Language of document : ECLI:EU:C:2024:385

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 7 maggio 2024 (1)

Causa C4/23 [Mirin] (i)

M.-A.A.

contro

Direcţia de Evidenţă a Persoanelor Cluj, Serviciul stare civilă

Direcţia pentru Evidenţa Persoanelor şi Administrarea Bazelor de Date din Ministerul Afacerilor Interne,

Municipiul Cluj-Napoca,

con l’intervento di

Asociaţia Accept,

Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Judecătoria Sectorului 6 Bucureşti (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest, Romania)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articolo 21, paragrafo 1, TFUE – Diritto di circolare e di soggiornare liberamente negli Stati membri – Cittadino residente nel Regno Unito avente la cittadinanza di tale Stato e di uno Stato membro – Rifiuto da parte delle autorità di tale secondo Stato di annotare nel suo atto di nascita cambiamenti di prenome e di genere legalmente ottenuti nel primo Stato – Normativa nazionale che ammette la modifica di un atto di stato civile unicamente sulla base di una decisione giudiziaria definitiva – Impatto del recesso del Regno Unito dall’Unione»






I.      Introduzione

1.        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2 TUE, degli articoli 18, 20 e 21 TFUE nonché degli articoli 1, 7, 20, 21 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, una persona cittadina della Romania e, dall’altro, le autorità nazionali di tale Stato membro, incaricate della tenuta dei registri dello stato civile e della gestione del codice numerico personale (3), a causa del loro rifiuto di riconoscere e di annotare nel suo atto di nascita il suo nuovo prenome e la sua nuova identità di genere (4) acquisiti (5) nel Regno Unito, paese di cui tale persona possiede parimenti la cittadinanza.

3.        Tale causa offre alla Corte l’occasione di precisare la portata delle sue decisioni relative al riconoscimento dello status personale dei cittadini dell’Unione, fondate sull’articolo 21 TFUE, nei limiti della competenza degli Stati membri in materia di stato civile e di stato delle persone.

II.    Contesto normativo

A.      L’accordo di recesso

4.        Il quarto e l’ottavo comma del preambolo dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (6), adottato il 17 ottobre 2019 ed entrato in vigore il 1º febbraio 2020, approvato con decisione (UE) 2020/135 del Consiglio, del 30 gennaio 2020 (7), enunciano quanto segue:

«[Rammentando] che, ai sensi dell’articolo 50 TUE in combinato disposto con l’articolo 106 bis del trattato Euratom e fatte salve le modalità stabilite nel presente accordo, il diritto dell’Unione e dell’Euratom cessa di essere applicabile nella sua interezza al Regno Unito a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente accordo.

(...)

[Considerando] che è nell’interesse sia dell’Unione che del Regno Unito stabilire un periodo di transizione o di esecuzione durante il quale (...) dovrebbe applicarsi al Regno Unito e nel Regno Unito, di norma con gli stessi effetti giuridici prodotti negli Stati membri, il diritto dell’Unione, compresi gli accordi internazionali, al fine di evitare turbative durante il periodo di negoziazione dell’accordo o degli accordi sulle future relazioni».

5.        Ai sensi dell’articolo 126 dell’accordo di recesso, intitolato «Periodo di transizione» che figura nella quarta parte dello stesso, relativa alla «[t]ransizione»:

«È previsto un periodo di transizione o esecuzione che decorre dalla data di entrata in vigore del presente accordo e termina il 31 dicembre 2020».

6.        L’articolo 127 di tale accordo, intitolato «Ambito di applicazione della transizione», così dispone, al suo paragrafo 1, primo comma, e al suo paragrafo 6:

«1.      Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, il diritto dell’Unione si applica al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione.

(...)

6.      Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, durante il periodo di transizione i riferimenti agli Stati membri nel diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1, anche attuato e applicato dagli Stati membri, si intendono fatti anche al Regno Unito».

B.      Diritto rumeno

7.        L’articolo 9 della Legea nr. 119/1996 cu privire la actele de stare civilă (legge n. 119/1996, sugli atti di stato civile) (8), del 16 ottobre 1996 (in prosieguo: la «legge n. 119/1996»), nella sua versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale, recita come segue:

«Nel caso in cui l’ufficiale di stato civile o il funzionario che esercita funzioni di stato civile rifiuti di redigere un atto o effettuare un’annotazione che rientra nelle sue competenze, la persona la cui richiesta è rimasta disattesa può adire il giudice competente, in conformità con la legge».

8.        L’articolo 43 di tale legge prevede quanto segue:

«Negli atti di nascita, e se del caso negli atti di matrimonio o di morte, si effettuano annotazione relative ai cambiamenti intervenuti nello stato civile della persona, nei seguenti casi:

(...)

f)      il cambiamento di nome;

(...)

(i)      il cambiamento del sesso, a seguito di una decisione giudiziaria passata in giudicato».

9.        Ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 1, di detta legge:

«L’annullamento, l’integrazione o la modifica degli atti di stato civile e delle annotazioni in essi contenute possono essere effettuati solo in virtù di una decisione giudiziaria passata in giudicato».

10.      In applicazione degli articoli 1, 2 nonché 10 e seguenti della legge n. 119/1996, le autorità incaricate della tenuta dei registri di stato civile rilasciano certificati di nascita, di matrimonio o di morte sulla base degli atti di stato civile da essi conservati senza riprodurli integralmente.

11.      L’articolo 4, paragrafo 2, lettera l), dell’Ordonanța Guvernului nr. 41/2003 privind dobândirea și schimbarea pe cale administrativă a numelor persoanelor fizice (ordinanza del governo n. 41/2003 sull’acquisizione e la modifica per via amministrativa dei nomi delle persone fisiche) (9), del 30 gennaio 2003, enunciava quanto segue:

«Le domande di cambiamento di nome sono considerate fondate nei seguenti casi:

(...)

l)      se la persona ha ottenuto l’approvazione del cambiamento di sesso con una decisione giudiziaria passata in giudicato e irrevocabile e chiede di portare un nome corrispondente, presentando un documento medico-legale che indichi il suo sesso».

12.      L’articolo 131, paragrafo 2, della metodologia approvata dalla Hotărârea Guvernului nr. 64/2011 pentru aprobarea Metodologiei cu privire la aplicarea unitară a dispozițiilor în materie de stare civilă (decisione del governo n. 64/2011, recante approvazione della metodologia relativa all’applicazione uniforme delle disposizioni in materia di stato civile), del 26 gennaio 2011, è così formulato:

«Il codice numerico personale è assegnato sulla base dei dati iscritti nell’atto di nascita relativi al sesso e alla data di nascita».

13.      Tale codice numerico personale è iscritto negli atti di stato civile (10).

14.      Ai sensi della normativa rumena relativa al rilascio di carte d’identità e di passaporti (11), in tali documenti sono iscritti, segnatamente, il cognome, il nome, il sesso e il codice numerico personale dei titolari degli stessi. Le modifiche a tali dati intervenute all’estero non possono avere effetto in Romania in assenza di una previa trascrizione da parte dei servizi di stato civile, al momento del rilascio del passaporto in caso di cambiamento di cognome e di nome, o della carta d’identità in caso di modifica dei dati relativi allo stato civile. In applicazione dell’articolo 19, lettera i), del decreto legge del governo n. 97/2005, il servizio pubblico responsabile del registro delle persone rilascia un nuovo documento d’identità in caso di cambiamento di sesso.

C.      Diritto del Regno Unito

15.      Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 3 del Gender Recognition Act 2004 (legge del 2004 sul riconoscimento del genere), nella sua versione applicabile al procedimento principale (12), una persona di età superiore ai 18 anni che desideri ottenere il riconoscimento giuridico del genere da essa dichiarato si rivolge a un comitato per il riconoscimento del genere che esamina gli elementi di prova da essa forniti al fine di ottenere un certificato di riconoscimento del genere (13). Si tratta, da un lato, di una diagnosi di disforia di genere da parte di un medico o di uno psicologo specializzato in materia e, dall’altro, di una dichiarazione solenne che la persona ha vissuto conformemente al suo genere acquisito per almeno due anni e che intende vivere conformemente ad esso per il resto della sua vita.

16.      L’articolo 9, paragrafo 1, di tale legge dispone che il rilascio di un GRC definitivo comporta il pieno riconoscimento, a tutti gli effetti, del genere acquisito dal richiedente. Esso non può però essere utilizzato come mezzo di identificazione (14).

17.      In applicazione dell’Enrolment of Deeds (Change of Name) Regulations 1994 [regolamento del 1994 sulla registrazione degli atti (cambiamento di nome)] (15), un cittadino del Commonwealth può cambiare il proprio cognome o il proprio nome con una semplice dichiarazione, vale a dire un deed poll che può essere registrato, per le persone di età pari o superiore ai 18 anni, presso la cancelleria della High Court of Justice (England & Wales), King’s Bench Division [Alta Corte di Giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del King’s Bench, Regno Unito]. In tal caso, esso viene pubblicato sul The London Gazette. Tale registrazione non è obbligatoria, in quanto la prova del cambiamento di nome può essere fornita con qualsiasi mezzo legale.

III. Fatti della controversia di cui al procedimento principale e questioni pregiudiziali

18.      Il ricorrente (16), cittadino rumeno, è stato registrato alla nascita, il 24 agosto 1992 a Cluj-Napoca (Romania), come di sesso femminile.

19.      Dopo essersi trasferito nel Regno Unito con i propri genitori nel 2008, il ricorrente ha acquisito la cittadinanza britannica per naturalizzazione il 21 aprile 2016. Da allora possiede la doppia cittadinanza, rumena e britannica.

20.      Il 21 febbraio 2017 il ricorrente ha cambiato il suo prenome e il suo titolo civile da femminile a maschile in base alla procedura del deed poll.

21.      Dopo aver espletato tale formalità, egli ha proceduto alla sostituzione di alcuni documenti ufficiali rilasciati dalle autorità britanniche, ovvero la sua patente di guida e il suo passaporto.

22.      Il 29 giugno 2020 il ricorrente ha ottenuto nel Regno Unito un «Gender Recognition Certificate» (GRC), atto che conferma la sua identità di genere maschile.

23.      Nel maggio 2021, sulla base dei due documenti ottenuti nel Regno Unito, cioè il deed poll e il GRC, il ricorrente ha chiesto al servizio di stato civile di Cluj di annotare nel suo atto di nascita le informazioni relative al suo cambiamento di prenome, di sesso e del suo codice numerico personale in modo da farlo corrispondere al sesso maschile, nonché di rilasciargli un nuovo certificato di nascita contenente tali nuove indicazioni.

