Language of document : ECLI:EU:T:2021:211

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

21 aprile 2021 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio dell’Unione europea denominativo MONOPOLY – Impedimento alla registrazione assoluto – Malafede – Articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001]»

Nella causa T‑663/19,

Hasbro, Inc., con sede in Pawtucket, Rhode Island (Stati Uniti), rappresentata da J. Moss, barrister,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da P. Sipos e V. Ruzek, in qualità di agenti,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO e interveniente dinanzi al Tribunale:

Kreativni Događaji d.o.o., con sede in Zagabria (Croazia), rappresentata da R. Kunze, avvocato,

avente ad oggetto il ricorso proposto avverso la decisione della seconda commissione di ricorso dell’EUIPO del 22 luglio 2019 (procedimento R 1849/2017-2), relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Kreativni Događaji e la Hasbro,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da A. Marcoulli, presidente, S. Frimodt Nielsen, J. Schwarcz (relatore), C. Iliopoulos e R. Norkus, giudici,

cancelliere: A. Juhász-Tóth, amministratrice

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 30 settembre 2019,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale l’8 gennaio 2020,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 7 gennaio 2020,

in seguito all’udienza del 9 ottobre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 30 aprile 2010, la ricorrente, Hasbro, Inc., ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il segno denominativo MONOPOLY.

3        I prodotti e i servizi per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano, in seguito alla limitazione intervenuta nel corso del procedimento dinanzi all’EUIPO, nelle classi 9, 16, 28 e 41 ai sensi dell’Accordo di Nizza, del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna di dette classi, alla seguente descrizione:

–        classe 9: «Apparecchi e strumenti scientifici, nautici, geodetici, fotografici, cinematografici, ottici, di pesata, di misura, di segnalazione, di controllo (ispezione), di soccorso (salvataggio) e d’insegnamento; apparecchi e strumenti per la conduzione, commutazione, trasformazione, accumulazione, regolazione o controllo dell’elettricità; apparecchi per la registrazione, la trasmissione, la riproduzione del suono o delle immagini; supporti di registrazione magnetica, dischi acustici; distributori automatici e meccanismi per apparecchi di prepagamento; registratori di cassa, macchine calcolatrici, corredo per il trattamento dell’informazione e gli elaboratori elettronici; estintori; apparecchi per il divertimento elettronici; giochi elettronici; giochi informatici; hardware; software per computer; dispositivi di comando per tutti gli articoli summenzionati; schede, dischi, nastri, fili e circuiti contenenti o per dati e/o software informatici; giochi per sale giochi; software per il divertimento interattivi, ovvero software per giochi per computer, programmi di giochi per computer, cartucce di giochi per computer, dischi di giochi per computer; videogiochi interattivi di realtà virtuale dotati di hardware e software; programmi di giochi interattivi multimediali; software scaricabili per uso in relazione a computer e giochi per computer, dispositivi portatili per giochi, consolle per giochi, dispositivi per giochi di comunicazione e telefoni cellulari; giochi elettronici e videogiochi; software per videogiochi, programmi per videogiochi, cartucce per videogiochi, dischi per videogiochi, tutti per uso con computer, dispositivi portatili per giochi, consolle per giochi, dispositivi di comunicazione e telefoni cellulari; terminali per videolotterie; apparecchi per videogiochi e giochi per computer, ovvero videogiochi (macchine) da utilizzare con televisori; giochi (macchine) concepiti per essere utilizzati con un ricevitore televisivo; registrazioni audio e/o video; dischi laser, videodischi, dischi acustici, compact disc, CD-Rom contenenti giochi, film, intrattenimento e musica; consolle per giochi; dispositivi di comunicazione e telefoni cellulari; pellicole preregistrate; programmi e materiali televisivi, radiofonici e di intrattenimento preregistrati; parti e accessori per tutti i prodotti summenzionati»;

–        classe 16: «Carta e cartone e prodotti in queste materie, non compresi in altre classi; stampati; articoli per legatoria; fotografie; cartoleria; adesivi (materie collanti) per la cartoleria o per uso domestico; materiale per artisti; pennelli; macchine da scrivere e articoli per ufficio (esclusi i mobili); materiale per l’istruzione o l’insegnamento (tranne gli apparecchi); materie plastiche per l’imballaggio (non comprese in altre classi); caratteri tipografici; cliché; parti e accessori per tutti i prodotti summenzionati»;

–        classe 28: «Giochi, giocattoli; articoli per la ginnastica e lo sport non compresi in altre classi; decorazioni per alberi di Natale; Macchine per giochi di denaro; slot-machine; carte da gioco; parti e accessori per tutti i prodotti summenzionati»;

–        classe 41: «Educazione; formazione; divertimento; intrattenimento in forma di film, programmi radiofonici e programmi televisivi; attività sportive e culturali».

4        La domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2010/146 del 9 agosto 2010.

5        Il marchio contestato è stato registrato il 25 marzo 2011 con il numero 9071961.

6        Inoltre, la ricorrente era anche titolare di tre marchi dell’Unione europea denominativi MONOPOLY registrati, il primo, il 23 novembre 1998 con il numero 238 352 (in prosieguo: il «marchio anteriore n. 238 352»), il secondo, il 21 gennaio 2009 con il numero 6 895 511 (in prosieguo: il «marchio anteriore n. 6 895 511») e, il terzo, il 2 agosto 2010 con il numero 8 950 776 (in prosieguo: il «marchio anteriore n. 8 950 776»).

7        Il marchio anteriore n. 238 352 comprende i prodotti rientranti nelle classi 9, 25 e 28 che corrispondono, per ciascuna di tali classi, alla seguente descrizione:

–        classe 9: «Apparecchi per il divertimento elettronici; giochi elettronici; giochi per computer; hardware; software; comandi per tutti i prodotti summenzionati; schede, dischi, nastri, fili e circuiti contenenti o per dati e/o software informatici; giochi per sale giochi; parti ed accessori per tutti i suddetti articoli»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria; parti ed accessori per tutti i suddetti articoli»;

–        classe 28: «Giochi, giocattoli; articoli per la ginnastica e lo sport non compresi in altre classi; decorazioni per alberi di Natale; parti ed accessori per tutti i suddetti articoli».

8        Il marchio anteriore n. 6 895 511 ha ad oggetto i «servizi di intrattenimento» compresi nella classe 41.

9        Il marchio anteriore n. 8 950 776 comprende i prodotti rientranti nella classe 16 che corrispondono alla seguente descrizione: «Carta e cartone e prodotti in queste materie, non compresi in altre classi; stampati; articoli per legatoria; fotografie; cartoleria; adesivi (materie collanti) per la cartoleria o per uso domestico; materiale per artisti; pennelli; macchine da scrivere e articoli per ufficio (esclusi i mobili); materiale per l’istruzione o l’insegnamento (tranne gli apparecchi); materie plastiche per l’imballaggio (non comprese in altre classi); caratteri tipografici; cliché».

