Language of document : ECLI:EU:C:2005:654

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 27 ottobre 20051(1)

Causa C-212/04

Konstantinos Adeneler e altri

[Domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Monomeles Protodikeio Thessaloniki (Grecia)]

«Obbligo di interpretazione del diritto nazionale in conformità ad una direttiva prima della scadenza del termine di attuazione della stessa – Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (direttiva 1999/70) – Successione di rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico – Ragioni obiettive – Provvedimenti per la prevenzione degli abusi»





I –    Introduzione

1.        Nel caso di specie si esamina l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato da parte di datori di lavoro del settore pubblico in Grecia. Un tribunale greco, il Monomeles Protodikeio Thessaloniki, solleva, nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale, questioni riguardanti le prescrizioni di diritto comunitario applicabili a siffatti rapporti di lavoro a tempo determinato. In tale ambito particolare riguardo è rivolto alle misure necessarie a prevenire il ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi.

2.        La Corte di giustizia viene inoltre investita, con tale rinvio pregiudiziale, di una questione di sostanziale importanza: a partire dal quale momento sussista per i giudici nazionali l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità ad una direttiva.

II – Contesto normativo

A –    Normativa comunitaria

3.        Il contesto normativo di diritto comunitario relativo al caso di specie è costituito dalla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (2) (in prosieguo: la «direttiva 1999/70»). Con tale direttiva viene recepito l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (in prosieguo anche: l’«accordo quadro») concluso il 18 marzo 1999 fra tre organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, UNICE e CEEP) e inserito in allegato nella direttiva.

4.        L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato si basa anzitutto sulla considerazione «che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori di lavoro e i lavoratori» (3). L’accordo quadro riconosce comunque egualmente che i contratti di lavoro a tempo determinato «rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i datori di lavoro sia i lavoratori» (4).

5.        Corrispondentemente la clausola 1 dell’accordo quadro definisce l’obiettivo di quest’ultimo come segue:

«L’obiettivo del presente accordo quadro è:

a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b)      creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».

6.        La clausola 5 dell’accordo quadro riguarda le misure di prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato:

«1.      Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)       ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)       la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)       il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2.      Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a)       devono essere considerati “successivi”;

b)       devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

7.        La clausola 8 dell’accordo quadro stabilisce infine al n. 3:

«L’applicazione del presente accordo non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso».

8.        La direttiva 1999/70 lascia agli Stati membri il compito di definire, secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, i concetti utilizzati nell’accordo quadro ma non precisamente determinati, purché tali definizioni rispettino il contenuto dell’accordo quadro (5). Ciò deve consentire di tener conto della rispettiva situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a particolari settori e occupazioni, comprese le attività di tipo stagionale (6).

9.        L’art. 3 della direttiva 1999/70 indica come momento della sua entrata in vigore il giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, quindi il 10 luglio 1999.

10.      Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70 gli Stati membri sono obbligati a «[mettere] in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi entro il 10 luglio 2001», o ad assicurarsi che, entro tale data, «le parti sociali introducano le disposizioni necessarie mediante accordi». Ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della direttiva gli Stati membri, ove sia necessario e previa consultazione con le parti sociali, in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo, possono fruire di un ulteriore periodo non superiore ad un anno. Secondo quanto comunica la Commissione, nel caso della Grecia è stata concessa una siffatta proroga di un anno, sino al 10 luglio 2002.

B –    Normativa nazionale

11.      Nell’ambito dell’ordinamento giuridico greco rilevano da un lato le disposizioni della legge n. 2190/1994, dall’altro i decreti presidenziali emanati per l’attuazione della direttiva 1999/70.

La legge n. 2190/1994

12.      L’art. 21 della legge n. 2190/1994 (7) stabilisce quanto segue:

«(…) autorità statali e persone giuridiche (…) possono assumere personale con contratto di lavoro di diritto privato a tempo determinato per far fronte ad un fabbisogno stagionale o ad altro fabbisogno ricorrente o provvisorio (…) È nulla la conversione in un contratto a tempo indeterminato (…)».

Il decreto presidenziale n. 81/2003

13.      Il decreto presidenziale n. 81/2003 (8), entrato in vigore il 2 aprile 2003, ha ad oggetto «Disposizioni relative a lavoratori con contratto a tempo determinato» e, ai sensi del suo art. 2, n. 1, ha trovato in origine «applicazione a lavoratori con contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato». Attraverso il successivo decreto presidenziale 23 agosto 2004 (9), n. 180/2004, l’ambito di applicazione di quella disposizione è stato tuttavia limitato a rapporti di lavoro nel settore privato (10).

14.      L’art. 5 del decreto presidenziale n. 81/2003 conteneva nella sua versione originale le seguenti «disposizioni per la protezione del lavoratore e per la prevenzione di elusioni della legge a suo danno»:

«1.      Il rinnovo illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato è consentito se giustificato da una ragione obiettiva.

a)      Sussiste una ragione obiettiva in particolare:

(…) qualora la stipulazione di un contratto a tempo determinato sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare.

(…)

3.      Se la durata dei successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato supera complessivamente i due anni in assenza di una delle ragioni di cui al n. 1 di questo articolo, si presume che con essi si intenda far fronte ad un fabbisogno permanente e durevole dell’impresa o dell’attività, con la conseguenza che essi vengono convertiti in contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Se nel detto periodo di due anni vi sono stati più di tre rinnovi successivi ai sensi del n. 4 di questo articolo, in assenza di una delle ragioni di cui al n. 1 di questo articolo, si presume che con essi si intenda far fronte ad un fabbisogno permanente e durevole dell’impresa o dell’attività, con la conseguenza che i contratti corrispondenti vengono convertiti in contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

In ognuna di tale fattispecie l’onere della prova contraria ricade sul datore di lavoro.

4.      Sono considerati «successivi» i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati con condizioni di lavoro identiche o simili tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore tra i quali intercorra un periodo non superiore a venti (20) giorni lavorativi.

5.      Le disposizioni di questo articolo si applicano ai contratti o ai rinnovi di contratti o ai rapporti di lavoro aventi luogo dopo l’entrata in vigore di questo decreto».

15.      Con il decreto presidenziale n. 180/2004 è stato anche riformulato il detto art. 5 del decreto presidenziale n. 81/2003, che ora, in sintesi, è del seguente tenore (11):

«1.      Il rinnovo illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato è consentito se giustificato da una ragione obiettiva. Una siffatta ragione sussiste in particolare:

se il rinnovo è giustificato dalla forma, dal tipo o dall’attività del datore di lavoro o dell’impresa o da motivi o esigenze particolari, qualora tali circostanze risultino direttamente o indirettamente dal contratto interessato, come ad esempio in caso di sostituzione provvisoria del lavoratore, di esecuzione di lavori provvisori, di temporaneo sovraccarico di lavoro, oppure, nel caso in cui la durata limitata è legata all’istruzione o alla formazione, qualora il rinnovo del contratto avvenga con lo scopo di facilitare il passaggio del lavoratore ad un’occupazione analoga, o di realizzare un’opera o un programma concreti, o è relativo al raggiungimento di un risultato concreto, o (…).

3.      Se la durata dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato supera complessivamente i due (2) anni, si presume che con essi si intenda far fronte a fabbisogni permanenti e durevoli dell’impresa o dell’attività, con la conseguenza che essi vengono convertiti in contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Se nel detto periodo di due anni vi sono stati più di tre (3) rinnovi successivi, ai sensi del n. 4 di questo articolo, si presume che con essi si intenda far fronte ad un fabbisogno permanente e durevole dell’impresa o dell’attività, con la conseguenza che i contratti corrispondenti vengono convertiti in contratti o rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

In ognuna di tali fattispecie l’onere della prova contraria ricade sul datore di lavoro.

4.      Sono considerati “successivi” contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati con condizioni di lavoro identiche o simili tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, e tra i quali non intercorrano più di quarantacinque (45) giorni, lavorativi o meno. Qualora si tratti di un gruppo di imprese, l’indicazione “stesso datore di lavoro”, ai fini dell’applicazione del precedente comma, deve intendersi riferita anche alle imprese del gruppo.

5.      Le disposizioni di questo articolo si applicano ai contratti o ai rinnovi di contratti o ai rapporti di lavoro aventi luogo dopo l’entrata in vigore di questo decreto».