24.      A causa del rifiuto di tale servizio, il 14 settembre 2021 il ricorrente ha adito la Judecătoria Sectorului 6 Bucureşti (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest, Romania), giudice del rinvio, con le medesime richieste nell’ambito di un’azione diretta contro il servizio di stato civile di Cluj, la direzione responsabile dei registri dello stato civile e della gestione delle banche dati del Ministero degli Affari interni, nonché il Comune di Cluj-Napoca.

25.      Il ricorrente fa valere che egli chiede al giudice del rinvio di ordinare l’adeguamento del suo atto di nascita alla sua identità di genere riconosciuta in via definitiva nel Regno Unito. Egli sollecita l’applicazione diretta del diritto dell’Unione, in particolare del diritto di ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione, al fine di poter esercitare tale diritto senza ostacoli disponendo di un documento di viaggio conforme alla sua identità di genere maschile. A suo avviso, costringerlo a seguire una nuova procedura giudiziaria in Romania, volta direttamente a ottenere l’approvazione del cambiamento di sesso, lo esporrebbe al rischio di ottenere una risposta di segno opposto a quella fornita dalle autorità britanniche, posto che la Corte europea dei diritti dell’uomo (17) ha dichiarato che la procedura rumena manca di chiarezza e di prevedibilità (18).

26.      Le autorità rumene convenute sostengono che il ricorso mira ad ottenere il riconoscimento del suo nuovo status sociale personale risultante dai cambiamenti intervenuti all’estero. Orbene, ai sensi dell’articolo 43, lettera i), della legge n. 119/1996, in caso di cambiamento di sesso, le annotazioni dei cambiamenti di stato civile sono registrate negli atti di nascita sulla base di una decisione giudiziaria passata in giudicato.

27.      In tale procedimento, il Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării (Consiglio nazionale per la lotta contro la discriminazione, Romania) è stato chiamato a intervenire ed è stata accolta la domanda accessoria di intervento dell’Asociația Accept (associazione Accept) a sostegno del ricorrente.

28.      Il giudice del rinvio fa innanzitutto riferimento alla giurisprudenza pertinente della Corte, in particolare alle sentenze del 2 ottobre 2003, Garcia Avello (19); del 14 ottobre 2008, Grunkin e Paul (20); dell’8 giugno 2017, Freitag (21), nonché del 14 dicembre 2021, Stolichna obshtina, rayon «Pancharevo» (22), per poi esporre dubbi sulla conformità della normativa nazionale con i diritti connessi alla cittadinanza dell’Unione in quanto obbliga l’interessato a seguire una nuova procedura giudiziaria in uno degli Stati membri di cui ha la cittadinanza nonostante questi abbia già concluso con esito positivo un procedimento in un altro Stato membro di cui è parimenti cittadino, indipendentemente dalla natura del procedimento svoltosi in tale ultimo Stato e, in particolare, dal fatto che sia giudiziaria o amministrativa.

29.      Infine, tale giudice ritiene che la risoluzione della controversia di cui al procedimento principale dipenda anche dal chiarimento delle conseguenze del recesso del Regno Unito dall’Unione. In particolare, in caso di risposta affermativa alla sua prima questione, occorrerebbe precisare se uno Stato membro sia tenuto a riconoscere gli effetti giuridici di un procedimento di cambiamento di genere avviato in uno Stato che aveva la qualità di Stato membro all’inizio di tale procedimento, ma che aveva già lasciato l’Unione alla data di conclusione dello stesso.

30.      Ciò posto, la Judecătoria Sectorului 6 București (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il fatto che l’articolo 43, lettera i), e l’articolo 57 della [legge n. 119/1996] non riconoscano i cambiamenti delle annotazioni relative al sesso e al nome di battesimo nello stato civile, realizzati da un uomo transgender, avente doppia cittadinanza (rumena e di un altro Stato membro), in un altro Stato membro attraverso il procedimento di riconoscimento giuridico del genere, e richiedano al cittadino rumeno di svolgere, dall’inizio, un distinto procedimento giudiziario in Romania, avverso il Servizio pubblico locale dell’Anagrafe e dello Stato civile, procedimento che è stato ritenuto privo di chiarezza e prevedibilità dalla Corte [EDU] ([sentenza X e Y c. Romania]) e che può sfociare in una decisione contraria a quella presa dall’altro Stato membro, osti all’esercizio del diritto alla cittadinanza dell’Unione (articolo 20 [TFUE]) e/o del diritto di circolare e soggiornare liberamente del cittadino dell’Unione (articolo 21 [TFUE e articolo 45 della Carta]) in condizioni di dignità, uguaglianza davanti alla legge e non discriminazione (articolo 2 [TUE, articolo 18 TFUE e articoli 1, 20 e 21 della Carta]), nel rispetto del diritto alla vita privata e alla vita familiare (articolo 7 della [Carta]).

2)      Se l’uscita del [Regno Unito] dall’Unione europea influenzi la risposta alla questione di cui sopra, in particolare (i) laddove il procedimento per cambiare lo stato civile è iniziato prima della Brexit ed è stato completato nel periodo di transizione, e (ii) l’impatto della Brexit implica che la persona può usufruire dei diritti relativi alla cittadinanza europea, incluso il diritto alla libera circolazione e al soggiorno, solo in base ai documenti di identità o di viaggio rumeni in cui appare con sesso e nome di battesimo femminile, contrariamente all’identità di genere già riconosciuta giuridicamente».

31.      Il ricorrente e l’associazione Accept, il Comune di Cluj-Napoca, i governi rumeno, tedesco, greco, ungherese, dei Paesi Bassi e polacco nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte. Il ricorrente e l’associazione Accept, i governi tedesco, ungherese, dei Paesi Bassi e polacco nonché la Commissione hanno risposto oralmente ai quesiti formulati dalla Corte nell’udienza tenutasi il 23 gennaio 2024.

IV.    Analisi

32.      La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda una richiesta diretta a ottenere l’annotazione in un atto di nascita di un cambiamento di prenome e di genere, sulla base di atti registrati nel Regno Unito, uno prima del recesso di tale Stato dall’Unione e l’altro prima della fine del periodo di transizione previsto dall’accordo di recesso. Il ricorrente, cittadino del Regno Unito, dove risiede, e della Romania, dove è nato, sostiene che il rilascio di un documento di viaggio conforme alla sua identità di genere gli consentirà di esercitare il suo diritto di circolare e di soggiornare liberamente all’interno dell’Unione in qualità di cittadino della stessa.

33.      Pertanto, il giudice del rinvio si interroga, da un lato, sulla fondatezza, ai sensi del diritto dell’Unione, del rifiuto di riconoscere a un cittadino dell’Unione, ai fini dell’aggiornamento del suo atto di nascita, i cambiamenti relativi alla sua identità ottenuti in uno Stato in cui il diritto dell’Unione era al tempo applicabile. Dall’altro lato, esso chiede alla Corte di precisare quali conseguenze debbano trarsi dal recesso del Regno Unito dall’Unione.

A.      Sul collegamento con il diritto dell’Unione della situazione in cui un cittadino dell’Unione chiede l’iscrizione della sua identità di genere nel suo atto di nascita

34.      Allo stato attuale del diritto dell’Unione, non esiste alcuna normativa o giurisprudenza che tratti le questioni relative all’aggiornamento, nello Stato membro di nascita di un cittadino dell’Unione, di quanto indicato negli atti di stato civile in materia di sesso o di identità di genere sulla base di atti predisposti o di decisioni adottate in un altro Stato membro.

35.      Infatti, occorre ricordare che, in primo luogo, non è applicabile alcun regolamento in materia di cooperazione civile. Lo stato delle persone è espressamente escluso dall’ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (23), e ciò a partire dalla convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (24). L’oggetto della controversia non rientra neppure nell’ambito di applicazione del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (25).

36.      Inoltre, sebbene il legislatore dell’Unione sia intervenuto per facilitare la circolazione degli atti di stato civile, esso non si è occupato dei loro effetti, come si evince dal titolo del regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2016, che promuove la libera circolazione dei cittadini semplificando i requisiti per la presentazione di alcuni documenti pubblici nell’Unione europea e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 (26). Tale regolamento, la cui base giuridica è segnatamente l’articolo 21, paragrafo 2, TFUE, prevede moduli multilingue e un’esenzione generale dalla legalizzazione all’interno dell’Unione. La questione dell’aggiornamento dei registri nazionali di stato civile non viene affrontata, sebbene fosse stata trattata al punto 4 del Libro verde della Commissione «Meno adempimenti amministrativi per i cittadini – Promuovere la libera circolazione dei documenti pubblici e il riconoscimento degli effetti degli atti di stato civile»  (27).

37.      In secondo luogo, la giurisprudenza consolidata della Corte in materia di stato civile riguarda solo il cognome e il nome iscritti negli atti di stato civile. La Corte ha dichiarato che, sebbene le norme sulla trascrizione di tali elementi dell’identità di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono comunque rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà riconosciuta a ciascun cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri(28).

38.      In terzo luogo, la Corte ha ricordato che «lo status delle persone, in cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione, è una questione di competenza degli Stati membri e il diritto dell’Unione non incide su tale competenza. Gli Stati membri sono quindi liberi di prevedere o meno, nel loro diritto nazionale, il matrimonio tra persone dello stesso sesso e la genitorialità di queste ultime. Tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro deve rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare, le disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà riconosciuta a ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, riconoscendo, a tal fine, lo status delle persone stabilito in un altro Stato membro conformemente al diritto di quest’ultimo» (29).

39.      Pertanto, secondo tale giurisprudenza consolidata, sussiste un collegamento con il diritto dell’Unione nel caso di persone che sono cittadini di uno Stato membro e soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro (30). Di conseguenza, qualsiasi cittadino dell’Unione che si trovi in tale situazione può avvalersi dei diritti connessi a tale qualità, in particolare di quelli previsti dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, anche, eventualmente, nei confronti del suo Stato membro d’origine (31).

40.      Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente, nella sua qualità di cittadino dell’Unione, abbia esercitato la sua libertà di circolare e di soggiornare in uno Stato membro diverso dal suo Stato membro di origine conformemente all’articolo 21 TFUE, e che ha acquisito la cittadinanza del primo.

41.      Inoltre, tale ricorrente fa valere nel suo Stato membro d’origine diritti acquisiti dopo aver esercitato la sua libertà di circolazione nel Regno Unito, che all’epoca era uno Stato membro dell’Unione. Infine, da quando tale Stato non ha più detta qualità, è in quanto cittadino dell’Unione in forza unicamente della sua cittadinanza rumena che egli vuole poter liberamente circolare nel territorio dell’Unione con documenti d’identità e di viaggio rumeni (32).

42.      La situazione del ricorrente rientra quindi nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tuttavia ci si domanda se tale analisi possa essere messa in discussione dal fatto che questi ha fatto valere i suoi diritti in Romania dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione.