10      Il 25 agosto 2015, l’interveniente, Kreativni Događaji d.o.o., ha presentato una domanda di dichiarazione di nullità, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001], nei confronti del marchio contestato per l’insieme dei prodotti e dei servizi designati da tale marchio. Secondo l’interveniente, la ricorrente avrebbe agito in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato per il motivo che tale domanda costituiva un deposito reiterato dei marchi anteriori n. 238 352, n. 6 895 511 e n. 8 950 776 (in prosieguo, congiuntamente, i «marchi anteriori») e mirava ad eludere l’obbligo di provare l’uso effettivo di questi ultimi.

11      Il 22 giugno 2017, la divisione di annullamento ha respinto la domanda di dichiarazione di nullità. Essa ha ritenuto, in particolare, da un lato, che la tutela del medesimo marchio per un periodo di quattordici anni non fosse, di per sé, un’indicazione dell’intenzione di sottrarsi all’obbligo di provare l’uso effettivo dei marchi anteriori e, dall’altro, che le affermazioni dell’interveniente non fossero corroborate da elementi di prova che dimostrassero la malafede della ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

12      Il 22 agosto 2017, l’interveniente ha presentato dinanzi all’EUIPO un ricorso avverso la decisione della divisione di annullamento, ai sensi degli articoli da 58 a 64 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001).

13      Il 3 agosto 2018, le parti sono state informate del fatto che sarebbe stata avviata una procedura orale al fine di meglio comprendere le circostanze particolari sottese alla strategia della ricorrente al momento del deposito del marchio contestato.

14      Il 12 novembre 2018, la ricorrente ha depositato la testimonianza di una persona che lavorava all’interno della sua società (in prosieguo: la «testimonianza»), insieme ad elementi di prova.

15      L’udienza si è svolta il 19 novembre 2018 nei locali dell’EUIPO.

16      Il 21 gennaio 2019, l’interveniente ha depositato osservazioni sul verbale e sul contenuto della procedura orale, nelle quali chiedeva che non venisse presa in considerazione la testimonianza. La ricorrente ha risposto a tali osservazioni il 22 febbraio 2019.

17      Con decisione del 22 luglio 2019 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la seconda commissione di ricorso dell’EUIPO ha parzialmente annullato la decisione della divisione di annullamento; ha dichiarato nullo il marchio contestato per una parte dei prodotti e dei servizi contemplati; ha respinto il ricorso quanto al resto e ha condannato le parti a sopportare le proprie spese relative ai procedimenti di dichiarazione di nullità e di ricorso. In sostanza, la commissione di ricorso ha ritenuto che gli elementi di prova raccolti fossero idonei a dimostrare che, per i prodotti e i servizi oggetto del marchio contestato che erano identici ai prodotti e ai servizi oggetto dei marchi anteriori, la ricorrente aveva agito in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

 Conclusioni delle parti

18      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’interveniente alle spese.

19      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

20      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese, comprese quelle sostenute dall’interveniente nell’ambito del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso.

 In diritto

 Sulla determinazione del diritto sostanziale applicabile

21      Tenuto conto della data in cui la domanda di registrazione del marchio contestato è stata presentata, ossia il 30 aprile 2010 –, che è determinante ai fini dell’individuazione del diritto sostanziale applicabile –, i fatti del caso di specie sono disciplinati dalle disposizioni sostanziali del regolamento n. 207/2009 (v., in tal senso, ordinanza del 5 ottobre 2004, Alcon/UAMI, C‑192/03 P, EU:C:2004:587, punti 39 e 40, e sentenza del 23 aprile 2020, Gugler France/Gugler e EUIPO, C‑736/18 P, non pubblicata, EU:C:2020:308, punto 3 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, nel caso di specie, per quanto riguarda le norme sostanziali, occorre intendere i riferimenti fatti dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata e dalle parti nei loro scritti difensivi all’articolo 59, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 come riguardanti l’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, di identico contenuto.

 Sulloggetto della controversia

22      Sebbene la ricorrente chieda che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata nella sua integralità, va rilevato che, in risposta a un quesito del Tribunale posto in udienza, essa ha ammesso che l’oggetto della controversia avrebbe dovuto essere limitato all’annullamento della decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha dichiarato nullo il marchio contestato nella misura in cui esso designa i prodotti e i servizi rientranti nelle classi 9, 16, 28 e 41, di cui al punto 1 del dispositivo della decisione impugnata, che erano identici ai prodotti e ai servizi oggetto dei marchi anteriori.

 Sulla ricevibilità del ricorso

23      Ai punti da 17 a 19 del suo controricorso e in sede di udienza, l’interveniente ha fatto valere, in sostanza, che, conformemente agli articoli 172 e 177 del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorso era manifestamente irricevibile, per il motivo che il ricorso non menzionava l’EUIPO come la parte avverso cui quest’ultimo era rivolto e che la regolarizzazione del ricorso con lettera depositata presso la cancelleria del Tribunale il 17 ottobre 2019 non era idonea a sanare tempestivamente tale irregolarità.

24      A tal riguardo, e come del resto menzionato dall’interveniente al punto 20 del suo controricorso, si deve ricordare che il giudice dell’Unione europea è legittimato a valutare, a seconda delle circostanze di ciascuna fattispecie, se una buona amministrazione della giustizia giustifichi il rigetto nel merito di un ricorso, senza una previa statuizione sulla sua ricevibilità (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2002, Consiglio/Boehringer, C‑23/00 P, EU:C:2002:118, punti 51 e 52).

25      Stanti le circostanze del caso di specie, il Tribunale ritiene che, in un intento di buona amministrazione della giustizia, si debba esaminare, anzitutto, la fondatezza del ricorso, senza una previa statuizione sulla ricevibilità di quest’ultimo, essendo il ricorso, in ogni caso e per i motivi di seguito esposti, infondato.

 Nel merito

26      A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce, in sostanza, due motivi vertenti, il primo, su una violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 e, il secondo, su una violazione del diritto ad un processo equo.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

27      Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente contesta la valutazione della commissione di ricorso secondo cui essa aveva agito in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio controverso.

28      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

29      In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 prevede che su domanda presentata all’EUIPO o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio dell’Unione europea è dichiarato nullo allorché al momento del deposito della domanda di registrazione di tale marchio il richiedente ha agito in malafede.

30      Al riguardo, in limine, si deve rilevare che, quando una nozione presente nel regolamento n. 207/2009 non è definita dallo stesso, la determinazione del suo significato e della sua portata deve essere effettuata conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto nel quale detta nozione è utilizzata e degli obiettivi perseguiti da tale regolamento (v. sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

31      Ciò vale anche per la nozione di «malafede» di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in mancanza di qualsiasi definizione di tale nozione da parte del legislatore dell’Unione.

