sue competenze, il direttore generale dell’[OLAF] non sollecita né accetta istruzioni dalla Commissione, da governi, da altre istituzioni o da organi od organismi».

[omissis]

 – – – Sulla liceità della clausola contrattuale relativa ai controlli e agli audit

157    Il ricorrente deduce invano l’illiceità e l’abusività della clausola contrattuale che prevede la partecipazione dell’OLAF ai controlli e agli audit realizzati nell’ambito dei contratti del sesto programma quadro. Infatti, come evidenziato ai punti 144 e 145 supra, l’OLAF era competente a condurre indagini esterne su persone fisiche o giuridiche sospettate di frode o di attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale tra l’istituzione e dette persone. In tale contesto, l’OLAF non ha agito in applicazione dell’articolo II.29 del contratto tipo FP6 – il quale, rinviando ai regolamenti n. 2185/96 e n. 1073/1999, prevede che la Commissione possa eseguire verifiche e controlli sul posto – ma nell’esercizio dei poteri che gli sono conferiti dai succitati regolamenti e dalla decisione 1999/352.

158    La clausola contrattuale rappresenta, dunque, un mero richiamo ai poteri di cui già dispongono la Commissione e l’OLAF. Non sembra pertanto che la sua applicazione da parte dei medesimi possa costituire un illecito tale da determinare un danno per il ricorrente.

[omissis]

 – – – Sulla mancanza di sospetti sufficientemente seri relativi ai fatti di frode o di corruzione

[omissis]

175    Dalla giurisprudenza emerge che la decisione del direttore dell’OLAF di avviare un’indagine, come del resto quella di un’istituzione, di un organo o di un organismo istituito dai Trattati o sulla base dei medesimi di chiedere un tale avvio, non può intervenire in assenza di sospetti sufficientemente seri relativi a fatti di frode, di corruzione o ad altre attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione (sentenze del 10 luglio 2003, Commissione/BCE, C‑11/00, EU:C:2003:395, punto 141, e Commissione/BEI, C‑15/00, EU:C:2003:396, punto 164).

176    Occorre dunque analizzare se i sospetti da parte dell’OLAF fossero sufficientemente seri.

177    A tal riguardo, la relazione di audit iniziale contiene una serie d’informazioni da cui risulta che la Zenon non ha trasmesso il formulario per la dichiarazione dei costi del personale richiesto per determinati periodi, che una parte consistente delle spese per il personale dichiarate dalla Zenon riguardava persone messe a sua disposizione dalla Comeng, che la tariffa oraria di un lavoratore messo a disposizione dalla Comeng era significativamente più elevata di quella di un lavoratore della Zenon e che i costi del personale della Comeng non potevano essere considerati come costi per «consulenti in house». Da tali informazioni risulta parimenti che la citata prassi di considerare i costi del personale della Comeng come costi per «consulenti in house» poteva avere carattere sistematico. Inoltre, vi si evidenzia che i legami tra dette due società non erano noti e che solo grazie all’audit è stata confermata l’esistenza di un contratto firmato il 1° aprile 2005 tra la Comeng e la Zenon.

178    Va sottolineato che tali informazioni rappresentano una parte delle informazioni racchiuse nel documento riservato contenente la valutazione delle informazioni iniziali da parte dell’OLAF.

179    Occorre considerare che, tenuto conto di tali elementi – caratterizzati dalla mancanza d’informazioni sui legami tra la Zenon e la Comeng, da costi per il personale a prima vista gonfiati, da dichiarazioni sul personale non corrispondenti alla realtà e da una prassi riguardo alla classificazione dei costi del personale apparentemente sistematica –, l’OLAF ha potuto legittimamente ritenere che sussistessero sospetti sufficientemente seri relativi a fatti di frode o ad altre attività illecite potenzialmente lesive del bilancio dell’Unione, tanto da avviare un’indagine.

[omissis]

 – – – Sulla mancanza di potere dell’OLAF di organizzare colloqui nell’ambito delle indagini esterne

[omissis]

187    Nel caso di specie, va ricordato che due membri dell’OLAF hanno interrogato il ricorrente a Patmos in data 6 settembre 2011.