B.      Sull’impatto dell’accordo di recesso

43.      In primo luogo, occorre ricordare che:

–        il 31 gennaio 2020 il Regno Unito ha receduto dall’Unione e dalla Comunità europea dell’energia atomica, e

–        conformemente all’articolo 2, lettera e), dell’accordo di recesso, letto in combinato disposto con l’articolo 126 dello stesso, tale accordo prevede un periodo di transizione che andava dal 1º febbraio 2020, data di entrata in vigore di tale accordo, al 31 dicembre 2020. Durante tale periodo, il diritto dell’Unione era applicabile al Regno Unito e nel suo territorio, ai sensi dell’articolo 127, paragrafo 1, primo comma, di detto accordo, salvo disposizioni contrarie del medesimo.

44.      In secondo luogo, osservo che:

–        nessuna disposizione dell’accordo di recesso prevede una deroga al principio di cui a tale articolo 127 che riguardi disposizioni del diritto dell’Unione che siano applicabili nel procedimento principale, e

–        nel caso di specie, sono gli effetti dell’esercizio della libertà di circolazione nel Regno Unito, ottenuti rispettivamente prima del recesso di tale Stato membro dall’Unione e prima della fine del periodo di transizione, a essere rivendicati in un altro Stato membro. Infatti, il 21 febbraio 2017, a seguito di un procedimento di deed poll, sono stati modificati il prenome del ricorrente nel procedimento principale e il suo titolo e, il 29 giugno 2020, durante il periodo di transizione, è stato rilasciato un GRC, vale a dire un atto che conferma l’identità di genere maschile.

45.      A mio avviso, se ne deve dedurre che tale GRC, emanato durante il periodo di transizione, debba essere considerato nello Stato membro interessato come un documento ufficiale di un altro Stato membro (33), in conformità con il diritto dell’Unione applicabile al giorno dell’esame della domanda.

46.      Tale qualificazione non può dipendere dalla fine del periodo di transizione e, di conseguenza, dalla data in cui i suoi effetti sono rivendicati dall’interessato (34). Quindi, la restrizione alla libertà di circolazione asserita dal ricorrente (35) in relazione al rifiuto di aggiornare il suo atto di nascita può, in linea di principio, essere valutata alla luce delle disposizioni dell’articolo 21 TFUE.

47.      Pertanto, con le sue due questioni, che, a mio avviso, occorre essere esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7 e 45 della Carta debbano essere interpretati nel senso che ostano a che le autorità di uno Stato membro rifiutino di riconoscere e di iscrivere nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro, che è anche cittadino britannico, il prenome e l’identità di genere, legalmente dichiarati e acquisiti nel Regno Unito laddove tale Stato era ancora membro dell’Unione al momento della prima dichiarazione e il diritto dell’Unione era ancora applicabile al momento della seconda, in ragione del fatto che una disposizione del diritto nazionale subordina la possibilità di ottenere una tale iscrizione al riconoscimento del cambiamento di sesso da parte di un giudice del primo Stato membro.

48.      È quindi necessario determinare quali conseguenze in materia di stato civile si possano trarre dagli atti controversi, ai sensi del diritto dell’Unione.

C.      Sul riconoscimento in materia di stato civile in uno Stato membro dei cambiamenti di prenome e di genere ottenuti in un altro Stato membro

49.      Tenuto conto dei presupposti per il riconoscimento in uno Stato membro degli effetti dei documenti pubblici formati in un altro Stato membro, osservo, in primo luogo, che il giudice del rinvio considera come acquisito il fatto che gli atti in questione nella causa di cui al procedimento principale, che non sono né atti di stato civile né decisioni giudiziarie, siano validi e potenzialmente idonei a produrre in materia di stato civile gli stessi effetti, per quanto riguarda l’identità del ricorrente (36), di quelli riconosciuti dalle autorità britanniche, che hanno rilasciato un nuovo passaporto e una patente di guida a seguito della dichiarazione di cambiamento di prenome e di titolo (deed poll), senza che sia stata fornita alcuna precisazione in merito al GRC (37).

50.      In secondo luogo, per quanto riguarda una domanda di aggiornamento dell’atto di nascita di un cittadino dell’Unione, occorre fare riferimento alle decisioni della Corte in materia di stato civile relative esclusivamente al rifiuto delle autorità di uno Stato membro di riconoscere il nome o il cognome acquisito, in circostanze analoghe a quelle della causa di cui al procedimento principale, da un cittadino di tale Stato membro che ha esercitato il suo diritto di circolare liberamente e che possiede anche la cittadinanza di un altro Stato membro, le cui norme vigenti hanno determinato il nome o il cognome (38).

51.      La Corte ha dichiarato, innanzitutto, che «il nome e il cognome di una persona sono un elemento costitutivo della sua identità e della sua vita privata, la cui tutela è garantita dall’articolo 7 della [Carta], nonché dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, (in prosieguo: la “CEDU”)». La Corte ha inoltre stabilito che, anche se l’articolo 7 della Carta non lo menziona esplicitamente, il nome e il cognome di una persona riguardano in ugual modo la vita privata e familiare di quest’ultima in quanto mezzo di identificazione personale e di collegamento ad una famiglia (39).

52.      La Corte ha inoltre dichiarato che il diniego di riconoscere il nome di un cittadino dell’Unione legalmente ottenuto in un altro Stato membro è idoneo ad ostacolare l’esercizio del diritto, sancito dall’articolo 21 TFUE, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, a causa di confusioni ed inconvenienti che possono nascere da una diversità tra i due nomi applicati ad una stessa persona al fine di fornire la prova tanto della propria identità quanto della natura dei suoi vincoli familiari (40).

53.      Infine, quando il diritto nazionale comporta altre basi giuridiche per procedere al cambiamento di nome su richiesta dell’interessato, la Corte ha dichiarato che, perché queste siano considerate compatibili con il diritto dell’Unione, esse non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti conferiti dall’articolo 21 TFUE. Inoltre, in mancanza di una normativa dell’Unione in materia di modifica del cognome, le modalità previste dal diritto nazionale devono rispettare il principio di equivalenza (41).

54.      In tali sentenze, basate sul diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri di cui gode ogni cittadino dell’Unione, la Corte si è pronunciata nel senso che ci deve essere concordanza degli atti di stato civile di uno Stato membro con un cognome o un nome acquisito in un altro Stato membro, e ciò vuoi in applicazione delle norme sull’attribuzione del cognome (42), vuoi a seguito di un cambiamento volontario (43).

55.      La logica alla base di tale giurisprudenza è quella del riconoscimento automatico – in un contesto di fiducia reciproca tra gli Stati membri e al fine di garantire la libera circolazione dell’interessato in tali Stati – di un cognome o di un nome acquisito in un altro Stato membro, e non di un atto amministrativo o giudiziario. Tale logica è quindi diversa da quella del riconoscimento degli effetti di un atto o di una sentenza straniera, secondo metodi del diritto internazionale privato (44), che giustificherebbe l’elaborazione di norme speciali su basi diverse dall’articolo 21 TFUE (45).

56.      Ciò posto, occorre stabilire in presenza di quali condizioni tale giurisprudenza può essere trasposta, distinguendo gli atti in causa nel procedimento principale, essendosi la Corte già pronunciata sul riconoscimento automatico di un nuovo prenome.

1.      Il cambiamento di prenome

57.      Nel caso di specie, per quanto riguarda il cambiamento di prenome ottenuto dal ricorrente nel Regno Unito, prima del riconoscimento della sua identità di genere, è pacifico che il prenome che compare sul passaporto e sulla patente di guida britannici del ricorrente non è identico a quello riportato nel registro di stato civile e nei documenti amministrativi rumeni. Come nella causa che ha dato luogo alla sentenza Bogendorff (46), e a maggior ragione nel caso di scelta di un nuovo prenome legato a quello della successiva dichiarazione relativa all’identità di genere, non vi è alcun dubbio che la diversità dei prenomi portati da una stessa persona sia tale da creare per essa gravi inconvenienti, di ordine amministrativo, professionale e privato.

58.      Di conseguenza, il rifiuto da parte delle autorità di uno Stato membro di riconoscere il prenome, quale acquisito in un altro Stato, allora membro dell’Unione, costituisce una restrizione alle libertà riconosciute dall’articolo 21 TFUE a ogni cittadino dell’Unione.

59.      Né il giudice del rinvio né il governo rumeno menzionano alcun motivo particolare che possa giustificare il rifiuto di riconoscere e d’iscrivere nell’atto di nascita del ricorrente il prenome da lui acquisito nel Regno Unito, se non quello del riconoscimento dell’identità di genere, opposto dalle autorità rumene competenti (47). Del resto, tale giudice non ha citato alcuna disposizione specifica relativa al cambiamento di prenome, oltre a quella relativa al cambiamento di sesso. Inoltre, esso non ha fornito alcuna informazione su un procedimento per il riconoscimento di una decisione straniera in conformità con il diritto dell’Unione in materia di cognome o di nome (48).

60.      Inoltre, nelle circostanze di cui procedimento principale, collegare il riconoscimento del nuovo prenome al riconoscimento dell’identità di genere non rispetta il principio di effettività e non garantisce la tutela dei diritti che il ricorrente trae dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 21 TFUE (49). Infine, il giudice del rinvio non potrebbe invocare giustificazioni relative all’ordine pubblico o alla parità di trattamento per rifiutare il cambiamento di prenome (50).

61.      Sono quindi del parere che, alla luce di tali circostanze, non vi sia alcuna difficoltà, per quanto riguarda l’aggiornamento dell’atto di nascita del ricorrente, a dissociare il riconoscimento del cambiamento di prenome dal riconoscimento del cambiamento di genere, anche se il prenome apparisse legato a un genere diverso da quello a cui è sociologicamente associato il sesso registrato alla nascita.

62.      Inoltre, sono del parere che, in tale situazione, per valutare la portata di una decisione di riconoscimento automatico di un nuovo prenome, sia necessario andare oltre il quadro fattuale in cui la Corte è adita e considerare che un tale riconoscimento possa avere conseguenze su altri atti di stato civile, come quelli dei familiari dell’interessato in cui compaia il prenome precedente al cambiamento, vale a dire, in particolare, un atto di matrimonio o di unione civile o l’atto di nascita di un figlio.

63.      Ritengo che quando la normativa in materia di stato civile lo preveda, il riconoscimento di un nuovo prenome debba produrre i suoi effetti senza riserve, tanto più che esso non altera l’identità dei terzi interessati, a differenza del riconoscimento di un cambiamento del cognome che sarebbe stato scelto o acquisito dal coniuge o trasmesso ai figli. Per converso, in assenza di un successivo aggiornamento ne risulterebbe una discordanza tra gli atti di stato civile che ostacolerebbe l’esercizio dei diritti derivanti dall’articolo 21 TFUE qualora i familiari volessero beneficiarne sulla base dei vincoli familiari che dovessero dimostrare.