32      Mentre, conformemente al suo significato abituale nel linguaggio corrente, la nozione di «malafede» presuppone la presenza di una disposizione d’animo o di un’intenzione disonesta, tale nozione deve essere interpretata inoltre nel contesto del diritto dei marchi, che è quello del commercio. Al riguardo, i regolamenti (CE) n. 40/94, del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), n. 207/2009 e 2017/1001, adottati uno in seguito all’altro, perseguono un medesimo obiettivo, vale a dire l’istituzione e il funzionamento del mercato interno. Le norme sul marchio dell’Unione europea sono dirette, in particolare, a contribuire al sistema di concorrenza non falsata nell’Unione, nel quale ogni impresa deve essere in grado, per attirare la clientela con la qualità dei suoi prodotti o servizi, di far registrare come marchi segni che consentano al consumatore di distinguere senza possibile confusione tali prodotti o servizi da quelli di provenienza diversa (v. sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

33      Di conseguenza, il motivo di nullità assoluta di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 si applica laddove emerga da indizi pertinenti e concordanti che il titolare di un marchio dell’Unione europea ha presentato la domanda di registrazione di tale marchio non con l’obiettivo di partecipare in maniera leale al gioco della concorrenza, bensì con l’intenzione di pregiudicare, in modo non conforme alle consuetudini di lealtà, gli interessi di terzi, o con l’intenzione di ottenere, senza neppur mirare ad un terzo in particolare, un diritto esclusivo per scopi diversi da quelli rientranti nelle funzioni di un marchio, in particolare la funzione essenziale di indicare l’origine (sentenza del 12 settembre 2019, Koton Mağazacilik Tekstil Sanayi ve Ticaret/EUIPO, C‑104/18 P, EU:C:2019:724, punto 46).

34      Inoltre, occorre aggiungere che, nella sentenza dell’11 giugno 2009 Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361), la Corte ha fornito diverse precisazioni quanto al modo in cui doveva essere interpretata la nozione di malafede di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

35      Secondo la Corte, ai fini della valutazione dell’esistenza della malafede del richiedente, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, occorre prendere in considerazione tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie ed esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione di un segno come marchio dell’Unione europea, in particolare, in primo luogo, il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza, in almeno uno Stato membro, un segno identico o simile per un prodotto o un servizio identico o simile e confondibile con il segno di cui viene chiesta la registrazione; in secondo luogo, l’intenzione del richiedente di impedire a tali terzi di continuare ad utilizzare un siffatto segno; nonché, in terzo luogo, il grado di tutela giuridica di cui godono il segno del terzo ed il segno di cui viene chiesta la registrazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, punto 53).

36      Ciò premesso, dalla formulazione adottata dalla Corte nella sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361, punto 53), risulta che i fattori ivi enumerati sono solo esempi all’interno di un insieme di elementi atti a essere presi in considerazione al fine di decidere sull’eventuale malafede di un richiedente la registrazione al momento del deposito della domanda di marchio [v. sentenza del 26 febbraio 2015, Pangyrus/UAMI – RSVP Design (COLOURBLIND), T‑257/11, non pubblicata, EU:T:2015:115, punto 67 e giurisprudenza ivi citata]. In tale sentenza, infatti, la Corte si è limitata a rispondere alle questioni del giudice nazionale vertenti, in sostanza, sulla questione se simili fattori fossero pertinenti (v., in tal senso, sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, punti 22 e 38). Pertanto, l’assenza dell’uno o dell’altro di tali fattori non osta necessariamente, secondo le circostanze proprie del caso di specie, a che sia constatata la malafede del richiedente [v., in tal senso, sentenza del 7 luglio 2016, Copernicus‑Trademarks/EUIPO – Maquet (LUCEO), T‑82/14, EU:T:2016:396, punto 147].

37      A tal proposito, occorre evidenziare che, al paragrafo 60 delle sue conclusioni nella causa Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:148), l’avvocato generale Sharpston ha rilevato che la nozione di malafede, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, non può essere circoscritta a una categoria limitata di circostanze specifiche. L’obiettivo di interesse generale di tale disposizione, che consiste nel contrastare registrazioni di marchio abusive o contrarie alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale, sarebbe infatti compromesso se la malafede potesse essere dimostrata soltanto dalle circostanze tassativamente elencate nella sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:361) (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing, C‑569/08, EU:C:2010:311, punto 37).

38      Pertanto, secondo constante giurisprudenza, nell’ambito dell’analisi complessiva effettuata ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, si può anche tener conto dell’origine del segno contestato e del suo utilizzo a partire dalla sua creazione, della logica commerciale nella quale si inserisce il deposito della domanda di registrazione del segno come marchio dell’Unione europea nonché della cronologia degli avvenimenti che hanno caratterizzato la sopravvenienza di detto deposito [v., sentenza del 26 febbraio 2015, COLOURBLIND, T‑257/11, non pubblicata, EU:T:2015:115, punto 68 e giurisprudenza ivi citata].

39      Si deve prendere in considerazione anche l’intenzione del richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione (sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, punto 41).

40      Al riguardo è stato precisato che l’intenzione del richiedente al momento pertinente è un elemento soggettivo che deve essere determinato con riferimento alle circostanze oggettive del caso di specie (sentenza dell’11 giugno 2009, Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli, C‑529/07, EU:C:2009:361, punto 42).

41      Pertanto, la nozione di malafede è connessa a una motivazione soggettiva della persona che presenta una domanda di registrazione di marchio, vale a dire a un’intenzione disonesta o ad altro bieco motivo. Essa implica un comportamento che si discosti dai principi riconosciuti come caratterizzanti un comportamento etico o dalle leali consuetudini in materia industriale o commerciale (sentenza del 7 luglio 2016, LUCEO, T‑82/14, EU:T:2016:396, punto 28).

42      Spetta al richiedente la dichiarazione di nullità che intende fondarsi sull’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 dimostrare le circostanze che permettono di giungere alla conclusione secondo cui una domanda di registrazione di un marchio dell’Unione europea è stata depositata in malafede, atteso che la buona fede del depositante è presunta fino a prova contraria [v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2017, Biernacka-Hoba/EUIPO – Formata Bogusław Hoba (Formata), T‑23/16, non pubblicata, EU:T:2017:149, punto 45 e giurisprudenza ivi citata].

43      Qualora l’EUIPO constati che le circostanze oggettive del caso di specie fatte valere dal richiedente la dichiarazione di nullità possono condurre al rovesciamento della presunzione di buona fede di cui beneficia il titolare del marchio in questione al momento del deposito della domanda di registrazione del medesimo, spetta a quest’ultimo fornire spiegazioni plausibili circa gli obiettivi e la logica commerciale perseguiti con la domanda di registrazione di tale marchio.