188    Quanto alla normativa, sotto il profilo puramente formale, si deve ammettere che, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 4 del regolamento n. 1073/1999 per le indagini interne, non esistono disposizioni che prevedano espressamente un potere dell’OLAF di raccogliere informazioni orali nell’ambito delle indagini esterne.

189    Tuttavia, l’assenza di specifiche disposizioni a tal riguardo non può essere interpretata nel senso che sussisterebbe un divieto in capo all’OLAF di organizzare colloqui nell’ambito delle indagini esterne. Infatti, il potere di eseguire controlli e verifiche sul posto implica innegabilmente quello di organizzare colloqui con gli interessati da tali controlli e verifiche. Oltretutto, i colloqui condotti dall’OLAF non sono obbligatori, posto che gli interessati hanno il diritto di rifiutare di parteciparvi o di rispondere a determinate domande.

190    Inoltre, si deve rammentare che l’articolo 7 del regolamento n. 2185/96 in combinato disposto con l’articolo 2 del regolamento n. 1073/1999, stabilisce che l’OLAF ha accesso, «alle medesime condizioni dei controllori amministrativi nazionali e nel rispetto delle legislazioni nazionali», a tutte le informazioni e alla documentazione sulle operazioni di cui trattasi che si rivelino necessarie ad assicurare il corretto svolgimento dei controlli e delle verifiche sul posto.

191    Il ricorrente non ha addotto alcun argomento atto a dimostrare la sussistenza di un illecito addebitabile all’OLAF a tal riguardo. Infatti, il ricorrente non ha precisato sotto quale profilo l’invito ad un colloquio in quanto persona interessata da tali controlli e verifiche rivoltogli dall’OLAF non sarebbe stato conforme all’articolo 7 del regolamento n. 2185/96 in combinato disposto con l’articolo 2 del regolamento n. 1073/1999.

192    Per il medesimo motivo, l’argomento fondato sul parere 2/2012 del comitato di vigilanza dell’OLAF, che confermerebbe l’impossibilità per l’OLAF di raccogliere informazioni orali nell’ambito di indagini esterne, dev’essere parimenti respinto.

193    Pertanto, la censura relativa alla mancanza di potere dell’OLAF di organizzare colloqui nell’ambito di indagini esterne dev’essere respinta.

 – – – Sulla mancanza di potere dell’OLAF di condurre indagini nei confronti di terzi

[omissis]

196    A tal proposito, occorre rilevare che l’articolo 5, terzo comma, del regolamento n. 2185/96, prevede che, «[n]ella misura in cui ciò sia strettamente necessario per accertare l’esistenza di un’irregolarità, la Commissione può effettuare controlli e verifiche sul posto presso altri operatori economici interessati, per avere accesso alle pertinenti informazioni da questi detenute circa i fatti oggetto dei controlli e delle verifiche sul posto».

197    Inoltre, nessuna disposizione del regolamento n. 2185/96 né, del resto, di qualche altro regolamento vieta alla Commissione o, eventualmente, all’OLAF di procedere ad un controllo o ad una verifica sul posto presso un subcontraente senza aver previamente proceduto ad un controllo o ad una verifica sul posto presso l’operatore economico sospettato di frode. Infatti, l’OLAF può eseguire controlli e verifiche sul posto presso altri operatori economici, purché sia strettamente necessario ad accertare l’esistenza di un’irregolarità.

198    Orbene, si deve rammentare che la Comeng ha agito proprio in qualità di subappaltatrice della Zenon nell’ambito della controversa esecuzione dei contratti FP6 stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro. Un simile controllo presso tale operatore era necessario per raccogliere le informazioni rilevanti in suo possesso sui fatti oggetto dell’indagine.