64.      Per tale motivo, a mio avviso, la portata della risposta della Corte non dovrebbe limitarsi all’atto di nascita dell’interessato. Pertanto, in generale, l’articolo 21 TFUE dovrebbe essere interpretato nel senso che esso osta a che le autorità di uno Stato membro rifiutino di iscrivere in un registro dello stato civile il prenome acquisito da un cittadino di tale Stato membro in un altro Stato membro, di cui ha parimenti la cittadinanza, sulla base di una disposizione del diritto nazionale che subordina la possibilità di ottenere una tale iscrizione al riconoscimento del cambiamento di sesso da parte di un giudice del primo Stato membro.

2.      Il cambiamento di genere

65.      Nel caso di specie, la questione inedita che la Corte è chiamata a decidere è se la sua giurisprudenza in materia di stato civile relativa agli effetti transfrontalieri dell’ottenimento di un nome in uno Stato membro sia applicabile in tutti i suoi aspetti.

a)      Lanalogia con la giurisprudenza della Corte relativa al nome

66.      In via preliminare, occorre sottolineare che, mentre nella sentenza del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di fine lavoro) (51), la Corte ha precisato che «il diritto dell’Unione non pregiudic[a] la competenza degli Stati membri nel settore dello stato civile e del riconoscimento giuridico del cambiamento di sesso» (52), la causa che ha dato origine a tale decisione non aveva come oggetto il riconoscimento giuridico in uno Stato membro dell’identità di genere acquisita in un altro Stato membro (53).

67.      Occorre pertanto stabilire se la sola giurisprudenza della Corte relativa al pieno riconoscimento in uno Stato membro della modifica di un elemento dell’identità di un cittadino dell’Unione, vale a dire il suo nome, ai fini della sua iscrizione nello stato civile di un altro Stato membro, possa applicarsi alle stesse condizioni, quando si tratti dell’indicazione del sesso nell’atto di nascita.

68.      In una prima fase dell’analisi potrebbe prevalere, per tre ragioni, una risposta affermativa, che riprenda gli stessi termini della sentenza Freitag (54).

69.      Innanzitutto, nella maggior parte degli Stati membri (55), l’indicazione del sesso è un elemento costitutivo dell’identità di una persona, così come lo sono il cognome e il nome (56). Quest’ultimo è il più delle volte connesso al sesso iscritto nell’atto di nascita (57), così come talvolta al cognome (58).

70.      Inoltre, i fondamenti del riconoscimento di un nuovo cognome o nome ai fini della loro registrazione allo stato civile, vale a dire i requisiti derivanti dall’articolo 21 TFUE e dal diritto al rispetto della vita privata, la cui tutela è sancita dall’articolo 7 della Carta nonché dall’articolo 8 della CEDU (59), richiedono che un cittadino dell’Unione non sia privato del nucleo essenziale dei diritti conferitigli dal suo status, e ciò in tutti gli aspetti della sua identità.

71.      Peraltro, una tale soluzione è coerente con la giurisprudenza ormai consolidata della Corte EDU, basata sull’articolo 8 della CEDU e relativa al rispetto dell’identità di genere (60).

72.      È vero che tale Corte non si è pronunciata su casi di riconoscimento di decisioni di cambiamento di nome o di sesso (61), ma ha però ribadito a più riprese che il rispetto della vita privata o familiare comporta l’obbligo positivo per lo Stato di garantirla, adottando misure ai fini di riconoscere tanto il cambiamento di cognome o di nome (62) quanto il cambiamento dell’identità di genere (63) e di trarne le conseguenze in materia di stato civile.

73.      Occorre inoltre rilevare che 25 dei 27 Stati membri prevedono procedure di modifica dello stato civile in modo che l’identità legale alla nascita sia modificata per effetto di una scelta individuale relativa al genere (64), il che suffraga la pertinenza della soluzione proposta sulla base dei principi enunciati al paragrafo 70 delle presenti conclusioni, per analogia con la giurisprudenza relativa al nome.

74.      Aggiungo che l’assenza di una normativa in uno Stato membro relativa al riconoscimento della dichiarazione di cambiamento di genere non mi sembra costituire un ostacolo ai sensi dell’articolo 21 TFUE, a causa dell’obbligo positivo risultante dalla giurisprudenza della Corte EDU (65) e dell’analogia che può essere tracciata con la sentenza Grunkin e Paul. In tale decisione, la Corte si è pronunciata sul riconoscimento del cognome di un figlio, composto da quello del padre e da quello della madre, anche se il diritto tedesco non prevedeva un tale doppio cognome (66).

75.      Infine, per quanto riguarda le giustificazioni di una restrizione alla libertà di circolazione, esaminate dalla Corte, quest’ultima si è pronunciata, in particolare, sull’obiettivo di impedire, in caso di cambiamento volontario di nome, l’elusione del diritto nazionale in materia di stato delle persone tramite l’esercizio a tale unico scopo della libertà di circolazione e dei diritti che ne derivano. In tale occasione, essa ha ricordato di aver già dichiarato, al punto 24 della sentenza del 9 marzo 1999, Centros (67), che uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all’impero delle leggi nazionali, e che gli interessati possano avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme del diritto dell’Unione (68).

76.      A tal proposito, in materia di riconoscimento dell’identità di genere, è necessario tenere conto del fatto che le normative degli Stati membri sono attualmente meno consolidate rispetto a quelle relative al cambiamento di nome vigenti al momento della pronuncia della Corte (69). Alcuni Stati membri prevedono una procedura di autodeterminazione (70), mentre, in altri Stati membri, a seguito della giurisprudenza della Corte EDU (71), i requisiti probatori sono stati modificati, se non addirittura aboliti (72).

77.      Tuttavia, tale diversità tra i diritti sostanziali applicabili in caso di cambiamento di genere non può portare ad ammettere seri motivi per il mancato riconoscimento dello stesso (73). Quando si tratta di rendere effettivi i diritti connessi alla cittadinanza, tale diversità giustifica solo una vigilanza rafforzata sulle condizioni in presenza delle quali tali diritti sono esercitati al fine di premunirsi contro qualsiasi abuso.

78.      Di conseguenza, come è stato considerato in udienza, mi sembra opportuno, al fine di scongiurare il rischio di abusi, poter opporre circostanze relative alla residenza o alla cittadinanza (74) dirette a verificare l’esistenza di stretti legami con lo Stato membro in cui è intervenuto un tale cambiamento (75).

79.      Per quanto riguarda l’applicazione nel procedimento principale dei principi sopra esposti, osservo che la sola giustificazione per il rifiuto di riconoscere e di iscrivere nell’atto di nascita in questione, senza alcun procedimento, il cambiamento di genere a seguito di una dichiarazione di identità di genere, esposta nella domanda di pronuncia pregiudiziale (76), è quella relativa all’esistenza di altre basi giuridiche che consentono di ottenere un cambiamento di sesso in Romania. 

80.      Orbene, la sentenza X e Y c. Romania (77) dimostra, come sottolineato dal giudice del rinvio, che tale procedura nazionale non può essere considerata compatibile con il diritto dell’Unione, in quanto rende impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione dei diritti conferiti dall’articolo 21 TFUE (78).

81.      Di conseguenza, tenuto conto delle circostanze della causa di cui al procedimento principale, la Corte potrebbe dichiarare, come nelle precedenti sentenze relative al nome di un cittadino dell’Unione, che il rifiuto da parte delle autorità rumene di riconoscere l’identità di genere acquisita nel Regno Unito, quando il diritto dell’Unione era ancora applicabile, costituisce una restrizione ingiustificata alle libertà conferite dall’articolo 21 TFUE a ogni cittadino dell’Unione.

82.      Tuttavia, in una seconda fase dell’analisi, la valutazione imprescindibile della portata generale di una tale decisione, basata sugli stessi fondamenti della giurisprudenza della Corte in materia di nomi, porta a interrogarsi su eventuali limiti che occorrerebbe applicare a causa degli effetti specifici, in materia di stato personale, dell’indicazione del sesso nell’atto di nascita.

b)      Sull’eventuale previsione di limiti all’applicazione della giurisprudenza sul nome

83.      L’indicazione del sesso nell’atto di nascita produce effetti specifici in materia di status personale. Quali conseguenze se ne dovrebbero, eventualmente, trarre alla luce delle più recenti decisioni della Corte sulle condizioni in presenza delle quali atti di stato civile provenienti da uno Stato membro devono produrre effetti in un altro Stato membro, ossia alla luce delle sentenze Coman e a. e Pancharevo?

1)      Sugli effetti specifici dell’indicazione del sesso nello stato civile sullo status personale

84.      In materia di stato delle persone, la dichiarazione relativa all’identità sessuale ha effetti diversi rispetto al nome. Invero, un cambiamento di nome può comportare un cambiamento a catena del nome delle persone a cui è stato trasmesso o da esse scelto (79). Tuttavia, in confronto, la dichiarazione di identità di genere non può essere considerata come una manifestazione di volontà limitata all’identità dell’interessato.

85.      Infatti, tale dichiarazione modifica tanto lo status personale quanto quello familiare dell’interessato. Essa è quindi opponibile nell’esercizio di diritti che restano correlati alla differenza di sesso (matrimonio, filiazione, pensione (80), salute, competizioni sportive, ecc.)

86.      Di conseguenza, poiché l’aggiornamento degli atti di stato civile è giustificato dall’obiettivo di garantire i diritti connessi alla libera circolazione del cittadino interessato e dei suoi familiari (81), è essenziale interrogarsi, come per il cambiamento di prenome (82), sugli effetti a catena di una siffatta annotazione di una dichiarazione di identità di genere riconosciuta in uno Stato membro su altri documenti di stato civile, quali gli atti di matrimonio o gli atti di nascita dei figli, formati prima di una tale dichiarazione (83) nello stesso Stato membro o in altri Stati membri, come illustrato dalle sentenze Coman e a. e Pancharevo.

2)      Sugli effetti specifici del riconoscimento e dell’iscrizione in un registro di stato civile della dichiarazione relativa all’identità di genere acquisita in un altro Stato membro

87.      Dalle sentenze Coman e a. e Pancharevo deduco che la Corte ha assicurato il rispetto del principio secondo cui il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri in materia di registrazione allo stato civile di indicazioni che avrebbero l’effetto di riconoscere l’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso o un rapporto di filiazione instaurato con due genitori dello stesso sesso. In quest’ultimo caso, l’assenza di obblighi per gli Stati membri in materia di stato civile è stata chiaramente ribadita (84).