44      Il titolare del marchio in questione si trova, infatti, nella posizione migliore per fornire all’EUIPO chiarimenti circa le intenzioni che lo hanno animato al momento della domanda di registrazione di detto marchio e per fornire allo stesso elementi che possano convincerlo che, malgrado l’esistenza di circostanze oggettive, tali intenzioni erano legittime [v., in tal senso, sentenza del 5 maggio 2017, PayPal/EUIPO – Hub Culture (VENMO), T‑132/16, non pubblicata, EU:T:2017:316, punti da 51 a 59, e, in tal senso e per analogia, sentenza del 9 novembre 2016, Birkenstock Sales/EUIPO (Raffigurazione di un motivo di linee ondulate incrociate), T‑579/14, EU:T:2016:650, punto 136].

45      È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre esaminare le diverse censure della ricorrente sollevate nell’ambito del primo motivo di ricorso, il quale è suddiviso, in sostanza, in sei parti.

–       Sulla prima parte del primo motivo di ricorso, vertente sull’erronea applicazione delle norme relative alla valutazione della malafede

46      Nell’ambito della prima parte del primo motivo di ricorso, la ricorrente addebita anzitutto alla commissione di ricorso di non aver proceduto a una valutazione complessiva di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie. Essa si sarebbe indebitamente concentrata su un aspetto –, ossia il vantaggio amministrativo di non dover provare l’uso effettivo del marchio il cui deposito è stato reiterato –, e avrebbe ignorato le numerose altre valide ragioni dalla stessa addotte per giustificare la sua strategia di deposito di marchio.

47      La ricorrente addebita, poi, alla commissione di ricorso di aver ritenuto, al punto 66 della decisione impugnata, che qualsiasi deposito reiterato di marchio equivalesse automaticamente a un deposito effettuato in malafede. Orbene, ciò sarebbe in contraddizione con i principi enunciati nella sentenza del 13 dicembre 2012 pelicantravel.com/UAMI – Pelikan (Pelikan) (T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689), e nelle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (C‑529/07, EU:C:2009:148). Infine, essa ritiene che sia erronea l’affermazione della commissione di ricorso, contenuta al punto 79 della decisione impugnata, secondo cui la ricorrente «[aveva] anche ammesso che il vantaggio della [sua] strategia consisteva nel fatto che essa non avrebbe dovuto provare l’uso effettivo del marchio [contestato] nell’ambito di un procedimento di opposizione». Secondo la ricorrente, gli elementi di prova dimostravano che uno dei vantaggi associati alla sua pratica in materia di deposito di marchio avrebbe potuto essere l’efficienza amministrativa, ma non si trattava della ragione principale, né di una ragione sostanziale.

48      L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

49      Al fine di esaminare la fondatezza dell’argomentazione addotta nell’ambito della prima parte del primo motivo di ricorso, in primo luogo, occorre ricordare quali sono i principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e la norma relativa alla prova dell’uso di tali marchi. Al riguardo, anzitutto, occorre rilevare, al pari della commissione di ricorso al punto 29 della decisione impugnata, che dal considerando 2 del regolamento n. 207/2009 (divenuto considerando 3 del regolamento 2017/1001) emerge, in sostanza, che il regolamento n. 207/2009 mira ad assicurare una concorrenza non falsata. Inoltre, è stato statuito che il diritto dei marchi costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende stabilire e conservare e che i diritti e le facoltà che il marchio dell’Unione europea conferisce al rispettivo titolare devono essere esaminati in considerazione di tale obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 6 maggio 2003, Libertel, C‑104/01, EU:C:2003:244, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

50      In secondo luogo, come in sostanza evidenziato dalla commissione di ricorso ai punti 31 e 32 della decisione impugnata, se è vero che dall’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001) emerge che la registrazione di un marchio dell’Unione europea conferisce al suo titolare un diritto esclusivo, dal considerando 10 del regolamento n. 207/2009 (divenuto considerando 24 del regolamento 2017/1001), tuttavia, deriva che è giustificato tutelare i marchi dell’Unione europea, nonché, nei loro confronti, i marchi registrati che siano anteriori, soltanto nella misura in cui siano effettivamente utilizzati. Un marchio dell’Unione europea non utilizzato potrebbe, infatti, ostacolare la concorrenza limitando il novero dei segni che possono essere registrati come marchi da altri e privando i concorrenti della possibilità di utilizzare tale marchio, o un marchio simile, al momento di immettere nel mercato interno prodotti o servizi identici o simili a quelli contraddistinti dal marchio in questione. Di conseguenza, il mancato uso di un marchio dell’Unione europea rischia altresì di limitare la libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2012, Leno Merken, C‑149/11, EU:C:2012:816, punto 32).

51      In terzo luogo, per quanto riguarda l’uso effettivo di un marchio dell’Unione europea, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 18, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001), «[s]e entro cinque anni dalla registrazione il marchio UE non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio UE è sottoposto alle sanzioni previste nel presente regolamento, salvo motivo legittimo per il mancato uso».

52      Inoltre, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001], «[i]l titolare del marchio UE è dichiarato decaduto dai suoi diritti su domanda presentata all’[EUIPO] o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione[,] se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione».

53      A tal riguardo, l’articolo 51, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 58, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001) prevede che «[s]e la causa di decadenza sussiste solo per una parte dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio UE è registrato, il titolare decade dai suoi diritti soltanto per i prodotti o servizi di cui trattasi».

54      La ratio legis del requisito secondo cui un marchio deve aver formato oggetto di un uso effettivo per poter essere protetto ai sensi del diritto dell’Unione è che l’iscrizione di un marchio dell’Unione europea nel registro dell’EUIPO non può essere assimilata a un deposito strategico e statico che conferisce a un titolare inattivo un monopolio legale di durata indeterminata. Al contrario, tale registro dovrebbe rispecchiare fedelmente le indicazioni che le imprese utilizzano effettivamente sul mercato per distinguere i loro prodotti e i loro servizi della vita economica [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, Deutsche Rockwool Mineralwoll/UAMI – Recticel (λ), T‑215/13, non pubblicata, EU:T:2015:518, punto 20 e giurisprudenza ivi citata].

55      Come evidenziato dalla commissione di ricorso al punto 35 della decisione impugnata, dai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e dalla norma relativa alla prova dell’uso, illustrati ai precedenti punti da 49 a 53, deriva quindi che, se è vero che al titolare di un marchio viene conferito un diritto esclusivo, tale diritto, tuttavia, può essere tutelato solo se, alla scadenza del periodo di tolleranza di cinque anni, detto titolare è in grado di dimostrare l’uso effettivo del suo marchio. Un simile regime opera un bilanciamento tra i legittimi interessi del titolare del marchio, da un lato, e quelli dei suoi concorrenti, dall’altro.

