Language of document : ECLI:EU:C:2021:505

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

22 giugno 2021 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articoli 20 e 21 TFUE – Direttiva 2004/38/CE – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Decisione di porre fine al soggiorno dell’interessato per motivi di ordine pubblico – Misure preventive volte ad evitare qualsiasi rischio di fuga dell’interessato durante il periodo concessogli per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante – Disposizioni nazionali simili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE – Durata massima del trattenimento ai fini dell’allontanamento – Disposizione nazionale identica a quella applicabile ai cittadini di paesi terzi»

Nella causa C‑718/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Cour constitutionnelle (Corte costituzionale, Belgio), con decisione del 18 luglio 2019, pervenuta in cancelleria il 27 settembre 2019, nel procedimento

Ordre des barreaux francophones et germanophone,

Association pour le droit des Étrangers ASBL,

Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL,

Ligue des Droits de l’Homme ASBL,

Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL

contro

Conseil des ministres,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan (relatore) e N. Piçarra, presidenti di sezione, M. Safjan, D. Šváby, S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe, C. Lycourgos, P.G. Xuereb, L.S. Rossi e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: A. Rantos

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 novembre 2020,

considerate le osservazioni presentate:

–        per l’Association pour le droit des Étrangers ASBL, la Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL, la Ligue des Droits de l’Homme ASBL e la Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL, da M. Van den Broeck, advocaat, e da P. Delgrange e S. Benkhelifa, avocates;

–        per il governo belga, da L. Van den Broeck, M. Jacobs e C. Pochet, in qualità di agenti, assistite da D. Matray, C. Decordier, S. Matray e C. Piront, avocats, e da T. Bricout, advocaat;

–        per il governo danese, da J. Nymann-Lindegren, P. Jespersen e S. Wolff, in qualità di agenti;

–        per il governo spagnolo, da J. Rodríguez de la Rúa Puig, in qualità di agente;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da A. Azéma ed E. Montaguti, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 febbraio 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 20 e 21 TFUE nonché della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2014, L 305, pag. 116).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da una parte, l’Ordre des barreaux francophones et germanophone, l’Association pour le droit des Étrangers ASBL, la Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers ASBL, la Ligue des Droits de l’Homme ASBL e la Vluchtelingenwerk Vlaanderen ASBL e, dall’altra, il Conseil des ministres (Consiglio dei ministri, Belgio), in merito a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, da un lato, misure simili a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi per evitare qualsiasi rischio di fuga di tali cittadini in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione di una decisione di rimpatrio e, dall’altro, un periodo massimo di trattenimento ai fini dell’allontanamento identico a quello applicabile a tali cittadini.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Direttiva 2004/38

3        I considerando da 1 a 3 e 31 della direttiva 2004/38 sono del seguente tenore:

«(1)      La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal trattato [FUE] e le disposizioni adottate in applicazione dello stesso.

(2)      La libera circolazione delle persone costituisce una delle libertà fondamentali nel mercato interno che comprende uno spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata tale libertà secondo le disposizioni del trattato [FUE].

(3)      La cittadinanza dell’Unione dovrebbe costituire lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri quando essi esercitano il loro diritto di libera circolazione e di soggiorno. È pertanto necessario codificare e rivedere gli strumenti comunitari esistenti che trattano separatamente di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi, studenti ed altre persone inattive al fine di semplificare e rafforzare il diritto di libera circolazione e soggiorno di tutti i cittadini dell’Unione.

(...)

(31)      La presente direttiva rispetta i diritti e le libertà fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (...)».

4        L’articolo 3 di tale direttiva, intitolato «Aventi diritto», così dispone al suo paragrafo 1:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

5        L’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Diritto di uscita», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità e i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro e muniti di passaporto in corso di validità hanno il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro».

6        Ai termini dell’articolo 27 della medesima direttiva, intitolato «Principi generali»:

«1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

(...)

4.      Lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta di identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che è stato allontanato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di salute pubblica da un altro Stato membro, quand’anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza del titolare».

7        L’articolo 30 della direttiva 2004/38, intitolato «Notificazione dei provvedimenti», così dispone:

«1.      Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

(...)

3.      La notifica riporta l’indicazione dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi al quale l’interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione».

 Direttiva 2008/115/CE

8        I considerando 2, 4 e 24 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), sono del seguente tenore letterale:

«(2)      Il Consiglio europeo di Bruxelles [(Belgio)] del 4 e 5 novembre 2004 ha sollecitato l’istituzione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità.

(...)

(4)      Occorrono norme chiare, trasparenti ed eque per definire una politica di rimpatrio efficace quale elemento necessario di una politica d’immigrazione correttamente gestita.

(...)

(24)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

9        L’articolo 1 di tale direttiva, intitolato «Oggetto», prevede quanto segue:

«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto [dell’Unione] e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».

10      L’articolo 2 di detta direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», così dispone al suo paragrafo 3:

«La presente direttiva non si applica ai beneficiari del [diritto] alla libera circolazione, quali definiti all’articolo 2, paragrafo 5, del codice frontiere Schengen».

11      L’articolo 6 della medesima direttiva, intitolato «Decisione di rimpatrio», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

12      L’articolo 7 della direttiva 2008/115, intitolato «Partenza volontaria», al paragrafo 3 prevede quanto segue:

«Per la durata del periodo per la partenza volontaria possono essere imposti obblighi diretti a evitare il rischio di fuga, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria adeguata, la consegna di documenti o l’obbligo di dimorare in un determinato luogo».

13      Il capo IV di detta direttiva, intitolato «Trattenimento ai fini dell’allontanamento», include gli articoli da 15 a 18 di tale direttiva.

