Language of document : ECLI:EU:T:2021:206

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

21 aprile 2021 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Libia – Congelamento dei capitali – Elenco delle persone, entità e organismi cui si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche – Restrizioni all’ingresso e al transito nel territorio dell’Unione europea – Elenco delle persone assoggettate a restrizioni all’ingresso e al transito nel territorio dell’Unione – Mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi – Termine di ricorso – Ricevibilità – Obbligo di motivazione – Errore di valutazione»

Nella causa T‑322/19,

Aisha Muammer Mohamed El-Qaddafi, residente in Mascate (Oman), rappresentata da S. Bafadhel, barrister,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da V. Piessevaux e M. Bishop, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto, da un lato, la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento, in primo luogo, della decisione di esecuzione (PESC) 2017/497 del Consiglio, del 21 marzo 2017, che attua la decisione (PESC) 2015/1333 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2017, L 76, pag. 25), e della decisione di esecuzione (PESC) 2020/374 del Consiglio, del 5 marzo 2020, che attua la decisione (PESC) 2015/1333, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2020, L 71, pag. 14), nella parte in cui mantengono il nome della ricorrente negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione (PESC) 2015/1333 del Consiglio, del 31 luglio 2015, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga la decisione 2011/137/PESC (GU 2015, L 206, pag. 34), e, in secondo luogo, del regolamento di esecuzione (UE) 2017/489 del Consiglio, del 21 marzo 2017, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2016/44 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2017, L 76, pag. 3), e del regolamento di esecuzione (UE) 2020/371 del Consiglio, del 5 marzo 2020, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2016/44, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2020, L 71, pag. 5), nella parte in cui mantengono il nome della ricorrente nell’elenco di cui all’allegato II del regolamento (UE) 2016/44 del Consiglio, del 18 gennaio 2016, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga il regolamento (UE) n. 204/2011 (GU 2016, L 12, pag. 1), e, dall’altro, la domanda fondata sull’articolo 265 TFUE e diretta ad accertare che il Consiglio si è illegittimamente astenuto dal notificare alla ricorrente gli atti di cui trattasi al momento della loro adozione,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da D. Spielmann, presidente, U. Öberg e O. Spineanu-Matei (relatrice), giudici,

cancelliere: R. Ūkelytė, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 ottobre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La sig.ra Aisha Muammer Mohamed El-Qaddafi, ricorrente, è una cittadina libica e figlia dell’ex leader libico, il sig. Muammar Gheddafi.

2        Il 26 febbraio 2011 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di sicurezza») ha adottato la risoluzione 1970 (2011), che ha introdotto misure restrittive nei confronti della Libia e delle persone ed entità coinvolte in violazioni gravi dei diritti umani contro persone, ivi compreso il coinvolgimento in attacchi nei confronti delle popolazioni e delle infrastrutture civili in violazione del diritto internazionale.

3        Il 28 febbraio e il 2 marzo 2011 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, rispettivamente, la decisione 2011/137/PESC, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2011, L 58, pag. 53), e il regolamento (UE) n. 204/2011, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia (GU 2011, L 58, pag. 1) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del 2011»).

4        L’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2011/137 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per impedire l’ingresso o il transito nel loro territorio alle persone indicate nella risoluzione 1970 (2011) o designate conformemente a quest’ultima, il cui nome figura nell’allegato I di tale decisione.

5        L’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2011/137 e l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 204/2011, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1, di quest’ultimo, dispongono, in sostanza, che sono congelati i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti da o sotto il controllo diretto o indiretto delle persone indicate dal Consiglio di sicurezza o dal comitato del Consiglio di sicurezza istituito a norma del punto 24 della risoluzione 1970 (2011) (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), conformemente al punto 22 della risoluzione 1970 (2011), il cui nome figura, rispettivamente, all’allegato III di tale decisione e all’allegato II di detto regolamento.

6        La ricorrente rientra tra le persone indicate nella risoluzione 1970 (2011) e inserite, di conseguenza, negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione 2011/137 e all’allegato II del regolamento n. 204/2011, con le informazioni identificative e con la motivazione seguenti:

«GHEDDAFI, Aisha Muammar [.] Data di nascita: 1978. Luogo di nascita: Tripoli, Libia. Figlia di Muammar GHEDDAFI. Associazione stretta con il regime. Data di designazione da parte dell’ONU: 26 [febbraio] 2011».

7        Il 17 marzo 2011 il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 1973 (2011), che ha introdotto nuove misure in considerazione della situazione in Libia. Il 22 gennaio 2013 il Consiglio ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 50/2013, che attua l’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 204/2011 (GU 2013, L 20, pag. 29), e la decisione 2013/45/PESC del Consiglio, che modifica la decisione 2011/137/PESC (GU 2013, L 20, pag. 60), i quali hanno modificato le informazioni identificative riguardanti la ricorrente contenute negli atti del 2011 per precisare che si presumeva che quest’ultima si trovasse in Algeria.

8        Il 23 giugno 2014 il Consiglio ha adottato, rispettivamente, la decisione 2014/380/PESC, che modifica la decisione 2011/137 (GU 2014, L 183, pag. 52), e il regolamento di esecuzione (UE) n. 689/2014, che attua l’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 204/2011 (GU 2014, L 183, pag. 1) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del 2014»). Le modifiche apportate da tali atti non riguardavano la ricorrente, il cui nome è stato quindi mantenuto negli elenchi contenuti negli allegati I e III della decisione 2011/137 e nell’allegato II del regolamento n. 204/2011, e ciò senza che la motivazione dell’inserimento del suo nome in tali elenchi sia stata modificata rispetto a quella contenuta negli atti del 2011.

9        Il 27 agosto 2014 il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 2174 (2014), che ha condannato i combattimenti in corso tra gruppi armati e l’istigazione alla violenza in Libia e ha introdotto ulteriori misure restrittive nei confronti delle persone ed entità che intraprendevano o sostenevano atti che minacciavano la pace, la stabilità o la sicurezza della Libia, od ostacolavano o pregiudicavano il positivo completamento della sua transizione politica.

10      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 settembre 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso, iscritto a ruolo con il numero T‑681/14, diretto all’annullamento degli atti del 2014 nella parte in cui mantenevano il suo nome negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione 2011/137 e all’allegato II del regolamento n. 204/2011.

11      Il 18 dicembre 2014 il Consiglio ha inviato una lettera ai rappresentanti della ricorrente nella quale indicava che il comitato per le sanzioni aveva informato i servizi competenti dell’Unione europea che la ricorrente non aveva rispettato il suo divieto di viaggio, violando così le disposizioni della risoluzione 1970 (2011).

12      Il 27 marzo 2015 il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 2213 (2015), che ha apportato, in particolare, talune modifiche ai criteri di inserimento negli elenchi.

13      Il 4 maggio 2015 il Consiglio ha inviato una lettera ai rappresentanti della ricorrente, accompagnata da una serie di documenti (in prosieguo: la «lettera del 4 maggio 2015»). In essa il Consiglio rilevava che, nel 2011 e nel 2013, la ricorrente aveva reso pubblicamente dichiarazioni che incitavano a rovesciare le autorità libiche stabilite a seguito della caduta del regime istituito da suo padre e a vendicare la morte di quest’ultimo.

14      Il 26 maggio 2015 il Consiglio ha adottato, rispettivamente, la decisione 2015/818/PESC, che modifica la decisione 2011/137 (GU 2015, L 129, pag. 13), e il regolamento (UE) 2015/813, che modifica il regolamento n. 204/2011 (GU 2015, L 129, pag. 1), allo scopo, in particolare, di estendere i criteri per la designazione delle persone e delle entità che devono essere oggetto di misure restrittive enunciati negli atti del 2011.

15      In seguito, il Consiglio ha proceduto a un riesame completo degli elenchi di nomi delle persone e delle entità che figurano negli allegati agli atti del 2011.

16      Tale riesame si è concluso con l’adozione, il 31 luglio 2015, della decisione 2015/1333/PESC del Consiglio, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga la decisione 2011/137 (GU 2015, L 206, pag. 34), e, il 18 gennaio 2016, del regolamento (UE) 2016/44 del Consiglio, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga il regolamento n. 204/2011 (GU 2016, L 12, pag. 1).