88.      Ritengo pertanto che la questione degli effetti del riconoscimento in uno Stato membro degli atti o delle decisioni relativi all’indicazione del sesso emessi in un altro Stato membro si ponga in una prospettiva diversa da quella affrontata dalla Corte in relazione al nome (85).

89.      Infatti, nella sentenza Coman e a., per quanto la Corte abbia ravvisato l’obbligo per uno Stato membro di riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto in un altro Stato membro conformemente alla normativa di quest’ultimo, essa ha tuttavia precisato che tale matrimonio deve essere riconosciuto ai soli fini della concessione di un diritto di soggiorno derivato a un cittadino di uno Stato terzo, senza che tale obbligo di riconoscimento comporti, per detto Stato membro, di prevedere, nella normativa nazionale, l’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso (86).

90.      Nella sentenza Pancharevo, la Corte ha dichiarato che le autorità di uno Stato membro devono rilasciare al proprio cittadino una carta d’identità o un passaporto sulla base di un atto di nascita emesso in un altro Stato membro, indipendentemente dall’emissione di un nuovo atto di nascita in un registro nazionale, dato che deve essere riconosciuto il primo atto (87).

91.      In tali due sentenze, la Corte ha inserito la sua decisione nel solco della sua giurisprudenza consolidata sugli effetti transfrontalieri di un nome attribuito o scelto. Essa ha richiamato la competenza degli Stati membri in materia di stato delle persone (88) e l’obbligo di garantire i diritti derivanti dall’articolo 21 TFUE, obbligo che impone quindi il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso (89) o del rapporto di filiazione nei confronti di genitori dello stesso sesso, registrato in un altro Stato membro (90). In quest’ultimo caso, l’atto di stato civile formato in uno Stato membro stabiliva l’esistenza di rapporti di filiazione al solo fine del rilascio di un documento di viaggio da parte di un altro Stato membro ai propri cittadini (91), senza alcun effetto sulla tenuta dei registri di stato civile di tale Stato membro.

92.      Di conseguenza, alla luce di dette sentenze, la soluzione da adottare in materia di riconoscimento e di iscrizione in un registro di stato civile di un cambiamento di genere a seguito di una dichiarazione relativa all’identità di genere acquisita in un altro Stato membro, basata sul duplice imperativo dell’autonomia personale (92) e della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione (93), deve, a mio avviso, prevedere alcuni limiti.

93.      Tale soluzione consisterebbe nel limitare l’obbligo per gli Stati membri di annotare la modifica degli elementi identificativi di un individuo secondo il genere scelto solo sul suo atto di nascita, qualora essa possa avere effetti su altri atti di stato civile. In termini generali, la risposta della Corte al giudice del rinvio limiterebbe gli effetti in materia di stato civile dei principi derivanti dall’articolo 21 TFUE agli elementi identificativi dell’interessato (94) che servono in particolare per i suoi spostamenti nel territorio dell’Unione, ossia in vista del rilascio di una carta d’identità o di un passaporto (95).

94.      Detta soluzione avrebbe come conseguenza che l’aggiornamento degli atti di stato civile relativi ai familiari dell’interessato non sarebbe obbligatorio, ai sensi del diritto dell’Unione, in quanto tale aggiornamento implicherebbe il conseguente riconoscimento nei registri di stato civile del matrimonio di persone dello stesso sesso (96) o di filiazioni stabilite nei confronti di genitori dello stesso sesso (97), che non può essere imposto agli Stati membri in applicazione del diritto dell’Unione.

95.      In una prospettiva del genere, il palliativo per la discrepanza tra gli atti di stato civile dei membri di una coppia o di una stessa famiglia, basato sull’articolo 21 TFUE, già enunciato dalla Corte, potrebbe essere adattato nel senso che la dichiarazione di identità di genere produrrebbe i suoi effetti su quanto indicato negli atti di stato civile già esistenti solo al momento del rilascio di una carta d’identità, di un titolo di soggiorno o di un passaporto, conformemente alla giurisprudenza della Corte nelle sentenze Coman e a. e Pancharevo.

96.      Tale soluzione non è certamente soddisfacente dal punto di vista del diritto al rispetto della vita familiare e dell’interesse superiore del minore, in quanto la persona transgender deve poter dimostrare i suoi legami familiari stabiliti mediante atti di stato civile. Infatti ritengo che, per quanto la dissociazione del rilascio di un documento amministrativo dalla tenuta dello stato civile sia concepibile ai fini dell’uscita dal territorio di cui la persona ha la cittadinanza, essa non risponde all’esigenza di una vita esente da complicazioni amministrative in caso di suo ritorno (98).

97.      Tuttavia, poiché il riconoscimento in uno Stato membro di un cambiamento relativo all’identità di un cittadino dell’Unione intervenuto in un altro Stato membro si basa sull’articolo 21 TFUE, solo gli Stati membri sono competenti a stabilire le conseguenze in materia di stato delle persone che deriverebbero dall’allineamento di tutti gli atti di stato civile (99).

98.      La Corte EDU ritiene inoltre che occorra procedere ad un bilanciamento tra gli interessi pubblici in gioco nell’ambito dell’organizzazione dello stato civile (100) e il riconoscimento dell’identità di genere delle persone (101). A tal proposito, occorre tenere conto delle diverse esigenze negli Stati membri (102).

99.      Pertanto, ritengo che l’articolo 21 TFUE dovrebbe essere interpretato nel senso che esso osta a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino di riconoscere e di iscrivere, senza alcun procedimento, nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro la sua identità di genere acquisita in un altro Stato membro, di cui è parimenti cittadino. L’esistenza nel diritto nazionale di una procedura per il cambiamento di sesso o di genere non può giustificare un tale diniego.

100. Alla luce dell’insieme degli elementi esposti in relazione ai cambiamenti di prenome e di genere ottenuti in un altro Stato membro e tenuto conto delle circostanze della causa di cui al procedimento principale, proporrò alla Corte una risposta alle questioni sollevate dal giudice del rinvio in materia di stato civile limitata all’atto di nascita del cittadino dell’Unione interessato, formulata in termini generali e completata da una precisazione sull’assenza di impatto del recesso del Regno Unito dall’Unione.

V.      Conclusione

101. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Judecătoria Sectorului 6 București (Tribunale di primo grado del 6º distretto di Bucarest, Romania):

1)      L’articolo 21 TFUE nonché gli articoli 7 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

devono essere interpretati nel senso che:

essi ostano a che le autorità di uno Stato membro rifiutino di riconoscere e di iscrivere nell’atto di nascita di un cittadino di tale Stato membro il prenome e l’identità di genere legalmente dichiarati e acquisiti in un altro Stato membro, di cui è parimenti cittadino.

L’esistenza di procedure giudiziarie o amministrative per il cambiamento di sesso o di genere non può essere un ostacolo a un tale riconoscimento automatico.

Per contro, il diritto dell’Unione non pregiudica la competenza degli Stati membri a prevedere, nel loro diritto nazionale, gli effetti di tale riconoscimento e di tale iscrizione in altri atti di stato civile nonché in materia di stato delle persone, tra cui rientrano le norme sul matrimonio e sulla filiazione.

2)      Il fatto che la domanda di riconoscimento e di iscrizione in un registro di stato civile del cambiamento di prenome e di genere acquisiti nel Regno Unito sia stata presentata in uno Stato membro dell’Unione in una data in cui il diritto dell’Unione non era più applicabile nel Regno Unito è irrilevante.


1      Lingua originale: il francese.


i      Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.


2      In prosieguo: la «Carta».


3      Si tratta della Direcția de Evidență a Persoanelor Cluj, Serviciul stare civilă (direzione dell’anagrafe di Cluj, servizio di stato civile, Romania) (in prosieguo: il «servizio di stato civile di Cluj»); della Direcția pentru Evidența Persoanelor și Administrarea Bazelor de Date din Ministerul Afacerilor (direzione responsabile dei registri dello stato civile e della gestione delle banche dati del Ministero degli Affari interni, Romania), e del Municipiul Cluj-Napoca (Comune di Cluj-Napoca, Romania).


4      Sottolineo che l’oggetto della controversia non è la rettifica dell’indicazione del sesso nell’atto di nascita, ma l’iscrizione in esso del riconoscimento di una dichiarazione di identità di genere, cioè l’affermazione della convinzione di appartenere a un genere diverso da quello corrispondente al sesso assegnato alla nascita, attestata da un certificato. Si tratta quindi di operare una distinzione, in materia di stato civile, tra «un riferimento morfologico e una percezione psicosociale» (v. Gallus, N., «L’enregistrement du nouveau sexe de la personne transgenre – L’évolution en droit belge : entre l’exigence du respect de la vie privée et la sécurité juridique de l’organisation de l’état civil», Revue trimestrielle des droits de l’homme, n. 133, Nemesis, Bruxelles, 2023, pagg. da 247 a 264, in particolare pag. 252). V., inoltre, relazione della direzione generale «Giustizia e consumatori» della Commissione europea, intitolata «Legal gender recognition in the EU: the journeys of trans people towards full equality», giugno 2020, punto 1.6.3, pagg. 27 e 28. V. anche Moron-Puech, B., «Regards comparatistes sur la mention du sexe à l’état civil pour les personnes transgenres et intersexuées», in Courduriès, J., Dourlens, C., e Hérault, L, État civil et transidentité – Anatomie d’une relation singulière : genre, identité, filiation, Presses universitaires de Provence, Aix-en-Provence, 2021, pagg. da 211 a 249, in particolare da 214 a 217. Un glossario trilingue (inglese, francese, tedesco) si trova nell’allegato II del rapporto dell’International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association (ILGA) Europe, intitolato «Report on “transsexuality and international private law”», disponibile al seguente indirizzo Internet: https://transexualia.org/wp-content/uploads/2015/03/Legal_ilgalaw.pdf. Per un altro glossario in lingua francese o inglese, v. glossario della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), del Consiglio d’Europa.


5      Propongo alla Corte di utilizzare tale termine in quanto indica il fatto di diventare titolare di un diritto o beneficiario di un nuovo stato.


6      GU 2020, L 29, pag. 7; in prosieguo: l’«accordo di recesso».


7      GU 2020, L 29, pag. 1.


8      Monitorul Oficial al României, parte I, n. 282 dell’11 novembre 1996.


9      Monitorul Oficial al României, parte I, n. 68 del 2 febbraio 2003. Come confermato dall’articolo 411 della legge n. 119/1996, che sostituisce tale articolo a partire dal 2 maggio 2022, il termine «nome» deve essere inteso come comprensivo del cognome o del prenome.