Il decreto presidenziale n. 164/2004

16.      Con il decreto presidenziale n. 164/2004 (12), entrato in vigore il 19 luglio 2004, viene infine introdotta una speciale regolamentazione per i lavoratori con contratto a tempo determinato nel settore pubblico. L’art. 2, n. 1, di tale decreto individua il suo ambito di applicazione come segue:

«Il presente decreto si applica al personale del settore pubblico, così come definito ai sensi dell’art. 3 di questo stesso decreto, nonché al personale delle imprese municipali assunto con un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, o con un contratto d’opera, oppure con un altro contratto o rapporto il quale dissimuli un rapporto di lavoro subordinato».

17.      Riguardo all’ammissibilità di contratti successivi nel settore pubblico, l’art. 5 del decreto presidenziale n. 164/2004 contiene, tra le altre, le seguenti disposizioni:

«1.      Sono vietati contratti successivi stipulati ed eseguiti tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore nell’ambito dello stesso settore o di un settore simile, con condizioni di lavoro identiche o simili, qualora tra questi contratti intercorra un lasso temporale inferiore a tre mesi.

2.      La stipulazione di tali contratti è eccezionalmente consentita se giustificata da una ragione obiettiva. Una ragione obiettiva sussiste se i contratti successivi al contratto originario sono stipulati per soddisfare bisogni particolari dello stesso tipo, direttamente o indirettamente riconducibili al tipo, alla natura o all’attività dell’impresa.

(…)

4.      In nessun caso il numero dei contratti successivi può essere superiore a tre, fatte salve le disposizioni di cui al n. 2 dell’articolo seguente».

18.      Le disposizioni transitorie di cui all’art. 11 del decreto presidenziale n. 164/2004 prevedono tra l’altro quanto segue:

«1.      I contratti successivi ai sensi dell’art. 5, n. 1, di questo decreto, stipulati prima della sua entrata in vigore e validi sino a tale data divengono d’ora in poi contratti di lavoro a tempo indeterminato se sussistono cumulativamente le seguenti condizioni:

a)      durata complessiva dei contratti successivi di almeno ventiquattro (24) mesi fino all’entrata in vigore del decreto, indipendentemente dal numero dei rinnovi contrattuali, oppure al minimo tre rinnovi successivi al contratto originario ai sensi dell’art. 5, n. 1, di questo decreto con una durata totale dell’attività lavorativa di almeno diciotto (18) mesi nell’ambito di un periodo complessivo di ventiquattro (24) mesi, calcolati a partire dal contratto originario.

b)      L’attività lavorativa dev’essere effettivamente svolta per la sua durata complessiva, ai sensi della lett. a), presso la stessa istituzione, con la stessa o con un’analoga qualifica professionale e con condizioni di lavoro identiche o analoghe a quelle indicate nel contratto originario. (…)

c)      Oggetto dei contratti devono essere attività direttamente ed immediatamente riconducibili ad un fabbisogno permanente e durevole dell’istituzione interessata, così come definito dal pubblico interesse che tale istituzione serve.

d)      L’attività lavorativa complessiva, ai sensi delle lettere precedenti, dev’essere stata svolta a tempo pieno o a tempo parziale e in funzioni identiche o simili a quelle indicate nel contratto originario.

(…)

5.      Le disposizioni del n. 1 di questo articolo si applicano anche ai contratti scaduti nei tre mesi precedenti all’entrata in vigore di questo decreto; tali contratti sono considerati contratti successivi validi fino all’entrata in vigore di questo decreto. La condizione indicata nel n. 1, lett. a), di questo articolo deve risultare soddisfatta alla scadenza del contratto».

III – Fatti e causa principale

19.      I ricorrenti della causa principale (13), inizialmente 18, tra i quali il sig. Adeneler, erano dipendenti del convenuto nella causa principale, l’organismo greco nel settore del latte Ellinikos Organismos Galaktos (in prosieguo: l’«ELOG»). L’ELOG è una persona giuridica di diritto privato con sede in Salonicco, che, secondo la normativa greca applicabile, appartiene in senso lato al settore pubblico (14). L’ELOG è competente per la gestione delle quote latte nel territorio greco e in tale ambito, in particolare, per il controllo dell’osservanza dei limiti massimi validi per la Grecia.

20.      Tra l’ELOG ed ognuno dei ricorrenti della causa principale sussisteva una successione di contratti di lavoro di diritto privato, tutti a tempo determinato, sia i contratti di lavoro originari, sia quelli che di volta in volta seguivano.

21.      I primi rapporti di lavoro con alcuni dei ricorrenti ebbero inizio già prima del 10 luglio 2001, l’originale termine finale per l’attuazione della direttiva 1999/70. Con i restanti ricorrenti l’ELOG stipulò i primi contratti di lavoro ad ogni modo prima della scadenza della proroga del termine di attuazione, il 10 luglio 2002. Tutti i contratti, sia quelli originari che i successivi, furono stipulati ogni volta per una durata di otto mesi e tra i contratti intercorrevano di volta in volta periodi di durata variabile tra i 22 giorni e gli 11 mesi. Ciascuno dei ricorrenti continuò ad essere impiegato nello stesso settore lavorativo (tecnico di laboratorio, segretaria, veterinario, ecc.) cui si riferiva il suo contratto di lavoro originario.

22.      Al momento dell’entrata in vigore del decreto presidenziale n. 81/2003, il 2 aprile 2003, era in corso con ognuno dei ricorrenti un rapporto di lavoro a tempo determinato. Tutti questi rapporti di lavoro giungevano a termine tra il mese di giugno e la fine del mese di agosto 2003. Da allora i ricorrenti sono alcuni disoccupati, altri ancora occupati presso l’ELOG a seguito di provvedimenti giudiziari d’urgenza.

23.      Nella causa principale i ricorrenti sostengono che il loro lavoro soddisfi un fabbisogno permanente e durevole del convenuto e che pertanto la ripetuta stipulazione con gli stessi di contratti di lavoro a tempo determinato sia stata abusiva. Essi chiedono nel merito di dichiarare i contratti di lavoro che li vincolano all’ELOG contratti a tempo indeterminato. Tale constatazione rappresenta la condicio sine qua non di ulteriori domande dei ricorrenti quali la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento di salari arretrati.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

24.      Con sentenza 8 aprile 2004, rettificata con ordinanza 5 luglio 2004, il Monomeles Protodikeio di Salonicco (15) (in prosieguo anche: il «giudice del rinvio») ha proposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)       Se il giudice nazionale debba interpretare il proprio diritto nazionale – nei limiti del possibile – in modo conforme ad una direttiva tardivamente recepita nell’ordinamento giuridico interno a) dal momento in cui la direttiva sia entrata in vigore, oppure b) dal momento in cui il termine per recepire la direttiva nell’ordinamento interno sia scaduto senza che tale recepimento sia avvenuto, o c) dal momento in cui il provvedimento nazionale di recepimento sia entrato in vigore.

2)       Se la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato debba essere interpretata nel senso che una ragione obiettiva per il ripetuto rinnovo o per la conclusione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi, al di là dei motivi che dipendono dalla natura, dal tipo, dalle caratteristiche del lavoro prestato e da altre ragioni analoghe, sia rappresentata dal semplice fatto che la stipulazione di un contratto a tempo determinato sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare.

3)      a)     Se una disposizione nazionale come l’art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003, la quale precisa che contratti di lavoro successivi sono quelli stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore con condizioni di lavoro identiche o simili e intervallati da un lasso temporale non superiore a 20 giorni, sia conforme alla clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro.

b)      Se la clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato possa essere interpretata nel senso che la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore e il suo datore di lavoro possa presumersi soltanto quando sia soddisfatta la condizione stabilita dalla disposizione di diritto interno di cui all’art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003.

4)       Se il divieto di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi in contratti a tempo indeterminato previsto dalla disposizione di diritto interno di cui all’art. 21 della legge n. 2190/1994, sia compatibile con il principio dell’effettività del diritto comunitario e con la finalità del combinato disposto dalle clausole 5, nn. 1 e 2, e 1 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, qualora tali contratti vengano sì stipulati a tempo determinato per soddisfare un bisogno straordinario o stagionale del datore di lavoro, ma con il fine di far fronte ad un suo fabbisogno permanente e durevole».