17      L’articolo 8, paragrafo 1, della decisione 2015/1333 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per impedire l’ingresso o il transito nel rispettivo territorio alle persone designate e sottoposte a restrizioni di viaggio dal Consiglio di sicurezza o dal comitato per le sanzioni, conformemente al punto 22 della risoluzione 1970 (2011), al punto 23 della risoluzione 1973 (2011), al punto 4 della risoluzione 2174 (2014) e al punto 11 della risoluzione 2213 (2015) del Consiglio di sicurezza, il cui nome figura nell’allegato I di tale decisione.

18      L’articolo 9, paragrafo 1, della decisione 2015/1333 e l’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento 2016/44, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1, di quest’ultimo, dispongono, in sostanza, che sono congelati i capitali, le attività finanziarie e le risorse economiche di altro tipo appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati direttamente o indirettamente dalle persone designate e assoggettate al congelamento dei beni dal Consiglio di sicurezza o dal comitato per le sanzioni, conformemente al punto 22 della risoluzione 1970 (2011), ai punti 19, 22 o 23 della risoluzione 1973 (2011), al punto 4 della risoluzione 2174 (2014) e al punto 11 della risoluzione 2213 (2015) del Consiglio di sicurezza, il cui nome figura nell’allegato III di tale decisione e nell’allegato II di detto regolamento.

19      La ricorrente è stata inserita negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione 2015/1333 e all’allegato II del regolamento 2016/44 (in prosieguo: gli «elenchi controversi»), con le informazioni identificative e con la motivazione seguenti:

«(...) AISHA MUAMMAR MUHAMMED ABU MINYAR GHEDDAFI (...) Data di nascita: 1978[.] Luogo di nascita: Tripoli, Libia. Alias certo: Aisha Muhammed Abdul Salam (...) Indirizzo: Sultanato dell’Oman (Presunto status/luogo: Sultanato dell’Oman)[.] Data di inserimento nell’elenco: 26 febbraio 2011[.] Altre informazioni: Inserita nell’elenco a norma dei punti 15 e 17 della risoluzione 1970 [(2011)] (divieto di viaggio, congelamento dei beni). Informazioni supplementari: Stretta associazione con il regime. Secondo quanto indicato dal gruppo di esperti sulla Libia nella sua relazione intermedia del 2013, ha viaggiato in violazione del punto 15 della risoluzione 1970 [(2011)]».

20      Con lettera del 6 ottobre 2016 indirizzata al Consiglio dall’avvocata della ricorrente (in prosieguo: la «lettera del 6 ottobre 2016»), quest’ultima ha informato il Consiglio che, a seguito del decesso del suo precedente avvocato, la ricorrente aveva indicato che intendeva continuare ad essere rappresentata da lei e da una delle sue colleghe, il che sarebbe stato attestato dal mandato che ella allegava a tale lettera, e che, di conseguenza, ogni corrispondenza doveva da quel momento in poi esserle inviata.

21      Il 21 marzo 2017 il Consiglio ha adottato, rispettivamente, la decisione di esecuzione (PESC) 2017/497, che attua la decisione 2015/1333 (GU 2017, L 76, pag. 25), e il regolamento di esecuzione (UE) 2017/489, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento 2016/44 (GU 2017, L 76, pag. 3) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del 2017»), che modificano gli elenchi controversi, al fine di tener conto delle informazioni aggiornate fornite dal comitato per le sanzioni.

22      Il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi è stato accompagnato dalle informazioni identificative e dalla motivazione seguenti:

«AISHA (...) MUAMMAR MUHAMMED (...) ABU MINYAR (...) GHEDDAFI (...) Data di nascita: 1978[.] Luogo di nascita: Tripoli, Libia[.] Alias certo: Aisha Muhammed Abdul Salam (...) Indirizzo: Sultanato dell’Oman (Presunto status/luogo: Sultanato dell’Oman)[.] Data di inserimento nell’elenco: 26 febbraio 2011 (modificata l’11 novembre 2016, il 26 settembre 2014, il 21 marzo 2013, il 2 aprile 2012)[.] Altre informazioni: Inserita nell’elenco a norma dei punti 15 e 17 della risoluzione 1970 [(2011)] (divieto di viaggio, congelamento dei beni). Link all’avviso speciale INTERPOL-Consiglio di sicurezza dell’ONU: https://www.interpol.int/en/notice/search/un/5525815».

23      Con la sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), divenuta definitiva in assenza di impugnazione, il Tribunale, statuendo sul ricorso proposto dalla ricorrente avverso gli atti del 2014 (v. precedente punto 10), ha considerato che la condizione secondo cui il Consiglio era tenuto a portare a conoscenza della ricorrente le ragioni specifiche e concrete per le quali riteneva che le misure restrittive dovessero essere mantenute nei suoi confronti non era soddisfatta nella specie. Da un lato, esso ha constatato che gli atti del 2014 contenevano solo indicazioni corrispondenti ai motivi dell’inserimento iniziale del nome della ricorrente negli elenchi considerati, allegati agli atti del 2011, e ha ritenuto che tali motivi non fossero sufficienti a giustificarne il suo mantenimento in tali elenchi, dal momento che il contesto era sostanzialmente diverso; dall’altro lato, esso ha ritenuto che i motivi supplementari addotti dal Consiglio fossero manifestamente irrilevanti nella misura in cui non figuravano tra i motivi in base ai quali gli atti del 2014 erano stati adottati ed erano stati portati all’attenzione del Consiglio successivamente alla data della loro adozione. Pertanto, esso ha annullato detti atti nei limiti in cui mantenevano il nome della ricorrente negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione 2011/137 e all’allegato II del regolamento n. 204/2011.

24      Il 5 febbraio 2019 l’avvocata della ricorrente si è rivolta al Consiglio per reiterare la sua richiesta di notificarle tutta la corrispondenza riguardante la ricorrente nonché le decisioni e i regolamenti adottati nei confronti di quest’ultima.

25      Il 25 marzo 2019, con lettera inviata dal Consiglio all’avvocata della ricorrente (in prosieguo: la «lettera del 25 marzo 2019»), il Consiglio informava quest’ultima di aver adottato gli atti del 2017 sulla base delle informazioni aggiornate dal comitato per le sanzioni, cosicché il nome della ricorrente era stato mantenuto negli elenchi controversi.

 Fatti successivi alla presentazione del presente ricorso

26      L’11 febbraio 2020 il Consiglio di sicurezza ha adottato la risoluzione 2509 (2020), nella quale ha ribadito la necessità per gli Stati di adottare misure di divieto d’ingresso o di transito nel loro territorio nei confronti di tutte le persone designate dal comitato per le sanzioni, conformemente, in particolare, ai paragrafi 15 e 16 della risoluzione 1970 (2011), e ha ribadito che intendeva vigilare affinché i beni congelati in applicazione del paragrafo 17 di tale risoluzione fossero, in una fase successiva, messi a disposizione del popolo libico e utilizzati a suo profitto.

27      Il 5 marzo 2020 il Consiglio ha adottato la decisione di esecuzione (PESC) 2020/374 che attua la decisione 2015/1333 (GU 2020, L 71, pag. 14), e il regolamento di esecuzione (UE) 2020/371, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento 2016/44 (GU 2020, L 71, pag. 5) (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti del 2020»), con i quali il nome della ricorrente è stato mantenuto negli elenchi controversi, e ciò senza che la motivazione della sua designazione sia stata modificata rispetto a quella contenuta negli atti del 2017.

 Procedimento e conclusioni delle parti

28      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2019, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

29      Il 14 agosto 2019 il Consiglio ha depositato il controricorso presso la cancelleria del Tribunale.

30      La replica e la controreplica sono state depositate presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 4 ottobre e il 28 novembre 2019.

31      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, a norma dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura del Tribunale, la presente causa è stata attribuita alla Quinta Sezione.

32      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 24 dicembre 2019, la ricorrente ha chiesto lo svolgimento di un’udienza di discussione.