14      Ai termini dell’articolo 15 della medesima direttiva, intitolato «Trattenimento»:

«1.      Salvo se nel caso concreto possono essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive, gli Stati membri possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento, in particolare quando:

a)      sussiste un rischio di fuga o

b)      il cittadino del paese terzo evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell’allontanamento.

Il trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio.

(...)

5.      Il trattenimento è mantenuto finché perdurano le condizioni di cui al paragrafo 1 e per il periodo necessario ad assicurare che l’allontanamento sia eseguito. Ciascuno Stato membro stabilisce un periodo limitato di trattenimento, che non può superare i sei mesi.

6.      Gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui al paragrafo 5, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi conformemente alla legislazione nazionale nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa:

a)      della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o

b)      dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi».

 Diritto belga

15      L’articolo 44 ter della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980, che disciplina l’ingresso nel territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri) (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nella versione in vigore all’epoca della controversia oggetto del procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»), prevede quanto segue:

«§1.      Quando un cittadino dell’Unione o un suo familiare non ha o non ha più il diritto di soggiornare nel territorio, il Ministro o un suo delegato può ordinargli di lasciare il territorio, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1.

Il Ministro o il suo delegato, allorché preveda di adottare un ordine di lasciare il territorio, tiene conto della durata del soggiorno del cittadino dell’Unione o del suo familiare nel territorio del Regno, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale nel Regno e dell’intensità dei suoi legami con il suo paese d’origine.

§2.      L’ordine di lasciare il territorio notificato a un cittadino dell’Unione o a un suo familiare indica il termine entro il quale egli deve lasciare il territorio del Regno. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese dalla notifica della decisione.

Il termine di cui al paragrafo 1 può essere prorogato dal Ministro o dal suo delegato qualora:

1°      il rimpatrio volontario non possa avvenire entro il suddetto termine; oppure

2°      le circostanze specifiche della situazione dell’interessato lo giustifichino.

La domanda per ottenere una proroga del termine per lasciare il territorio del Regno deve essere presentata dal cittadino dell’Unione o dal suo familiare presso il Ministro o il suo delegato».

16      Gli articoli da 28 a 31 della loi du 24 février 2017, modifiant la loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers afin de renforcer la protection de l’ordre public et de la sécurité nationale (legge del 24 febbraio 2017, recante modifica della legge del 15 dicembre 1980 che disciplina l’accesso al territorio, il soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri al fine di rafforzare la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale) (Moniteur belge del 19 aprile 2017, pag. 51890) (in prosieguo: la «legge del 24 febbraio 2017») hanno inserito nella legge del 15 dicembre 1980 gli articoli da 44 quater a 44 septies, i quali sono così formulati:

«Articolo 44 quater. In pendenza del termine di cui all’articolo 44 ter, il cittadino dell’Unione o il suo familiare non può essere sottoposto ad allontanamento forzato.

Al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine di cui all’articolo 44 ter, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può essere obbligato ad ottemperare a misure preventive. Il Re ha facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri.

Articolo 44 quinquies. §1. Il Ministro o il suo delegato prende ogni provvedimento necessario per l’esecuzione dell’ordine di lasciare il territorio quando:

1°      al cittadino dell’Unione o al suo familiare non è stato concesso alcun termine per lasciare il territorio del Regno;

2°      il cittadino dell’Unione o il suo familiare non ha lasciato il territorio del Regno entro il termine che gli era stato concesso;

3°      prima della scadenza del termine concesso per lasciare il territorio del Regno, il cittadino dell’Unione o il suo familiare presenta un rischio di fuga, non ha ottemperato alle misure preventive imposte o costituisce una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale.

§2.      Qualora il cittadino dell’Unione o il suo familiare si opponga al proprio allontanamento o presenti un rischio di pericolosità in occasione del suo allontanamento, si procede al suo rimpatrio forzato, se del caso con scorta. A tal fine possono essere utilizzate misure coercitive nei suoi confronti nel rispetto degli articoli 1 e 37 della loi du 5 août 1992 sur la fonction de police [(legge del 5 agosto 1992 sulla funzione di polizia) (Moniteur belge du 22 décembre 1992, p. 27124)].

Se l’allontanamento è eseguito per via aerea, le misure sono adottate conformemente agli orientamenti comuni sull’allontanamento per via aerea allegati alla [decisione 2004/573/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’organizzazione di voli congiunti per l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri (GU 2004, L 261, pag. 28)].

§3.      Il Re designa con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri l’organismo incaricato di assicurare il controllo dei rimpatri forzati e determina le modalità di tale controllo. Detto organismo è indipendente dalle autorità competenti in materia di allontanamento.

Articolo 44 sexies. Quando le specifiche circostanze del caso lo giustificano, il Ministro o il suo delegato può rinviare temporaneamente l’allontanamento, informandone l’interessato.

Al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga, il cittadino dell’Unione o il suo familiare può essere obbligato ad ottemperare a misure preventive. Il Re ha facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri.

Negli stessi casi, il Ministro o il suo delegato può assegnare una residenza obbligatoria al cittadino dell’Unione o al suo familiare per il tempo necessario all’esecuzione di detta misura.

Articolo 44 septies. §1. Qualora lo impongano motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale o di sanità pubblica, e sempre che non possano applicarsi efficacemente altre misure meno coercitive, i cittadini dell’Unione e i loro familiari possono essere trattenuti, al fine di assicurare l’esecuzione del provvedimento di allontanamento, per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento e comunque per un periodo non superiore a due mesi.