25.      I ricorrenti della causa principale, il governo greco e la Commissione hanno presentato dinanzi alla Corte osservazioni scritte e orali, l’ELOG ha soltanto partecipato alla fase orale.

V –    Valutazione

A –    Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

26.      Il governo greco e la Commissione hanno rispettivamente messo in dubbio nelle loro osservazioni scritte la rilevanza delle questioni pregiudiziali ai fini della decisione.

Sulla prima questione: momento rilevante per la valutazione giuridica

27.      Anzitutto la Commissione dubita della rilevanza ai fini della decisione della prima questione pregiudiziale, nella quale si chiede di accertare il momento in cui sorge l’obbligo di interpretare il diritto nazionale in modo conforme ad una direttiva. Essa giustifica il proprio dubbio con il fatto che i contratti di lavoro controversi di tutti i ricorrenti della causa principale sono giunti a termine soltanto dopo l’emanazione del decreto presidenziale n. 81/2003, vale a dire in un momento in cui il termine di attuazione della direttiva valido per la Grecia era già scaduto ed era anche stata emanata una normativa nazionale per l’attuazione della direttiva 1999/70. La Commissione sembra quindi ritenere che la controversia non riguardi periodi anteriori e che quindi anche la domanda riguardante l’obbligo di un’interpretazione conforme alla direttiva in periodi anteriori sia superflua.

28.      Secondo una costante giurisprudenza spetta tuttavia esclusivamente al giudice nazionale valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per poter pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. La Corte può respingere la domanda del giudice nazionale soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione per la quale quest’ultimo l’ha adita non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale o se la domanda ha carattere generale o ipotetico (16).

29.      Nel caso di specie è tutt’altro che manifesto che ci si riferisca ad un momento, come chiamato dalla Commissione, successivo. Soltanto il giudice del rinvio può infatti stabilire quale sia secondo il diritto nazionale il momento determinante per la valutazione della legittimità del ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato (il momento della conclusione del contratto o della scadenza del contratto) e quali siano nel caso le norme applicabili (il decreto presidenziale n. 81/2003 oppure altre disposizioni del diritto nazionale). Non è affatto improbabile che il giudice nazionale nel caso di specie giunga alla conclusione che la legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato debba essere valutata volta per volta secondo la normativa applicabile al momento della loro stipulazione. Tale momento è in ogni caso anteriore, per quanto noto, alla scadenza del termine di attuazione della direttiva 1999/70 valido per la Grecia, vale a dire al 10 luglio 2002.

30.      In particolare, secondo le dichiarazioni non contestate dei ricorrenti della causa principale, almeno con una parte di essi sia il primo che il secondo contratto di lavoro a tempo determinato sono stati stipulati ancora prima della scadenza del termine di attuazione valido per la Grecia, quindi prima del 10 luglio 2002 (17). Non da ultimo con riguardo a quei contratti può essere pertanto d’importanza determinante stabilire se il diritto nazionale ad essi applicabile dovesse essere o meno interpretato in conformità della direttiva e dell’accordo quadro già prima della scadenza del termine di attuazione.

31.      Tenuto conto di tale contesto, la questione del momento in cui sorga l’obbligo di un’interpretazione del diritto nazionale in conformità a una direttiva non è affatto manifestamente irrilevante. Non attecchiscono pertanto dubbi sulla rilevanza ai fini della decisione della prima questione pregiudiziale, quali espressi dalla Commissione.

Sulle questioni seconda e terza: modificazione successiva dell’ordinamento giuridico nazionale

32.      Con le sue questioni seconda e terza il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato possa essere interpretato nel senso che esso non osta alle definizioni della ragione obiettiva e dei contratti «successivi» fornite dal legislatore greco nel decreto presidenziale n. 81/2003. Il governo greco afferma in proposito nelle sue osservazioni scritte e orali che oramai il decreto presidenziale n. 81/2003, a seguito dell’emanazione di disposizioni particolari per il settore pubblico attraverso i decreti presidenziali nn. 164/2004 e 180/2004, non può più trovare applicazione alla controversia di cui alla causa principale, cosicché le questioni relative a tale regolamentazione sarebbero irrilevanti ai fini della decisione della causa principale. Con tali argomenti il governo greco contesta la rilevanza delle questioni pregiudiziali seconda e terza ai fini della decisione.

33.      In proposito si deve anzitutto precisare che ai sensi dell’art. 234 CE la Corte è competente per l’interpretazione del diritto comunitario; pertanto i mutamenti intervenuti nella normativa nazionale dopo il rinvio pregiudiziale non possono influenzare tale interpretazione (18).

34.      Del resto, secondo la già citata giurisprudenza, spetta esclusivamente al giudice nazionale giudicare la rilevanza ai fini della decisione della sua domanda di pronuncia pregiudiziale (19); la Corte può tuttavia respingere le questioni ad essa sottoposte qualora esse siano manifestamente irrilevanti ai fini della decisione (20).

35.      Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dal governo greco, non è affatto manifesto che le nuove disposizioni particolari per il settore pubblico emanate con il decreto presidenziale n. 164/2004 si applichino oramai a tutti (21) i ricorrenti del procedimento a quo e che quindi la normativa precedente, vale a dire il decreto presidenziale n. 81/2003 nella sua versione del 2003, non possa più essere applicabile agli interessati.

36.      Certamente, le disposizioni del decreto presidenziale n. 164/2004 hanno efficacia retroattiva in quanto espressamente applicabili anche a rapporti di lavoro determinati che hanno avuto luogo nei due anni precedenti alla sua entrata in vigore. Tuttavia, un contratto di lavoro doveva essere ancora in corso al momento della sua entrata in vigore, il 19 luglio 2004, o comunque aver avuto termine non oltre i tre mesi precedenti (22). Secondo le indicazioni del giudice del rinvio, i contratti di lavoro dei ricorrenti della causa principale sono tuttavia tutti scaduti prima di tale momento, vale a dire tra giugno e settembre 2003.

37.      È altrettanto scarsamente evidente che il decreto presidenziale n. 180/2004 limiti il campo di applicazione oggettivo del decreto presidenziale n. 81/2003 retroattivamente a rapporti di lavoro del settore privato. Il decreto presidenziale n. 180/2004 non contiene ad ogni modo nessuna disposizione espressa al riguardo. Sembra piuttosto che le relative disposizioni di modifica siano entrate in vigore soltanto nell’agosto 2004 (23).

38.      Parallelamente anche la trattazione orale ha evidenziato su questo punto che tra i partecipanti non vi è accordo sull’applicazione nel tempo delle disposizioni di diritto greco.

39.      Non appare ad ogni modo manifesto, tenuto conto di quanto esposto, che le questioni pregiudiziali seconda e terza non mostrino alcuna attinenza con la realtà o l’oggetto della causa principale. La domanda di rinvio pregiudiziale dev’essere pertanto, al riguardo, dichiarata ricevibile.

Sulla quarta questione: campo di applicazione oggettivo dell’accordo quadro

40.      La quarta questione pregiudiziale riguarda le conseguenze che ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato derivano da un’applicazione abusiva dell’art. 21 della legge n. 2190/1994 nella stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico. Il governo greco sostiene al riguardo che tale disposizione, a suo parere, non rientra nel campo di applicazione dell’accordo quadro. Ciò in quanto quest’ultimo intenderebbe impedire abusi attraverso la stipulazione di più contratti di lavoro a tempo determinato successivi, mentre l’art. 21 della legge n. 2190/1994 riguarderebbe soltanto la stipulazione del primo contratto di lavoro a tempo determinato. Pertanto il governo greco pone ancora in dubbio la rilevanza della questione pregiudiziale per la decisione della causa principale.

41.      Contrariamente a quanto il governo greco sostiene, non è tuttavia affatto manifesto che l’art. 21 della legge n. 2190/1994 non possa anche avere – almeno indirettamente – ripercussioni sull’ammissibilità di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. Tale disposizione vieta, infatti, pur sempre, una proroga o una nuova stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato soltanto in specifici casi. Se ne può quindi dedurre a contrario che in tutti gli altri casi nuove stipulazioni siano consentite. Corrispondentemente i ricorrenti della causa principale hanno concordemente affermato che nella prassi l’art. 21 della legge n. 2190/1994 è stato per anni posto a fondamento della stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico ogni volta di otto mesi, con un intervallo di quattro mesi tra l’uno e l’altro, tra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro. In un tale contesto, un’interpretazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato può essere utile al giudice del rinvio e rilevante per la decisione del procedimento a quo. Anche su questo punto non risultano pertanto sussistere dubbi sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale.