33      Con decisione del presidente del Tribunale del 22 gennaio 2020, la presente causa è stata attribuita ad una nuova giudice relatrice, a seguito dell’impedimento del giudice relatore inizialmente designato.

34      Il Tribunale ha adottato talune misure di organizzazione del procedimento, alle quali le parti hanno ottemperato entro il termine impartito.

35      Con atto separato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 1° settembre 2020, la ricorrente, sul fondamento dell’articolo 86 del regolamento di procedura, ha adattato il ricorso, di modo che esso sia diretto non solo all’annullamento degli atti del 2017, ma anche a quello degli atti del 2020 (in prosieguo, congiuntamente: gli «atti impugnati»), nella parte in cui la riguardano. Il Consiglio ha depositato le proprie osservazioni sulla memoria di adattamento presso la cancelleria del Tribunale il 28 settembre 2020.

36      Su proposta della giudice relatrice, il Tribunale ha deciso di avviare la fase orale del procedimento.

37      Le parti hanno svolto le loro difese e risposto ai quesiti orali del Tribunale all’udienza del 20 ottobre 2020. In esito all’udienza, la fase orale è stata chiusa e la causa è passata in decisione.

38      In seguito all’adattamento del ricorso, la ricorrente chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        annullare gli atti impugnati nei limiti in cui il suo nome è stato mantenuto negli elenchi controversi;

–        condannare il Consiglio alle spese.

39      A seguito delle osservazioni relative alla memoria di adattamento, il Consiglio chiede, in sostanza, che il Tribunale voglia:

–        in via principale, respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        in ulteriore subordine, nell’ipotesi in cui gli atti impugnati siano annullati per quanto riguarda la ricorrente, mantenere gli effetti delle decisioni impugnate fino alla scadenza del termine di impugnazione o, qualora entro tale termine fosse proposta impugnazione, fino al relativo rigetto;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità degli argomenti esposti ai punti da 3 a 12 della domanda di fissazione di unudienza e sul ritiro dal fascicolo degli allegati da E.1 a E.4 acclusi a tale domanda

40      In udienza, il Consiglio ha sostenuto che gli argomenti di cui ai punti da 3 a 12 della domanda della ricorrente relativa alla fissazione di un’udienza e i documenti che costituiscono gli allegati da E.1 a E.4 di tale domanda sono irricevibili, ai sensi dell’articolo 85 del regolamento di procedura.

41      La ricorrente ha dichiarato di ritirare dal fascicolo i suddetti allegati da E.1 a E.4, ribadendo nel contempo gli argomenti esposti ai punti da 3 a 12 della sua domanda di fissazione di un’udienza.

42      Occorre ricordare che la fase scritta del procedimento dinanzi al Tribunale comporta un primo scambio di memorie, conformemente agli articoli 76 e 81 del suo regolamento di procedura, che, in forza dell’articolo 83 di quest’ultimo, può essere seguito da un secondo e ultimo scambio di memorie, qualora il Tribunale lo reputi necessario per completare il contenuto del fascicolo di causa.

43      Nel caso di specie, si deve constatare che gli argomenti di cui ai punti da 3 a 12 della domanda di fissazione di un’udienza non costituiscono motivi per i quali la ricorrente desidera essere ascoltata. Peraltro, in tali punti, la ricorrente sviluppa argomenti già presentati nei suoi scritti precedenti e intende rispondere alle osservazioni contenute nella controreplica. Pertanto, occorre non prendere in considerazione i punti da 3 a 12 della domanda di fissazione di un’udienza e ritirare dal fascicolo della causa i documenti che costituiscono gli allegati da E.1 a E.4.

 Sul ricorso fondato sullarticolo 263 TFUE

 Sulla ricevibilità

44      Senza sollevare un’eccezione di irricevibilità con atto separato sul fondamento dell’articolo 130, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il Consiglio, nel controricorso e nelle osservazioni sulla memoria di adattamento, eccepisce l’irricevibilità del ricorso nella parte in cui è fondato sull’articolo 263 TFUE, per tardività.

45      Esso sostiene di non essere assolutamente tenuto a notificare alla ricorrente gli atti impugnati, in quanto né la decisione 2015/1333 né il regolamento 2016/44 contengono disposizioni dalle quali risulterebbe che esso debba notificare alle persone o alle entità figuranti negli elenchi controversi gli atti con i quali modifica le menzioni che le riguardano. Inoltre, esso fa valere che la sua lettera del 25 marzo 2019 è una risposta alla lettera dell’avvocata della ricorrente del 5 febbraio 2019 e che non si può ritenere che sia grazie a tale lettera che la ricorrente abbia preso conoscenza degli atti del 2017, ai sensi dell’articolo 263, sesto comma, TFUE. Peraltro, la ricorrente non potrebbe validamente sostenere di aver preso conoscenza degli atti del 2020 con la risposta del Consiglio ai quesiti posti dal Tribunale nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento, notificatale con lettera della cancelleria del 13 luglio 2020. Infatti, la presa di conoscenza di un atto da parte di un interessato potrebbe essere considerata come il dies a quo del termine per la proposizione di un ricorso di annullamento solo nel caso in cui tale atto non sia stato né pubblicato né notificato. Orbene, nel caso di specie, il termine per proporre un ricorso contro gli atti impugnati sarebbe iniziato a decorrere dalla loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, avvenuta il 22 marzo 2017 per quanto riguarda gli atti del 2017 e il 6 marzo 2020 per quanto riguarda gli atti del 2020.

46      In udienza, in risposta ad un quesito del Tribunale, il Consiglio ha precisato che, sebbene, nell’ambito di taluni regimi sanzionatori, il Consiglio sia espressamente obbligato a notificare alle persone interessate ogni emendamento all’inserimento in un elenco, con un’esposizione dei motivi, ciò non vale per quanto riguarda il regime sanzionatorio in considerazione della situazione in Libia.

47      La ricorrente fa valere che il suo ricorso soddisfa i criteri di ricevibilità previsti all’articolo 263 TFUE, in particolare quello relativo al termine per la sua presentazione. Infatti, da un lato, il ricorso sarebbe stato depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2019, ossia entro il termine di due mesi, aumentato del termine forfettario in ragione della distanza di dieci giorni previsto all’articolo 60 del regolamento di procedura, a partire dalla notifica alla ricorrente degli atti del 2017, che sarebbe stata effettuata con la lettera del 25 marzo 2019 (v. precedente punto 25). Dall’altro lato, la memoria di adattamento diretta all’annullamento degli atti del 2020 sarebbe stata depositata entro il termine di due mesi, aumentato del termine forfettario in ragione della distanza di dieci giorni, a partire dalla presa di conoscenza da parte della ricorrente dell’adozione di tali atti, menzionata nella risposta del Consiglio alla misura di organizzazione del procedimento, risposta che è stata notificata alla ricorrente con lettera della cancelleria del 13 luglio 2020 (v. precedente punto 34).

48      Ella sostiene che sussiste un obbligo di notifica per il Consiglio anche per quanto riguarda le decisioni di modifica delle decisioni di inserimento, e ciò anche qualora non siano dedotti nuovi motivi. La ricorrente fa valere che, se il Consiglio non avesse avuto l’obbligo di notificarle gli atti impugnati, l’unico mezzo con cui ella sarebbe stata informata della loro adozione sarebbe stato la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, il che avrebbe avuto la conseguenza che la sua facoltà di adire il Tribunale entro il termine appropriato sarebbe stata indebitamente limitata. La posizione del Consiglio non prenderebbe in considerazione la giurisprudenza secondo cui esso non sarebbe libero di scegliere arbitrariamente il modo di comunicare le sue decisioni alle persone interessate. Poiché esso disponeva dell’indirizzo dell’avvocata incaricata dalla ricorrente, come dimostrerebbe la lettera del 6 ottobre 2016, di cui ha accusato ricezione, gli atti impugnati avrebbero dovuto esserle comunicati per tale via. Una siffatta notifica avrebbe avuto luogo soltanto per quanto riguarda gli atti del 2017, con la lettera del 25 marzo 2019. Inoltre, ella sarebbe venuta a conoscenza degli atti del 2020, indirettamente, tramite la lettera della cancelleria del 13 luglio 2020 (v. precedente punto 45). Il ricorso e la memoria di adattamento, quest’ultima depositata conformemente all’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, sarebbero stati quindi presentati entro il termine previsto all’articolo 263 TFUE.

