Language of document : ECLI:EU:C:2023:114

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 16 febbraio 2023 (1)

Causa C663/21

Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl

con l’intervento di

AA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

e

Causa C8/22

XXX

contro

Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica di asilo – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo che ha commesso un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità – Onere della prova – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Rinvio dell’allontanamento – Allontanamento considerato illegittimo a causa del principio di non respingimento – Impossibilità di adottare una decisione di rimpatrio»






I.      Introduzione

1.        L’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (2), prevede, accanto alle cause di cessazione (articolo 11) e di esclusione (articolo 12), che gli Stati membri abbiano la facoltà di procedere alla revoca dello status di rifugiato o di rifiutare di riconoscere tale status in caso di pericolo per la loro sicurezza o per la loro comunità.

2.        L’esistenza di tale facoltà, motivata dalla volontà degli Stati membri di beneficiare di uno strumento di azione nei confronti dei rifugiati che pregiudicano la loro sicurezza o la loro comunità, ma che non possono essere respinti, è stata oggetto di critiche consistenti nel fatto che essa non corrisponde alle cause di esclusione e di cessazione previste all’articolo 1, sezioni da C a F, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati (3), quale integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati (4) (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

3.        Nella sua sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (5), la Corte non ha tuttavia rilevato alcun elemento in grado di inficiare la validità dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, della direttiva 2011/95 alla luce dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Per giungere a tale decisione, la Corte ha segnatamente giudicato che l’articolo 14, paragrafi 4 e 5, di detta direttiva doveva essere interpretato nel senso che, nel contesto del sistema istituito da quest’ultima, la revoca dello status di rifugiato o il diniego di riconoscimento di tale status non ha come effetto che il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, che soddisfi le condizioni previste all’articolo 2, lettera d), della medesima direttiva, in combinato disposto con le norme di cui al capo III della stessa, perda la qualità di rifugiato, ai sensi di detto articolo 2, lettera d), e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra (6).

4.        Sulla scia della sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato), le presenti domande di pronuncia pregiudiziale invitano ora la Corte a precisare le condizioni alle quali gli Stati membri possono decidere di revocare lo status di rifugiato.

5.        Dette domande di pronuncia pregiudiziale vertono, più precisamente, sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, nonché degli articoli 5, 6, 8 e 9 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (7).

6.        Per quanto riguarda la causa C‑663/21, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra AA, cittadino di un paese terzo, e il Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Ufficio federale per il diritto degli stranieri e il diritto di asilo, Austria; in prosieguo: l’«Ufficio») in merito alla decisione adottata da quest’ultimo di revocargli lo status di rifugiato, di rifiutargli il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria o la concessione di un permesso di soggiorno per motivi meritevoli di considerazione, di adottare una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto di soggiorno nei suoi confronti, di fissare un termine per la sua partenza volontaria e di dichiarare che il suo allontanamento non è autorizzato.

7.        Per quanto concerne la causa C‑8/22, la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra XXX, cittadino di un paese terzo, e il Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi, Belgio; in prosieguo: il «Commissario generale») in merito alla decisione adottata da quest’ultimo di revocargli lo status di rifugiato.

8.        Poiché le questioni poste dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) (causa C‑663/21) e dal Conseil d’Etat (Consiglio di Stato, Belgio) (causa C‑8/22) sono complementari e si sovrappongono in parte, le esaminerò congiuntamente nelle presenti conclusioni. Tali questioni invitano la Corte, in particolare, a precisare le condizioni alle quali è subordinata la revoca dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95.

9.        Tale disposizione prevede che «[g]li Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando (...) la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

10.      Questo motivo di revoca dello status di rifugiato è direttamente ispirato alla formulazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, da cui risulta che il principio di non respingimento non può essere invocato da un rifugiato che «costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività [del paese in cui risiede]». Questa stessa eccezione al principio di non respingimento si ritrova all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 (8).

11.      Nelle presenti conclusioni, sosterrò anzitutto l’interpretazione secondo cui l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sottopone a due condizioni cumulative la facoltà di cui dispone uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato. A questo proposito, spiegherò perché considero che la sussistenza di una condanna definitiva per un reato di particolare gravità costituisca una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché uno Stato membro possa revocare tale status.

12.      Esporrò poi i motivi per i quali ritengo che il pericolo costituito dal condannato, nel momento in cui viene adottata una decisione di revoca dello status di rifugiato, debba essere reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità dello Stato membro interessato.

13.      Preciserò infine che una decisione di revocare lo status di rifugiato deve, a mio avviso, rispettare il principio di proporzionalità e, più in generale, i diritti fondamentali dell’interessato, quali garantiti dalla Carta.

14.      La causa C‑663/21 solleva un ulteriore problema, relativo all’interpretazione della direttiva 2008/115. Si pone, in sostanza, la questione se debba essere adottata una decisione di rimpatrio qualora il cittadino interessato di un paese terzo non possa essere respinto verso il suo paese di origine. Mi baserò sulla più recente giurisprudenza della Corte per proporre a quest’ultima di rispondere in senso negativo a tale questione.

II.    Fatti e questioni pregiudiziali

A.      Causa C663/21

15.      AA è entrato illegalmente in Austria il 10 dicembre 2014 e ha presentato, lo stesso giorno, una domanda di protezione internazionale. Con decisione dell’Ufficio del 22 dicembre 2015, gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

16.      Il 22 marzo 2018 AA è stato condannato ad una pena detentiva di un anno e tre mesi e a una sanzione pecuniaria pari a 180 unità giornaliere per aver commesso i reati di minaccia grave, distruzione o danneggiamento di beni altrui, uso illegale di stupefacenti e traffico di stupefacenti. Il 14 gennaio 2019 AA è stato condannato a una pena detentiva di tre mesi per aver commesso i reati di lesioni personali volontarie e di minaccia grave. L’11 marzo 2019 è stato condannato a una pena detentiva di sei mesi per aver commesso i reati di tentate lesioni personali e di minaccia grave. Dette pene detentive sono state tutte sospese in via condizionale.

17.      Il 13 agosto 2019 AA è stato condannato ad un’ammenda per comportamento aggressivo nei confronti di un agente di polizia.

18.      Con decisione del 24 settembre 2019, l’Ufficio ha revocato ad AA lo status di rifugiato e ha deciso di non concedergli né lo status di protezione sussidiaria né un permesso di soggiorno per motivi meritevoli di considerazione. L’Ufficio ha inoltre dichiarato che nei suoi confronti sarebbe stata adottata una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto di ingresso e che sarebbe stato fissato un termine per la partenza volontaria, affermando al contempo che il suo allontanamento verso la Siria non era autorizzato.

19.      AA ha proposto ricorso avverso la decisione dell’Ufficio del 24 settembre 2019 dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria). In seguito, egli ha dichiarato di ritirare tale ricorso nella misura in cui riguardava la parte del dispositivo di detta decisione che dichiarava l’illegittimità del suo allontanamento.

20.      Il 16 giugno e l’8 ottobre 2020 AA è stato condannato a pene detentive di quattro e cinque mesi, ferma restando la sospensione condizionale delle pene precedentemente irrogate.

21.      Con sentenza del 28 maggio 2021, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha annullato la decisione dell’Ufficio del 24 settembre 2019. Tale organo giurisdizionale ha dichiarato che avrebbero dovuto essere soddisfatte quattro condizioni affinché lo status di rifugiato potesse essere revocato, vale a dire che il rifugiato avesse commesso un reato di particolare gravità, che egli fosse stato condannato in via definitiva, che egli costituisse un pericolo per la comunità e che l’interesse pubblico alla cessazione del soggiorno prevalesse sul suo interesse al mantenimento della protezione da parte dello Stato di asilo.

22.      Detto organo giurisdizionale ha constatato che AA soddisfaceva le prime tre condizioni ma, per quanto riguarda la quarta, ha ritenuto che occorresse bilanciare gli interessi della Repubblica d’Austria con quelli di AA, tenendo conto della portata e della natura delle misure a cui quest’ultimo sarebbe stato esposto in caso di revoca della protezione internazionale. Orbene, poiché AA sarebbe esposto, in caso di ritorno nel suo paese di origine, a un rischio di tortura o di morte, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha considerato che i suoi interessi prevalessero su quelli della Repubblica d’Austria e che lo status di rifugiato non dovesse essergli revocato.

23.      L’Ufficio ha proposto un ricorso per cassazione (Revision) avverso tale sentenza dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa).

24.      A sostegno del proprio ricorso, l’Ufficio afferma che la giurisprudenza del Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) che prevede la quarta condizione summenzionata è stata elaborata in un contesto non paragonabile a quello attualmente in vigore. Infatti, un allontanamento verso il paese di origine non sarebbe più autorizzato nel caso in cui l’interessato fosse esposto a conseguenze comportanti una violazione degli articoli 2 o 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (9). Pertanto, il bilanciamento degli interessi in gioco operato nel caso di specie dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) non sarebbe necessario, poiché tale persona beneficerebbe di una protezione contro l’allontanamento risultante da una decisione che constata l’impossibilità di un respingimento. Secondo l’Ufficio, un simile bilanciamento degli interessi potrebbe, inoltre, compromettere la credibilità del sistema di protezione previsto dal diritto dell’Unione in conformità con la Convenzione di Ginevra.

25.      Alla luce dei summenzionati argomenti addotti dall’Ufficio, il giudice del rinvio si interroga sulla necessità di procedere, ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, a un bilanciamento degli interessi in gioco dopo che sia stato accertato che l’interessato è stato condannato in via definitiva per aver commesso un reato di particolare gravità e che egli costituisce un pericolo per la comunità. Tale giudice afferma, in particolare, basandosi sull’argomentazione esposta dinanzi ad esso dall’Ufficio (10), che un simile bilanciamento potrebbe essere escluso per il motivo che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva consentirebbe di revocare lo status di rifugiato alle persone che si siano dimostrate indegne di mantenere tale status a causa della loro delinquenza particolarmente grave e del pericolo che, pertanto, esse costituiscono per la comunità.

26.      Inoltre, detto giudice osserva che, in ogni caso, la revoca dello status di rifugiato non consentirebbe di tenere conto della necessità di prevenire il pericolo costituito da una persona dedita alla delinquenza particolarmente grave, qualora l’allontanamento di quest’ultima fosse illegittimo a causa del divieto di respingimento.