B –    Momento in cui sorge l’obbligo di interpretazione del diritto nazionale in conformità ad una direttiva (prima questione)

42.      Con la sua prima questione il giudice del rinvio intende accertare a partire da quale momento egli abbia l’obbligo di interpretare il proprio diritto nazionale in conformità ad una direttiva. Egli fa riferimento a tre possibili momenti: non solo alla scadenza del termine di attuazione o all’entrata in vigore dei provvedimenti (tardivi) di attuazione di una direttiva nell’ordinamento giuridico interno, ma anche espressamente al precedente momento dell’entrata in vigore della direttiva. Almeno per una parte dei ricorrenti della causa principale è infatti rilevante il periodo precedente alla scadenza del termine di attuazione (24).

43.      La giurisprudenza ha già chiarito che le disposizioni giuridiche e amministrative nazionali devono essere interpretate in conformità alle direttive (25). Pertanto, fin dove il diritto nazionale consente un’interpretazione conforme alla direttiva, in quanto le disposizioni pertinenti contengono clausole generali o concetti giuridici indefiniti, il giudice nazionale deve utilizzare l’intero spazio valutativo ad esso concesso («margine discrezionale») in favore del diritto comunitario (26).

44.      Tale obbligo sorge in ogni caso alla scadenza del termine di attuazione stabilito in una direttiva (27). In nessun caso il giudice nazionale può scegliere di attendere sino all’effettiva, eventualmente ritardata, attuazione della direttiva nel diritto nazionale. Ciò in quanto l’obbligo di un’interpretazione conforme al diritto comunitario abbraccia l’intero ordinamento giuridico nazionale e non è limitato alle disposizioni giuridiche o amministrative concretamente emanate in attuazione della direttiva (28). Conseguentemente, l’obbligo di un’interpretazione conforme alla direttiva sussiste anche indipendentemente da se e quando venga data attuazione alla direttiva (29).

45.      Inoltre, già nelle mie conclusioni relative alla causa Wippel (30) ho sostenuto che le disposizioni del diritto nazionale devono essere interpretate e applicate in modo conforme ad una direttiva giàprima della scadenza del suo termine di attuazione, più precisamente dal momento dell’entrata in vigore della direttiva di cui trattasi. Tale tesi è stata ultimamente condivisa anche dall’avvocato generale Tizzano nella causa Mangold (31). Anche la sentenza Kolpinghuis Nijmegen (32) viene in parte intesa in tal senso (33), e non è comunque contraria alla soluzione qui proposta.

46.      A favore dell’esistenza di un dovere dei giudici nazionali d’interpretare il diritto nazionale in conformità alle direttive già prima della scadenza del termine di attuazione depongono in particolare le seguenti considerazioni.

47.      Com’è noto, le direttive producono già con la loro entrata in vigore effetti giuridici, in quanto a partire da quel momento esse vincolano gli Stati membri relativamente al risultato da raggiungere (art. 249, terzo comma, CE).

48.      Da ciò la Corte, tenuto conto del principio di collaborazione espresso nell’art. 10 CE, ha arguito che gli Stati membri, già nel periodo di pendenza del termine di attuazione, devono astenersi dall’adottare disposizioni che possano compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva (divieto di vanifica dei risultati) (34).

49.      Tuttavia dal combinato disposto degli artt. 249, terzo comma, CE e 10 CE non deriva soltanto tale obbligo di astensione concretamente individuato dalla Corte. L’art. 10 CE impone, nel suo primo comma, anche l’obbligo positivo di adottare tutte le adeguate misure di carattere generale o particolare, vale a dire di fare tutto il necessario, per assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario (35). Nel caso di direttive che necessitano di attuazione tale obbligo di diritto comunitario al raggiungimento del risultato sorge già con la loro entrata in vigore (36). In tal caso l’obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari al raggiungimento dello scopo previsto dalla direttiva incombe a tutte le autorità degli Stati membri, comprese le autorità giurisdizionali, nell’ambito delle loro competenze (37). Di conseguenza, con l’entrata in vigore di una direttiva, gli obiettivi di quest’ultima sono vincolanti negli Stati membri anche per gli organi giurisdizionali.

50.      In quale misura gli organi giurisdizionali siano vincolati dal diritto comunitario risulta anche dal fatto che essi, secondo la giurisprudenza della Corte, hanno persino l’obbligo di tener conto di raccomandazioni giuridicamente non vincolanti (38).

51.      Certamente il vincolo dei giudici nazionali allo scopo delle direttive non significa che questi, già prima della scadenza del termine di attuazione, siano obbligati a disapplicare la normativa nazionale contrastante (39). Ma questo problema non si pone relativamente all’interpretazione conforme ad una direttiva. Quando un giudice interpreta la sua normativa nazionale in conformità ad una direttiva, le relative disposizioni non rimangono appunto disapplicate, ma vengono al contrario applicate (40).

52.      Del resto, il fatto che agli Stati membri venga concesso un termine di attuazione e che essi non siano pertanto obbligati ad emanare le disposizioni giuridiche o amministrative necessarie all’attuazione della direttiva già prima della scadenza di questo termine (41), non osta al riconoscimento di un obbligo all’interpretazione del diritto nazionale in modo conforme ad una direttiva a partire dall’entrata in vigore della stessa. Ciò in quanto il fatto che una direttiva conceda un termine al legislatore nazionale non significa affatto che anche gli organi giurisdizionali possono esigere che lo stesso periodo transitorio valga per loro. Con il termine di attuazione si tiene piuttosto soltanto conto delle difficoltà tecniche nell’attività legislativa (42), quali possono insorgere nell’ambito del procedimento legislativo parlamentare o nel corso delle trattative tra le parti sociali. Ciò si riscontra anche nella direttiva 1999/70: il termine di attuazione stabilito nel suo art. 2, primo comma, è espressamente limitato all’emanazione delle disposizioni giuridiche e amministrative necessarie nonché agli accordi delle parti sociali, ma per il resto non differisce affatto la sua efficacia. Tale termine di attuazione non modifica quindi affatto il carattere vincolante degli obiettivi previsti a partire già dall’entrata in vigore della direttiva (43).

53.      È ancor meno concreto il pericolo che il giudice nazionale possa prevenire il legislatore nazionale o porsi addirittura in contrasto con quest’ultimo nell’interpretare il diritto nazionale vigente in modo conforme ad una direttiva già prima della scadenza del termine di attuazione, poiché, come già indicato, lo scopo della direttiva è vincolante anche per i giudici nell’ambito delle loro competenze, e lo è dal momento dell’entrata in vigore della direttiva. Pertanto, il giudice nazionale, se attraverso l’interpretazione della normativa vigente può contribuire alla realizzazione dello scopo della direttiva già prima della scadenza del termine di attuazione, non previene il legislatore nazionale, ma si limita ad applicare la normativa da questo stesso creata. In tal modo quest’ultimo assolve il suo più peculiare dovere e apporta contemporaneamente il proprio contributo all’adempimento degli obblighi comunitari dello Stato membro interessato. Ciò lascia naturalmente intatto il dovere del legislatore nazionale di realizzare l’obiettivo della direttiva, se necessario, attraverso la tempestiva emanazione di nuove disposizioni (44).

54.      Alla prima questione pregiudiziale si deve pertanto rispondere come segue:

Un giudice nazionale, già dal momento dell’entrata in vigore di una direttiva, deve interpretare tutta la normativa nazionale per quanto possibile in base al tenore e allo scopo di tale direttiva, al fine di pervenire ad un risultato compatibile con lo scopo perseguito da quest’ultima.

C –    Ragione obiettiva per il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato (seconda questione)

55.      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede in sostanza quali considerazioni, secondo l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, possono rappresentare ragioni obiettive che giustifichino la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Si chiede in concreto se la semplice circostanza che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato sia previstadalla legge costituisca una ragione obiettiva ai sensi dell’accordo quadro. Una siffatta disposizione è contenuta nell’estratto dell’art. 5, n. 1, lett. a), del decreto presidenziale n. 81/2003, nella sua versione del 2003, indicato dal giudice del rinvio.