199    La scelta di procedere al controllo presso tale operatore prima di aver eseguito quello presso la Zenon potrebbe invece essere giustificata dall’esigenza di creare l’effetto sorpresa. Ad ogni modo, purché i controlli eseguiti siano conformi al regolamento n. 2185/96 – com’è avvenuto per il controllo eseguito presso la Comeng –, la scelta della tempistica di tali controlli appartiene esclusivamente alla discrezionalità della Commissione e dell’OLAF.

200    Tenuto conto delle circostanze del caso di specie e dell’esistenza dei sospetti sufficientemente seri rammentata ai punti da 177 a 181 supra, si deve ritenere che il controllo eseguito presso la Comeng fosse strettamente necessario e rientrante nei limiti del potere discrezionale dell’OLAF.

201    Pertanto, alla Commissione non può essere addebitata alcuna violazione dell’articolo 5 del regolamento n. 2185/96.

 – – – Sull’illegittimità dell’estensione dell’indagine alle operazioni finanziarie del periodo 2002-2006

[omissis]

210    In secondo luogo, occorre analizzare congiuntamente gli argomenti relativi alla prescrizione e quelli fondati sulla violazione dei principi del termine ragionevole e della certezza del diritto.

[omissis]

213    Occorre rammentare che, secondo la giurisprudenza, la norma della prescrizione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 2988/95 si applica sia alle irregolarità che comportano l’imposizione di una sanzione amministrativa ai sensi dell’articolo 5 del regolamento sia a quelle oggetto di una misura amministrativa ai sensi dell’articolo 4 di detto regolamento, misura che ha per oggetto la revoca del vantaggio indebitamente ottenuto senza tuttavia presentare il carattere di una sanzione (sentenze del 29 gennaio 2009, Josef Vosding Schlacht-, Kühl- und Zerlegebetrieb e a., da C‑278/07 a C‑280/07, EU:C:2009:38, punto 22; del 15 aprile 2011, IPK International/Commissione, T‑297/05, EU:T:2011:185, punto 147, e del 19 aprile 2013, Aecops/Commissione, T‑53/11, non pubblicata, EU:T:2013:205, punto 41).

214    La Corte ha altresì statuito che, adottando il regolamento n. 2988/95 e, in particolare, l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, di quest’ultimo, il legislatore dell’Unione ha inteso stabilire una norma generale sulla prescrizione applicabile in materia, con la quale intendeva, da una parte, definire un termine minimo applicato in tutti gli Stati membri, e, d’altra parte, rinunciare alla possibilità del recupero di somme indebitamente percepite a carico del bilancio dell’Unione dopo lo spirare di un periodo di quattro anni successivo al compimento delle irregolarità che colpiscono i pagamenti controversi. Ne risulta che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento n. 2988/95, ogni vantaggio indebitamente percepito a carico del bilancio dell’Unione, in linea di principio e fatta eccezione per i settori per i quali il legislatore dell’Unione ha previsto un termine inferiore, può essere recuperato dalle autorità competenti degli Stati membri entro un termine di quattro anni (sentenza del 29 gennaio 2009, Josef Vosding Schlacht-, Kühl- e Zerlegebetrieb e a., da C‑278/07 a C‑280/07, EU:C:2009:38, punti 27 e 28).

215    Tenuto conto dell’ambito di applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 2988/95, come indicato dalla giurisprudenza, e della circostanza che l’indagine dell’OLAF, per quanto riguardava il ricorrente, non poteva che portare a misure o a sanzioni amministrative o penali decise sulla base del diritto nazionale e non del diritto dell’Unione, quest’ultimo non poteva eccepire alcuna prescrizione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 2988/95.

216    Ad ogni modo, anche dovendo ritenere che i giudici nazionali greci, nell’ambito di eventuali procedimenti penali, fossero tenuti ad applicare le norme sulla prescrizione previste dal regolamento n. 2988/95, occorre sottolineare che, come giustamente rilevato dalla Commissione, l’irregolarità commessa nel contesto dell’esecuzione dei contratti del sesto programma quadro aveva carattere permanente. Va parimenti constatato che la medesima è cessata in data 30 settembre 2007, vale a dire la data del termine dell’ultimo progetto del sesto programma quadro in cui operava la Zenon (nella specie Gnosys). È da tale data che deve ritenersi sia cessata la presunta irregolarità. Pertanto, il termine di prescrizione ha iniziato a decorrere solo dal 1° ottobre 2007.