56      Sotto un secondo profilo, occorre ricordare che dalla giurisprudenza citata al precedente punto 36 risulta che l’assenza di un fattore che la Corte o il Tribunale avevano considerato pertinente al fine di accertare la malafede di un richiedente il marchio, nel particolare contesto di una controversia o di una questione pregiudiziale allora ad essi sottoposte, non osta necessariamente a che la malafede di un altro richiedente il marchio sia accertata in circostanze diverse. Come ricordato al precedente punto 37, la nozione di malafede, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, non può, infatti, essere circoscritta a una categoria limitata di circostanze specifiche.

57      Sotto un terzo profilo, se è vero che i depositi reiterati di un marchio non sono vietati, resta nondimeno il fatto che un simile deposito effettuato al fine di evitare le conseguenze del mancato uso di marchi anteriori può costituire un elemento rilevante, atto a dimostrare la malafede dell’autore di tale deposito (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2012, Pelikan, T‑136/11, non pubblicata, EU:T:2012:689, punto 27).

58      Infine, sotto un quarto profilo, occorre ricordare quali sono gli elementi che hanno portato la commissione di ricorso a ritenere che il deposito reiterato dei marchi anteriori fosse indicativo della malafede della ricorrente.

59      In primo luogo, al punto 71 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha rilevato che la ricorrente si era basata sul marchio contestato e sui marchi anteriori nell’ambito di due procedimenti di opposizione. Essa ha constatato, al riguardo, che le decisioni con le quali la ricorrente era risultata vittoriosa in tali procedimenti si fondavano sul marchio contestato, atteso che, per tale marchio, non era necessario fornire la prova dell’uso effettivo.

60      In secondo luogo, al punto 72 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha menzionato che, in riferimento alle possibili ragioni che avrebbero giustificato la domanda di una nuova registrazione del medesimo marchio, la ricorrente aveva addotto, dinanzi agli organi dell’EUIPO, la riduzione dell’onere amministrativo. La commissione di ricorso ha aggiunto, in sostanza, che, secondo la testimonianza di una persona che lavorava all’interno della sua società all’udienza del 19 novembre 2018, la ricorrente effettuava nuovi depositi per un certo numero di ragioni che potevano agevolare la sua gestione sul piano amministrativo, ma che tali depositi non costituivano identiche domande reiterate, atteso che detti depositi erano più ampi e giustificati da valide ragioni commerciali. Inoltre, la commissione di ricorso, al punto 73 della decisione impugnata, ha ritenuto che, poiché i marchi anteriori non erano stati oggetto di rinunce, fosse difficile, a causa del carico di lavoro supplementare e del maggiore investimento derivanti dall’accumulo di marchi identici, constatare che l’interesse di simili depositi era collegato alla riduzione dell’onere amministrativo.

61      In terzo luogo, al punto 75 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha affermato, in sostanza, che dalla testimonianza resa all’udienza del 19 novembre 2018 risultava, anzitutto, che il fatto di poter invocare la registrazione di un marchio senza doverne provare l’uso costituiva un vantaggio per la ricorrente e che ciò era un aspetto noto a tutti i titolari di marchio; che non si trattava, poi, della sola motivazione dei depositi di marchi in successione effettuati dalla ricorrente; e, infine, che se un’impresa possedeva vari marchi di diversa anzianità, era giudizioso da parte sua opporsi a un marchio depositato successivamente sulla base di un marchio recente non soggetto alla prova dell’uso al fine di ridurre i costi collegati alla produzione degli elementi di prova e alla partecipazione ad udienze, nel senso che era più efficiente dal punto di vista amministrativo non dover fornire tale prova.

62      In quarto luogo, la commissione di ricorso ha rilevato, al punto 77 della decisione impugnata, che, secondo la testimonianza, il fatto che delle imprese presentassero domande di registrazione per marchi già oggetto di registrazioni esistenti nell’Unione e includessero in tali nuove domande prodotti o servizi coperti dai marchi anteriori costituiva una pratica industriale accettata all’epoca pertinente.

63      In quinto luogo, tenuto conto degli elementi menzionati ai punti da 71 a 78 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 79 della stessa, che la ricorrente avesse deliberatamente reiterato una domanda di registrazione del marchio MONOPOLY affinché quest’ultimo coprisse anche prodotti e servizi già oggetto dei marchi anteriori. Inoltre, la commissione di ricorso ha constatato che la ricorrente aveva ammesso che il vantaggio di tale strategia consisteva nel fatto che essa non avrebbe dovuto dimostrare l’uso effettivo del marchio contestato nell’ambito di un procedimento di opposizione –, circostanza questa che costituiva uno dei fattori presi in considerazione dalla ricorrente al momento della registrazione di un marchio –, e ha aggiunto di non scorgere nessun’altra logica commerciale sottesa a una simile strategia di deposito.

64      In sesto luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 80 della decisione impugnata, che il fatto che la ricorrente aveva sostenuto che si trattava di una normale pratica industriale significasse chiaramente che il ricorso a tale strategia era intenzionale.

65      Tenendo conto di tutte queste circostanze, da un lato, la commissione di ricorso è pervenuta alla conclusione, al punto 81 della decisione impugnata, che l’intenzione della ricorrente era proprio di trarre vantaggio dalle norme del diritto dei marchi dell’Unione europea creando artificiosamente una situazione in cui non avrebbe dovuto provare l’uso effettivo dei marchi anteriori per i prodotti e i servizi coperti dal marchio contestato. Dall’altro lato, essa ha ritenuto, al punto 82 della decisione impugnata, che il comportamento della ricorrente dovesse essere considerato risultare dall’intenzione di falsare e di squilibrare il regime derivante dal suddetto diritto così come istituito dal legislatore dell’Unione.

66      È alla luce degli elementi richiamati ai precedenti punti da 49 a 65 che occorre esaminare gli argomenti della ricorrente.

67      Sotto un primo profilo, per quanto riguarda l’argomento secondo cui la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto, al punto 66 della decisione impugnata, che qualsiasi deposito reiterato di un marchio dell’Unione europea equivalesse automaticamente a un deposito effettuato in malafede, tale argomento deve essere respinto in quanto procede da una lettura errata della decisione impugnata. È necessario constatare, infatti, che, ai punti da 66 a 70 della decisione impugnata, la commissione di ricorso si è limitata ad effettuare un richiamo della giurisprudenza applicabile per valutare l’eventuale malafede del titolare di un marchio dell’Unione europea. Soltanto ai punti 71 e seguenti della decisione impugnata la commissione di ricorso ha esaminato le circostanze del caso di specie alla luce della giurisprudenza ed è giunta alla conclusione che la ricorrente ha agito in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

68      Inoltre, supponendo che l’argomento della ricorrente debba essere inteso nel senso che si addebita alla commissione di ricorso di aver ritenuto in maniera generica nella decisione impugnata che qualsiasi deposito reiterato sia stato necessariamente effettuato in malafede, detto argomento dev’essere parimenti respinto.