27.      Basandosi sulla dottrina e sulle dichiarazioni dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), il giudice del rinvio afferma che esistono opinioni divergenti quanto alla necessità di procedere ad un bilanciamento degli interessi tra il pericolo per la comunità costituito dal cittadino interessato di un paese terzo e i rischi che il ritorno nel suo paese di origine comporta per tale cittadino. Lo stesso giudice sottolinea altresì che, su tale punto, la giurisprudenza austriaca sembra isolata all’interno dell’Unione europea e che tale giurisprudenza può portare all’impossibilità di privare detto cittadino del suo status di rifugiato.

28.      Inoltre, detto giudice rileva che il diritto austriaco prevede che, nel caso in cui la protezione internazionale sia stata revocata, ma l’allontanamento verso il paese di origine sia illegittimo, debba essere adottata una decisione di rimpatrio accompagnata, se del caso, da un divieto d’ingresso. Il soggiorno di un cittadino interessato di un paese terzo è quindi tollerato in Austria fintanto che il suo allontanamento rimanga impossibile, senza tuttavia essere regolare.

29.      Una simile prassi potrebbe essere considerata incompatibile con la direttiva 2008/115 in quanto, in particolare, essa implica l’adozione di una decisione di rimpatrio priva di qualsiasi efficacia per un periodo di tempo indeterminato, poiché l’allontanamento del cittadino interessato di un paese terzo è considerato illegittimo fino all’eventuale adozione di una decisione contraria che dichiari legittimo l’allontanamento. In tale contesto, il giudice del rinvio si interroga segnatamente sulla portata della sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (11).

30.      Alla luce di tali circostanze, il Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se, nel valutare la possibilità, in capo all’autorità competente, di revocare lo status di avente diritto di asilo a un rifugiato, per il motivo menzionato nell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della [direttiva 2011/95], occorra effettuare una ponderazione di interessi come criterio autonomo, nel senso che per la revoca sia necessario che gli interessi pubblici a un rimpatrio prevalgano sugli interessi del rifugiato a mantenere la protezione da parte dello Stato di rifugio, mettendo a confronto in tale contesto il carattere riprovevole del reato commesso e il potenziale pericolo per la comunità con gli interessi di protezione dello straniero, inclusa la portata e la tipologia di misure che rischia vengano poste a suo carico.

2)      Se le disposizioni della [direttiva 2008/115], in particolare gli articoli 5, 6, 8 e 9, ostino a una situazione giuridica nazionale secondo la quale, nei confronti del cittadino di un paese terzo che, a seguito della revoca dello status di avente diritto di asilo, venga privato del diritto di soggiorno di cui ha goduto fino a quel momento in qualità di rifugiato, debba essere emanata una decisione di rimpatrio anche se, già al momento dell’adozione di tale decisione, appare chiaro che, per un periodo di durata indeterminata, un’espulsione non è consentita a causa del principio di non respingimento, e ciò viene anche accertato in modo idoneo al passaggio in giudicato».

31.      I governi austriaco, belga, ceco, tedesco e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte.

B.      Causa C8/22

32.      Con decisione del Commissario generale del 23 febbraio 2007, a XXX è stato riconosciuto lo status di rifugiato.

33.      Con sentenza del 20 dicembre 2010, la Cour d’assises de Bruxelles (Corte d’assise di Bruxelles, Belgio) ha condannato XXX a venticinque anni di reclusione (12).

34.      Con decisione del 4 maggio 2016, il Commissario generale gli ha revocato lo status di rifugiato.

35.      XXX ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio).

36.      Con sentenza del 26 agosto 2019, tale organo giurisdizionale ha respinto detto ricorso, ritenendo che il pericolo che XXX costituiva per la società derivasse dalla sua condanna per un reato di particolare gravità. In tale contesto, il Commissario generale non avrebbe l’onere di dimostrare che XXX costituisca un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità. Sarebbe quest’ultimo, piuttosto, a dover dimostrare di non costituire più un pericolo per la comunità.

37.      Il 26 settembre 2019 XXX ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato) avverso detta sentenza.

38.      A sostegno del proprio ricorso egli afferma, in sostanza, che spetterebbe al Commissario generale dimostrare la sussistenza di un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità e che sarebbe necessario effettuare un controllo di proporzionalità per determinare se il pericolo da lui eventualmente costituito giustifichi la revoca del suo status di rifugiato.

39.      Alla luce di tali circostanze, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso prevede che il pericolo per la società sia dimostrato per il solo fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità, oppure nel senso che esso prevede che la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società.

2)      Nel caso in cui la mera condanna, con sentenza passata in giudicato, per un reato di particolare gravità non sia sufficiente per dimostrare la sussistenza di un pericolo per la società, se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso esige che lo Stato membro dimostri che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società. Se lo Stato membro debba dimostrare che tale pericolo è reale e attuale o se sia sufficiente la sussistenza di un pericolo potenziale. Se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), [di tale direttiva], letto da solo o in combinato disposto con il principio di proporzionalità, debba essere interpretato nel senso che esso consente la revoca dello status di rifugiato soltanto qualora tale revoca sia proporzionata e il pericolo costituito dal beneficiario di tale status sia sufficientemente grave da giustificare detta revoca.

3)      Nel caso in cui lo Stato membro non sia tenuto a dimostrare che il ricorrente, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la società e che tale pericolo sia reale, attuale e sufficientemente grave da giustificare la revoca dello status di rifugiato, se l’articolo 14, [paragrafo 4, lettera] b), della [direttiva 2011/95] debba essere interpretato nel senso che esso implica che il pericolo per la società è dimostrato, in linea di principio, dal fatto che il beneficiario dello status di rifugiato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità[,] ma che quest’ultimo può dimostrare di non costituire o di non costituire più un simile pericolo».

40.      XXX, i governi belga e dei Paesi Bassi nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte.

41.      All’udienza comune alle due cause, tenutasi il 10 novembre 2022, XXX, i governi belga e dei Paesi Bassi nonché la Commissione hanno presentato le loro osservazioni orali e risposto oralmente ai quesiti formulati dalla Corte.

III. Analisi

A.      Sull’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95

42.      Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, il dibattito giuridico nelle presenti cause verte su diversi punti.

43.      In primo luogo, ci si chiede se occorra considerare che tale disposizione ponga due condizioni cumulative affinché uno Stato membro possa revocare lo status di rifugiato, vale a dire, da un lato, la sussistenza di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato particolarmente grave e, dall’altro, la dimostrazione del fatto che la persona oggetto di detta condanna costituisca un pericolo per la comunità di tale Stato membro.

44.      In secondo luogo, in caso di risposta in senso affermativo a questa prima domanda, risulta rilevante determinare quali siano le caratteristiche di tale pericolo per la comunità. In particolare, se uno Stato membro debba dimostrare che il cittadino interessato di un paese terzo, successivamente alla sua condanna, continui a costituire un pericolo per la comunità di tale Stato. Inoltre, per analogia con quanto ha stabilito la Corte a proposito di altre norme del diritto dell’Unione, se debba trattarsi di un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave.

45.      In terzo luogo, occorre stabilire se la decisione di uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sia soggetta al rispetto del principio di proporzionalità. In caso affermativo, tra quali elementi debba essere effettuato il bilanciamento. In particolare, se l’autorità competente debba operare un bilanciamento tra l’interesse dello Stato membro ospitante, a proteggere la propria comunità, e l’interesse del cittadino interessato di un paese terzo, a continuare a beneficiare di una protezione in tale Stato membro?

46.      Prima di esaminare tali diversi punti, formulerò alcune osservazioni preliminari sulla condizione relativa ad una condanna definitiva per un reato di particolare gravità.

1.      Osservazioni preliminari sulla condizione relativa ad una condanna definitiva per un reato di particolare gravità

47.      Osservo che nessuna delle questioni sollevate dai giudici del rinvio verte su cosa significhi il fatto che il cittadino interessato di un paese terzo debba essere stato «condannat[o] con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità». Tale questione è, invece, direttamente posta nell’ambito della causa Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (C‑402/22), attualmente pendente dinanzi alla Corte, su iniziativa del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi). Poiché detta causa offrirà quindi il quadro appropriato per delineare i contorni della summenzionata condizione (13), in questa sede mi limiterò a formulare le seguenti osservazioni, motivate dal contrasto esistente tra le condanne rispettivamente pronunciate nelle presenti cause.

48.      Orbene, la causa C‑663/21 riguarda un cittadino di un paese terzo a cui è stato revocato lo status di rifugiato dopo la sua condanna per vari reati a diverse pene detentive, sospese in via condizionale. La causa C‑8/22 riguarda, invece, un cittadino di un paese terzo a cui è stato revocato lo status di rifugiato dopo la sua condanna a una pena detentiva di venticinque anni per aver commesso vari reati, tra cui un omicidio doloso.

49.      Intuitivamente, e con riserva di approfondire la definizione della nozione di «condanna per reato di particolare gravità», la condanna a una pena detentiva di una durata e per un reato come quelli di cui trattasi nella causa C‑8/22 sembra rientrare in tale definizione o, quantomeno, non esulare manifestamente dal suo ambito di applicazione.

50.      Per contro, è lecito chiedersi, nell’ambito della causa C‑663/21, se più condanne a pene detentive sospese in via condizionale per reati dei quali nessuno, considerato isolatamente, potrebbe essere qualificato come «di particolare gravità» soddisfino la condizione prevista all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95. Ciò pone segnatamente la questione se l’effetto cumulativo di più reati possa consentire di raggiungere il grado di particolare gravità richiesto da tale disposizione.

51.      Non risolverò in questa sede tali questioni, che non sono state oggetto di discussione nell’ambito delle presenti cause, e mi limiterò ad attirare l’attenzione dei giudici del rinvio sul fatto che essi non potranno prescindere, quando dovranno trarre le conseguenze dalle risposte che la Corte fornirà alle loro questioni, dalla verifica preliminare relativa alla sussistenza o meno di una condanna per un «reato di particolare gravità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95. Infatti, si tratta di una condizione necessaria per esercitare la facoltà di revoca dello status di rifugiato offerta da tale disposizione.