56.      Il concetto di ragione obiettiva non è precisato nell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in particolare nella sua clausola 5, n. 1, lett. a). Di conseguenza gli Stati membri e le parti sociali hanno ampia discrezionalità nella sua specificazione, tenuto conto delle particolarità relative a ciascuno Stato membro e ai diversi settori e occupazioni (45). Nel far ciò essi rimangono tuttavia vincolati allo scopo della direttiva e dell’accordo quadro ad essa allegato, ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE. Anche la stessa direttiva 1999/70 prevede nel suo ‘considerando’ 17 che le definizioni fornite dalla legislazione nazionale rispettino il contenuto dell’accordo quadro.

57.      Certamente l’accordo quadro riconosce espressamente che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano la forma caratteristica dell’occupazione in alcuni settori, rami professionali e attività, atta a soddisfare le rispettive esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori (46). L’accordo quadro e la direttiva non ostano pertanto a regolamentazioni nazionali che consentano la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato per particolari settori, occupazioni o attività, o addirittura – in ragione delle particolarità di una determinato settore come quello del pubblico impiego (47) – la prescrivano espressamente. In tali casi la ragione obiettiva per la stipulazione del contratto di lavoro a tempo determinato risiede proprio nelle particolarità ritenute caratteristiche per l’occupazione nel settore, ramo professionale o attività interessati (48). Inoltre una ragione obiettiva può essere rinvenuta anche nella finalità di reinserire determinati gruppi di persone – come disoccupati di lunga durata o disoccupati che abbiano superato una determinata età – nel mondo del lavoro.

58.      Nel caso di una definizione come quella del qui controverso passaggio dell’art. 5, n. 1, lett. a), del decreto presidenziale n. 81/2003, si tratta tuttavia di una disposizione di rinvio assolutamente indeterminata, che fa riferimento a qualsiasi disposizione legislativa o regolamentare nazionale nella quale sia prevista la stipulazione di un contratto a tempo determinato. La disposizione presume quindi l’esistenza di una ragione obiettiva anche nei casi in cui una legge o un regolamento prevedano soltanto in modo del tutto generico la stipulazione di contratti di lavoro a tempo determinato, senza che dal tenore o perlomeno dal senso e dallo scopo oppure dal contesto della disposizione interessata risulti in modo chiaro quali siano precisamente le caratteristiche dei settori, delle occupazioni, delle attività o delle persone che giustifichino la durata determinata di tali contratti.

59.      Una regolamentazione redatta in maniera così generica e imprecisa si presta in particolar modo ad abusi e non si concilia quindi con gli obiettivi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, poiché la ivi prevista indicazione di ragioni obiettive, che dovrebbe giustificare il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato, ha la precipua finalità di contribuire ad evitare un ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato; tale finalità trova chiaramente espressione già nella clausola 1, lett. b), dell’accordo quadro e trova spazio inoltre in modo particolarmente chiaro nella frase introduttiva della sua clausola 5, n. 1 (49). Tuttavia, più la disposizione con la quale si definisce una ragione obiettiva è formulata in maniera generica, meno essa risponde a tale finalità dell’accordo quadro e più diventa semplice eludere il modello del contratto di lavoro a tempo indeterminato quale forma comune del rapporto di lavoro (50).

60.      Riassumendo, si può pertanto affermare che una ragione obiettiva, ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro, può essere riscontrata soltanto se dal tenore o perlomeno dal senso e dallo scopo oppure dal contesto della corrispondente disciplina risulti in modo chiaro quali siano precisamente le caratteristiche dei settori, dei rami professionali, delle attività o delle persone interessati, che giustifichino un ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato. La semplice circostanza che la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato sia prevista da una disposizione legislativa o amministrativa nazionale non è a tal fine sufficiente.

61.      Alla seconda questione del giudice del rinvio si deve pertanto rispondere come segue:

La sola circostanza che la conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato sia prevista da una disposizione giuridica o amministrativa non rappresenta una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

D –    Rapporti di lavoro a tempo determinato successivi (terza questione)

62.      La terza questione pregiudiziale riguarda, nella sua prima parte, la definizione del concetto di rapporti di lavoro successivi. La sua seconda parte riguarda la connessa problematica della conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Sull’interpretazione del concetto di [contratti] «successivi» [(questione 3, lett. a)]

63.      Con la prima parte della sua terza questione [questione 3, lett. a)] il giudice del rinvio chiede se la clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro osti ad una disposizione nazionale come l’art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003 nella sua versione del 2003, nella quale la sussistenza di contratti di lavoro o rapporti di lavoro successivi viene segnatamente fatta dipendere dal fatto che tra i contratti di lavoro interessati non intercorra un periodo più lungo di 20 giorni (51).

64.      Il concetto di [contratti] «successivi» è uno dei concetti giuridici fondamentali dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, in quanto tale accordo quadro, e con esso anche la direttiva 1999/70, non ha come principale obiettivo quello di impedire la stipulazione di singoli contratti di lavoro a tempo determinato, ma, accanto al miglioramento qualitativo di siffatti rapporti di lavoro a tempo determinato, mira anzitutto a prevenire le possibilità di abuso attraverso una successione di siffatti contratti (catena di rapporti di lavoro) (52). Infatti, il pericolo che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, definito dalle parti sociali quale modello del rapporto di lavoro (53), venga eluso e sorga quindi la problematica dell’abuso sussiste segnatamente nel caso della successione di più rapporti di lavoro a tempo determinato. Per questo la clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato espressamente esige che vengano adottate misure per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato.

65.      L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non contiene in sé, tuttavia, una definizione del concetto di [contratti] «successivi», ma lascia agli Stati membri una sua più specifica determinazione. Questi ultimi, ai sensi della clausola 5, n. 2, lett. a), dell’accordo quadro, vengono persino lasciati liberi di non adottare disposizioni al riguardo, essendo in essa dichiarato che «[g]li Stati membri (…) dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato (…) devono essere considerati successivi» (54). Tuttavia, uno Stato membro nel momento in cui decide di adottare una siffatta definizione, non è completamente libero, ma vincolato, ai sensi dell’art. 249, terzo comma, CE, allo scopo della direttiva e dell’accordo quadro, come peraltro espressamente chiarito dal ‘considerando’ 17 della direttiva 1999/70.

66.      Come la Commissione giustamente rileva, la clausola 5, n. 2, lett. a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretata pertanto alla luce dello scopo della direttiva di evitare in modo effettivo gli abusi. Gli Stati membri, infatti, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro, sono non solo esortati, ma espressamente obbligati ad adottare misure in tal senso.

67.      Non è possibile conciliare con tale finalità una definizione del concetto di [contratti] «successivi» talmente ristretta da escludere dal suo ambito un numero considerevole di casi di rapporti di lavoro a tempo determinato susseguitisi in maniera continua, e tale da risultare praticamente svuotata di contenuto. In tal modo, infatti, i casi in parola verrebbero di fatto esclusi dall’ambito di applicazione delle misure nazionali volte a prevenire l’abuso di rapporti di lavoro a tempo determinato e la protezione del lavoratore perseguita dalla direttiva non potrebbe essere realizzata.

68.      Una disposizione come l’art. 5, n. 3, del decreto presidenziale n. 81/2003, nella sua versione del 2003, suscita esattamente tali timori. Se infatti vengono considerati «successivi» soltanto rapporti di lavoro a tempo determinato tra i quali intercorrano periodi non superiori a 20 giorni lavorativi, diviene facile eludere la protezione dei lavoratori dagli abusi perseguita con l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. È sufficiente, prima di stipulare un nuovo contratto di lavoro con lo stesso lavoratore, aspettare che siano trascorsi ogni volta 21 giorni lavorativi. Ciò è stato giustamente sottolineato dal giudice del rinvio, dalla Commissione e dai ricorrenti della causa principale. Un termine così breve e rigido renderebbe possibile per anni un rapporto lavorativo a carattere continuativo con brevi interruzioni di volta in volta di soli 21 giorni lavorativi, escludendo tali fattispecie dall’ambito di applicazione delle disposizioni nazionali di tutela dagli abusi. In definitiva il ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato verrebbe in tal modo addirittura favorito.

69.      Per quanto esposto, una disposizione che considera «successivi» soltanto rapporti di lavoro intervallati da periodi non superiori a 20 giorni lavorativi non è conforme alla finalità di tutela dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e allo scopo della direttiva 1999/70.