49      Occorre, innanzitutto, ricordare che, a norma dell’articolo 263, sesto comma, TFUE, un ricorso di annullamento deve essere proposto nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto impugnato, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza.

50      Ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, quando un atto di cui si chiede l’annullamento è sostituito o modificato da un altro atto avente il medesimo oggetto, il ricorrente, prima della chiusura della fase orale o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, può adattare il ricorso per tener conto di questo elemento nuovo.

51      Secondo la giurisprudenza, il principio di tutela giurisdizionale effettiva implica che l’istituzione dell’Unione che adotta o mantiene misure restrittive individuali nei confronti di una persona o di un’entità, come nel caso in specie, comunichi i motivi alla base di tali misure, o al momento in cui le suddette sono adottate, o, quantomeno, il più rapidamente possibile dopo la loro adozione, in modo da consentire a tali persone o entità di esercitare il loro diritto di ricorso (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

52      Tale situazione deriva dalla particolare natura degli atti che impongono misure restrittive nei confronti di una persona o un’entità, che si riconducono ad atti di portata generale, in quanto vietano ad una categoria di destinatari determinati in termini generali ed astratti, in particolare, di mettere capitali e risorse economiche a disposizione delle persone e degli enti i cui nomi si trovano negli elenchi contenuti nei loro allegati e, al contempo, si riconducono a un insieme di decisioni individuali nei confronti di tali persone ed enti (v. sentenza del 23 aprile 2013, Gbagbo e a./Consiglio, da C‑478/11 P a C‑482/11 P, EU:C:2013:258, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

53      Nel caso di specie, si applica il principio della tutela giurisdizionale effettiva all’articolo 13 della decisione 2015/1333, il quale dispone, rispettivamente ai paragrafi 1 e 3, che, «[q]ualora il Consiglio di sicurezza o il comitato [per le sanzioni] inseriscano in elenco una persona o un’entità, il Consiglio include detta persona o entità nell’allegato I o III [di tale decisione]» e che «[i]l Consiglio trasmette la decisione [a detta] persona o [a tale] entità (...), incluse le ragioni dell’inserimento nell’elenco, direttamente se l’indirizzo è noto, o mediante la pubblicazione di un avviso, dando alla persona o entità la possibilità di presentare osservazioni».

54      L’articolo 21, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 2016/44, contiene disposizioni analoghe.

55      Ne consegue che, se è pur vero che l’entrata in vigore di atti quali gli atti impugnati avviene in forza della loro pubblicazione, il termine per la proposizione di un ricorso di annullamento avverso tali atti ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE decorre, per ciascuna di tali persone ed entità, dalla data della comunicazione che deve essere compiuta nei suoi confronti (v. sentenza del 23 ottobre 2015, Oil Turbo Compressor/Consiglio, T‑552/13, EU:T:2015:805, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Del pari, il termine per la presentazione di una domanda volta ad estendere le conclusioni e i motivi ad un atto che conferma tali misure comincia a decorrere solo a partire dalla data della comunicazione di tale nuovo atto alla persona o all’entità interessata (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

56      Occorre rilevare che gli atti del 2017, al pari degli atti del 2020, sono atti con i quali il Consiglio ha mantenuto il nome della ricorrente negli elenchi controversi. È vero, come sostiene il Consiglio, che la decisione 2015/1333 e il regolamento 2016/44, in allegato ai quali figurano tali elenchi, non prevedono l’obbligo esplicito, a suo carico, di notificare alle persone o entità interessate gli atti con i quali esso mantiene l’inserimento dei loro nomi in detti elenchi.

57      Tuttavia, un siffatto obbligo di notifica deriva dal principio di tutela giurisdizionale effettiva come interpretato dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 55, da cui risulta che il Consiglio è tenuto a notificare qualsiasi mantenimento dell’inserimento in un elenco con un’esposizione dei motivi alle persone interessate, e ciò indipendentemente dalla questione se, per decidere di tale mantenimento, il Consiglio si sia basato su elementi nuovi (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 57).

58      Peraltro, occorre sottolineare che, nel caso di specie, gli atti che comportano il mantenimento dell’inserimento del nome di una persona negli elenchi controversi non sono adottati a intervalli regolari. Tenuto conto della mancanza di prevedibilità quanto alla loro adozione risultante da tale circostanza, se il termine di proposizione di un ricorso di annullamento contro tali atti decorresse a partire dalla loro mera pubblicazione, ne deriverebbe per una persona quale la ricorrente l’onere di verificare continuamente la Gazzetta ufficiale, il che sarebbe tale da ostacolare il suo accesso al giudice dell’Unione.

59      In tali particolari circostanze, il Consiglio non può validamente sostenere che il termine per la proposizione del ricorso di annullamento contro gli atti impugnati previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE abbia iniziato a decorrere nei confronti della ricorrente a partire dalla data della loro rispettiva pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

60      Inoltre, al fine di determinare la data della comunicazione a partire dalla quale hanno iniziato a decorrere i termini che la ricorrente doveva rispettare per contestare gli atti impugnati dinanzi al Tribunale, occorre definire le modalità secondo le quali il Consiglio era tenuto a comunicarle tali atti.

61      A tale riguardo, occorre ricordare che il Consiglio non è libero di scegliere la modalità di comunicazione alle persone interessate degli atti mediante i quali li assoggetta a misure restrittive. Risulta infatti dal punto 61 della sentenza del 23 aprile 2013, Gbagbo e a./Consiglio (da C‑478/11 P a C‑482/11 P, EU:C:2013:258), che una comunicazione indiretta di tali atti mediante la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta ufficiale è autorizzata unicamente nei casi in cui sia impossibile per il Consiglio procedere ad una comunicazione individuale. In mancanza, sarebbe consentito al Consiglio di sottrarsi con facilità al proprio obbligo di notifica individuale (v., in tal senso, ordinanza del 10 giugno 2016, Pshonka/Consiglio, T‑381/14, EU:T:2016:361, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

62      Dalla giurisprudenza citata al precedente punto 61 emerge che l’articolo 13, paragrafo 3 della decisione 2015/1333 e l’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento 2016/44 devono essere interpretati nel senso che, qualora il Consiglio disponga dell’indirizzo di una persona oggetto di misure restrittive, in assenza di comunicazione diretta degli atti che contengono dette misure, il termine di ricorso che la persona deve rispettare per contestare tali atti davanti al Tribunale non inizia a decorrere. È solo, quindi, qualora risulti impossibile comunicare individualmente all’interessato gli atti con i quali sono adottate o mantenute misure restrittive nei suoi confronti che la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta ufficiale fa sì che tale termine inizi a decorrere (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 6 settembre 2013, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑35/10 e T‑7/11, EU:T:2013:397, punto 59, e del 4 febbraio 2014, Syrian Lebanese Commercial Bank/Consiglio, T‑174/12 e T‑80/13, EU:T:2014:52, punti 59 e 60 e giurisprudenza ivi citata).

63      A tale riguardo, occorre osservare che il Consiglio può essere considerato impossibilitato a comunicare individualmente a una persona fisica o giuridica o a un’entità un atto che contiene misure restrittive nei suoi confronti o quando l’indirizzo di tale persona o entità non ha carattere pubblico e non gli viene fornito, o quando la comunicazione inviata all’indirizzo di cui il Consiglio dispone non giunge a destinazione nonostante gli sforzi da esso compiuti, con tutta la necessaria diligenza, al fine di trasmetterla (sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 61).

64      Risulta altresì dalla giurisprudenza che, in linea di principio, non è consentito al Consiglio adempiere l’obbligo di comunicazione all’interessato di un atto contenente misure restrittive nei suoi confronti inviando la notifica di tale atto agli avvocati che lo rappresentano. La notifica al rappresentante di un ricorrente vale come notifica al destinatario solo quando una siffatta forma di notifica è espressamente prevista da una normativa, quando esiste un accordo in tal senso tra le parti o quando l’avvocato è debitamente incaricato a ricevere una siffatta notifica per conto del suo cliente (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio, T 681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227, punti 31 e 34 e giurisprudenza ivi citata).

