Language of document : ECLI:EU:T:2017:753

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

26 ottobre 2017 (*)

«Concorrenza – Concentrazioni – Decisione che infligge un’ammenda per la realizzazione di un’operazione di concentrazione prima della sua notifica e della sua autorizzazione – Articolo 4, paragrafo 1, articolo 7, paragrafi 1 e 2, e articolo 14 del regolamento (CE) n. 139/2004 – Negligenza – Principio del ne bis in idem – Gravità dell’infrazione – Importo dell’ammenda»

Nella causa T‑704/14,

Marine Harvest ASA, con sede in Bergen (Norvegia), rappresentata da R. Subiotto, QC,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da M. Farley, C. Giolito e F. Jimeno Fernández, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto la domanda basata sull’articolo 263 TFUE e diretta, in via principale, all’annullamento della decisione C(2014) 5089 final della Commissione, del 23 luglio 2014, che infligge un’ammenda per la realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 139/2004 (caso COMP/M.7184 – Marine Harvest/Morpol), e, in subordine, all’annullamento o alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da A. Dittrich (relatore), presidente, J. Schwarcz e V. Tomljenović, giudici,

cancelliere: C. Heeren, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 15 settembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        La ricorrente, la Marine Harvest ASA, è una società di diritto norvegese quotata alla Borsa di Oslo (Norvegia) e alla Borsa di New York (Stati Uniti), che pratica l’allevamento e la trasformazione primaria del salmone in Canada, in Cile, in Scozia, nelle Isole Faroe, in Irlanda e in Norvegia nonché l’allevamento e la trasformazione primaria dell’ippoglosso bianco in Norvegia. La ricorrente svolge anche attività di trasformazione secondaria in Belgio, in Cile, negli Stati Uniti, in Francia, in Irlanda, in Giappone, in Norvegia, nei Paesi Bassi, in Polonia e nella Repubblica ceca.

A.      Acquisizione della Morpol da parte della ricorrente

2        Il 14 dicembre 2012 la ricorrente ha concluso un contratto di acquisizione di azioni («Share Purchase Agreement»; in prosieguo: l’«SPA») con la Friendmall Ltd e la Bazmonta Holding Ltd relativo alla cessione delle azioni che tali società detenevano nel capitale della Morpol ASA.

3        La Morpol è un produttore e un trasformatore norvegese di salmone. Essa produce salmone di allevamento e offre un’ampia gamma di prodotti a valore aggiunto derivati dal salmone. Essa pratica l’allevamento e la trasformazione primaria del salmone in Scozia e in Norvegia. Svolge anche attività di trasformazione secondaria in Polonia, nel Regno Unito e in Vietnam. Prima della sua acquisizione da parte della ricorrente, la Morpol era quotata alla Borsa di Oslo.

4        La Friendmall e la Bazmonta Holding erano società private a responsabilità limitata costituite e registrate a Cipro. Le due società erano controllate da un’unica persona, il sig. M., fondatore ed ex amministratore delegato della Morpol.

5        Grazie all’SPA, la ricorrente ha acquisito una partecipazione nella Morpol pari a circa il 48,5% del capitale sociale della Morpol. La conclusione di tale acquisizione (in prosieguo: l’«acquisizione del dicembre 2012») ha avuto luogo il 18 dicembre 2012.

6        Il 17 dicembre 2012 la ricorrente ha annunciato, mediante un avviso di Borsa, che avrebbe lanciato un’offerta pubblica di acquisto per le azioni restanti della Morpol. Il 15 gennaio 2013 la ricorrente ha presentato, conformemente alla legge norvegese relativa alla negoziazione dei titoli, tale offerta pubblica obbligatoria di acquisto per le azioni restanti della Morpol, pari al 51,5% delle azioni della società. Secondo le disposizioni della legge norvegese, l’acquirente di più di un terzo delle azioni di una società quotata in Borsa è tenuto a presentare un’offerta obbligatoria per le azioni restanti di tale società.

7        Il 23 gennaio 2013 il consiglio di amministrazione della Morpol ha nominato un nuovo amministratore delegato in sostituzione del sig. M., in quanto quest’ultimo, nel frattempo, aveva rassegnato le dimissioni con effetto a decorrere dal 1o marzo 2013, a seguito di un impegno assunto a tal fine, incluso nell’SPA.

8        Dopo il perfezionamento e l’esecuzione dell’offerta pubblica di acquisto il 12 marzo 2013, la ricorrente deteneva in totale l’87,1% delle azioni della Morpol. Pertanto, grazie all’offerta pubblica di acquisto, la ricorrente ha acquisito azioni costituenti circa il 38,6% del capitale della Morpol, oltre alle azioni costituenti il 48,5% del capitale della Morpol, che essa aveva già ottenuto mediante l’acquisizione del dicembre 2012.

9        L’acquisizione delle azioni restanti della Morpol è stata effettuata il 12 novembre 2013. Il 15 novembre 2013 un’assemblea generale straordinaria ha deciso di chiedere la cancellazione delle azioni dal listino della Borsa di Oslo, di ridurre il numero dei membri del consiglio di amministrazione e di sopprimere il comitato di nomina. Il 28 novembre 2013 la Morpol non era più quotata alla Borsa di Oslo.

B.      Fase di prenotifica

10      Il 21 dicembre 2012 la ricorrente ha inviato alla Commissione europea una domanda di nomina di un gruppo di lavoro incaricato di esaminare il suo fascicolo riguardo all’acquisizione del controllo esclusivo della Morpol. In tale domanda la ricorrente ha reso noto alla Commissione che l’acquisizione del dicembre 2012 si era conclusa e che essa non avrebbe esercitato i suoi diritti di voto prima dell’adozione della decisione della Commissione.

11      La Commissione ha chiesto che si tenesse una videoconferenza con la ricorrente, la quale ha avuto luogo il 25 gennaio 2013. Durante la videoconferenza, la Commissione ha chiesto informazioni sulla struttura dell’operazione e chiarimenti riguardo alla questione se l’acquisizione del dicembre 2012 potesse aver già conferito alla ricorrente il controllo della Morpol.

12      Il 12 febbraio 2013 la Commissione ha inviato alla ricorrente una richiesta di informazioni sull’eventuale acquisizione di un controllo di fatto della Morpol in seguito all’acquisizione del 2012. Essa ha altresì chiesto che le venissero forniti l’ordine del giorno e il verbale delle assemblee generali della Morpol e delle riunioni del consiglio di amministrazione della Morpol degli ultimi tre anni. La ricorrente ha risposto in parte a tale richiesta il 19 febbraio 2013 e ha fornito una risposta completa alla medesima richiesta il 25 febbraio 2013.

13      Il 5 marzo 2013 la ricorrente ha presentato un primo progetto di formulario di notifica, quale previsto nell’allegato I del regolamento (CE) n. 802/2004 della Commissione, del 21 aprile 2004, di esecuzione del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU 2004, L 133, pag. 1) (in prosieguo: il «primo progetto di formulario CO»). Il primo progetto di formulario CO riguardava essenzialmente un mercato globale comprendente l’allevamento nonché la trasformazione primaria e secondaria del salmone di qualsiasi origine.

14      Il 14 marzo 2013 la Commissione ha inviato alla ricorrente una richiesta di informazioni complementari riguardante il primo progetto di formulario CO. Il 16 aprile 2013 la ricorrente ha risposto a tale richiesta di informazioni. La Commissione ha ritenuto che tale risposta fosse incompleta e ha inviato altre richieste di informazioni il 3 maggio, il 14 giugno e il 10 luglio 2013. La ricorrente ha risposto a tali richieste, rispettivamente, il 6 giugno, il 3 e il 26 luglio 2013.

C.      Notifica e decisione che autorizza la concentrazione salvo il rispetto di taluni impegni

15      Il 9 agosto 2013 l’operazione è stata notificata ufficialmente alla Commissione.

16      Nel corso di una riunione sullo stato di avanzamento dei lavori, che si è tenuta il 3 settembre 2013, la Commissione ha informato la ricorrente e la Morpol del fatto che essa nutriva seri dubbi sulla compatibilità dell’operazione con il mercato interno per quanto riguardava il mercato potenziale del salmone scozzese.

17      Al fine di sciogliere i seri dubbi sollevati dalla Commissione, la ricorrente ha proposto, il 9 settembre 2013, l’assunzione di impegni, conformemente all’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU 2004, L 24, pag. 1). La Commissione ha subordinato tali impegni iniziali a una consultazione del mercato. A seguito di determinate modifiche, il 25 settembre 2013 è stata presentata una serie di impegni finali. La ricorrente si è impegnata a cedere circa tre quarti della capacità di allevamento del salmone scozzese che si sovrapponeva tra le parti della concentrazione, dissipando così i seri dubbi sollevati dalla Commissione.

18      Il 30 settembre 2013 la Commissione ha adottato la decisione C(2013) 6449 (caso COMP/M.6850 – Marine Harvest/Morpol) (in prosieguo: la «decisione di autorizzazione»), conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), e paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, che autorizzava l’operazione di concentrazione salvo il rispetto integrale degli impegni proposti.

19      Nella decisione di autorizzazione la Commissione ha constatato che l’acquisizione del dicembre 2012 aveva già conferito alla ricorrente il controllo esclusivo di fatto della Morpol. Essa ha affermato che non si poteva escludere una violazione dell’obbligo dello status quo, previsto all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, e dell’obbligo di notifica, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, di detto regolamento. Essa ha altresì rilevato che poteva esaminare, nell’ambito di un procedimento distinto, se occorresse applicare una sanzione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

D.      Decisione impugnata e procedimento che ha portato alla sua adozione

20      In una lettera del 30 gennaio 2014 la Commissione ha comunicato alla ricorrente che era in corso un’indagine riguardante le eventuali violazioni dell’articolo 7, paragrafo 1, e dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

21      Il 31 marzo 2014 la Commissione ha inviato una comunicazione degli addebiti alla ricorrente, conformemente all’articolo 18 del regolamento n. 139/2004 (in prosieguo: la «comunicazione degli addebiti»). Nella comunicazione degli addebiti la Commissione è giunta alla conclusione preliminare secondo la quale la ricorrente aveva violato intenzionalmente, o quantomeno per negligenza, l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

22      Il 30 aprile 2014 la ricorrente ha presentato la sua risposta alla comunicazione degli addebiti. Il 6 maggio 2014 la ricorrente ha presentato gli argomenti contenuti nella sua risposta nel corso di un’audizione. Il 7 luglio 2014 si è tenuta una riunione del comitato consultivo in materia di concentrazioni tra imprese.

23      Il 23 luglio 2014 la Commissione ha adottato la decisione C(2014) 5089 final, che infligge un’ammenda per la realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 (caso COMP/M.7184 – Marine Harvest/Morpol) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

24      I primi tre articoli del dispositivo della decisione impugnata così recitano:

«Articolo 1

Nel realizzare una concentrazione di dimensione comunitaria durante il periodo compreso fra il 18 dicembre 2012 e il 30 settembre 2013, prima che tale concentrazione fosse stata notificata e dichiarata compatibile con il mercato interno, [la ricorrente] ha violato l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 139/2004.

Articolo 2

È inflitta un’ammenda di EUR 10 000 000 alla [ricorrente] per la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 139/2004 di cui all’articolo 1.

Articolo 3

È inflitta un’ammenda di EUR 10 000 000 alla [ricorrente] per la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 139/2004 di cui all’articolo 1».

25      Nella decisione impugnata la Commissione ha ritenuto, anzitutto, che la ricorrente avesse acquisito il controllo esclusivo di fatto della Morpol dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012, in quanto la ricorrente avrebbe avuto la quasi certezza di ottenere la maggioranza alle assemblee generali, tenuto conto del suo tasso di partecipazione (48,5%) e del tasso di presenza di altri azionisti alle assemblee generali nel corso degli esercizi precedenti.

26      La Commissione ha poi ritenuto che l’acquisizione del dicembre 2012 non beneficiasse dell’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. A tal riguardo, essa ha rilevato che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 si applicava solo a offerte pubbliche di acquisto o di scambio o ad operazioni con le quali il controllo ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 139/2004 era acquisito «rilevandolo da più venditori» mediante una serie di transazioni su valori mobiliari. Secondo la Commissione, nella fattispecie, la partecipazione di controllo è stata acquisita presso un unico venditore, ossia il sig. M., attraverso la Friendmall e la Bazmonta Holding, grazie all’acquisizione del dicembre 2012.

27      Secondo la Commissione, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è destinato a trovare applicazione in situazioni nelle quali l’acquisizione di un ingente pacchetto azionario viene realizzata presso un unico venditore e in cui è agevole dimostrare, in base ai voti espressi nel corso delle assemblee generali ordinarie e straordinarie precedenti, che tale pacchetto azionario conferisce un controllo esclusivo di fatto della società oggetto dell’operazione.

28      La Commissione ha inoltre rilevato che l’acquisizione del dicembre 2012, che si era conclusa il 18 dicembre 2012, non rientrava nell’esecuzione dell’offerta pubblica di acquisto, la quale è stata eseguita tra il 15 gennaio e il 26 febbraio 2013. Essa ha ritenuto che la circostanza che l’acquisizione del dicembre 2012 poteva aver fatto sorgere l’obbligo, per la ricorrente, di lanciare l’offerta pubblica di acquisto per le azioni restanti della Morpol era irrilevante, in quanto era già stato acquisito il controllo di fatto attraverso un unico venditore.

29      La Commissione ha inoltre ritenuto che sembrassero inappropriati i rinvii, da parte della ricorrente, a fonti giuridiche secondo le quali «più fasi unitarie» sarebbero state considerate come costituenti un’unica concentrazione quando erano oggetto, di diritto o di fatto, di un vincolo condizionale. Essa ha sottolineato che la ricorrente aveva acquisito il controllo della Marpol attraverso un unico acquisto del 48,5% delle azioni della Morpol e non già attraverso operazioni parziali multiple riguardanti elementi del patrimonio costituenti, in definitiva, un’unica entità economica.

30      La Commissione ha rilevato che, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004, nel determinare l’ammontare dell’ammenda, occorreva tener conto del tipo, della gravità e della durata dell’infrazione.

31      Essa ha ritenuto che qualsiasi violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituisse, per sua natura, un’infrazione grave.

32      Nella valutazione della gravità dell’infrazione la Commissione ha tenuto conto del fatto che, a suo avviso, l’infrazione era stata commessa dalla ricorrente per negligenza, che la concentrazione in questione sollevava seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno, nonché del fatto che esistevano casi precedenti di infrazioni procedurali riguardanti la ricorrente e altre società.

33      Per quanto attiene alla durata dell’infrazione, la Commissione ha rilevato che una violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituiva un’infrazione istantanea e che quest’ultima era stata commessa, nella fattispecie, il 18 dicembre 2012, ossia alla data di realizzazione della concentrazione. Essa ha inoltre ritenuto che una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituisse un’infrazione continuata e che tale violazione si fosse protratta, nella fattispecie, dal 18 dicembre 2012 sino al 30 settembre 2013, ossia dalla data di realizzazione dell’acquisizione del dicembre 2012 sino alla data della sua autorizzazione. Secondo la Commissione, la durata di nove mesi e dodici giorni era particolarmente lunga.

34      La Commissione ha considerato, quale circostanza attenuante, il fatto che la ricorrente non aveva esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol e che l’aveva mantenuta come entità separata dalla ricorrente durante il procedimento di controllo della concentrazione.

35      Essa ha altresì considerato come circostanza attenuante il fatto che la ricorrente aveva presentato una domanda di nomina di un gruppo di lavoro qualche giorno dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012.

36      Per contro, la Commissione non ha ritenuto che esistessero circostanze aggravanti.

37      La Commissione ha ritenuto che, nel caso di un’impresa delle dimensioni della ricorrente, l’importo della sanzione dovesse essere consistente per avere un effetto dissuasivo. Ciò sarebbe tanto più vero quando l’operazione di concentrazione in questione abbia sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

38      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 3 ottobre 2014, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

39      Con atto separato, depositato lo stesso giorno presso la cancelleria del Tribunale, la ricorrente ha chiesto al Tribunale, conformemente all’articolo 76 bis del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, di statuire mediante procedimento accelerato. Con lettera del 17 ottobre 2014, la Commissione ha presentato le sue osservazioni in merito a tale domanda. Con decisione del 23 ottobre 2014, il Tribunale ha respinto l’istanza di procedimento accelerato.

40      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di avviare la fase orale del procedimento. Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del suo regolamento di procedura, il Tribunale ha rivolto quesiti scritti alle parti e ha chiesto alla Commissione di produrre taluni documenti. Le parti hanno risposto ai quesiti scritti e la Commissione ha prodotto i documenti richiesti.

41      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        in subordine, annullare le ammende inflitte alla ricorrente ai sensi della decisione impugnata;

–        in ulteriore subordine, ridurre considerevolmente le ammende inflitte alla ricorrente ai sensi della decisione impugnata;

–        in ogni caso, condannare la Commissione alle spese;

–        adottare qualsiasi altra misura che il Tribunale ritenga opportuna.

42      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere integralmente il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

III. In diritto

43      A sostegno del ricorso, la ricorrente deduce cinque motivi. Il primo motivo verte su un errore manifesto di diritto e di fatto, in quanto la decisione impugnata ha respinto l’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Il secondo motivo verte su un errore manifesto di diritto e di fatto in quanto la decisione impugnata conclude che la ricorrente è stata negligente. Il terzo motivo verte sulla violazione del principio generale del ne bis in idem. Il quarto motivo verte su un errore manifesto di diritto e di fatto commesso infliggendo ammende alla ricorrente. Infine, il quinto motivo verte su un errore manifesto di diritto e di fatto e su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dei livelli delle ammende.

A.      Sul primo motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto, in quanto la decisione impugnata ha respinto l’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

44      Il primo motivo si articola in quattro parti. La prima verte sul fatto che la decisione impugnata è errata in diritto e in fatto in quanto ha respinto la nozione di concentrazione unica nell’ambito della sua interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La seconda parte verte su un’errata interpretazione, in fatto e in diritto, del dettato dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La terza parte verte su un’errata interpretazione della ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Infine, la quarta parte verte sul fatto che la ricorrente si è conformata all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

45      Nella fattispecie, occorre esaminare congiuntamente le prime tre parti del primo motivo, che riguardano tutte la questione dell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

1.      Sulle prime tre parti del primo motivo

a)      Osservazioni preliminari

46      Va ricordato, anzitutto, che l’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004 prevede quanto segue:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle persone di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), o alle imprese interessate ammende fino a concorrenza del 10% del fatturato totale realizzato dall’impresa interessata, quale definita all’articolo 5, quando intenzionalmente o per negligenza:

a)      omettano di notificare una concentrazione conformemente all’articolo 4 e all’articolo 22, paragrafo 3, prima della sua realizzazione, a meno che vi siano espressamente autorizzate dall’articolo 7, paragrafo 2, o mediante decisione adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 3;

b)      realizzino una concentrazione violando l’articolo 7».

47      Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 139/2004, «[l]e concentrazioni di dimensione comunitaria di cui al presente regolamento sono notificate alla Commissione prima della loro realizzazione e dopo la conclusione dell’accordo, la comunicazione dell’offerta d’acquisto o di scambio o l’acquisizione di una partecipazione di controllo».

48      Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento, «[u]na concentrazione di dimensione comunitaria (…) non può essere realizzata prima di essere notificata, né prima di essere stata dichiarata compatibile con il mercato [interno] da una decisione adottata a norma dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), o dell’articolo 8, paragrafo 1 o paragrafo 2, ovvero sulla base della presunzione di cui all’articolo 10, paragrafo 6».

49      Inoltre, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004:

«1.      Si ha una concentrazione quando si produce una modifica duratura del controllo a seguito:

(…)

b)      dell’acquisizione, da parte di una o più persone che già detengono il controllo di almeno un’altra impresa, o da parte di una o più imprese, sia tramite acquisto di partecipazioni nel capitale o di elementi del patrimonio, sia tramite contratto o qualsiasi altro mezzo, del controllo diretto o indiretto dell’insieme o di parti di una o più altre imprese».

50      Infine, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, «[s]i ha controllo in presenza di diritti, contratti o altri mezzi che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto o di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’impresa».

51      Nella fattispecie, va constatato anzitutto che, grazie all’acquisizione del dicembre 2012, la ricorrente ha acquisito una partecipazione nella Morpol pari a circa il 48,5% del capitale sociale della Morpol.

52      Come ha constatato la Commissione al punto 55 della decisione impugnata, senza essere contraddetta su tale punto dalla ricorrente, all’epoca dell’acquisizione del dicembre 2012, la Morpol era una società per azioni norvegese e, a tale titolo, i diritti di voto erano attribuiti secondo il principio «un’azione dà diritto a un voto». Una semplice maggioranza delle azioni presenti e votanti nelle assemblee generali era quindi sufficiente per adottare una mozione, salvo che per alcune operazioni che necessitavano della maggioranza qualificata di due terzi.

53      La Commissione ha inoltre rilevato correttamente, al punto 57 della decisione impugnata, che un azionista di minoranza può essere considerato detentore di un controllo esclusivo di fatto, in particolare quando quest’ultimo ha la quasi certezza di ottenere la maggioranza alle assemblee generali, tenuto conto del suo tasso di partecipazione e del tasso di presenza di altri azionisti alle assemblee generali nel corso degli esercizi precedenti (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punti da 45 a 48).

54      La Commissione ha poi rilevato che il sig. M. (attraverso la Friendmall e la Bazmonta Holding) ha sempre rappresentato una netta maggioranza dei voti espressi nelle assemblee generali e che il resto del capitale della Morpol era assai disperso, il che implicherebbe che i restanti azionisti non avrebbero potuto formare una minoranza di blocco atta a dominare il potere decisionale del sig. M., in particolare a causa dello scarso numero di tali azionisti partecipanti alle assemblee generali.

55      La Commissione ha quindi concluso, senza essere contraddetta su tale punto dalla ricorrente, che prima dell’acquisizione del dicembre 2012 il sig. M. esercitava il controllo esclusivo di fatto della Morpol attraverso le sue partecipazioni nella Friendmall e nella Bazmonta Holding.

56      Infine, la Commissione ha concluso correttamente che l’acquisizione del dicembre 2012 aveva conferito alla ricorrente gli stessi diritti e le stesse possibilità di esercitare un’influenza determinante sulla Morpol di cui beneficiava in precedenza il sig. M. attraverso la Friendmall e la Bazmonta Holding.

57      Risulta da quanto precede che la Commissione ha constatato correttamente, al punto 68 della decisione impugnata, che la ricorrente aveva acquisito il controllo della Morpol dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012.

58      La ricorrente sottolinea ripetutamente, anche se in altri contesti, che essa non ha esercitato i suoi diritti di voto prima dell’autorizzazione della concentrazione da parte della Commissione. A tal riguardo, va constatato che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, si ha controllo, segnatamente, in presenza di diritti che conferiscono la «possibilità» di esercitare un’influenza determinante sull’attività di un’impresa. Il fatto determinante è quindi l’acquisizione di tale controllo in senso formale e non l’esercizio effettivo di siffatto controllo (v., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 189). Il fatto che la titolarità dei diritti di voto conferisse alla ricorrente il controllo di fatto della Morpol non è rimesso in discussione dalla circostanza che la ricorrente non ha esercitato i suoi diritti di voto prima dell’autorizzazione della concentrazione.

59      Come ha rilevato la Commissione ai punti 72 e 73 della decisione impugnata, taluni articoli dell’SPA sembravano sottintendere che la ricorrente avrebbe esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione dalle autorità garanti della concorrenza. Tuttavia, l’SPA non contiene alcuna disposizione che impedisca alla ricorrente di esercitare i suoi diritti di voto in attesa dell’autorizzazione. La ricorrente sarebbe stata quindi libera di esercitare i suoi diritti di voto nella Morpol in qualsiasi momento dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012.

60      La ricorrente ha del resto confermato, in risposta a un quesito del Tribunale posto in udienza, che essa non contestava il fatto che l’acquisizione della partecipazione del 48,5% della Morpol le aveva conferito il controllo della Morpol ai sensi del regolamento n. 139/2004.

61      Come ha rilevato la Commissione ai punti 8, 13 e 66 della decisione impugnata, la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012 ha avuto luogo il 18 dicembre 2012. La ricorrente riconosce, al punto 13 dell’atto introduttivo del ricorso, che, il 18 dicembre 2012, è stato concluso l’SPA e le azioni possedute dal sig. M. nella Morpol sono state trasferite alla ricorrente.

62      La ricorrente non contesta il fatto che la concentrazione di cui trattasi era una concentrazione di dimensione comunitaria.

63      Dato che ha ottenuto il controllo della Morpol grazie all’acquisizione del dicembre 2012, la ricorrente avrebbe dovuto, in via di principio, in forza dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, notificare tale concentrazione alla Commissione prima della sua realizzazione e non realizzarla prima che questa fosse dichiarata compatibile con il mercato interno dalla Commissione.

64      Dalle precedenti constatazioni risulta che la questione pertinente ai fini dell’esame delle prime tre parti del primo motivo è quella di stabilire se l’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fosse applicabile nella fattispecie.

b)      Sull’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

65      L’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 dispone quanto segue:

«Il paragrafo 1 non osta alla esecuzione di un’offerta pubblica o di una serie di transazioni su valori mobiliari, compresi quelli convertibili in altri valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato, quale una [B]orsa valori, per effetto delle quali si acquisisce il controllo, ai sensi dell’articolo 3, rilevandolo da più venditori, a condizione che:

a)      la concentrazione sia notificata senza ritardo alla Commissione a norma dell’articolo 4; e

b)      l’acquirente non eserciti i diritti di voto inerenti ai valori mobiliari in questione o li eserciti soltanto ai fini di mantenere il pieno valore dei suoi investimenti in base a una deroga accordata dalla Commissione conformemente al paragrafo 3».

66      L’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 prevede quindi due fattispecie: una relativa a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio (prima fattispecie) e l’altra relativa a una serie di transazioni su valori mobiliari (seconda fattispecie).

67      In risposta a un quesito posto a tal proposito in udienza, la ricorrente ha precisato che essa fondava il proprio ragionamento sulla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, circostanza di cui si è preso atto nel verbale di udienza.

1)      Sul fatto che la concentrazione di cui trattasi non rientra nel dettato dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

68      Occorre ricordare che, in base alla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, «[i]l paragrafo 1 non osta alla esecuzione di un’offerta pubblica», a condizione che la concentrazione sia notificata senza ritardo e che l’acquirente non eserciti i suoi diritti di voto prima che la concentrazione sia autorizzata.

69      Nella fattispecie, va rilevato che la Commissione non ha constatato che la ricorrente aveva violato l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 nell’eseguire l’offerta pubblica di acquisto. Essa ha constatato che la ricorrente aveva violato l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 con l’acquisizione del dicembre 2012. Occorre ricordare che l’offerta pubblica di acquisto è stata presentata soltanto il 15 gennaio 2013, ossia dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012.

70      Il fatto che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, il paragrafo 1 del medesimo articolo non osta alla esecuzione di un’offerta pubblica di acquisto è quindi, in via di principio, irrilevante nella presente causa.

71      La prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 consente, in talune circostanze, l’esecuzione di un’offerta pubblica prima della notifica e dell’autorizzazione, anche se quest’ultima costituisce una concentrazione di dimensione comunitaria. Secondo il suo dettato, tale disposizione non consente tuttavia l’esecuzione di un’acquisizione privata.

72      Si deve quindi constatare che, in base al suo dettato, la prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile nel caso di specie.

73      Sebbene la ricorrente abbia precisato, in udienza, che essa si basava sulla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, occorre rilevare che la concentrazione di cui trattasi non rientra neppure nella formulazione della seconda fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

74      In base alla seconda fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, «[i]l paragrafo 1 non osta alla esecuzione di (…) transazioni su valori mobiliari, compresi quelli convertibili in altri valori mobiliari ammessi alla negoziazione in un mercato, quale una [B]orsa valori, per effetto delle quali si acquisisce il controllo, ai sensi dell’articolo 3, rilevandolo da più venditori», purché siano soddisfatte talune condizioni.

75      Va constatato che, nella fattispecie, la ricorrente ha acquisito il controllo della Morpol attraverso un unico venditore mediante un’unica transazione su valori mobiliari, ossia l’acquisizione del dicembre 2012, come ha rilevato la Commissione al punto 101 della decisione impugnata.

76      Infatti, dato che il sig. M. controllava, all’epoca, la Friendmall e la Bazmonta Holding, il sig. M. era l’unico venditore delle azioni della Morpol.

77      A tal riguardo, la ricorrente ha fatto valere, in udienza, che, nella decisione del 26 febbraio 2007 (caso LGI/Telenet – COMP/M.4521) (in prosieguo: la «decisione LGI/Telenet»), la Commissione non aveva sollevato la questione del soggetto che controllava, in definitiva, le entità che avevano venduto le azioni della società Telenet. Secondo la ricorrente, tali entità, ossia enti intercomunali, erano controllate in definitiva dalla regione fiamminga. La ricorrente ha sottolineato che, nella fattispecie, la Commissione si era basata sulla circostanza secondo la quale la Friendmall e la Bazmonta Holding erano entrambe controllate dal sig. M., cosicché la ricorrente non avrebbe, secondo la Commissione, acquisito il controllo rilevandolo da più venditori, ma non aveva sollevato la stessa questione nel caso che aveva dato luogo alla decisione LGI/Telenet.

78      In primo luogo, occorre rilevare che il Tribunale non è vincolato dalla prassi decisionale della Commissione. In secondo luogo, dalla tabella relativa alla partecipazione alle assemblee generali degli azionisti, contenuta nel punto 59 della decisione impugnata, risulta che la Friendmall deteneva da sola una maggioranza netta di voti in tutte le assemblee generali. La ricorrente ha quindi acquisito il controllo esclusivo di fatto della Morpol anche attraverso l’acquisizione delle sole azioni appartenenti alla Friendmall. Inoltre, come ha constatato la Commissione al punto 63 della decisione impugnata, la ricorrente ha riconosciuto, in risposta alla richiesta di informazioni della Commissione del 12 febbraio 2013, che la Morpol si era ritrovata soggetta al controllo esclusivo della Friendmall, tenuto conto delle azioni rappresentate nelle assemblee generali annuali e straordinarie. Non è quindi necessario analizzare nei dettagli, in questa sede, i fatti alla base della decisione LGI/Telenet (v. supra, punto 77).

79      Come ha constatato la Commissione al punto 66 della decisione impugnata, l’acquisizione del dicembre 2012 si è conclusa il 18 dicembre 2012.

80      L’offerta pubblica di acquisto è stata presentata soltanto il 15 gennaio 2013, ossia in una data in cui la ricorrente già deteneva il controllo esclusivo di fatto della Morpol.

81      Se è vero che l’acquisizione totale della Morpol da parte della ricorrente ha avuto luogo in più fasi e attraverso una pluralità di venditori, l’acquisizione del controllo ha avuto luogo mediante un’unica transazione e attraverso un unico venditore. Il controllo non è stato quindi acquisito né attraverso una pluralità di venditori né mediante una serie di transazioni.

82      Ne consegue che, secondo il suo dettato, non è applicabile neppure la seconda fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

83      Va pertanto constatato che, in base al dettato dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, l’acquisizione del dicembre 2012 non rientra in tale disposizione.

84      Il ragionamento della ricorrente si basa sull’esistenza di una concentrazione unica, nel senso che l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto successiva costituirebbero un’unità. Va quindi esaminata la fondatezza di tale argomento.

2)      Sull’argomento della ricorrente vertente sulla presunta esistenza di una concentrazione unica

i)      Osservazioni preliminari

85      La ricorrente fa valere che la decisione impugnata non tiene conto del vincolo giuridico essenziale e della condizionalità tra l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica, e presenta un ragionamento in contrasto con il regolamento n. 139/2004, la giurisprudenza del Tribunale, la comunicazione consolidata sulla competenza della Commissione in forza del regolamento n. 139/2004 (GU 2009, C 43, pag. 10; in prosieguo: la «comunicazione consolidata sulla competenza»), la prassi decisionale della Commissione nonché la prassi negli Stati membri.

86      Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto concludere che l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto successiva costituivano le fasi di una concentrazione unica.

87      Occorre ricordare in tale ambito che la ricorrente ha precisato, in udienza, che essa basava il suo ragionamento sulla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Ne deriva che la ricorrente fa valere in sostanza che l’acquisizione del dicembre 2012, benché precedente al lancio dell’offerta pubblica di acquisto, ne faceva parte, cosicché la Commissione, secondo la ricorrente, ha constatato in sostanza un’infrazione consistente nell’esecuzione di un’offerta pubblica di acquisto, sebbene risultasse dalla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 che l’articolo 7, paragrafo 1, di tale regolamento non ostava a siffatta esecuzione.

88      Si deve esaminare se l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto possano essere o meno considerate una concentrazione unica.

89      Occorre precisare, anzitutto, che la nozione di «concentrazione unica» non compariva nel regolamento (CEE) n. 4064/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU 1989, L 395, pag. 1), che ha preceduto il regolamento n. 139/2004.

90      La Commissione, in varie decisioni, si è basata sul concetto di «concentrazione unica» e il Tribunale ha ribadito tale concetto, in particolare nella sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64).

91      Per quanto riguarda il regolamento n. 139/2004, va constatato che la nozione di «concentrazione unica» è contenuta unicamente nel considerando 20, e non già negli articoli di tale regolamento.

92      La terza frase del considerando 20 del regolamento n. 139/2004 è così redatta:

«È inoltre opportuno trattare come un’unica concentrazione le operazioni che sono strettamente collegate tra loro con vincolo condizionale o assumono la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve».

93      Nella prassi la Commissione si è basata sul concetto di concentrazione unica in due fattispecie.

94      A tal riguardo, la comunicazione consolidata sulla competenza stabilisce, al punto 44, quanto segue:

«Il principio che diverse operazioni possono essere trattate come una concentrazione unica se sono soddisfatte le condizioni citate si applica soltanto se il loro risultato è che il controllo di una o più imprese viene acquisito dalla stessa o dalle stesse persone o imprese. In primo luogo, questo può avvenire se una singola attività o impresa viene acquisita attraverso una serie di atti giuridici. In secondo luogo, anche l’acquisizione del controllo di più imprese – che potrebbero costituire concentrazioni distinte – può essere collegata in modo da costituire una concentrazione unica».

95      Esistono quindi due ipotesi, ossia, in primo luogo, l’acquisizione di una singola attività o impresa attraverso una serie di atti giuridici e, in secondo luogo, l’acquisizione del controllo di più imprese che, in quanto tale, potrebbe costituire concentrazioni distinte.

96      Peraltro, la terza frase del considerando 20 del regolamento n. 139/2004 menziona due possibilità per accertare l’esistenza di una concentrazione unica. Le operazioni devono essere strettamente collegate tra loro nel senso che o sono oggetto di un vincolo condizionale o assumono la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve.

97      In risposta a un quesito posto a tal proposito in udienza, la ricorrente ha confermato che essa si basava sulla prima possibilità menzionata nella terza frase del considerando 20 del regolamento n. 139/2004, relativa alle operazioni oggetto di un vincolo condizionale, circostanza di cui si è preso atto nel verbale di udienza.

98      Occorre quindi esaminare la questione se, nella fattispecie, l’esistenza di una concentrazione unica possa essere dimostrata in base alla prima possibilità menzionata nella terza frase del considerando 20 del regolamento n. 139/2004.