70.      Si rilevi poi che una norma siffatta può violare anche altre disposizioni di diritto comunitario. Infatti, una regolamentazione che consenta, in modo illimitato, rapporti lavorativi con interruzione annuale ogni volta di 21 giorni lavorativi, potrebbe condurre di fatto all’instaurarsi di rapporti di lavoro durevoli con ferie annuali non pagate, in particolare in Stati membri o in settori in cui tali ferie annuali vengono usualmente godute per la maggior parte durante un mese determinato, ad esempio in agosto. Una simile prassi non sarebbe tuttavia conforme all’art. 7 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (55). Infatti ai sensi di quest’ultima «[g]li Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane». Tale diritto di ogni lavoratore a ferie annuali retribuite è considerato dalla Corte un principio particolarmente importante del diritto sociale comunitario, al quale non si può derogare (56).

71.      Riassumendo:

Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. a), della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato osta ad una disposizione del diritto nazionale che fa dipendere la sussistenza di contratti o rapporti di lavoro successivi dalla circostanza che tra i contratti di lavoro considerati intercorra un periodo non superiore a 20 giorni lavorativi.

Conversione in un rapporto di lavoro a tempo determinato [questione 3, lett. b)]

72.      Mentre la prima parte della terza questione appena trattata riguardava la prevenzione del ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, la seconda parte della stessa [questione 3, lett. b)] è relativa alla sanzione di un abuso eventuale. Il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato consenta di presumere una conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato soltanto nei casi in cui tra rapporti di lavoro successivi intercorrano periodi non superiori a 20 giorni lavorativi. Una norma siffatta risulta dal combinato disposto dei nn. 3 e 4 dell’art. 5 del decreto presidenziale n. 81/2003 nella sua versione del 2003.

73.      A tal proposito si deve stabilire anzitutto che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato lascia alla valutazione discrezionale degli Stati membri la determinazione della sanzione del ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. L’unica disposizione al riguardo è prevista dalla clausola 5, n. 2, lett. b), dell’accordo quadro, che certamente cita la conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato quale esempio, ma non la prevede affatto come obbligatoria. Gli Stati membri stabiliscono infatti soltanto eventualmente a quali condizioni contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere considerati come stipulati a tempo indeterminato.

74.      Di conseguenza gli Stati membri hanno certamente l’obbligo, ai sensi della clausola 5, n. 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, di adottare misure di prevenzione del ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, ma non quello della conversione di siffatti rapporti di lavoro in rapporti di lavoro a tempo indeterminato quale sanzione di un abuso; l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato prevede infatti una siffatta conversione soltanto come una possibilità (57).

75.      Gli Stati membri dispongono pertanto di un ampio potere discrezionale riguardo al se e al come sanzionare il ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. Qualora uno Stato membro riesca ad evitare un siffatto abuso già in via preventiva, ad esempio attraverso l’emanazione di una normativa che impedisca ab origine il prodursi di simili casi, si può persino immaginare che ogni sanzione sia superflua. L’unico obbligo contenuto nella direttiva – accanto al miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro a tempo determinato – consiste nel perseguimento dello scopo di un’effettiva prevenzione del ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.

76.      L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non stabilisce neppure il tipo e la configurazione approssimativa di eventuali sanzioni. Il fatto che sia citata in particolare la conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato quale possibilità da prendere in considerazione, non esclude altre misure, come ad esempio la concessione del risarcimento danni ai lavoratori interessati (58).

77.      Dal momento che la sanzione stessa è facoltativa, a fortiori spetta agli Stati membri stabilire le condizioni alle quali essa è applicata. Qualora essi si decidano per una conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, non per questo essa deve sempre necessariamente prodursi, potendo restare limitata ad esempio a casi di abuso particolarmente manifesti.

78.      Tenuto conto di quanto esposto, non solleva dubbi la presunzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato soltanto quando tra i singoli contratti di lavoro successivi intercorrono intervalli temporali particolarmente brevi non superiori a 20 giorni lavorativi (v. al riguardo il combinato disposto dei nn. 3 e 4 dell’art. 5 del decreto presidenziale n. 81/2003 nella sua versione del 2003). La clausola 5, n. 2, lett. b), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non osta ad una siffatta regolamentazione.

79.      L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stabilisce pertanto condizioni più o meno rigide secondo che si tratti di misure di prevenzione dell’abuso o di misure per sanzionare l’abuso. Le condizioni relative alla prevenzione del ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, che costituiscono l’oggetto della prima parte della terza questione pregiudiziale [questione 3, lett. a)] sono più stringenti di quelle relative alle – comunque non obbligatorie – sanzioni di siffatti abusi, oggetto della seconda parte di tale questione [questione 3, lett. b)]. Conseguentemente la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato consente anche di limitare la specifica sanzione della conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato a casi in cui tra i singoli contratti non intercorrano più di 20 giorni lavorativi e di non presumere una siffatta conversione negli altri casi. Contrariamente, con riferimento alla prevenzione degli abusi, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non può – come sopra indicato – essere interpretato nel senso che l’abuso in quanto tale sussiste esclusivamente nel caso di contratti di lavoro a tempo determinato successivi tra i quali intercorrano non più di 20 giorni lavorativi; altrimenti l’obiettivo di tutela dell’accordo quadro verrebbe svuotato di significato (59).

80.      Si osservi tra l’altro che una conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato limitata a casi specifici non rappresenta alcuna violazione della clausola di non regresso (60), contenuta nella clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro. In relazione alla prassi finora attuata in Grecia, la posizione dei lavoratori occupati a tempo determinato nel settore pubblico non viene in conclusione peggiorata, ma al contrario migliorata, dal momento che il decreto presidenziale n. 81/2003 nella sua versione originale, ora l’attuale decreto presidenziale n. 164/2004, rende possibile, almeno in determinati casi, una conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato.

81.      Secondo i ricorrenti della causa principale, il regime giuridico finora esistente in Grecia avrebbe certamente già reso possibile una pratica generosa della conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato; essi si riferiscono al riguardo all’art. 8, n. 3, della legge n. 2112/1920. Nel procedimento dinanzi alla Corte non è stato tuttavia del tutto chiarito se in Grecia, nel settore pubblico, sia mai stato fatto ricorso a tale disposizione. In particolare gli esiti della fase orale indicano piuttosto che si trattava, semmai, di casi isolati, e non di una prassi corrente. È tuttavia alla luce delle circostanze concrete, non in base a considerazioni teoriche, che si deve valutare se l’attuazione della direttiva 1999/70 abbia condotto ad una regressione nella tutela del lavoratore. Di conseguenza, il fatto che la normativa greca, seguendo la direttiva 1999/70, abbia espressamente offerto la possibilità della conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, anche se soltanto in alcuni e non in tutti i casi, è da considerare non come un abbassamento, ma piuttosto come un innalzamento del livello di protezione per i lavoratori interessati ai sensi della clausola 8, n. 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

82.      Pertanto, riassumendo:

Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. b), della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non osta ad una regolamentazione nazionale che preveda soltanto in determinati casi, e non in altri, la riqualificazione di rapporti di lavoro a tempo determinato succedutisi in modo abusivo in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

E –    Particolarità nel settore pubblico: divieto di conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato (quarta questione)

83.      Con la sua quarta questione il giudice del rinvio chiede in sostanza se la clausola 5, nn. 1 e 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato osti ad una regolamentazione nazionale che vieti nel settore pubblico la conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, e ciò anche nel caso in cui le disposizioni legislative siano state eluse abusivamente al fine di ricorrere a tali rapporti di lavoro a tempo determinato.

84.      Come appena indicato (61), la clausola 5, n. 2, lett. b), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato rimette alla discrezionalità degli Stati membri la previsione della conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e la precisazione delle condizioni in cui, se del caso, tale conversione deve avvenire. L’accordo quadro non pretende certamente che ogni ricorso abusivo a contratti di lavoro a tempo determinato debba essere sanzionato con una conversione in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Pertanto, anche qualora nel caso di specie le limitazioni imposte dalla legge per il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato di diritto privato dovessero essere state eluse (62), l’accordo quadro non esige obbligatoriamente che sia prevista una conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Lo stesso accordo quadro riconosce infatti espressamente «che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali» (63).