52.      Sorge, tuttavia, la questione se si tratti anche di una condizione sufficiente per esercitare tale facoltà di revoca. La risposta a tale domanda richiede di precisare il nesso esistente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, tra una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e la sussistenza di un pericolo per la comunità, al fine di dedurne se si tratti o meno di due condizioni cumulative.

2.      Sul nesso tra una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e la sussistenza di un pericolo per la comunità

53.      Con le sue questioni prima e terza nella causa C‑8/22, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che il motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da tale disposizione può essere applicato qualora sia accertato che l’interessato è stato condannato in via definitiva per un reato di particolare gravità, senza che sia necessario verificare, quale condizione distinta, se tale persona costituisca un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

54.      Tali questioni richiedono di stabilire se la relazione tra i due elementi costituiti, da un lato, dalla condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, dalla sussistenza di un pericolo per la comunità dello Stato membro interessato sia una relazione di causalità automatica, cosicché il primo elemento implichi necessariamente il secondo, oppure se si tratti di due elementi che, sebbene connessi l’uno all’altro, debbano formare oggetto ciascuno di una dimostrazione distinta.

55.      In altri termini, ci si chiede se si debba ritenere che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 ponga un’unica condizione per la revoca dello status di rifugiato, vale a dire che il pericolo per la comunità derivi dal solo fatto che il beneficiario dello status di rifugiato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, oppure si debba considerare che tale disposizione ponga due condizioni per detta revoca cosicché, oltre alla sussistenza di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, uno Stato membro debba dimostrare che il rifugiato costituisce un pericolo per la sua comunità.

56.      Su tale punto sembrano sussistere divergenze tra gli Stati membri. Alcuni ritengono che una condanna per un reato di particolare gravità sia, in tutti i casi, sufficiente per considerare che la persona di cui trattasi costituisca un pericolo per la comunità. Altri ritengono che occorra altresì dimostrare la sussistenza di un simile pericolo quale condizione distinta (14).

57.      Al pari della Commissione, ritengo che una condanna definitiva per un reato di particolare gravità costituisca una condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter revocare lo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 (15). In tale ottica, occorre altresì esaminare e stabilire se l’interessato costituisca un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova. Detta disposizione prevede quindi due condizioni che, sebbene correlate, sono distinte e devono essere soddisfatte entrambe. La condanna con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità è dunque, al tempo stesso, una condizione per la sussistenza di un pericolo per la comunità, conformemente alla summenzionata disposizione, e un elemento rilevante per la valutazione di tale pericolo. Tale condanna non costituisce tuttavia l’unico elemento ai fini di una simile valutazione, come spiegherò più avanti.

58.      Il testo dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 depone, a mio avviso, a favore di una siffatta interpretazione.

59.      A tale riguardo osservo che, sebbene vi siano differenze tra le versioni linguistiche di tale disposizione (16), quest’ultima esprime l’idea secondo la quale non solo la persona in questione deve essere stata condannata per un reato di particolare gravità, ma deve altresì essere stabilito un legame tra il reato per il quale la persona è stata condannata e il pericolo che essa rappresenta. Detta persona deve quindi costituire un pericolo a causa del reato da essa commesso (17).

60.      Pertanto, il pericolo per la comunità richiesto dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 non è dimostrato qualora sia fondato su accuse relative a reati commessi dalla persona di cui trattasi o al suo comportamento in generale che non hanno dato luogo ad una condanna definitiva per un reato di particolare gravità.

61.      Analogamente a quanto ha dichiarato la Corte a proposito del motivo corrispondente previsto all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83, che consente di respingere un rifugiato, occorre ritenere che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sottoponga la revoca dello status di rifugiato a condizioni rigorose dato che, in particolare, soltanto un rifugiato che è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un «reato di particolare gravità» può essere considerato un «pericolo per la comunità di tale Stato membro» (18). Tali condizioni rigorose sono commisurate alle importanti conseguenze che comporta la revoca dello status di rifugiato, consistenti nel fatto che l’interessato non disporrà più di tutti diritti e benefici enunciati nel capo VII di detta direttiva, poiché gli stessi sono associati a tale status (19).

62.      Tuttavia, l’esistenza di un nesso tra i due elementi menzionati all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva non significa, a mio avviso, che si debba ritenere in tutti i casi che la sussistenza di un pericolo per la comunità derivi automaticamente da una condanna per un reato di particolare gravità, rendendo di conseguenza inutile la dimostrazione di un simile pericolo.

63.      Infatti, a prescindere dalle versioni linguistiche e dal modo in cui esse esprimono il nesso tra una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e la sussistenza di un pericolo per la comunità, il fatto che il testo di detta disposizione menzioni questi due elementi mi induce a ritenere che il legislatore dell’Unione abbia in tal modo previsto che debbano essere soddisfatte due condizioni cumulative per consentire la revoca dello status di rifugiato. Se il pericolo per la comunità non costituisse una condizione autonoma, tale legislatore si sarebbe limitato, logicamente, a consentire la revoca dello status di rifugiato sulla sola base di una condanna per un reato di particolare gravità (20).

64.      D’altronde, è ciò che ha fatto detto legislatore prevedendo, ad esempio, tra le cause di esclusione dallo status di rifugiato, la commissione di un «reato grave di diritto comune» all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95 e, tra le cause di esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria, la commissione di un «reato grave» all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva. Rilevo inoltre che, tra le cause di esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria, i fondati motivi per ritenere che la persona di cui trattasi «rappresenti un pericolo per la comunità o la sicurezza dello Stato in cui si trova» costituiscono una causa di esclusione distinta e autonoma.

65.      Dal raffronto con tali disposizioni, deduco dalla formulazione specifica dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 che la sussistenza di un pericolo per la comunità non può risultare automaticamente e in tutti i casi da una condanna per un reato di particolare gravità, a meno di non rendere superflua la menzione secondo la quale l’interessato deve costituire un pericolo per la comunità.

66.      Contrariamente a quanto sostiene il governo belga, l’interpretazione che privilegia l’esistenza di due condizioni cumulative non comporta la conseguenza di privare di efficacia pratica l’altro motivo di revoca dello status di rifugiato che è menzionato all’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95, consistente nella sussistenza di fondati motivi per ritenere che un rifugiato costituisca «un pericolo per la sicurezza dello Stato membro in cui si trova». Infatti, a mio avviso, tale motivo ha un ambito di applicazione che gli è proprio, in quanto comprende tanto la sicurezza interna di uno Stato membro quanto la sua sicurezza esterna. Pertanto, il pregiudizio al funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici essenziali nonché alla sopravvivenza della popolazione, così come il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli, o ancora il pregiudizio agli interessi militari, possono ledere la pubblica sicurezza (21). Interpretato in tal modo, il pericolo per la sicurezza di uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95, si distingue dal pericolo per la comunità di uno Stato membro, previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva, che riguarda piuttosto la salvaguardia dell’ordine pubblico dello Stato membro interessato (22).

67.      L’interpretazione consistente nell’esigere che l’autorità competente non si limiti a prendere atto di una passata condanna per poter revocare lo status di rifugiato in applicazione di tale disposizione è avvalorata, a mio avviso, dalla necessità di adottare un’interpretazione restrittiva di detta disposizione, tenuto conto dello scopo della direttiva 2011/95.

68.      Infatti, come si legge nel suo considerando 12, lo scopo di tale direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

69.      Lo status di rifugiato deve essere concesso a una persona quando quest’ultima soddisfa i requisiti minimi stabiliti dal diritto dell’Unione. Infatti, ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2011/95, gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità ai capi II e III di tale direttiva.

70.      Orbene, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 prevede una causa di revoca dello status di rifugiato, che costituisce un’eccezione alla regola generale stabilita all’articolo 13 di tale direttiva e che ha l’effetto di limitare i diritti e i benefici previsti al capo VII di quest’ultima. Tale causa di revoca deve quindi, a mio avviso, essere interpretata restrittivamente, il che significa che essa può essere applicata soltanto qualora l’autorità competente dimostri, da un lato, che il cittadino interessato di un paese terzo è stato condannato in via definitiva per un reato di particolare gravità e, dall’altro, che tale cittadino costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

71.      Una simile interpretazione mi sembra inoltre coerente con quella adottata riguardo all’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, il quale dispone segnatamente che il principio di non respingimento non può essere invocato da un rifugiato che «costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività [del paese in cui risiede]». A questo proposito osservo che, sebbene tale disposizione abbia un oggetto diverso, poiché prevede eccezioni al divieto di respingimenti, è assodato che essa sia stata la fonte dei motivi di revoca dello status di rifugiato menzionati dal legislatore dell’Unione all’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95. Mi sembra quindi opportuno tenere conto dell’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, di tale convenzione che costituisce, come risulta dai considerando 4, 23 e 24 della direttiva 2011/95, la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati (23).

72.      Più in generale, ritengo che, poiché le ipotesi previste all’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95, nelle quali gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, corrispondono, in sostanza, a quelle in cui gli Stati membri possono procedere al respingimento di un rifugiato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di tale direttiva e dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, i motivi menzionati in tali disposizioni debbano essere interpretati nello stesso modo.

73.      Orbene, dato che l’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra sembra privilegiare l’esistenza delle due condizioni costituite, da un lato, da una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e, dall’altro, dalla sussistenza di un pericolo per la comunità del paese in cui si trova il rifugiato interessato (24), ciò rafforza la mia convinzione che i corrispondenti motivi previsti sia all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, sia all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva esigano parimenti il soddisfacimento di tali due condizioni cumulative.

74.      Da quanto precede, a mio avviso, risulta che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che il motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da tale disposizione può essere applicato da uno Stato membro soltanto qualora quest’ultimo dimostri, da un lato, che l’interessato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, che tale persona costituisce un pericolo per la comunità di detto Stato membro.

75.      Occorre adesso precisare le caratteristiche che deve presentare un simile pericolo.

3.      Sulle caratteristiche del pericolo per la comunità

76.      Con la sua seconda questione nella causa C‑8/22, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che la revoca dello status di rifugiato, fondata su tale disposizione, è subordinata alla sussistenza di un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità di tale Stato membro.

77.      Nel chiedere alla Corte se il pericolo per la comunità menzionato all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva debba essere reale, attuale e sufficientemente grave, detto giudice si domanda se occorra trasporre alla citata disposizione il criterio stabilito dalla Corte nella sua giurisprudenza relativa alle minacce per l’ordine pubblico.