10      V. modelli degli atti di stato civile allegati alla legge n. 119/1996. L’articolo 14, paragrafo 3, delle Norme Metodologice de aplicare unitară a dispozițiilor legale privind evidența, domiciliul, reședința și actele de identitate ale cetățenilor români (norme metodologiche per l’applicazione uniforme delle disposizioni legislative relative al registro della popolazione, al domicilio, alla residenza e ai documenti d’identità delle persone di cittadinanza rumena), approvate con l’Hotărârea Guvernului nr. 1375/2006 (decisione del Governo n. 1375/2006), del 4 ottobre 2006 (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 851 del 17 ottobre 2006), spiega come si forma tale codice. La prima cifra indica il sesso e il secolo di nascita. La cifra 1 è assegnata alle persone di sesso maschile nate tra il 1900 e il 1999, mentre la cifra 2 è assegnata alle persone di sesso femminile nate tra il 1900 e il 1999. Per il periodo tra il 2000 e il 2099, le cifre sono rispettivamente 5 e 6.


11      V. Ordonanța de urgență a Guvernului nr. 97/2005 privind evidența, domiciliul, reședința și actele de identitate ale cetățenilor români (decreto-legge del governo n. 97/2005 relativa al registro alle persone, al domicilio, alla residenza e ai documenti d’identità dei cittadini rumeni), del 14 luglio 2005 (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 641 del 20 luglio 2005), e Hotărârea Guvernului nr. 557/2006 privind stabilirea datei de la care se pun în circulaţie paşapoartele electronice, precum și a formei și conținutului acestora (decisione del Governo n. 557/2006 di determinazione della data di messa in circolazione dei passaporti elettronici, nonché della loro forma e del loro contenuto), del 26 aprile 2006 (Monitorul Oficial al României, parte I, n. 376 del 2 maggio 2006).


12      Per informazioni dettagliate sulla legislazione attuale e sulla prassi, v., rispettivamente, ai seguenti indirizzi Internet: https://uk.westlaw.com/Document/I5F92B790E42311DAA7CF8F68F6EE57AB/View/FullText.html?originationContext=document&transitionType=DocumentItem&vr=3.0&rs=PLUK1.0&contextData=(sc.Search)&firstPage=true e https://www.gov.uk/apply-gender-recognition-certificate.


13      In prosieguo: il «GRC».


14      V. iscrizione figurante nel GRC inserito nel fascicolo del procedimento principale [«Warning: A certificate is not evidence of identity» (Attenzione: un certificato non costituisce una prova di identità») (traduzione libera)], nonché sentenza della Corte EDU del 19 gennaio 2021, X e Y c. Romania (EC:ECHR:2021:0119JUD000214516, § 32); in prosieguo: la «sentenza X e Y c. Romania».


15      Per i dettagli pratici, v. al seguente indirizzo Internet https://www.gov.uk/change-name-deed-poll.


16      Propongo alla Corte di utilizzare «il ricorrente» in quanto il cambiamento di genere è stato giuridicamente riconosciuto in uno Stato membro.


17      In prosieguo: la «Corte EDU».


18      Il ricorrente ha fatto riferimento alla sentenza X e Y c. Romania.


19      C‑148/02; in prosieguo: la «sentenza Garcia Avello», EU:C:2003:539.


20      C‑353/06; in prosieguo: la «sentenza Grunkin e Paul», EU:C:2008:559.


21      C‑541/15; in prosieguo: la «sentenza Freitag», EU:C:2017:432.


22      C‑490/20; in prosieguo: la «sentenza Pancharevo», EU:C:2021:1008.


23      GU 2012, L 351, pag. 1. V. articolo 1, paragrafo 2, di tale regolamento.


24      Convenzione firmata a Bruxelles il 27 settembre 1968 (GU 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalle successive convenzioni relative all’adesione dei nuovi Stati membri a tale convenzione (GU 1998, C 27, pag. 1).


25      GU 2003, L 338, pag. 1. Lo       stesso vale per il regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (GU 2019, L 178, pag. 1, e rettifica GU 2020, L 347, pag. 52), che ha abrogato il regolamento n. 2201/2003 con effetto dal 1º agosto 2022.


26      GU 2016, L 200, pag. 1.


27      COM(2010) 747 definitivo. V. Mirisch-Krueger, M., «Filling the Legal Void in Interstate Legal Gender Recognition in the European Union: A U.S. Style Full Faith and Credit Clause and Coman-Based Approach», Southwestern Journal of International Law, vol. 28, n. 1, 2022, pagg. da 210 a 229, in particolare pag. 213 sulla constatazione dell’assenza di uniformità delle norme in materia di riconoscimento giuridico del genere. V., inoltre, per un’illustrazione delle varie soluzioni a disposizione del legislatore dell’Unione, pagg. 216 e seguenti. V., in particolare, pagg. 217 e seguenti [titolo II, B, intitolato «Adozione di una “full faith and credit clause” in Europa a beneficio del riconoscimento interstatale del genere» (traduzione libera)], per un’analisi, ispirata al diritto americano (articolo IV, sezione 1 della Costituzione), a favore dell’enunciazione di un principio fondamentale di fiducia reciproca all’intero dell’Unione ai fini del riconoscimento automatico dell’identità di genere tra gli Stati membri.


28      V. sentenza Freitag [punto 33, in cui sono citate le sentenze Garcia Avello (punto 25); Grunkin e Paul (punto 16); del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punti 38 e 39); del 12 maggio 2011, Runevič-Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 63), nonché del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff (C-438/14; in prosieguo: la «sentenza Bogendorff», EU:C:2016:401, punto 32)].


29      Sentenza Pancharevo [punto 52, che rinvia alla sentenza del 5 giugno 2018, Coman e a. (C‑673/16; in prosieguo: la «sentenza Coman e a.», EU:C:2018:385, punti da 36 a 38, nonché giurisprudenza citata)]


30      V. sentenze Garcia Avello (punto 27) e Freitag (punto 34).


31      V., in tal senso, sentenze Coman e a. (punto 31 e giurisprudenza citata), nonché Pancharevo (punto 42).


32      V., in tal senso, sentenza del 9 giugno 2022, Préfet du Gers e Institut national de la statistique et des études économiques (C‑673/20, EU:C:2022:449, punti da 55 a 58 e 79).


33      Su tale qualificazione, v. sentenza del 14 marzo 2024, Commissione/Regno Unito (Sentenza della Corte suprema) (C‑516/22, EU:C:2024:231, punto 53).


34      V., per analogia, per quanto riguarda gli effetti degli atti formati prima dell’adesione di uno Stato all’Unione, sentenza del 12 maggio 2011, Runevič-Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 55).


35      V. paragrafo 25 delle presenti conclusioni.


36      Al riguardo, osservo che l’unica decisione della Corte in cui sono fornite precisazioni sul tipo di atto di stato civile presentato, sulla sua legalizzazione e sulla sua traduzione è la sentenza Pancharevo (punto 20). Nella causa che ha dato luogo alla sentenza Freitag, l’interessato aveva presentato il suo passaporto (punto 20). Nessuna particolare indicazione sui documenti presentati alle autorità tedesche è fornita nella sentenza Bogendorff, il cui punto 15 precisa che il cambiamento di nome e di cognome risulta da una dichiarazione (deed poll). Nella sentenza Grunkin e Paul, l’oggetto della controversia era il cognome di un figlio tedesco, iscritto nel suo atto di nascita redatto in Danimarca.


37      V., a titolo di confronto, per quanto riguarda la dichiarazione (deed poll), sentenza Bogendorff (punto 15) e, per quanto riguarda la natura definitiva del GRC, sentenza del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di fine lavoro) (C‑451/16, EU:C:2018:492, punto 11). In udienza, il ricorrente ha dichiarato che la sua dichiarazione (deed poll) era stata registrata nel febbraio 2017 e che, non essendo coniugato, aveva ottenuto un certificato di riconoscimento di genere definitivo. V. articolo 4, paragrafo 2, della legge del 2004 sul riconoscimento del genere.


38      V. sentenze Bogendorff e Freitag. La Corte ha successivamente pronunciato due decisioni in materia di status personale che riguardavano il matrimonio o la nascita di un cittadino dell’Unione registrati in un altro Stato membro. Tuttavia, da esse non si può trarre alcun argomento relativo agli obblighi in materia di tenuta dello stato civile. Tali decisioni riguardano le conseguenze amministrative che atti di stato civile formati in uno Stato membro devono produrre in un altro Stato membro. Esse sono indipendenti da una registrazione, in qualsiasi forma, da parte di un servizio incaricato della tenuta dello stato civile nel secondo Stato membro [v. sentenze Coman e a. (punto 45, ultime due frasi) e Pancharevo (punto 57)]. V. anche paragrafi da 89 a 91 delle presenti conclusioni.


39      V. sentenza Bogendorff (punto 35). La Corte ha fatto riferimento, per quanto riguarda l’articolo 8 della CEDU, alle sentenze del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punto 52 e giurisprudenza citata), nonché del 12 maggio 2011, Runevič-Vardyn e Wardyn (C‑391/09, EU:C:2011:291, punto 66).


40      V. sentenza Freitag (punti 36 e 37, nonché giurisprudenza citata). V., inoltre, sentenza Bogendorff (punto 38), per quanto riguarda il prenome.


41      V. sentenza Freitag (punti 41 e 42).


42      V. sentenze Garcia Avello e Grunkin e Paul.


43      V. sentenze Bogendorff e Freitag.


44      V., al riguardo, paragrafo 36 delle presenti conclusioni. V., inoltre, sul metodo di riconoscimento, Jault-Seseke, F., e Pataut, E., «Le citoyen européen et son nom», Europa als Rechts- und Lebensraum: Liber amicorum für Christian Kohler zum 75. Geburtstag, Gieseking Verlag, Bielefeld, 2018, p agg. da 371 a 384, in particolare pag. 377, nonché Gössl, S., e Melcher, M., «Recognition of a status acquired abroad in the EU. – A challenge for national laws from evolving traditional methods to new forms of acceptance and bypassing alternatives», Cuadernos de derecho transnacional, vol. 14, n. 1, Universidad Carlos III de Madrid, Madrid, 2022, pagg. da 1012 a 1043, in particolare pag. 1041.


45      V., a titolo illustrativo, convenzione della Commissione internazionale sullo stato civile (CISC) n. 29, relativa al riconoscimento delle decisioni che constatano un cambiamento di sesso, adottata all’Assemblea generale di Lisbona il 16 settembre 1999 e firmata a Vienna il 12 settembre 2000. Tale convenzione, aperta alla firma di ogni Stato membro della CISC o dell’Unione, è entrata in vigore il 1º marzo 2011. Essa è stata firmata dalla Repubblica federale di Germania, dalla Repubblica ellenica nonché dalla Repubblica d’Austria ed è stata ratificata dal Regno di Spagna e dal Regno dei Paesi Bassi. Essa ha come oggetto quello di ammettere un controllo rafforzato diretto a inquadrare la volontà individuale con riferimento ad alcune norme abituali del diritto internazionale privato. V., inoltre, commento di Guez, P., «Identité de genre et droit international privé», in Gallus, N., Droit des familles, genre et sexualité, Anthemis, Limal, 2012, pagg. da 115 a 137, in particolare pagg. da 132 a 134.