99      La concentrazione di cui trattasi nella fattispecie non rientra chiaramente nella seconda ipotesi quale definita supra al punto 95, ossia in quella dell’acquisizione del controllo di più imprese.

100    Si deve quindi esaminare se la concentrazione di cui trattasi rientri nella prima ipotesi quale definita supra al punto 95, ossia in quella dell’acquisizione di una singola impresa attraverso una serie di atti giuridici.

101    La ricorrente ritiene che più operazioni costituiscano una concentrazione unica qualora tali transazioni siano interdipendenti, in modo tale che una non sarebbe realizzata senza le altre. Essa ritiene, in sostanza, che il solo fatto che più transazioni siano oggetto di un vincolo condizionale è sufficiente per ritenere che esse facciano parte di una concentrazione unica. Pertanto, la ricorrente rileva che la Commissione avrebbe dovuto considerare che l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica avevano un «carattere unitario», sia in diritto che in fatto, il che imponeva di esaminarle e di valutarle congiuntamente, quali elementi di una concentrazione unica.

102    Per contro, la Commissione ha rilevato, al punto 105 della decisione impugnata, che essa considerava «irrilevante il fatto che [la ricorrente] [avesse] forse percepito l’acquisizione del dicembre 2012 e le fasi successive della sua acquisizione della Morpol come appartenenti economicamente alla medesima operazione». Inoltre, la Commissione ha rilevato, al punto 113 della decisione impugnata, che «sembra[va]no inappropriati i rinvii, da parte della [ricorrente], a fonti giuridiche secondo le quali “più fasi unitarie” sarebbero considerate come costituenti un’unica concentrazione quando sono oggetto, di diritto o di fatto, di un vincolo condizionale», osservazione che essa ha spiegato in modo più dettagliato ai punti da 114 a 117 della decisione impugnata. La Commissione non si è pronunciata, nella decisione impugnata, sulla questione se esistesse o meno una condizionalità di diritto o di fatto tra l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto successiva.

103    Occorre quindi esaminare la questione se, nell’ambito della prima ipotesi, ossia quella dell’acquisizione di una singola impresa attraverso una serie di atti giuridici, la sola esistenza di una condizionalità di diritto o di fatto sia sufficiente per constatare l’esistenza di una concentrazione unica, anche quando il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione viene acquisito attraverso un’unica transazione privata prima del lancio di un’offerta pubblica di acquisto.

104    In tale contesto, occorre esaminare, in primo luogo, gli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la comunicazione consolidata sulla competenza, in secondo luogo, gli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale e con la prassi decisionale della Commissione, in terzo luogo, gli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con il considerando 20 del regolamento n. 139/2004, in quarto luogo, gli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la prassi negli Stati membri e, in quinto luogo, gli argomenti della ricorrente secondo i quali la Commissione ha interpretato in modo errato la ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

ii)    Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la comunicazione consolidata sulla competenza

105    La ricorrente ritiene che la posizione adottata dalla Commissione nella decisione impugnata sia in contrasto con la comunicazione consolidata sulla competenza. La ricorrente afferma che la comunicazione consolidata sulla competenza precisa, al punto 43, che due o più operazioni costituiscono una concentrazione unica quando «sono connesse sotto il profilo giuridico, ossia se gli accordi stessi sono collegati tra loro da un “legame di condizionalità reciproca”, [o sotto il profilodi fatto], (…)».

106    Tuttavia, tale argomento della ricorrente è basato su un’errata interpretazione del punto 43 della comunicazione consolidata sulla competenza. Tale punto è così redatto:

«Si ha un vincolo condizionale se nessuna delle operazioni avrebbe luogo senza le altre ed esse costituiscono perciò un’operazione unica. L’esistenza di un vincolo condizionale è di norma dimostrata se le operazioni sono connesse sotto il profilo giuridico, ossia se gli accordi stessi sono collegati tra loro da un legame di condizionalità reciproca. Anche la condizionalità di fatto, qualora possa essere dimostrata in modo soddisfacente, può essere sufficiente per trattare le varie operazioni come una concentrazione unica. Ciò richiede una valutazione economica del fatto che ciascuna delle operazioni dipenda necessariamente o meno dalla conclusione delle altre. Ulteriori indicazioni dell’interdipendenza di diverse operazioni possono essere le dichiarazioni delle parti stesse o la conclusione simultanea dei relativi accordi. È difficile concludere che esista un vincolo condizionale di fatto tra diverse operazioni che non siano simultanee. Analogamente, una netta mancanza di simultaneità tra operazioni tra cui vi è un vincolo condizionale sotto il profilo giuridico può metterne in dubbio la reale interdipendenza».

107    Per quanto riguarda la nozione di «concentrazione unica», tale punto contiene unicamente la constatazione secondo la quale anche la condizionalità di fatto «può» essere sufficiente per trattare le varie operazioni come una concentrazione unica. Da tale formulazione non risulta che la condizionalità sia sempre sufficiente per poter assimilare diverse operazioni a una concentrazione unica.

108    Occorre rilevare che la prima frase del punto 45 della comunicazione consolidata sulla competenza è formulata nei seguenti termini:

«Può pertanto esservi un’unica concentrazione se il medesimo o i medesimi acquirenti acquisiscono il controllo di una singola attività, ossia di un singolo soggetto economico, attraverso una serie di atti giuridici, qualora questi siano collegati da un vincolo condizionale» (corsivo aggiunto).

109    Tale punto riguarda, come indica il suo titolo, l’«[a]cquisizione di un’impresa unica» (ossia la prima ipotesi quale definita supra al punto 95). È necessario, secondo il punto 45 della comunicazione consolidata sulla competenza, affinché possa esistere una concentrazione unica nella prima ipotesi, che l’acquisizione del controllo sia effettuata attraverso una serie di atti giuridici. Tuttavia, nella fattispecie, l’acquisizione del controllo è avvenuta unicamente attraverso l’acquisizione del dicembre 2012, che si era conclusa prima del lancio dell’offerta pubblica di acquisto per le azioni restanti della Morpol.

110    La ricorrente si basa inoltre sul punto 40 della comunicazione consolidata sulla competenza, che stabilisce, nella sua prima frase, che, «ai sensi del regolamento [n. 139/2004], le operazioni che costituiscono o vengono a costituire un tutto unico in base agli obiettivi economici perseguiti dalle parti dovrebbero anche essere oggetto di un unico procedimento». Va tuttavia rilevato che la seconda frase del punto 40 della comunicazione consolidata sulla competenza precisa che «[i]n queste circostanze, il cambiamento della struttura del mercato è determinato da queste operazioni nel loro insieme». Il punto 40 della comunicazione consolidata sulla competenza riguarda quindi le situazioni in cui il cambiamento della struttura del mercato è determinato da un insieme di operazioni, e non già le situazioni in cui il cambiamento della struttura del mercato, ossia l’acquisizione del controllo di una singola impresa oggetto dell’operazione, si effettua mediante un’unica transazione.

111    Conformemente alla comunicazione consolidata sulla competenza, quando il controllo di un’unica impresa è acquisito mediante una pluralità di operazioni, è possibile, a talune condizioni, considerare tali operazioni come una concentrazione unica. L’acquisizione del controllo mediante una pluralità di operazioni costituisce quindi, secondo la comunicazione consolidata sulla competenza, una condizione per poter applicare il concetto di concentrazione unica nella prima ipotesi quale definita supra al punto 95, ossia quella dell’acquisizione di una singola attività o impresa attraverso una serie di atti giuridici.

112    La ricorrente fa valere in sostanza che, poiché l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto successiva sono vincolate dalla condizionalità, costituiscono una concentrazione unica, e da ciò conclude di aver acquisito il controllo della Morpol mediante una pluralità di operazioni.

113    Tuttavia, l’acquisizione del controllo di una singola impresa mediante una pluralità di operazioni costituisce, secondo la comunicazione consolidata sulla competenza, una condizione per poter considerare più operazioni come una concentrazione unica, e non già una conseguenza del fatto che tali operazioni costituiscono una concentrazione unica.

114    Nella fattispecie, tale condizione non è soddisfatta, in quanto il controllo della Morpol non è stato acquisito mediante una pluralità di operazioni.

115    In udienza la ricorrente si è anche basata sul punto 38 della comunicazione consolidata sulla competenza. Essa ha sottolineato che da tale punto risultava che la questione decisiva al fine di valutare se più operazioni costituissero una concentrazione unica era quella di stabilire se il «risultato finale» portasse a una concentrazione unica. Secondo la ricorrente,il «risultato finale» deve essere considerato l’acquisizione del 100% delle azioni della Morpol, prevista dalla ricorrente sin dall’inizio.

116    A tal riguardo, occorre sottolineare che il punto 38 della comunicazione consolidata sulla competenza costituisce in sostanza una sintesi dei punti da 104 a 109 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), ai quali viene fatto riferimento nella nota a piè di pagina n. 43 di tale comunicazione. Come emerge dal punto 128 infra, dal punto 104 di tale sentenza risulta che la questione pertinente non è quella del momento in cui ha avuto luogo l’acquisizione della totalità delle azioni di un’impresa oggetto dell’operazione, bensì quella del momento in cui ha avuto luogo l’acquisizione del controllo. Il punto 38 della comunicazione consolidata sulla competenza non contiene alcun elemento che consenta di ritenere che, quando un’impresa ha intenzione, sin dall’inizio, di acquisire la totalità delle azioni di un’impresa oggetto dell’operazione, il «risultato finale» deve essere definito rispetto all’acquisizione della totalità delle azioni e non già rispetto all’acquisizione del controllo.

117    Per contro, la prima frase del punto 38 della comunicazione consolidata sulla competenza, proprio come il punto 104 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), fa chiaramente riferimento alla definizione di concentrazione contenuta nell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, il cui risultato finale è «l’acquisizione del controllo» di una o più imprese. Peraltro, secondo la terza frase del punto 38 della comunicazione consolidata sulla competenza, «[v]a pertanto stabilito se il risultato determina il conferimento, ad una o più imprese, del controllo economico diretto o indiretto sulle attività di una o più altre imprese». Tale frase conferma che il «risultato» deve essere definito rispetto all’acquisizione del controllo dell’impresa oggetto dell’operazione.

118    Nella fattispecie, tale risultato, ossia l’acquisizione del controllo, è stato ottenuto in seguito alla sola acquisizione del dicembre 2012.

119    Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la decisione impugnata è quindi conforme alla comunicazione consolidata sulla competenza.

iii) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale e con la prassi decisionale della Commissione

120    La ricorrente afferma inoltre che l’iter logico seguito dalla Commissione nella decisione impugnata è in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale e con la prassi decisionale della Commissione.

121    A tal riguardo, occorre rilevare quanto segue.

122    La ricorrente si basa, in primo luogo, sulla sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64).

123    Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, si poneva la questione se più serie di operazioni costituissero più concentrazioni distinte o un’unica concentrazione (sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione, T‑282/02, EU:T:2006:64, punti 8, 45 e 91). Tale causa rientra quindi nella seconda ipotesi quale definita supra al punto 95, ossia quella dell’acquisizione del controllo di più imprese che, in quanto tale, potrebbe costituire concentrazioni distinte. Occorre ricordare al riguardo che la presente causa non rientra in questa seconda ipotesi (v. supra, punto 99).

124    Il Tribunale ha constatato che spettava alla Commissione valutare se più operazioni «present[assero] un carattere unitario in modo da costituire un’unica concentrazione ai sensi dell’articolo 3 del regolamento n. 4064/89» (sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione, T‑282/02, EU:T:2006:64, punto 105). Il Tribunale ha inoltre rilevato che, «per determinare il carattere unitario delle operazioni in questione, si tratta[va], in ciascuna fattispecie, di valutare se tali operazioni [fossero] interdipendenti per cui l’una non sarebbe stata realizzata senza l’altra» (sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione, T‑282/02, EU:T:2006:64, punto 107).

125    La ricorrente si basa sul punto 107 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), e afferma che da tale punto risulta che più operazioni giuridicamente distinte hanno un carattere unitario e costituiscono, pertanto, una concentrazione unica in forza del regolamento n. 139/2004 se «tali operazioni [sono] interdipendenti per cui l’una non sarebbe stata realizzata senza l’altra».

126    Tuttavia, dalla sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), non si può dedurre che, ogniqualvolta più operazioni siano interdipendenti, esse costituiscono necessariamente una concentrazione unica.

127    Va rilevato che, al punto 104 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), il Tribunale ha constatato quanto segue:

«Tale definizione generale e finalista di un’operazione di concentrazione – il cui risultato è il controllo di una o più imprese – implica che è indifferente che l’acquisizione, diretta o indiretta, di tale controllo sia stata realizzata in una, due o più tappe mediante una, due o più operazioni, purché il risultato raggiunto costituisca un’unica operazione di concentrazione» (corsivo aggiunto).

128    Si deve respingere l’argomento della ricorrente, dedotto in udienza, secondo il quale dal punto 104 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), emerge che la questione pertinente è se al termine della serie di transazioni il controllo sia acquisito, indipendentemente dal momento in cui tale controllo viene acquisito. A tal riguardo, si deve sottolineare che il punto 104 di tale sentenza non menziona l’acquisizione dell’impresa oggetto dell’operazione che può avvenire in una o più tappe, ma l’acquisizione del controllo che può avvenire in una o più tappe. La questione pertinente non è quindi quella del momento in cui ha avuto luogo l’acquisizione della totalità delle azioni di un’impresa oggetto dell’operazione, bensì quella del momento in cui ha avuto luogo l’acquisizione del controllo. Va rilevato che, quando, come nella fattispecie, l’acquisizione del controllo esclusivo di fatto dell’unica impresa oggetto dell’operazione ha luogo mediante un’unica prima transazione, le transazioni successive con le quali l’acquirente ottiene quote supplementari di tale impresa non sono più pertinenti per acquisire il controllo e quindi per realizzare la concentrazione.

129    Al punto 108 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), il Tribunale ha constatato che tale valutazione, consistente nell’esaminare se le operazioni fossero interdipendenti tendeva, in particolare, «a garantire alle imprese che notifica[va]no un’operazione di concentrazione il vantaggio della certezza del diritto per tutte le operazioni che realizza[va]no la concentrazione».

130    Nella fattispecie, non esiste un insieme di operazioni «che realizzano la concentrazione», in quanto l’operazione di concentrazione è stata realizzata mediante la sola acquisizione del dicembre 2012.

131    Infine, il Tribunale ha rilevato, al punto 109 della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), che un’operazione di concentrazione poteva «essere realizzata anche in presenza di una pluralità di operazioni giuridiche formalmente distinte quando tali operazioni [erano] interdipendenti per cui non [sarebbero state] realizzate le une senza le altre e il cui risultato consiste[va]nel conferire ad una o più imprese ilcontrollo economico, diretto o indiretto, sull’attività di una o più imprese diverse» (corsivo aggiunto).

132    Tale punto della sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), conferma che il risultato di una «pluralità di operazioni giuridiche formalmente distinte» deve consistere nel conferire il controllo economico sull’attività di una o più imprese. Nella fattispecie, l’acquisizione del controllo è il risultato di un’unica operazione, ossia dell’acquisizione del dicembre 2012, e non già di una pluralità di operazioni.

133    Risulta da quanto precede che non si può dedurre dalla sentenza del 23 febbraio 2006, Cementbouw Handel & Industrie/Commissione (T‑282/02, EU:T:2006:64), che, in una situazione nella quale l’acquisizione del controllo di un’unica impresa oggetto dell’operazione ha avuto luogo attraverso un’unica operazione, è necessario considerare tale operazione come facente parte di una concentrazione unica, quando l’acquisto di azioni che ha portato all’acquisizione del controllo e un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria successiva sono interdipendenti.

134    In secondo luogo, la ricorrente si basa sulla sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281), e sulla decisione della Commissione in discussione nella causa che ha dato luogo a tale sentenza. Essa rileva che, in tale causa, la Ryanair Holdings plc (in prosieguo: la «Ryanair») aveva acquisito approssimativamente il 19% delle azioni dell’Aer Lingus Group plc e dell’Aer Lingus Ltd (in prosieguo, considerate congiuntamente: l’«Aer Lingus») e aveva lanciato, in seguito, un’offerta pubblica, e che la Commissione, seguita in ciò dal Tribunale, ha considerato le due operazioni come costituenti una concentrazione unica. Secondo la ricorrente, ne risulta che l’acquisizione di azioni prima di un’offerta pubblica e la stessa offerta pubblica devono essere considerate come una concentrazione unica.

135    Va rilevato che dal punto 16 della sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281), emerge che la Commissione aveva considerato, nella decisione che dichiarava la concentrazione prevista incompatibile con il mercato interno, quanto segue:

«Poiché la Ryanair ha acquisito un primo 19% del capitale della Aer Lingus in un periodo di meno di dieci giorni prima del lancio dell’[OPA] ed un ulteriore 6% poco dopo, e considerate le spiegazioni della Ryanair in merito all’obiettivo economico che perseguiva nel momento in cui ha effettuato tali operazioni, l’operazione nel suo complesso, comprendente l’acquisizione delle azioni prima e durante il periodo dell’[OPA] nonché l’OPA stessa, sono da considerarsi un’unica concentrazione ai sensi dell’articolo 3 del regolamento sulle concentrazioni».

136    In tale causa la Ryanair non aveva ottenuto il controllo dell’Aer Lingus mediante un’unica operazione prima del lancio dell’offerta pubblica di acquisto. Come rileva la Commissione, è l’acquisizione del primo 19% del capitale sociale dell’Aer Lingus, combinata con l’acquisizione delle azioni che la Ryanair sperava di ottenere mediante l’offerta pubblica di acquisto, che avrebbe conferito alla Ryanair il controllo dell’Aer Lingus. Alla fine, la Ryanair non ha mai acquisito il controllo dell’Aer Lingus, in quanto l’offerta pubblica è scaduta in seguito alla decisione della Commissione di avviare il procedimento di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 139/2004.

137    Non si può quindi concludere da tale decisione della Commissione che quest’ultima ha ritenuto che l’acquisizione di una quota del capitale di un’impresa mediante un’operazione privata e un’offerta pubblica di acquisto per le quote restanti dovessero essere sempre considerate come una concentrazione unica, anche quando l’acquisizione della quota del capitale mediante un’operazione privata ha conferito all’acquirente il controllo esclusivo dell’impresa oggetto dell’operazione prima del lancio dell’offerta pubblica di acquisto.

138    Nella sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281), il Tribunale non si è neppure pronunciato sulla questione se l’acquisizione del controllo esclusivo attraverso un’unica operazione privata e un’offerta pubblica obbligatoria successiva dovessero essere considerate come una concentrazione unica.

139    La ricorrente ritiene che, se avesse applicato il ragionamento seguito al punto 101 della decisione impugnata alla causa che ha dato luogo alla sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281), la Commissione non avrebbe tenuto assolutamente conto degli acquisti di azioni della Ryanair avvenuti in forza di una convenzione privata prima del lancio dell’offerta pubblica, in particolare in quanto siffatti acquisti privati non hanno portato all’acquisizione del controllo dell’impresa oggetto dell’operazione.

140    Tale argomento non è convincente. Infatti, proprio il fatto che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281), l’acquisizione privata non ha condotto all’acquisizione del controllo dell’impresa oggetto dell’operazione ha comportato che il controllo, se fosse stato ottenuto, lo sarebbe stato attraverso una pluralità di operazioni.

141    In terzo luogo, la ricorrente si basa sulla decisione LGI/Telenet.

142    Tuttavia, tale caso non riguardava l’ipotesi di una prima operazione con la quale un acquirente avrebbe già acquisito il controllo di un’impresa oggetto dell’operazione, seguita da una seconda operazione con la quale il medesimo acquirente avrebbe acquisito quote supplementari della medesima impresa.

143    Nel caso che ha dato luogo alla decisione LGI/Telenet la prima operazione è stata la «transazione Telenet», con la quale la Telenet ha acquisito l’UPC Belgium. Questa prima operazione non necessitava di notifica, in quanto non raggiungeva le soglie (v. punto 6 della decisione LGI/Telenet). La seconda operazione è stata la «transazione LGE», con la quale la LGE ha acquisito il controllo esclusivo della Telenet, compresa l’UPC Belgium (v. punto 7 della decisione LGI/Telenet). La Commissione ha concluso che tali operazioni, collegate da una condizionalità di fatto, costituivano una concentrazione unica.

144    I fatti alla base del caso che ha dato luogo alla decisione LGI/Telenet erano quindi completamente diversi da quelli alla base della presente causa. La ricorrente, pertanto, non può far valere utilmente il fatto che, nel caso che ha dato luogo alla decisione LGI/Telenet, la Commissione ha concluso per l’esistenza di una concentrazione unica né trarne conclusioni per la presente causa.

145    In quarto luogo, la ricorrente fa valere la decisione della Commissione del 20 ottobre 2011 (caso COMP/M.6263, Aelia/Aéroports de Paris/JV). La ricorrente sottolinea che, in tale caso, la Commissione ha considerato come concentrazione unica le prime due fasi dell’operazione.

146    A tal riguardo, si deve constatare che detto caso non riguardava una situazione in cui la prima operazione era sufficiente per comportare un mutamento di controllo di un’impresa oggetto dell’operazione e che le operazioni successive consistevano semplicemente nell’acquisire quote supplementari della medesima impresa. Il fatto che la Commissione abbia ritenuto, in tale caso, che le prime due operazioni costituissero una concentrazione unica non significa quindi che essa ha ritenuto che l’acquisizione del controllo esclusivo di un’impresa oggetto dell’operazione attraverso un’unica operazione di acquisto di azioni da un unico venditore, da un lato, e operazioni successive di acquisto di quote supplementari di detta impresa, dall’altro, potessero costituire una concentrazione unica.

147    Occorre sottolineare che la ricorrente non individua alcun esempio nella prassi decisionale della Commissione o nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione europea nel quale sia stato constatato che un’operazione di acquisizione privata da un unico venditore che conferiva di per sé il controllo esclusivo di un’impresa oggetto dell’operazione, da un lato, e un’offerta pubblica di acquisto successiva per le azioni restanti di tale impresa, dall’altro, costituivano una concentrazione unica. Più in generale, essa non ha fornito alcun esempio nel quale più operazioni di acquisto relative alle quote di un’unica impresa oggetto dell’operazione sarebbero state considerate come costituenti una concentrazione unica quando il controllo esclusivo dell’impresa oggetto dell’operazione era stato acquisito mediante la prima operazione di acquisto.

iv)    Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con il considerando 20 del regolamento n. 139/2004

148    La ricorrente afferma inoltre che l’iter logico seguito dalla Commissione nella decisione impugnata è in contrasto con il considerando 20 del regolamento n. 139/2004. Essa sottolinea che in tale considerando si precisa che «[è] inoltre opportuno trattare come un’unica concentrazione le operazioni che sono strettamente collegatetra loro con vincolo condizionale o assumono la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve». Secondo la ricorrente, tale considerando conferma la volontà del legislatore che la Commissione tenga conto del vincolo sostanziale tra le diverse fasi costituenti un’operazione, più che della sua struttura formale.

149    Occorre ricordare che la ricorrente si basa sulla prima possibilità menzionata nella terza frase del considerando 20 del regolamento n. 139/2004, relativa alle operazioni collegate tra loro con vincolo condizionale (v. supra, punto 97).

150    Va constatato che la sola frase, assai breve, citata supra al punto 148, non è una definizione esaustiva delle condizioni in base alle quali due operazioni costituiscono una concentrazione unica. A tal riguardo, occorre rilevare che il considerando di un regolamento può sì consentire di chiarire l’interpretazione di una norma giuridica, ma non può costituire di per sé una norma di tal genere (v. sentenza dell’11 giugno 2009, X, C‑429/07, EU:C:2009:359, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). Il preambolo di un atto dell’Unione non ha valore giuridico vincolante (v. sentenza del 19 giugno 2014, Karen Millen Fashions, C‑345/13, EU:C:2014:2013, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

151    Peraltro, se si considerasse la frase citata supra al punto 148 come costituente una definizione esaustiva delle condizioni in base alle quali due operazioni costituiscono una concentrazione unica, ciò comporterebbe che tutte le operazioni che sono strettamente collegate tra loro con vincolo condizionale o assumono la forma di una serie di operazioni su valori mobiliari concluse in un periodo di tempo ragionevolmente breve debbano essere trattate come una concentrazione unica, anche quando tali operazioni, considerate congiuntamente, non siano sufficienti per trasferire il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione, il che non avrebbe senso.

152    Dal considerando 20 del regolamento n. 139/2004 emerge che il legislatore intendeva ribadire il concetto di concentrazione unica. Da tale considerando non emerge tuttavia che il legislatore intendesse ampliare tale concetto.

153    Gli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con il considerando 20 del regolamento n. 139/2004 devono essere quindi respinti.

v)      Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la prassi negli Stati membri

154    La ricorrente ritiene che l’iter logico seguito dalla Commissione nella decisione impugnata sia in contrasto con «la prassi negli Stati membri». A tal riguardo, la ricorrente afferma che «[a]nche i diritti nazionali riflettono il principio secondo il quale l’acquisizione privata di una partecipazione di controllo, seguita da un’offerta pubblica per le azioni restanti, deve essere trattata come una concentrazione unica».

155    Tuttavia, l’unico diritto nazionale al quale la ricorrente fa concretamente riferimento è il diritto francese. Essa rileva che, secondo una lettera del Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria francese del 18 novembre 2002 al consiglio di amministrazione della società Atria Capital Partenaires, relativa a una concentrazione nel settore dei parrucchieri a domicilio (affaire C2002‑39), «l’acquisizione, mediante un accordo volontario (gentlemen’s agreement), di una partecipazione cosiddetta “di controllo” seguita dall’obbligo di depositare un’[offerta pubblica d’acquisto] sul capitale restante» costituiscono due fasi di una stessa concentrazione.

156    La Commissione sottolinea al riguardo che le autorità francesi commentavano la portata dell’articolo 6 del décret n. 2002‑689, du 30 avril 2002, fixant les conditions d’application du livre IV du code de commerce relatif à la liberté des prix et de la concurrence (decreto n. 2002‑689, del 30 aprile 2002, che fissa le condizioni di applicazione del libro IV del codice di commercio relativo alla libertà dei prezzi e della concorrenza) (JORF del 3 maggio 2002, pag. 8055) (in prosieguo: il «decreto»), il quale avrebbe una portata sostanzialmente più ampia dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Pertanto, il fatto che le autorità francesi abbiano ritenuto che l’articolo 6 del decreto si applicasse all’acquisizione di azioni in un mercato regolamentato conformemente a un accordo privato che attivava un’offerta pubblica non avrebbe alcuna incidenza sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

157    La ricorrente replica che, nella lettera del Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria francese, del 18 novembre 2002, quest’ultimo ha stabilito, anzitutto, che l’acquisizione iniziale e l’offerta pubblica obbligatoria successiva costituivano una concentrazione unica, e solo in un secondo tempo si è passati all’esame dell’articolo 6 del decreto.

158    Essa sostiene inoltre, che, secondo la giurisprudenza, e in particolare la sentenza del 7 novembre 2013, Romeo (C‑313/12, EU:C:2013:718, punto 22), «le nozioni riprese dal diritto dell’Unione ricev[o]no un’interpretazione uniforme quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che apporta a situazioni estranee all’ambito di applicazione dell’atto dell’Unione considerato, a quelle adottate da quest’ultimo atto» e che la giustificazione sottesa è quella di «assicurare un trattamento identico alle situazioni interne e alle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, a prescindere dalle condizioni in presenza delle quali si chiede l’applicazione delle disposizioni o delle nozioni riprese dal diritto dell’Unione».

159    A tal riguardo, va rilevato che il punto 22 della sentenza del 7 novembre 2013, Romeo (C‑313/12, EU:C:2013:718), deve essere interpretato alla luce del punto 23 della medesima sentenza, secondo il quale «[c]iò si verifica quando le disposizioni del diritto dell’Unione in questione sono state rese applicabili dal diritto nazionale a siffatte situazioni in modo diretto e incondizionato».

160    La ricorrente non presenta alcun elemento che consenta di ritenere che così avvenga nel caso di specie. Essa menziona unicamente, al punto 19 della replica, alcuni tentativi del legislatore francese e delle autorità francesi garanti della concorrenza di adeguare talune nozioni relative al controllo delle concentrazioni, utilizzate nel codice di commercio francese, a quelle utilizzate nel regolamento n. 139/2004 e nelle diverse comunicazioni pubblicate dalla Commissione. Siffatti tentativi di armonizzazione non implicano che disposizioni di diritto dell’Unione siano state rese applicabili in modo diretto e incondizionato.

161    In ogni caso, il diritto nazionale o la prassi decisionale di uno Stato membro non può vincolare la Commissione o i giudici dell’Unione. Secondo la giurisprudenza, l’ordinamento giuridico dell’Unione non intende, in via di principio, definire le sue nozioni ispirandosi ad uno o più ordinamenti giuridici nazionali senza un’espressa precisazione in tal senso (v. sentenza del 22 maggio 2003, Commissione/Germania, C‑103/01, EU:C:2003:301, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).

162    Peraltro, occorre rilevare, nella fattispecie, che il quadro normativo esistente in Francia diverge da quello del diritto dell’Unione.

163    Infatti, l’articolo 6 del decreto è redatto come segue:

«Quando una concentrazione viene realizzata mediante acquisto o scambio di valori mobiliari in un mercato regolamentato, la sua realizzazione effettiva, ai sensi dell’articolo L. 430‑4 del [code de commerce (codice di commercio)], avviene quando sono esercitati i diritti inerenti ai valori mobiliari. La mancanza di una decisione del Ministro non osta al trasferimento di detti valori mobiliari».

164    Pertanto, il diritto francese diverge su tale punto in maniera significativa dal diritto dell’Unione. Infatti, secondo il diritto dell’Unione, il trasferimento dei valori mobiliari è sufficiente per realizzare una concentrazione (v. supra, punto 58), mentre, secondo il diritto francese, la realizzazione avviene solo nel momento in cui sono esercitati i diritti inerenti ai valori mobiliari.

165    La posizione adottata nella lettera del Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria francese del 18 novembre 2002 non comporta quindi che, attraverso l’applicazione del concetto di concentrazione unica, sia consentito a un operatore di acquisire il controllo di un’impresa oggetto dell’operazione senza autorizzazione preventiva. Infatti, da tale lettera emerge chiaramene che «la sospensione della realizzazione effettiva dell’operazione ai sensi dell’articolo 6 (…) si applica sia all’esercizio dei diritti inerenti ai valori mobiliari acquistati al di fuori del mercato sia all’esercizio dei diritti inerenti ai valori mobiliari oggetto dell’offerta pubblica».

166    Tuttavia, nella fattispecie, la ricorrente si basa sulla nozione di «concentrazione unica» proprio per far valere che essa era legittimata a realizzare l’acquisizione del dicembre 2012 senza notifica e autorizzazione preventive.

167    La ricorrente non può quindi invocare utilmente la prassi seguita in Francia.

vi)    Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la Commissione ha interpretato in modo errato la ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

168    La ricorrente afferma che la Commissione ha ritenuto erroneamente, al punto 103 della decisione impugnata, che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non era destinato a trovare applicazione in situazioni nelle quali era agevole dimostrare un controllo di fatto.

169    Al tal riguardo, occorre rilevare che il punto 103 della decisione impugnata è formulato nei seguenti termini:

«Per contro, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento [n. 139/2004] non è destinato a trovare applicazione in situazioni nelle quali l’acquisizione di un ingente pacchetto azionario viene realizzata presso un unico venditore e in cui è agevole dimostrare, in base ai voti espressi nel corso delle assemblee generali ordinarie e straordinarie precedenti, che tale pacchetto azionario conferisce un controllo esclusivo di fatto della società oggetto dell’operazione».

170    La Commissione non ha quindi affermato che il solo fatto che sia agevole dimostrare l’acquisizione del controllo esclude, in generale, l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Al punto 103 della decisione impugnata, la Commissione si è anche basata sul fatto che era stata realizzata l’acquisizione di un ingente pacchetto azionario che conferiva un controllo esclusivo di fatto della società oggetto dell’operazione, rilevandolo da un unico venditore.

171    Occorre inoltre constatare che, al punto 102 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 era destinato «a comprendere situazioni in cui è difficile stabilire quali azioni o quali specifici pacchetti azionari, acquisiti attraverso più azionisti precedenti, collochino l’acquirente in una situazione di controllo di fatto della società oggetto dell’operazione» e che tale articolo mirava «a fornire un grado sufficiente di certezza del diritto in caso di offerte pubbliche di acquisto o di scambio o di acquisizioni striscianti, preservando in tal modo la liquidità delle [B]orse dei valori mobiliari e proteggendo gli offerenti da violazioni involontarie e impreviste dell’obbligo dello status quo».

172    Tuttavia, va considerato che, così facendo, la Commissione non ha affermato che si doveva limitare l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 a situazioni in cui sussistevano difficoltà concrete per dimostrare quali azioni acquisite attraverso più azionisti precedenti collocassero l’acquirente in una situazione di controllo di fatto della società oggetto dell’operazione. Nella decisione impugnata la Commissione non si è basata sulla sola circostanza che era agevole dimostrare che l’acquisizione del dicembre 2012 conferiva alla ricorrente il controllo esclusivo di fatto della Morpol per escludere l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

173    La ricorrente fornisce vari esempi per dimostrare che, anche in situazioni in cui l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 è applicabile, può essere agevole dimostrare l’acquisizione del controllo. Tuttavia, dato che la Commissione non ha affermato, nella decisione impugnata, che il solo fatto che sia agevole dimostrare l’acquisizione del controllo esclude l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, gli argomenti dedotti dalla ricorrente al riguardo non possono dimostrare l’esistenza di un errore da parte della Commissione nella decisione impugnata.

174    La ricorrente sostiene inoltre che la vera ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 corrisponde a quanto la Commissione stessa ha espressamente formulato al punto 66 della relazione della sua proposta di regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese [COM(2002) 711 definitivo] (GU 2003, C 20, pag. 4) (in prosieguo: la «proposta di regolamento»). In tale punto viene precisato quanto segue:

«In linea con le proposte del Libro verde si propone di allargare l’ambito d’applicazione della deroga automatica di cui all’articolo 7, paragrafo 2 (ex articolo 7, paragrafo 3) al di là delle offerte pubbliche, facendovi rientrare tutte le acquisizioni da più venditori in [B]orsa, ossia le cosiddette “acquisizioni striscianti”, e sopprimendo qualsiasi incertezza giuridica causata dall’articolo 7, paragrafo 1, in relazione a queste transazioni».

175    Da tale proposta emerge che la Commissione suggeriva di estendere l’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 alle «acquisizioni striscianti». Tuttavia, nella fattispecie, l’acquisizione della Morpol da parte della ricorrente non è stata «strisciante». Infatti, l’acquisizione del controllo della Morpol non è avvenuta in più fasi. Al contrario, l’acquisizione del controllo è stata effettuata mediante un’unica operazione di acquisto privata presso un unico venditore, che si era conclusa prima del lancio dell’offerta pubblica di acquisto per le azioni restanti della Morpol.