78.      Viene menzionata, in particolare, la giurisprudenza con la quale la Corte ha stabilito, in materia di libera circolazione dei cittadini dell’Unione, un criterio in base al quale un cittadino dell’Unione, che si sia avvalso del suo diritto alla libera circolazione, può essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico soltanto se il suo comportamento personale costituisce una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della società (25), criterio in seguito codificato nel diritto derivato (26). Tale criterio è stato applicato anche a cittadini di paesi terzi non familiari di cittadini dell’Unione. Infatti esso è stato applicato, più volte, a beneficiari di diritti conferiti da accordi di associazione (27), poi, in una certa misura, ai soggiornanti di lungo periodo (28), nonché per ammettere che non sia concesso un termine per la partenza volontaria in un procedimento di rimpatrio (29), che un permesso di soggiorno rilasciato a un rifugiato possa essere revocato (30), che un richiedente asilo sia posto in stato di trattenimento amministrativo (31), che sia imposto un divieto d’ingresso a integrazione di una decisione di rimpatrio (32) o per giustificare l’esecuzione della custodia in un istituto penitenziario ai fini dell’allontanamento (33).

79.      Per contro, il criterio relativo alla sussistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per uno degli interessi fondamentali della società è stato escluso in altri contesti, segnatamente per quanto riguarda il diniego di visti agli studenti (34).

80.      È stato infatti dichiarato che non ogni riferimento, da parte del legislatore dell’Unione, alla nozione di «minaccia per l’ordine pubblico» deve necessariamente essere inteso nel senso che esso rinvii esclusivamente a un comportamento individuale che rappresenta una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato, e che è necessario tenere conto dei termini delle disposizioni di cui trattasi, del loro contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esse fanno parte (35).

81.      Da tale breve descrizione della giurisprudenza della Corte in materia di minaccia per l’ordine pubblico risulta che quest’ultima adotta orientamenti che possono essere diversi a seconda delle norme del diritto dell’Unione che essa è chiamata ad interpretare, tenendo conto ogni volta del testo delle disposizioni di cui trattasi, del contesto in cui esse si collocano e dello scopo della normativa in cui esse si inseriscono. È quindi tenendo conto della particolare formulazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, del contesto in cui si colloca tale disposizione e dello scopo di detta direttiva che, a mio avviso, occorre definire le caratteristiche del pericolo per la comunità ivi menzionato. Osservo inoltre che, sebbene la prossimità fra i due tipi di minaccia costituiti, da un lato, dalla minaccia per l’ordine pubblico di uno Stato membro e, dall’altro, da una minaccia per la comunità di tale Stato membro consenta certamente un raffronto dei criteri che permettono di qualificare una simile minaccia, ciò non sostituisce un esame specifico dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva mediante un’interpretazione letterale, contestuale e teleologica.

82.      A questo proposito, dal testo dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 risulta che il pericolo per la comunità menzionato da tale disposizione deve essere reale. Detta disposizione enuncia, infatti, che la persona in questione «costituisce» un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova. Ciò detto, come osserva giustamente la Commissione, il requisito che tale pericolo sia reale non implica che si debba avere la certezza della sua realizzazione futura.

83.      Inoltre, il contesto nel quale si colloca l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 e l’effetto utile della condizione che la persona in questione costituisca un pericolo per la comunità implicano, a mio avviso, che debba trattarsi di un pericolo attuale.

84.      Per quanto riguarda il contesto in cui si colloca tale disposizione, rilevo che la Corte ha già dichiarato che, nell’economia della direttiva 2004/83, il pericolo attuale che un rifugiato può eventualmente rappresentare per lo Stato membro di cui trattasi è preso in considerazione non già nell’ambito dell’articolo 12, paragrafo 2, bensì in quello, da un lato, dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), in base al quale uno Stato membro può revocare lo status riconosciuto a un rifugiato, in particolare, quando vi sono fondati motivi per ritenerlo una minaccia per la sicurezza di tale Stato membro e, dall’altro, in quello dell’articolo 21, paragrafo 2, il quale prevede che uno Stato membro di accoglienza possa, come autorizzato anche dall’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, respingere un rifugiato quando vi siano fondati motivi per considerare che egli costituisca una minaccia per la sicurezza o la comunità di tale Stato membro (36).

85.      Orbene, a mio avviso non vi è alcun motivo per ritenere che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 si distingua, nell’economia di tale direttiva, dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e dall’articolo 21, paragrafo 2, di quest’ultima – i quali, va precisato, sono identici alle corrispondenti disposizioni della direttiva 2004/83 – quanto al requisito che l’interessato costituisca un pericolo attuale per lo Stato membro in cui si trova. Adottare una diversa interpretazione comporterebbe un’incoerenza nell’interpretazione di tali diverse disposizioni.

86.      Ritengo, inoltre, che, poiché una condanna per un reato di particolare gravità attesta di per sé che il rifugiato ha causato una turbativa particolarmente grave alla società, che ha reso necessario sanzionare penalmente la condotta che ha dato origine a tale turbativa, la menzione della sussistenza di un pericolo per la comunità all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 debba avere una propria utilità, a meno di non apparire ridondante.

87.      L’effetto utile della menzione del fatto che l’interessato costituisca un pericolo per la comunità è quindi quello di obbligare l’autorità competente a dimostrare che, nel momento in cui essa intende revocare lo status di rifugiato, una persona condannata in passato per un reato di particolare gravità costituisce ancora, successivamente alla sua condanna, un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

88.      Da quanto precede deriva che l’interessato da un procedimento di revoca dello status di rifugiato deve costituire un pericolo attuale, per la comunità dello Stato membro in cui si trova, nel momento in cui l’autorità competente è chiamata ad adottare la propria decisione.

89.      Inoltre, il grado di particolare gravità richiesto ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 per quanto riguarda la condanna per un reato ha come conseguenza logica, a mio avviso, che il pericolo per la comunità connesso a tale condanna deve essere anch’esso tanto grave, nel momento in cui viene adottata la decisione di revoca dello status di rifugiato, da giustificare una simile revoca.

90.      L’applicazione del criterio relativo a una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nell’ambito dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 mi sembra giustificata in considerazione del carattere derogatorio di tale disposizione rispetto alla norma sul riconoscimento dello status di rifugiato prevista all’articolo 13 di tale direttiva. Tale carattere derogatorio implica, come ho già osservato, un’interpretazione restrittiva dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva, che è tanto più giustificata in quanto lo scopo di quest’ultima non è quello di prevenire le minacce per la sicurezza, l’ordine pubblico o la comunità degli Stati membri, bensì quello menzionato al suo considerando 12 (37).

91.      A mio avviso, l’applicazione di tale criterio può anche desumersi da quanto ha dichiarato la Corte nella sentenza T. a proposito della revoca del permesso di soggiorno rilasciato ai beneficiari dello status di rifugiato, per motivi imperativi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Infatti, la Corte ha direttamente applicato, nel contesto dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, il criterio risultante dalla sua giurisprudenza relativa alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione (38). A tale riguardo, la Corte ha considerato che, anche se la direttiva 2004/38 persegue obiettivi diversi da quelli perseguiti dalla direttiva 2004/83, e se è vero che gli Stati membri restano liberi di determinare, conformemente alle loro necessità nazionali – che possono variare da uno Stato membro all’altro e da un’epoca all’altra –, le prescrizioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, resta il fatto che la portata della protezione che una comunità intende accordare ai suoi interessi fondamentali non può variare a seconda dello status giuridico della persona che lede tali interessi (39).

92.      In tale sentenza, la Corte ha stabilito una gradazione tra le misure di cui un rifugiato può essere oggetto, a seconda che le loro conseguenze siano più o meno gravi per lui. Infatti, il respingimento di un rifugiato, le cui conseguenze possono essere estremamente drastiche (40), costituisce l’estrema ratio alla quale uno Stato membro può ricorrere quando nessun’altra misura è possibile o sufficiente per affrontare il pericolo al quale tale rifugiato espone la sicurezza o la comunità di tale Stato membro (41). La revoca del permesso di soggiorno a causa di una minaccia per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, ha invece conseguenze meno gravi della revoca dello status di rifugiato o della misura estrema costituita dal respingimento (42). Tale gradazione spiega il fatto che, secondo la Corte, talune circostanze che non presentano il grado di gravità che autorizza uno Stato membro ad adottare, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, di detta direttiva, una decisione di respingimento possono tuttavia consentire a tale Stato membro di privare il rifugiato di cui trattasi del suo permesso di soggiorno sul fondamento dell’articolo 24, paragrafo 1, della medesima direttiva (43).

93.      Sebbene vi siano differenze di formulazione tra quest’ultima disposizione e l’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, il quale enuncia criteri simili a quelli utilizzati all’articolo 14, paragrafo 4, di tale direttiva (44), tendo a ritenere che, secondo logica, se una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società è richiesta per poter adottare la misura dalle conseguenze meno gravi consistente nel privare il rifugiato del suo permesso di soggiorno ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, di detta direttiva, queste stesse caratteristiche della minaccia dovrebbero essere richieste a maggior ragione ai fini dell’adozione di decisioni aventi conseguenze più gravi e che consistono nel revocare lo status di rifugiato o nel respingere l’interessato.

94.      Al fine di determinare se una persona costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità dello Stato membro interessato, occorre tenere conto di qualsiasi elemento di fatto o di diritto relativo alla situazione del rifugiato che consenta di stabilire se il comportamento personale di quest’ultimo costituisca una simile minaccia. Di conseguenza, nel caso di un rifugiato che ha subito una condanna penale, rientrano nel novero degli elementi rilevanti a tale riguardo la natura e la gravità del fatto commesso nonché il tempo trascorso dalla sua commissione (45). Ritengo quindi che occorra prendere in considerazione, oltre alla valutazione effettuata dal giudice penale, che costituisce ovviamente un elemento determinante per misurare la pericolosità dell’interessato, il comportamento di quest’ultima durante il periodo compreso tra la condanna penale e il momento in cui viene valutata la sussistenza di una minaccia per la comunità. A tale riguardo, occorre tener conto del periodo di tempo più o meno lungo trascorso dalla pronuncia di tale condanna, del rischio di recidiva e degli sforzi di reinserimento compiuti da detta persona (46). A mio avviso, quando il comportamento del rifugiato dimostra che egli persiste in un atteggiamento che rivela una propensione a commettere altri atti idonei a ledere gravemente gli interessi fondamentali della società, la sussistenza di una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità può essere constatata.