Tuttavia, il Ministro o il suo delegato possono prorogare la durata di tale trattenimento per periodi di due mesi se le misure necessarie per l’allontanamento dello straniero sono state adottate entro sette giorni lavorativi dopo il trattenimento del cittadino dell’Unione o del suo familiare, se sono attuate con tutta la dovuta diligenza e se è ancora possibile allontanare effettivamente l’interessato entro un termine ragionevole.

Dopo la prima proroga, la decisione di prolungare la durata del trattenimento può essere assunta esclusivamente dal Ministro.

Dopo cinque mesi, il cittadino dell’Unione o il suo familiare deve essere rilasciato. Qualora la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano, il trattenimento può essere prorogato di mese in mese, ma la durata complessiva del trattenimento non può superare otto mesi.

§2.      Il cittadino dell’Unione o il suo familiare di cui al paragrafo 1 può proporre ricorso contro il provvedimento di trattenimento di cui è oggetto, conformemente agli articoli 71 e seguenti».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

17      Due ricorsi aventi ad oggetto l’annullamento totale o parziale della legge del 24 febbraio 2017 sono stati proposti dinanzi alla Cour constitutionnelle (Corte costituzionale, Belgio), il primo, dall’Ordre des barreaux francophones et germanophone, e, il secondo, dall’Association pour le droit des Étrangers, dalla Coordination et Initiatives pour et avec les Réfugiés et Étrangers, dalla Ligue des Droits de l’Homme e dalla Vluchtelingenwerk Vlaanderen. Le relative cause sono state riunite dal giudice del rinvio.

18      In base alle informazioni fornite nella decisione di rinvio, lo scopo di detta legge è di assicurare un’efficace politica in materia di allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, che sia attuata in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità. Le disposizioni di tale legge, che mirerebbero altresì a garantire ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari un regime di allontanamento che non sia meno favorevole di quello di cui beneficiano i cittadini di paesi terzi, consentono così di precisare le misure che possono essere adottate nei confronti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per garantire il loro allontanamento dal territorio belga.

19      In primo luogo, tale giudice nutre dubbi in merito alla compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni nazionali che prevedono la possibilità di imporre misure preventive a carico di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, nei cui confronti sia stato emesso un ordine di lasciare il territorio belga per motivi di ordine pubblico, in pendenza del termine che gli è concesso per lasciare tale territorio o durante il periodo in cui tale termine è prorogato, al fine di evitare qualsiasi rischio di fuga dell’interessato. Le disposizioni in esame autorizzano il Re a stabilire dette misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri e prevedono che il Ministro competente (in prosieguo: «il Ministro») o il suo delegato possa assegnare una residenza obbligatoria all’interessato nell’ipotesi in cui l’allontanamento sia temporaneamente rinviato.

20      I ricorrenti nel procedimento principale sostengono, in particolare, che il diritto dell’Unione osta all’imposizione di misure nei confronti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, al fine di evitare il rischio di fuga di questi ultimi, in pendenza del termine che è concesso loro per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante o durante il periodo in cui tale termine è prorogato.

21      A tal riguardo il giudice del rinvio rileva che la direttiva 2008/115, che si applica soltanto ai cittadini di paesi terzi, prevede la possibilità di imporre misure di tal genere, mentre la direttiva 2004/38, che si applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, non contiene disposizioni in proposito. Conformemente ai lavori preparatori delle disposizioni nazionali controverse nel procedimento principale, le disposizioni volte a evitare il rischio di fuga di detti cittadini non costituirebbero una trasposizione, nel diritto belga, della direttiva 2008/115, tuttavia si ispirerebbero ampiamente ad essa.

22      A prescindere dalla natura delle misure in esame, queste ultime inciderebbero necessariamente sui diritti e sulle libertà del cittadino dell’Unione o del suo familiare interessato, poiché avrebbero proprio lo scopo di evitare che egli fugga e, quindi, che si rechi, se del caso, in un altro Stato membro e, da ultimo, di garantire il suo allontanamento forzato dal territorio belga.

23      È vero che dalla giurisprudenza della Corte scaturita dalla sentenza del 14 settembre 2017, Petrea (C‑184/16, EU:C:2017:684), risulterebbe che il diritto dell’Unione non osta a che una decisione di allontanamento di un cittadino dell’Unione sia adottata dalle stesse autorità e in base alla stessa procedura seguita per una decisione di rimpatrio di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare, quando le misure di recepimento della direttiva 2004/38 nel diritto nazionale sono più favorevoli a detto cittadino dell’Unione. Tuttavia, le disposizioni nazionali controverse nel procedimento principale non avrebbero lo scopo di designare l’autorità competente ad adottare una decisione di allontanamento nei confronti dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, né includerebbero disposizioni procedurali, ma riguarderebbero restrizioni ai diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari non previste dalla direttiva 2004/38.

24      Di conseguenza, il giudice del rinvio nutre dubbi in merito all’applicabilità per analogia, ai cittadini dell’Unione, delle disposizioni della direttiva 2008/115 relative alle misure volte a evitare il rischio di fuga nell’ipotesi di allontanamento di un cittadino di un paese terzo.

25      In secondo luogo, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni nazionali che consentono di trattenere i cittadini dell’Unione e i loro familiari che non si siano conformati a una decisione di allontanamento adottata per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, al fine di garantire l’esecuzione di tale decisione, in particolare per un periodo massimo di otto mesi allorché la salvaguardia dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza richieda una proroga di tale trattenimento.