217    In tale contesto, è opportuno rammentare che, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento n. 2988/95, la prescrizione delle azioni sanzionatorie contro il ricorrente può interrompersi solo per effetto di un atto portato alla sua conoscenza. Orbene, in sede d’udienza, il ricorrente ha ammesso di essere stato informato dell’indagine con lettera del luglio 2011. D’altro canto, è utile sottolineare che tale lettera faceva menzione del fatto che il ricorrente era considerato «persona interessata» dall’indagine di cui trattasi e della circostanza che vi erano stati contatti con rappresentanti dell’OLAF, poiché vi si faceva riferimento ad un messaggio di posta elettronica del ricorrente del 6 luglio 2011 indirizzato all’OLAF con cui egli confermava il suo assenso sulla data per l’audizione presso il suo domicilio in Grecia. In tali circostanze, si deve ritenere che la lettera inviata al ricorrente nel luglio del 2011 abbia interrotto il termine di prescrizione e abbia avuto l’effetto di far decorrere un nuovo termine di quattro anni a partire dalla data della medesima (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 marzo 2003, José Martí Peix/Commissione, T‑125/01, EU:T:2003:72, punto 94).

218    Di conseguenza, l’argomento del ricorrente vertente sulla prescrizione delle azioni sanzionatorie dev’essere respinto.

219    Per quanto concerne l’argomento relativo alla violazione dell’obbligo di rispettare un termine ragionevole nello svolgimento dei procedimenti amministrativi, va rilevato che tale obbligo configura un principio generale del diritto dell’Unione, di cui il giudice dell’Unione garantisce il rispetto, e che il medesimo è peraltro ripreso, in quanto componente del diritto a una buona amministrazione, dall’articolo 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v., in tal senso, sentenza del 21 maggio 2014, Catinis/Commissione, T‑447/11, EU:T:2014:267, punto 34). Occorre altresì rammentare che la durata ragionevole di un procedimento amministrativo si valuta alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso e, in particolare, del contesto in cui esso si inserisce, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità del caso nonché degli interessi delle diverse parti interessate (sentenze del 22 ottobre 1997, SCK e FNK/Commissione, T‑213/95 e T‑18/96, EU:T:1997:157, punto 57; del 16 settembre 1999, Partex/Commissione, T‑182/96, EU:T:1999:171, punto 177, e del 19 aprile 2013, Aecops/Commissione, T‑53/11, non pubblicata, EU:T:2013:205, punto 57). Nella fattispecie, i contratti stipulati per l’attuazione del sesto programma quadro riguardavano il periodo 2002-2006 e avevano quindi durata pluriennale. Inoltre, l’irregolarità constatata dalla Commissione aveva carattere permanente e si era protratta per tutto il periodo in esame. Il ricorrente non può quindi addebitare all’OLAF di aver condotto un’indagine protraendola per diversi anni. D’altronde, l’OLAF ha agito a norma dell’articolo 6, paragrafo 5, del regolamento n. 1073/1999, nel senso che l’indagine si è svolta in modo continuativo per un periodo di tempo proporzionato alle circostanze e alla complessità del caso. In effetti, l’OLAF ha avviato l’indagine nel dicembre 2009. Nel febbraio 2010 ha eseguito una verifica nei locali della Comeng. Nell’agosto 2010 la Commissione ha redatto il progetto della relazione di audit definitiva e l’ha inviato alla Zenon, la quale ha presentato le proprie osservazioni in proposito nell’ottobre e nel novembre 2010. La Commissione ha redatto la relazione di audit definitiva nel febbraio 2011. Sulla base degli elementi della relazione di audit definitiva, nel luglio 2011, l’OLAF ha informato il ricorrente del fatto che era considerato persona interessata, ha proceduto alla sua audizione nel settembre 2011, ha chiuso la sua indagine nel settembre 2012 e ha trasmesso la sua relazione definitiva sull’indagine alle autorità greche nell’ottobre 2012. Ne consegue che l’OLAF non ha violato l’obbligo di osservare un termine ragionevole nello svolgimento dei procedimenti amministrativi né il diritto a una buona amministrazione di cui il detto obbligo costituisce parte integrante. Allo stesso tempo, alla luce di quanto precedentemente esposto, l’OLAF non si è neanche reso colpevole di alcuna violazione del principio di diligenza.