176    Occorre inoltre ricordare che la ricorrente ha precisato che essa fondava il proprio ragionamento sulla prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, ossia quella relativa a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio (v. supra, punti 66 e 67). Per contro, dal punto 66 della relazione della proposta di regolamento emerge che la Commissione proponeva di aggiungere la seconda fattispecie ora prevista dall’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, relativa alle serie di transazioni su valori mobiliari, al fine di sopprimere qualsiasi incertezza giuridica. Tenuto conto del fatto che la concentrazione di cui trattasi rientra, secondo la ricorrente, nell’ambito di applicazione della prima fattispecie di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, non risulta chiaramente quale argomento la ricorrente intenda trarre dalla circostanza che la Commissione ha proposto di aggiungere la seconda fattispecie per sopprimere qualsiasi incertezza giuridica.

177    La ricorrente si basa altresì sul punto 134 del Libro verde sulla revisione del regolamento n. 4064/89 (COM/2001/0745 definitivo) (in prosieguo: il «Libro verde»), così redatto:

«Le acquisizioni “striscianti” attraverso la [B]orsa rappresentano un altro esempio di concentrazione realizzato con transazioni multiple. Tali transazioni possono essere realizzate in svariati modi, più o meno sofisticati, che vanno dagli acquisti diretti relativamente semplici di azioni da una serie di azionisti precedenti a strutture che coinvolgono un qualsiasi numero di intermediari finanziari che utilizzano una varietà di strumenti finanziari (…). In tali casi sarebbe normalmente artificioso e poco pratico considerare che la concentrazione abbia luogo attraverso l’acquisizione di quella particolare azione o pacchetto azionario che conferiscono all’acquirente il controllo (di fatto) dell’impresa oggetto dell’operazione. Al contrario normalmente sarà chiaro a tutte le parti in causa che una serie di acquisizioni di diritti giuridicamente distinte costituisce un’unità da un punto di vista economico e che l’obiettivo è l’acquisizione del controllo sull’impresa oggetto dell’operazione (…)».

178    A tal riguardo, va osservato anzitutto che un documento del tipo del Libro verde è solo un documento il cui scopo è quello di stimolare la riflessione a livello europeo su una materia particolare.

179    Occorre inoltre rilevare che dalla prima frase del punto 134 del libro verde emerge che tale punto riguarda le acquisizioni «striscianti», che costituiscono un «esempio di concentrazione realizzato con transazioni multiple». Tuttavia, si deve ricordare che, nella fattispecie, la concentrazione non è stata «strisciante» e che il controllo della Morpol è stato acquisito mediante un’unica operazione e non già attraverso operazioni multiple.

180    Inoltre, il punto 134 del Libro verde menziona «l’obiettivo [del]l’acquisizione del controllo sull’impresa oggetto dell’operazione» in relazione a «una serie di acquisizioni di diritti giuridicamente distinte». Nella fattispecie, solo l’acquisizione del dicembre 2012 è stata realizzata con l’obiettivo di acquisire il controllo della Morpol. È vero che la ricorrente ha proceduto all’acquisizione totale della Morpol e, per far ciò, sono state necessarie varie acquisizioni, ossia, in particolare, l’acquisizione del dicembre 2012 e le operazioni di acquisizione da diversi azionisti della Morpol nell’ambito dell’offerta pubblica di acquisto. Tuttavia, dato che la ricorrente deteneva il controllo esclusivo della Morpol sin dalla realizzazione dell’acquisizione del dicembre 2012, le operazioni di acquisizione successive non sono state più effettuate con l’obiettivo di acquisire il controllo della società oggetto dell’operazione.

181    Occorre altresì constatare che, nel Libro verde, si rileva correttamente che «[i]n tali casi sarebbe normalmente artificioso e poco pratico considerare che la concentrazione abbia luogo attraverso l’acquisizione di quella particolare azione o pacchetto azionario che conferiscono all’acquirente il controllo (di fatto) dell’impresa oggetto dell’operazione». Tuttavia, tale affermazione riguarda unicamente il caso di un’acquisizione «strisciante». In effetti, quando sono necessarie più acquisizioni di azioni o di pacchetti azionari per acquisire il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione, sarebbe artificioso considerare, in modo isolato, l’acquisizione della particolare azione o del pacchetto azionario «decisiva» come una concentrazione.

182    Tuttavia, in una situazione come quella di cui trattasi nel caso di specie, in cui il controllo esclusivo dell’unica impresa oggetto dell’operazione è stato acquisito rilevandolo da un unico venditore solo mediante la prima operazione, non è affatto artificioso considerare tale operazione come costituente, di per sé, una concentrazione.

183    La ricorrente sottolinea inoltre che l’obiettivo dell’estensione della deroga prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 era quello di sopprimere qualsiasi incertezza giuridica (v. supra, punto 174). A suo avviso, dal punto 134 del Libro verde emerge che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 deve essere applicato anche a una struttura di operazioni semplice per agevolare le offerte pubbliche e le acquisizioni striscianti.

184    A tal riguardo, occorre rilevare che è vero che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 può essere applicato anche nel caso di una struttura di operazioni semplice. Tuttavia, nella fattispecie, non è la semplicità dell’operazione in quanto tale ad escludere l’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, bensì il fatto che il controllo è già stato acquisito presso un unico venditore attraverso la prima operazione.

185    Va inoltre sottolineato che, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto (GU 2004, L 142, pag. 12), gli Stati membri sono tenuti a garantire che una persona che abbia ottenuto il controllo di una società, mediante l’acquisizione di titoli, sia tenuta a promuovere un’offerta per tutelare gli azionisti di minoranza di tale società. Tale offerta deve essere indirizzata a tutti i possessori dei titoli per la totalità delle loro partecipazioni. Ne consegue che l’obbligo per un’impresa, che abbia ottenuto titoli che le conferiscono il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione grazie a un’acquisizione privata, di presentare un’offerta pubblica concernente il resto delle azioni dell’impresa oggetto dell’operazione riguarda tutti gli Stati membri dell’Unione.

186    Se si seguisse il ragionamento della ricorrente, secondo il quale l’acquisizione del controllo attraverso un’unica operazione privata, seguita da un’offerta pubblica obbligatoria, costituisce una concentrazione unica, ciò avrebbe come conseguenza che, in caso di concentrazioni in cui sono coinvolte società quotate in Borsa con sede negli Stati membri, l’acquisizione privata di titoli che conferiscono il controllo rientrerebbe sempre nell’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Infatti, esiste sempre l’obbligo di presentare un’offerta pubblica di acquisto che, secondo il ragionamento della ricorrente, fa parte di una concentrazione unica comprendente l’acquisizione che conferisce il controllo nonché l’offerta pubblica. Ciò comporterebbe che l’ambito di applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 sarebbe troppo ampio.

187    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 è di agevolare le offerte pubbliche e le acquisizioni striscianti, in primo luogo, occorre ricordare che la Commissione non le ha inflitto un’ammenda a causa dell’esecuzione dell’offerta pubblica di acquisto, ma a causa della realizzazione dell’acquisizione del dicembre 2012. In secondo luogo, occorre ricordare che, come è stato constatato supra al punto 175, nella fattispecie, l’acquisizione non è stata «strisciante».

188    Non risulta che la posizione adottata dalla Commissione nella decisione impugnata sia contraria al principio della certezza del diritto. Va ricordato che la situazione di cui trattasi nel caso di specie non rientra nel dettato dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punti da 68 a 83). Il fatto che la Commissione non abbia ampliato l’ambito di applicazione del concetto di «concentrazione unica» per comprendere situazioni in cui il controllo di un’unica impresa oggetto dell’operazione è acquisito mediante una prima operazione non è contrario al principio della certezza del diritto.

189    Anche se si fa riferimento al Libro verde per stabilire la ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, come proposto dalla ricorrente, non risulta contrario alla ratio di tale disposizione escludere dal suo ambito di applicazione una situazione in cui un’impresa acquisisce il controllo esclusivo dell’unica impresa oggetto dell’operazione mediante una prima operazione privata di acquisizione di azioni presso un unico venditore, anche se quest’ultima è seguita da un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria.

190    La ricorrente afferma inoltre che l’interpretazione fornita dalla Commissione, ai punti 102 e 103 della decisione impugnata, della ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 è incompatibile con l’interpretazione fornita dal Tribunale nella sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281, punto 83). La ricorrente rileva che, in tale sentenza, il Tribunale «ha (…) confermato l’approccio della Commissione consistente nell’applicare l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento [n. 139/2004] all’acquisizione di una partecipazione di minoranza del 19% nel capitale dell’Aer Lingus effettuata prima del lancio di un’offerta pubblica, che esso ha considerato come aventi carattere unitario e costituenti una concentrazione unica, sebbene fosse probabilmente facile concludere che siffatta partecipazione di minoranza non conferiva alcun controllo».

191    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281, punto 83), il Tribunale ha rilevato che «l’acquisizione di una partecipazione che, di per sé, non conferisce il controllo ai sensi dell’articolo 3 del regolamento [n. 139/2004] può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 di detto regolamento». Da tale sentenza risulta unicamente che è possibile che l’acquisizione di una partecipazione di minoranza, che non conferisce il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione, seguita da un’offerta pubblica di acquisto, possa far parte di una concentrazione unica rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Il Tribunale non doveva tuttavia pronunciarsi su una situazione in cui la prima operazione conferiva già il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione (v. supra, punto 138).

192    Va constatato che, nel caso dell’acquisizione di una partecipazione di minoranza, che non conferisce il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione e che è seguita da un’offerta pubblica di acquisto, le due operazioni possono essere eseguite con l’intento di acquisire il controllo dell’impresa oggetto dell’operazione. Tuttavia, nella fattispecie, poiché la prima operazione ha già conferito alla ricorrente il controllo esclusivo di fatto della Morpol, è escluso che l’offerta pubblica di acquisto sia stata lanciata con l’intento di acquisire il controllo della Morpol (v. supra, punto 180).

193    Si deve quindi respingere l’argomento della ricorrente basato sulla sentenza del 6 luglio 2010, Aer Lingus Group/Commissione (T‑411/07, EU:T:2010:281).

194    La ricorrente afferma inoltre che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 deve essere interpretato a suo favore dato il carattere penale dell’ammenda, ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). A suo avviso, la decisione impugnata viola il principio secondo il quale non si deve applicare la legge penale estensivamente a danno dell’imputato. L’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, quale effettuata nella decisione impugnata, implicherebbe l’utilizzo di nozioni talmente ampie e di criteri talmente vaghi che la disposizione penale in questione non avrebbe la qualità richiesta ai sensi della CEDU in termini di chiarezza e di prevedibilità dei suoi effetti.

195    La Commissione sottolinea che, a norma dell’articolo 14, paragrafo 4, del regolamento n. 139/2004, le ammende inflitte in forza di tale articolo non hanno carattere penale.

196    Occorre rilevare che, anche supponendo che le sanzioni previste all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 abbiano carattere penale, l’argomento della ricorrente dovrebbe essere respinto.

197    In primo luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la disposizione di cui trattasi non avrebbe la qualità richiesta ai sensi della CEDU in termini di chiarezza e di prevedibilità dei suoi effetti, tale argomento riguarda in sostanza la presunta violazione del principio di legalità dei delitti e delle pene, che la ricorrente fa valere nella prima parte del quarto motivo, che sarà esaminata infra ai punti da 376 a 394.

198    In secondo luogo, per quanto attiene all’argomento della ricorrente secondo il quale la decisione impugnata viola il principio secondo il quale non si deve applicare la legge penale estensivamente a danno dell’imputato, occorre rilevare quanto segue.

199    Come rilevato correttamente dalla Commissione, alla ricorrente non è stata inflitta un’ammenda per aver violato l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Alla ricorrente è stata inflitta un’ammenda, conformemente all’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004, per aver violato l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

200    Occorre inoltre ricordare che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 prevede un’eccezione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

201    La Commissione sottolinea correttamente che, secondo una giurisprudenza costante, le eccezioni devono essere interpretate in senso restrittivo (v., in tal senso, sentenze del 17 giugno 2010, Commissione/Francia, C‑492/08, EU:C:2010:348, punto 35, e del 23 ottobre 2014, flyLAL‑Lithuanian Airlines, C‑302/13, EU:C:2014:2319, punto 27). Per quanto riguarda più in particolare il diritto della concorrenza, e segnatamente l’interpretazione delle disposizioni di regolamenti di esenzione per categoria, il Tribunale ha confermato, al punto 48 della sentenza dell’8 ottobre 1996, Compagnie maritime belge transports e a./Commissione (da T‑24/93 a T‑26/93 e T‑28/93, EU:T:1996:139), che, tenuto conto del principio generale che vieta le intese anticoncorrenziali, le disposizioni di carattere derogatorio inserite in un regolamento di esenzione dovevano, per loro natura, essere interpretate restrittivamente. Il solo fatto che la Commissione possa infliggere sanzioni severe per la violazione di una disposizione rientrante nel diritto della concorrenza non rimette quindi in discussione il fatto che le disposizioni di carattere derogatorio debbano essere interpretate restrittivamente. Peraltro, nella sentenza del 22 marzo 1984, Paterson e a. (90/83, EU:C:1984:123), che riguardava questioni pregiudiziali sollevate nell’ambito di procedimenti penali (v. punto 2 di tale sentenza), la Corte ha constatato, al punto 16, che un articolo, allorché contiene deroghe alle norme generali di un regolamento, non può essere interpretato in modo tale da estendere i suoi effetti al di là di quanto è necessario per la tutela degli interessi che esso mira a garantire. Tale sentenza conferma che il principio secondo il quale le eccezioni devono essere interpretate restrittivamente si applica anche in materia penale.

202    In ogni caso, occorre rilevare che, secondo la sua formulazione letterale, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile a situazioni come quella di cui trattasi nella fattispecie (v. supra, punti da 68 a 83).

203    La ricorrente tenta, in sostanza, di ampliare l’ambito di applicazione del concetto di «concentrazione unica» per ampliare l’ambito di applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

204    Anche supponendo che le ammende inflitte in forza dell’articolo 14 del regolamento n. 139/2004 abbiano carattere penale, non si può ritenere nella fattispecie che la Commissione abbia applicato la legge penale estensivamente a danno dell’imputato. Infatti, la Commissione ha soltanto rifiutato di ampliare l’ambito di applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 al di là della sua formulazione letterale e di applicare il concetto di «concentrazione unica» a una situazione in cui il controllo esclusivo dell’unica impresa oggetto dell’operazione è stato acquisito mediante un’unica operazione privata di acquisizione presso un unico venditore, prima del lancio di un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria.

205    Pertanto, l’argomento della ricorrente deve essere respinto.

206    La ricorrente afferma inoltre che la decisione impugnata è incompatibile con l’obiettivo dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, «che è quello di agevolare le acquisizioni e di garantire la liquidità dei mercati borsistici». La decisione impugnata avrebbe un impatto negativo solo sulle società aventi un modello di governo societario generalmente utilizzato dalle società con sede nell’Europa continentale e in Scandinavia, il che determinerebbe, di fatto, una discriminazione tra le società stabilite in tali regioni e le società stabilite nel Regno Unito e negli Stati Uniti, rendendo più difficile acquisire e, di conseguenza, ostacolando gli investimenti in società con sede nell’Europa continentale e in Scandinavia, e producendo effetti dannosi sui mercati dei capitali e sulle società stabilite in tali regioni. La ragione di ciò consisterebbe nel fatto che le società con sede nell’Europa continentale e in Scandinavia sarebbero in genere caratterizzate da un azionariato consistente e concentrato, rispetto alle società stabilite nel Regno Unito e negli Stati Uniti, che tenderebbero ad avere un assetto azionario diffuso. Il rifiuto, nella decisione impugnata, di applicare l’esenzione dell’offerta pubblica ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 all’acquisizione iniziale di una partecipazione di controllo nonché all’offerta pubblica obbligatoria che ne deriva sarebbe pertinente solo per le società aventi un azionariato «concentrato».

207    Occorre rilevare che, facendo valere una discriminazione tra le società stabilite nell’Europa continentale e in Scandinavia e le società stabilite nel Regno Unito e negli Stati Uniti, la ricorrente si basa, in sostanza, sul principio della parità di trattamento. Secondo una giurisprudenza costante, il principio generale della parità di trattamento e di non discriminazione esige che a situazioni analoghe non sia riservato un trattamento dissimile, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata (v. sentenza dell’11 luglio 2007, Centeno Mediavilla e a./Commissione, T‑58/05, EU:T:2007:218, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

208    Nella fattispecie, va rilevato che le due situazioni, ossia, da un lato, quella dell’acquisizione del controllo dell’unica impresa oggetto dell’operazione mediante un’unica operazione di acquisizione di azioni da un unico venditore, seguita da un’offerta pubblica di acquisto obbligatoria, e, dall’altro, quella dell’acquisizione del controllo mediante un’offerta pubblica di acquisto o attraverso più venditori mediante una serie di operazioni, non sono equiparabili, cosicché nulla osta a un diverso trattamento. Infatti, in una situazione in cui il controllo esclusivo di un’unica impresa oggetto dell’operazione è acquisito solo mediante la prima operazione, non è affatto artificioso ritenere tale operazione come costituente, di per sé, una concentrazione (v. supra, punto 182). Il solo fatto che sia possibile che, nell’Europa continentale e in Scandinavia, la prima situazione ricorra più spesso che nel Regno Unito o negli Stati Uniti non implica che tali situazioni debbano essere trattate allo stesso modo.

209    Inoltre, il solo fatto che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 miri ad agevolare le acquisizioni e a garantire la liquidità dei mercati borsistici, come sostiene la ricorrente, non implica che sia necessario estendere l’ambito di applicazione di tale disposizione al di là della sua formulazione letterale per agevolare ancor di più le acquisizioni.

210    Nella decisione impugnata e nel controricorso la Commissione indica più vie che la ricorrente avrebbe potuto seguire per attuare la concentrazione di cui trattasi senza violare l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. In tal senso, essa rileva, al punto 106 della decisione impugnata, che la ricorrente avrebbe potuto lanciare l’offerta pubblica di acquisto senza aver acquisito preventivamente le azioni del sig. M. (prima opzione) e che la ricorrente avrebbe potuto sottoscrivere un accordo con il sig. M. vertente sull’acquisizione delle azioni prima di lanciare l’offerta pubblica di acquisto, rinviando tuttavia la conclusione sino all’ottenimento dell’autorizzazione da parte delle autorità garanti della concorrenza (seconda opzione).

211    La ricorrente fa valere al riguardo che tali opzioni potrebbero arrecare pregiudizio agli azionisti di minoranza della società oggetto dell’operazione, favorire gli abusi di mercato ed essere in contrasto con gli obiettivi della direttiva 2004/25. Per quanto riguarda la prima opzione, essa sottolinea che la politica della Commissione mira attivamente a impedire che l’acquirente sostituisca un sistema di offerta obbligatoria con un’offerta volontaria in quanto ciò consentirebbe agli offerenti di evitare di dover lanciare un’offerta obbligatoria a un prezzo equo. Peraltro, nel caso della Morpol, il lancio di un’offerta volontaria non sarebbe stato in concreto realizzabile in quanto l’acquisizione della Morpol sarebbe stata commercialmente collegata all’acquisizione delle società ausiliarie controllate dal sig. M. e tali entità giuridiche non avrebbero potuto essere trasferite nell’ambito di un’offerta volontaria. Per quanto attiene alla seconda opzione, la ricorrente fa valere che tale opzione darebbe origine a un prezzo minimo che potrebbe essere manipolato e aumentato artificialmente, il che sarebbe contrario all’obiettivo della direttiva 2004/25, che avrebbe lo scopo di prevenire il rischio di abusi di mercato.

212    A tal riguardo, occorre rilevare che spettava alla ricorrente strutturare la concentrazione nel modo che essa riteneva meglio rispondente alle sue esigenze, rispettando al contempo gli obblighi previsti all’articolo 4, paragrafo 1, e all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Come rileva la Commissione, essa non raccomanda né prescrive assolutamente un modo particolare in cui la ricorrente deve strutturare la sua transazione.

213    Inoltre, riguardo alla seconda opzione quale definita supra al punto 210, occorre rilevare quanto segue in merito all’argomento della ricorrente relativo all’esistenza di un rischio di manipolazione del prezzo delle azioni.

214    L’approccio seguito nella decisione impugnata non pone problemi per quanto riguarda la tutela dei diritti degli azionisti di minoranza. Infatti, come sottolinea la ricorrente, secondo la normativa norvegese sulle acquisizioni, l’offerente deve pagare per le azioni restanti il prezzo più elevato tra i due prezzi seguenti: il prezzo che l’offerente ha pagato o che ha pattuito nel corso di un periodo di sei mesi prima del momento in cui l’offerta obbligatoria viene lanciata (ossia il prezzo convenuto nell’SPA), o il prezzo di mercato nel momento in cui sorge l’obbligo di offerta obbligatoria. È quindi certo che gli azionisti di minoranza possono ottenere un prezzo equo per le loro azioni.

215    La ricorrente sostiene tuttavia che, se l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non fosse applicabile, l’offerente dovrebbe rinviare l’offerta pubblica sino a quando non riceve l’autorizzazione di concentrazione da parte della Commissione, in un momento in cui il prezzo minimo potrebbe essere aumentato in conseguenza del fatto che il prezzo quotato sul mercato sarebbe superiore al prezzo convenuto nell’SPA. Il prezzo minimo sarebbe quindi soggetto a manipolazioni e ad un aumento, che impone potenzialmente all’offerente di acquisire le azioni restanti a un prezzo superiore al prezzo convenuto nell’SPA, ossia il prezzo equo.

216    A tal riguardo, si deve constatare che il rischio di manipolazioni del prezzo delle azioni al rialzo può, in via di principio, sussistere. Tuttavia, se avesse considerato che, nella fattispecie, sussisteva tale rischio, la ricorrente avrebbe potuto chiedere alla Commissione di concederle una deroga in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004. Ai sensi di tale disposizione, la Commissione può, su richiesta, concedere una deroga agli obblighi previsti all’articolo 7, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 139/2004.

217    La Commissione sottolinea al riguardo che essa ha già concesso in passato alcune deroghe in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 proprio in situazioni in cui un ritardo nel lancio di un’offerta pubblica poteva comportare manipolazioni del mercato. Essa presenta come esempi la propria decisione del 20 gennaio 2005 (caso Orkla/Elkem – COMP/M.3709) (in prosieguo: la «decisione Orkla/Elkem»), adottata ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004. Nel caso che ha dato luogo a tale decisione l’Orkla, che deteneva già il 39,85% delle azioni dell’Elkem, ha concluso accordi individuali con altri tre azionisti dell’Elkem. Conformemente a tali accordi, l’Orkla doveva acquisire il controllo esclusivo dell’Elkem. L’esecuzione dell’operazione avrebbe costretto l’Orkla a lanciare un’offerta pubblica obbligatoria per le azioni restanti dell’Elkem conformemente al diritto norvegese.

218    Prima di eseguire ciascun accordo, l’Orkla ha chiesto alla Commissione una deroga conformemente all’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004. Essa ha sottolineato che, a causa dello scarso numero di azioni dell’Elkem liberamente accessibile, non sarebbe stato difficile manipolare al rialzo il prezzo di tali azioni. Sei giorni dopo aver ricevuto la domanda dell’Orkla, la Commissione ha concesso una deroga rilevando che «la sospensione dell’operazione [poteva] avere come effetto sull’Orkla che, se la stessa avesse rispettato la normativa norvegese applicabile in materia di valori mobiliari, si sarebbe esposta al notevole rischio di dover presentare un’offerta per le azioni restanti dell’Elkem a un prezzo nettamente più elevato dopo che l’operazione fosse stata dichiarata compatibile con il mercato [interno]». La Commissione ha proceduto alla ponderazione degli interessi e ha rilevato che l’obbligo di sospensione poteva gravemente compromettere gli interessi finanziari dell’Orkla, che l’operazione non sembrava porre problemi per la concorrenza e che una deroga non incideva sui diritti legittimi di terzi.

219    Il caso che ha dato luogo alla decisione Orkla/Elkem dimostra quindi che la possibilità di chiedere deroghe in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 costituisce un mezzo efficace per far fronte a situazioni in cui esiste il rischio di manipolazione del prezzo delle azioni.

220    La ricorrente fa valere, in sostanza, che l’esistenza (teorica) di rischi di manipolazione del prezzo delle azioni al rialzo obbliga la Commissione a interpretare estensivamente l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Tuttavia, siffatto argomento deve essere respinto, in quanto l’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 consente di far fronte in modo soddisfacente a una situazione in cui esiste un rischio di tal genere.

221    L’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 prevede la possibilità per la Commissione di derogare all’obbligo di sospensione, in un determinato caso, dopo la ponderazione degli interessi in gioco. Siffatta deroga per un caso determinato costituisce uno strumento più adeguato per far fronte a eventuali rischi di manipolazione rispetto all’applicazione estensiva dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, che implicherebbe un’applicazione automatica dell’eccezione senza possibilità di procedere alla ponderazione degli interessi.

222    In udienza la ricorrente ha fatto valere che, nella decisione Orkla/Elkem, la Commissione ha riconosciuto che sussistevano un’esigenza di celerità e la necessità di evitare manipolazioni del mercato in circostanze analoghe a quelle del caso di specie.

223    Tuttavia, la circostanza che, in tale caso, la Commissione ha tenuto conto dell’esigenza di celerità e della necessità di evitare manipolazioni del mercato per concedere una deroga in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 non implica che si debba interpretare estensivamente l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

224    Infine, la ricorrente ha fatto valere, in udienza, che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89, che precedeva l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, era necessario notificare l’offerta pubblica di acquisto o di scambio nel termine previsto all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, ossia entro una settimana, e che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, è solo necessario notificare la concentrazione «senza ritardo» alla Commissione. Secondo la ricorrente, tale modifica attesta la volontà del legislatore di concedere la priorità al processo di acquisizioni pubbliche rispetto alla procedura di controllo delle concentrazioni.

225    A tal riguardo, occorre rilevare che l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 non prevede più, per la notifica delle concentrazioni, il termine di una settimana a decorrere dalla conclusione dell’accordo o dalla pubblicazione dell’offerta di acquisto, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89.

226    Le ragioni della soppressione di detto termine risultano dai punti da 61 a 64 della relazione della proposta di regolamento. La Commissione, in tali punti, ha rilevato in particolare che «[l]’esperienza degli ultimi 12 anni dimostra[va] che una rigorosa applicazione del termine di una settimana per la presentazione della notifica (…) non [era] né realistica né necessaria» e che, «[d]ato l’effetto sospensivo dell’articolo 7, paragrafo 1, [era] nell’interesse economico dell’impresa stessa ottenere l’autorizzazione formale della Commissione al più presto, per essere in grado di perfezionare l’operazione».

227    Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, le ragioni della soppressione di detto termine non risiedono quindi nella volontà del legislatore di concedere la priorità al processo di acquisizioni pubbliche rispetto alla procedura di controllo delle concentrazioni.

228    Gli argomenti della ricorrente volti a dimostrare che l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fornita dalla Commissione è contraria alla ratio di tale disposizione devono essere quindi respinti.

229    Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto costituivano una concentrazione unica. Infatti, il concetto di concentrazione unica non trova applicazione in una fattispecie in cui il controllo esclusivo di fatto dell’unica società oggetto dell’operazione è acquisito presso un unico venditore mediante una sola prima operazione privata, anche quando quest’ultima è seguita da un’offerta pubblica obbligatoria.

230    Non è quindi necessario esaminare gli argomenti delle parti relativi all’esistenza o meno di una condizionalità di diritto o di fatto tra l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica di acquisto.

2.      Sulla quarta parte del primo motivo, vertente sul fatto che la ricorrente si è conformata all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

231    Nella quarta parte del primo motivo la ricorrente sostiene di aver rispettato le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004, notificando la concentrazione senza ritardo alla Commissione e non esercitando i suoi diritti di voto nella Morpol prima dell’autorizzazione della concentrazione da parte della Commissione.

232    A tal riguardo, è sufficiente constatare che l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile nella fattispecie, come risulta dall’esame delle prime tre parti del primo motivo. La questione se la ricorrente abbia rispettato le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004 è quindi irrilevante.

233    Risulta da tutto quanto precede che il primo motivo deve essere integralmente respinto.

B.      Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto in quanto la decisione impugnata conclude che la ricorrente è stata negligente

234    La ricorrente sostiene che la Commissione ha considerato erroneamente, nella decisione impugnata, che essa è stata negligente. A suo avviso, nessuna società normalmente avveduta e sufficientemente prudente avrebbe potuto ragionevolmente prevedere che l’acquisizione del dicembre 2012 doveva essere notificata e che la partecipazione corrispondente non poteva essere trasferita alla ricorrente prima dell’autorizzazione. L’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fornita dalla ricorrente sarebbe stata ragionevole, il che sarebbe confermato dal parere giuridico reso dal consulente legale esterno della ricorrente.

235    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

236    Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, la Commissione può infliggere ammende soltanto per violazioni commesse «intenzionalmente o per negligenza».

237    Per quanto riguarda la questione se un’infrazione sia stata commessa intenzionalmente o per negligenza, dalla giurisprudenza risulta che tale condizione è soddisfatta qualora l’impresa di cui trattasi non possa ignorare il carattere anticoncorrenziale del proprio comportamento, a prescindere dalla sua consapevolezza o meno di violare le norme in materia di concorrenza [v., per quanto riguarda le infrazioni sanzionabili con un’ammenda ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101 e 102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), sentenza del 18 giugno 2013, Schenker & Co. e a., C‑681/11, EU:C:2013:404, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

238    Il fatto che l’impresa interessata abbia qualificato in modo giuridicamente erroneo il proprio comportamento sul quale si fonda la constatazione dell’infrazione non può avere come conseguenza di esonerarla dall’inflizione di un’ammenda qualora essa non potesse ignorare il carattere anticoncorrenziale di tale comportamento (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2013, Schenker & Co. e a., C‑681/11, EU:C:2013:404, punto 38). Un’impresa non può sottrarsi all’irrogazione di un’ammenda qualora la violazione delle norme in materia di concorrenza abbia origine in un errore della medesima impresa quanto alla legittimità del proprio comportamento a motivo del contenuto di un parere giuridico di un avvocato (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2013, Schenker & Co. e a., C‑681/11, EU:C:2013:404, punto 43).

239    È alla luce di tali considerazioni che va esaminato se la Commissione ha concluso correttamente, nella decisione impugnata, che la ricorrente aveva agito per negligenza dando attuazione all’acquisizione del dicembre 2012 in violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

240    Occorre rilevare, anzitutto, che la Commissione ha tenuto conto dell’esistenza di consulenti legali per constatare, al punto 142 della decisione impugnata, che la ricorrente aveva commesso le infrazioni per negligenza e non intenzionalmente.

241    Ai punti da 144 a 148 della decisione impugnata, la Commissione si è basata sui seguenti elementi per concludere che la ricorrente è stata negligente:

–        la ricorrente è una società europea di grandi dimensioni che possiede una consolidata esperienza nelle procedure di controllo delle concentrazioni e di notifica alla Commissione e alle autorità nazionali garanti della concorrenza;

–        la ricorrente sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che, nell’acquisire una partecipazione del 48,5% nel capitale della Morpol, essa avrebbe acquisito il controllo di fatto di quest’ultima;

–        la ricorrente non ha dimostrato di aver ricevuto dai suoi consulenti legali una valutazione relativa all’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 prima del 18 dicembre 2012, data della conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012;

–        l’esistenza di un precedente riguardante l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 [decisione della Commissione del 21 settembre 2007 (caso COMP/M.4730 – Yara/Kemira GrowHow) (in prosieguo: la «decisione Yara/Kemira GrowHow»)] avrebbe dovuto indurre la ricorrente a concludere che la realizzazione dell’acquisizione del dicembre 2012 avrebbe probabilmente comportato una violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, o quantomeno che l’articolo 7, paragrafo 2, non era di agevole applicazione nella fattispecie, e la ricorrente avrebbe potuto, e avrebbe dovuto, rivolgersi alla Commissione mediante la procedura di consultazione sull’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 o chiedendo una deroga all’obbligo dello status quo in forza dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004;

–        alla ricorrente era stata già inflitta un’ammenda a livello nazionale per la realizzazione prematura di una concentrazione nell’ambito dell’acquisizione, da parte della stessa, della società Fjord Seafood, cosicché era lecito attendersi un livello elevato di diligenza da parte sua.

242    La ricorrente contesta la pertinenza di tutti questi elementi.

243    Occorre rilevare che, nella fattispecie, la ricorrente poteva agevolmente prevedere che, mediante l’acquisizione del 48,5% delle azioni della Morpol, essa avrebbe acquisito il controllo esclusivo di fatto di tale società. La ricorrente non afferma di non essere stata a conoscenza di taluni elementi di fatto e che, per questo motivo, non le è stato possibile comprendere che, attraverso l’acquisizione del 2012, essa realizzava una concentrazione di dimensione comunitaria.

244    Risulta del resto dall’avviso di Borsa del 17 dicembre 2012, menzionato supra al punto 6, che la ricorrente era consapevole del fatto che l’acquisizione della Morpol costituiva una concentrazione di dimensione comunitaria. Infatti, in tale avviso, la ricorrente ha rilevato quanto segue:

«L’acquisizione darà luogo, con tutta probabilità, all’obbligo di notifica alle autorità dell’Unione garanti della concorrenza, nel qual caso la Marine Harvest non sarà ammessa a esercitare i suoi diritti di voto inerenti alle sue azioni nella Morpol sino a quando l’operazione non sia stata autorizzata».

245    Il solo fatto che la ricorrente abbia ritenuto erroneamente che i suoi obblighi si limitassero a non esercitare i suoi diritti di voto prima dell’autorizzazione non rimette in discussione il fatto che essa fosse ben consapevole della circostanza che si trattava di una concentrazione di dimensione comunitaria.

246    Occorre ricordare che dal dettato dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 emerge chiaramente che una concentrazione di dimensione comunitaria deve essere notificata prima della sua realizzazione e non deve essere realizzata senza notifica e autorizzazione preventive.

247    La ricorrente non poteva ignorare tali disposizioni e, del resto, non afferma di averle ignorate.

248    Occorre inoltre ricordare che, secondo la sua formulazione letterale, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile a situazioni come quella di cui trattasi nella fattispecie (v. supra, punti da 68 a 83).

249    La ricorrente afferma che la sua interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 era quantomeno ragionevole, cosicché essa non avrebbe agito con negligenza.

250    A tal riguardo, occorre ricordare che, con il ragionamento seguito nel primo motivo, la ricorrente tenta, in sostanza, di estendere l’ambito di applicazione del concetto di «concentrazione unica», al fine di estendere l’ambito di applicazione dell’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punto 203). Occorre inoltre ricordare che la ricorrente non individua alcun esempio nella prassi decisionale della Commissione o nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione nel quale più operazioni di acquisizione relative alle quote di un’unica impresa oggetto dell’operazione siano state considerate come costituenti una concentrazione unica, quando il controllo esclusivo dell’impresa oggetto dell’operazione era stato acquisito mediante la prima operazione di acquisizione (v. supra, punto 147).