26      I ricorrenti nel procedimento principale lamentano che la disposizione nazionale in esame, in particolare, prevede periodi di trattenimento eccessivamente lunghi e, quindi, sproporzionati, e non stabilisce criteri chiari che consentano di determinare in modo obiettivo il tempo necessario per l’esecuzione della decisione di allontanamento e in che cosa consista il trattamento diligente da parte dell’autorità incaricata dell’esecuzione di tale decisione.

27      Il giudice del rinvio afferma che la disposizione nazionale in esame riproduce, per i cittadini dell’Unione e i loro familiari, il regime previsto nel diritto nazionale per i cittadini di paesi terzi. Tale disposizione stabilirebbe, così, un’identità di trattamento tra i cittadini dell’Unione e i loro familiari e i cittadini di paesi terzi, in particolare per quanto riguarda la durata massima del trattenimento in vista dell’allontanamento dell’interessato.

28      Inoltre, si porrebbe la questione se la normativa nazionale controversa nel procedimento principale sia compatibile con la libertà di circolazione garantita ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari dagli articoli 20 e 21 TFUE e dalla direttiva 2004/38, da cui si potrebbe dedurre che la durata del trattenimento sia limitata al tempo strettamente necessario all’esecuzione della decisione di allontanamento.

29      In tali circostanze, la Cour constitutionnelle (Corte costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il diritto dell’Unione, e più in particolare gli articoli [20 e 21 TFUE] e la [direttiva 2004/38], debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari disposizioni analoghe a quelle che costituiscono la trasposizione, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, dell’articolo 7, paragrafo 3, della [direttiva 2008/115], vale a dire, disposizioni che consentono di obbligare il cittadino dell’Unione o il suo familiare ad ottemperare a misure preventive dirette ad evitare qualsiasi rischio di fuga in pendenza del termine concessogli per lasciare il territorio a seguito dell’adozione di un provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico o durante il periodo in cui detto termine è prorogato.

2)      Se il diritto dell’Unione, in particolare gli articoli [20 e 21 TFUE] e la [direttiva 2004/38], debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che non hanno ottemperato a un provvedimento che pone fine al soggiorno per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza una disposizione identica a quella applicata ai cittadini di paesi terzi che si trovano nella stessa situazione per quanto riguarda il periodo massimo di trattenimento ai fini dell’allontanamento, pari a otto mesi».

 Sulle questioni pregiudiziali

30      Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 20 e 21 TFUE e la direttiva 2004/38 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale:

–        che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione di una decisione di allontanamento presa nei loro confronti per motivi di ordine pubblico, o durante il periodo di proroga di tale termine, disposizioni volte ad evitarne il rischio di fuga simili a quelle che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, sono volte a trasporre nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115, e

–        che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, che, allo scadere del termine impartito o della proroga di tale termine, non si sono conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, una misura di trattenimento della durata massima di otto mesi ai fini dell’allontanamento, durata questa identica a quella applicabile, in base al diritto nazionale, ai cittadini di paesi terzi che non si sono conformati a una decisione di rimpatrio adottata per tali motivi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

31      In via preliminare, si deve ricordare che, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, in particolare per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Se è vero che le questioni sottoposte riguardano situazioni in cui una decisione di allontanamento è adottata in base a detta disposizione, esse non concernono, tuttavia, l’esame di una tale decisione alla luce del diritto dell’Unione, bensì l’esame di misure volte a garantirne l’esecuzione.

32      Ciò premesso, per rispondere alle questioni sottoposte occorre esaminare, in primo luogo, se gli articoli 20 e 21 TFUE e la direttiva 2004/38 ostino al fatto stesso di prevedere disposizioni nazionali, applicabili nell’ambito dell’esecuzione di una decisione di allontanamento di cittadini dell’Unione e dei loro familiari, che abbiano un contenuto identico o simile a disposizioni volte a recepire, nel diritto nazionale, la direttiva 2008/115, che riguarda il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. In caso contrario, occorrerà valutare, in secondo luogo, se le specifiche misure previste dalle disposizioni controverse nel procedimento principale siano tali da costituire restrizioni alla libertà di circolazione e di soggiorno e, se del caso, in terzo luogo, se tali restrizioni possano essere giustificate.

 Sullapplicazione ai cittadini dellUnione e ai loro familiari di disposizioni nazionali aventi contenuto identico o simile a quelle applicabili ai cittadini di paesi terzi

33      Occorre ricordare che il capo VI della direttiva 2004/38 prevede, segnatamente, norme relative all’allontanamento dei soli cittadini dell’Unione e dei loro familiari. Tuttavia, tale direttiva non contiene specifiche disposizioni in merito alla facoltà, per gli Stati membri, di adottare misure per evitare il rischio di fuga di questi ultimi in pendenza del termine che è loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante o durante il periodo di proroga di tale termine, né contiene specifiche disposizioni relative alla possibilità di trattenere gli interessati qualora non si siano conformati a una decisione di allontanamento entro la scadenza di detto termine o della sua proroga.

34      In assenza di norme di diritto dell’Unione, spetta agli Stati membri stabilire norme che consentano loro di adottare misure volte a garantire l’esecuzione di una decisione di allontanamento fondata sull’articolo 27 della direttiva 2004/38, a condizione che nessuna disposizione del diritto dell’Unione vi si opponga (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, Petrea, C‑184/16, EU:C:2017:684, punto 52).