[omissis]

 Sul terzo motivo, relativo alla violazione dei diritti della difesa

225    Con il terzo motivo, il ricorrente deduce di aver avuto, dal momento della sua audizione fino alla data di presentazione del suo ricorso, scarse informazioni sull’oggetto dell’indagine e sulle deduzioni dell’OLAF in proposito. Egli ritiene che avrebbe dovuto essere informato, in quanto persona interessata, in modo preciso e chiaro su ciascun fatto che lo riguardava. Orbene, il ricorrente non sarebbe stato informato in modo definitivo e dettagliato delle deduzioni presentate contro di lui e dei fatti che gli erano addebitati, né delle accuse e delle informazioni trasmesse alla DG Società dell’informazione e alle autorità greche, e non avrebbe avuto la possibilità di difendersi e di essere ascoltato su tali fatti né di confutare eventuali deduzioni erronee.

226    La Commissione contesta tali deduzioni.

227    A tal proposito, va sottolineato che, con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dei suoi diritti della difesa attraverso sostanzialmente due censure. Da un lato, egli non sarebbe stato informato in modo preciso e chiaro su ogni fatto addebitatogli e dunque non avrebbe avuto la possibilità di essere sentito su tali fatti; dall’altro, egli non avrebbe avuto accesso né al fascicolo dell’OLAF, prima che quest’ultimo redigesse la propria relazione menzionandovi il suo nome, né alla stessa relazione definitiva.

228    Innanzitutto, si deve ricordare che, secondo giurisprudenza costante, il rispetto dei diritti della difesa in tutti i procedimenti avviati contro una persona e che possono sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale di diritto dell’Unione che deve essere garantito anche in assenza di una normativa specifica. Tale principio richiede che il destinatario di una decisione recante pregiudizio dev’essere messo in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sugli elementi a suo carico presi in considerazione dalla Commissione per motivare la propria decisione (v., in tal senso, sentenza del 24 ottobre 1996, Commissione/Lisrestal e a., C‑32/95 P, EU:C:1996:402, punto 21).

229    In primo luogo, riguardo alla censura secondo cui il ricorrente non sarebbe stato informato in modo sufficientemente chiaro sui fatti addebitatigli e dunque non avrebbe avuto la possibilità di essere sentito su tali fatti, si deve innanzitutto constatare che non esiste nessuna normativa che preveda un obbligo di informazione nei confronti delle persone sottoposte ad indagini esterne dell’OLAF. Per quanto attiene invece alle indagini interne, l’articolo 4, intitolato «Informazione dell’interessato», della decisione 1999/396/CE, CECA, Euratom della Commissione, del 2 giugno 1999, riguardante le condizioni e le modalità delle indagini interne in materia di lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità (GU 1999, L 149, pag. 57), dispone quanto segue:

«Qualora si manifesti la possibilità di coinvolgimento personale di un membro, di un funzionario o di un agente della Commissione, l’interessato viene prontamente informato, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine (…).

Nei casi in cui ai fini dell’indagine sia necessaria la massima segretezza e si debba ricorrere ai mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, l’esecuzione dell’obbligo di invitare il membro, il funzionario o l’agente della Commissione ad esprimersi può essere differita con il consenso del presidente della Commissione o del segretario generale della medesima».