65      Nel caso di specie, risulta dal fascicolo che, il 21 marzo 2017, data di adozione degli atti del 2017, così come il 5 marzo 2020, data di adozione degli atti del 2020, il Consiglio disponeva, come confermato in udienza, dell’indirizzo dell’avvocata della ricorrente e del mandato conferitole da quest’ultima, quali comunicati con la lettera del 6 ottobre 2016, di cui il Consiglio ha accusato ricezione in pari data. Detto mandato, firmato dalla ricorrente il 12 marzo 2015, precisa, in particolare, che la medesima ha autorizzato la sua avvocata a ricevere qualsiasi informazione, a comunicare per corrispondenza e ad agire per suo conto per ogni questione relativa alle sanzioni adottate nei suoi confronti dal Consiglio di sicurezza nonché per qualsiasi questione relativa all’inclusione del suo nome nell’allegato I della decisione 2011/137 e/o in qualsiasi altro atto successivamente adottato dal Consiglio.

66      Le circostanze della presente causa si distinguono pertanto da quelle della causa che ha dato luogo alla sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), nella quale il Tribunale ha considerato che non era stata fornita la prova dell’esistenza di un mandato di rappresentanza conferito dalla ricorrente al suo rappresentante, cosicché non si poteva ritenere che il Consiglio avesse validamente comunicato la decisione di cui trattasi alla ricorrente mediante una notifica al suo rappresentante e, pertanto, il termine per presentare il ricorso aveva iniziato a decorrere a partire dalla data della pubblicazione di un avviso nella Gazzetta ufficiale.

67      Occorre altresì rilevare che, come confermato dal Consiglio nella sua risposta ai quesiti posti nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento e in udienza, gli atti impugnati non sono stati oggetto di un avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale all’attenzione delle persone figuranti negli allegati controversi.

68      Poiché dal fascicolo non risulta che il Consiglio si trovasse nell’impossibilità di comunicare gli atti impugnati direttamente alla ricorrente o alla sua avvocata debitamente incaricata, o che una siffatta comunicazione sia fallita, e in assenza di un avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale riguardante il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi, la comunicazione individuale degli atti del 2017 alla ricorrente è stata validamente effettuata con la lettera del 25 marzo 2019, con la quale il Consiglio, facendo seguito alla lettera del 5 febbraio 2019 dell’avvocata della ricorrente (v. precedente punto 24), ha notificato detti atti alla medesima.

69      Infine, non risulta né dal fascicolo né dall’argomentazione del Consiglio che la presa di conoscenza effettiva degli atti impugnati dalla ricorrente, ai sensi dell’articolo 263, sesto comma, TFUE, tale da far decorrere i termini di ricorso, abbia avuto luogo prima del 25 marzo 2019, data in cui il Consiglio ha notificato gli atti del 2017 all’avvocata incaricata dalla ricorrente o, per quanto riguarda gli atti del 2020, prima del 13 luglio 2020, data della notifica della risposta del Consiglio ai quesiti posti nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento del Tribunale (v. precedente punto 45).

70      In ogni caso, anche supponendo che la comunicazione individuale degli atti impugnati debba essere considerata come non validamente avvenuta rispettivamente il 25 marzo 2019 e il 13 luglio 2020, il termine di ricorso, in tal caso, non avrebbe iniziato a decorrere e il presente ricorso non sarebbe quindi tardivo.

71      Pertanto, occorre constatare che, poiché il Consiglio non ha validamente comunicato alla ricorrente gli atti del 2017 prima del 25 marzo 2019, ella non era decaduta, alla data del deposito dell’atto introduttivo, il 27 maggio 2019, dal proporre un ricorso diretto al loro annullamento. Del pari, la stessa non era decaduta, alla data del deposito della memoria di adattamento del ricorso, il 1° settembre 2020, dall’adeguare il suo ricorso in modo da tener conto dell’adozione degli atti del 2020 e da chiederne l’annullamento.

72      In tali circostanze, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio, vertente sulla tardività del ricorso avverso gli atti impugnati nella parte in cui esso è fondato sull’articolo 263 TFUE.

 Nel merito

73      A sostegno del ricorso nella parte in cui è fondato sull’articolo 263 TFUE, la ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, il primo, su una violazione delle forme sostanziali relative al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, il secondo, su una violazione dei principi dell’autorità di cosa giudicata e della certezza del diritto e del diritto a un ricorso effettivo, il terzo, su un difetto di fondamento giuridico e di motivazione del mantenimento del suo nome negli elenchi controversi e, il quarto, su una violazione sproporzionata dei suoi diritti fondamentali.

74      In via preliminare, occorre distinguere gli atti con i quali la ricorrente è stata inserita negli elenchi delle persone oggetto di misure restrittive e gli atti successivi aventi ad oggetto il mantenimento dell’inserimento del suo nome in tali elenchi. Infatti, gli atti del 2011, ossia la decisione 2011/137 e il regolamento n. 204/2011, nonché gli atti di inserimento successivi, ossia la decisione 2015/1333 e il regolamento 2016/44, non sono oggetto del presente ricorso e non sono stati contestati in tempo utile dinanzi al giudice dell’Unione. Quanto agli atti del 2014, essi sono stati oggetto del ricorso che ha dato luogo alla sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), divenuta definitiva in assenza di impugnazione. I motivi della ricorrente sono pertanto ricevibili solo nei limiti in cui sono volti ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati, ossia gli atti del 2017 e, in seguito all’adattamento del ricorso sul fondamento dell’articolo 86 del regolamento di procedura, anche gli atti del 2020, nei limiti in cui mantengono l’inserimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi.

75      Occorre esaminare, anzitutto, il terzo motivo, con il quale la ricorrente contesta al Consiglio di aver deciso il mantenimento delle misure restrittive nei suoi confronti senza motivazione né fondamento giuridico.

76      A tale riguardo, occorre ricordare che la questione della motivazione, che costituisce una forma sostanziale, è distinta da quella della prova del comportamento contestato, la quale concerne la legittimità nel merito dell’atto controverso di cui trattasi e implica l’accertamento della veridicità dei fatti indicati in tale atto nonché della qualificazione dei medesimi fatti quali elementi che giustificano l’applicazione di misure restrittive nei confronti della persona interessata (v. sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

77      La motivazione di una decisione consiste nell’esprimere formalmente i motivi su cui si fonda tale decisione. Qualora tali motivi siano viziati da errori, questi ultimi inficiano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando motivi errati. Ne consegue che le censure e gli argomenti diretti a contestare la fondatezza di un atto non sono pertinenti nell’ambito di un motivo vertente sul difetto o sull’insufficienza di motivazione (v. sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

78      Nel caso di specie, come, del resto, la ricorrente ha confermato in udienza, occorre quindi distinguere nel terzo motivo, da un lato, una prima parte, vertente su un’insufficienza di motivazione degli atti impugnati, e, dall’altro, una seconda parte, vertente, in sostanza, su un difetto di base fattuale che giustifichi il mantenimento dell’inserimento del suo nome negli elenchi controversi e sul fatto che il Consiglio non avrebbe prodotto elementi di prova che dimostrassero che le misure nei suoi confronti erano fondate.

–       Sulla prima parte del terzo motivo, vertente su un difetto di motivazione degli atti impugnati

79      La ricorrente fa valere che, contrariamente a quanto richiesto dall’articolo 13, paragrafo 3, della decisione 2015/1333 e dall’articolo 21, paragrafo 3, del regolamento 2016/44 nonché dagli orientamenti del Consiglio in materia di sanzioni, gli atti impugnati sono viziati da un difetto di motivazione.

80      Il Consiglio replica che la ricorrente era in grado di comprendere, sulla base degli atti impugnati stessi nonché degli elementi di prova e delle spiegazioni che le erano state fornite, il contesto e la portata delle misure che la riguardano.