35      Solo rispettando detta condizione gli Stati membri possono ispirarsi alle disposizioni della direttiva 2008/115, in particolare al suo articolo 7, paragrafo 3, e ai suoi articoli da 15 a 18, per adottare, da un lato, misure volte a evitare il rischio di fuga di cittadini dell’Unione e dei loro familiari, in pendenza del termine che è stato loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante o durante il periodo di proroga di tale termine, e, dall’altro, misure di trattenimento qualora essi non si siano conformati a una decisione di allontanamento entro la scadenza di detto termine o della sua proroga.

36      In effetti, l’articolo 7, paragrafo 3, di tale direttiva prevede la possibilità per gli Stati membri, per la durata del periodo per la partenza volontaria, di imporre obblighi, nei confronti di un cittadino di un paese terzo, diretti a evitare il rischio di fuga di quest’ultimo. Gli obblighi esplicitamente elencati a tal fine sono quelli di presentarsi periodicamente alle autorità, di costituire una garanzia finanziaria adeguata, di consegnare i documenti o di dimorare in un determinato luogo. Del pari, un intero capo di detta direttiva, vale a dire il capo IV di quest’ultima, intitolato «Trattenimento ai fini dell’allontanamento», che include gli articoli da 15 a 18 della direttiva, prevede la facoltà di trattenere un cittadino di un paese terzo ai fini dell’allontanamento e disciplina in modo dettagliato le garanzie accordate ai cittadini di paesi terzi per quanto riguarda tanto la decisione di allontanamento quanto quella che dispone il loro trattenimento (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 31).

37      Più nello specifico, l’articolo 15, paragrafo 5, della direttiva 2008/115 precisa, segnatamente, che il periodo di trattenimento non può superare i sei mesi, mentre l’articolo 15, paragrafo 6, di detta direttiva dispone che gli Stati membri non possono prolungare il periodo di cui all’articolo 15, paragrafo 5, di tale direttiva, salvo per un periodo limitato non superiore ad altri dodici mesi nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato, o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

38      Nel caso di specie, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la normativa nazionale controversa nel procedimento principale ha lo scopo di garantire ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari un regime di allontanamento che non sia meno favorevole di quello previsto per i cittadini di paesi terzi. Per quanto riguarda, più nello specifico, le disposizioni nazionali volte a evitare il rischio di fuga dell’interessato, esse si ispirano in gran parte alle disposizioni della direttiva 2008/115. Per quanto concerne la disposizione nazionale relativa al trattenimento dell’interessato ai fini dell’allontanamento, quest’ultima riproduce il regime che si applica, nel diritto nazionale, ai cittadini di paesi terzi e stabilisce, in tal modo, un’identità di trattamento tra, da un lato, i cittadini dell’Unione e i loro familiari e, dall’altro, i cittadini di paesi terzi, che siano oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi di tale direttiva, in particolare per quanto riguarda la durata massima del trattenimento prevista ai fini dell’allontanamento dell’interessato.

39      Di conseguenza, se è vero che il semplice fatto che lo Stato membro ospitante preveda norme nazionali applicabili nell’ambito dell’esecuzione di una decisione di allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari ispirandosi a quelle applicabili al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi che mirano a recepire la direttiva 2008/115 nel diritto nazionale, non è, di per sé, contrario al diritto dell’Unione, cionondimeno tali norme devono essere conformi al diritto dell’Unione. In linea con quanto chiesto alla Corte dal giudice del rinvio, occorre esaminare tali norme alla luce delle specifiche disposizioni applicabili ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari in materia di libertà di circolazione e di soggiorno, ossia gli articoli 20 e 21 TFUE e le disposizioni della direttiva 2004/38.

 Sullesistenza di restrizioni alla libertà di circolazione e di soggiorno

40      Per quanto riguarda, in primo luogo, le misure preventive volte a evitare il rischio di fuga dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari in pendenza del termine che è loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante o durante il periodo di proroga di tale termine, si deve rilevare che esse non sono definite nella normativa nazionale controversa nel procedimento principale, ad eccezione della facoltà di assegnare una residenza obbligatoria all’interessato nell’ipotesi in cui l’allontanamento di quest’ultimo sia temporaneamente rinviato. Per il resto, il Re ha facoltà di stabilire tali misure con decreto deliberato dal Consiglio dei ministri.

41      Tuttavia, dal tenore letterale stesso delle questioni sottoposte risulta che le misure che possono essere imposte in tale contesto e quelle previste all’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115 ed esposte al punto 36 della presente sentenza sono simili. Orbene, è opportuno rilevare che tali misure, avendo proprio lo scopo di limitare i movimenti dell’interessato, hanno necessariamente l’effetto di limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di quest’ultimo in pendenza del termine che gli è concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante, in particolare allorché nei suoi confronti è disposta l’assegnazione a una residenza obbligatoria.

42      Per quanto concerne, in secondo luogo, la possibilità di trattenere, ai fini dell’allontanamento, il cittadino dell’Unione e i suoi familiari per un periodo massimo di otto mesi, si deve rilevare, come fa l’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, che una tale misura costituisce, per sua natura, una restrizione della libertà di circolazione e di soggiorno dell’interessato.

43      È vero che i cittadini dell’Unione e i loro familiari che, a seguito della scadenza del termine impartito o della proroga di tale termine, non si sono conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, non possono far valere un diritto di soggiorno, ai sensi della direttiva 2004/38, nel territorio dello Stato membro ospitante finché tale decisione continua a produrre i suoi effetti [v., per analogia, sentenza del 22 giugno 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Effetti di una decisione di allontanamento), C‑719/19, punto 104]. Tuttavia, l’esistenza di una tale decisione non fa venir meno il carattere restrittivo di una misura di trattenimento, la quale limita i movimenti dell’interessato al di là delle restrizioni derivanti dalla decisione di allontanamento stessa, limitando per tutta la durata del trattenimento dell’interessato le possibilità di quest’ultimo di soggiornare e circolare liberamente al di fuori del territorio dello Stato membro ospitante. Una tale misura di trattenimento costituisce, quindi, una restrizione al diritto di uscita previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che dispone espressamente che ogni cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità ha il diritto di lasciare il territorio di uno Stato membro per recarsi in un altro Stato membro (sentenza del 10 luglio 2008, Jipa, C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 19).