69      Dal ragionamento seguito dalla commissione di ricorso, come riassunto ai precedenti punti da 59 a 64, emerge senza ambiguità che non è il fatto di reiterare il deposito di un marchio dell’Unione europea ad essere stato ritenuto indicatore della malafede della ricorrente, bensì il fatto che gli elementi del fascicolo dimostrassero che quest’ultima aveva deliberatamente mirato ad eludere una norma fondamentale del diritto dei marchi dell’Unione europea, ossia quella relativa alla prova dell’uso, per trarne vantaggio a discapito dell’equilibrio del regime dei marchi dell’Unione europea istituito dal legislatore dell’Unione.

70      Al riguardo, occorre evidenziare che nessuna disposizione della normativa relativa ai marchi dell’Unione europea vieta il deposito reiterato di una domanda di registrazione di marchio e che, pertanto, un simile deposito non può, di per sé, dimostrare la malafede del richiedente, senza che sia accompagnato da altri elementi pertinenti invocati dal richiedente la dichiarazione di nullità o dall’EUIPO. Tuttavia, è necessario constatare che, nel caso di specie, dalle considerazioni della commissione di ricorso risulta che la ricorrente ha ammesso, e persino sostenuto, che uno dei vantaggi che giustificavano il deposito del marchio contestato si basava sul fatto di non dover fornire la prova dell’uso effettivo di tale marchio. Orbene, un simile comportamento non può essere considerato legittimo, ma deve essere considerato contrario agli obiettivi del regolamento n. 207/2009, ai principi che disciplinano il diritto dei marchi dell’Unione europea e alla norma della prova dell’uso, come ricordati ai precedenti punti da 49 a 55.

71      Stanti le specifiche circostanze del caso di specie, infatti, il deposito reiterato effettuato dalla ricorrente mirava segnatamente, per sua stessa ammissione, a non dover provare l’uso del marchio contestato, prolungando di conseguenza, per i marchi anteriori, il periodo di tolleranza di cinque anni previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

72      Si deve pertanto necessariamente rilevare che la strategia di deposito praticata dalla ricorrente, diretta ad eludere la norma relativa alla prova dell’uso, non solo non è conforme agli obiettivi perseguiti dal regolamento n. 207/2009, ma anche ricorda la figura dell’abuso di diritto, caratterizzata dal fatto che, in primo luogo, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da detta normativa non è raggiunto e che, in secondo luogo, sussiste una volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa stessa mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb, C‑515/03, EU:C:2005:491, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

73      Sotto un secondo profilo, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso si sarebbe indebitamente concentrata su un aspetto ‑, ossia il vantaggio amministrativo consistente nel non dover provare l’uso effettivo del marchio il cui deposito era stato reiterato ‑, e avrebbe ignorato le numerose altre valide ragioni addotte dalla ricorrente per giustificare la sua strategia di deposito di marchio (v. il precedente punto 46), occorre ritenere che, alla luce degli elementi richiamati ai precedenti punti da 59 a 64, non possa validamente sostenersi che la commissione di ricorso si è unicamente concentrata su tale aspetto.

74      Come evidenziato dall’EUIPO, infatti, nonostante dagli elementi di prova emergesse che l’intenzione della ricorrente era segnatamente di evitare di dover fornire la prova dell’uso del marchio contestato, la commissione di ricorso ha tenuto conto di altre circostanze. Ai punti 71 e 80 della decisione impugnata, essa ha infatti constatato che la ricorrente aveva effettivamente tratto vantaggio della sua strategia di deposito reiterato nell’ambito di due procedimenti di opposizione, avendo evitato di dover provare l’uso del marchio contestato.

75      Inoltre, contrariamente a quanto asserisce la ricorrente in maniera non circostanziata nel ricorso, la commissione di ricorso non ha ignorato le numerose altre ragioni che essa ha addotto al fine di giustificare la sua strategia di deposito di marchio. Come risulta dai punti da 61 a 64 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha esaminato e considerato valide le spiegazioni della ricorrente secondo cui, in sostanza quest’ultima mirava a tutelare il marchio MONOPOLY per altri prodotti e servizi al fine di seguire l’evoluzione della tecnologia e l’espansione delle sue attività. Tale circostanza è la ragione per la quale la commissione di ricorso non ha dichiarato nullo il marchio contestato per i prodotti e i servizi non coperti dai marchi anteriori. Tuttavia, come correttamente fatto valere dall’EUIPO, la commissione di ricorso non ha reputato tali spiegazioni idonee a giustificare il deposito del marchio contestato per prodotti e servizi identici a quelli coperti dai marchi anteriori. Essa ha, in particolare, ritenuto al riguardo, ai punti da 72 a 74 della decisione impugnata, che l’asserita riduzione dell’onere amministrativo derivante dal deposito del marchio contestato fosse difficilmente conciliabile con i costi supplementari e l’onere amministrativo collegati al mantenimento dei marchi anteriori.

76      Ne consegue che l’argomento della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso non avrebbe proceduto a una valutazione complessiva di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie, in quanto si sarebbe indebitamente concentrata su un solo aspetto, dev’essere respinto.

77      Infine, sotto un terzo profilo, si deve respingere l’argomento della ricorrente secondo cui, in sostanza, la commissione di ricorso avrebbe erroneamente affermato al punto 79 della decisione impugnata che la ricorrente aveva ammesso che il solo vantaggio della sua pratica di deposito consisteva nel non dover provare l’uso effettivo del marchio nell’ambito di un procedimento di opposizione (v. il precedente punto 47). Al riguardo, è sufficiente constatare che dai punti 75, 76 e 79 della decisione impugnata risulta chiaramente che la commissione di ricorso ha evidenziato che si trattava soltanto di uno dei vantaggi, o di una delle motivazioni, della strategia di deposito della ricorrente. La commissione di ricorso ha del resto espressamente dichiarato, al punto 76 della decisione impugnata, che «il fatto che un deposito non sia unicamente motivato dal vantaggio di non dover fornire la prova dell’uso effettivo del marchio e che altre ragioni entrino in gioco non rende[va] accettabile, di per sé, una simile strategia».