81      Occorre ricordare che l’obbligo di motivare un atto pregiudizievole, che costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa, ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato indicazioni sufficienti per giudicare se l’atto sia fondato oppure se sia eventualmente inficiato da un vizio che consente di contestarne la validità dinanzi al giudice dell’Unione e, dall’altro, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo di legittimità dell’atto stesso (v. sentenza del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui l’atto promana (v. sentenze del 24 settembre 2014, Kadhaf Al Dam/Consiglio, T‑348/13, non pubblicata, EU:T:2014:806, punto 63 e giurisprudenza ivi citata, e del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio, T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

82      Nel contesto delle misure restrittive, senza arrivare ad imporre di rispondere in dettaglio alle osservazioni presentate dal soggetto interessato, l’obbligo di motivazione esige in qualsiasi circostanza – anche quando la motivazione dell’atto dell’Unione corrisponda a motivi indicati da un organo internazionale – che tale motivazione identifichi le ragioni individuali, specifiche e concrete per le quali le autorità competenti ritengono che il soggetto in questione debba essere sottoposto a tali misure (v. sentenza del 18 febbraio 2016, Consiglio/Bank Mellat, C‑176/13 P, EU:C:2016:96, punto 76 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, la motivazione di un atto del Consiglio che impone una misura restrittiva non può, in linea di principio, consistere solo in una formulazione generica e stereotipata (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 146 e giurisprudenza ivi citata).

83      Tuttavia, la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel quale è stato adottato. Essa deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi addotti e dell’interesse che i destinatari o altre persone che tale atto riguardi direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. Non si richiede che essa specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto il suo carattere sufficiente deve essere valutato alla luce non solo del tenore letterale dell’atto di cui trattasi, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia interessata (v. sentenze del 24 settembre 2014, Kadhaf Al Dam/Consiglio T‑348/13, non pubblicata, EU:T:2014:806, punto 66 e giurisprudenza ivi citata, e del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio, T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).

84      In particolare, un atto pregiudizievole è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti (v. sentenze del 24 settembre 2014, Kadhaf Al Dam/Consiglio T‑348/13, non pubblicata, EU:T:2014:806, punto 67 e giurisprudenza ivi citata, e del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio, T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

85      Nel caso di specie, occorre constatare che gli atti impugnati menzionano la ragione per cui il Consiglio ha mantenuto il nome della ricorrente negli elenchi controversi nel marzo 2017 e nel marzo 2020, che corrisponde alle giustificazioni che erano state menzionate per procedere all’inserimento del suo nome negli elenchi allegati agli atti del 2011 e successivamente negli elenchi controversi, vale a dire quelli allegati alla decisione 2015/1333 e al regolamento 2016/44, ossia il fatto di essere stata inserita a norma dei punti 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011), a motivo della sua associazione con il regime istituito dal sig. Gheddafi.

86      Inoltre, occorre rilevare che il Consiglio ha fornito talune informazioni alla ricorrente (v. precedente punto 13), facendo riferimento, da un lato, alle dichiarazioni che quest’ultima avrebbe reso pubblicamente nel 2011 e nel 2013, che incitavano a rovesciare le legittime autorità libiche e a vendicare la morte di suo padre, e, dall’altro, alla situazione di instabilità ancora esistente in Libia, ribadendo al contempo la necessità di impedire a individui associati al vecchio regime del sig. Gheddafi di continuare a indebolire la situazione in Libia.

87      Ne consegue che la ricorrente ha potuto comprendere che il suo nome era stato mantenuto negli elenchi controversi a motivo del suo inserimento in forza dei punti 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011), di quelle dichiarazioni che fanno parte del contesto in cui si inserivano gli atti impugnati e del fatto che il Consiglio giudicava tali misure ancora necessarie.

88      Le indicazioni contenute negli atti impugnati, alle quali si aggiungevano le informazioni fornite nell’ambito dello scambio di corrispondenza con il Consiglio, erano quindi sufficienti per consentire alla ricorrente di formarsi un’opinione sulla regolarità degli atti impugnati e di preparare la contestazione di questi ultimi, cosa che ella ha potuto validamente fare nel caso di specie.

89      Occorre di conseguenza respingere la prima parte del terzo motivo.

–       Sulla seconda parte del terzo motivo, vertente su un difetto di base fattuale che giustifichi il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi

90      La ricorrente fa valere che gli atti impugnati non rivelano un fondamento giuridico che avrebbe consentito al Consiglio di mantenere il suo nome negli elenchi controversi e che tale mantenimento si fonderebbe unicamente sul motivo che la stessa continuava ad essere designata dal Consiglio di sicurezza, conformemente ai punti 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011). Fondandosi sulla sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), la ricorrente fa valere che gli atti impugnati non contengono motivi individuali, specifici e concreti che giustifichino il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi nonostante il crollo del regime cui si riferiva detta risoluzione.

91      Più in particolare, le informazioni che il Consiglio ha invocato per giustificare il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi non avrebbero alcun nesso con il periodo specifico e con il comportamento indicato ai punti 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011) e/o sarebbero tratte da vaghi sentito dire o da altre fonti prive di valore probatorio.

92      Secondo la ricorrente, per quanto riguarda le affermazioni tratte da sentito dire in relazione a discorsi specifici che le sarebbero stati attribuiti, il Consiglio aveva l’obbligo di esaminarne la pertinenza e l’importanza, tenuto conto, da un lato, delle rassicurazioni scritte delle autorità omanite secondo le quali la ricorrente aveva rispettato le condizioni della sua residenza nel loro paese e, dall’altro, del comunicato scritto delle autorità libiche che indicava che la revoca della designazione della ricorrente era compatibile con gli obiettivi di pace e di riconciliazione in Libia, e che ella non era percepita come un rischio per un processo politico pacifico in Libia.

93      Per quanto riguarda le informazioni che sembrerebbero indicare che la ricorrente fosse in qualche modo associata ad un’irregolarità finanziaria, ella fa valere che il Consiglio non ha mai affermato, né a fortiori dimostrato, che i beni specifici interessati dalle misure restrittive di cui trattasi siano il prodotto di una malversazione o abbiano un qualsiasi altro nesso con i motivi esposti ai paragrafi 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011).

94      Secondo la ricorrente, anche qualora i sostenitori del vecchio regime del sig. Gheddafi persistessero nei loro tentativi di destabilizzare la situazione in Libia e fossero coinvolti in attacchi contro civili, i motivi del mantenimento del suo nome negli elenchi controversi non contenevano manifestamente alcuna informazione a partire dalla quale ella avrebbe potuto dedurre il suo ruolo individuale, specifico e concreto in tali eventi e la rilevanza del suo eventuale coinvolgimento nella mancanza di sicurezza in Libia.

95      Il Consiglio contesta gli argomenti della ricorrente. In primo luogo, esso replica che i motivi sottesi al mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi non sono stati presi in considerazione nella sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), vertente sugli atti del 2014, e non possono pertanto costituire punti di fatto o di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi da tale sentenza.

96      In secondo luogo, il Consiglio fa valere di aver adottato gli atti impugnati sulla base delle informazioni contenute nella sua lettera del 4 maggio 2015 (v. precedente punto 13) e delle informazioni aggiornate fornite dal comitato per le sanzioni, aggiungendo un riferimento a un avviso dell’Interpol e sopprimendo il paragrafo relativo alle «informazioni supplementari» sulla violazione del divieto di viaggio. Per quanto riguarda l’aggiunta del riferimento all’avviso dell’Interpol, il Consiglio indica tuttavia che esso, riguardando un’indagine su reati finanziari, non si è basato sulle informazioni relative a tale indagine, poiché questo tipo di condotte non rientra nei criteri di designazione previsti agli articoli 8 e 9 della decisione 2015/1333 e alla corrispondente disposizione del regolamento 2016/44 o dalle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

97      Innanzitutto, da un lato, il Consiglio sostiene, come indicato al considerando 3 della decisione 2015/1333 che la pace, la stabilità o la sicurezza della Libia e il positivo completamento della transizione politica del paese continuano a essere minacciati, tra l’altro, dall’inasprimento delle attuali divisioni ad opera di persone ed entità di cui è stato accertato il coinvolgimento nelle politiche repressive del vecchio regime del sig. Gheddafi in Libia, o altrimenti associate in passato a tale regime. Dall’altro lato, il Tribunale avrebbe altresì dichiarato, nella sentenza del 20 settembre 2016, Alsharghawi/Consiglio (T‑485/15, non pubblicata, EU:T:2016:520), che l’esattezza di tale valutazione del Consiglio era avvalorata dalla circostanza che, nella sua risoluzione 2213 (2015), il Consiglio di sicurezza aveva in particolare riaffermato, in sostanza, la necessità di impedire a individui associati al precedente regime del sig. Gheddafi di destabilizzare la situazione in Libia.