251    Per contro, esisteva una decisione della Commissione, ossia la decisione Yara/Kemira GrowHow, nella quale la stessa aveva constatato, ai punti 6 e 7, quanto segue:

«6.      Il 24 maggio 2007 la società Yara ha acquisito dallo Stato finlandese una partecipazione del 30,05% nella GrowHow. La società Yara ritiene che tale acquisizione costituisca la prima fase dell’offerta pubblica per l’acquisizione della GrowHow annunciata il 18 luglio 2007 e che, in quanto tale, rientrerebbe nell’eccezione, prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento [n. 139/2004], al divieto di realizzare una concentrazione. La società Yara dichiara che, durante l’esame dell’operazione da parte della Commissione, essa non eserciterà i diritti di voto conferiti dalla partecipazione del 30,05%. Le informazioni fornite dalle parti indicano che la società Yara ha acquisito il controllo della GrowHow con l’acquisizione della partecipazione del 30,05%.

7.      L’articolo 7, paragrafo 2, [del regolamento n. 139/2004] si applica alle acquisizioni di pacchetti azionari da “più venditori”, ossia alle “offerte striscianti”. La Commissione ritiene che l’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, [del regolamento n. 139/2004] non sia pertanto applicabile in un caso in cui viene acquisita una partecipazione di controllo dall’acquirente di un unico pacchetto azionario, rilevandolo da un unico venditore. La Commissione è quindi dell’avviso che la violazione dell’obbligo dello status quo previsto all’articolo 7, paragrafo 1, [del regolamento n. 139/2004] nonché dell’obbligo di notifica previsto all’articolo 4, paragrafo 1, [di detto regolamento] non possa essere esclusa nella fattispecie e che essa possa esaminare nell’ambito di un procedimento separato se sia appropriata una sanzione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, [del regolamento n. 139/2004]».

252    È certamente vero che, come sottolinea la ricorrente, la constatazione secondo la quale la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 non poteva essere esclusa costituisce un obiter dictum della decisione Yara/Kemira GrowHow, decisione che autorizza una concentrazione salvo il rispetto di taluni impegni. Alla fine, la Commissione non ha avviato un procedimento diretto all’irrogazione di un’ammenda ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La ricorrente sottolinea correttamente che siffatto obiter dictum è privo di effetti giuridici vincolanti e che non potrebbe essere oggetto di controllo da parte dei giudici dell’Unione.

253    Tuttavia, anche siffatto obiter dictum può fornire agli operatori indicazioni sul modo in cui la Commissione interpreta l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. L’esistenza della decisione Yara/Kemira GrowHow, che riguardava una situazione analoga a quella del caso di specie e nella quale la Commissione aveva rilevato che, a suo avviso, l’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non era applicabile, è un elemento che rende più difficile per le imprese giustificare il fatto che un errore commesso nell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non rientrava in un comportamento negligente.

254    È certamente vero, come sottolinea la ricorrente nel quarto motivo, che la decisione Yara/Kemira GrowHow non è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e che la versione integrale è disponibile solo in inglese.

255    Tuttavia, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea è stato pubblicato un avviso (GU 2007, C 245, pag. 7) in ciascuna delle lingue ufficiali, in cui si indicava un link a un sito Internet per avere accesso alla versione integrale della decisione in lingua inglese. La Commissione sottolinea inoltre, correttamente, che la decisione Yara/Kemira GrowHow, e in particolare l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fornita in tale decisione, è stata citata nei lavori degli operatori. Un operatore diligente poteva essere quindi a conoscenza di tale decisione e dell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fornita dalla Commissione.

256    Occorre inoltre tener conto del fatto che la ricorrente avrebbe potuto consultare la Commissione riguardo alla questione dell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. In caso di dubbi riguardo ai suoi obblighi in forza del regolamento n. 139/2004, il comportamento opportuno di un’impresa è quello di contattare la Commissione (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 255). La ricorrente non afferma di non essere stata a conoscenza di tale possibilità.

257    La Commissione era altresì legittimata a prendere in considerazione, come ha fatto al punto 144 della decisione impugnata, la circostanza che la ricorrente era una società europea di grandi dimensioni che possedeva una consolidata esperienza nelle procedure di controllo delle concentrazioni e di notifica alla Commissione e alle autorità nazionali garanti della concorrenza. Infatti, dal punto 252 della sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), emerge che l’esperienza di un’impresa nel settore delle concentrazioni e in materia di procedure di notifica è un elemento pertinente nella valutazione della negligenza.

258    La Commissione era inoltre legittimata a prendere in considerazione, come ha fatto al punto 148 della decisione impugnata, la circostanza che alla ricorrente (all’epoca la Pan Fish) era già stata inflitta un’ammenda a livello nazionale per la realizzazione prematura di una concentrazione nell’ambito dell’acquisizione, da parte della stessa, della società Fjord Seafood. È certamente vero che la decisione del Ministro dell’Economia francese dell’8 dicembre 2007 (caso Pan Fish/Fjord Seafood) (in prosieguo: la «decisione Pan Fish/Fjord Seafood») non riguardava l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Tuttavia, è lecito attendersi una particolare diligenza da parte di un’impresa europea di grandi dimensioni alla quale è già stata inflitta un’ammenda, benché a livello nazionale, per la realizzazione prematura di una concentrazione.

259    Nella fattispecie, va constatato che la ricorrente ha agito con negligenza nel procedere a un’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 che non è giustificata né dalla sua formulazione letterale né dalla prassi decisionale della Commissione o dalla giurisprudenza dei giudici dell’Unione e che non è conforme a quanto constatato dalla Commissione, sebbene in un obiter dictum, nella decisione Yara/Kemira GrowHow, senza contattare preventivamente la Commissione al fine di verificare l’esattezza della sua interpretazione. Agendo in tal modo, la ricorrente ha agito a proprio rischio e non può validamente basarsi sulla presunta «ragionevolezza» della sua interpretazione.

260    Si deve quindi respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale «nessuna società normalmente avveduta e sufficientemente prudente avrebbe potuto ragionevolmente prevedere che l’acquisizione del dicembre 2012 doveva essere notificata e che la partecipazione corrispondente non poteva essere trasferita alla [ricorrente] sino all’autorizzazione».

261    Per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi alla valutazione dei suoi consulenti legali esterni, occorre rilevare quanto segue.

262    Da un lato, la ricorrente afferma che i suoi consulenti legali esterni, che avrebbero grande esperienza nelle questioni di diritto della concorrenza, erano concordi nel ritenere che l’acquisizione del dicembre 2012 e l’offerta pubblica costituissero una concentrazione unica rientrante nell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, il che confermerebbe la ragionevolezza della sua interpretazione. D’altro lato, essa afferma che la sua esperienza relativa all’operazione che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood è uno dei fattori che l’hanno indotta a chiedere e a ottenere rassicurazioni, in più occasioni, riguardo al fatto che l’acquisizione di una partecipazione del 48,5% nella Morpol sarebbe rientrata nell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Infine, la ricorrente afferma che la Commissione ha considerato erroneamente, al punto 146 della decisione impugnata, che essa non aveva tentato di ottenere, e non aveva ricevuto, alcun parere sulla portata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 prima del 18 dicembre 2012.

263    Va quindi esaminato il contenuto dei pareri forniti dai consulenti legali esterni della ricorrente.

264    La ricorrente si basa su un messaggio di posta elettronica che il suo consulente legale norvegese le ha inviato il 29 novembre 2012. Quest’ultimo ha rilevato quanto segue:

«6. Concorrenza

L’acquisizione delle azioni della Friendmall nella [Morpol] darà luogo a una notifica alle autorità competenti garanti della concorrenza.

Non disponiamo di una panoramica del fatturato delle due società ripartito per giurisdizione né delle altre informazioni necessarie per analizzare come e dove si deve procedere a siffatta notifica.

Vi raccomandiamo vivamente di adoperarvi per definire tali elementi in via prioritaria dato che questi ci consentiranno di redigere e di presentare le notifiche in tempi relativamente rapidi dopo un’eventuale data di acquisizione.

La nostra esperienza dimostra che ottenere le autorizzazioni necessarie per tali acquisizioni richiederà tempo. Non si può escludere che vi sia intimato di vendere segmenti di attività per ottenere l’autorizzazione necessaria in talune giurisdizioni. Dovreste, non appena saprete in quali casi ciò possa essere necessario, predisporre strategie riguardo al modo di rispondere a siffatte obiezioni.

Come accennato in precedenza, [la Marine Harvest] non sarà in grado di esercitare diritti azionari nella [Morpol] inerenti alle azioni acquisite sino a quando non avrete ricevuto tutte le autorizzazioni in base al diritto della concorrenza».

265    Da tale messaggio di posta elettronica emerge chiaramente che il consulente legale norvegese della ricorrente non disponeva delle informazioni necessarie relative al fatturato delle imprese interessate e che, per questo, non era in grado di analizzare la questione delle autorità garanti della concorrenza alle quali doveva essere notificata l’operazione. La ricorrente non poteva attendersi che il suo consulente legale norvegese procedesse a un’analisi esaustiva delle implicazioni della concentrazione sotto il profilo del diritto dell’Unione ancor prima di essere in possesso degli elementi che gli avrebbero permesso di stabilire se si trattasse di una concentrazione di dimensione comunitaria.

266    Occorre inoltre rilevare che i pochi paragrafi di tale messaggio di posta elettronica relativi al diritto della concorrenza, come citati supra al punto 264, non possono essere considerati come una vera e propria analisi degli obblighi della ricorrente per quanto riguarda le notifiche e gli eventuali obblighi di status quo. La ricorrente non poteva dedurre a contrario dall’unica frase secondo la quale, «[c]ome accennato in precedenza, [la Marine Harvest] non sarà in grado di esercitare diritti azionari nella [Morpol] inerenti alle azioni acquisite sino a quando non avrete ricevuto tutte le autorizzazioni in base al diritto della concorrenza», che essa era legittimata a concludere l’acquisizione del dicembre 2012 senza notifica né autorizzazione preventive.

267    L’esistenza di tale messaggio del consulente legale norvegese non può in nessun caso esimere la ricorrente dalla sua responsabilità.

268    Il medesimo consulente legale ha inviato, il 14 dicembre 2012 alle 10h02, un messaggio di posta elettronica a un consulente dello studio legale F., redatto nei seguenti termini:

«Le trattative sul progetto [Morpol] sono, al momento, quasi terminate e siamo abbastanza sicuri che in giornata si giungerà a un accordo e che l’[SPA] sarà sottoscritto nel tardo pomeriggio.

Si allega l’ultima bozza per un esame e per eventuali commenti da parte vostra sotto il profilo del diritto della concorrenza.

Nessuno finora ha prestato particolare attenzione, il che non è insolito, a tale aspetto specifico. Abbiamo anche raggiunto una fase in cui preferirei, di gran lunga, non apportare ulteriori modifiche al testo in quanto ciò può facilmente distrarre le parti.

Potete quindi esaminare tale bozza e rispondermi solo con i commenti o le proposte di modifica che ritenete assolutamente necessari relativamente al procedimento di autorizzazione secondo il diritto dell’Unione in materia di concorrenza?

Naturalmente, ciò presenta una certa urgenza e, pertanto, vi sarei particolarmente grato se vi prestaste immediatamente attenzione».

269    Tale messaggio di posta elettronica mostra chiaramente che la ricorrente non si è comportata come un operatore diligente. Infatti, da tale messaggio risulta che «nessuno [aveva] prestato particolare attenzione» all’aspetto del diritto della concorrenza sino al giorno dell’invio di tale messaggio, vale a dire il giorno stesso della sottoscrizione dell’SPA. Un operatore diligente si sarebbe concentrato sulle implicazioni dell’operazione sotto il profilo del diritto della concorrenza in una fase precedente.

270    Interpellata al riguardo in udienza, la ricorrente ha rilevato che l’autore del messaggio di posta elettronica del 14 dicembre 2012 era lo stesso del messaggio del 29 novembre 2012 e che quest’ultimo messaggio dimostrerebbe che colui che lo aveva redatto aveva riflettuto, già in tale fase, sul diritto della concorrenza. Essa ha inoltre rilevato che il consulente legale norvegese della ricorrente era un avvocato specializzato in diritto societario e non un avvocato specializzato in diritto della concorrenza e che tale consulente aveva chiesto il parere di uno specialista dello studio legale F. il 14 dicembre 2012.

271    A tal riguardo, occorre ricordare che il messaggio di posta elettronica del 29 novembre 2012 non contiene una vera e propria analisi degli obblighi della ricorrente per quanto riguarda le notifiche e gli eventuali obblighi di status quo (v. supra, punto 266). Se è vero che il consulente legale norvegese ha riflettuto sull’aspetto del diritto della concorrenza, occorre rilevare che, per sua stessa ammissione nel messaggio di posta elettronica del 14 dicembre 2012, nessuno aveva «prestato particolare attenzione» a tale aspetto sino a quella data.

272    Occorre inoltre constatare che, nel rilevare, in udienza, che il consulente legale norvegese della ricorrente era un avvocato specializzato in diritto societario e non un avvocato specializzato in diritto della concorrenza, la ricorrente, per quanto riguarda il consulente legale, ha quantomeno attenuato l’affermazione, contenuta nel punto 71 dell’atto introduttivo del ricorso, secondo la quale i suoi consulenti legali esterni avevano grande esperienza nelle questioni di diritto della concorrenza.

273    Il 14 dicembre 2012, alle 22h36, il consulente dello studio legale F. ha risposto al messaggio di posta elettronica citato supra al punto 268, rilevando in particolare quanto segue:

«Solo una questione: non siano riusciti a trovare alcuna disposizione che disciplini la questione dell’esercizio dei diritti di voto in pendenza del procedimento di autorizzazione. È evidente che l’acquirente non può esercitare i diritti di voto prima dell’autorizzazione».

274    Tale messaggio, scambiato tra due consulenti legali esterni della ricorrente, non può essere considerato come una vera e propria analisi delle implicazioni della concentrazione sotto il profilo del diritto della concorrenza, e il consulente dello studio legale F. non disponeva, del resto, di tempo sufficiente per effettuare siffatta analisi.

275    Occorre inoltre constatare che né il messaggio di posta elettronica del 29 novembre 2012 né quelli del 14 dicembre 2012 menzionano l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

276    Il primo documento in cui si menziona espressamente l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 è un memorandum del consulente legale norvegese della ricorrente del 18 dicembre 2012.

277    In tale memorandum, dopo aver citato il testo dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 139/2004, tale consulente legale ha rilevato quanto segue:

«Dalle precedenti considerazioni risulta che la Marine Harvest può ottenere le azioni della Morpol, ma non può esercitare i diritti di voto inerenti a tali azioni sino a quando l’operazione non sia autorizzata dalla Commissione. Pertanto, la Marine Harvest non può esercitare i suoi diritti quale azionista della Morpol e non controllerà quindi, in concreto, la società sino a quando l’autorizzazione non sia stata ottenuta».

278    Tale memorandum non contiene tuttavia una vera e propria analisi dell’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La semplice citazione del testo dell’articolo 7, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 139/2004 e l’affermazione secondo la quale la ricorrente poteva ottenere le azioni della Morpol se non esercitava i diritti di voto, non possono essere assimilate a un’analisi di tal genere, in particolare alla luce della circostanza che, secondo la sua formulazione letterale, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile. In tale memorandum il consulente legale norvegese della ricorrente non si è basato in particolare sull’esistenza di una concentrazione unica per giustificare la presunta applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

279    Inoltre, occorre ricordare che l’SPA era già stato sottoscritto il 14 dicembre 2012. L’SPA prevedeva, all’articolo 7.1, che la conclusione avrebbe avuto luogo quanto prima e non oltre tre giorni lavorativi dopo la sottoscrizione. Inoltre, tale contratto prevedeva, all’articolo 7.2, che, alla data della conclusione, la ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver pagato il prezzo di acquisto. Infine, l’SPA prevedeva, all’articolo 7.3, che, in tale data, i venditori avrebbero dovuto dimostrare di aver trasferito le azioni alla ricorrente.

280    Il memorandum del 18 dicembre 2012 è stato quindi redatto in un momento in cui la ricorrente si era già impegnata a concludere l’acquisizione non oltre tre giorni lavorativi dopo la sottoscrizione dell’SPA.

281    Per quanto riguarda la constatazione della Commissione, contenuta nel punto 146 della decisione impugnata, secondo la quale la ricorrente non ha prodotto elementi di prova del fatto che essa aveva ricevuto dai suoi consulenti legali una valutazione relativa all’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 prima del 18 dicembre 2012, circostanza contestata dalla ricorrente, occorre rilevare quanto segue.

282    È certamente vero che la ricorrente aveva implicitamente affermato, alla pagina 14 della sua risposta del 30 aprile 2014 alla comunicazione degli addebiti, che essa aveva ricevuto dal suo consulente legale norvegese, prima del 18 dicembre 2012, l’informazione secondo la quale le condizioni per l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 erano soddisfatte. Infatti, la ricorrente ha dichiarato che tale informazione era stata «ribadita per iscritto» nel memorandum di tale consulente del 18 dicembre 2012.

283    Tuttavia, la constatazione della Commissione, secondo la quale la ricorrente «non ha prodotto elementi di prova» del fatto che essa aveva ricevuto siffatta valutazione prima del 18 dicembre 2012, è corretta. Infatti, anche se la ricorrente ha implicitamente affermato, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, di aver ricevuto dal suo consulente legale norvegese, prima del 18 dicembre 2012, l’informazione secondo la quale le condizioni per l’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 erano soddisfatte, essa non ha prodotto un elemento di prova al riguardo. La ricorrente non ha prodotto, in particolare, in allegato alla sua risposta alla comunicazione degli addebiti, i messaggi di posta elettronica del 29 novembre e del 14 dicembre 2012, citati supra ai punti 264, 268 e 273, che la stessa ha prodotto in allegato all’atto introduttivo del ricorso.

284    In ogni caso, tali messaggi non rimettono in discussione la negligenza della ricorrente. Per quanto riguarda il messaggio di posta elettronica del 29 novembre 2012, prodotto dinanzi al Tribunale, occorre ricordare che quest’ultimo non menziona l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 e non contiene una vera e propria analisi degli obblighi della ricorrente (v. supra, punti da 264 a 266). Lo stesso dicasi per il messaggio di posta elettronica del consulente dello studio legale F. del 14 dicembre 2012 (v. supra, punti da 273 a 275).

285    In ogni caso, anche supponendo che la ricorrente abbia ottenuto, prima del 18 dicembre 2012, da parte dei suoi consulenti legali, l’informazione secondo la quale l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 era applicabile, ciò non rimetterebbe in discussione la constatazione secondo la quale il comportamento della ricorrente è stato negligente.

286    Da un lato, occorre ricordare che un’impresa non può sottrarsi all’irrogazione di un’ammenda qualora la violazione delle norme in materia di concorrenza abbia origine in un errore della medesima impresa quanto alla legittimità del proprio comportamento a motivo del contenuto di un parere giuridico di un avvocato (v. supra, punto 238).

287    D’altro lato, il messaggio di posta elettronica del consulente legale norvegese della ricorrente, del 14 dicembre 2012, sul quale si basa la ricorrente, lungi dal confermare che la ricorrente ha dato prova di diligenza, rivela la sua negligenza, in quanto da esso risulta che «nessuno [aveva] prestato particolare attenzione» all’aspetto del diritto della concorrenza sino al giorno stesso della sottoscrizione dell’SPA.

288    Se la ricorrente si fosse comportata come un operatore diligente, si sarebbe assicurata che, prima della sottoscrizione dell’SPA, venisse effettuata un’analisi completa delle implicazioni dell’SPA sotto il profilo del diritto della concorrenza, tanto più che l’SPA prevedeva che la conclusione dell’acquisizione dovesse aver luogo non oltre tre giorni lavorativi dopo la sottoscrizione.

289    La ricorrente si basa anche su un messaggio di posta elettronica inviatole dall’avvocato dello studio F. il 27 gennaio 2013. A tal riguardo, occorre constatare che tale messaggio è stato inviato dopo la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012 e che esso non può quindi esimere in nessun caso la ricorrente dalla sua responsabilità. Peraltro, tale messaggio non contiene una vera e propria analisi delle condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, ma si limita in sostanza a riprodurre il dettato di tale disposizione. Detto messaggio non menziona, in particolare, la nozione di «concentrazione unica».

290    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che la Commissione ha constatato correttamente che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 era stata commessa per negligenza.

291    Il secondo motivo deve essere, pertanto, respinto.

C.      Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio generale del ne bis in idem

292    La ricorrente sostiene che la Commissione le ha inflitto, nella decisione impugnata, due ammende per un unico comportamento, in violazione del principio generale del ne bis in idem. Essa rileva che una violazione dell’obbligo di notifica, previsto all’articolo 4 paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 comporta necessariamente una violazione dell’obbligo dello status quo, previsto all’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento. A suo avviso, la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è l’infrazione più specifica, mentre la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento è l’infrazione più generale, cosicché la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 include la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento o impedisce quantomeno alla Commissione di infliggere un’ammenda distinta per quest’ultima.

293    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

1.      Osservazioni preliminari sul rapporto tra l’articolo 4, paragrafo 1, l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004

294    Occorre rilevare che, come sostiene la ricorrente e come ammette la Commissione, la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 comporta automaticamente la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Infatti, se un’impresa viola l’obbligo, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, di notificare una concentrazione prima della sua realizzazione, ciò ha come conseguenza che tale impresa viola il divieto di realizzare una concentrazione prima della sua notifica e della sua autorizzazione.

295    Non è vero, tuttavia, l’inverso. Infatti, quando un’impresa notifica una concentrazione prima della sua realizzazione, ma realizza tale concentrazione prima che quest’ultima sia stata dichiarata compatibile con il mercato interno, essa viola l’articolo 7, paragrafo 1, ma non l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

296    Va inoltre ricordato che l’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004 prevede la possibilità di infliggere ammende, da un lato, per la violazione dell’obbligo di notifica previsto all’articolo 4 di tale regolamento e, dall’altro, per la realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 7 del medesimo regolamento.

297    Risulta da quanto precede che, quando un’impresa viola l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, essa viola automaticamente l’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento, il che comporta, secondo il tenore di tale regolamento, la possibilità per la Commissione di infliggere ammende sia ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 139/2004 sia ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera b), del medesimo regolamento.

298    Va osservato che si tratta di una situazione esistente solo a partire dall’entrata in vigore del regolamento n. 139/2004. A tal riguardo, occorre ricordare che l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 non prevede più, per la notifica delle concentrazioni, il termine di una settimana a decorrere dalla conclusione dell’accordo o dalla pubblicazione dell’offerta di acquisto, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 (v. supra, punto 225).

299    Era possibile, in forza del regolamento n. 4064/89, violare l’articolo 4, paragrafo 1, di tale regolamento, senza violare l’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Infatti, un’impresa che notificava una concentrazione oltre una settimana dopo la conclusione dell’accordo, ma che attendeva l’autorizzazione della Commissione prima di realizzarla, violava l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, ma non l’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento.

300    Per quanto riguarda le sanzioni previste, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 4064/89, la mancanza di notifica conformemente all’articolo 4 del medesimo regolamento era passibile di ammende varianti soltanto da ECU 1 000 a ECU 50 000. La realizzazione di un’operazione di concentrazione in violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 era, in forza dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera b), di tale regolamento, passibile di ammende fino a concorrenza del 10% del fatturato totale realizzato dalle imprese partecipanti.

301    Per contro, nel regolamento n. 139/2004, la violazione dell’obbligo di notifica previsto all’articolo 4 non compare più all’articolo 14, paragrafo 1, ma all’articolo 14, paragrafo 2, del medesimo regolamento, il che implica che i livelli minimi e massimi delle sanzioni per la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e quelli per la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, di tale regolamento sono ormai identici e corrispondono alla possibilità di infliggere ammende fino a concorrenza del 10% del fatturato totale realizzato dalle imprese interessate.

302    Sebbene l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 preveda un obbligo di fare (notificare una concentrazione prima della sua realizzazione) e l’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento preveda un obbligo di non fare (non realizzare una concentrazione prima della sua notifica e della sua autorizzazione), la violazione dell’obbligo di fare comporta automaticamente la violazione dell’obbligo di non fare previsto all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Infatti, secondo il quadro normativo attuale, è solo al momento della realizzazione di una concentrazione che è possibile sapere in definitiva se un’impresa non ha notificato la concentrazione prima della sua realizzazione.

303    Ne consegue che, nel momento in cui un’impresa viola l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, inizia automaticamente la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Infatti, al momento della realizzazione della concentrazione, l’impresa interessata viola l’obbligo di notificare la concentrazione prima della sua realizzazione, previsto all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, e il divieto corrispondente di realizzare una concentrazione prima della notifica, previsto all’articolo 7, paragrafo 1, prima fattispecie, del regolamento n. 139/2004. Nel contempo, essa viola il divieto di realizzare una concentrazione prima dell’autorizzazione, previsto all’articolo 7, paragrafo 1, seconda fattispecie, del regolamento n. 139/2004, in quanto una concentrazione che non sia stata notificata non può essere dichiarata compatibile con il mercato interno.

304    In tale contesto, occorre rilevare che è pacifico, nella fattispecie, che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituisce un’infrazione istantanea. Tuttavia, la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è un’infrazione continuata che dura finché l’operazione non viene dichiarata compatibile con il mercato interno dalla Commissione, come ha constatato la Commissione ai punti 128, 165 e 166 della decisione impugnata (v., per quanto riguarda l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 212).

305    Nella fattispecie, la Commissione ha rilevato, al punto 127 della decisione impugnata, che il comportamento che dà luogo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 e alla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento costituiva un unico comportamento, ossia la realizzazione di una concentrazione di dimensione comunitaria prima della sua notifica e della sua autorizzazione. In risposta a un quesito scritto, posto a tal proposito dal Tribunale, la Commissione ha confermato che essa non contestava che i fatti che avevano comportato la violazione di queste due disposizioni erano identici nella fattispecie.

306    Va constatato che il quadro normativo attuale è insolito, in quanto esistono due articoli nel regolamento n. 139/2004 la cui violazione è passibile di ammende con gli stessi livelli minimi e massimi, ma per i quali la violazione del primo comporta necessariamente la violazione del secondo. Occorre tuttavia rilevare che si tratta del quadro normativo che la Commissione ha dovuto applicare e che la ricorrente non solleva alcuna eccezione di illegittimità per quanto riguarda talune disposizioni del regolamento n. 139/2004.

2.      Sull’applicabilità nella fattispecie del principio del ne bis in idem

307    Secondo una giurisprudenza costante, il principio del bis in idem deve essere rispettato nei procedimenti diretti all’irrogazione di ammende in materia di diritto della concorrenza. Tale principio vieta, in materia di concorrenza, che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile (v. sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., C‑17/10, EU:C:2012:72, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

308    In cause in materia di diritto della concorrenza, la Corte ha dichiarato che l’applicazione del principio del ne bis in idem era soggetta alla triplice condizione di identità dei fatti, di unità del contravventore e di unità dell’interesse giuridico tutelato (v. sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a., C‑17/10, EU:C:2012:72, punto 97 e giurisprudenza ivi citata).

309    Dalla giurisprudenza citata supra al punto 307 emerge che il principio del ne bis in idem presenta due elementi. Esso vieta sia che un’impresa venga «perseguita» un’altra volta sia che tale impresa venga «condannata» un’altra volta. Tuttavia, secondo la formulazione ripresa supra al punto 307, i due elementi presuppongono che l’impresa in questione sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile «in forza di una precedente decisione non più impugnabile».

310    Occorre inoltre ricordare che l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è formulato nei seguenti termini:

«Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».

311    Tale articolo contiene anch’esso i due elementi, ossia il divieto di un doppio procedimento e quello di una doppia sanzione (perseguito o condannato). Occorre inoltre rilevare che tale articolo menziona chiaramente una sentenza «definitiva», senza operare distinzioni tra i due elementi. Esso menziona altresì il fatto che l’interessato è «già» stato assolto o condannato a seguito di una sentenza, il che conferma la circostanza che deve trattarsi di una sentenza precedente.

312    È vero che il principio del ne bis in idem si applica nei procedimenti diretti all’irrogazione di ammende in materia di diritto della concorrenza, indipendentemente dalla qualificazione di tali ammende come ammende di natura penale o non penale. Inoltre, in materia di diritto della concorrenza, in cui le ammende sono inflitte dalla Commissione, l’esistenza di una «sentenza» che infligge un’ammenda non è necessaria. Come emerge dalla formulazione riportata supra al punto 307, è sufficiente che esista una «decisione» precedente non più impugnabile. Pertanto, la sola esistenza di una decisione della Commissione che infligge un’ammenda, che non sia stata contestata nei termini e che, quindi, non sia più impugnabile, è sufficiente per far sì che il principio del ne bis in idem possa essere applicato. Tuttavia, il termine «definitiva» che emerge dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali si applica anche nel diritto della concorrenza, come risulta dall’espressione «precedente decisione non più impugnabile».

313    Inoltre, l’articolo 4, paragrafo 1, del protocollo n. 7 della CEDU è formulato nei seguenti termini:

«Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato».

314    Tale disposizione contiene anch’essa i due elementi, ossia il divieto di un doppio procedimento e di una doppia sanzione (perseguito o condannato), e presuppone altresì l’esistenza di una sentenza «definitiva». Inoltre, essa menziona il fatto che l’interessato sia «già» stato assolto o condannato a seguito di una sentenza, il che conferma la circostanza che deve trattarsi di una sentenza precedente.

315    Il dettato di tali disposizioni non comprende quindi una situazione in cui un’autorità infligge due sanzioni in un’unica decisione, come avviene nel caso di specie.

316    Ciò è conforme alla ratio del principio del ne bis in idem. Infatti, secondo tale principio, una volta che l’autore dell’infrazione sia stato giudicato e punito, egli deve poter essere certo che, con l’esecuzione della pena, ha definitivamente espiato la sua colpa, e non deve quindi temere di andare incontro ad una nuova sanzione (conclusioni dell’avvocato generale Ruiz‑Jarabo Colomer nelle cause Gözütok e Brügge, C‑187/01 e C‑385/01, EU:C:2002:516, paragrafo 49).

317    L’irrogazione di due sanzioni in un’unica decisione non è contraria a tale obiettivo. Infatti, come ha rilevato la Commissione, in risposta a un quesito scritto rivolto a tal proposito alle parti, quando due sanzioni sono inflitte in un’unica decisione, l’interessato può andare avanti sapendo che non sarà nuovamente sanzionato per la stessa infrazione.

318    È certamente vero che, nell’atto introduttivo del ricorso, la ricorrente non ha invocato espressamente il principio del ne bis in idem, ma il principio nemo debet bis puniri pro uno delicto. La ricorrente ha tuttavia confermato, in risposta a un quesito scritto posto a tal proposito dal Tribunale, che il principio che essa invocava corrispondeva al secondo elemento del principio del ne bis in idem, ossia il divieto di una doppia sanzione, e che essa non invocava un principio distinto dal principio del ne bis in idem. Anche la Commissione ha confermato, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che il principio nemo debet bis puniri pro uno delicto corrispondeva al secondo elemento del principio del ne bis in idem.

319    Va constatato che il principio del ne bis in idem non si applica nella fattispecie, in quanto le sanzioni sono state inflitte dalla stessa autorità in un’unica decisione.

320    Tale risultato non è rimesso in discussione né dagli argomenti della ricorrente né dalla giurisprudenza dei giudici dell’Unione o della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»).

321    La ricorrente ha affermato, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che la giurisprudenza costante dei giudici dell’Unione in materia di diritto della concorrenza annoverava vari esempi di applicazione del principio del ne bis in idem quando più ammende erano state inflitte in un’unica decisione.

322    A tal riguardo, in primo luogo, la ricorrente si basa sulla sentenza del 21 luglio 2011, Beneo‑Orafti (C‑150/10, EU:C:2011:507). Essa afferma che dal punto 68 di tale sentenza risulta che la Corte ha applicato il principio del ne bis in idem esaminando la questione se tale principio ostasse ad un’applicazione cumulativa delle misure previste all’articolo 26, paragrafo 1, e all’articolo 27 del regolamento n. 968/2006 della Commissione, del 27 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità (GU 2006, L 176, pag. 32).

323    Occorre tuttavia rilevare che, in tale causa, la Corte ha constatato che il principio del ne bis in idem non era applicabile per il motivo che solo una delle tre misure in questione in tale causa poteva essere qualificata come sanzione (sentenza del 21 luglio 2011, Beneo‑Orafti, C‑150/10, EU:C:2011:507, punto 74). Avendo negato l’applicabilità del principio del ne bis in idem per un’altra ragione, la Corte semplicemente non si è pronunciata sulla questione se tale principio sia applicabile in una situazione in cui più sanzioni sono inflitte in un’unica decisione o in cui viene inflitta una seconda sanzione mentre la decisione che infligge la prima sanzione non è ancora divenuta definitiva.

324    Dato che la ricorrente si basa sulle conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Beneo‑Orafti (C‑150/10, EU:C:2011:164), è sufficiente constatare che la Corte non si è attenuta a tali conclusioni per quanto riguarda l’applicabilità del principio del ne bis in idem.

325    In secondo luogo, la ricorrente invoca la sentenza del 13 dicembre 2006, FNCBV e a./Commissione (T‑217/03 e T‑245/03, EU:T:2006:391). Le ricorrenti nella causa che ha dato luogo a tale sentenza hanno sostenuto che la Commissione aveva violato il principio del ne bis in idem infliggendo, in un’unica decisione, ammende a più associazioni i cui membri erano in parte identici. Secondo dette ricorrenti, tali membri sarebbero stati quindi sottoposti indirettamente a più ammende.

326    Il Tribunale si è limitato a constatare, al punto 344 della sentenza del 13 dicembre 2006, FNCBV e a./Commissione (T‑217/03 e T‑245/03, EU:T:2006:391), che mancava l’identità dei contravventori, in quanto la decisione impugnata non sanzionava più volte le medesime entità o le medesime persone per i medesimi fatti, cosicché non vi era stata violazione del principio ne bis in idem. Il Tribunale non si è quindi pronunciato sulla questione se il principio del ne bis in idem possa essere applicato nel caso in cui più sanzioni sono state inflitte in un’unica decisione.

327    Nella sentenza che statuisce sull’impugnazione avverso quest’ultima sentenza, ossia la sentenza del 18 dicembre 2008, Coop de France bétail et viande e a./Commissione (C‑101/07 P e C‑110/07 P, EU:C:2008:741, punto 130), anch’essa citata dalla ricorrente, la Corte si è limitata a confermare l’approccio del Tribunale.

328    In terzo luogo, la ricorrente si basa sulla sentenza del 5 ottobre 2011, Transcatab/Commissione (T‑39/06, EU:T:2011:562). In tale sentenza il Tribunale ha concluso per l’assenza di violazione del principio del ne bis in idem sulla base del rilievo che non sussisteva né identità dei fatti né identità dei contravventori (v. punti da 255 a 259 di tale sentenza). Il Tribunale non si è pronunciato sulla questione se il principio del ne bis in idem si applichi in una situazione in cui sono state inflitte più ammende in un’unica decisione.

329    Infine, la ricorrente si basa sulla sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, EU:C:2012:72). Essa fa valere che, in tale sentenza, il principio del ne bis in idem è stato applicato a una decisione della Commissione del 24 gennaio 2007 che non era divenuta ancora definitiva, quantomeno per la Toshiba e per altri principali destinatari, neppure alla data della pronuncia della sentenza della Corte, il 14 febbraio 2012.