85.      Nel caso di specie rivestono una particolare importanza i principi che informano il diritto nazionale del pubblico impiego – in particolare risultanti dalla Costituzione greca (64) – che si basano sul modello dell’impiegato di ruolo. Vige il principio dei posti in organico, e l’accesso al pubblico impiego è disciplinato da una particolare procedura legale. Inoltre, in Grecia, il ricorso nell’ambito del pubblico impiego a rapporti di lavoro di diritto privato – solitamente soltanto a tempo determinato – è rigidamente limitato dalla legge e la conversione di tali rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato è in linea di principio vietata.

86.      Un tale divieto legale della conversione di rapporti di lavoro a tempo determinato in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, che trova la sua espressione anche e non da ultimo in una disposizione quale l’art. 21 della legge n. 2190/1994, può essere giustificato dalla finalità di impedire l’elusione degli appena illustrati principi del pubblico impiego(65). Conseguentemente tale divieto non è nemmeno contrario all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, a meno che esso venga applicato in modo discriminatorio o sia altrimenti contrario ai principi giuridici generali del diritto comunitario. Nel caso di specie non sono ad ogni modo rinvenibili elementi in tal senso.

87.      Indipendentemente da quanto precede, il giudice del rinvio resta naturalmente obbligato ad interpretare il diritto nazionale, nel suo complesso, in modo conforme alla direttiva, al fine di pervenire nella causa principale ad un risultato il più possibile conforme agli scopi della direttiva e dell’accordo quadro (66). Tale giudice, qualora dovesse quindi arrivare alla conclusione che il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato di diritto privato nelle controversie dinanzi ad esso pendenti sia stato abusivo, dovrebbe accertare in tal caso se il suo diritto nazionale preveda al riguardo o comunque autorizzi, se interpretato alla luce della direttiva, sanzioni diverse dalla conversione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Ad esempio, si potrebbe pensare alla previsione di un diritto al risarcimento del danno in capo agli interessati.

88.      In conclusione, alla quarta questione pregiudiziale si deve rispondere come segue:

Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. b), della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non osta ad un divieto, nel settore pubblico, di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, anche nel caso in cui le condizioni legali per il ricorso a tali rapporti di lavoro a tempo determinato dovessero essere state eluse in modo abusivo.

VI – Conclusione

89.      Propongo pertanto alla Corte di rispondere al Monomeles Protodikeio di Salonicco come segue:

1)      Un giudice nazionale, già dal momento dell’entrata in vigore di una direttiva, deve interpretare tutta la normativa nazionale per quanto possibile in base al tenore e allo scopo di tale direttiva, al fine di pervenire ad un risultato compatibile con lo scopo perseguito da quest’ultima.

2)      La sola circostanza che la conclusione di un contratto di lavoro a tempo determinato sia prevista da una disposizione giuridica o amministrativa non rappresenta una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

3)      a)     Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. a), della clausola 5 dell’allegato alla direttiva 1999/70 osta ad una disposizione del diritto nazionale che fa dipendere la sussistenza di contratti o rapporti di lavoro successivi dalla circostanza che tra i contratti di lavoro considerati non intercorra un periodo superiore a 20 giorni lavorativi.

b)      Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. b), della clausola 5 dell’allegato alla direttiva 1999/70 non osta ad una regolamentazione nazionale che preveda soltanto in determinati casi, e non in altri, la riqualificazione di rapporti di lavoro a tempo determinato succedutisi in modo abusivo in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

4)      Il combinato disposto del n. 1 e del n. 2, lett. b), della clausola 5 dell’allegato alla direttiva 1999/70 non osta ad un divieto, nel settore pubblico, di conversione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato, anche nel caso in cui le condizioni legali per il ricorso a tali rapporti di lavoro a tempo determinato dovessero essere state eluse in modo abusivo.


1 – Lingua originale: il tedesco.


2 – GU L 175, pag. 43.


3 – Secondo comma del preambolo dell'accordo quadro; v. anche il n. 6 delle sue considerazioni generali.


4 – N. 8 delle considerazioni generali dell'accordo quadro; v. anche il secondo comma del suo preambolo.


5 – ‘Considerando’ 17 della direttiva 1999/70.


6 – N. 10 delle considerazioni generali dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato; v. anche il terzo comma del preambolo di tale accordo quadro.


7 – FEK A’ 28, 3 marzo 1994.


8 – FEK A’ 77, 2 aprile 2003.


9 – FEK A’ 160, 23 agosto 2004. Il decreto presidenziale n. 180/2004 entra in vigore, ai sensi del suo art. 5, n. 1, con la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale nazionale, salvo quanto diversamente prescritto da specifiche disposizioni.


10 – V. art. 1 del decreto presidenziale n. 180/2004.


11 – V. art. 3 del decreto presidenziale n. 180/2004.


12 – FEK A’ 134, 19 aprile 2004. Il decreto presidenziale n. 164/2004 entra in vigore, ai sensi del suo art. 12, n. 1, con la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale nazionale, salvo quanto diversamente prescritto da specifiche disposizioni.


13 – Tre di essi hanno nel frattempo rinunciato ai loro ricorsi.


14 – Art. 51, n. 1, della legge n. 1892/1990 (FEK A’ 101).


15 – Si tratta del Tribunale di primo grado locale.


16 – È sufficiente riferirsi alle sentenze 7 giugno 2005, causa C-17/03, Vereniging voor Energie, Milieu en Water e a. (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 34), e 15 dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921, punti 59-61).


17 – V. punti 51 e 52 delle osservazioni scritte dei ricorrenti della causa principale, secondo i quali i primi contratti di lavoro a tempo determinato, della durata di otto mesi, furono conclusi con circa la metà degli interessati prima del 10 luglio 2001 e per alcuni di loro il secondo contratto di lavoro a tempo determinato seguiva già 22 giorni dopo la scadenza del primo.


18 – Sentenza 7 dicembre 1993, causa C-83/92, Pierrel e a./Ministero della Sanità (Racc. pag. I‑6419, punto 32). Nello stesso senso anche sentenza 30 aprile 1996, causa C-194/04, CIA Security International (Racc. pag. I-2201, punto 20).


19 – Sentenza CIA Security International (già cit. nella nota 18), punto 20.


20 – V. sopra, paragrafo 28 e nota 16 di queste conclusioni.


21 – Lo stesso governo greco ammette al punto 16 delle sue osservazioni scritte che, ai sensi delle disposizioni del decreto presidenziale n. 164/2004, soltanto nove dei 18 ricorrenti della causa principale soddisfacevano le condizioni per una conversione dei loro contratti di lavoro originariamente a tempo determinato in contratti di lavoro a tempo indeterminato. Anche dalle dichiarazioni dell'ELOG nella fase orale si evince che non tutti ricorrenti della causa principale potevano beneficiare delle disposizioni transitorie del decreto presidenziale n. 164/2004.


22 – V. le disposizioni transitorie di cui all'art. 11, nn. 1 e 5, del decreto presidenziale n. 164/2004.


23 – V., al riguardo, la precedente nota 9.


24 – Si tratta degli stessi ricorrenti i cui primi due contratti di lavoro con l'ELOG furono stipulati ancora prima della scadenza del termine di attuazione valido per la Grecia, quindi precedentemente al 10 luglio 2002 (v. al riguardo i paragrafi 29 e 30 di queste conclusioni).


25 – Sentenze 10 aprile 1984, causa C-14/83, Von Colson e Kamann (Racc. pag. 1891, punto 26) e 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 bis a C-403/01, Pfeiffer e a. (Racc. pag. I-8835, punti 113 e 114). V. anche la sentenza, recentemente resa relativamente ad una decisione quadro, 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino (non ancora pubblicata in Raccolta, in particolare punto 34).


26 – In tal senso già, ad esempio, sentenza Von Colson e Kamann (cit. nella nota 25), punto 28, ultima frase.


27 – Ciò risulta ad esempio dalle sentenze 13 novembre 1990, causa C-106/89, Marleasing (Racc. pag. I-4135, punto 8), e 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc. pag. I‑3325, punto 26): entrambe le sentenze sono state rese in relazione a casi nei quali la direttiva in questione non era stata recepita nel termine previsto (sentenze Marleasing, punto 4, e Faccini Dori, punto 8). V. inoltre la più recente sentenza 13 luglio 2000, causa C-456/98, Centrosteel (Racc. pag. I-6007, punti 16 e 17).


28 – Sentenza Pfeiffer (cit. nella nota 25), punti 115, 118 e 119; nello stesso senso la sentenza Pupino (cit. nella nota 25), punto 47, ultima frase.