95.      Occorre inoltre precisare che spetta all’autorità competente che intende revocare lo status di rifugiato dimostrare che le condizioni previste all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 siano soddisfatte. Sebbene la formulazione di tale paragrafo sia, a questo proposito, meno esplicita di quella dei paragrafi 2 e 3 di detto articolo, i quali impongono agli Stati membri, rispettivamente, di dimostrare o di stabilire che le condizioni da essi previste siano soddisfatte, non vedo alcun motivo per adottare una posizione diversa (47). Non spetta dunque al rifugiato dimostrare che il suo status non debba essere revocato.

96.      Inoltre, non condivido la soluzione delineata attraverso la terza questione pregiudiziale nella causa C‑8/22, che consisterebbe nel ritenere che la sussistenza di un pericolo per la società possa essere presunta una volta accertato che l’interessato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità. Infatti, sebbene, come ho spiegato in precedenza, esista, nella logica insita nel motivo di revoca previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, un nesso tra una condanna definitiva per un reato di particolare gravità e la sussistenza di un pericolo per la comunità, spetta all’autorità competente dimostrare in ciascun caso se, in funzione delle circostanze individuali e, in particolare, del decorso del tempo successivamente a tale condanna nonché del comportamento adottato dal rifugiato durante tale periodo, detta condanna costituisca ancora, nel momento in cui la decisione di revoca è adottata, un elemento determinante per accertare la sussistenza di un simile pericolo. In questo contesto, devono essere rispettate le norme procedurali di cui all’articolo 45 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (48), consentendo in particolare all’interessato di contestare i motivi per i quali l’autorità competente ritiene che occorra revocargli lo status di rifugiato.

97.      Da quanto precede, a mio avviso, risulta che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che il motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da tale disposizione può essere applicato da uno Stato membro soltanto qualora quest’ultimo dimostri che l’interessato costituisce un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità di tale Stato membro.

4.      Sullapplicazione del principio di proporzionalità

98.      La prima questione nella causa C‑663/21 e la seconda questione nella causa C‑8/22 mirano a stabilire se l’applicazione del motivo di revoca dello status di rifugiato previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 sia soggetta al rispetto del principio di proporzionalità.

99.      Più precisamente, il giudice del rinvio nella causa C‑663/21 chiede, in sostanza, se detta disposizione debba essere interpretata nel senso che essa consente di revocare lo status di rifugiato riconosciuto al cittadino di un paese terzo soltanto se l’interesse pubblico al ritorno di tale cittadino nel suo paese d’origine prevalga sull’interesse di detto cittadino al mantenimento della protezione internazionale, tenendo conto della portata e della natura delle misure che quest’ultimo rischia vengano adottate a suo carico. Dalla decisione di rinvio risulta che, nel fare riferimento alle misure che l’interessato rischia vengano adottate a suo carico, il giudice del rinvio intende in particolare prendere in considerazione le conseguenze, per tale persona, di un eventuale ritorno nel suo paese d’origine.

100. Al fine di rispondere a tali questioni, osservo anzitutto che, per quanto riguarda le modalità dell’esame che può condurre l’autorità competente a constatare la sussistenza di una causa di esclusione o di revoca della protezione internazionale, la Corte ha recentemente dichiarato, a proposito dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), e dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, che l’applicazione di ciascuna di dette disposizioni presuppone che l’autorità competente proceda, per ciascun caso individuale, a una valutazione degli specifici fatti di cui essa è a conoscenza, al fine di stabilire se vi siano fondati motivi di ritenere che la situazione dell’interessato, il quale soddisfa peraltro i criteri per ottenere o conservare la protezione internazionale, rientri in uno dei casi contemplati dalle summenzionate disposizioni (49).

101. Secondo la Corte, tale valutazione costituisce una parte integrante del procedimento di protezione internazionale, da svolgersi in conformità alle direttive 2011/95 e 2013/32 (50). Incombe unicamente all’autorità accertante (51) procedere, sotto il controllo dei giudici, alla valutazione dell’insieme dei fatti e delle circostanze rilevanti, ivi compresi quelli che si correlano all’applicazione degli articoli 14 e 17 della direttiva 2011/95, valutazione a seguito della quale detta autorità emetterà la propria decisione (52).

102. La Corte ha quindi escluso qualsiasi automaticità nonché qualsiasi dipendenza nei confronti di un’altra autorità quando l’autorità accertante è chiamata ad adottare una decisione (53). Tale autorità deve, al contrario, disporre di tutte le informazioni rilevanti e procedere, alla luce di tali informazioni, alla propria valutazione dei fatti e delle circostanze, al fine di determinare il senso della propria decisione nonché di motivare quest’ultima in maniera completa (54).

103. A questo proposito, la Corte ha evidenziato che, come risulta dai termini dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95, l’autorità competente deve disporre di un margine di discrezionalità per decidere se considerazioni attinenti alla sicurezza nazionale dello Stato membro di cui trattasi debbano o meno dar luogo alla revoca dello status di rifugiato, ciò che esclude che la constatazione dell’esistenza di un pericolo per tale sicurezza nazionale implichi automaticamente detta revoca (55).

104. A mio avviso, le considerazioni che precedono sono trasponibili all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva. Pertanto, l’autorità competente deve disporre di un margine di discrezionalità anche per decidere se la sussistenza di un pericolo per la comunità debba o meno dar luogo alla revoca dello status di rifugiato.

105. Così come l’autorità accertante, alla luce delle proprie funzioni, deve godere di una libertà di valutazione quanto alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza nazionale, senza essere obbligata a fondarsi su un parere non motivato emesso da organi incaricati di funzioni specializzate attinenti alla sicurezza nazionale (56), l’autorità che revoca lo status di rifugiato deve poter valutare liberamente se un rifugiato che è stato condannato per un reato di particolare gravità costituisca un pericolo per la comunità, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95.

106. A questo proposito, rilevo che tale disposizione dispone che gli Stati membri hanno soltanto la facoltà di revocare lo status di rifugiato. Per analogia con quanto la Corte ha dichiarato a proposito dell’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2004/83, riguardante la facoltà di respingere un rifugiato, occorre considerare che, anche qualora le condizioni di cui all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 siano soddisfatte, la revoca dello status di rifugiato costituisca soltanto una facoltà lasciata alla discrezione degli Stati membri, che sono liberi di scegliere altre opzioni meno rigorose (57). Tale disposizione si distingue quindi dall’articolo 12 di detta direttiva, che prevede motivi obbligatori di esclusione dallo status di rifugiato.

107. Esercitando la facoltà concessa loro dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione, il che implica che tale facoltà non può essere esercitata da questi ultimi in modo tale da pregiudicare l’obiettivo e l’efficacia pratica di detta direttiva e che l’applicazione del motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da detta disposizione deve avvenire nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta (58). Del resto, il considerando 16 della citata direttiva enuncia che quest’ultima rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti nella Carta (59). La Corte ha d’altronde dichiarato che l’applicazione dell’articolo 14, paragrafi da 4 a 6, di detta direttiva non incide sull’obbligo, per lo Stato membro interessato, di rispettare le disposizioni pertinenti della Carta, quali quelle contenute nel suo articolo 7, relativo al rispetto della vita privata e della vita familiare, nel suo articolo 15, relativo alla libertà professionale e al diritto di lavorare, nel suo articolo 34, relativo alla previdenza sociale e all’assistenza sociale, nonché nel suo articolo 35, relativo alla protezione della salute (60).

108. Peraltro, l’attuazione del motivo di revoca dello status di rifugiato previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve rispettare il principio di proporzionalità, il che implica, in particolare, che essa deve essere idonea a realizzare l’obiettivo perseguito da tale disposizione e non deve eccedere quanto necessario per conseguire tale obiettivo (61). A questo proposito, occorre ricordare che il rispetto del principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, si impone agli Stati membri nell’attuazione di tale diritto (62).

109. Il principio di proporzionalità pervade in realtà l’intero procedimento che può portare uno Stato membro a revocare lo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95: anzitutto, nel momento della verifica della particolare gravità del reato oggetto della condanna penale, poi, in sede di valutazione dell’eventuale sussistenza di un pericolo sufficientemente grave per la comunità e, infine, all’atto di decidere se non debba essere preferita una misura meno rigorosa della revoca dello status di rifugiato, tenuto conto del carattere facoltativo di quest’ultima.

110. Per quanto riguarda quest’ultima fase di valutazione, ritengo che occorra discostarsi, in materia di revoca dello status di rifugiato, da quanto la Corte ha dichiarato a proposito dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) o c), della direttiva 2004/83, in materia di esclusione dallo status di rifugiato, vale a dire, in sostanza, che l’autorità competente non deve procedere ad un esame di proporzionalità supplementare alla luce del caso di specie qualora essa dimostri che le condizioni previste da tali disposizioni sono soddisfatte (63). Infatti, come ho sottolineato in precedenza, dette disposizioni prevedono motivi di esclusione che sono obbligatori e ai quali non è quindi possibile derogare (64), il che li distingue dai motivi facoltativi di revoca previsti all’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95.

111. Per quanto riguarda la questione se non debba essere preferita una misura meno rigorosa della revoca dello status di rifugiato, tenuto conto del carattere facoltativo di quest’ultima, la valutazione da effettuare implica, a mio avviso, un bilanciamento tra interessi che devono essere accuratamente definiti.

112. Dal punto di vista di uno Stato membro, la facoltà di revocare lo status di rifugiato ha lo scopo di proteggere la sua comunità dal pericolo che un rifugiato rappresenta per quest’ultima, prevedendo l’adozione di una misura che può aggiungersi a una condanna penale per un reato di particolare gravità.