330    Occorre tuttavia rilevare che, nella sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, EU:C:2012:72, punti da 98 a 103), la Corte ha respinto l’applicabilità del principio del ne bis in idem per un’altra ragione, ossia per la mancanza di identità dei fatti.

331    La ricorrente afferma inoltre che, nella sentenza del 14 febbraio 2012, Toshiba Corporation e a. (C‑17/10, EU:C:2012:72), la Corte ha applicato il principio del ne bis in idem sin dall’«adozione della decisione [della Commissione]». Va constatato che è certamente vero che, al punto 103 di tale sentenza, la Corte menziona una «decisione della Commissione presa prima dell’adozione della decisione di detta autorità nazionale garante della concorrenza» e non una decisione «divenuta definitiva» prima di quella data. Tuttavia, al punto 94 di tale sentenza, la Corte rileva chiaramente che il principio del ne bis in idem vieta «che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile». Risulta quindi chiaramente da tale sentenza che il principio del ne bis in idem non si applica in mancanza di una decisione precedente definitiva.

332    Va constatato che la ricorrente non individua alcuna sentenza dei giudici dell’Unione in cui la violazione del principio del ne bis in idem sarebbe stata constatata in una situazione nella quale più sanzioni sono state inflitte in un’unica decisione, o nella quale una seconda sanzione è stata inflitta prima che la decisione che infligge la prima sanzione sia divenuta definitiva.

333    Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte EDU, emerge chiaramente da quest’ultima che il principio del ne bis in idem non si applica in una situazione in cui più sanzioni sono inflitte in un’unica decisione.

334    Infatti, dalla sentenza della Corte EDU del 7 dicembre 2006, Hauser‑Sporn c. Austria (CE:ECHR:2006:1207JUD003730103), emerge che il solo fatto che un atto costituisca più di un’infrazione non è contrario all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU. Secondo la medesima sentenza, solo nel caso in cui più infrazioni basate sui medesimi fatti siano perseguite consecutivamente, una dopo la decisione definitiva riguardante l’altra, è necessario, secondo la Corte EDU, esaminare se le infrazioni contengano gli stessi elementi essenziali.

335    Peraltro, nella sentenza della Corte EDU del 17 febbraio 2015, Boman c. Finlandia (CE:ECHR:2015:0217JUD004160411), la stessa ha rilevato che:

«Lo scopo dell’articolo 4 del protocollo n. 7 [della CEDU] è di vietare che siano nuovamente avviati procedimenti penali che hanno dato luogo a una decisione “definitiva”.

(…)

Le decisioni che possono essere oggetto di un’impugnazione ordinaria sono escluse dall’ambito di applicazione della garanzia di cui all’articolo 4 del protocollo n. 7 [della CEDU] fintanto che il temine per proporre siffatta impugnazione non sia scaduto».

336    La ricorrente ha ammesso, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che, in caso di sanzioni successive, la Corte EDU applicava il principio del ne bis in idem se la decisione che infliggeva la prima sanzione fosse divenuta definitiva.

337    Essa afferma tuttavia che la giurisprudenza dei giudici dell’Unione offre una tutela più ampia contro la doppia sanzione, applicando tale principio sin dall’adozione di una decisione, anche se quest’ultima non è ancora divenuta definitiva.

338    Tale argomento non può essere accolto. Infatti, dalla giurisprudenza citata supra al punto 307 emerge chiaramente che il principio de ne bis in idem «vieta, in materia di concorrenza, che un’impresa venga condannata o perseguita un’altra volta per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile». Come emerge dai punti da 322 a 332 supra, tale principio non viene rimesso in discussione dalla giurisprudenza sulla quale si basa la ricorrente.

339    Infine, va osservato che, nell’atto introduttivo del ricorso, la ricorrente ha altresì menzionato il principio di imputazione (Anrechnungsprinzip). In risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, la ricorrente ha precisato che il terzo motivo era basato sulla violazione del principio del ne bis in idem e che il principio di imputazione costituiva un principio distinto ma collegato al principio del ne bis in idem, e che il principio di imputazione era stato applicato in casi in cui il principio del ne bis in idem non trovava interamente applicazione. La ricorrente ha inoltre precisato che, a suo avviso, il principio di imputazione non necessitava di essere applicato nella fattispecie, in quanto sarebbe stato applicato il principio del ne bis in idem. Essa sostiene che, in ogni caso, anche se il Tribunale dichiarasse che esistono ragioni per applicare il principio di imputazione nella fattispecie, il risultato dovrebbe essere indubbiamente lo stesso, ossia che l’importo della prima ammenda dovrebbe essere dedotto da quello della seconda.

340    Occorre rilevare che il principio di imputazione è stato discusso, in materia di diritto della concorrenza, in situazioni riguardanti ammende inflitte in uno Stato membro o in uno Stato terzo.

341    Nella sentenza del 13 febbraio 1969, Wilhelm e a. (14/68, EU:C:1969:4), pronunciata in un momento in cui il regolamento n. 1/2003 non era ancora in vigore (v., per quanto riguarda la situazione successiva alla creazione della rete europea per la concorrenza, sentenza del 13 luglio 2011, ThyssenKrupp Liften Ascenseurs/Commissione, T‑144/07, da T‑147/07 a T‑150/07 e T‑154/07, EU:T:2011:364, punto 187), la Corte ha dichiarato quanto segue. Le autorità degli Stati membri garanti della concorrenza possono instaurare, in via di principio, un procedimento nei confronti di un’intesa, secondo il loro diritto nazionale, anche qualora un procedimento parallelo riguardante detta intesa sia pendente dinanzi alla Commissione. Essa ha altresì rilevato, al punto 11 di tale sentenza, che, se la possibilità di un duplice procedimento avesse dovuto implicare una doppia sanzione, un’esigenza generale di equità implicava che si tenesse conto, nel determinare la sanzione, delle «decisioni repressive anteriori» (v. anche, in tal senso, sentenza del 6 aprile 1995, Sotralentz/Commissione, T‑149/89, EU:T:1995:69, punto 29). La Corte ha inoltre rilevato, al punto 3 della sentenza del 14 dicembre 1972, Boehringer Mannheim/Commissione (7/72, EU:C:1972:125), che, nel commisurare l’ammenda, la Commissione doveva tener conto delle sanzioni «già» irrogate all’impresa per lo stesso fatto, qualora si trattasse di sanzioni inflitte per violazione del diritto delle intese di uno Stato membro.

342    Si tratta quindi di un principio applicabile quando esistono «decisioni repressive anteriori» o, in altri termini, in caso di sanzioni per violazioni del diritto delle intese di uno Stato membro «già» irrogate alla stessa impresa per lo stesso fatto, e non in caso di irrogazione di due ammende, da parte della stessa autorità, in un’unica decisione. È, d’altronde, del tutto appropriato trattare questi tipi di situazione in maniera diversa. Infatti, quando la Commissione e l’autorità di uno Stato membro infliggono sanzioni per la stessa intesa, esiste il rischio che ciascuna ammenda, considerata isolatamente, sia proporzionata, ma che le due ammende, considerate congiuntamente, siano sproporzionate, se l’esistenza della prima ammenda non viene presa in considerazione al momento della determinazione della seconda ammenda. Tuttavia, nel fissare più ammende in un’unica decisione, la Commissione può assicurarsi che tali ammende, considerate congiuntamente, siano proporzionate, e anche il Tribunale può esaminare tale questione.

343    Infine, la ricorrente ha fatto valere, in risposta ai quesiti scritti posti dal Tribunale, che, alla luce dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità, l’irrogazione di una doppia sanzione per il medesimo comportamento era ingiusta sia nei procedimenti paralleli che nei procedimenti consecutivi. Tale argomento non può essere accolto. Infatti, al momento dell’irrogazione di due sanzioni, da parte della medesima autorità, in un’unica decisione, quest’ultima può assicurarsi che le sanzioni, considerate congiuntamente, siano proporzionate, e anche il giudice può verificare la proporzionalità delle sanzioni, considerate congiuntamente (v. supra, punto 342). L’irrogazione di due sanzioni per uno stesso comportamento, da parte della stessa autorità in un’unica decisione, non può essere quindi considerata, in quanto tale, come contraria ai principi della parità di trattamento e di proporzionalità.

344    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il principio del ne bis in idem e il principio di imputazione non si applicano ad una situazione in cui più sanzioni sono inflitte in un’unica decisione, anche se tali sanzioni sono inflitte per gli stessi fatti. In realtà, quando uno stesso comportamento viola più disposizioni passibili di ammende, la questione se più ammende possano essere inflitte in un’unica decisione non rientra nel principio del ne bis in idem, ma nei principi che disciplinano il concorso di infrazioni (per quanto attiene ai problemi relativi al concorso di reati, v. infra, punti da 345 a 373).

3.      Sugli argomenti della ricorrente relativi al concorso di infrazioni

345    La ricorrente sostiene che, secondo il diritto internazionale e il diritto tedesco, il principio del «conflitto apparente» o «falso conflitto» (unechte Konkurrenz) va inteso nel senso che, quando un atto sembra rientrare nell’ambito di applicazione di due norme giuridiche, la disposizione applicabile in via principale esclude tutte le altre disposizioni in base ai principi di sussidiarietà, di consumazione o di specialità, e che molti altri Stati membri applicano il principio del conflitto apparente in forme diverse. A suo avviso, un certo numero di altri Stati membri non fa espressamente ricorso alla nozione di conflitto apparente o di falso conflitto, ma vieta anch’esso l’irrogazione di una doppia sanzione per un’infrazione più grave e un’infrazione meno grave inclusa nella prima.

346    Per quanto attiene alle disposizioni di cui trattasi nella fattispecie, la ricorrente sostiene, più in particolare, che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è l’infrazione più specifica, mentre la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento è l’infrazione più generale, cosicché la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 include la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento o impedisce quantomeno alla Commissione di infliggere un’ammenda distinta per quest’ultima.

347    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

348    Va constatato che, nel diritto della concorrenza dell’Unione, non esistono norme specifiche riguardanti il concorso di infrazioni. Devono essere quindi esaminati gli argomenti della ricorrente relativi ai principi del diritto internazionale e degli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

349    Occorre ricordare che, secondo gli argomenti della ricorrente (v. supra, punto 345), la «disposizione applicabile in via principale» esclude tutte le altre disposizioni.

350    A tal riguardo, la Commissione sottolinea correttamente che il legislatore non ha definito un’infrazione come più grave dell’altra, essendo entrambe soggette allo stesso limite massimo conformemente all’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004. Non si deve quindi considerare una di tali disposizioni come «applicabile in via principale».

351    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente, secondo il quale la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, è l’infrazione più specifica che include la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, occorre inoltre rilevare quanto segue.

352    Va ricordato che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è un’infrazione istantanea, mentre la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è un’infrazione continuata che ha il suo punto di partenza nello stesso momento in cui viene commessa la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punto 304).

353    Peraltro, va rilevato che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CEE) n. 2988/74 del Consiglio, del 26 novembre 1974, relativo alla prescrizione in materia di azioni e di esecuzione nel settore del diritto dei trasporti e della concorrenza della Comunità economica europea (GU 1974, L 319, pag. 1), il termine di prescrizione è di tre anni per quanto riguarda le violazioni delle disposizioni relative alle notifiche delle imprese. Ne consegue che il termine di prescrizione è di tre anni per le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Per contro, per le violazioni dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 2988/74, il termine di prescrizione è di cinque anni (v., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 209).

354    Seguire il ragionamento della ricorrente comporterebbe che un’impresa che viola sia l’obbligo di notificare che il divieto di realizzare una concentrazione prima della sua autorizzazione sarebbe avvantaggiata rispetto a un’impresa che viola unicamente il divieto di realizzare una concentrazione prima della sua autorizzazione.

355    Infatti, un’impresa che notifica una concentrazione prima della sua realizzazione, ma che la realizza prima di aver ottenuto la relativa autorizzazione, è passibile di ammende in forza dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 139/2004, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento. Essa può essere quindi sanzionata per un’infrazione continuata, che dura finché l’operazione non viene dichiarata compatibile con il mercato interno dalla Commissione, e per la quale è applicabile un termine di prescrizione di cinque anni.

356    Se la medesima impresa non avesse neppure notificato la concentrazione prima della sua realizzazione, la Commissione, secondo il ragionamento seguito dalla ricorrente, potrebbe infliggere unicamente un’ammenda in forza dell’articolo 14, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 139/2004, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 1, del medesimo regolamento. L’impresa potrebbe essere quindi sanzionata unicamente per un’infrazione istantanea, per la quale si applica un termine di prescrizione di soli tre anni. Ciò significherebbe che un’impresa sarebbe avvantaggiata nel violare, oltre al divieto di realizzare una concentrazione prima della sua realizzazione, l’obbligo di notificarla.

357    È esclusa tuttavia un’interpretazione del regolamento n. 139/2004 che conduca a un risultato così aberrante.

358    L’argomento della ricorrente, secondo il quale la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è l’infrazione più specifica che include la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, non può essere quindi accolto.

359    Tale risultato non è rimesso in discussione dagli argomenti della ricorrente, dedotti in udienza, volti a contestare il fatto che le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 sono soggette a un termine di prescrizione di soli tre anni. Infatti, secondo la formulazione assai chiara dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2988/74, il termine di prescrizione è di tre anni per quanto riguarda le violazioni delle disposizioni relative alle notifiche delle imprese.

360    La circostanza, sottolineata dalla ricorrente, che il legislatore ha aumentato il limite massimo delle ammende previsto per la violazione dell’obbligo di notifica, prevedendo, all’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, un limite massimo del 10% del fatturato totale realizzato dalle imprese dalle imprese interessate, contro un limite massimo di ECU 50 000 che era previsto all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 4064/89 (v. supra, punto 300), non è tale da modificare il termine di prescrizione, sempre disciplinato dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 2988/74.

361    In ogni caso, anche supponendo che il termine di prescrizione per la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n 139/2004 e quello per la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento siano identici, ciò non rimetterebbe in discussione la circostanza, del resto non contestata dalla ricorrente, che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è un’infrazione istantanea, mentre la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento è un’infrazione continuata. Anche in tale ipotesi, il fatto di considerare la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 come infrazione più specifica che include la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento, comporterebbe quindi che un’impresa sarebbe avvantaggiata nel violare, oltre al divieto di realizzare una concentrazione prima della sua autorizzazione, l’obbligo di notificarla. Infatti, se si seguisse il ragionamento della ricorrente, un’impresa che viola unicamente il divieto di realizzare una concentrazione prima di aver ottenuto l’autorizzazione potrebbe essere sanzionata per un’infrazione continuata, che dura finché l’operazione non viene dichiarata compatibile con il mercato interno, mentre un’impresa che viola anche l’obbligo di notificare la concentrazione prima della sua realizzazione potrebbe essere sanzionata unicamente per un’infrazione istantanea. Quest’ultima impresa sarebbe quindi avvantaggiata rispetto alla prima, da un lato, per quanto riguarda la durata dell’infrazione e, dall’altro, per quanto riguarda il momento in cui il termine di prescrizione inizia a decorrere. L’argomento della ricorrente non può quindi essere accolto.

362    Va quindi constatato che la Commissione ha sanzionato correttamente la ricorrente per la violazione delle due disposizioni.

363    Tale risultato non è rimesso in discussione dagli altri argomenti dedotti dalla ricorrente.

364    La ricorrente afferma che «la giurisprudenza costante dei giudici internazionali vieta la doppia sanzione a carico di una persona per la violazione di una disposizione che non può essere violata senza violare un’altra disposizione». Essa cita, al riguardo, alcune sentenze del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia (in prosieguo: il «TPIJ») e del Tribunale penale internazionale per il Rwanda.

365    La ricorrente si basa in particolare sulla sentenza del TPIJ, Il Procuratore c/ Vidoje Blagojević & Dragan Jokić, causa n. IT‑02‑60‑T, 17 gennaio 2005, par. 799, che stabilisce quanto segue:

«[P]iù dichiarazioni di colpevolezza possono essere pronunciate in base a diverse disposizioni dello Statuto, ma a causa del medesimo comportamento, solo se ciascuna di tali disposizioni contiene un elemento nettamente distinto che manca nell’altra. (…) Il reato più specifico include quello meno specifico, in quanto la commissione del primo implica necessariamente che sia stato commesso anche il secondo».

366    Dalla sentenza del TPIJ,Il Procuratore c/ Dragoljub Kunarac, Radomir Kovač e Zoran Vuković, causa n. IT‑96‑23 & IT‑96‑23/1‑A, 12 giugno 2002, par. 168 risulta che tale approccio si ispira in gran parte alla sentenza della Supreme Court of the United States (Corte suprema degli Stati Uniti) nella causa Blockburger v. United States, 284 U.S. 299 (1932).

367    Occorre inoltre rilevare che, nella sentenza Alfred Musema c/ Il Procuratore, causa n. ICTR‑96‑13‑A, 16 novembre 2001, par. 360, il Tribunale penale internazionale per il Rwanda ha constatato che sussistevano divergenze tra gli approcci nazionali riguardanti la questione delle condanne multiple in base agli stessi fatti.

368    Occorre rilevare che il solo fatto che il TPIJ applichi, ai fini delle proprie sentenze che infliggono sanzioni penali, un determinato criterio di esame, che ha origine nel diritto degli Stati Uniti, non implica affatto che la Commissione o i giudici dell’Unione siano obbligati ad applicare il medesimo criterio. Occorre sottolineare che il TPIJ non esamina la conformità ai diritti fondamentali delle decisioni adottate o delle sentenze pronunciate a livello nazionale. Il TPIJ si limita a stabilire, ai fini delle sanzioni penali che esso stesso infligge, principi che esso applica nel caso in cui un medesimo atto violi più disposizioni penali. Il TPIJ ha quindi semplicemente stabilito, ai fini delle proprie sentenze, l’approccio che riteneva più appropriato. Ciò non implica affatto che il TPIJ abbia enunciato un principio generale di diritto internazionale che tutti gli Stati o l’Unione dovrebbero seguire. Lo stesso dicasi per la giurisprudenza del Tribunale penale internazionale per il Rwanda.

369    Gli argomenti della ricorrente relativi alla giurisprudenza del TPIJ e del Tribunale penale internazionale per il Rwanda devono essere quindi respinti.

370    La ricorrente afferma inoltre che l’obiettivo stesso del principio del ne bis in idem è «di impedire il cumulo delle sanzioni per un comportamento che, come nella fattispecie, viola contemporaneamente norme giuridiche distinte».

371    A tal riguardo, occorre ricordare che non si tratta di una questione rientrante nel principio del ne bis in idem. Inoltre le norme relative al concorso di infrazioni non vietano in generale che un’impresa sia sanzionata per la violazione di più norme giuridiche distinte, anche se tali norme sono state violate con lo stesso comportamento.

372    La ricorrente si limita a far riferimento al principio del «conflitto apparente» o «falso conflitto», inteso nel senso che, quando un atto sembra rientrare nell’ambito di applicazione di due norme giuridiche, la disposizione applicabile in via principale esclude tutte le altre disposizioni (v. supra, punto 345). L’applicazione di tale principio presuppone tuttavia che esista una «disposizione applicabile in via principale». Se siffatta disposizione non esiste, come avviene nel caso di specie, la contestuale violazione di norme giuridiche distinte costituisce, in astratto, un concorso di infrazioni.

373    Dato che, nella fattispecie, non esiste una disposizione applicabile in via principale, l’argomento della ricorrente deve essere respinto.

374    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il terzo motivo deve essere respinto.

D.      Sul quarto motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto commesso infliggendo ammende alla ricorrente

375    Il quarto motivo si articola in due parti, vertenti, la prima, sulla violazione dei principi della certezza del diritto e nullum crimen, nulla poena sine lege e, la seconda, sulla violazione del principio generale della parità di trattamento.

1.      Sulla prima parte, vertente sulla violazione dei principi della certezza del diritto e nullum crimen, nulla poena sine lege

376    La ricorrente fa valere che l’irrogazione di un’ammenda nella fattispecie viola l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali e l’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, i quali prevedono che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. A suo avviso, l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, come effettuata nella decisione impugnata, implica l’utilizzo di nozioni talmente ampie e di criteri talmente vaghi che la disposizione penale in questione non avrebbe la qualità richiesta ai sensi della CEDU in termini di chiarezza e di prevedibilità dei suoi effetti.

377    Occorre ricordare, anzitutto, che, secondo la giurisprudenza, il principio di legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege) esige che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono. Tale condizione si rivela soddisfatta qualora il soggetto sia in grado di sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente e con l’aiuto, se necessario, dell’interpretazione che ne è data dai tribunali, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale (v. sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

378    Risulta parimenti dalla giurisprudenza che il principio di legalità si impone sia alle norme di carattere penale sia agli strumenti amministrativi specifici che impongono o consentono di imporre sanzioni amministrative e che esso è applicabile non solo alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma anche a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da un’infrazione alle prime (v. sentenza del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione, T‑43/02, EU:T:2006:270, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

379    Nella fattispecie, occorre ricordare che alla ricorrente è stata inflitta un’ammenda, conformemente all’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004, per aver violato l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punto 199). Il dettato di tali disposizioni è chiaro. Nessuna di esse contiene nozioni ampie né criteri vaghi.

380    La ricorrente fa valere, in sostanza, la mancanza di chiarezza dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, che prevede un’eccezione.

381    A tal riguardo, occorre rilevare che, anche supponendo che il requisito della chiarezza derivante dal principio di legalità delle pene si applichi a disposizioni che prevedono un’eccezione a un divieto la cui violazione è passibile di ammende, l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non è applicabile, secondo la sua formulazione, a situazioni come quella di cui trattasi nella fattispecie (v. supra, punti da 68 a 83).

382    La ricorrente poteva quindi sapere, in base al dettato delle disposizioni pertinenti, che la realizzazione dell’acquisizione del dicembre 2012 senza notifica e autorizzazione preventive era passibile di ammende.

383    Dato che la ricorrente poteva saperlo, in base al dettato delle disposizioni pertinenti, non era necessario che tali disposizioni fossero oggetto di interpretazione da parte dei tribunali. Infatti, secondo la formulazione citata supra al punto 377, occorre che il soggetto sia in grado di sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente e con l’aiuto, «se necessario», dell’interpretazione che ne è data dai tribunali, quali atti e omissioni implicano la sua responsabilità penale.

384    È certamente vero che l’obiter dictum contenuto nella decisione Yara/Kemira GrowHow non corrisponde a un’interpretazione da parte dei tribunali, e ancor meno a una «giurisprudenza costante e pubblicata». A tal riguardo, occorre rilevare che, oltre allo stesso testo normativo, si deve tener conto della questione se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v. sentenza del 28 aprile 2010, Amann & Söhne e Cousin Filterie/Commissione, T‑446/05, EU:T:2010:165, punto 129 e giurisprudenza ivi citata).

385    Tuttavia, gli argomenti della ricorrente al riguardo sono inoperanti, in quanto una precisazione da parte della giurisprudenza non è necessaria quando il dettato delle disposizioni in questione è chiaro e non contiene nozioni indeterminate che richiedono una precisazione.

386    Occorre ricordare in tale contesto che la ricorrente tenta, in sostanza, di ampliare l’ambito di applicazione del concetto di «concentrazione unica» e di ampliare così l’ambito di applicazione dell’eccezione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punto 203).

387    Il principio di legalità dei reati e delle pene non implica che sia necessario interpretare estensivamente l’ambito di applicazione di un concetto che non è rinvenibile nel dettato di una disposizione che prevede un’eccezione a un divieto la cui violazione è passibile di ammende, al fine di ampliare l’ambito di applicazione di tale eccezione al di là della sua formulazione letterale.

388    L’esistenza di un’infrazione e l’irrogazione di ammende erano prevedibili per la ricorrente. Occorre ricordare che, nell’ambito dell’esame del secondo motivo, la negligenza del comportamento della ricorrente è già stata constatata.

389    Peraltro, il solo fatto che, nel momento in cui viene commessa un’infrazione, i giudici dell’Unione non abbiano ancora avuto occasione di pronunciarsi specificamente su un comportamento preciso non esclude, in quanto tale, che un’impresa debba attendersi, se del caso, che il suo comportamento possa essere dichiarato incompatibile con le norme in materia di concorrenza del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 43).

390    Risulta altresì dalla giurisprudenza della Corte EDU che la natura inedita, alla luce in particolare della giurisprudenza, della questione giuridica sollevata non costituisce di per sé una violazione dei requisiti di accessibilità e di prevedibilità della legge, allorché la soluzione adottata faceva parte delle interpretazioni possibili e ragionevolmente prevedibili (Corte EDU, 1o settembre 2016, X e Y c. Francia, CE:ECHR:2016:0901JUD004815811). Risulta inoltre dal punto 60 della medesima sentenza che, anche nel caso in cui la formulazione delle disposizioni di cui trattasi in un caso di specie possa costituire una seria difficoltà interpretativa, ciò non implica che l’autorità competente si trovi nell’impossibilità di qualificare giuridicamente gli illeciti commessi in un caso di specie.

391    L’argomento della ricorrente, secondo il quale l’approccio della Commissione nella presente causa era in contrasto con l’approccio seguito dalla stessa nel caso che ha dato luogo alla decisione LGI/Telenet, è già stato respinto supra, ai punti da 141 a 144.

392    Per quanto riguarda l’affermazione della ricorrente secondo la quale, in mancanza di precedenti pertinenti, la prassi dei giudici dell’Unione e della Commissione, consolidatasi da tempo, è stata quella di astenersi dall’infliggere una qualsiasi ammenda, o di infliggere solo un’ammenda simbolica, va rilevato che non esiste una prassi costante in tal senso. È vero che esistono casi in cui la Commissione non ha inflitto alcuna ammenda o ha inflitto un’ammenda simbolica in mancanza di precedenti. Tuttavia, in altri casi, la Commissione ha inflitto ammende di importo elevato anche in situazioni in cui non esistevano precedenti relativi a un comportamento avente le stesse caratteristiche.

393    Dalla giurisprudenza emerge che il fatto che un comportamento avente le medesime caratteristiche non sia stato ancora esaminato in precedenti decisioni non esenta l’impresa dalla sua responsabilità (sentenze del 9 novembre 1983, Nederlandsche Banden‑Industrie‑Michelin/Commissione, 322/81, EU:C:1983:313, punto 107, e del 1o luglio 2010, AstraZeneca/Commissione, T‑321/05, EU:T:2010:266, punto 901). Nelle cause che hanno dato luogo a tali sentenze la Commissione ha inflitto ammende di importo non simbolico.

394    La prima parte del quarto motivo deve essere quindi respinta.

2.      Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio generale della parità di trattamento

395    Nella seconda parte del quarto motivo, la ricorrente fa valere, in sostanza, tre casi precedenti e reclama il medesimo trattamento. Si tratta, in primo luogo, del caso che ha dato luogo alla decisione Yara/Kemira GrowHow, in secondo luogo, della sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50), e, in terzo luogo, della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245).

396    Come sottolinea la ricorrente, la presente causa e il caso che ha dato luogo alla decisione Yara/Kemira GrowHow riguardano entrambi l’acquisizione di una partecipazione iniziale «di partenza» presso un grosso azionista della società oggetto dell’operazione, che ha dato luogo all’obbligo di lanciare un’offerta pubblica. L’offerta pubblica è stata lanciata poco tempo dopo l’acquisizione iniziale, e gli acquirenti hanno informato la Commissione della concentrazione poco tempo dopo la sua realizzazione e si sono astenuti dall’esercitare i diritti di voto.

397    Nel caso che ha dato luogo alla decisione Yara/Kemira GrowHow, la Commissione non ha avviato alcuna indagine e non ha inflitto ammende. Secondo la ricorrente, nessuna differenza oggettiva giustifica il diverso trattamento della società Yara e della ricorrente. La ricorrente invita il Tribunale ad adottare l’approccio seguito nella sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 487), nella quale il Tribunale ha constatato che un’ammenda non era giustificata in quanto la Commissione non aveva inflitto ammende in una decisione precedente relativa a un comportamento simile.

398    A tal riguardo, occorre rilevare che il fatto che la Commissione non abbia inflitto ammende al responsabile di una violazione delle regole di concorrenza di per sé non può impedire che venga inflitta un’ammenda al responsabile di un’infrazione della stessa natura (sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 487). Inoltre, allorché un’impresa, con il suo comportamento, ha violato le regole di concorrenza, non può sottrarsi a qualsiasi sanzione per il motivo che nessuna ammenda è stata inflitta ad altri operatori economici se, come nel caso di specie, il procedimento dinanzi al giudice dell’Unione non riguarda la situazione di questi ultimi (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2014, Sasol e a./Commissione, T‑541/08, EU:T:2014:628, punto 194).

399    Occorre inoltre rilevare che, nella sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50), il Tribunale non si è limitato a constatare che la Commissione non aveva inflitto ammende in una decisione precedente relativa a un comportamento simile per giustificare l’annullamento dell’ammenda. Il Tribunale ha constatato in particolare che «il trattamento giuridico da riservare a questo tipo di accordo, in particolare in considerazione dei suoi stretti collegamenti con il trasporto marittimo, che è oggetto di una disciplina specifica ed eccezionale nel diritto della concorrenza, non era stato stabilito con chiarezza e soprattutto sollevava questioni complesse di natura sia economica che giuridica» (sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 484), che «vari elementi possono avere indotto le ricorrenti a credere legittimo l’accordo controverso» (sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 485) e che, «nella decisione 94/980, la Commissione non ha inflitto ammende alle compagnie parti dell’accordo in questione, mentre quest’ultimo non solo prevedeva anche la fissazione dei prezzi del segmento terrestre del trasporto multimodale, ma conteneva altre gravi infrazioni alle regole di concorrenza» (sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 487). Per quanto riguarda la decisione 94/980/CE della Commissione, del 19 ottobre 1994, relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 85 del trattato CE (IV/34.446 – Trans Atlantic Agreement) (GU 1994, L 376, pag. 1), il Tribunale ha constatato che si trattava di una decisione resa «poco tempo prima della decisione impugnata» (sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione, T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 487).

400    Occorre rilevare che la decisione 94/980 è datata 19 ottobre 1994 e che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50), la comunicazione degli addebiti era stata notificata con lettera del 21 dicembre 1992 e la decisione impugnata era datata 21 dicembre 1994, come emerge dai punti 20 e 22 di detta sentenza.

401    Ne consegue che gli operatori in questione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50) non avevano avuto la possibilità di prendere in considerazione i chiarimenti forniti dalla Commissione nella decisione 94/980 per evitare un’infrazione alle regole di concorrenza. Infatti, quando hanno potuto conoscere la decisione della Commissione del 19 ottobre 1994, non erano in grado di modificare retroattivamente il comportamento che aveva dato luogo alla comunicazione degli addebiti notificata con lettera del 21 dicembre 1992.

402    Tuttavia, nella fattispecie, la decisione Yara/Kemira GrowHow risaliva a più di cinque anni prima, quando la ricorrente ha violato l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, come sottolineato correttamente dalla Commissione. La ricorrente avrebbe quindi potuto prendere in considerazione l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 fornita dalla Commissione in tale decisione, sebbene in un obiter dictum, e, se del caso, contattare la Commissione riguardo all’interpretazione da attribuire a tale disposizione.

403    La ricorrente afferma al riguardo che la Commissione non tiene conto di un elemento essenziale della causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50), che renderebbe la differenza di tempi irrilevante o quantomeno insignificante. Quest’ultima causa avrebbe implicato una decisione di infrazione ai sensi dell’articolo 101 TFUE, rispetto a un semplice obiter dictum nella decisione Yara/Kemira GrowHow, ossia una decisione di autorizzazione della concentrazione.

404    Tale argomento della ricorrente non può essere accolto. Infatti, il solo fatto che la decisione 94/980 costituisse una decisione che constatava un’infrazione non poteva essere di alcun aiuto per gli operatori al fine di evitare infrazioni che essi avevano già commesso alla data di tale decisione. Tuttavia, nella fattispecie, l’esistenza dell’obiter dictum nella decisione Yara/Kemira GrowHow poteva fornire indicazioni sul modo in cui occorreva interpretare l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 e quindi aiutare la ricorrente a evitare di commettere le infrazioni in questione.

405    Va inoltre osservato che la ricorrente si basa, da un lato, su una presunta prassi dei giudici dell’Unione e della Commissione che consisterebbe nell’astenersi dall’infliggere una qualsiasi ammenda o nell’infliggere soltanto un’ammenda simbolica in mancanza di precedenti pertinenti (v. supra, punto 392) e, dall’altro, sul principio della parità di trattamento rispetto a un’altra impresa alla quale non sia stata inflitta alcuna ammenda.

406    Se si seguisse la logica di tale ragionamento, la Commissione non potrebbe mai infliggere ammende al di là di un importo simbolico. Infatti, al momento della prima decisione riguardante un comportamento particolare, la Commissione sarebbe costretta a non infliggere ammende al di là di un importo simbolico, in mancanza di precedenti pertinenti. Per i casi successivi, essa sarebbe obbligata a non infliggere ammende al di là di un importo simbolico, in forza del principio della parità di trattamento.

407    Va considerato che il principio della parità di trattamento, rispetto a un’impresa alla quale non sia stata inflitta alcuna ammenda in una decisione precedente per lo stesso tipo di comportamento, può essere, in via di principio, utilmente invocato soltanto da operatori che non abbiano avuto la possibilità di prendere in considerazione i chiarimenti forniti nella decisione precedente, per evitare di violare le norme in materia di concorrenza, in quanto tale decisione è stata adottata in un momento in cui l’infrazione era stata già commessa.

408    Peraltro, nella fattispecie, non esistevano numerosi elementi che potevano avere indotto la ricorrente a ritenere legittimo il proprio comportamento, contrariamente a quanto ha constatato il Tribunale nella sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50, punto 485).

409    Risulta da quanto precede che, nella fattispecie, non si deve seguire lo stesso approccio seguito nella sentenza del 28 febbraio 2002, Compagnie générale maritime e a./Commissione (T‑86/95, EU:T:2002:50), e la ricorrente non può utilmente invocare tale sentenza per suffragare il proprio argomento vertente su una presunta violazione del principio della parità di trattamento.

410    Per quanto riguarda la sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), occorre rilevare che, in tale sentenza, il Tribunale ha concluso che era giustificato non infliggere ammende (punto 1633 della sentenza). La ricorrente chiede al Tribunale di adottare la stessa conclusione nella presente causa.

411    Nella sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), il Tribunale ha considerato i seguenti elementi, che giustificavano la mancata irrogazione di ammende:

–        in primo luogo, le ricorrenti nella causa che ha dato luogo a tale sentenza avevano rivelato, di propria iniziativa, le pratiche ritenute dalla Commissione come costituenti pratiche abusive (punti da 1603 a 1610 della sentenza);

–        in secondo luogo, la decisione in questione nella causa che ha dato luogo a tale sentenza costituiva la prima decisione nella quale la Commissione aveva valutato direttamente la legittimità delle pratiche adottate dalle conferenze marittime in materia di contratti di servizio con riferimento alle regole di concorrenza (punti da 1611 a 1614 della sentenza);

–        in terzo luogo, il trattamento giuridico che occorreva riservare alle pratiche in questione non presentava un carattere di evidenza e sollevava questioni complesse sul piano giuridico (punti 1615 e 1616 della sentenza);

–        in quarto luogo, l’abuso risultante dalle pratiche in materia di contratti di servizio non costituiva una forma classica di pratica abusiva (punto da 1617 a 1621 della sentenza);

–        in quinto luogo, le ricorrenti nella causa che ha dato luogo a tale sentenza avevano tutte le ragioni per credere, nel corso del procedimento amministrativo, che la Commissione non avrebbe inflitto loro alcuna ammenda per le loro pratiche in materia di contratti di servizio (punti da 1622 a 1632 della sentenza).