44      Di conseguenza, si deve considerare che disposizioni nazionali come quelle controverse nel procedimento principale, vale a dire tanto quelle che prevedono la facoltà di imporre misure preventive volte ad evitare il rischio di fuga dell’interessato, quanto quella relativa alla durata massima del trattenimento di quest’ultimo ai fini dell’allontanamento, costituiscono restrizioni alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, sancita all’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e all’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, nonché precisata nelle disposizioni della direttiva 2004/38.

 Sullesistenza di giustificazioni per quanto riguarda le restrizioni alla libertà di circolazione e di residenza

45      Per quanto riguarda l’eventuale esistenza di giustificazioni per restrizioni come quelle constatate al punto precedente, si deve ricordare che, come risulta dal tenore letterale stesso degli articoli 20 e 21 TFUE, il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri non è incondizionato, ma può essere subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato FUE nonché dalle relative disposizioni di attuazione (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2016, Rendón Marín, C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 55 e giurisprudenza citata).

46      A tal riguardo si deve ricordare che, come risulta dai punti 30 e 31 della presente sentenza, le questioni sottoposte dal giudice del rinvio muovono dalla premessa secondo la quale la decisione di allontanamento è stata adottata per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

47      Ne consegue che, per quanto concerne il procedimento principale, le misure volte a garantire l’esecuzione di una tale decisione, ossia le misure dirette ad evitare il rischio di fuga del cittadino dell’Unione o di un suo familiare e le misure di trattenimento per un periodo massimo di otto mesi, devono essere valutate alla luce dell’articolo 27 della direttiva 2004/38. L’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva precisa che, per essere giustificati, i provvedimenti restrittivi del diritto di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, segnatamente quelli adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, devono rispettare il principio di proporzionalità ed essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati.

48      Per quanto riguarda, in primo luogo, le misure oggetto del procedimento principale che sono dirette ad evitare il rischio di fuga dell’interessato in pendenza del temine concesso a quest’ultimo per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante o durante il periodo di proroga di tale termine, come risulta dal punto 18 della presente sentenza, dette misure mirano a garantire un’efficace politica di allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari.

49      Orbene, una misura volta ad evitare il rischio di fuga dell’interessato in un’ipotesi come quella richiamata al punto 46 della presente sentenza contribuisce necessariamente alla tutela dell’ordine pubblico, dal momento che essa mira, in definitiva, a garantire che una persona considerata come una minaccia per l’ordine pubblico dello Stato membro ospitante sia allontanata dal territorio di quest’ultimo, ricollegandosi detta misura, in tal modo, all’oggetto della decisione di allontanamento stessa.

50      Peraltro, come fa valere la Commissione europea, nulla nel tenore letterale dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 esclude che le misure restrittive della libertà di circolazione e di soggiorno previste da tale disposizione possano essere applicate in pendenza del termine concesso all’interessato per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione di una decisione di allontanamento nei suoi confronti o durante il periodo di proroga di tale termine.

51      Ne consegue che misure volte ad evitare il rischio di fuga dell’interessato, come quelle oggetto delle questioni sottoposte, devono essere considerate come limitanti la sua libertà di circolazione e di soggiorno «per motivi di ordine pubblico», ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, sicché esse possono, in linea di principio, essere giustificate in base a detta disposizione.

52      Inoltre, tali misure non possono essere ritenute contrarie all’articolo 27 della direttiva 2004/38 per il solo motivo che queste ultime e le misure che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, sono dirette a recepire nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115 sono simili. Infatti, in entrambe le ipotesi, l’obiettivo delle misure è di evitare la fuga dell’interessato e quindi, in definitiva, di garantire l’effettiva esecuzione della decisione di allontanamento o di rimpatrio adottata nei suoi confronti.

53      Ciò premesso, non solo le direttive 2004/38 e 2008/115 non condividono lo stesso obiettivo, ma ai beneficiari della prima direttiva sono accordati uno status e dei diritti di natura del tutto diversa da quelli di cui possono avvalersi i beneficiari della seconda.

54      In particolare, come la Corte ha ripetutamente affermato e come risulta dai considerando 1 e 2 della direttiva 2004/38, la cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e le disposizioni adottate per la loro applicazione, costituendo la libera circolazione delle persone, d’altronde, una delle libertà fondamentali nel mercato interno, sancita all’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy, C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 27 e giurisprudenza citata).

55      Peraltro, come risulta dal considerando 3 della direttiva 2004/38, quest’ultima mira ad agevolare l’esercizio del diritto primario e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito dal Trattato FUE direttamente ai cittadini dell’Unione, e ha la finalità, in particolare, di rafforzare tale diritto (v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2011, McCarthy, C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 28 e giurisprudenza citata).

56      Inoltre, poiché la libera circolazione delle persone fa parte dei fondamenti dell’Unione europea, le disposizioni che sanciscono tale libertà devono essere interpretate estensivamente, mentre le eccezioni e le deroghe a quest’ultima devono invece essere interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenze del 3 giugno 1986, Kempf, 139/85, EU:C:1986:223, punto 13, e del 10 luglio 2008, Jipa, C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 23).