29 – Diversamente da quanto forse ritiene il giudice del rinvio, la sua prima questione non è affatto rilevante soltanto quando una direttiva è stata «tardivamente recepita nell'ordinamento giuridico interno», ma rileva in generale per tutte le direttive, anche per quelle che sono state attuate nei termini.


30 – Conclusioni 18 maggio 2004, causa C-313/02, Wippel (Racc. pag. I-9483, paragrafi 58-63).


31 – Conclusioni 30 giugno 2005, causa C-144/04, Mangold (non ancora pubblicata in Raccolta, paragrafi 115 e 120). Così già le conclusioni dell'avvocato generale Darmon 14 novembre 1989, cause riunite C-177/88 e C-179/88, Dekker e a. (Racc. pag. I-3941, paragrafo 11), e 29 maggio 1991, cause riunite da C‑87/90 a C‑89/90, Verholen e a. (Racc. pag. I-3757, paragrafo 15, alla fine). In tal senso anche l'avvocato generale Jacobs (conclusioni 24 aprile 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411, paragrafi 29 e ss.); meno lontano andavano le sue conclusioni 25 giugno 1992, causa C-156/91, Hansa Fleisch (Racc. pag. I-5567, paragrafi 23 e 24).


32 – Sentenza 8 ottobre 1987, causa C-80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc. pag. 3969, punto 15, ultima frase).


33 – Conclusioni dell'avvocato generale Darmon, causa Verholen e a. (cit. nella nota 31), paragrafo 15, alla fine; v. anche conclusioni dell'avvocato generale Léger 20 giugno 1995, causa C-5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I-2553, paragrafo 64).


34 – Sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, (cit. nella nota 31).


35 – Sentenza Pfeiffer (cit. nella nota 25), punto 110.


36 – In tal senso già la sentenza Inter-Environnement Wallonie (cit. nella nota 34), punti 40-42.


37 – Sentenza 2 giugno 2005, causa C-15/04, Koppensteiner (non ancora pubblicata in Raccolta, punto 33), nonché sentenze Pfeiffer (cit. nella nota 25), punto 110, Faccini Dori (cit. nella nota 27), punto 26, Kolpinghuis Nijmegen (cit. nella nota 32), punto 12, e Von Colson e Kamann (cit. nella nota 25), punto 26.


38 – Sentenza 13 dicembre 1989, causa 322/88, Grimaldi (Racc. pag. 4407, punto 18). Anche l'avvocato generale Tizzano vi ha fatto riferimento nelle sue conclusioni relative alla causa Mangold (cit. nella nota 31), paragrafo 117.


39 – Sentenza 5 febbraio 2004, causa C-157/02, Rieser (Racc. pag. I-1477, punti 67 e 69), in tal senso anche le conclusioni dell'avvocato generale Tizzano nella causa Mangold (cit. nella nota 31), paragrafo 110.


40 – V. già il paragrafo 60 e la nota 41 delle mie conclusioni nella causa Wippel (cit. nella nota 30).


41 – Sentenza Inter-Environnement Wallonie (cit. nella nota 34), punti 43 e 45.


42 – In tal senso le sentenze Rieser (cit. nella nota 39), punto 68 e Inter-Environnement Wallonie (cit. nella nota 34), punto 43.


43 – Per il caso di specie si ricordi che la direttiva 1999/70, ai sensi del suo art. 3, è entrata in vigore il 10 luglio 1999.


44 – Secondo una giurisprudenza costante, l'attuazione di una direttiva nell'ordinamento giuridico interno non richiede necessariamente una trasposizione formale e letterale delle proprie disposizioni in una norma giuridica espressa e specifica, ma può limitarsi alla previsione di un contesto giuridico generale. È tuttavia indispensabile che l'ordinamento nazionale di cui trattasi garantisca effettivamente la piena applicazione della direttiva, che la situazione giuridica scaturente da tale ordinamento sia sufficientemente precisa e chiara e che i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti ed eventualmente di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v., ad es., sentenze 14 settembre 2004, causa C-168/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-8227, punto 36; 28 aprile 2005, causa C-410/03, Commissione/Italia, non ancora pubblicata in Raccolta, punto 60, nonché 16 giugno 2005, causa C-456/03, Commissione/Italia, non ancora pubblicata in Raccolta, punto 51).


45 – V. anche il n. 10 delle considerazioni generali dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e il terzo comma del suo preambolo.


46 – N. 8 delle considerazioni generali dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato; v. anche il secondo comma del suo preambolo.


47 – V. al riguardo le considerazioni relative alla quarta questione, in particolare il paragrafo 85 di queste conclusioni.


48 – In tal senso, ad esempio, l'art. 5, n. 1, lett. b), del decreto presidenziale n. 81/2003 presume l'esistenza di una ragione obiettiva per determinati settori che lo stesso precisamente elenca.


49 – V. anche il n. 7 delle considerazioni generali dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.


50 – V. il secondo comma del preambolo dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nonché il n. 6 delle sue considerazioni generali (v. al riguardo il paragrafo 4 di queste conclusioni).


51 – Secondo il tenore dell'art. 5, n. 4, del decreto presidenziale n. 81/2003, nella sua versione del 2003, i 20 giorni indicati devono essere intesi come 20 giorni lavorativi. Poiché il giudice del rinvio nella sua domanda di decisione pregiudiziale si riferisce espressamente a tale disposizione, la discussione, in prosieguo, riguarderà sempre giorni lavorativi.


52 – V. in particolare la clausola 1, lett. b), e la clausola 5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.


53 – V. il secondo comma del preambolo dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, nonché il n. 6 delle sue considerazioni generali (v. al riguardo il paragrafo 4 di queste conclusioni).


54 – Il corsivo è mio.


55– GU L 299, pag. 9. Con tale direttiva è stata codificata la fino ad allora valida direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), che già conteneva una disposizione di eguale tenore.


56 – Sentenze 26 giugno 2001, causa C-173/99, BECTU (Racc. pag. I‑4881, punto 43), e 18 marzo 2004, causa C-342/01, Merino Gómez (Racc. pag. I-2605, punto 29).


57 – In tal senso anche le conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro 20 settembre 2005, cause riunite C-53/04 e C-180/04, Marruso e a. e Vasallo (non ancora pubblicate in Raccolta, paragrafo 30).


58 – Una disposizione siffatta è stata adottata ad esempio dall'Italia per i rapporti di lavoro nel settore pubblico. V., al riguardo, le cause pendenti presso la Corte di giustizia C‑53/04 e C-180/04 (Marruso e a. e Vasallo). Sulla questione se possano essere giustificate sanzioni diverse nel settore pubblico e nel settore privato, v. le conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro in tali cause (cit. nella nota 57), paragrafi 27-49.


59 – V. al riguardo le considerazioni relative alla questione 3), lett. a), nei paragrafi 63-71 di queste conclusioni.


60 – Sulla clausola di non regresso v. le conclusioni dell'avvocato generale Tizzano nella causa Mangold (cit. nella nota 31), paragrafi 43-78.


61 – V. al riguardo le considerazioni relative alla questione 3), lett. b), nei paragrafi 72 e ss. di queste conclusioni.


62 – L'accertamento di un abuso presuppone l'interpretazione e l'applicazione del diritto nazionale, nonché una valutazione dei fatti del procedimento a quo che sono di esclusiva competenza del giudice del rinvio (v. sentenze 18 novembre 2004, causa C-284/02, Sass, Racc. pag. I-11143, punto 55, e 9 giugno 2005, cause riunite C-211/03, C-299/03 e da C-316/03 a C-318/03, HLH Warenvertrieb, non ancora pubblicata in Raccolta, punto 96).


63 – Così il terzo comma del preambolo dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato; v. anche il n. 10 delle sue considerazioni generali.


64 – Art. 103 della Costituzione greca, nella versione modificata con la legge 16 aprile 2001. A tale disposizione rinviano nel loro ricorso i ricorrenti della causa principale.


65 – V. in proposito anche le conclusioni dell'avvocato generale Poiares Maduro nelle cause C-53/04 e C-180/04 (cit. nella nota 57), paragrafi 42 e 43.


66 – Riguardo all'obbligo dell'interpretazione del diritto nazionale in modo conforme alle direttive, v. già le considerazioni relative alla prima questione, nei paragrafi 42 e ss. di queste conclusioni.