113. Una volta che la persona a cui viene revocato lo status di rifugiato non può, a causa del principio di non respingimento (65), essere allontanata dal territorio dello Stato membro in cui si trova, l’efficacia di una decisione di revoca di tale status al fine di neutralizzare il pericolo che detta persona rappresenta per la comunità di tale Stato membro può essere legittimamente messa in discussione. Ciò posto, la facoltà di revocare lo status di rifugiato può avere una funzione al contempo deterrente e sanzionatoria. In tale ottica, la facoltà per uno Stato membro di revocare lo status di rifugiato offre a quest’ultimo la possibilità di trarre le conseguenze di una violazione dell’obbligo incombente all’interessato di rispettare le leggi e i regolamenti nonché le misure adottate per il mantenimento dell’ordine pubblico. Nello spirito di quanto previsto dall’articolo 2 (66) e dall’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra, mi sembra legittimo prevedere, a livello dell’Unione, che il beneficio dello status di rifugiato, con i vantaggi e i diritti che ne derivano, abbia come contropartita il rispetto della sicurezza e dell’ordine pubblico dello Stato membro che ha concesso la protezione internazionale.

114. Dal punto di vista della persona oggetto di un procedimento di revoca dello status di rifugiato, ricordo che quest’ultima ha come conseguenza il fatto che tale persona, sebbene non sia privata della sua qualità di rifugiato e continui quindi a godere, conformemente a quanto previsto all’articolo 14, paragrafo 6, della direttiva 2011/95, di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra (67), non disporrà più di tutti i diritti e i benefici enunciati nel capo VII di tale direttiva (68). Essa sarà privata, in particolare, del permesso di soggiorno che l’articolo 24 di detta direttiva collega allo status di rifugiato (69). Di conseguenza, a mio avviso, il secondo termine del bilanciamento da effettuare è costituito dall’interesse della persona in questione, alla luce della sua situazione personale e familiare, a mantenere detti diritti e benefici.

115. Pertanto, poiché l’interesse in gioco, per effetto dell’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, qualora venga stabilito che l’interessato non può essere respinto, è il mantenimento dei diritti e dei benefici previsti al capo VII di tale direttiva, l’autorità competente deve verificare se sia proporzionato, alla luce del grado di pericolo per la comunità che l’interessato rappresenta e della sua situazione personale e familiare, privare quest’ultimo dello status di rifugiato.

116. In tale prospettiva, detta autorità deve tenere conto del fatto che la privazione dei diritti e dei benefici connessi allo status di rifugiato può essere idonea, a causa della precarietà della situazione dell’interessato a cui può dare luogo, a incoraggiare ulteriori comportamenti delinquenziali una volta scontata la pena, il che potrebbe contribuire a far perdurare il pericolo per la comunità anziché a neutralizzarlo. Tale constatazione depone a favore di un’applicazione limitata allo stretto necessario della facoltà di revoca dello status di rifugiato offerta dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, affinché il rimedio non sia peggiore del male.

117. Di conseguenza, nell’ambito del margine di discrezionalità conferitogli da tale disposizione, uno Stato membro potrà decidere non solo di revocare o meno lo status di rifugiato dell’interessato, ma anche di concedere a un rifugiato, a cui intenda revocare lo status, diritti ulteriori rispetto al livello minimo previsto all’articolo 14, paragrafo 6, di tale direttiva (70). Come ho già rilevato, l’esercizio da parte di uno Stato membro della facoltà offertagli dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di detta direttiva deve, in particolare, dare luogo ad una valutazione caso per caso della compatibilità di tale esercizio con taluni diritti fondamentali garantiti dalla Carta (71).

118. Per contro, nella misura in cui il principio di non respingimento si applica all’interessato, mi sembra poco rilevante prendere in considerazione, al fine di decidere se revocare o meno lo status di rifugiato, i rischi che correrebbe da tale persona in caso di ritorno nel suo paese d’origine. Il principio di proporzionalità non impone dunque, a mio avviso, che l’autorità competente tenga conto di tali rischi nell’ambito del bilanciamento che è tenuta ad effettuare.

119. Tenuto conto di tali elementi, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nella causa C‑663/21 e alla seconda questione pregiudiziale nella causa C‑8/22 dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, quando esercita la facoltà di revoca dello status di rifugiato prevista da tale disposizione, deve rispettare i diritti fondamentali garantiti dalla Carta nonché il principio di proporzionalità. Di conseguenza, prima di decidere di revocare lo status di rifugiato ai sensi di detta disposizione, tale Stato membro deve bilanciare, da un lato, l’interesse a proteggere la propria comunità e, dall’altro, l’interesse della persona di cui trattasi a mantenere il suo status di rifugiato tenuto conto delle conseguenze che la revoca di tale status potrebbe avere, in particolare, sulla sua situazione personale e familiare. Tuttavia, qualora il respingimento di un rifugiato sia impossibile in quanto farebbe correre a quest’ultimo il rischio che siano violati i suoi diritti fondamentali sanciti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 non impone che la revoca dello status di rifugiato sia subordinata ad un bilanciamento tra l’interesse dello Stato membro di cui trattasi a proteggere la propria comunità e i rischi corsi da tale rifugiato in caso di ritorno nel suo paese d’origine.

B.      Sulla possibilità di adottare una decisione di rimpatrio in caso di applicazione del principio di non respingimento

120. Con la sua seconda questione nella causa C‑663/21, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115 debba essere interpretata nel senso che essa osta a che una decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti del cittadino di un paese terzo il cui status di rifugiato sia stato revocato, qualora venga accertato che un allontanamento di tale cittadino è escluso per un periodo di durata indeterminata a causa del principio di non respingimento.

121. L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 prevede che gli Stati membri adottino una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5 di tale articolo.

122. L’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva dispone che gli Stati membri adottano tutte le misure necessarie per eseguire la decisione di rimpatrio qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria o in caso di mancato adempimento dell’obbligo di rimpatrio entro tale periodo concesso.

123. L’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva stabilisce che gli Stati membri rinviano l’allontanamento qualora violi il divieto di respingimenti.

124. Più in generale, l’articolo 5 della direttiva 2008/115 obbliga d’altronde gli Stati membri a rispettare il divieto di respingimenti nell’applicazione di tale direttiva. Su un piano pratico, l’articolo 14 di detta direttiva stabilisce una serie di garanzie in attesa del rimpatrio, che vanno a beneficio segnatamente dei cittadini di paesi terzi il cui allontanamento è stato rinviato e che offrono loro una forma di status minimo durante il periodo coperto da tale rinvio.

125. Come ha giustamente rilevato il giudice del rinvio, qualora, per un periodo di durata indeterminata, il cittadino di un paese terzo non possa essere espulso, una decisione di rimpatrio adottata nei suoi confronti sarebbe, per così dire, priva di qualsiasi efficacia dal momento della sua adozione e fino a nuovo ordine, il che spiega i dubbi espressi da tale giudice quanto alla possibilità di adottare una simile decisione.

126. Al fine di sostenere la tesi secondo cui, nella suddetta situazione, una decisione di rimpatrio dovrebbe comunque essere adottata, i partecipanti al procedimento nella causa C‑663/21 citano la sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (72), nella quale la Corte ha dichiarato che uno Stato membro, che decida di non rilasciare un permesso di soggiorno al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, è tenuto ad adottare una decisione di rimpatrio, anche qualora nei confronti di tale cittadino di un paese terzo si applichi il principio di non respingimento. Tale circostanza giustificherebbe soltanto il rinvio del suo allontanamento, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, e occorrerebbe evitare l’esistenza di uno «status intermedio» di cittadini di paesi terzi che si trovino sul territorio di uno Stato membro senza alcun diritto o permesso di soggiorno e, se del caso, siano soggetti a un divieto d’ingresso, ma nei confronti dei quali non sussista alcuna valida decisione di rimpatrio (73). Tuttavia, occorre sottolineare che detta sentenza riguardava una situazione particolare, nella quale il problema centrale consisteva nel fatto che un cittadino di paesi terzi era oggetto di un divieto d’ingresso, mentre la decisione di rimpatrio adottata nei suoi confronti, che tale divieto era destinato ad accompagnare, era stata revocata. Il ragionamento della Corte è svolto riguardo a tale situazione, che è diversa da quella di cui trattasi nella causa C‑663/21.

127. Peraltro, sebbene la direttiva 2008/115 miri, nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli interessati, all’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (74), la Corte ha escluso l’adozione di una decisione di rimpatrio in talune circostanze.

128. Infatti, la Corte ha precisato che il diritto alla vita familiare potrebbe ostare, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/115, all’adozione stessa di una decisione di rimpatrio, anziché alla sua esecuzione (75).

129. Inoltre, nel caso specifico dei minori non accompagnati, la Corte ha giudicato che l’adozione di una decisione di rimpatrio doveva essere esclusa sulla base di elementi idonei ad ostare all’allontanamento di un minore (76).

130. Ancora, nel caso di cittadini di paesi terzi che godano di protezione internazionale in un altro Stato membro, la Corte ha ritenuto che, in assenza di qualsiasi possibilità di designare un paese terzo verso il quale avrebbe potuto essere effettuato un allontanamento, non poteva essere adottata alcuna decisione di rimpatrio (77).

131. Precisati tali elementi, al fine di rispondere direttamente alla seconda questione posta dal giudice del rinvio nella causa C‑663/21, occorre fare riferimento alla più recente giurisprudenza della Corte.

132. A mio avviso, la Corte, nella sua sentenza del 22 novembre 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (78), ha risolto il problema sollevato da tale giudice.

133. Infatti, la Corte ha ricordato che il cittadino di un paese terzo, una volta che rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, deve, in linea di principio, essere assoggettato alle norme e alle procedure comuni da essa previste ai fini del suo rimpatrio, e ciò fintantoché il suo soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato (79).

134. Sotto tale profilo, da un lato, dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 risulta che, una volta accertato il carattere irregolare del soggiorno, qualsiasi cittadino di un paese terzo, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5 dello stesso articolo e nella rigorosa osservanza dei requisiti stabiliti all’articolo 5 della stessa direttiva, deve essere oggetto di una decisione di rimpatrio, la quale deve individuare, tra i paesi terzi di cui all’articolo 3, punto 3, di detta direttiva, quello verso il quale deve essere allontanato il cittadino di un paese terzo (80). Dall’altro lato, uno Stato membro non può procedere all’allontanamento del cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, in forza dell’articolo 8 della direttiva 2008/115, senza che sia stata previamente adottata, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali che tale direttiva istituisce, una decisione di rimpatrio nei confronti di tale cittadino (81).