57      Tenuto conto dello status fondamentale accordato ai cittadini dell’Unione, le misure volte ad evitare il rischio di fuga che possono essere imposte nell’ambito dell’allontanamento di questi ultimi e dei loro familiari per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza non possono essere meno favorevoli delle misure previste dal diritto nazionale al fine di evitare il rischio di fuga, in pendenza del termine per la partenza volontaria, dei cittadini di paesi terzi oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (v., per analogia, sentenza del 14 settembre 2017, Petrea, C‑184/16, EU:C:2017:684, punti 51, 54 e 56). Se è vero che dal fascicolo di cui dispone la Corte sembra risultare che, nel caso di specie, nel procedimento principale non si configuri un tale trattamento meno favorevole e che tali due categorie di persone si trovino, con riferimento al rischio di fuga, in una situazione comparabile, una tale valutazione spetta al giudice del rinvio.

58      Infine, come sostiene la Commissione, per valutare la proporzionalità di una misura diretta ad evitare il rischio di fuga in un caso singolo occorre, tra l’altro, prendere in considerazione la natura della minaccia all’ordine pubblico che ha giustificato l’adozione della decisione di allontanamento dell’interessato. Nell’ipotesi in cui più misure siano idonee a conseguire l’obiettivo perseguito, dovrebbe essere accordata preferenza alla misura meno restrittiva.

59      Per quanto concerne, in secondo luogo, la possibilità, nell’ipotesi in cui il cittadino dell’Unione o un suo familiare non lasci lo Stato membro ospitate entro il termine impartito o il periodo di proroga di quest’ultimo, di trattenerlo ai fini dell’allontanamento per una durata massima di otto mesi identica a quella applicabile, ai sensi del diritto nazionale, ai cittadini di paesi terzi oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115, occorre rilevare che, come risulta dai punti 30 e 31 della presente sentenza, l’ipotesi presa in considerazione in proposito nelle questioni sottoposte è quella del cittadino dell’Unione o del suo familiare che non si sia conformato a una decisione di allontanamento adottata nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza entro il termine impartito o il periodo di proroga di quest’ultimo. Peraltro, la disposizione del diritto nazionale rilevante prevede che possa essere disposto il trattenimento per un periodo di otto mesi solo qualora la tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale lo richiedano. A tal riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che la nozione di «sicurezza nazionale», ai sensi di tale disposizione, corrisponde alla nozione di «pubblica sicurezza» prevista all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

60      Se è vero che il trattenimento previsto ai sensi della disposizione nazionale di cui trattasi risulta, di conseguenza, fondato su ragioni che possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare conformemente all’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, è ancora necessario che esso sia proporzionato all’obiettivo perseguito. Ciò implica verificare che la durata del trattenimento prevista dalla normativa nazionale controversa sia proporzionata all’obiettivo, enunciato ai punti 18 e 48 della presente sentenza, di garantire un’efficace politica di allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari.

61      Nel caso di specie, occorre rilevare che, effettivamente, la normativa nazionale controversa inquadra le circostanze in cui il cittadino dell’Unione o un suo familiare può essere trattenuto ai fini dell’allontanamento per un periodo massimo di otto mesi e che sono previste varie garanzie processuali a tal fine.

62      In particolare, dalle osservazioni del governo belga risulta che, in un primo tempo, la durata del trattenimento non può superare i due mesi ed è esplicitamente subordinata, tra l’altro, alla condizione che non esistano altre misure meno coercitive che potrebbero essere applicate in modo efficace per assicurare l’esecuzione del provvedimento di allontanamento. La possibilità di prolungare la durata di tale trattamento per periodi di due mesi è parimenti assoggettata a varie condizioni, in particolare che le misure necessarie per l’allontanamento dell’interessato siano adottate con tutta la dovuta diligenza e che sia ancora possibile allontanare effettivamente quest’ultimo entro un termine ragionevole. Dopo la prima proroga, la decisione di prolungare la durata del trattenimento può essere assunta esclusivamente dal Ministro. Infine, se è vero che dopo cinque mesi il cittadino dell’Unione o il suo familiare deve essere rilasciato, qualora la tutela dell’ordine pubblico o la sicurezza nazionale lo richiedano il trattenimento dell’interessato può essere prorogato, ogni volta per un periodo di un mese, ma la durata complessiva del trattenimento di quest’ultimo non può superare otto mesi.

63      Ne risulta altresì che il trattenimento di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare per un periodo massimo di otto mesi previsto dalla disposizione nazionale controversa richiede un esame individuale della specifica situazione dell’interessato, al fine di garantire che tale trattenimento non ecceda la durata strettamente necessaria all’esecuzione della decisione di allontanamento adottata nei suoi nei suoi confronti e che il suo trattenimento sia giustificato da ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

64      Tuttavia, la disciplina così delineata dalla normativa nazionale controversa non giustifica il fatto stesso di prevedere un periodo massimo di trattenimento, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, che si applica ai fini dell’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, disposto per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, e che è identico a quello applicabile all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi ai sensi delle disposizioni adottate ai fini della trasposizione della direttiva 2008/115 nel diritto nazionale.