230    Il Tribunale ha a suo tempo stabilito che il rispetto dei diritti della difesa era sufficientemente garantito nell’ambito di un’indagine interna dell’OLAF ove tale organo agisse conformemente all’articolo 4 della decisione 1999/396 (sentenza del 12 settembre 2007, Nikolaou/Commissione, T‑259/03, non pubblicata, EU:T:2007:254, punto 245).

231    Lo stesso vale per i procedimenti d’indagine esterna dell’OLAF. Pertanto, nell’ambito di simili indagini, il rispetto dei diritti della difesa è sufficientemente garantito ove, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4 della decisione 1999/396, l’interessato venga prontamente informato del suo possibile coinvolgimento personale nei fatti di frode, di corruzione o in attività illecite lesive degli interessi dell’Unione, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine.

232    Nella fattispecie, si deve ricordare che, già nel luglio 2011, l’OLAF aveva inviato una lettera al ricorrente in cui lo informava di essere persona interessata dall’indagine riguardante il progetto GR/RESEARCH-INFSO-FP6-Robotics and informatics. In tale lettera, l’OLAF chiedeva chiaramente al ricorrente di fornire spiegazioni e informazioni sul coinvolgimento della Zenon e della Comeng nei progetti di ricerca del sesto programma quadro. Con la medesima lettera, l’OLAF invitava il ricorrente ad un’audizione finalizzata ad offrirgli la «possibilità di esprimere [le sue] opinioni e commenti sull’insieme dei fatti che [lo] riguardano in quanto parte interessata». Per facilitare l’audizione, l’OLAF precisava che il ricorrente era invitato a raccogliere i documenti necessari riguardanti il coinvolgimento della Zenon e della Comeng in tali progetti di ricerca dell’Unione, vale a dire le copie delle fatture emesse dalla Comeng alla Zenon, le ricevute dei pagamenti, le copie dei contratti di servizi stipulati tra la Zenon e la Comeng, le copie dei documenti relativi ai lavori realizzati dai consulenti per conto della Comeng, le copie dei fogli di presenza certificanti le ore di lavoro effettuate dai consulenti oltre che le copie dei contratti di servizi conclusi tra la Comeng e altre imprese quali [riservato] (2).

233    L’OLAF precisava altresì che il ricorrente aveva il diritto di essere assistito da un consulente legale o da un altro rappresentante, che, al termine dell’audizione, gli sarebbe stato chiesto di leggerne il resoconto e, nel caso concordasse con il suo contenuto, di sottoscriverlo, che l’audizione poteva essere utilizzata nell’ambito di un procedimento amministrativo, disciplinare, giudiziario o penale e che l’indagine poteva sfociare in un recupero finanziario o nel rinvio della causa dinanzi alle autorità disciplinari dell’Unione o alle autorità giudiziarie nazionali competenti.

234    Il 7 settembre 2011, due rappresentanti dell’OLAF incontravano il ricorrente presso il suo domicilio. Dal resoconto dell’incontro sottoscritto dalle parti risulta che il ricorrente era stato immediatamente informato del fatto che l’OLAF intendeva verificare i fatti essenziali e raccogliere le informazioni sui rapporti tra la Zenon e la Comeng nell’ambito dell’esecuzione dei contratti del sesto programma quadro. A tal riguardo, va evidenziato che il resoconto rivela innanzitutto [riservato].

235    Con lettera del 19 settembre 2012, l’OLAF informava il ricorrente della chiusura dell’indagine e che vi era motivo di ritenere che fossero stati commessi reati contro gli interessi finanziari dell’Unione. La lettera precisava che, sulla base delle conclusioni dell’indagine, l’OLAF aveva raccomandato alle autorità giudiziarie greche competenti di avviare un procedimento giudiziario.

236    Alla luce di tutti gli elementi considerati, si deve ritenere che, nelle circostanze del caso di specie, il ricorrente è stato compiutamente informato delle motivazioni dell’indagine esterna condotta dall’OLAF, oltre che dei motivi per cui egli era considerato persona interessata da tale indagine, e che il medesimo ha avuto la possibilità di essere sufficientemente sentito. In particolare, dalla relazione sul colloquio emerge che egli era pienamente consapevole [riservato].