412    Occorre esaminare gli argomenti dedotti dalla ricorrente a sostegno della sua affermazione secondo la quale la situazione alla base della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), è analoga a quella alla base della presente causa.

413    La ricorrente afferma, in primo luogo, che, proprio come le ricorrenti nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), essa ha rilevato la presunta infrazione di propria iniziativa, informando immediatamente la Commissione dell’operazione di concentrazione.

414    A tal riguardo, occorre rilevare che le circostanze del caso di specie non sono affatto equiparabili a quelle alla base della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245).

415    Nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), la notifica dell’accordo in questione aveva avuto luogo su base volontaria. Il Tribunale ha constatato, al riguardo, che nessuno dei regolamenti in discussione prevedeva un sistema di notifica obbligatorio per la concessione di un’esenzione individuale, sicché la notifica dell’accordo TACA, ossia l’accordo in questione in tale causa, era stata effettuata dalle ricorrenti su base volontaria (sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione, T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245, punto 1606).

416    Nella fattispecie, la ricorrente era obbligata a notificare la concentrazione in questione, che si configurava come una concentrazione di dimensione comunitaria, e la stessa ha del resto ritenuto di essere obbligata a notificarla in forza dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 139/2004, in combinato disposto con l’articolo 4 del medesimo regolamento.

417    Inoltre, nella fattispecie, la notifica ha avuto luogo dopo la realizzazione della concentrazione, mentre, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), le imprese in questione avevano notificato l’accordo in questione prima della sua entrata in vigore. Come emerge dai punti 34 e 37 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), l’accordo in questione nella causa che ha dato luogo a tale sentenza era stato notificato il 5 luglio 1994 ed è entrato in vigore il 24 ottobre 1994.

418    La ricorrente afferma, in secondo luogo, che la decisione nel caso di specie costituisce la prima decisione nella quale la Commissione ha valutato la portata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 nel modo in cui l’ha valutata. Proprio come nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), la decisione impugnata sarebbe quindi la prima decisione in cui la Commissione ha valutato direttamente la legittimità delle pratiche in questione.

419    A tal riguardo, occorre rilevare che, nella decisione Yara/Kemira GrowHow, la Commissione si era già pronunciata, sebbene in un obiter dictum, sull’interpretazione da attribuire all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La situazione che si presenta nella presente causa non è quindi equiparabile a quella alla base della causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245).

420    La ricorrente si basa inoltre sul punto 1614 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245). In tale punto il Tribunale ha constatato quanto segue:

«[S] se è vero (…) che (…) detta istituzione, nella sua comunicazione degli addebiti nel procedimento TAA, ha fatto presente alle parti del TAA che intendeva infliggere ammende per abuso di posizione dominante in materia di contratti di servizio, si deve nondimeno osservare come, nella sua decisione finale, la Commissione non abbia constatato alcuna violazione dell’articolo 86 del Trattato relativamente a tale punto. Ciò considerato, alla luce del carattere provvisorio della comunicazione degli addebiti, le ricorrenti hanno potuto credere che la Commissione avesse ritirato i propri addebiti relativi all’applicazione dell’articolo 86 del Trattato alle pratiche in materia di contratti di servizio».

421    La ricorrente ritiene che, per analogia, in mancanza di qualsiasi azione della Commissione nei confronti della società Yara, essa poteva credere che la Commissione avesse ritirato i propri addebiti relativi all’applicazione dell’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

422    Tuttavia, tali situazioni non sono equiparabili. La comunicazione degli addebiti costituisce unicamente un documento preparatorio che non viene del resto pubblicato. Nel procedimento TAA, menzionato al punto 1614 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), la Commissione aveva del resto adottato una decisione, ma non aveva constatato, in tale decisione, l’esistenza di un’infrazione consistente in un abuso di posizione dominante in materia di contratti di servizio. In tali circostanze il Tribunale aveva constatato che le ricorrenti in tale causa potevano credere che la Commissione avesse ritirato una parte degli addebiti.

423    Per contro, l’obiter dictum nella decisione Yara/Kemira GrowHow poteva fornire alle imprese un’indicazione sul modo in cui la Commissione interpretava l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. Il fatto che non abbia avviato alcun procedimento nei confronti della società Yara non consente agli operatori di ritenere che la Commissione abbia rivisto tale interpretazione. Infatti, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale riguardo alla questione se si debba perseguire o meno una violazione delle norme in materia di concorrenza e può definire le proprie priorità. Non è affatto consentito concludere che la Commissione ritiene un comportamento legittimo sulla base del rilievo che essa decide di non avviare un’indagine al riguardo.

424    La ricorrente si basa inoltre sul punto 1615 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245). In tale punto il Tribunale ha rilevato che «non si può seriamente contestare che il trattamento giuridico che occorreva riservare alle pratiche delle conferenze marittime in materia di contratti di servizio non presentava – in particolare a motivo degli stretti legami di questi ultimi con gli accordi costituenti l’oggetto dell’esenzione per categoria prevista da una normativa assolutamente specifica ed eccezionale nel diritto della concorrenza – un carattere di evidenza e sollevava, in particolare, complesse questioni sul piano giuridico». La ricorrente ritiene che l’interpretazione dell’esenzione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, fornita nella decisione impugnata, fosse parimenti lungi dal presentare un carattere di evidenza.

425    Va tuttavia rilevato che, al punto 1615 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), il Tribunale si è basato in particolare sugli stretti legami esistenti tra le pratiche in questione e «gli accordi costituenti l’oggetto dell’esenzione per categoria prevista da una normativa assolutamente specifica ed eccezionale nel diritto della concorrenza». Si trattava quindi di circostanze del tutto particolari, ciò che manca nella fattispecie.

426    Inoltre, la ricorrente rileva che il Tribunale ha constatato, al punto 1617 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), che «l’abuso risultante dalle pratiche in materia di contratti di servizio non costitui[va] una forma classica di pratica abusiva ai sensi dell’articolo 86 del Trattato». A suo avviso, la presente causa costituisce, tutt’al più, una causa sull’interpretazione errata di un’esenzione, più che una chiara violazione classica dell’obbligo dello status quo.

427    A tal riguardo, è sufficiente ricordare che l’obbligo di notificare la concentrazione in questione e attendere l’autorizzazione prima della sua realizzazione deriva chiaramente dal dettato dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Il fatto che la ricorrente abbia potuto interpretare in modo errato l’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non può esimerla dalla sua responsabilità.

428    Infine, la ricorrente sottolinea che il Tribunale ha rilevato, ai punti 1626 e 1627 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), che, «malgrado uno scambio di corrispondenza continuo con le parti del TACA nel corso del procedimento amministrativo relativo al presente caso, la Commissione non ha informato le parti suddette, fino all’invio della comunicazione degli addebiti, del fatto che intendeva qualificare le pratiche in questione non soltanto come restrizioni della concorrenza ai sensi dell’articolo 85 del Trattato, ma anche come abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 86 del Trattato», e che «occorre[va] ricordare come tutte le ammende [fossero] state inflitte dalla decisione impugnata per il periodo che [andava] dalla notifica dell’accordo TACA fino all’invio della comunicazione degli addebiti».

429    La ricorrente afferma che, per analogia, malgrado uno scambio di corrispondenza continuo tra essa stessa e la Commissione riguardo alla portata dell’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, la Commissione, fino all’invio della decisione di autorizzazione, non ha informato la ricorrente del fatto che intendeva qualificare l’operazione come violazione dell’obbligo dello status quo. Inoltre, secondo la ricorrente, «tutte le ammende sono state inflitte dalla [decisione] per il periodo che va dalla notifica dell’[operazione] fino alla [sua autorizzazione]».

430    A tal riguardo, occorre sottolineare che la situazione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245) non è affatto equiparabile a quella di cui trattasi nella fattispecie.

431    Innanzi tutto, va rilevato che l’affermazione della ricorrente secondo la quale, per analogia con la causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), nella fattispecie, «tutte le ammende sono state inflitte dalla [decisione] per il periodo che va dalla notifica dell’[operazione] fino alla [sua autorizzazione]», è del tutto infondata.

432    Nella decisione impugnata la Commissione ha constatato una violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, che era stata commessa il 18 dicembre 2012, e una violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, che era stata commessa nel periodo compreso tra il 18 dicembre 2012 e il 30 settembre 2013.

433    Il primo contatto della ricorrente con la Commissione, ossia la domanda di nomina di un gruppo di lavoro incaricato di esaminare il suo fascicolo, relativo all’acquisizione del controllo esclusivo della Morpol, risaliva al 21 dicembre 2012.

434    Già alla data del primo contatto della ricorrente con la Commissione, la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 era quindi cessata e quella dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 era iniziata. Ciò vale, a maggior ragione, quanto alla data della notifica formale, ossia il 9 agosto 2013.

435    Poiché aveva contattato la Commissione solo dopo aver commesso le infrazioni, la ricorrente non può assolutamente pretendere lo stesso trattamento concesso alle ricorrenti nella sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), che avevano notificato l’accordo TACA, su base volontaria, prima della sua entrata in vigore (v. supra, punti 415 e 417).

436    Peraltro, dal punto 1620 della sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), emerge che, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, «[era] soltanto nella comunicazione degli addebiti, dopo tre anni di esame delle pratiche in questione, che la Commissione [aveva] indicato per la prima volta alle parti del TACA che intendeva applicare l’articolo 86 del Trattato [a] dette pratiche, e ciò malgrado che risult[asse] dalla corrispondenza scambiata nel corso del procedimento amministrativo che essa aveva già esaminato in dettaglio tali pratiche alla fine del 1994 e all’inizio del 1995», e che, «[i]n tale fase, la Commissione non [aveva] in alcun modo fatto allusione ad un’eventuale applicazione dell’articolo 86 del Trattato».

437    Nella fattispecie, occorre ricordare che il primo contatto della ricorrente con la Commissione, ossia la domanda di nomina di un gruppo di lavoro incaricato di esaminare il suo fascicolo, relativo all’acquisizione del controllo esclusivo della Morpol, risaliva al 21 dicembre 2012. Come emerge dal punto 21 della decisione impugnata, in mancanza di contatti da parte della ricorrente dopo la presentazione della domanda di nomina di un gruppo di lavoro, la Commissione ha chiesto che si tenesse una videoconferenza, che ha avuto luogo il 25 gennaio 2013. Durante la videoconferenza, la Commissione ha chiesto informazioni sulla struttura dell’operazione e chiarimenti riguardo alla questione se l’acquisizione del dicembre 2012 potesse aver già conferito alla ricorrente il controllo della Morpol.

438    Il fatto che la Commissione, sin dall’inizio, abbia mostrato interesse per un’eventuale violazione dell’obbligo dello status quo è confermato da un messaggio di posta elettronica che il consulente dello studio legale F. ha scritto il 27 gennaio 2013 alla ricorrente. In tale messaggio, detto consulente legale ha scritto che, «[s]u richiesta del gruppo di lavoro incaricato di esaminare il caso, abbiamo spiegato in breve la struttura dell’operazione» e che, «[i]n tale sede, la Commissione ha manifestato un particolare interesse per lo svolgimento dell’operazione per quanto riguarda la sua realizzazione».

439    Inoltre, il 12 febbraio 2013, la Commissione ha inviato alla ricorrente una richiesta di informazioni sull’eventuale acquisizione di un controllo di fatto della Morpol a seguito dell’acquisizione del dicembre 2012. In tale richiesta di informazioni la Commissione ha posto, in particolare, il seguente quesito:

«Si prega di chiarire, alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento [n. 139/2004], la tempistica da voi proposta per la notifica. In particolare, si prega di chiarire perché ritenete che l’obbligo dello status quo previsto all’articolo 7, paragrafo 1, di tale regolamento non si applichi all’acquisizione, da parte della Marine Harvest, di una partecipazione del 48,5% nella Morpol attraverso la Friendmall e la Bazmonta».

440    La Commissione, poco tempo dopo il primo contatto da parte della ricorrente, ha quindi espresso preoccupazioni su un’eventuale violazione dell’obbligo dello status quo. Tale situazione non è affatto equiparabile a quella in discussione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245), nella quale era soltanto «dopo tre anni di esame delle pratiche in questione, che la Commissione [aveva] indicato per la prima volta alle parti del TACA che intendeva applicare l’articolo 86 del Trattato [a] dette pratiche» (v. supra, punto 436).

441    Risulta da quanto precede che le analogie che la ricorrente tenta di stabilire tra la presente causa e la causa che ha dato luogo alla sentenza del 30 settembre 2003, Atlantic Container Line e a./Commissione (T‑191/98 e da T‑212/98 a T‑214/98, EU:T:2003:245) non sono convincenti.

442    Occorre dunque respingere anche la seconda parte del quarto motivo e, di conseguenza, il quarto motivo nella sua totalità.

E.      Sul quinto motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto e su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dei livelli delle ammende

443    Il quinto motivo si articola in cinque parti, vertenti, la prima, su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’ammenda, la seconda, su un’errata valutazione della gravità delle infrazioni asserite, la terza, su un’errata valutazione della durata dell’infrazione asserita, la quarta, sul fatto che l’ammenda è sproporzionata e, la quinta, sul fatto che la decisione impugnata non ammette, erroneamente, circostanze attenuanti.

1.      Sulla prima parte, vertente su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’ammenda

444    La ricorrente fa valere che la motivazione della decisione impugnata per quanto riguarda l’importo dell’ammenda si limita a due punti concisi (punti 206 e 207 della decisione impugnata), contenenti soltanto considerazioni generali. A suo avviso, l’ammenda inflitta è quindi viziata da un difetto di adeguata motivazione e deve essere annullata.

445    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

446    Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione prescritta dall’articolo 296, secondo comma, TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui promana l’atto, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo (v. sentenza del 15 aprile 1997, Irish Farmers Association e a., C‑22/94, EU:C:1997:187, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296, secondo comma, TFUE va risolta alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

447    Per quanto riguarda le ammende inflitte in forza dell’articolo 14 del regolamento n. 139/2004, occorre ricordare che, ai sensi del paragrafo 3 del medesimo articolo, «[n]el determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto del tipo, della gravità e della durata dell’infrazione».

448    Inoltre, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, la Commissione può infliggere ammende fino a concorrenza del 10% del fatturato totale realizzato dall’impresa interessata, quale definita all’articolo 5 del medesimo regolamento per la violazione dell’obbligo di notifica di cui all’articolo 4 del regolamento n. 139/2004 e per la realizzazione di una concentrazione in violazione dell’articolo 7 del medesimo regolamento.

449    Peraltro, va rilevato che la Commissione non ha adottato orientamenti che enunciano il metodo di calcolo che essa dovrebbe applicare nella determinazione dell’importo delle ammende in forza dell’articolo 14 del regolamento n. 139/2004, circostanza riconosciuta, del resto, dalla ricorrente.

450    In mancanza di siffatti orientamenti, l’ambito dell’analisi della Commissione deve essere quello dell’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004 (v., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 228). Essa è tuttavia tenuta a far apparire in forma chiara ed inequivocabile, nella decisione impugnata, gli elementi presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda (sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 228).

451    Nella fattispecie, sotto il titolo «5. Importo delle ammende» della decisione impugnata figurano soltanto due punti, ossia i punti 206 e 207. In tali punti, la Commissione si limita in sostanza a constatare che, nel caso di un’impresa delle dimensioni della ricorrente, l’importo della sanzione deve essere ingente per avere un effetto dissuasivo, che ciò è tanto più valido quando l’operazione, realizzata prima di essere autorizzata, ha sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno e che, «[a]l fine di infliggere un’ammenda per l’infrazione e di prevenirne la reiterazione, e tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie», occorreva infliggere, in forza dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, un’ammenda di EUR 10 000 000 per la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 e un’ammenda di EUR 10 000 000 per la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, di detto regolamento.

452    Tuttavia, come sottolinea la Commissione, dal riferimento alle «circostanze specifiche del caso di specie», fatto al punto 207 della decisione impugnata, emerge che si deve altresì tener conto dell’esposizione contenuta sotto il titolo «4. La decisione di infliggere ammende» di detta decisione, ossia dei punti da 124 a 205.

453    In tali punti la Commissione ha esaminato i fattori elencati all’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004, ossia il tipo, la gravità e la durata dell’infrazione (v., a tal riguardo, la sintesi contenuta supra ai punti da 31 a 33). In tale contesto, essa ha presentato in modo chiaro e inequivocabile gli elementi presi in considerazione nella determinazione dell’importo dell’ammenda, consentendo così alla ricorrente di difendersi e al Tribunale di esercitare il suo controllo. Nell’ambito della seconda e della terza parte del quinto motivo, la ricorrente contesta del resto in modo dettagliato le valutazioni della Commissione riguardo alla gravità e alla durata dell’infrazione, il che conferma che l’esame di tali fattori, nella decisione impugnata, è sufficientemente preciso per consentire alla ricorrente di difendersi.

454    La ricorrente sottolinea che la Commissione non ha menzionato né l’importo di partenza dell’ammenda, né l’approccio seguito per fissarlo, né il peso attribuito ai fattori che influiscono sull’ammenda.

455    A tal riguardo, va rilevato che, quando la Commissione non ha adottato orientamenti nei quali venga indicato il metodo di calcolo che essa dovrebbe applicare nella fissazione delle ammende irrogate in forza di una determinata disposizione, e dalla decisione impugnata emerge in modo chiaro e inequivocabile l’iter logico seguito dalla Commissione, quest’ultima non è tenuta a quantificare in valore assoluto o in percentuale l’importo di base dell’ammenda e le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti (sentenze del 15 dicembre 2010, E.ON Energie/Commissione, T‑141/08, EU:T:2010:516, punto 284, e del 26 novembre 2014, Energetický a průmyslový e EP Investment Advisors/Commissione, T‑272/12, EU:T:2014:995, punto 101).

456    L’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto specificare l’importo di base dell’ammenda nonché il peso attribuito ai diversi fattori deve essere quindi respinto.

457    Tale risultato non è rimesso in discussione dalla giurisprudenza citata dalla ricorrente.

458    Per quanto riguarda le sentenze dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, EU:C:2011:815), e del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062), occorre rilevare che si tratta di sentenze riguardanti violazioni degli articoli 101 o 102 TFUE e che, nelle cause che hanno dato luogo a tali sentenze, erano applicabili orientamenti per il calcolo delle ammende.

459    È certamente vero che il Tribunale ha rilevato, al punto 142 della sentenza del 6 aprile 1995, Trefilunion/Commissione (T‑148/89, EU:T:1995:68), che era «auspicabile che le imprese – per poter decidere con piena cognizione di causa in merito al proprio atteggiamento – siano poste in grado di conoscere in dettaglio, mediante qualunque sistema che la Commissione ritenga opportuno, il metodo di calcolo dell’ammenda loro inflitta, senza che, a tal fine, esse debbano proporre ricorso giurisdizionale contro la decisione della Commissione».

460    Va tuttavia rilevato che, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, la ricorrente aveva fatto valere che la Commissione non aveva precisato se avesse assunto come base per il calcolo dell’ammenda il fatturato complessivo dell’impresa ovvero soltanto il fatturato relativo alla Francia, o quello relativo al Benelux. In tale causa, solo nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale la Commissione ha precisato di aver utilizzato come base per il calcolo dell’ammenda il fatturato relativo alla rete saldata realizzato dalle imprese sul mercato geografico rilevante (v., in tal senso, sentenza del 6 aprile 1995, Trefilunion/Commissione, T‑148/89, EU:T:1995:68, punti 135, 136 e 142).

461    In tale causa la Commissione aveva quindi effettuato un calcolo basato sul fatturato realizzato in un mercato preciso, ma non l’aveva specificato nella decisione impugnata. È in tale contesto che va interpretata la citazione riportata supra al punto 459. Peraltro, nella sentenza del 6 aprile 1995, Trefilunion/Commissione (T‑148/89, EU:T:1995:68, punti da 140 a 144), il Tribunale ha respinto il motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

462    La ricorrente fa valere inoltre, al punto 104 dell’atto introduttivo del ricorso, che «la decisione [impugnata] non spiega come il fatturato della [ricorrente] e il profitto che [la ricorrente] avrebbe potuto eventualmente ricavare dall’asserita violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento [n. 139/2004] abbiano inciso sull’entità dell’ammenda». Essa afferma, sempre al punto 104 dell’atto introduttivo del ricorso, che «[u]n’ammenda deve essere propria all’autore dell’infrazione e commisurata all’infrazione stessa e deve essere determinata tenendo conto, tra l’altro, del fatturato o del capitale dell’impresa e del profitto ricavato dall’asserita infrazione». Secondo la ricorrente, essa non ha tratto alcun profitto dall’asserita infrazione.

463    In risposta a un quesito posto in udienza, relativo alla questione se il punto 104 dell’atto introduttivo del ricorso riguardasse la motivazione della decisione impugnata oppure un errore materiale contenuto nella decisione impugnata, la ricorrente ha confermato che tale punto riguardava la motivazione della decisione impugnata, circostanza di cui si è preso atto nel verbale di udienza.

464    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la decisione impugnata non spiega come il fatturato della ricorrente abbia inciso sull’entità dell’ammenda, occorre rilevare che la Commissione, nella nota a piè di pagina n. 5 della decisione impugnata, ha indicato il fatturato mondiale della ricorrente.

465    Occorre inoltre rilevare che, nell’ambito dell’esame degli elementi pertinenti ai fini della determinazione dell’ammenda, la Commissione ha fatto più volte riferimento alle dimensioni della ricorrente. Infatti, essa ha rilevato, al punto 144 della decisione impugnata, nella valutazione della gravità dell’infrazione, che la ricorrente era «una grande società europea». Inoltre, essa ha rilevato, al punto 150 della decisione impugnata, sempre nella valutazione della gravità dell’infrazione, che «l’operazione avrebbe associato su[l] mercato potenziale [del salmone scozzese] due dei più grossi allevatori e trasformatori primari del SEE». Quest’ultima constatazione è stata ribadita al punto 172 della decisione impugnata, nella valutazione della durata dell’infrazione. Infine, la Commissione ha rilevato, al punto 206 della decisione impugnata, di aver tenuto conto delle dimensioni della ricorrente ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda.

466    Risulta quindi chiaramente dalla motivazione della decisione impugnata che la Commissione ha tenuto conto delle dimensioni della ricorrente nella determinazione dell’importo dell’ammenda.

467    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la decisione impugnata non spiega come il profitto che la ricorrente avrebbe potuto eventualmente ricavare dall’asserita violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 abbia inciso sull’entità dell’ammenda, occorre constatare che la Commissione non ha esaminato, nella decisione impugnata, l’eventuale esistenza di un profitto che la ricorrente aveva potuto ricavare dall’infrazione. Ne deriva chiaramente che la Commissione non ha preso in considerazione l’eventuale profitto o l’eventuale mancanza di profitto che la ricorrente ha potuto ricavare dall’infrazione per fissare l’importo dell’ammenda. Non esiste quindi un difetto di motivazione su tale punto.

468    Peraltro, anche supponendo che l’argomento dedotto al punto 104 dell’atto introduttivo del ricorso debba essere interpretato, contrariamente alla dichiarazione formulata dalla ricorrente in udienza, nel senso che la ricorrente fa valere altresì un errore materiale in quanto la Commissione ha omesso di prendere in considerazione la mancanza di profitto derivante dall’infrazione, siffatto argomento dovrebbe essere respinto in quanto infondato.

469    Dalla giurisprudenza risulta che non esiste alcun elenco vincolante o esaustivo dei criteri che devono essere presi obbligatoriamente in considerazione nella valutazione della gravità dell’infrazione (v., per quanto riguarda le violazioni dell’articolo 101 TFUE, sentenza del 17 luglio 1997, Ferriere Nord/Commissione, C‑219/95 P, EU:C:1997:375, punto 33, e le violazioni dell’articolo 102 TFUE, sentenza del 19 aprile 2012, Tomra Systems e a./Commissione, C‑549/10 P, EU:C:2012:221, punto 107).

470    Non esiste, in particolare, l’obbligo per la Commissione di esaminare la questione se un ricorrente abbia ricavato un profitto dalla violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. In tale contesto, occorre rilevare che non si tratta di un elemento costitutivo della violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, o dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 e che non è sempre possibile stabilire se un ricorrente abbia ricavato o meno un profitto dalla realizzazione di una concentrazione prima della sua notifica e della sua autorizzazione e ancor meno quantificare tale profitto.

471    La ricorrente cita varie sentenze a sostegno della sua affermazione secondo la quale l’ammenda deve essere determinata tenendo conto, tra l’altro, del profitto ricavato dall’asserita infrazione. Occorre rilevare che la giurisprudenza citata dalla ricorrente in tale ambito riguarda cause relative a violazioni dell’articolo 101 TFUE (sentenze del 7 giugno 1983, Musique Diffusion française e a./Commissione, da 100/80 a 103/80, EU:C:1983:158, punto 129; del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 242; del 3 settembre 2009, Prym e Prym Consumer/Commissione, C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 96, e dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 56) o dell’articolo 102 TFUE (conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Telefónica e Telefónica de España/Commissione, C‑295/12 P, EU:C:2013:619, paragrafo 117).

472    Solo le conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, EU:C:2012:375), citate dalla ricorrente in tale ambito, riguardavano un altro tipo di infrazione, ossia una violazione di sigilli. A tal riguardo, va constatato che la Corte non si è attenuta alle conclusioni dell’avvocato generale Bot e ha respinto l’impugnazione nella sentenza del 22 novembre 2012, E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, EU:C:2012:738), contrariamente a quanto aveva proposto l’avvocato generale. Peraltro, non risulta dalle conclusioni dell’avvocato generale Bot, presentate in tale causa, che quest’ultimo ha ritenuto che la Commissione sia tenuta a esaminare in ogni caso il profitto ricavato dall’infrazione commessa. L’avvocato generale si è limitato a rilevare, al paragrafo 114 delle sue conclusioni, che si doveva tener conto di tutti gli elementi caratteristici della causa, «quali», tra l’altro, il profitto che l’impresa interessata ha potuto ricavare dall’infrazione commessa. Si è quindi limitato a elencare esempi di criteri che potevano essere presi in considerazione, ricordando al contempo, al paragrafo 113 delle sue conclusioni, la giurisprudenza secondo la quale non esiste alcun elenco vincolante o esaustivo dei criteri da prendere obbligatoriamente in considerazione.

473    Peraltro, occorre rilevare che dalla giurisprudenza emerge che, anche in una violazione dell’articolo 101 TFUE, la circostanza che un’impresa non abbia tratto alcun vantaggio dall’infrazione non può impedire l’irrogazione di un’ammenda, poiché diversamente quest’ultima perderebbe il suo carattere dissuasivo (v. sentenza dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto 441 e giurisprudenza ivi citata). La Commissione non è tenuta, ai fini della fissazione dell’importo delle ammende, a prendere in considerazione l’assenza di vantaggi derivanti dall’infrazione in questione (v. sentenza del 29 novembre 2005, SNCZ/Commissione, T‑52/02, EU:T:2005:429, punto 90 e giurisprudenza ivi citata). La Commissione non è tenuta a dimostrare, in qualsiasi caso, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, il vantaggio economico connesso all’infrazione constatata. L’assenza di un vantaggio di questo tipo non può essere considerata come una circostanza attenuante (v. sentenza dell’8 luglio 2008, BPB/Commissione, T‑53/03, EU:T:2008:254, punto 442 e giurisprudenza ivi citata).

474    Parimenti, la Commissione non è tenuta a prendere in considerazione, ai fini della determinazione dell’importo delle ammende, l’eventuale mancanza di profitto derivante dalla realizzazione di una concentrazione prima della sua notifica e autorizzazione.

475    La valutazione del profitto generato dall’infrazione può, certo, essere pertinente qualora la Commissione si basi per l’appunto su tale profitto per valutare la gravità dell’infrazione e/o per calcolare le ammende (sentenza del 15 marzo 2000, Cimenteries CBR e a./Commissione, T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, EU:T:2000:77, punto 4882). Tuttavia, così non è nel caso di specie.

476    Occorre inoltre rilevare che, al fine di suffragare la circostanza secondo la quale non ha ricavato alcun profitto dall’asserita infrazione, la ricorrente si basa, al punto 71 della replica, sul fatto, in particolare, di non aver esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol sino all’autorizzazione della concentrazione. Tale elemento è stato preso in considerazione dalla Commissione quale circostanza attenuante (punti 196 e 198 della decisione impugnata).

477    Risulta da quanto precede che la Commissione non ha violato l’obbligo di motivazione né ha commesso un errore materiale astenendosi dal determinare o dal prendere in considerazione l’eventuale profitto o l’eventuale mancanza di profitto derivante dall’infrazione.

2.      Sulla seconda parte, vertente su un’errata valutazione della gravità delle infrazioni asserite

478    La ricorrente afferma che nessuno dei fattori presi in considerazione nella decisione impugnata ai fini della valutazione della gravità, ossia la negligenza, i seri dubbi riguardo alla compatibilità dell’operazione con il mercato interno e l’esistenza di precedenti relativi alla ricorrente e ad altre società, è pertinente.

479    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

480    Occorre rilevare, anzitutto, che la ricorrente non contesta le considerazioni contenute nei punti da 131 a 136 della decisione impugnata relative alla natura dell’infrazione. In tali punti la Commissione ha ritenuto che qualsiasi violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 fosse, per sua natura, un’infrazione grave. Tale valutazione, che deve essere confermata, si basava in particolare sul punto 235 della sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672). In tale punto il Tribunale aveva constatato che la Commissione aveva giustamente rilevato che, «[s]ubordinando le concentrazioni di dimensione comunitaria alla condizione di notifica e autorizzazione preventiva, il legislatore comunitario ha inteso garantire l’effettività del controllo delle concentrazioni di dimensione comunitaria da parte della Commissione, consentendo a quest’ultima, eventualmente, di impedire la realizzazione di tali concentrazioni prima che venga adottata una decisione definitiva e, pertanto, di prevenire il verificarsi di danni irreparabili e permanenti alla concorrenza». Il Tribunale aveva altresì rilevato che «[l]a Commissione ha potuto quindi qualificare l’infrazione, senza incorrere in errore, come infrazione grave, tenuto conto della sua natura».

481    La ricorrente contesta tuttavia la pertinenza dei fattori presi in considerazione dalla Commissione nella valutazione, in concreto, della gravità delle infrazioni di cui trattasi nella fattispecie.

482    Va ricordato, in via preliminare, che la gravità di un’infrazione deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, e ciò senza che a tal fine sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere in considerazione (sentenza del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 241).

a)      Sulla presa in considerazione della negligenza della ricorrente

483    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale il suo comportamento non è stato negligente, è sufficiente ricordare che tale argomento è stato respinto nell’ambito dell’esame del secondo motivo.

484    Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non esisteva un errore scusabile da parte sua. La nozione di errore scusabile, che ha origine direttamente nell’intento di rispettare i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, può riguardare, secondo una giurisprudenza costante, soltanto circostanze eccezionali nelle quali, in particolare, l’istituzione interessata ha adottato un comportamento tale, di per sé solo o in misura determinante, da provocare una confusione ammissibile nella mente di un soggetto di buona fede e che dà prova di tutta la diligenza richiesta a una persona normalmente avveduta (v. sentenza del 15 settembre 2011, CMB e Christof/Commissione, T‑407/07, non pubblicata, EU:T:2011:477, punto 99 e giurisprudenza ivi citata). Nella fattispecie, la ricorrente non ha dato prova di tutta la diligenza richiesta a una persona normalmente avveduta, il che esclude l’esistenza di un errore scusabile da parte sua.

b)      Sulla presa in considerazione dell’esistenza di seri dubbi riguardo alla compatibilità dell’operazione con il mercato interno

485    Per quanto attiene alla presa in considerazione, da parte della Commissione, dell’esistenza di seri dubbi riguardo alla compatibilità dell’operazione con il mercato interno, occorre rilevare quanto segue.

486    Al punto 150 della decisione impugnata, la Commissione ha ricordato che l’acquisizione della Morpol, da parte della ricorrente, era stata autorizzata in seguito alla presentazione, da parte della stessa ricorrente, di un’ampia gamma di misure correttive per dissipare i dubbi seri sollevati dalla Commissione per quanto riguarda il mercato potenziale del salmone scozzese. Essa ha inoltre rilevato che l’operazione di concentrazione avrebbe associato su tale mercato potenziale due dei più grossi allevatori e trasformatori primari dello Spazio economico europeo (SEE).

487    La Commissione ha ritenuto che la concentrazione realizzata avesse potuto avere un’incidenza negativa sulla concorrenza nel mercato potenziale del salmone scozzese per tutta la durata dell’infrazione. Secondo la Commissione, sebbene la ricorrente non abbia esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol, era quantomeno possibile che l’interazione concorrenziale tra la ricorrente e la Morpol fosse stata compromessa in conseguenza dell’acquisizione del dicembre 2012.

488    Occorre rilevare che la ricorrente non deduce alcun argomento che possa rimettere in discussione la valutazione della Commissione secondo la quale la concentrazione di cui trattasi sollevava seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno. La ricorrente contesta tuttavia la presa in considerazione di tale fattore quale elemento che rende le infrazioni più gravi. Essa ritiene che l’affermazione contenuta nel punto 157 della decisione impugnata, secondo la quale «il solo fatto che l’operazione abbia sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno è di per sé un fattore che rende l’infrazione più grave», snatura l’iter logico seguito dal Tribunale nella sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 247), secondo il quale «la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave».

489    Per quanto riguarda l’interpretazione da attribuire alla sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), occorre rilevare quanto segue.

490    La causa che ha dato luogo a tale sentenza riguardava una concentrazione per la quale la Commissione aveva constatato che non poneva problemi di concorrenza. La Commissione ha rilevato, al punto 194 della decisione C(2009) 4416 definitivo, del 10 giugno 2009 (caso COMP/M.4994 – Electrabel/Compagnie Nationale du Rhône) (in prosieguo: la «decisione Electrabel»), che «la presenza di un danno concorrenziale avrebbe reso l’infrazione effettivamente più grave» e che «la mancanza di siffatto danno concorrenziale nel caso in esame [era] un elemento fondamentale da prendere in considerazione per fissare l’importo dell’ammenda», ma che, «[t]uttavia, il fatto che l’operazione non abbia posto problemi di concorrenza non [era] tale da incidere sulla gravità dell’infrazione». Tale affermazione deve essere interpretata alla luce della circostanza che la Commissione aveva constatato, al punto 191 della medesima decisione, che qualsiasi violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 era, per sua natura, un’infrazione grave.

491    La Commissione ha quindi constatato che la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 rimaneva, per sua natura, un’infrazione grave, nonostante la concentrazione non avesse posto problemi di concorrenza. Non è consentito concludere da ciò, a contrario, come tenta di fare la ricorrente, che l’esistenza di problemi di concorrenza non può aumentare la gravità dell’asserita infrazione. Infatti, la Commissione non ha constatato che l’esistenza o meno di problemi di concorrenza era irrilevante ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione, ma solo che l’infrazione rimaneva per sua natura un’infrazione grave, anche in mancanza di qualsiasi problema di concorrenza posto dalla concentrazione.