46      V. punto 38 di tale sentenza.


47      V. paragrafo 26 delle presenti conclusioni.


48      V., a titolo di confronto, Gössl, S., e Melcher, M., op. cit. in particolare pag. 1039, nota 216.


49      V., in tal senso, sentenza Freitag (punto 42).


50      V., in tal senso, sentenza Bogendorff (punto 83).


51      C‑451/16, EU:C:2018:492.


52      V. punto 29 di tale sentenza. In tale punto, la Corte ha ricordato la sua giurisprudenza costante secondo la quale «gli Stati membri devono (...), nell’esercizio di tale competenza, rispettare il diritto dell’Unione e, in particolare le disposizioni relative al divieto di discriminazione (v. in tal senso, segnatamente, sentenze del 27 aprile 2006, Richards, C‑423/04, EU:C:2006:256, punti da 21 a 24; del 1º aprile 2008, Maruko, C‑267/06, EU:C:2008:179, punto 59, nonché [Coman e a.], punti 37 e 38 e giurisprudenza citata)».


53      Al punto 27 di detta sentenza, la Corte ha precisato che «la controversia principale e la questione presentata alla Corte vertono unicamente sui presupposti della concessione della pensione statale di fine lavoro di cui trattasi nel procedimento principale. La Corte non è chiamata quindi a risolvere la questione se, in via generale, il riconoscimento giuridico di un cambiamento di sesso possa essere subordinato all’annullamento di un matrimonio contratto anteriormente al cambiamento di sesso».


54      V. punti da 36 a 39 di tale sentenza.


55      Sulla questione dell’assenza di indicazione del sesso al momento della registrazione allo stato civile in alcuni Stati membri della nascita di un bambino, al quale non può essere assegnato né un sesso femminile né un sesso maschile, v. Goessl, S., L., «From question of fact to question of law to question of private international law: the question whether a person is male, female, or...?», Journal of Private International Law, vol. 12, n. 2, Hart Publishing, Oxford, 2016, pagg. da 261 a 280, in particolare pag. 263, nota 8. Per un richiamo degli elementi di diritto comparato, v. sentenza della Corte EDU del 31 gennaio 2023, Y c. Francia (CE:ECHR:2023:0131JUD007688817, § 37). Sulla constatazione dell’assenza di un consenso europeo in materia, v. § 90 di tale sentenza.


56      V., in tal senso, Guez, P., op. cit. in particolare pag. 135. V., inoltre, tesi sull’autodeterminazione in materia di genere nel diritto internazionale privato di Schulz, A., Geschlechtliche Selbstbestimmung im Internationalen Privatrecht, Mohr Siebeck, Tubinga, 2024, pag. 222.


57      V. Župan, M. e Drventić, M., «Gender Issues in Private International Law», Gender Perspectives in Private Law, Springer, Cham, 2023, pagg. da 1 a 28, in particolare pag. 10.


58      V., ad esempio, cognomi polacchi che assumono la forma di un aggettivo con suffissi specifici (come -ski, -cki, -dzki) e che si declinano al femminile nella lingua polacca. Così, il nome di una persona di sesso femminile è registrato con un suffisso che termina in «a» anziché in «i». V., al riguardo, https://rjp.pan.pl/dziaalno-rady-w-zwizku-z-ustaw-o-jzyku-polskim?view=article&id=114:nazwiska-kobiet&catid=48.


59      V. sentenza Bogendorff (punto 35).


60      Sul diritto di ogni persona di stabilire dettagli della propria identità, attraverso il riconoscimento della sua conversione sessuale sul piano giuridico, v., in particolare, sentenze della Corte EDU dell’11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito (CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, §§ da 71 a 93), e del 23 maggio 2006, Grant c. Regno Unito (CE:ECHR:2006:0523JUD003257003, §§ da 39 a 44). Nella sentenza del 17 febbraio 2022, Y c. Polonia (CE:ECHR:2022:0217JUD007413114, § 76), la Corte EDU ha ricordato, da un lato, che, nell’attuazione del loro obbligo positivo ad essi incombente ai sensi dell’articolo 8 della CEDU, gli Stati godono di un certo margine di discrezionalità. Per determinare l’ampiezza di tale margine occorre tenere conto di una serie di fattori. Dall’altro lato, nel contesto della «vita privata», tale Corte, facendo riferimento alle sue sentenze dell’11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito (CE:CEDU:2002:0711JUD002895795, § 90), e del 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia (CE:CEDU:2014:0716JUD003735909, § 67), ha dichiarato che, quando è in gioco un aspetto particolarmente importante dell’esistenza o dell’identità di una persona, il margine lasciato allo Stato sarà limitato. Per un’esposizione dettagliata della giurisprudenza della Corte EDU al 31 agosto 2023, v. Guide sur la jurisprudence de la Convention européenne des droits de l’homme – Droits des personnes LGBTI (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://ks.echr.coe.int/documents/d/echr-ks/guide_lgbti_rights_fre), che contiene una parte II, B, 1, b), intitolata «Reconnaissance du genre (c’est-à-dire modification de la mention du sexe sur les documents officiels)», nonché, per un’esposizione cronologica della giurisprudenza della Corte EDU al mese di gennaio 2023, v. scheda tematica dell’Ufficio Stampa intitolata «Identità di genere» (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/FS_Gender_identity_ITA.


61      Per un’analisi dei presupposti che possono essere presi in considerazione sulla base dell’articolo 8 della CEDU ai fini del riconoscimento di uno status sancito giuridicamente all’estero, v. Pfeiff, S., «Existe-t-il un droit fondamental à la permanence transfrontière des éléments du statut personnel et familial ?», in Jafferali, R. et al, Liber amicorum Nadine Watté, Bruylant, Bruxelles, 2017, pagg. da 461 a 485, in particolare pagg. 471 e seguenti, punti 7 e seguenti.


62      V. riferimento alla giurisprudenza nella Guida all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza, aggiornata al 31 agosto 2022, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.echr.coe.int/documents/d/echr/Guide_Art_8_ITA (punti 271 e 272). Per quanto riguarda il cambiamento di nome nell’ambito di un percorso di transizione sessuale, v. sentenza della Corte EDU dell’11 ottobre 2018, S.V. c. Italia (EC:ECHR:2018:1011JUD005521608, § da 70 a 75).


63      V., in particolare, sentenza X e Y c. Romania (§§ da 146 a 148). Per un’esposizione dettagliata della giurisprudenza della Corte EDU al 31 agosto 2023 relativa agli obblighi negativi e positivi degli Stati nonché al loro margine di discrezionalità, v. guida citata alla nota 60 delle presenti conclusioni, parte II, A, 2 e 3, punti da 43 a 54. Sul riconoscimento giuridico del genere delle persone intersessuali, v. sentenza della Corte EDU del 31 gennaio 2023, Y c. Francia (CE:ECHR:2023:0131JUD007688817).


64      V. documento intitolato «Trans Rights Map, Europe and Central Asia 2023» pubblicato dall’organizzazione non governativa Transgender Europe (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://transrightsmap.tgeu.org/home/) per un aggiornamento delle informazioni tratte dalla sentenza X e Y c. Romania (§§ 84 e seguenti). In due Stati membri (la Bulgaria e l’Ungheria), il riconoscimento dell’identità di genere è impossibile. Per quanto riguarda quest’ultimo Stato, v. causa attualmente pendente Deldits (C‑247/23). Nella relazione della DG «Giustizia e consumatori» della Commissione citata alla nota 4 delle presenti conclusioni, pag. 7, si afferma che gli Stati membri che hanno basato le loro procedure sull’autodeterminazione (v. nota 70 delle presenti conclusioni per un elenco aggiornato di tali Stati) rispettano pienamente i Yogyakarta principles (principi di Yogyakarta) + 10 (Principi complementari e obblighi degli Stati per quanto riguarda l’applicazione del diritto internazionale in materia di diritti umani in relazione all’orientamento sessuale, all’identità di genere, all’espressione di genere e alle caratteristiche di genere, per integrare i principi di Yogyakarta), adottati nel mese di novembre 2017 (v. https://yogyakartaprinciples.org/introduction-pj10/). A tali principi, nella loro versione adottata nel 2007, si fa riferimento nella sentenza del 25 gennaio 2018 nella causa F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 62), nelle conclusioni dell’avvocato generale Wahl nella causa F (C‑473/16, EU:C:2017:739, nota 21), e nelle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2111, nota 47), o nelle cause riunite X e a. (da C‑199/12 a C‑201/12, EU:C:2013:474, nota 28).


65      V. paragrafo 72 delle presenti conclusioni.


66      V. punto 7 di tale sentenza.


67      C‑212/97, EU:C:1999:126.


68      V. sentenza Bogendorff (punto 57).


69      V., in particolare, sentenza Garcia Avello (punti 42 e 44).


70      Tale è attualmente il caso dei seguenti Stati membri: il Belgio, la Danimarca, l’Irlanda, la Spagna, il Lussemburgo, Malta, il Portogallo e la Finlandia. V. mappa citata nella nota 64 delle presenti conclusioni. Sulla riforma legislativa belga intervenuta nel 2017, v. Gallus, N., op. cit. in particolare pag. 258. V., inoltre, in Germania, progetto di legge «SBGG» [Gesetz über die Selbstbestimmung in Bezug auf den Geschlechtseintrag und zur Änderung weiterer Vorschriften (legge sull’autodeterminazione quanto alla menzione del genere e recante modifica di altre disposizioni)], che dovrebbe sostituire il Gesetz über die Änderung von Vornamen und die Feststellung der Geschlechtszugehörigkeit in besonderen Fällen (Transsexuellengesetz – TSG) (legge sul cambiamento dei prenomi e sulla determinazione dell’appartenenza sessuale in casi particolari – legge sui transessuali), del 10 settembre 1980, attualmente in discussione al Bundestag (Assemblea federale, Germania). L’entrata in vigore di tale futura legge è prevista per il mese di novembre 2024. V. https://www.bmj.de/SharedDocs/Gesetzgebungsverfahren/DE/2023_Selbstbestimmung.html?nn=17592.