98      Poi, il Consiglio fa valere che le dichiarazioni e gli articoli di stampa che esso ha comunicato alla ricorrente con la sua lettera del 4 maggio 2015 (v. precedente punto 13) sono sufficientemente concreti, precisi e concordanti per avvalorare la veridicità delle dichiarazioni che la ricorrente avrebbe reso pubblicamente nel 2011 e nel 2013, che incitavano a rovesciare le legittime autorità libiche e a vendicare la morte di suo padre. Tali dichiarazioni corrisponderebbero chiaramente ai criteri di inserimento negli elenchi controversi, in quanto dimostrerebbero che la ricorrente contribuisce, al pari di altri individui associati al vecchio regime del sig. Gheddafi, a destabilizzare la situazione in Libia. Inoltre, il fatto che le autorità omanite abbiano ritenuto che il soggiorno della ricorrente in Oman piuttosto che nelle immediate vicinanze della Libia avrebbe contribuito a placare le tensioni nella regione e che l’autorizzazione, per la ricorrente, a soggiornare in Oman fosse stata subordinata a che quest’ultima si impegnasse a non svolgere alcuna attività politica dimostrerebbe che ella continuava a rappresentare una minaccia per la pace, la stabilità o la sicurezza della Libia.

99      Pertanto, le informazioni aggiornate fornite dal comitato per le sanzioni e le motivazioni enunciate negli atti impugnati, come integrate e sviluppate dalle informazioni comunicate alla ricorrente nella lettera del 4 maggio 2015 (v. precedente punto 13), che potevano essere prese in considerazione ai fini dell’adozione degli atti impugnati, attesterebbero il riesame operato dal Consiglio per giustificare il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi.

100    Infine, né la nota verbale delle autorità omanite né il comunicato delle autorità libiche invocati dalla ricorrente costituirebbero elementi sufficienti affinché il Consiglio non mantenga il nome della ricorrente negli elenchi controversi.

101    Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, l’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea postula in particolare che il giudice dell’Unione si assicuri che la decisione con la quale sono state adottate o mantenute misure restrittive, che riveste una portata individuale per la persona o l’entità interessata, poggi su una base fattuale sufficientemente solida. Ciò comporta una verifica dei fatti addotti nell’esposizione dei motivi sottesa a tale decisione, cosicché il controllo giurisdizionale non si limiti alla valutazione dell’astratta verosimiglianza dei motivi dedotti, ma consista invece nell’accertare se questi motivi, o per lo meno uno di essi considerato di per sé sufficiente a suffragare la medesima decisione, siano fondati (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119).

102    Spetta al giudice dell’Unione procedere a detto esame, chiedendo, se necessario, all’autorità competente dell’Unione di produrre informazioni o elementi probatori, riservati o meno, pertinenti ai fini di un siffatto esame (v. sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 120 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, in caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi. A tal fine, occorre che le informazioni o gli elementi prodotti suffraghino i motivi posti a carico della persona interessata (sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 121 e 122).

103    È alla luce di tali principi che occorre stabilire se il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi si fondi su una base fattuale sufficientemente solida.

104    Nel caso di specie, anzitutto, occorre rilevare che le considerazioni svolte dalla ricorrente per confutare l’affermazione secondo cui ella avrebbe viaggiato in violazione del divieto istituito dal Consiglio di sicurezza e dal comitato per le sanzioni sono prive di pertinenza. Infatti, il Consiglio non si è più fondato, per l’adozione degli atti impugnati, sulle informazioni contenute nella sua lettera del 18 dicembre 2014 (v. precedente punto 11) e tale motivo di inserimento non è più indicato tra quelli che figurano negli elenchi controversi.

105    Occorre poi constatare che gli atti impugnati non menzionano altre giustificazioni per il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi nel marzo 2017 e nel marzo 2020 oltre a quelle che erano state addotte per procedere all’inserimento del suo nome negli elenchi allegati agli atti del 2011 e all’applicazione dei paragrafi 15 e 17 della risoluzione 1970 (2011). Quanto al riferimento all’avviso dell’Interpol, come ricordato al precedente punto 96, il Consiglio ha indicato e confermato in udienza che esso non si è basato sulle informazioni relative all’indagine oggetto di tale avviso.

106    È vero che i motivi addotti dal Consiglio per inserire il nome della ricorrente negli elenchi controversi, ossia il fatto di essere la «[f]iglia di Muammar GHEDDAFI» e in «[a]ssociazione stretta con il regime» di quest’ultimo non sono stati contestati in tempo utile dinanzi al giudice dell’Unione.

107    Tuttavia, anche se il Consiglio poteva riferirsi al fatto che la ricorrente figurava tra le persone indicate nella risoluzione 1970 (2011) e alla motivazione enunciata in detta risoluzione, risulta chiaramente dalla giurisprudenza ricordata ai precedenti punti 101 e 102 che esso non è assolutamente esonerato dal suo obbligo di dimostrare che il mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi si fondava su una base fattuale sufficientemente solida.

108    Occorre ricordare al riguardo che gli atti del 2011 erano stati adottati «nei confronti (…) di persone ed entità coinvolte in violazioni gravi dei diritti umani in Libia, ivi compreso il coinvolgimento in attacchi nei confronti delle popolazioni e delle infrastrutture civili», come esposto al considerando 3 della decisione 2011/137. La decisione 2015/1333 e il regolamento 2016/44 sono stati adottati allo scopo di consolidare in nuovi strumenti giuridici le misure restrittive imposte dagli atti del 2011, come modificati e attuati da diversi atti successivi, «in considerazione della minaccia specifica alla pace internazionale e alla sicurezza nella regione posta dalla situazione in Libia» (v. considerando 4 del regolamento 2016/44).

109    Orbene, malgrado le spiegazioni del Consiglio richiamate al precedente punto 97, l’indicazione «[i]nserita nell’elenco a norma dei punti 15 e 17 della risoluzione 1970 [(2011)] (divieto di viaggio, congelamento dei beni)» non consente di comprendere le ragioni individuali, specifiche e concrete per le quali il nome della ricorrente è stato mantenuto negli elenchi controversi il 21 marzo 2017 e il 5 marzo 2020.

110    A tale riguardo, occorre rilevare che il Consiglio si limita a rinviare alle informazioni comunicate alla ricorrente nella lettera del 4 maggio 2015 (v. precedente punto 13), in particolare alle dichiarazioni che la stessa avrebbe reso pubblicamente nel 2011 e nel 2013, senza spiegare le ragioni per le quali dette informazioni avrebbero attestato il rischio che la ricorrente presentava per la pace e la sicurezza internazionali nella regione nel 2017 e nel 2020, ossia al momento dell’adozione degli atti impugnati.

111    Si deve ricordare, al riguardo, che ai punti 69 e 73 della sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), il Tribunale ha rilevato che le informazioni comunicate alla ricorrente nella lettera del 4 maggio 2015 (v. precedente punto 13) non figuravano tra i motivi il base ai quali gli atti del 2014 erano stati adottati, che esse erano state portate all’attenzione del Consiglio successivamente alla data di adozione di detti atti e che i motivi controversi non contenevano manifestamente elementi da cui la ricorrente avrebbe potuto dedurre, anche sforzandosi di interpretarli in modo estensivo, quale fosse il suo ruolo individuale, specifico e concreto negli eventi che si svolgevano in Libia.