492    Nella sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), il Tribunale ha confermato l’approccio della Commissione. Esso ha rilevato, in particolare, al punto 246 della sentenza, che «la Commissione sost[eneva] correttamente che l’analisi ex post dell’assenza di effetti sul mercato di un’operazione di concentrazione non può costituire ragionevolmente un fattore determinante per qualificare (…) la gravità del pregiudizio arrecato al sistema di controllo [ex ante]». Esso ha inoltre constatato, al punto 247 della sentenza, quanto segue:

«Ciò non impedisce tuttavia che l’assenza di effetti sul mercato sia un elemento pertinente da prendere in considerazione per fissare l’importo dell’ammenda, come riconosciuto dalla Commissione al [punto] 194 della decisione impugnata. D’altra parte, essa fa anche giustamente valere, nel medesimo [punto], che la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave».

493    Va rilevato che l’affermazione contenuta nel punto 246 della sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), secondo la quale «l’analisi ex post dell’assenza di effetti sul mercato di un’operazione di concentrazione non può costituire ragionevolmente un fattore determinante per qualificare (…) la gravità del pregiudizio arrecato al sistema di controllo [ex ante]», non può essere interpretata nel senso che l’esistenza o meno di un danno concorrenziale non svolge alcun ruolo nella valutazione della gravità dell’infrazione. Ciò emerge dal punto 247 di tale sentenza, nel quale il Tribunale ha constatato che «la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave». L’affermazione contenuta nel punto 246 di tale sentenza deve essere interpretata alla luce della circostanza che il Tribunale rispondeva all’argomento dell’Electrabel secondo il quale l’infrazione non poteva presentare il carattere della gravità, in quanto essa non aveva causato alcuna lesione della concorrenza.

494    Nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel, la Commissione e il Tribunale si sono pronunciati su due fattispecie. In primo luogo, essi hanno constatato che la mancanza di effetti dannosi sulla concorrenza, che si presentava quando la concentrazione realizzata prematuramente non poneva problemi di concorrenza, non modificava in alcun modo il carattere (per sua natura) grave dell’infrazione. In secondo luogo, essi hanno rilevato, a titolo illustrativo, che la presenza di effetti dannosi avrebbe reso l’infrazione ancor più grave.

495    Esiste tuttavia una terza fattispecie sulla quale la Commissione e il Tribunale non hanno preso posizione nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel. Si tratta della «situazione intermedia», nella quale la concentrazione, quale realizzata prematuramente, poneva seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno, ma nella quale non si può stabilire se la sua realizzazione nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione abbia avuto o meno effetti dannosi sulla concorrenza.

496    Sorge quindi la questione se, nella terza fattispecie, la Commissione possa considerare la circostanza che la concentrazione poneva seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno quale fattore che rendeva l’infrazione più grave.

497    A tale questione si deve rispondere in senso affermativo. Infatti, non sarebbe opportuno trattare allo stesso modo la realizzazione prematura di concentrazioni che sollevano seri dubbi riguardo alla loro compatibilità con il mercato interno e la realizzazione prematura di concentrazioni che non sollevano alcun problema di concorrenza.

498    A tal riguardo, occorre rilevare che lo scopo dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 è di assicurare l’efficacia del sistema di controllo ex ante degli effetti di operazioni di concentrazione di dimensione comunitaria (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 246). Occorre inoltre rilevare che lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione in materia di controllo delle concentrazioni è la prevenzione di danni irreparabili e permanenti alla concorrenza (sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 245). Il sistema di controllo delle concentrazioni mira a consentire alla Commissione di esercitare «un controllo efficace di tutte le concentrazioni in funzione della loro incidenza sulla struttura della concorrenza» (considerando 6 del regolamento n. 139/2004).

499    In caso di concentrazioni che sollevano seri dubbi riguardo alla loro compatibilità con il mercato interno, i possibili rischi per la concorrenza connessi alla realizzazione prematura non sono identici a quelli che sorgono in caso di concentrazioni che non sollevano problemi di concorrenza.

500    Il fatto che una concentrazione sollevi seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno rende quindi la realizzazione prematura di tale concentrazione più grave della realizzazione prematura di una concentrazione che non solleva problemi di concorrenza, salvo che, nonostante il fatto che essa sollevi tali dubbi seri, si possa escludere, nella fattispecie, che la sua realizzazione nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione abbia potuto avere effetti dannosi sulla concorrenza.

501    La Commissione ha quindi giustamente constatato, al punto 157 della decisione impugnata, che «il solo fatto che l’operazione [avesse] sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno [era] di per sé un fattore che rende[va] l’infrazione più grave», e ciò dopo aver espressamente constatato, al punto 151 della decisione impugnata, che la concentrazione realizzata aveva potuto avere un’incidenza negativa sulla concorrenza nel mercato potenziale del salmone scozzese per tutta la durata dell’infrazione e che era quantomeno possibile che l’interazione concorrenziale tra la ricorrente e la Morpol fosse stata compromessa in conseguenza dell’acquisizione del dicembre 2012.

502    Non è consentito concludere a contrario dalla constatazione effettuata nella sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 247), secondo la quale «la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave», che solo quando possono essere dimostrati effetti dannosi effettivi ciò è tale da rendere l’infrazione più grave. Infatti, la circostanza che il Tribunale abbia rilevato, a titolo illustrativo, che la presenza di effetti dannosi avrebbe reso l’infrazione più grave non consente di concludere che si tratta dell’unica ipotesi che renderebbe l’infrazione più grave. Nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel, la Commissione e il Tribunale semplicemente non si sono pronunciati sulla «situazione intermedia», come definita supra al punto 495.

503    La ricorrente fa valere che, ai punti 156 e 157 della decisione impugnata, la Commissione spiega paradossalmente che «la presenza di un danno concorrenziale renderebbe l’infrazione ancora più grave», sebbene «un’analisi ex post degli effetti sul mercato di un’operazione di concentrazione non può costituire ragionevolmente un fattore determinante per qualificare (…) la gravità del pregiudizio arrecato al sistema di controllo [ex ante]».

504    A tal riguardo, occorre rilevare che la Commissione ha ripreso il contenuto delle affermazioni del Tribunale nella sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672, punti 246 e 247), come citate supra al punto 492. È sufficiente ricordare le osservazioni riguardo all’interpretazione da attribuire a tali punti di detta sentenza (v. supra, punto 493).

505    Occorre esaminare la questione se la Commissione abbia ritenuto correttamente, al punto 151 della decisione impugnata, che la concentrazione realizzata avesse potuto avere un’incidenza negativa sulla concorrenza nel mercato potenziale del salmone scozzese per tutta la durata dell’infrazione e che «[era] quantomeno possibile che l’interazione concorrenziale tra la Marine Harvest e la Morpol fosse stata compromessa in conseguenza dell’acquisizione del dicembre 2012».

506    A tal riguardo, in primo luogo, la Commissione ha rilevato, al punto 151 della decisione impugnata, che l’ex amministratore delegato della Morpol, il sig. M., aveva rassegnato le dimissioni con effetto a decorrere dal 1o marzo 2013 a seguito di una disposizione inclusa nell’SPA, sottoscritto con la ricorrente. Secondo la Commissione, l’acquisizione, da parte della ricorrente, di una partecipazione del 48,5% nel capitale della Morpol sembrava essere stata, quindi, idonea a influire sulle decisioni strategiche all’interno della Morpol, quale la sostituzione dell’amministratore delegato, indipendentemente dall’esercizio effettivo dei diritti di voto nelle assemblee generali degli azionisti.

507    La ricorrente fa valere al riguardo che l’acquisizione del dicembre 2012 non è stata un fattore decisivo nella decisione del sig. M. di rinunciare alle sue funzioni. Al contrario, a suo avviso, la struttura di governo societario della Morpol, comprese le dimissioni del sig. M., era stata oggetto di un intenso dibattito in seno al consiglio di amministrazione della Morpol da oltre un anno.

508    Nella fattispecie, non è possibile stabilire con certezza se la decisione del sig. M. di rinunciare alle sue funzioni sia stata o meno influenzata dall’acquisizione del dicembre 2012.

509    È vero che la ricorrente dimostra che eventuali dimissioni del sig. M. erano state oggetto di discussioni ancor prima dell’acquisizione del dicembre 2012, presentando in particolare i verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione della Morpol del 12 e del 15 settembre 2011. La ricorrente ha altresì rilevato che la Morpol aveva incontrato notevoli problemi in materia di governo societario, che la principale banca creditrice della Morpol aveva inteso ridurre la propria esposizione per i debiti della Morpol e che tali eventi avevano portato a un crollo del prezzo delle azioni della Morpol, che era passato da circa 21 corone norvegesi (NOK), all’epoca della sua quotazione alla Borsa di Oslo nel 2010, a meno di NOK 8 nel novembre 2012. La Commissione non contesta tali circostanze.

510    Tuttavia, ciò non esclude che la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012, e in particolare la clausola inclusa a tal fine nell’SPA, abbia potuto influire sulla decisione del sig. M. di rassegnare le dimissioni. Ai sensi dell’articolo 12.1.1 dell’SPA, il sig. M. si era impegnato a dimettersi dall’incarico di amministratore delegato della Morpol non oltre il 1o marzo 2013. Sembra, del resto, abbastanza probabile che la decisione di dimettersi proprio con effetto a decorrere dal 1o marzo 2013 sia stata condizionata dall’esecuzione dell’SPA. Come sottolinea correttamente la Commissione, se la ricorrente avesse sospeso l’esecuzione dell’SPA in attesa dell’autorizzazione, il sig. M. non sarebbe stato tenuto a conformarsi all’articolo 12.1.1 dell’SPA prima del completamento dell’operazione.

511    In secondo luogo, la Commissione ha rilevato, al punto 151 della decisione impugnata, che la ricorrente aveva «incamerato gran parte degli utili realizzati dalla Morpol attraverso l’acquisizione del dicembre 2012». Essa ha ritenuto che, di conseguenza, «i probabili effetti finanziari dell’acquisizione del dicembre 2012, che [avevano] eliminato gli incentivi per [la ricorrente] a mantenere la pressione concorrenziale esercitata sulla Morpol prima dell’acquisizione, [erano] considerati sufficienti per dar luogo a una potenziale lesione della concorrenza».

512    La ricorrente fa valere che è infondata l’affermazione della Commissione, secondo la quale l’incameramento, da parte della ricorrente, di una quota consistente degli utili della Morpol ha eliminato i fattori che la inducevano a mantenere la pressione concorrenziale e che, in ogni caso, tale circostanza non costituisce un elemento proprio dell’infrazione. A suo avviso, ciò vale anche per qualsiasi concentrazione che non sia stata realizzata, dato che, dopo l’autorizzazione, le società acquirenti recupererebbero spesso retroattivamente gli utili derivanti dalle attività svolte tra la firma dell’accordo e la sua conclusione.

513    A tal riguardo, va rilevato che le situazioni non sono identiche. Infatti, nella fattispecie, la ricorrente ha incamerato gran parte degli utili realizzati dalla Morpol prima di aver ricevuto l’autorizzazione alla concentrazione. Gli incentivi a mantenere la pressione concorrenziale esercitata sulla Morpol potevano essere quindi meno forti che nel caso di una società che abbia soltanto la prospettiva di recuperare retroattivamente gli utili derivanti dalle attività svolte dopo la firma dell’accordo, una volta ottenuta l’autorizzazione alla concentrazione.

514    I due elementi esaminati supra ai punti da 506 a 513 erano di per sé sufficienti per giustificare la constatazione, effettuata al punto 151 della decisione impugnata, secondo la quale era possibile il verificarsi di un’incidenza negativa sulla concorrenza nel mercato potenziale del salmone scozzese per tutta la durata dell’infrazione.

515    Non è quindi necessario esaminare la pertinenza del terzo elemento sul quale si è basata la Commissione, al punto 151 della decisione impugnata, ossia che non si poteva escludere, secondo la Commissione, che la ricorrente, quale azionista principale della Morpol, avesse acquisito un accesso privilegiato a informazioni commerciali della Morpol durante il periodo intercorso tra la conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012 e l’adozione della decisione di autorizzazione.

516    Si deve quindi constatare che i provvedimenti adottati dalla ricorrente, ossia l’astensione dall’esercizio dei diritti di voto e la separazione delle entità sino all’autorizzazione della concentrazione, non hanno potuto escludere il rischio di un danno concorrenziale causato dalla realizzazione della concentrazione di cui trattasi nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione, anche se tali provvedimenti possono aver ridotto l’eventuale effetto anticoncorrenziale.

517    Risulta da quanto precede che il caso di specie rientra nella «situazione intermedia» come definita supra al punto 495, ossia una situazione in cui la concentrazione, quale realizzata prematuramente, poneva seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno, ma per la quale non si può stabilire se la sua realizzazione nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione abbia avuto o meno effetti dannosi sulla concorrenza.

518    L’argomento della ricorrente, dedotto in udienza, secondo il quale la Commissione si sarebbe basata sugli elementi menzionati supra ai punti 506, 511 e 515 solo in sede di controricorso, è infondato in fatto. Infatti, tali elementi figurano al punto 138 della comunicazione degli addebiti nonché al punto 151 della decisione impugnata.

519    La ricorrente afferma inoltre che, quando si basa sul presunto impatto sul mercato di un’asserita infrazione per dimostrare la gravità di quest’ultima, la Commissione deve provare sufficientemente le sue affermazioni, ossia fornendo indizi concreti e credibili che indichino l’impatto con una probabilità ragionevole. A sostegno di tale affermazione, la ricorrente cita le sentenze del 27 settembre 2006, Roquette Frères/Commissione (T‑322/01, EU:T:2006:267, punto 75), del 27 settembre 2006, Jungbunzlauer/Commissione (T‑43/02, EU:T:2006:270), del 27 settembre 2006, Archer Daniels Midland/Commissione (T‑59/02, EU:T:2006:272, punto 161), e del 6 maggio 2009, KME Germany e a./Commissione (T‑127/04, EU:T:2009:142, punto 68).

520    A tal riguardo, va rilevato che la giurisprudenza citata dalla ricorrente riguarda le intese. Ad esempio, il Tribunale ha rilevato, al punto 68 della sentenza del 6 maggio 2009, KME Germany e a./Commissione (T‑127/04, EU:T:2009:142), che «il Tribunale ha statuito più volte che l’impatto concreto di un’intesa sul mercato [doveva] essere considerato come sufficientemente dimostrato se la Commissione [era] in condizione di fornire indizi concreti e credibili che [indicassero], con una probabilità ragionevole, che l’intesa [aveva] avuto un impatto sul mercato».

521    Occorre inoltre rilevare che, ai sensi del punto 1 A, primo comma, degli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3), applicabili nelle sentenze del Tribunale sulle quali si basa la ricorrente, citate supra al punto 519, per calcolare l’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione teneva conto, in particolare, dell’«impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato, quando [fosse stato] misurabile».

522    La giurisprudenza citata dalla ricorrente non può quindi rimettere in discussione le considerazioni espresse supra ai punti da 495 a 501. Va ricordato, in particolare, che lo scopo perseguito dalla normativa dell’Unione in materia di controllo delle concentrazioni è la prevenzione di danni irreparabili e permanenti alla concorrenza (v. supra, punto 498).

523    Va rilevato che, per quanto riguarda le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, il solo fatto che siano possibili effetti dannosi per la concorrenza, in quanto la concentrazione realizzata nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione sollevava seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno, può essere preso in considerazione nella valutazione della gravità dell’infrazione, anche se la Commissione non dimostra una «probabilità ragionevole» dell’esistenza di tali effetti.

524    È vero che, quando si può dimostrare l’esistenza di effetti dannosi per la concorrenza derivanti dalla realizzazione di una concentrazione nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione, ciò può rendere l’infrazione ancora più grave di un’infrazione rientrante nella «situazione intermedia». Ciò non impedisce che il solo fatto che non si possano escludere effetti dannosi per la concorrenza renda l’infrazione più grave della realizzazione prematura di una concentrazione che non solleva problemi di concorrenza.

525    Infine, la ricorrente sottolinea che essa non ha mai tratto né si è mai aspettata di trarre un qualsivoglia beneficio da ciò che la Commissione considera come violazione delle norme sul controllo delle concentrazioni, in quanto si è conformata ai requisiti di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, astenendosi dall’esercitare i suoi diritti di voto nella Morpol.

526    A tal riguardo, occorre ricordare che la circostanza che un’impresa non abbia tratto alcun vantaggio dall’infrazione non può impedire l’irrogazione di un’ammenda, poiché diversamente quest’ultima perderebbe il suo carattere dissuasivo (v. supra, punto 473).

527    Occorre inoltre ricordare che il fatto che la ricorrente non ha esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol sino all’autorizzazione della concentrazione è stato preso in considerazione dalla Commissione quale circostanza attenuante (v. supra, punto 476).

528    Risulta da quanto precede che la Commissione ha preso giustamente in considerazione, nella fattispecie, la circostanza che la concentrazione poneva seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno quale fattore che rendeva l’infrazione più grave.

c)      Sulla presa in considerazione dei precedenti riguardanti la ricorrente e altre società

529    La Commissione ha rilevato, al punto 159 della decisione impugnata, che alla ricorrente (all’epoca la Pan Fish) era già stata inflitta un’ammenda nel 2007 da parte delle autorità francesi garanti della concorrenza per aver violato l’obbligo dello status quo al momento dell’acquisizione, da parte della stessa, della Fjord Seafood. Essa ha inoltre rilevato che «[c]iò significa[va] che non [era] la prima volta che [la ricorrente] viola[va] l’obbligo dello status quo nell’ambito di un procedimento di controllo di un’operazione di concentrazione».

530    La Commissione ha ritenuto, al punto 163 della decisione impugnata, che «la sanzione precedente avrebbe dovuto indurre [la ricorrente] a valutare con particolare attenzione i suoi obblighi per quanto riguarda il controllo delle operazioni di concentrazione all’epoca dell’acquisizione del dicembre 2012» e che, «[i]n tal senso, l’esistenza di una violazione dell’obbligo dello status quo a livello nazionale rende[va] l’infrazione più grave».

531    La Commissione ha inoltre sottolineato, al punto 160 della decisione impugnata, che il regolamento n. 139/2004 era già in vigore da più di dieci anni e che esistevano disposizioni simili riguardanti l’obbligo dello status quo nel regolamento n. 4064/89, il quale era rimasto in vigore per più di tredici anni. Inoltre, essa ha rilevato di aver già avviato procedimenti contro altre società e di aver inflitto loro ammende per violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e di aver anche adottato numerose altre decisioni in base all’articolo 14 del regolamento n. 4064/89. Secondo la Commissione, la ricorrente avrebbe quindi «dovuto essere pienamente consapevole del contesto normativo e dell’applicazione di tali norme da parte della Commissione».

1)      Sulla presa in considerazione del caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood

532    La ricorrente sostiene che il fatto di punirla più severamente per il presunto motivo che era recidiva, in quanto era stata sanzionata in Francia nella decisione Pan Fish/Fjord Seafood, non è conforme alla giurisprudenza secondo la quale la recidiva implica che una persona abbia commesso nuove infrazioni dopo essere stata sanzionata per infrazioni simili.

533    Tuttavia, come sottolinea la Commissione, essa non ha considerato l’esistenza di infrazioni procedurali precedenti, commesse dalla ricorrente, come circostanza aggravante. Essa ha espressamente constatato, al punto 201 della decisione impugnata, che non sussistevano circostanze aggravanti nella fattispecie.

534    Occorre inoltre rilevare che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha utilizzato i termini «recidiva» o «soggetto recidivo». È vero che è più alla sostanza della decisione impugnata che alla terminologia che occorre fare riferimento al fine di esaminare se la Commissione abbia considerato il fatto che la ricorrente era recidiva.

535    A tal riguardo, va rilevato che la presa in considerazione della recidiva «è finalizzata a indurre le imprese che abbiano dimostrato una tendenza a violare le regole di concorrenza, a mutare il loro comportamento» (sentenza del 12 dicembre 2007, BASF e UCB/Commissione, T‑101/05 e T‑111/05, EU:T:2007:380, punto 67). Nella fattispecie, la Commissione non ha, neppure implicitamente, constatato nella decisione impugnata che era necessario infliggere una sanzione più elevata per il motivo che la sanzione inflitta nella decisione Pan Fish/Fjord Seafood non era stata sufficiente per dissuadere la ricorrente dal commettere altre infrazioni. Ai punti dedicati al necessario effetto dissuasivo dell’ammenda, ossia ai punti 157, 172 e 206 della decisione impugnata, la Commissione ha fatto soltanto riferimento alle dimensioni della ricorrente, alla circostanza che l’operazione in questione aveva sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno e al fatto che una lesione della concorrenza non poteva essere esclusa. Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, la Commissione non ha quindi preso in considerazione una presunta recidiva della ricorrente. L’argomento della ricorrente è quindi fondato su una premessa errata.

536    Come emerge dal punto 163 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che «la sanzione precedente avrebbe dovuto indurre [la ricorrente] a valutare con particolare attenzione i suoi obblighi per quanto riguarda il controllo delle operazioni di concentrazione all’epoca dell’acquisizione del dicembre 2012». È «[i]n tal senso», che la Commissione ha constatato che l’esistenza di una violazione dell’obbligo dello status quo a livello nazionale rendeva l’infrazione più grave.

537    A tal riguardo, occorre ricordare che al precedente punto 258 viene constatato che la Commissione era legittimata a prendere in considerazione la circostanza che alla ricorrente era già stata inflitta un’ammenda a livello nazionale per la realizzazione prematura di una concentrazione, e che è lecito attendersi una particolare diligenza da parte di un’impresa europea di grandi dimensioni alla quale è già stata inflitta un’ammenda, benché a livello nazionale, per la realizzazione prematura di una concentrazione.

538    Si tratta di un elemento che può essere preso in considerazione nel valutare, da un lato, l’esistenza di una negligenza da parte della ricorrente e, dall’altro, il grado di tale negligenza.

539    Ai punti 159 e 163 della decisione impugnata, la Commissione ha preso in considerazione l’esistenza del precedente nel caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood quale elemento che aumentava il grado di negligenza della ricorrente e che, a tale titolo, «rende[va] l’infrazione più grave». Infatti, la constatazione, contenuta nel punto 163 della decisione impugnata, secondo la quale la sanzione precedente avrebbe dovuto indurre la ricorrente a valutare con particolare attenzione i suoi obblighi per quanto riguarda il controllo delle operazioni di concentrazione, riguarda, in sostanza, il grado di negligenza. In udienza la Commissione ha confermato di essersi basata, nella decisione impugnata, sul caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood unicamente come fattore riguardante il grado di negligenza della ricorrente.

540    In udienza la ricorrente ha riconosciuto che la Commissione aveva preso in considerazione il caso che aveva dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood nella valutazione della negligenza. Tuttavia, la ricorrente ha fatto valere che tale caso non era pertinente nella valutazione dell’esistenza o del grado di negligenza, in quanto i fatti alla base di tale caso sarebbero completamente diversi da quelli alla base della presente causa, cosicché essa non avrebbe potuto trarne conclusioni utili per la presente causa.

541    A tal riguardo, occorre ricordare che è certamente vero che la decisione Pan Fish/Fjord Seafood non riguardava l’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 (v. supra, punto 258). Tuttavia, il fatto che alla ricorrente fosse già stata inflitta un’ammenda, benché a livello nazionale, per la realizzazione prematura di una concentrazione implica che fosse lecito attendersi una particolare diligenza da parte della ricorrente (v. supra, punto 258). In tal senso, l’esistenza di tale precedente aumentava il grado di negligenza della ricorrente, il che costituiva un fattore che rendeva l’infrazione più grave.

542    La Commissione non è quindi incorsa in un errore nel prendere in considerazione il caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood nella valutazione della gravità dell’infrazione.

2)      Sulla presa in considerazione di casi riguardanti altre società

543    La ricorrente fa valere che l’affermazione contenuta nel punto 160 della decisione impugnata secondo la quale «la Commissione aveva già avviato procedimenti contro altre società e aveva inflitto loro ammende per violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento [n. 4064/89]» non tiene conto del problema fondamentale consistente nel fatto che nessuno di tali casi riguarderebbe la portata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 o dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89.

544    A tal riguardo, va constatato che, al punto 160 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che il regolamento n. 139/2004 era già in vigore da più di dieci anni e che esistevano disposizioni simili riguardanti l’obbligo dello status quo nel regolamento n. 4064/89, il quale era rimasto in vigore per più di tredici anni. Essa ha inoltre osservato di aver già avviato procedimenti contro altre società e di aver inflitto loro ammende per violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 e di aver anche adottato numerose altre decisioni in base all’articolo 14 del regolamento n. 4064/89.

545    Così facendo, la Commissione ha giustificato, in sostanza, il fatto che essa non avesse più motivo di mostrarsi «clemente» nella determinazione delle ammende ai sensi dell’articolo 14 del regolamento n. 139/2004.

546    A tal riguardo, occorre rilevare che, certamente, la Commissione può scegliere di infliggere ammende di importo limitato quando applica per la prima volta o le prime volte una disposizione che le consente di infliggere un’ammenda. Tuttavia, la Commissione può ritenere legittimamente di non avere più motivo di procedere in tal modo quando ha già inflitto più volte ammende in applicazione di tale disposizione.

547    L’argomento della ricorrente secondo il quale i precedenti non riguardavano l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 o l’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 4064/89 è, in tale ambito, irrilevante. Infatti, l’esistenza di precedenti, nei quali erano state inflitte ammende in base all’articolo 14 del regolamento n. 4064/89, poteva costituire un avvertimento per la ricorrente riguardo al rischio di incorrere in pesanti sanzioni in caso di violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Il fatto, in particolare, che la Commissione avesse già inflitto una pesante sanzione, ossia un’ammenda di EUR 20 milioni, nella decisione Electrabel poteva fornire alla ricorrente indicazioni sul fatto che essa rischiava di incorrere in pesanti sanzioni in caso di realizzazione prematura della concentrazione in questione.

548    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione non ha avviato alcuna indagine né ha inflitto alcuna ammenda nel caso che ha dato luogo alla decisione Yara/Kemira GrowHow, è sufficiente constatare che, al punto 160 della decisione impugnata e nelle relative note a piè di pagina n. 64 e n. 65, la Commissione non si è basata su tale caso.

549    Infine, la ricorrente fa valere che la conclusione, al punto 163 della decisione impugnata, secondo la quale l’esistenza di casi precedenti di infrazioni procedurali riguardanti la ricorrente nonché altre società rende l’infrazione della ricorrente più grave, è manifestamente viziata da errori di diritto e di fatto.

550    Tuttavia, al punto 163 della decisione impugnata, la Commissione ha rilevato che «la sanzione precedente», ossia la sanzione inflitta nella decisione Pan Fish/Fjord Seafood, avrebbe dovuto indurre la ricorrente a valutare con particolare attenzione i suoi obblighi e che, «[i]n tal senso, l’esistenza di una violazione dell’obbligo dello status quo a livello nazionale rende[va] l’infrazione più grave». Pertanto, la Commissione ha solo constatato, al punto 163 della decisione impugnata, che l’esistenza di un’infrazione precedente commessa dalla ricorrente nel caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood rendeva l’infrazione più grave. Essa non ha tuttavia constatato che l’esistenza di casi precedenti di infrazioni procedurali riguardanti altre società rendeva l’infrazione della ricorrente più grave.

551    Risulta da quanto precede che la seconda parte del quinto motivo deve essere respinta.

3.      Sulla terza parte, vertente su un’errata valutazione della durata dell’infrazione asserita

552    La ricorrente afferma che la Commissione, per giustificare il suo rifiuto di escludere il periodo di prenotifica dalla durata dell’infrazione, ha erroneamente affermato, al punto 173 della decisione impugnata, che la ricorrente non si era mostrata sufficientemente disponibile a comunicare informazioni nel corso della fase di prenotifica. Secondo la ricorrente, la Commissione non ha rispettato, nella decisione impugnata, il principio della parità di trattamento, nella valutazione della durata dell’infrazione, omettendo di adottare lo stesso approccio seguito nella decisione Electrabel, consistente nell’escludere il periodo di prenotifica e quello dell’esame della concentrazione dalla durata dell’infrazione.

553    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

554    Anzitutto, occorre ricordare che, ai punti 128 e 165 della decisione impugnata, la Commissione ha constatato che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituiva un’infrazione istantanea e che tale violazione era stata commessa, nella fattispecie, il 18 dicembre 2012, ossia alla data di conclusione dell’acquisizione del dicembre 2012.

555    La Commissione ha inoltre rilevato, ai punti 128 e 166 della decisione impugnata, che la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituiva un’infrazione continuata che durava finché l’operazione non veniva dichiarata compatibile con il mercato interno dalla Commissione conformemente al regolamento n. 139/2004. Secondo la Commissione, nella fattispecie, la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 ha avuto inizio il 18 dicembre 2012 ed è cessata alla data di adozione della decisione di autorizzazione, ossia il 30 settembre 2013.

556    La Commissione ha quindi considerato una durata di nove mesi e dodici giorni riguardo alla violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Essa ha ritenuto che tale periodo potesse essere considerato particolarmente lungo, in particolare per quanto riguarda un’operazione di concentrazione che presentava effetti anticoncorrenziali potenziali.

557    Infine, la Commissione ha ritenuto che fosse «giustificato, nell’esercizio del suo potere discrezionale, tener conto del periodo di prenotifica nonché dell’indagine approfondita della fase I, ai fini del calcolo della durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1[, del regolamento n. 139/2004]». In primo luogo, la Commissione ha ricordato, al riguardo, che l’operazione prevista aveva sollevato seri dubbi nel mercato potenziale del salmone scozzese e che non si poteva escludere che si fosse verificata una lesione della concorrenza. In tali circostanze, un’ammenda doveva esercitare, secondo la Commissione, un effetto dissuasivo il più efficace possibile. In secondo luogo, la Commissione ha rilevato che la ricorrente non si era mostrata sufficientemente disponibile a comunicare informazioni nel corso della fase di prenotifica per giustificare l’esclusione di tale periodo dalla durata totale dell’infrazione, per le ragioni spiegate in modo più dettagliato ai punti da 174 a 194 della decisione impugnata.

558    La ricorrente non contesta il fatto che la violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 costituiva un’infrazione istantanea. La terza parte del quinto motivo riguarda unicamente la valutazione, da parte della Commissione, della durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

559    Per quanto riguarda la durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, va ricordato che il Tribunale ha constatato, al punto 212 della sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), che «la capacità di esercitare un’influenza determinante sull’attività dell’impresa controllata si inseri[va] necessariamente nel periodo decorrente dalla data di acquisizione del controllo e fino alla cessazione del medesimo» e che «l’ente che [aveva] acquisito il controllo dell’impresa continua[va] ad esercitarlo in violazione dell’obbligo di sospensione derivante dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89 fino al momento in cui vi pone[va] fine, ottenendo l’autorizzazione della Commissione o rinunciando al controllo». Il Tribunale ha inoltre precisato, al punto 212 di detta sentenza, che «l’infrazione continua[va] per tutta la durata del controllo acquisito in violazione del suddetto articolo 7, paragrafo 1, e fino a quando la concentrazione non fosse stata autorizzata dalla Commissione» e che «la Commissione [aveva] pertanto correttamente qualificato l’infrazione come continuativa fino alla data di autorizzazione della concentrazione o, se del caso, fino a una data precedente presa in considerazione alla luce delle circostanze del caso di specie».

560    Tali considerazioni, che riguardavano l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89, si applicano per analogia all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

561    In applicazione di tali principi, il punto di partenza della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 era il 18 dicembre 2012, ossia la data della realizzazione della concentrazione in questione, come è stato correttamente constatato dalla Commissione. La ricorrente non contesta, del resto, il punto di partenza assunto dalla Commissione per la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

562    Per quanto riguarda la data in cui l’infrazione è cessata, dalle considerazioni contenute supra al punto 559 emerge che la violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 cessa nel momento in cui la Commissione autorizza la concentrazione o nel momento in cui l’impresa di cui trattasi rinuncia al controllo. La violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 cessa inoltre nel momento in cui la Commissione concede un’eventuale deroga all’obbligo di sospensione, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, del regolamento n. 139/2004.

563    Nella fattispecie, la Commissione ha quindi correttamente constatato che l’infrazione era cessata alla data in cui la Commissione aveva autorizzato la concentrazione, ossia il 30 settembre 2013. Infatti, nessuna deroga all’obbligo di sospensione era stata concessa dalla Commissione né richiesta dalla ricorrente, e quest’ultima non ha mai rinunciato al controllo della Morpol. La violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 si è quindi protratta dal 18 dicembre 2012 al 30 settembre 2013, ossia per una durata di nove mesi e dodici giorni, come ha constatato la Commissione.

564    Ai punti da 172 a 195 della decisione impugnata, la Commissione ha motivato dettagliatamente la sua decisione di non escludere né il periodo di prenotifica né il periodo dell’indagine approfondita della fase I, ai fini della determinazione della durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

565    La ricorrente ritiene che la Commissione avrebbe dovuto escludere il periodo di prenotifica dalla durata dell’infrazione e contesta varie considerazioni contenute nei punti da 172 a 195 della decisione impugnata.

566    A tal riguardo, va rilevato che, quando la Commissione constata un’infrazione della durata di nove mesi e dodici giorni, è del tutto normale che essa prenda in considerazione tale durata ai fini della determinazione dell’ammenda. È vero che la Commissione può decidere, in forza del suo potere discrezionale, di non tener conto di una parte della durata di un’infrazione, come è legittimata a decidere di non perseguire un’infrazione. Tuttavia, non esiste, in via di principio, alcun obbligo per la Commissione di non prendere in considerazione una parte della durata di un’infrazione.

567    Interpellata, in udienza, sul motivo per cui esisteva, a suo avviso, l’obbligo di escludere il periodo di prenotifica dalla durata dell’infrazione, la ricorrente ha precisato che tale argomento era fondato unicamente sul principio della parità di trattamento e che essa reclamava lo stesso trattamento concesso alla società Electrabel nella decisione Electrabel.

568    A tal riguardo, occorre rilevare che, al punto 215 della decisione Electrabel, la Commissione ha deciso, «nell’esercizio del suo potere discrezionale e fatta salva la sua posizione di principio», di non prendere in considerazione il periodo comprendente la prenotifica e l’esame della concentrazione e di constatare l’esistenza di un’infrazione solo fino al momento in cui l’Electrabel aveva informato la Commissione della concentrazione.

569    Tuttavia, la Commissione ha altresì constatato, al punto 211 della decisione Electrabel, che la violazione dell’articolo 7 del regolamento n. 4064/89 poteva cessare solo quando la Commissione autorizzava la concentrazione o concedeva eventualmente una deroga.

570    Va constatato che il solo fatto che la Commissione abbia deciso, in un caso di specie, di non tener conto di una parte della durata dell’infrazione, e ciò espressamente «nell’esercizio del suo potere discrezionale e fatta salva la sua posizione di principio», non è tale da modificare il contesto normativo applicabile.