71      La Corte EDU ha dichiarato che il rigetto della domanda di persone transgender di modifica del loro stato civile, in ragione del fatto di non aver dimostrato il carattere irreversibile della trasformazione del loro aspetto, ossia non aver dimostrato di essersi sottoposte a un’operazione di sterilizzazione o a un trattamento medico implicante un’altissima probabilità di sterilità, costituisce un inadempimento da parte dello Stato convenuto del suo obbligo positivo di garantire il diritto delle persone transgender al rispetto della loro vita privata [v. sentenza del 6 aprile 2017, A.P., Garçon e Nicot c. Francia (CE:ECHR:2017:0406JUD007988512, § 135)].


72      V., inoltre, raccomandazioni emesse da organismi internazionali che invitano gli Stati ad adottare procedure volte a consentire il cambiamento di nome e di sesso nei documenti ufficiali in modo rapido, trasparente e accessibile, ricordate nella sentenza X e Y c. Romania (§ 153). Per ulteriori dettagli sulle legislazioni nazionali, v. mappa citata nella nota 64 delle presenti conclusioni.


73      V., al riguardo, paragrafo 55 delle presenti conclusioni.


74      V., in questo senso, sentenza Freitag (punto 46).


75      V., al riguardo, Jault-Seseke, F. e Pataut, E., op. cit. Tali autori commentano le sentenze Bogendorff e Freitag (pagg. da 373 a 376) e suggeriscono due tipi di controllo: quello relativo all’esistenza di stretti legami (pag. 381), nonché quello relativo all’ordine pubblico e all’abuso di diritto (pag. 383). V., inoltre, Wautelet, P., «L’abus de droit comme limite à la circulation des personnes et de leur statut dans un monde globalisé», La circulation des personnes et de leur statut dans un monde globalisé, LexisNexis, Parigi, 2019, pagg. da 293 a 305, in particolare pagg. 296 nonché da 303 a 305. V., infine, Hammje, P., «Reconnaissance par un État membre du nom patronymique acquis par l’un de ses nationaux auprès d’un autre État membre dont il aussi la nationalité», Revue critique de droit international privé, n. 4, Dalloz, Parigi, 2017, pagg. da 549 a 559, in particolare pagg. 558 e 559, punto 20. V., inoltre, risoluzione dell’Institut de Droit International intitolata «Droits de la personne humaine et droit international privé» (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.idi-iil.org/app/uploads/2021/09/2021_online_04_fr.pdf). La versione in lingua francese di tale risoluzione è stata pubblicata anche in Revue critique de droit international privé, n. 4, 2021, pag. 939), articolo 10, citato da Kohler, C., «Status und Mobilität in der Europäischen Union», Praxis des Internationalen Privat- und Verfahrensrechts (IPRax), Gieseking, Bielefeld, n. 3, 2022, pagg. da 226 a 231, in particolare pagg. 230 e seguenti, autore citato da Schulz, A., op. cit.


76      V., a titolo di confronto in materia di nomi, sentenza Bogendorff (punti 48 e seguenti).


77      La Corte EDU ha valutato che «il contesto normativo rumeno in materia di riconoscimento giuridico del genere non era chiaro né, quindi, prevedibile» (§ 157).


78      V., per quanto riguarda i principi di equivalenza e di effettività richiamati dalla Corte in materia di cambiamento di nome, sentenza Freitag (punti 41 e 42).


79      V., ad esempio, sentenza Bogendorff (punto 46).


80      V., in particolare, sentenza del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di fine lavoro) (C‑451/16, EU:C:2018:492).


81      V., in tal senso, sentenza Bogendorff (punti 35 e 46).


82      V. paragrafo 62 delle presenti conclusioni.


83      Non si tratta in tal sede di affrontare gli effetti futuri sullo status personale della dichiarazione relativa all’identità di genere, che sono di competenza degli Stati membri, nel rispetto del diritto dell’Unione. La Corte EDU si è pronunciata sull’applicazione dell’articolo 12 della CEDU alle persone transessuali che desiderano coniugarsi. V. sentenza dell’11 luglio 2002, Christine Goodwin c. Regno Unito (CE:ECHR:2002:0711JUD002895795, § 103), relativa al matrimonio con una persona di sesso opposto al sesso da ultimo assegnato. Nella sentenza del 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria (CE:ECHR:2010:0624JUD003014104, §§ 61 e 63), la Corte EDU, tenendo conto dell’articolo 9 della Carta, ha dichiarato di non poter più ritenere che il diritto di sposarsi dovesse essere limitato in ogni circostanza al matrimonio tra due persone di sesso opposto. Tuttavia, essa ha valutato che l’articolo 12 della CEDU non imponeva agli Stati contraenti l’obbligo di aprire il matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Per quanto riguarda l’indicazione nei registri dello stato civile relativo a un minore che una delle persone aventi lo status genitoriale è transgender e l’ampio margine discrezionale degli Stati in materia, v. sentenza del 4 aprile 2023, O.H. e G.H. c. Germania (CE:ECHR:2023:0404JUD005356818, §§ 114 e 116).


84      V. sentenza Pancharevo (punto 45).


85      V., in tal senso, Schulz, A., op. cit., pag. 226.


86      V. punto 45 di tale sentenza.


87      V. punti 45 e 50 di tale sentenza. Ricordo che, nella causa che ha dato origine a detta sentenza, la controversia riguardava il rilascio di un atto di nascita bulgaro ai fini del rilascio di un documento d’identità bulgaro, sulla base di un «estratto del registro dello stato civile di Barcellona (Spagna), relativo all’atto di nascita [del minore in questione]» (v. punto 20 della medesima sentenza).


88      V. sentenze Coman e a. (punto 37) e Pancharevo (punto 52).


89      V. sentenza Coman e a. (punto 40).


90      V. sentenza Pancharevo (punti 49 e 52).


91      V. sentenza Pancharevo (punti da 48 a 50).


92      La Corte EDU ha dichiarato in particolare nella sua sentenza del 12 giugno 2003, Van Kück c. Germania (EC:ECHR:2003:0612JUD003596897, § 69), che, «[s]ebbene non sia stato stabilito in nessuna causa anteriore che l’articolo 8 della [CEDU] comporti un diritto all’autodeterminazione in quanto tale, [si] ritiene che la nozione di autonomia personale rifletta un principio importante alla base dell’interpretazione delle garanzie dell’articolo 8» (traduzione libera). Sull’evoluzione dei metodi classici di rinvio del diritto internazionale privato, v., in particolare, riferimenti in Schulz, A., op. cit. p ag. 213, nota 13.


93      Sulla proposta di riconoscimento dello status personale con l’obiettivo di tutelare il diritto dell’individuo alla conservazione del suo status e di garantire l’esercizio effettivo della sua libertà di circolazione, v. Pfeiff, S., La portabilité du statut personnel dans l’espace européen: de l’émergence d’un droit fondamental à l’élaboration d’une méthode européenne de la reconnaissance, Bruylant, Bruxelles, 2017, in particolare punto 354 (pag. 351). Su tale questione del riconoscimento delle situazioni giuridiche indotte dal diritto primario, v. Hübner, L., «Die Integration der primärrechtlichen Anerkennungsmethode in das IPR», Rabels Zeitschrift für ausländisches und internationales Privatrecht (RabelsZ), vol. 85, n. 1, Mohr Siebeck, Tubinga, 2021, pagg. da 106 a 145, in particolare pag. 114, citato da Schutz, A., op. cit. V., inoltre, per quanto riguarda il dibattito internazionale sull’assenza di esame alla luce delle norme sul conflitto di leggi, Kohler, C., op. cit. in particolare pag. 230.


94      Al riguardo, condivido il parere espresso nelle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Grunkin e Paul (C‑353/06, EU:C:2008:246, paragrafo 93).


95      Per quanto riguarda la normativa rumena applicabile in materia, nella sentenza del 22 febbraio 2024, Direcţia pentru Evidenţa Persoanelor şi Administrarea Bazelor de Date (C‑491/21, EU:C:2024:143), la Corte ha dichiarato che gli Stati membri sono obbligati a rilasciare ai propri cittadini una carta d’identità che possa valere come documento valido per l’espatrio, anche se la loro residenza si trova in un altro Stato membro.


96      Sulla questione della trascrizione di un atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, rilasciato in uno Stato membro, nei registri dello stato civile di un altro Stato membro che non riconosce un tale matrimonio, v. domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa Wojewoda Mazowiecki (C‑713/23), attualmente pendente. V., inoltre, sentenza del 16 luglio 2014, Hämäläinen v. Finlandia (EC:ECHR:2014:0716JUD003735909, §§ 64, 79 e 87), in cui la Corte EDU ha dichiarato che l’obbligo di dare un riconoscimento giuridico all’identità transessuale implica che lo Stato parte attui «un procedimento efficace e accessibile, in grado di consentire alla ricorrente di ottenere il riconoscimento giuridico del suo nuovo sesso pur mantenendo i suoi vincoli matrimoniali» (traduzione libera), ma non l’obbligo di riconoscere il matrimonio omosessuale.


97      Su tali conseguenze indirette, v. Eekelaar, J., «The Law, Gender and Truth», Human Rights Law Review, vol. 20, n. 4, Nottingham University Press, Nottingham, 2020, pagg. da 797 a 809, in particolare pag. 799. V., inoltre,  Kohler, C., op. cit., in particolare pagg. 230 e seguenti.


98      V. relazione della DG «Giustizia e consumatori» della Commissione citata alla nota 4 delle presenti conclusioni, in particolare punto 9.2, pagg. 179 e 180. V, inoltre, in tal senso, Thienpont, D., e Willems, G., «Le droit à la libre circulation des familles homoparentales consacré par la Cour de justice de l’Union européenne», Revue trimestrielle des droits de l’homme, n. 132, Nemesis, Bruxelles, 2022, pagg. da 925 a 959, in particolare pagg. da 948 a 951. V., inoltre, Rass-Masson, L., «La reconnaissance face aux incohérences du droit international privé européen de la famille (Coman et Hamilton)», in d’Avout, L., et al, «Droit international privé de l’Union européenne (2018)», Journal du droit international (Clunet), LexisNexis, Parigi, ottobre 2019, n. 4, raccolta n. 9, pagg. da 1420 a 1424, in particolare pag. 1421.


99      Per un’analisi comparativa delle conseguenze del riconoscimento dello status personale e dei corrispondenti obblighi imposti dalla Corte e dalla Corte EDU nel diritto positivo di sedici Stati membri, v. Gössl, S., e Melcher, M., op. cit., in particolare, conclusioni e proposte, pag. 1043.


100      V. sentenza della Corte EDU del 4 aprile 2023, O.H. e G.H. c. Germania (CE:ECHR:2023:0404JUD005356818, § 122 e giurisprudenza citata).


101      V. sentenza della Corte EDU del 17 febbraio 2022, Y c. Polonia (CE:ECHR:2022:0217JUD007413114, § 82), e Gallus, N., op. cit. in particolare pagg. 250 e 251.


102      V. nota 64 delle presenti conclusioni.