65      Infatti, con specifico riferimento alla durata della procedura di allontanamento, i cittadini dell’Unione e i loro familiari che, in tale qualità, rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 non si trovano in una situazione paragonabile a quella dei cittadini di paesi terzi che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

66      In particolare, come ha ricordato anche l’avvocato generale al paragrafo 94 delle sue conclusioni, gli Stati membri dispongono di meccanismi di cooperazione e di agevolazioni nell’ambito dell’allontanamento di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare verso un altro Stato membro, di cui essi non necessariamente dispongono nel contesto dell’allontanamento di un cittadino di un paese terzo verso un paese terzo. In effetti, come giustamente sottolineato dalla Commissione in udienza, le relazioni tra gli Stati membri, che si fondano sull’obbligo di leale cooperazione e sul principio della fiducia reciproca, non dovrebbero dar luogo a difficoltà identiche a quelle che possono sorgere nel caso della cooperazione tra gli Stati membri e i paesi terzi.

67      Nello stesso ordine di idee, le difficoltà pratiche relative all’organizzazione del viaggio di rimpatrio dell’interessato nel caso dell’allontanamento dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari non dovrebbero generalmente essere le stesse che sorgono nell’organizzazione del viaggio di rimpatrio di cittadini dei paesi terzi verso un paese terzo, in particolare allorché detto rimpatrio riguardi un paese terzo difficilmente accessibile per via aerea.

68      Inoltre, il tempo necessario per determinare la cittadinanza dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari che siano oggetto di una procedura di allontanamento ai sensi della direttiva 2004/38 dovrebbe, di regola, essere più breve di quello necessario per determinare la cittadinanza dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che siano oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115. Infatti, non solo i meccanismi di cooperazione tra gli Stati membri facilitano la verifica della cittadinanza dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari, ma, come del pari sostenuto dalla Commissione in udienza, se a una persona sono applicate le disposizioni della direttiva 2004/38, ciò implica, in linea di principio, che tale persona sia già stata individuata come cittadina di uno Stato membro o come familiare di un cittadino dell’Unione di cui la cittadinanza è nota.

69      Inoltre, il rimpatrio del cittadino dell’Unione nel territorio del suo Stato membro d’origine è, se del caso, facilitato anche dall’articolo 27, paragrafo 4, della direttiva 2004/38, ai sensi del quale lo Stato membro che ha rilasciato il passaporto o la carta d’identità riammette senza formalità nel suo territorio il titolare di tale documento che sia stato allontanato, tra l’altro, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, quand’anche il documento in questione sia scaduto o sia contestata la cittadinanza di tale titolare.

70      Occorre aggiungere che, come risulta dall’articolo 15, paragrafo 6, della direttiva 2008/115, anche nel caso dell’allontanamento di un cittadino di un paese terzo ai sensi della direttiva 2008/115, la durata del trattenimento ai fini dell’allontanamento può superare sei mesi solo nei casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo dallo Stato membro ospitante, l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi.

71      Orbene, a prescindere da quali siano le condizioni in presenza delle quali il trattenimento, per una durata massima di otto mesi, di un cittadino di un paese terzo oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 può essere considerato come conforme al diritto dell’Unione, dalle condizioni specifiche esposte al punto precedente discende che sono proprio le difficoltà pratiche concernenti, in particolare, l’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi che possono giustificare, in linea di principio, un trattenimento di una tale durata.

72      Dalle considerazioni esposte ai punti da 66 a 71 della presente sentenza risulta che i cittadini dell’Unione e i loro familiari che rientrano, in tale qualità, nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38 non si trovano in una situazione paragonabile a quella dei cittadini di paesi terzi che sono oggetto di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115 per quanto riguarda la durata della procedura di allontanamento, per cui non è giustificato accordare un identico trattamento all’insieme di tali persone con riferimento alla durata massima del trattenimento ai fini dell’allontanamento. Ne consegue che una durata massima del trattenimento per i cittadini dell’Unione e i loro familiari che rientrano, in tale qualità, nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38, come quella prevista dalla normativa controversa, va oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito.

73      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni occorre rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dichiarando che gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva 2004/38 devono essere interpretati nel senso che:

–        non ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione nei loro confronti di una decisione di allontanamento per motivi di ordine pubblico, o durante il periodo di proroga di tale termine, disposizioni volte ad evitare il rischio di fuga che sono simili a quelle che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, mirano a recepire nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115, a condizione che le prime disposizioni rispettino i principi generali previsti all’articolo 27 della direttiva 2004/38 e che non siano meno favorevoli delle seconde;

–        ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, che dopo la scadenza del termine impartito o della proroga di tale termine non si siano conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, una misura di trattenimento ai fini dell’allontanamento della durata massima di otto mesi, durata che è identica a quella applicabile nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi che non si siano conformati a una decisione di rimpatrio adottata per tali motivi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

 Sulle spese

74      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

Gli articoli 20 e 21 TFUE nonché la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, devono essere interpretati nel senso che:

–        non ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, in pendenza del termine loro concesso per lasciare il territorio dello Stato membro ospitante a seguito dell’adozione nei loro confronti di una decisione di allontanamento per motivi di ordine pubblico, o durante il periodo di proroga di tale termine, disposizioni volte ad evitare il rischio di fuga che sono simili a quelle che, per quanto riguarda i cittadini di paesi terzi, mirano a recepire nel diritto nazionale l’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, a condizione che le prime disposizioni rispettino i principi generali previsti all’articolo 27 della direttiva 2004/38 e che non siano meno favorevoli delle seconde;

–        ostano a una normativa nazionale che applica ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari, che dopo la scadenza del termine impartito o della proroga di tale termine non si siano conformati a una decisione di allontanamento adottata nei loro confronti per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, una misura di trattenimento ai fini dell’allontanamento della durata massima di otto mesi, durata che è identica a quella applicabile nel diritto nazionale ai cittadini di paesi terzi che non si siano conformati a una decisione di rimpatrio adottata per tali motivi, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

Firme


*      Lingua processuale: il francese.