112    Vero è che l’autorità di cosa giudicata della sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), che la ricorrente fa valere, non può essere invocata nel caso di specie. Infatti, in primo luogo, come sostenuto dal Consiglio, gli atti del 2017 sono stati adottati prima della pronuncia di tale sentenza, in secondo luogo, l’oggetto e la causa del presente ricorso non sono gli stessi del ricorso che ha dato luogo a detta sentenza e, in terzo luogo, il principio dell’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto effettivamente o necessariamente decisi da una pronuncia giudiziale (v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2018, National Iranian Tanker Company/Consiglio, C‑600/16 P, EU:C:2018:966, punto 43 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, i motivi sottesi al mantenimento del nome della ricorrente negli elenchi controversi non costituiscono punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla sentenza del 28 marzo 2017, El-Qaddafi/Consiglio (T‑681/14, non pubblicata, EU:T:2017:227), vertente sull’annullamento degli atti del 2014.

113    Da una siffatta constatazione non si può tuttavia dedurre che il Consiglio non dovesse nondimeno precisare le ragioni per le quali le informazioni che erano state portate a sua conoscenza anteriormente alla data di adozione degli atti impugnati, come comunicate alla ricorrente nella lettera del 4 maggio 2015, sarebbero state ancora attuali, nel 2017 e nel 2020, per giustificare il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi.

114    Infatti, le asserite dichiarazioni pubbliche della ricorrente alle quali si fa riferimento nella lettera del 4 maggio 2015 avrebbero avuto luogo nel 2011, nell’immediato della divulgazione delle relazioni concernenti la morte del sig. Gheddafi e del sig. Mutassim Gheddafi, e nel 2013. Pertanto, sono trascorsi diversi anni da quando tali dichiarazioni sono state riportate nella stampa e portate a conoscenza del Consiglio, senza che quest’ultimo fornisca la minima indicazione quanto alle ragioni per le quali il contenuto di dette dichiarazioni avrebbe attestato che la ricorrente rappresentava ancora una minaccia sanzionata nell’ambito degli obiettivi della risoluzione 1970 (2011), nonostante i cambiamenti intervenuti nel frattempo riguardanti la sua situazione individuale.

115    Occorre osservare al riguardo che, a partire dagli atti di inserimento del 2011 e dagli atti di inserimento successivi, vale a dire la decisione 2015/1333 e il regolamento 2016/44, la ricorrente non risiedeva più in Libia e il fascicolo non menziona né una sua partecipazione alla vita politica libica né dichiarazioni diverse da quelle che le sono state attribuite nel 2011 e nel 2013. Nonostante tali cambiamenti riguardanti la situazione individuale della ricorrente, il Consiglio non spiega le ragioni per le quali quest’ultima rappresentava, nel 2017 e nel 2020, ossia al momento dell’adozione degli atti impugnati, una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali nella regione.

116    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, le critiche della ricorrente, relative al fatto che gli atti impugnati sono privi di base fattuale che giustifichi il mantenimento del suo nome negli elenchi controversi, sono fondate.

117    Occorre quindi accogliere la seconda parte del terzo motivo di ricorso e, di conseguenza, annullare gli atti impugnati nei limiti in cui riguardano la ricorrente, senza che sia necessario esaminare il ricorso nella parte in cui è fondato sull’articolo 265 TFUE né gli altri motivi e argomenti dedotti dalla ricorrente a sostegno della sua domanda di annullamento di detti atti.

 Sul mantenimento degli effetti della decisione di esecuzione

118    A seguito delle osservazioni relative alla memoria di adattamento, in subordine, il Consiglio chiede che, in caso di annullamento parziale del regolamento di esecuzione 2020/371, per ragioni di certezza del diritto, il Tribunale dichiari che gli effetti della decisione 2020/374 siano mantenuti sino al momento in cui produrrà effetti l’annullamento parziale del regolamento di esecuzione 2020/371.

119    In udienza, il Consiglio ha indicato che la decisione di esecuzione 2017/497 era ancora in vigore, poiché non è stata sostituita dalla decisione di esecuzione 2020/374, dato che quest’ultima si era limitata ad aggiornare le informazioni relative ai passaporti della ricorrente e al suo numero di identificazione nazionale, il che non aveva alcun impatto sul motivo per il quale la ricorrente era stata mantenuta nell’elenco pertinente. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il Tribunale dovesse ritenere che la decisione di esecuzione 2020/374 sostituisse la decisione di esecuzione 2017/497, il Consiglio ha mantenuto la sua domanda in subordine (v. precedente punto 39, terzo trattino).

120    Occorre considerare che la decisione di esecuzione 2017/497 ha prodotto effetti per la ricorrente solo fino al 6 marzo 2020, data di pubblicazione della decisione di esecuzione 2020/374, la quale ha aggiornato le informazioni amministrative riguardanti la ricorrente senza tuttavia modificare i motivi del suo inserimento. Di conseguenza, la domanda di mantenimento degli effetti, presentata dal Consiglio in via subordinata, può riguardare solo questa seconda decisione.

121    Dall’articolo 60, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea risulta che l’impugnazione non ha effetto sospensivo. Tuttavia, l’articolo 60, secondo comma, di tale Statuto prevede che, in deroga all’articolo 280 TFUE, le decisioni del Tribunale che annullano un regolamento hanno effetto soltanto a decorrere dalla scadenza del termine entro il quale può essere proposta un’impugnazione oppure, se entro tale termine è stata proposta impugnazione, a decorrere dal relativo rigetto.

122    Nel caso di specie, il regolamento di esecuzione 2020/371 ha natura di regolamento, in quanto prevede che esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, il che corrisponde agli effetti di un regolamento quali previsti dall’articolo 288 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran, C‑200/13 P, EU:C:2016:284, punto 121).

123    L’articolo 60, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea è senz’altro applicabile nel caso di specie (v., per analogia, sentenza del 21 aprile 2016, Consiglio/Bank Saderat Iran, C‑200/13 P, EU:C:2016:284, punto 122).

124    Per quanto riguarda gli effetti nel tempo dell’annullamento della decisione 2020/374, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 264, secondo comma, TFUE, il Tribunale può, ove lo reputi necessario, precisare gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi.

125    Nel caso di specie, l’esistenza di una differenza tra la data in cui produrrà effetti l’annullamento del regolamento di esecuzione 2020/371 e quella della decisione 2020/374 potrebbe compromettere gravemente la certezza del diritto, poiché questi due atti applicano alla ricorrente misure identiche (v., per analogia, sentenza del 21 febbraio 2018, Klyuyev/Consiglio, T‑731/15, EU:T:2018:90, punto 263). Gli effetti della decisione 2020/374 devono quindi essere mantenuti, per quanto riguarda la ricorrente, sino al momento in cui produrrà effetti l’annullamento del regolamento di esecuzione 2020/371.

 Sulle spese

126    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente, va condannato alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione di esecuzione (PESC) 2017/497 del Consiglio, del 21 marzo 2017, che attua la decisione (PESC) 2015/1333 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia, e la decisione di esecuzione (PESC) 2020/374 del Consiglio, del 5 marzo 2020, che attua la decisione (PESC) 2015/1333, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia, sono annullate nella parte in cui mantengono il nome della sig.ra Aisha Muammer Mohamed El-Qaddafi negli elenchi di cui agli allegati I e III della decisione (PESC) 2015/1333 del Consiglio, del 31 luglio 2015, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga la decisione 2011/137/PESC.

2)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2017/489 del Consiglio, del 21 marzo 2017, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2016/44 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia, e il regolamento di esecuzione (UE) 2020/371 del Consiglio, del 5 marzo 2020, che attua l’articolo 21, paragrafo 5, del regolamento (UE) 2016/44, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia, sono annullati nella parte in cui mantengono il nome della sig.ra Aisha Muammer Mohamed El-Qaddafi nell’elenco di cui all’allegato II del regolamento (UE) 2016/44 del Consiglio, del 18 gennaio 2016, concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Libia e che abroga il regolamento (UE) n. 204/2011.

3)      Gli effetti dell’articolo 1 della decisione di esecuzione 2020/374 sono mantenuti nei confronti della sig.ra Aisha Muammer Mohamed El-Qaddafi fino alla data di scadenza del termine di impugnazione di cui all’articolo 56, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, o, qualora entro tale termine sia proposta impugnazione, fino all’eventuale rigetto della stessa.

4)      Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.

Spielmann

Öberg

Spineanu-Matei

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 aprile 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.