78      Alla luce delle considerazioni che precedono, la prima parte del primo motivo di ricorso dev’essere respinta.

–       Sulla seconda parte del primo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di qualsivoglia pregiudizio derivante dall’attività della ricorrente

79      Nell’ambito della seconda parte del primo motivo di ricorso, in primo luogo, la ricorrente sostiene di non aver tratto alcun vantaggio dal suo comportamento che mirerebbe ad ottenere o a detenere un marchio in relazione al quale non è titolare di alcun diritto. In secondo luogo, essa pone in evidenza che il gioco di società «Monopoly» è talmente famoso che sarebbe fantasioso asserire che essa non ha utilizzato il marchio MONOPOLY per dei giochi. Orbene, essa fa valere che richiederle di provare l’uso di tale marchio per giochi di società nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità comporta l’assunzione di notevoli costi. In terzo luogo, essa asserisce che, nel caso in cui la decisione impugnata venisse confermata, ciò porterebbe la divisione di annullamento dell’EUIPO ad essere sommersa da procedimenti in cui la malafede verrebbe invocata a ogni reiterazione di deposito di un marchio che designa prodotti o servizi identici o simili. Infine, in quarto luogo, la ricorrente fa valere, per quanto riguarda l’esame del pregiudizio, che la decisione impugnata non contiene alcuna constatazione relativa all’esistenza di un pregiudizio reale, ma comprende unicamente la conclusione implicita che un pregiudizio potrebbe teoricamente derivare da una potenziale proroga del periodo di tolleranza di cinque anni. Tuttavia, secondo la ricorrente, un simile pregiudizio teorico non dovrebbe in alcun caso condurre alla conclusione che essa ha agito in modo fraudolento.

80      L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

81      Occorre, anzitutto, respingere gli argomenti primo e quarto della ricorrente, secondo cui, in sostanza, il suo comportamento non le avrebbe procurato alcun vantaggio e non avrebbe arrecato alcun pregiudizio (v. il precedente punto 79). Infatti, come fa valere, in sostanza, l’interveniente, è necessario constatare che né il regolamento n. 207/2009 né la giurisprudenza forniscono un fondamento che consenta di ritenere che, nel caso di specie, il fatto di trarre un vantaggio o di arrecare un pregiudizio sia rilevante ai fini della valutazione della malafede della ricorrente al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

82      Per quanto riguarda il secondo argomento, relativo all’uso del marchio MONOPOLY per i giochi, la commissione di ricorso ha correttamente dichiarato, al punto 81 della decisione impugnata, che la questione se la ricorrente avrebbe effettivamente potuto provare un simile uso era irrilevante, atteso che è l’intenzione del richiedente un marchio a dover essere oggetto di valutazione. Inoltre, e in ogni caso, come ricordato dall’EUIPO, l’uso comprovato di tale marchio, cui fa riferimento la ricorrente, si applica solo a giochi da tavolo, e non all’insieme dei prodotti e dei servizi per i quali il marchio contestato è stato dichiarato nullo.

83      Infine, l’argomento secondo cui, qualora venisse confermata la decisione di impugnazione, la divisione di annullamento sarebbe sommersa da procedimenti nei quali verrebbe invocata la malafede deve essere respinto in quanto inoperante. In ogni caso, tale argomento non è suffragato da alcun elemento concreto e costituisce, pertanto, una mera speculazione.

84      Ne consegue che la seconda parte del primo motivo di ricorso dev’essere respinta.

–       Sulla terza parte del primo motivo di ricorso, vertente sull’assenza di un esame specifico di ciascuno dei marchi anteriori

85      Nell’ambito della terza parte del primo motivo di ricorso, la ricorrente fa valere, anzitutto, che il deposito del marchio contestato non risponde affatto allo schema tradizionale di un deposito reiterato di un marchio qualche mese prima della fine del periodo di tolleranza di cinque anni. Secondo la ricorrente, la commissione di ricorso ha quindi commesso un errore ignorando il fatto che, in considerazione delle date di registrazione dei marchi anteriori n. 6 895 511 e n. 8 950 776, il marchio contestato non è stato depositato in prossimità della data di scadenza del periodo di tolleranza di cinque anni di cui godeva ciascuno di tali marchi anteriori. La ricorrente addebita, poi, alla commissione di ricorso di aver trattato i depositi dei marchi anteriori come se fossero in realtà un solo e unico deposito.

86      L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

87      Per quanto riguarda il primo argomento addotto dalla ricorrente, va rilevato che essa ha correttamente fatto valere che la domanda di registrazione del marchio contestato non è stata depositata in prossimità della scadenza dei periodi di tolleranza dei marchi anteriori n. 6 895 511 e n. 8 950 776. Infatti, poiché il marchio anteriore n. 6 895 511 è stato registrato il 21 gennaio 2009 e il marchio anteriore n. 8 950 776 il 2 agosto 2010, la registrazione del marchio contestato ha prorogato di due anni e due mesi il periodo di tolleranza relativo al mancato uso del primo di questi due marchi anteriori per i servizi coperti da quest’ultimo compresi nella classe 41 e ha prorogato di quasi otto mesi quello del secondo di questi due marchi anteriori per i prodotti da esso coperti compresi nella classe 16.

88      Tuttavia, contrariamente a quanto sottintende la ricorrente, tale fatto non può da solo essere sufficiente per ritenere che essa non avesse agito in malafede al momento del deposito della domanda di registrazione del marchio contestato.

89      Al riguardo, come in sostanza evidenziato dall’EUIPO, a prescindere dalla durata di proroga di un periodo di tolleranza, ciò che conta è l’intenzione del richiedente al momento del deposito della domanda di registrazione. Orbene, si deve ricordare che la ricorrente ha ammesso, e persino sostenuto, che uno dei vantaggi che hanno giustificato il deposito del marchio contestato era costituito dal fatto di non dover fornire la prova dell’uso effettivo del marchio contestato. Pertanto, benché la proroga dei periodi di tolleranza dei marchi anteriori non sia particolarmente lunga, resta il fatto che la ricorrente ha ottenuto il vantaggio desiderato, consistente nel non dover provare l’uso del marchio MONOPOLY per un periodo supplementare di due anni e due mesi per i servizi oggetto del marchio anteriore n. 6 895 511 compresi nella classe 41 e di quasi otto mesi per i prodotti oggetto del marchio anteriore n. 8 950 776 compresi nella classe 16.

90      Per quanto riguarda il secondo argomento, secondo cui la commissione di ricorso avrebbe trattato i depositi dei marchi anteriori come se fossero in realtà un solo e unico deposito, detto argomento deve essere respinto. Dai punti da 54 a 62 della decisione impugnata, emerge chiaramente, infatti, che la commissione di ricorso ha preso in considerazione, contemporaneamente, i diversi prodotti e servizi oggetto dei marchi anteriori e le diverse date di deposito di detti marchi.