237    Di conseguenza, la censura secondo cui il ricorrente non sarebbe stato informato in modo chiaro dei fatti che gli erano addebitati e dunque non avrebbe avuto la possibilità di essere sentito su tali fatti dev’essere respinta.

238    In secondo luogo, alla luce di tale contesto, dev’essere parimenti respinta la censura del ricorrente secondo cui egli non avrebbe avuto accesso né al fascicolo dell’OLAF né alla stessa relazione definitiva.

239    Infatti, per quanto riguarda innanzitutto l’accesso al fascicolo dell’OLAF, va considerato che quest’ultimo non è tenuto a consentire alla persona interessata da un’indagine esterna l’accesso ai documenti oggetto di tale indagine o a quelli redatti dallo stesso OLAF in tale occasione; diversamente, si rischierebbe di compromettere l’efficacia e la riservatezza del compito affidato all’OLAF e la stessa indipendenza di tale organo. Infatti, il rispetto dei diritti della difesa del ricorrente è stato sufficientemente garantito dall’informazione che ha ricevuto (v., per analogia, ordinanza del 18 dicembre 2003, Gómez-Reino/Commissione, T‑215/02, EU:T:2003:352, punto 65, e sentenze del 12 settembre 2007, Nikolaou/Commissione, T‑259/03, non pubblicata, EU:T:2007:254, punto 241, e dell’8 luglio 2008 Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 255) e dal fatto di essere stato sentito nell’ambito dell’audizione.

240    Per quanto riguarda, poi, l’accesso alla relazione finale di un’indagine esterna, non esiste nessuna disposizione che preveda in capo all’OLAF un siffatto obbligo. Quanto al principio del contraddittorio, l’esistenza di una sua violazione da parte dell’OLAF può essere dimostrata solo nel caso in cui la relazione finale venga pubblicata o sia seguita dall’adozione di un atto recante pregiudizio (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 12 settembre 2007, Nikolaou/Commissione, T‑259/03, non pubblicata, EU:T:2007:254, punti 267 e 268, e dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, EU:T:2008:257, punto 259).

241    Qualora le destinatarie delle relazioni definitive, vale a dire la Commissione e le autorità giudiziarie greche, intendessero adottare un siffatto atto nei confronti del ricorrente basandosi sulla relazione definitiva, spetterebbe eventualmente a tali autorità consentire al ricorrente l’accesso a tali documenti secondo le loro rispettive norme procedurali e non all’OLAF.

[omissis]

243    Di conseguenza, la Commissione non ha commesso alcuna violazione dei diritti della difesa del ricorrente e il terzo motivo dev’essere pertanto respinto.

 Sul danno e il nesso di causalità

[omissis]

247    A tal proposito, si deve constatare che il ricorrente è riuscito a dimostrare la violazione dell’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 (v. punti da 98 a 102 e 172 supra). Il ricorrente non è però riuscito a dimostrare l’esistenza di un qualsivoglia nesso causale tra tale violazione e i danni dedotti. Di fatto, egli non ha addotto alcun argomento utile a comprendere come, nel caso di specie, la notifica tardiva che informava il responsabile della protezione dei dati del trattamento dei dati personali del ricorrente avrebbe leso la reputazione del medesimo e ne avrebbe determinato la cessazione delle attività in campo professionale e l’interruzione in quello accademico. Egli non ha neanche precisato sotto quale profilo tale notifica tardiva gli avrebbe cagionato un qualsivoglia danno morale. Pertanto, in quanto basata sulla violazione summenzionata, la domanda di risarcimento danni dev’essere respinta poiché infondata.

248    Alla luce delle considerazioni che precedono, la domanda di risarcimento danni dev’essere respinta in quanto infondata.

[omissis]

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. Athanassios Oikonomopoulos è condannato alle spese, incluse quelle attinenti al procedimento sommario.

Prek

Labucka

Kreuschitz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 luglio 2016.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese


1 –      Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale.


2 –      Dati riservati occultati.