135. Tuttavia, la Corte ha inoltre precisato che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, che costituisce una norma generale che si impone agli Stati membri dal momento in cui essi attuano tale direttiva, obbliga l’autorità nazionale competente a rispettare, in tutte le fasi della procedura di rimpatrio, il divieto di respingimenti, garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Ciò vale, in particolare, quando tale autorità, dopo aver ascoltato l’interessato, intende adottare una decisione di rimpatrio nei suoi confronti (82).

136. La Corte ne ha dedotto che l’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta a che il cittadino di un paese terzo sia oggetto di una decisione di rimpatrio allorché tale decisione prende in considerazione, come paese di destinazione, un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che, se fosse data esecuzione a siffatta decisione, tale cittadino sarebbe esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (83).

137. A questo proposito la Corte ha ricordato che, in forza di quest’ultima disposizione, nessuno può essere allontanato verso uno Stato in cui esiste un serio rischio che egli sia sottoposto non solo alla pena di morte, ma anche alla tortura o a trattamenti disumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta. Il divieto di pene o di trattamenti disumani o degradanti, previsto da tale articolo, ha carattere assoluto in quanto è strettamente connesso al rispetto della dignità umana, di cui all’articolo 1 della Carta (84).

138. Secondo la Corte, ne consegue che, qualora vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che il cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare, possa essere esposto, in caso di rimpatrio in un paese terzo, a un rischio reale di trattamento disumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 1 della stessa, e dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, detto cittadino non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio in tale paese fintanto che persista detto rischio (85). Allo stesso modo, detto cittadino non può essere oggetto di una misura di allontanamento nel corso di tale periodo, come prevede peraltro espressamente l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 (86).

139. Pertanto, ritengo che dalla sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) risulti chiaramente che l’articolo 5 della direttiva 2008/115, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che una decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti del cittadino di un paese terzo il cui status di rifugiato sia stato revocato, qualora venga accertato che un allontanamento di tale cittadino è escluso per un periodo di durata indeterminata a causa del principio di non respingimento.

IV.    Conclusione

140. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria), nella causa C‑663/21 e dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), nella causa C‑8/22, nel modo seguente:

1)      L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

deve essere interpretato nel senso che:

–        il motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da tale disposizione può essere applicato da uno Stato membro soltanto qualora quest’ultimo dimostri, da un lato, che l’interessato è stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, che tale persona costituisce un pericolo per la comunità di detto Stato membro;

–        il motivo di revoca dello status di rifugiato previsto da detta disposizione può essere applicato da uno Stato membro soltanto qualora quest’ultimo dimostri che l’interessato costituisce un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità di tale Stato membro, e

–        uno Stato membro, quando esercita la facoltà di revoca dello status di rifugiato prevista all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, deve rispettare i diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché il principio di proporzionalità. Di conseguenza, prima di decidere di revocare lo status di rifugiato ai sensi di detta disposizione, tale Stato membro deve bilanciare, da un lato, l’interesse a proteggere la propria comunità e, dall’altro, l’interesse della persona di cui trattasi a mantenere il suo status di rifugiato tenuto conto delle conseguenze che la revoca di tale status potrebbe avere, in particolare, sulla sua situazione personale e familiare. Tuttavia, qualora il respingimento di un rifugiato sia impossibile in quanto farebbe correre a quest’ultimo il rischio che siano violati i suoi diritti fondamentali sanciti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 non impone che la revoca dello status di rifugiato sia subordinata ad un bilanciamento tra l’interesse dello Stato membro di cui trattasi a proteggere la propria comunità e i rischi corsi da tale rifugiato in caso di ritorno nel suo paese d’origine.

2)      L’articolo 5 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con gli articoli 1 e 4 della Carta dei diritti fondamentali nonché con l’articolo 19, paragrafo 2, di quest’ultima,

deve essere interpretato nel senso che:

esso osta a che una decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti del cittadino di un paese terzo il cui status di rifugiato sia stato revocato, qualora venga accertato che un allontanamento di tale cittadino è escluso per un periodo di durata indeterminata a causa del principio di non respingimento.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2011, L 337, pag. 9. Tale direttiva costituisce la rifusione della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).


3      Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.


4      Concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967. V. Janku, L., «(In)Compatibility of Article 14 (4) and (6) of the Qualification Directive with the 1951 Refugee Convention», discorso pronunciato in occasione del Nordic Asylum Law Seminar del 29 e 30 maggio 2017, e disponibile al seguente indirizzo Internet: http://mhi.hi.is/sites/mhi.hi.is/files/nalsfiles/4/nals_paper_janku.pdf.


5      C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17; in prosieguo: la «sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato)», EU:C:2019:403.


6      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 97).


7      GU 2008, L 348, pag. 98.


8      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 93).


9      Firmata a Roma il 4 novembre 1950.


10      L’Ufficio cita, in particolare, la sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato, da un lato, che l’esclusione dallo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) o c), della direttiva 2004/83 non è subordinata alla circostanza che l’interessato rappresenti un pericolo concreto per lo Stato membro di accoglienza (punto 105) e, dall’altro, che una simile esclusione non è subordinata ad un esame di proporzionalità alla luce del caso di specie (punto 111).


11      C‑546/19, EU:C:2021:432.


12      Mentre la decisione di rinvio contiene pochissimi dettagli sui fatti oggetto del procedimento principale, il governo belga afferma che XXX è stato condannato, in sostanza, per concorso in rapina e per omicidio doloso.


13      Si tratterà, in particolare, di determinare se i requisiti e i parametri da prendere in considerazione per concludere che una persona abbia commesso un «reato grave», ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, siano ugualmente rilevanti per decidere se una persona abbia commesso un «reato di particolare gravità», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva. V., sull’interpretazione dell’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713).


14      V., in particolare, relazione della Commissione intitolata «Evaluation of the application of the recast Qualification Directive (2011/95/EU)», 2019, pag. 135, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.statewatch.org/media/documents/news/2019/feb/eu-ceas-qualification-directive-application-evaluation-1-19.pdf.


15      V., in tal senso, Kraft, I., «Article 14, Revocation of, ending of or refusal to renew refugee status», in Hailbronner, K. e Thym, D., EU Immigration and Asylum Law: A Commentary, 2ª ed., C. H. Beck, Monaco di Baviera, 2016, pagg. da 1225 a 1233, in particolare pag. 1231.


16      V., ad esempio, versioni in lingua tedesca, neerlandese e finlandese, dove si legge che il rifugiato di cui trattasi costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro interessato «poiché» è stato condannato in via definitiva per un reato di particolare gravità.


17      V, in particolare, EASO, Un’analisi giuridica, Cessazione della protezione internazionale: articoli 11, 14, 16 e 19 della direttiva qualifiche (2011/95/UE), 2018, pag. 52, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://euaa.europa.eu/sites/default/files/ending-international-protection_it.pdf.


18      V. sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13; in prosieguo: la «sentenza T.», EU:C:2015:413, punto 72).


19      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 99). In particolare, l’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4 o 5, della direttiva 2011/95 ha come conseguenza, segnatamente, quella di privare l’interessato del permesso di soggiorno che l’articolo 24 di detta direttiva collega allo status di rifugiato, ai sensi della medesima (punto 103). Pertanto, un rifugiato colpito da una misura adottata sulla base dell’articolo 14, paragrafo 4 o 5, della direttiva 2011/95 può essere considerato come un soggetto che non risiede o non risiede più regolarmente nel territorio dello Stato membro interessato (punto 104). Tuttavia, come prevede espressamente l’articolo 14, paragrafo 6, di tale direttiva, detta persona gode, o continua a godere, di un certo numero di diritti previsti dalla Convenzione di Ginevra, il che conferma che ella ha, o continua ad avere, la qualità di rifugiato ai sensi, segnatamente, dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, nonostante la revoca dello status di rifugiato o il rifiuto di riconoscere tale status (punto 99).


20      Come la Commissione ha giustamente osservato, il riferimento espresso ad un pericolo per la comunità dello Stato membro interessato, nel testo dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, non deve essere considerato una semplice menzione superflua, bensì una condizione che deve essere anch’essa soddisfatta.


21      V., per analogia, per quanto riguarda l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, sentenza T. (punto 78 e giurisprudenza ivi citata). Mi sembra altresì rilevante tenere conto dell’interpretazione che è stata data della nozione di «pericolo per la sicurezza del paese» in cui risiede un rifugiato, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra. Infatti, tale disposizione ha ispirato tanto la redazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2011/95, quanto quella dell’articolo 21, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva. Orbene, secondo il commento a tale convenzione pubblicato nel 1997 dalla Divisione di Protezione Internazionale dello Haut‑Commissariat des Nations unies pour les réfugiés (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) (UNHCR), disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/3d4ab5fb9.pdf, «la nozione di “sicurezza nazionale” o di “sicurezza dello Stato” è invocata contro atti di una certa gravità che pregiudicano direttamente o indirettamente la costituzione (governo), l’integrità territoriale, l’indipendenza o la pace esterna dello Stato interessato» (traduzione libera) (pag. 140).


22      Ancora una volta, l’interpretazione della Convenzione di Ginevra può aiutare a definire meglio la nozione di «pericolo per la comunità» di uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95. A tale riguardo, rilevo che, dal commento citato nella nota precedente, risulta, a proposito della nozione corrispondente di «minaccia per la collettività» del paese in cui risiede un rifugiato, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, di detta convenzione, che tale nozione è definita nel modo seguente: «Una minaccia per la vita pacifica della popolazione nei suoi vari aspetti. In tal senso, una persona è ritenuta una minaccia per la comunità se danneggia mezzi di comunicazione, fa esplodere o incendia abitazioni o altri edifici, aggredisce o percuote cittadini pacifici, commette furti con scasso, rapine o sequestri di persona, ecc. In sintesi, se essa turba o sconvolge la vita civile e, in particolare, se lo fa su vasta scala, così da divenire realmente una minaccia pubblica» (traduzione libera) (pag. 143).