571    Il riferimento fatto, al punto 212 della sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672), a «una data precedente [alla data di autorizzazione della concentrazione] presa in considerazione alla luce delle circostanze del caso di specie» deve essere inteso come un riferimento alla facoltà della Commissione, nell’esercizio del suo potere discrezionale, di non tener conto di un periodo dell’infrazione al fine di determinare la sua durata. Non ne deriva un obbligo per la Commissione di considerare, quale data di cessazione dell’infrazione, una data precedente alla data di autorizzazione della concentrazione da parte della Commissione.

572    Per giustificare la sua decisione di non escludere né la fase di prenotifica né la fase di esame della concentrazione dalla durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, la Commissione ha rilevato, al punto 172 della decisione impugnata, che l’operazione prevista aveva sollevato seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno e che non si poteva escludere che si fosse verificata una lesione della concorrenza, almeno in una certa misura, dopo la realizzazione dell’operazione prevista e prima della sua autorizzazione.

573    Tale considerazione è di per sé sufficiente per giustificare il fatto che la Commissione non ha adottato lo stesso approccio seguito nella decisione Electrabel, consistente nell’escludere il periodo comprendente la prenotifica e l’esame della concentrazione dalla durata dell’infrazione.

574    In tale contesto, occorre ricordare che, nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel, la Commissione ha constatato che la concentrazione non aveva posto problemi di concorrenza. Ciò implica che la realizzazione prematura di tale concentrazione non aveva avuto effetti dannosi sulla concorrenza.

575    Tuttavia, nella fattispecie, la presenza di effetti dannosi sulla concorrenza a causa della realizzazione prematura della concentrazione non può essere esclusa (v. supra, punti da 505 a 517). In tali circostanze, non sarebbe opportuno che la Commissione escludesse il periodo comprendente la prenotifica e l’esame della concentrazione dalla durata dell’infrazione. Infatti, il rischio di effetti dannosi sulla concorrenza aumenta, in un caso del genere, con la durata dell’infrazione. La situazione della ricorrente e quella della società Electrabel nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel non sono quindi equiparabili, cosicché la ricorrente non può utilmente invocare il principio della parità di trattamento.

576    Ne consegue che non è necessario esaminare gli argomenti della ricorrente volti a contestare la valutazione della Commissione, nella decisione impugnata, secondo la quale la ricorrente si era mostrata restia a fornire alla Commissione tutti i dati pertinenti riguardanti il mercato. Anche supponendo che la ricorrente abbia dato prova di un atteggiamento collaborativo nel procedimento di notifica della concentrazione, come sostenuto dalla stessa, ciò non giustificherebbe l’applicazione dello stesso approccio seguito nella decisione Electrabel e l’esclusione del periodo comprendente la prenotifica e l’esame della concentrazione dalla durata della violazione all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

577    Risulta da quanto precede che la Commissione ha correttamente valutato la durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 e che essa giustamente non ha escluso né il periodo di prenotifica né il periodo di esame della concentrazione dalla durata dell’infrazione.

578    La terza parte del quinto motivo deve essere quindi respinta.

4.      Sulla quarta parte, vertente sul fatto che l’ammenda è sproporzionata

579    La quarta parte del quinto motivo si articola in tre censure, vertenti, la prima, sul fatto che l’ammenda eccede quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito, la seconda, sul fatto che l’ammenda è sproporzionata rispetto alla durata e alla gravità delle infrazioni asserite e, la terza, sul fatto che l’ammenda è eccessiva e deve essere ridotta.

580    Occorre ricordare, anzitutto, che il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non eccedano i limiti di quanto è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Ne consegue che gli importi delle ammende non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti, vale a dire rispetto alle norme in materia di concorrenza, e che l’importo dell’ammenda inflitta ad un’impresa per un’infrazione in materia di concorrenza deve essere proporzionata all’infrazione, valutata complessivamente, tenendo conto, in particolare, della gravità di quest’ultima (v. sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 279 e giurisprudenza ivi citata).

581    Inoltre, va ricordato che, ai sensi dell’articolo 16 del regolamento n. 139/2004, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha competenza estesa al merito per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione stabilisce un’ammenda o una penalità di mora; essa può sopprimere, ridurre o maggiorare l’ammenda o la penalità di mora inflitta. Tale competenza autorizza il giudice, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (v. sentenza dell’8 dicembre 2011, KME Germany e a./Commissione, C‑272/09 P, EU:C:2011:810, punto 103 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2011, Romana Tabacchi/Commissione, T‑11/06, EU:T:2011:560, punto 265).

a)      Sulla prima censura, vertente sul fatto che l’ammenda eccede quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito

582    La ricorrente ricorda che la Commissione ha ritenuto, al punto 206 della decisione impugnata, che un’ammenda consistente era necessaria per garantire un effetto dissuasivo sufficiente. La ricorrente ammette che, secondo la sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione (T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 282), la Commissione «può tenere conto dell’esigenza di garantire [alle ammende] un effetto sufficientemente dissuasivo». Tuttavia, secondo la ricorrente, ciò non rende, di per sé, un’ammenda «necessaria» per la realizzazione dell’obiettivo perseguito nella fattispecie. A suo avviso, una decisione che avesse constatato un’infrazione e che avesse chiarito la portata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 sarebbe stata sufficiente nella fattispecie per garantire la certezza del diritto e avrebbe costituto la misura meno restrittiva.

583    A tal riguardo, va ricordato che vari argomenti della ricorrente volti a dimostrare che la Commissione sarebbe incorsa in un errore nell’infliggere un’ammenda che andava al di là di un’ammenda simbolica sono già stati respinti nell’ambito dell’esame del quarto motivo.

584    Per quanto riguarda, più in particolare, l’effetto dissuasivo dell’ammenda, occorre rilevare che una semplice decisione che avesse constatato un’infrazione e che avesse chiarito la portata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non avrebbe avuto lo stesso effetto dissuasivo della decisione impugnata, che infligge un’ammenda di EUR 20 milioni (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 295). Era quindi necessario infliggere un’ammenda consistente per raggiungere l’obiettivo di garantire, per il futuro, il rispetto delle norme in materia di concorrenza.

585    Il solo fatto che le infrazioni siano state commesse per negligenza non implica che non fosse necessario infliggere ammende di importo sufficientemente dissuasivo. A tal riguardo, occorre rilevare che anche il caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel riguardava un’infrazione commessa per negligenza (v., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 276).

586    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la presente causa riguarda un’eventuale infrazione commessa a causa di un’errata interpretazione, scusabile, dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, è sufficiente ricordare che il comportamento della ricorrente è stato negligente e che non esisteva da parte sua un errore scusabile (v. supra, l’esame del secondo motivo nonché il punto 484).

587    La ricorrente non ha quindi dedotto alcun argomento, nella prima censura della quarta parte del quinto motivo, che possa rimettere in discussione la proporzionalità dell’ammenda inflitta.

b)      Sulla seconda censura, vertente sul fatto che l’ammenda è sproporzionata rispetto alla durata e alla gravità delle infrazioni asserite

588    La ricorrente fa valere che, a causa degli errori di diritto e di fatto commessi nella valutazione della gravità e della durata dell’infrazione asserita, l’ammenda è manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità e alla durata effettive dell’infrazione asserita.

589    A tal riguardo, è sufficiente ricordare che gli argomenti della ricorrente relativi ai presunti errori in cui sarebbe incorsa la Commissione nella valutazione della gravità e della durata delle infrazioni sono stati respinti nell’ambito dell’esame della seconda e della terza parte del quinto motivo.

590    La seconda censura della quarta parte del quinto motivo deve essere quindi respinta.

c)      Sulla terza censura, vertente sul fatto che l’ammenda è eccessiva e deve essere ridotta

591    La ricorrente rileva che, nella decisione impugnata, la Commissione ha inflitto un’ammenda identica a quella inflitta nella decisione Electrabel, anche se esistono differenze significative tra i due casi, in particolare in termini di durata delle infrazioni asserite e di fatturato complessivo delle imprese. Essa sottolinea che la durata dell’infrazione nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel era oltre 4,5 volte superiore alla durata della violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004 nel caso di specie. La ricorrente rileva inoltre che l’ammenda inflitta nella decisione Electrabel equivaleva allo 0,04% dei redditi complessivi dell’autore dell’infrazione, contro l’1% nel caso di specie. Essa sottolinea inoltre che l’ammenda inflitta nella decisione Electrabel equivaleva soltanto allo 0,42% dell’ammenda massima autorizzata, contro il 10% nel caso di specie. Inoltre, l’ammenda inflitta all’Electrabel equivaleva a circa 1/13 del valore dell’operazione, mentre era di circa 1/6 del valore dell’operazione nella presente causa.

592    A tal riguardo, occorre ricordare, come ammette la ricorrente, che la prassi decisionale precedente della Commissione non funge da quadro normativo per le ammende in materia di concorrenza (v. sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 259 e giurisprudenza ivi citata).

593    La ricorrente sottolinea al riguardo che essa non chiede al Tribunale di applicare la stessa formula matematica applicata nella decisione Electrabel, il che comporterebbe una riduzione dell’ammenda inflitta alla ricorrente secondo un coefficiente 25. Essa chiede tuttavia che il Tribunale voglia, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, tener conto della differenza di trattamento tra l’Electrabel e la ricorrente, che sarebbe palese, e tener debitamente conto delle circostanze del caso di specie.

594    Occorre rilevare che, certamente, l’ammenda è, nella fattispecie, assai più elevata, rispetto al fatturato della ricorrente, di quella inflitta nella decisione Electrabel, sebbene queste due ammende siano identiche in termini assoluti (EUR 20 milioni nei due casi). Occorre tuttavia ricordare che le decisioni precedenti della Commissione in materia d’ammenda possono essere pertinenti con riguardo al rispetto del principio della parità di trattamento soltanto se si è dimostrato che le circostanze delle cause relative a queste altre decisioni sono analoghe a quelle della fattispecie (v. sentenza del 29 giugno 2012, E.ON Ruhrgas e E.ON/Commissione, T‑360/09, EU:T:2012:332, punto 262 e giurisprudenza ivi citata).

595    Nella fattispecie, in primo luogo, si deve tener conto del fatto che, nella decisione Electrabel, la Commissione aveva inflitto soltanto un’ammenda per violazione dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 4064/89. Nel caso di specie, la Commissione poteva giustamente infliggere due ammende per le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

596    In secondo luogo, si deve tener conto del fatto che, nella fattispecie, l’operazione prevista sollevava seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno e che la realizzazione prematura della concentrazione ha potuto avere effetti negativi sulla concorrenza, contrariamente a quanto avveniva nel caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel. Questo fatto giustifica, di per sé, l’irrogazione di un’ammenda assai più consistente di quella inflitta nella decisione Electrabel.

597    La ricorrente fa valere al riguardo che la Commissione aveva sottolineato, nella decisione Electrabel, che il fatto che l’operazione non avesse posto problemi di concorrenza non era tale da incidere sulla gravità dell’infrazione e che la presenza di un danno concorrenziale avrebbe reso l’infrazione più grave. Secondo la ricorrente, né il caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel né la presente causa hanno comportato un qualsiasi danno effettivo alla concorrenza.

598    A tal riguardo, è sufficiente ricordare, da un lato, che il fatto che una concentrazione sollevi seri dubbi riguardo alla sua compatibilità con il mercato interno rende la realizzazione prematura di tale concentrazione più grave della realizzazione prematura di una concentrazione che non solleva problemi di concorrenza, salvo che si possa escludere, in un caso di specie, che la sua realizzazione nella forma inizialmente prevista e non autorizzata dalla Commissione abbia potuto avere effetti dannosi sulla concorrenza (v. supra, punto 500), e, dall’altro, che, nella fattispecie, un’incidenza negativa della realizzazione prematura della concentrazione sulla concorrenza non può essere esclusa (v. supra, punto 514).

599    La ricorrente fa inoltre valere che il contesto della presente causa, ossia, in primo luogo, il ricorso all’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, in secondo luogo, il rispetto concomitante delle condizioni previste à l’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 e, in terzo luogo, la piena collaborazione con la Commissione in sede di elaborazione di una serie di misure correttive adeguate, rende insignificante qualsiasi eventuale differenza di fatto rispetto al caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel.

600    Per quanto riguarda il primo elemento, va ricordato che la presente causa riguarda un’infrazione commessa per negligenza, come l’infrazione in questione nel caso che dato luogo alla decisione Electrabel. La circostanza che l’errore della ricorrente abbia potuto riguardare la portata dell’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 non rende l’infrazione meno grave.

601    Per quanto riguarda il secondo elemento, va rilevato che la Commissione ha tenuto conto, quali circostanze attenuanti, del fatto che la ricorrente non aveva esercitato i suoi diritti di voto nella Morpol e che aveva mantenuto la Morpol come entità separata dalla ricorrente durante il procedimento di controllo della concentrazione (punti 196 e 198 della decisione impugnata). Va tuttavia ricordato che tali provvedimenti non escludono che la realizzazione prematura della concentrazione abbia potuto avere effetti negativi sulla concorrenza (v. supra, punto 516).

602    Per quanto riguarda il terzo elemento, la Commissione sottolinea correttamente che era nell’interesse commerciale della stessa ricorrente proporre misure correttive. Se la ricorrente non avesse proposto siffatte misure, la Commissione avrebbe avviato le procedure della seconda fase, le quali avrebbero protratto l’infrazione e avrebbero potuto portare, in definitiva, al divieto della concentrazione. Il fatto che la ricorrente abbia proposto misure correttive adeguate non rende quindi l’infrazione meno grave.

603    Va inoltre rilevato, per quanto riguarda il confronto tra la presente causa e il caso che ha dato luogo alla decisione Electrabel, che il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una certa entità per determinati tipi di infrazioni non può impedirle di aumentare tale entità entro i limiti stabiliti dalla normativa di cui trattasi, se ciò è necessario a garantire la realizzazione della politica dell’Unione in materia di concorrenza. Infatti, l’efficace applicazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza implica che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di tale politica (v. sentenza del 12 dicembre 2012, Electrabel/Commissione, T‑332/09, EU:T:2012:672, punto 286 e giurisprudenza ivi citata).

604    A tal riguardo, la ricorrente fa valere che la presente causa non riguarda una chiara violazione dell’obbligo dello status quo e che la stessa riguarderebbe tutt’al più un’interpretazione errata dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 dovuta a un errore scusabile. Pertanto, secondo la ricorrente, nessun argomento di politica della concorrenza potrebbe giustificare l’entità dell’ammenda nella fattispecie.

605    Per quanto riguarda tale argomento della ricorrente, è sufficiente ricordare che il comportamento della ricorrente è stato negligente e che non esisteva da parte sua un errore scusabile (v. supra, l’esame del secondo motivo nonché il punto 484).

606    Va inoltre rilevato che l’importo complessivo delle due ammende inflitte nella fattispecie corrisponde a circa l’1% del fatturato della ricorrente. La Commissione precisa al riguardo che tale importo corrisponde al 10% dell’importo massimo autorizzato.

607    La Commissione sottolinea correttamente, nel controricorso, che la scelta di fissare l’ammenda in un importo situato all’estremità inferiore della forcella autorizzata riflette l’equilibrio perseguito dalla Commissione tra, da un lato, la gravità delle infrazioni commesse, l’effetto negativo potenziale sulla concorrenza che sarebbe potuto derivare dall’operazione di concentrazione, le dimensioni e la complessità della struttura della ricorrente e la necessità di infliggere una sanzione sufficientemente dissuasiva, e, dall’altro, talune circostanze attenuanti quali il comportamento più negligente che intenzionale della ricorrente, il fatto che essa abbia richiesto consulenze legali, il fatto che non abbia esercitato i diritti di voto ad essa conferiti dalla sua partecipazione nel capitale e la separazione delle due attività fino all’autorizzazione dell’operazione.

608    Alla luce degli elementi menzionati supra al punto 607, l’importo delle ammende non può essere considerato sproporzionato. In effeti, l’importo delle ammende, anche considerate congiuntamente, si colloca all’estremità inferiore della forcella autorizzata, il che riflette un giusto equilibrio tra i fattori da prendere in considerazione e ciò che è proporzionato alla luce delle circostanze del caso di specie. Per tali ragioni, si deve ritenere che l’importo delle ammende inflitte sia adeguato con riferimento alle circostanze del caso di specie.

609    Nessuno degli argomenti e delle prove dedotti dalla ricorrente consente al Tribunale, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, di constatare che le ammende inflitte non sarebbero adeguate.

610    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale i giudici dell’Unione hanno ridotto in modo significativo le ammende inflitte dalla Commissione in circostanze analoghe a quelle della presente causa, occorre constatare che, come sottolinea la Commissione, i fatti alla base di tali cause non erano equiparabili a quelli alla base della presente causa.

611    In primo luogo, per quanto riguarda la sentenza del 28 marzo 1984, Officine Bertoli/Commissione (8/83, EU:C:1984:129), occorre rilevare che la Corte ha ridotto del 75% l’ammenda inflitta alla ricorrente per violazione dell’articolo 60 CECA. Essa ha rilevato, al punto 29 di tale sentenza, quanto segue:

«[T]alune circostanze particolari che ricorrono nel caso di specie giustificano una riduzione in via equitativa. Nel corso degli ultimi trent’anni, la ricorrente, malgrado numerosi controlli effettuati dalla Commissione, non è mai stata oggetto, fino a questo momento, di sanzioni per infrazione alle norme in materia di prezzi, di prelievi ovvero di quote. A questa circostanza si aggiunge il carattere incerto dei comunicati della Commissione che, pur informando le imprese interessate del rafforzamento e dell’estensione dei controlli relativi al rispetto dei prezzi e delle condizioni di vendita imposti dall’articolo 60 del Trattato CECA, non richiamavano la loro attenzione sull’intenzione della Commissione di sanzionare in forma più severa, come era in suo potere, le infrazioni che sarebbero state accertate».

612    La ricorrente afferma al riguardo che, «[a]nalogamente, l’esenzione dall’obbligo dello status quo è stata introdotta circa 25 anni prima della decisione» e che «nessuna sanzione è mai stata inflitta per un’errata applicazione dell’esenzione».

613    A tal riguardo, va rilevato che la Commissione non ha inflitto ammende per un’errata applicazione dell’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, ma per violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Non si tratta della prima causa in cui la Commissione ha inflitto ammende per la realizzazione di una concentrazione prima della sua notifica e prima della sua autorizzazione.

614    Peraltro, le considerazioni contenute nel punto 29 della sentenza del 28 marzo 1984, Officine Bertoli/Commissione (8/83, EU:C:1984:129), riguardavano la situazione di un’unica impresa alla quale non era stata inflitta alcuna ammenda, nonostante numerosi controlli. Tali considerazioni non possono essere trasposte alla situazione di tutte le imprese, quando non sono state inflitte sanzioni a nessuna impresa.

615    Inoltre, per quanto riguarda l’osservanza delle norme in materia di concorrenza, non esiste un sistema di controlli regolari, contrariamente alla situazione che si presentava nella sentenza del 28 marzo 1984, Officine Bertoli/Commissione (8/83, EU:C:1984:129).

616    In secondo luogo, per quanto riguarda la sentenza del 19 ottobre 1983, Lucchini Siderurgica/Commissione (179/82, EU:C:1983:280), la ricorrente sottolinea che la Corte ha ridotto del 50% l’ammenda inflitta per il superamento della quota di produzione di acciaio.

617    La Corte ha constatato che «circostanze eccezionali» giustificavano il fatto di discostarsi dal tasso normale imposto dalla Commissione. A tal riguardo, essa ha rilevato che, nel trimestre in questione, la ricorrente nella causa che ha dato luogo a tale sentenza aveva incontrato eccezionali difficoltà, tali da impedirle di rispettare la quota assegnatale e che essa aveva in seguito ridotto la propria produzione. La Corte ha inoltre constatato che la ricorrente in tale causa aveva offerto, in un momento precedente, via telex, la compensazione per il superamento della quota mediante una riduzione della sua produzione successiva e che la Commissione non aveva risposto a detto telex, in violazione delle regole di buona amministrazione, lasciando la ricorrente nell’incertezza circa l’accettazione della sua offerta (sentenza del 19 ottobre 1983, Lucchini Siderurgica/Commissione, 179/82, EU:C:1983:280, punti da 25 a 27).

618    La ricorrente afferma di aver ridotto anch’essa al minimo qualsiasi conseguenza negativa della sua eventuale infrazione astenendosi dall’esercitare i suoi diritti di voto e mantenendo la Morpol quale entità separata durante il procedimento di autorizzazione della Commissione. Inoltre, secondo la ricorrente, la Commissione ha lasciato la ricorrente nell’incertezza riguardo alla questione se l’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004 si applicasse sino alla conclusione, da parte della stessa, del procedimento di controllo della concentrazione.

619    Tuttavia, nella fattispecie, a differenza della situazione alla base della sentenza del 19 ottobre 1983, Lucchini Siderurgica/Commissione (179/82, EU:C:1983:280), non esiste un tasso normale per l’irrogazione di un’ammenda per violazione dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004. Come emerge dal punto 25 della sentenza del 19 ottobre 1983, Lucchini Siderurgica/Commissione (179/82, EU:C:1983:280), l’ammenda doveva essere fissata, secondo una decisione generale, nella misura di ECU 75 per tonnellata di superamento, fatti salvi i casi eccezionali in cui fosse giustificato discostarsi da questo tasso normale.

620    Nella fattispecie, il fatto che la ricorrente abbia ridotto il rischio di effetti negativi sulla concorrenza, astenendosi dall’esercitare i suoi diritti di voto e mantenendo la Morpol quale entità separata nel corso del periodo di esame della concentrazione, è stato debitamente considerato dalla Commissione, ai punti 196 e 198 della decisione impugnata, a titolo di circostanza attenuante. Non si deve quindi prendere in considerazione tale circostanza una seconda volta, riducendo l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione.

621    Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione ha lasciato la ricorrente nell’incertezza riguardo all’applicabilità dell’esenzione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, è sufficiente constatare che, non avendo contattato la Commissione per ottenere chiarimenti riguardo all’applicabilità, nella fattispecie, dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, la ricorrente non può contestare alla Commissione di averla lasciata nell’incertezza a tal proposito. Diversamente dalla causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 ottobre 1983, Lucchini Siderurgica/Commissione (179/82, EU:C:1983:280), non vi sono stati contatti, nella fattispecie, da parte della ricorrente che siano rimasti senza risposta da parte della Commissione.

622    In terzo luogo, la ricorrente si basa sulla sentenza del 16 maggio 1984, Eisen und Metall/Commissione (9/83, EU:C:1984:177), nella quale la Corte ha ridotto del 50% l’importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione alla ricorrente, un commerciante di acciaio, per aver effettuato sottoquotazioni rispetto al listino pubblicato e per aver quindi applicato condizioni disuguali a operazioni equiparabili (v. punti 27 e da 41 a 46 della sentenza).

623    In tale sentenza, la Corte ha constatato che, quando è stata commessa una trasgressione da un commerciante, la minore influenza che questi può esercitare sulla situazione del mercato costituisce una circostanza che attenua la gravità dell’illecito e che, ciò premesso, l’inflizione di un’ammenda molto elevata può essere giustificata unicamente da circostanze che dimostrino la particolare gravità della trasgressione commessa dal commerciante (sentenza del 16 maggio 1984, Eisen und Metall/Commissione, 9/83, EU:C:1984:177, punti 43 e 44). È in tali circostanze che la Corte ha constatato, al punto 45 di tale sentenza, che un’ammenda pari al 110% delle sottoquotazioni non era giustificata, in quanto la Commissione aveva motivato l’importo dell’ammenda con la semplice considerazione che l’entità dell’ammenda doveva essere tale da dissuadere l’impresa dal commettere nuove sottoquotazioni.

624    Pertanto, dalla sentenza del 16 maggio 1984, Eisen und Metall/Commissione (9/83, EU:C:1984:177) risulta solo che il riferimento alla necessità di un effetto sufficientemente dissuasivo non basta per dimostrare la particolare gravità di una trasgressione commessa da un commerciante.

625    Nella fattispecie, la Commissione non era tenuta a dimostrare la particolare gravità dell’infrazione per giustificare l’irrogazione di un’ammenda di importo elevato. Infatti, non si può affermare che la ricorrente poteva solo esercitare un’influenza limitata sul mercato.

626    Nei limiti in cui la ricorrente si basa su un errore scusabile commesso nell’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, è sufficiente ricordare che tale argomento è già stato respinto supra al punto 484.

627    In quarto luogo, la ricorrente si basa sulla sentenza del 14 luglio 1994, Parker Pen/Commissione (T‑77/92, EU:T:1994:85). Al punto 94 di tale sentenza, il Tribunale ha rilevato che «la Commissione non [aveva] preso in considerazione il fatto che il fatturato realizzato con i prodotti cui si riferi[va] l’infrazione era relativamente esiguo rispetto a quello risultante dall’insieme delle vendite realizzate dalla Parker» e che «la determinazione di un’ammenda adeguata non [poteva] essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo». Il Tribunale ha quindi ridotto l’ammenda di circa il 43%, portandola da ECU 700 000 a ECU 400 000 (punto 95 della sentenza).

628    La ricorrente fa valere che, in modo analogo, le vendite di salmone scozzese di allevamento realizzate nel 2012 dalla Morpol, settore nel quale la Commissione ha individuato problemi di concorrenza, erano relativamente esigue rispetto all’insieme delle sue vendite, ossia il 5%.

629    A tal riguardo, occorre rilevare che la sentenza del 14 luglio 1994, Parker Pen/Commissione (T‑77/92, EU:T:1994:85), riguardava una violazione dell’articolo 101 TFUE. Per quanto riguarda le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, non è corretto calcolare l’importo dell’ammenda in base al valore delle vendite nel settore interessato da eventuali problemi di concorrenza. Infatti, la realizzazione di una concentrazione prima della notifica e dell’autorizzazione non riguarda esclusivamente il settore del mercato per il quale la Commissione ha potuto individuare problemi di concorrenza. In caso contrario, l’ammenda dovrebbe essere fissata, in via di principio, in EUR 0 nel caso di una concentrazione che non abbia posto alcun problema di concorrenza.

630    Peraltro, nella fattispecie, la Commissione non ha effettuato un «semplice calcolo basato sul fatturato complessivo», ma ha tenuto conto di una molteplicità di elementi nella valutazione della natura, della gravità e della durata dell’infrazione.

631    La quarta parte del quinto motivo deve essere quindi respinta.

5.      Sulla quinta parte, vertente sul fatto che la decisione impugnata non ammette, erroneamente, circostanze attenuanti

632    La ricorrente fa valere che la Commissione avrebbe dovuto ammettere come circostanze attenuanti i seguenti elementi:

–        la collaborazione della ricorrente nell’ambito del procedimento di controllo delle concentrazioni;

–        la mancanza di precedenti pertinenti;

–        l’esistenza di un errore scusabile all’origine delle infrazioni asserite;

633    La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

634    In primo luogo, per quanto riguarda la presunta collaborazione della ricorrente nell’ambito del procedimento di controllo delle concentrazioni, quand’anche fosse dimostrata, occorre rilevare che non si tratterebbe di una circostanza attenuante nell’ambito di un procedimento relativo a violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

635    È certamente vero che, nei procedimenti relativi alle violazioni degli articoli 101 o 102 TFUE, la collaborazione di un ricorrente nell’ambito del procedimento amministrativo può essere presa eventualmente in considerazione quale circostanza attenuante. In tali casi, nei quali la Commissione mira a dimostrare l’esistenza di infrazioni, non è affatto ovvio che le imprese oggetto dell’indagine mostrino un atteggiamento collaborativo e aiutino attivamente la Commissione ad accertare l’infrazione.

636    Tuttavia, nella fattispecie, la ricorrente non si basa su una presunta collaborazione nel procedimento amministrativo volta ad accertare le violazioni dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004.

637    Essa afferma semplicemente di essere stata collaborativa nel procedimento di controllo delle concentrazioni. A tal riguardo, occorre sottolineare che è del tutto logico che un’impresa che intende ottenere l’autorizzazione di una concentrazione collabori con la Commissione al fine di accelerare il procedimento, il che è nel proprio interesse (v. supra, per quanto riguarda la proposta di misure correttive da parte della ricorrente, punto 602).

638    Non si può quindi contestare alla Commissione di non prendere in considerazione siffatta collaborazione come circostanza attenuante.

639    In secondo luogo, la ricorrente afferma che la Commissione avrebbe dovuto concederle il beneficio di una circostanza attenuante in relazione alla mancanza di precedenti pertinenti che abbiano accertato la violazione dell’obbligo dello status quo in relazione all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004. La ricorrente sottolinea al riguardo che, nella decisione del 18 febbraio 1998 (caso n. IV/M.920 – Samsung/AST) (in prosieguo: la «decisione Samsung/AST») nonché nella decisione del 10 febbraio 1999 (caso n. IV/M.969 – A.P. Møller) (in prosieguo: la «decisione A.P. Møller»), la Commissione ha riconosciuto come circostanza attenuante il fatto che il comportamento in discussione era stato posto in essere in un momento in cui essa non aveva ancora adottato una decisione che constatasse un’infrazione riguardo al comportamento in questione.

640    A tal riguardo, occorre rilevare che non esiste alcun obbligo per la Commissione di prendere in considerazione, come circostanza attenuante, il fatto che un comportamento che ha esattamente le stesse caratteristiche di quello di cui trattasi non abbia ancora dato luogo all’irrogazione di un’ammenda. Inoltre, sotto un primo profilo, occorre ricordare che, nella decisione Yara/Kemira GrowHow, la Commissione si era già pronunciata sull’interpretazione da attribuire all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004, sebbene in un obiter dictum (v. supra, punto 419). Sotto un secondo profilo, la Commissione, in più casi, ha inflitto ammende ai sensi dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89, anche se tali casi non riguardavano l’interpretazione dell’eccezione prevista all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004.

641    Per quanto riguarda la decisione Samsung/AST, occorre rilevare che la Commissione ha constatato, al punto 28, n. 5, che tale decisione era «la prima [che essa aveva] adottato (…) in applicazione dell’articolo 14 del regolamento [n. 4064/89]». Al punto 21 della decisione A.P. Møller, la Commissione ha constatato che «le infrazioni [erano] avvenute contemporaneamente a quella che [aveva] costituito l’oggetto della decisione Samsung, vale a dire quando la Commissione non aveva ancora adottato alcuna decisione a norma dell’articolo 14 del regolamento [n. 4064/89]», che «[q]uesta circostanza [era] stata considerata come un’attenuante ai fini della decisione Samsung» e che «lo stesso tipo di ragionamento si applica[va] al caso in esame».

642    In tali decisioni, la Commissione non si è quindi limitata a constatare che essa non aveva ancora inflitto alcuna ammenda per un comportamento che aveva esattamente le stesse caratteristiche, ma ha rilevato che non era stata adottata alcuna decisione in forza dell’articolo 14 del regolamento n. 4064/89. La situazione nel caso di specie non è quindi equiparabile a quelle alla base delle decisioni Samsung/AST e A.P. Møller.

643    In terzo luogo, la ricorrente fa valere che, anche supponendo che la decisione impugnata possa correttamente qualificare come negligenti le presunte violazioni, da parte della ricorrente, dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 139/2004, la decisione non consentirebbe alla ricorrente di beneficiare della circostanza attenuante risultante dal fatto che l’asserita infrazione sia stata causata da un errore scusabile e non mirasse ad eludere il controllo della Commissione.

644    A tal riguardo, è sufficiente constatare che l’esistenza di un errore scusabile presuppone che l’interessato abbia dato prova di tutta la diligenza richiesta a una persona normalmente avveduta (v. supra, punto 484). La constatazione di un comportamento negligente da parte della ricorrente esclude quindi necessariamente l’esistenza di un errore scusabile da parte sua.

645    Pertanto, si deve respingere anche la quinta parte del quinto motivo nonché il quinto motivo nel suo insieme.

646    Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere integralmente respinto.

 Sulle spese

647    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Marine Harvest ASA è condannata alle spese.

Dittrich

Schwarcz

Tomljenović

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 26 ottobre 2017.

Firme


Indice


I. Fatti

A. Acquisizione della Morpol da parte della ricorrente

B. Fase di prenotifica

C. Notifica e decisione che autorizza la concentrazione salvo il rispetto di taluni impegni

D. Decisione impugnata e procedimento che ha portato alla sua adozione

II. Procedimento e conclusioni delle parti

III. In diritto

A. Sul primo motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto, in quanto la decisione impugnata ha respinto l’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

1. Sulle prime tre parti del primo motivo

a) Osservazioni preliminari

b) Sull’applicabilità dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

1) Sul fatto che la concentrazione di cui trattasi non rientra nel dettato dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

2) Sull’argomento della ricorrente vertente sulla presunta esistenza di una concentrazione unica

i) Osservazioni preliminari

ii) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la comunicazione consolidata sulla competenza

iii) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la giurisprudenza del Tribunale e con la prassi decisionale della Commissione

iv) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con il considerando 20 del regolamento n. 139/2004

v) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la posizione della Commissione è in contrasto con la prassi negli Stati membri

vi) Sugli argomenti della ricorrente secondo i quali la Commissione ha interpretato in modo errato la ratio dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

2. Sulla quarta parte del primo motivo, vertente sul fatto che la ricorrente si è conformata all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 139/2004

B. Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto in quanto la decisione impugnata conclude che la ricorrente è stata negligente

C. Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio generale del ne bis in idem

1. Osservazioni preliminari sul rapporto tra l’articolo 4, paragrafo 1, l’articolo 7, paragrafo 1, e l’articolo 14, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 139/2004

2. Sull’applicabilità nella fattispecie del principio del ne bis in idem

3. Sugli argomenti della ricorrente relativi al concorso di infrazioni

D. Sul quarto motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto commesso infliggendo ammende alla ricorrente

1. Sulla prima parte, vertente sulla violazione dei principi della certezza del diritto e nullum crimen, nulla poena sine lege

2. Sulla seconda parte, vertente sulla violazione del principio generale della parità di trattamento

E. Sul quinto motivo, vertente su un errore manifesto di diritto e di fatto e su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dei livelli delle ammende

1. Sulla prima parte, vertente su un difetto di motivazione per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’ammenda

2. Sulla seconda parte, vertente su un’errata valutazione della gravità delle infrazioni asserite

a) Sulla presa in considerazione della negligenza della ricorrente

b) Sulla presa in considerazione dell’esistenza di seri dubbi riguardo alla compatibilità dell’operazione con il mercato interno

c) Sulla presa in considerazione dei precedenti riguardanti la ricorrente e altre società

1) Sulla presa in considerazione del caso che ha dato luogo alla decisione Pan Fish/Fjord Seafood

2) Sulla presa in considerazione di casi riguardanti altre società

3. Sulla terza parte, vertente su un’errata valutazione della durata dell’infrazione asserita

4. Sulla quarta parte, vertente sul fatto che l’ammenda è sproporzionata

a) Sulla prima censura, vertente sul fatto che l’ammenda eccede quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito

b) Sulla seconda censura, vertente sul fatto che l’ammenda è sproporzionata rispetto alla durata e alla gravità delle infrazioni asserite

c) Sulla terza censura, vertente sul fatto che l’ammenda è eccessiva e deve essere ridotta

5. Sulla quinta parte, vertente sul fatto che la decisione impugnata non ammette, erroneamente, circostanze attenuanti

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’inglese.