23      V., in particolare, sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 81 e giurisprudenza ivi citata). V., inoltre, per quanto riguarda la necessità di interpretare le disposizioni della direttiva 2011/95 nel rispetto della Convenzione di Ginevra, sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


24      V. «The refugee Convention, 1951: the Travaux préparatoires analysed with a Commentary by Dr Paul Weis», pag. 246, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/protection/travaux/4ca34be29/refugee-convention-1951-travaux-preparatoires-analysed-commentary-dr-paul.html.


25      V., in particolare, sentenze del 27 ottobre 1977, Bouchereau (30/77, EU:C:1977:172, punti 28 e 35), e del 19 gennaio 1999, Calfa (C‑348/96, EU:C:1999:6, punti 24 e 25).


26      Articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).


27      V., in particolare, sentenze del 10 febbraio 2000, Nazli (C‑340/97, EU:C:2000:77, punti 57 e 58); del 20 novembre 2001, Jany e a. (C‑268/99, EU:C:2001:616, punto 59), e dell’8 dicembre 2011, Ziebell (C‑371/08, EU:C:2011:809, punto 82).


28      V. sentenza del 7 dicembre 2017, López Pastuzano (C‑636/16, EU:C:2017:949, punti da 25 a 28).


29      V. sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punto 60).


30      V. sentenza T. (punto 79).


31      V. sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 67).


32      V. sentenza del 16 gennaio 2018, E (C‑240/17, EU:C:2018:8, punto 49).


33      V. sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main (C‑18/19, EU:C:2020:511, punto 45).


34      V. sentenza del 4 aprile 2017, Fahimian (C‑544/15, EU:C:2017:255, punto 40).


35      V., a proposito delle condizioni d’ingresso per i cittadini di paesi terzi ai sensi del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2016, L 77, pag. 1), sentenza del 12 dicembre 2019, E.P. (Minaccia per l’ordine pubblico) (C‑380/18, EU:C:2019:1071, punti da 31 a 33), nonché, in materia di diritto al ricongiungimento familiare, sentenza del 12 dicembre 2019, G.S. e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico) (C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punti 54 e 55). In quest’ultima sentenza, la Corte ha dichiarato che l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12), non osta a che le autorità competenti possano, per ragioni di ordine pubblico, da un lato, respingere una domanda di ingresso e soggiorno fondata sulla suddetta direttiva sulla base di una condanna penale avvenuta durante un precedente soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato e, dall’altro, revocare un permesso di soggiorno fondato sulla medesima direttiva o rifiutare il suo rinnovo qualora sia stata pronunciata, contro il richiedente, una pena sufficientemente elevata rispetto alla durata del soggiorno, purché tale prassi venga applicata solo se il reato oggetto della condanna penale in questione presenti una gravità tale da dimostrare la necessità dell’esclusione del soggiorno del richiedente di cui trattasi e tali autorità effettuino la valutazione individuale di cui all’articolo 17 della direttiva in parola (punto 70). La Corte ha precisato che, a tal fine, dette autorità non erano tenute a dimostrare che il comportamento individuale di detto richiedente costituisse una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro interessato (punto 63).


36      V. sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 101).


37      V. paragrafo 68 delle presenti conclusioni.


38      V. sentenza T. (punti 78 e 79).


39      V. sentenza T. (punto 77).


40      V. sentenza T. (punto 72).


41      V. sentenza T. (punto 71).


42      V., a proposito della direttiva 2004/83, sentenza T. (punto 74).


43      V., a proposito della direttiva 2004/83, sentenza T. (punto 75).


44      In particolare, tanto l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), quanto l’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95 fanno riferimento ad un «pericolo per la comunità» dello Stato membro interessato, mentre l’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva menziona motivi imperativi connessi segnatamente all’«ordine pubblico» di detto Stato membro. Quand’anche tali due nozioni non dovessero considerarsi identiche, le sfumature che potrebbero consentire di distinguerle non mi sembrano tanto importanti da escludere, ai fini dell’analisi, un confronto dei criteri che condizionano l’applicazione di dette disposizioni.


45      V. sentenza dell’11 giugno 2015, Zh. e O. (C‑554/13, EU:C:2015:377, punti 61 e 62).


46      È chiaro che, se l’autorità competente decide immediatamente dopo che il cittadino di un paese terzo è stato condannato per un reato di particolare gravità, tale condanna sarà determinante per dimostrare che tale cittadino costituisce una minaccia per la comunità. Per contro, man mano che il momento in cui viene adottata la decisione di revocare lo status di rifugiato si allontana da quello in cui detto cittadino è stato condannato, il comportamento tenuto da quest’ultimo successivamente alla sua condanna avrà un’importanza maggiore nella valutazione della sussistenza di una minaccia per la comunità.


47      Come ha osservato la Commissione, anche l’UNHCR ritiene che l’onere di dimostrare che le condizioni di cui all’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 siano soddisfatte debba incombere allo Stato membro che invoca tale disposizione. V. «Commentaires annotés du HCR sur la [directive 2004/83]», pagg. 31 e 32, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/fr/protection/operations/4b151d86e/commentaires-annotes-hcr-directive-200483ce-conseil-29-avril-2004-concernant.html.


48      GU 2013, L 180, pag. 60.


49      V. sentenza del 22 settembre 2022, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (C‑159/21; in prosieguo: la «sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a.», EU:C:2022:708, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).


50      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 73).


51      L’autorità accertante è definita all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32 come «qualsiasi organo quasi giurisdizionale o amministrativo di uno Stato membro che sia competente ad esaminare le domande di protezione internazionale e a prendere una decisione di primo grado al riguardo».


52      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 75 e giurisprudenza ivi citata).


53      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 79).


54      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 80).


55      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 81). Per contro, nella medesima sentenza la Corte ha adottato un orientamento diverso per quanto riguarda l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2011/95, il quale dispone che il cittadino di un paese terzo è escluso dalla qualifica di persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria ove sussistano fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave. Infatti, secondo la Corte, l’uso, in tale disposizione, dell’espressione «è escluso» implica che l’autorità competente non dispone di un margine di discrezionalità una volta che essa abbia constatato che l’interessato ha commesso un reato grave (punto 90).


56      V. sentenza Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság e a. (punto 83).


57      V. sentenza T. (punto 72).


58      V., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ricongiungimento familiare – Sorella di rifugiato) (C‑519/18, EU:C:2019:1070, punti da 61 a 64).


59      Tale considerando afferma inoltre che detta direttiva mira non solo ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana e del diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito, ma anche a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 della Carta, e che essa dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.


60      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 109).


61      V., per analogia, sentenza del 12 dicembre 2019, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Ricongiungimento familiare – Sorella di rifugiato) (C‑519/18, EU:C:2019:1070, punti 66 e 67).


62      V., in particolare, sentenza dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto) (C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 31).


63      V. sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 109 e 111).


64      V. sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑115/09, EU:C:2010:661, punto 115). In tale sentenza, la Corte ha segnatamente dichiarato che le cause di esclusione di cui trattasi sono state istituite al fine di escludere dallo status di rifugiato le persone ritenute indegne della protezione collegata a tale status e di evitare che il riconoscimento di tale status consenta ad autori di taluni gravi reati di sottrarsi alla responsabilità penale (punto 104).


65      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 95), da cui risulta che il respingimento di un rifugiato che rientri in una delle ipotesi previste all’articolo 14, paragrafi 4 e 5, nonché all’articolo 21, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 è vietato quando faccia correre a tale rifugiato il rischio che siano violati i suoi diritti fondamentali sanciti dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta.


66      Tale articolo dispone che «[o]gni rifugiato ha, verso il paese in cui risiede, doveri che includono [segnatamente] l’obbligo di conformarsi alle leggi e ai regolamenti, come pure alle misure prese per il mantenimento dell’ordine pubblico».


67      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 107).


68      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 99).


69      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 103).


70      V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nelle cause riunite M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2018:486, paragrafo 129). A questo proposito, va ricordato che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 consente agli Stati membri di prevedere disposizioni più favorevoli, relative in particolare agli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni di tale direttiva.


71      Come ha osservato l’avvocato generale Wathelet nelle sue conclusioni nelle cause riunite M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2018:486), «nell’ipotesi in cui uno Stato membro privasse, nell’esercizio [delle facoltà previste all’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95], un rifugiato dell’accesso all’assistenza sanitaria in determinate circostanze, tale privazione potrebbe parimenti violare l’articolo 35 della Carta (relativo al diritto alla salute)». Peraltro, tale Stato membro deve tenere conto del fatto che «non si può escludere, in particolare, che il diniego di consentire a un rifugiato di inserirsi nel mercato del lavoro successivamente alla sua scarcerazione, anche quando non possa essere allontanato verso un paese terzo e debba pertanto essere considerato residente a tempo indeterminato nello Stato membro di rifugio, possa, secondo le circostanze, violare l’articolo 7 della Carta» (paragrafo 134).


72      C‑546/19, EU:C:2021:432.


73      V. sentenza del 3 giugno 2021, Westerwaldkreis (C‑546/19, EU:C:2021:432, punti da 57 a 59).


74      V., in particolare, sentenza del 20 ottobre 2022, Centre public d’action sociale de Liège (Revoca o sospensione di una decisione di rimpatrio) (C‑825/21, EU:C:2022:810, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


75      V. sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio) (C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 104).


76      V. sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) (C‑441/19, EU:C:2021:9, punti da 51 a 56). In particolare, la Corte ha dichiarato che, «prima di adottare una decisione di rimpatrio, lo Stato membro interessato deve condurre un’indagine al fine di verificare, concretamente, che nello Stato di rimpatrio sia disponibile un’accoglienza adeguata per il minore non accompagnato di cui trattasi» e che, «[o]ve una siffatta accoglienza non sia disponibile, detto minore non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, [della direttiva 2008/115]» (punti 55 e 56).


77      V. sentenza del 24 febbraio 2021, M e a. (Trasferimento verso uno Stato membro) (C‑673/19, EU:C:2021:127, punti 42 e 45).


78      C‑69/21; in prosieguo: la «sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico)», EU:C:2022:913.


79      V., in particolare, sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


80      V., in particolare, sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 53 e giurisprudenza ivi citata).


81      V., in particolare, sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 54 e giurisprudenza ivi citata).


82      V., in particolare, sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


83      V. sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 56).


84      V., in particolare, sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 57).


85      V. sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 58).


86      V. sentenza Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Allontanamento – Cannabis per uso terapeutico) (punto 59).