91      Da quanto precede risulta che la terza parte del primo motivo di ricorso dev’essere respinta.

–       Sulla quarta parte del primo motivo di ricorso, vertente sulla mancata considerazione del fatto che la ricorrente avrebbe adottato una pratica comune e ampiamente accettata

92      Nell’ambito della quarta parte del primo motivo di ricorso, la ricorrente fa valere, in sostanza, che la commissione di ricorso non poteva ritenere che essa avesse agito in malafede effettuando un deposito reiterato dei suoi marchi anteriori, in quanto si trattava di una pratica industriale comune e manifestamente accettata. Essa aggiunge che non può esserle addebitato di aver agito in malafede dal momento che ha agito «conformemente al parere degli avvocati locali in relazione ai [suoi]  depositi in generale». Inoltre, essa afferma che la commissione di ricorso ha tentato di portarla ad esempio per mostrare come intendesse modificare la normativa, circostanza che la commissione di ricorso avrebbe ammesso al punto 87 della decisione impugnata, nel quale avrebbe affermato di elaborare unilateralmente una nuova normativa. Infine, la ricorrente sostiene che, qualora la decisione impugnata venisse confermata, sia essa che numerosi altri titolari di marchi dell’Unione europea si vedrebbero privati dei loro diritti di proprietà da parte dall’EUIPO.

93      L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

94      Anzitutto, occorre rilevare che l’argomentazione addotta dalla ricorrente nell’ambito di detta parte non è corroborata in alcun modo. Essa si limita, infatti, ad affermare che il deposito reiterato di marchi anteriori è una pratica comune, senza produrre il minimo elemento di prova a sostegno di tale affermazione. In ogni caso, è necessario constatare che né il regolamento n. 207/2009 né la giurisprudenza forniscono un fondamento che consenta di escludere l’eventuale malafede della ricorrente con la motivazione che essa avrebbe seguito una pratica industriale comune e che avrebbe agito conformemente al parere di avvocati. Come correttamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 78 della decisione impugnata, il mero fatto che altre imprese possano ricorrere a una determinata strategia di deposito non rende necessariamente detta strategia legittima ed accettabile. Inoltre, come in sostanza evidenziato dall’EUIPO, è in funzione delle circostanze del caso di specie che occorre valutare se una simile strategia sia conforme o meno al regolamento n. 207/2009. Orbene, dalle considerazioni che precedono risulta che la ricorrente ha deliberatamente tentato di eludere una norma fondamentale del diritto dei marchi dell’Unione europea, ossia quella relativa alla prova dell’uso, al fine di trarne vantaggio a discapito dell’equilibrio del regime derivante da detto diritto così come istituito dal legislatore dell’Unione. Di conseguenza, sebbene nulla vieti che il titolare di un marchio dell’Unione europea possa effettuare un deposito reiterato di tale marchio, l’intenzione della ricorrente deve essere ritenuta contraria agli obiettivi del regolamento n. 207/2009 (v. il precedente punto 70). Stanti le circostanze specifiche del caso di specie, la ricorrente, al fine di invalidare la valutazione secondo cui essa aveva agito in malafede, non può quindi utilmente invocare, quand’anche dimostrati, né il fatto che fosse comune, per le imprese, adottare la medesima strategia di deposito di marchi né il fatto che essa avesse agito conformemente al parere di avvocati.

95      Per quanto riguarda, poi, l’argomento secondo cui, in sostanza, la commissione di ricorso avrebbe modificato la normativa, circostanza che essa avrebbe ammesso al punto 87 della decisione impugnata, tale argomento non può che essere respinto. Infatti, come correttamente osservato dall’interveniente e contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la commissione di ricorso si è limitata ad applicare la normativa in vigore, nonché la giurisprudenza esistente, e non ha affatto ammesso di «modificare la normativa». La circostanza che la commissione di ricorso abbia fatto riferimento, al punto 87 della decisione impugnata, alla giurisprudenza esistente delle commissioni di ricorso contraddice del resto l’argomento non dimostrato della ricorrente.

96      Infine, l’affermazione secondo cui la ricorrente e un numero significativo di altri titolari di marchi si vedrebbero privati dei loro diritti di proprietà da parte dell’EUIPO qualora la decisione impugnata venisse confermata non è suffragata da alcun elemento concreto e costituisce, pertanto, una mera speculazione che non può che essere respinta.

97      Da quanto precede risulta che la quarta parte del primo motivo di ricorso dev’essere respinta.

–       Sulla quinta parte del primo motivo di ricorso, vertente sul fatto che la commissione di ricorso sarebbe incorsa in errore nell’aver dichiarato nullo il marchio contestato per i prodotti cosiddetti «collegati» coperti da tale marchio, sebbene tali prodotti non fossero identici ai prodotti coperti dai marchi anteriori

98      Nell’ambito della quinta parte del primo motivo di ricorso, la ricorrente contesta, in sostanza, la valutazione della commissione di ricorso secondo cui i prodotti «macchine per giochi di denaro; slot-machine; carte da gioco» coperti dal marchio contestato, da un lato, e i «giochi, giocattoli» oggetto del marchio anteriore n. 238 352, dall’altro, sono identici.

99      Secondo la ricorrente, il fatto che si sia giunti alla conclusione dell’identità di tali prodotti rivela la mancanza di comprensione dei diversi marchi interessati. In particolare, per quanto riguarda «slot-machine», la ricorrente evidenzia che esse sono oggetto di un’attività fortemente regolamentata e che si rivolgono agli adulti, i quali costituiscono un pubblico diverso da quello a cui sono destinati i giocattoli o i giochi di società. Essa aggiunge che la questione che si pone è se, giocando a una slot-machine, quest’ultima debba essere considerata un gioco o un giocattolo. Per tale motivo un sistema di deposito come quello in questione nel caso di specie solleva inevitabilmente interrogativi qualora taluni prodotti non si inseriscano chiaramente in una classe o in un’altra.

100    L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

101    In via preliminare, occorre rilevare che la ricorrente non sviluppa alcuna argomentazione specifica per tentare di dimostrare che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che le «macchine per giochi di denaro» e le «carte da gioco», coperte dal marchio contestato, e i «giochi, giocattoli», oggetto del marchio anteriore n. 238 352, fossero identici. Essa si limita ad addurre, in modo poco circostanziato, un’argomentazione relativa alle «slot-machine», le quali non sarebbero identiche ai «giochi» coperti dal marchio anteriore n. 238 352.

102    Nel caso di specie, si deve ricordare, in sostanza, che la commissione di ricorso ha ritenuto, al punto 60 della decisione impugnata, che i termini generali «giochi» e «giocattoli», i quali descrivono alcuni prodotti designati dal marchio anteriore n. 238 352, comprendessero le «macchine per giochi di denaro; slot-machine; carte da gioco». Pertanto, essa ha ritenuto che i «giochi» e i «giocattoli», coperti dal marchio anteriore n. 238 352, e le «macchine per giochi di denaro; slot-machine; carte da gioco», oggetto del marchio contestato, fossero identici.

103    Tale valutazione della commissione di ricorso dev’essere approvata.

104    Se è vero, infatti, che la classificazione dei prodotti e dei servizi viene effettuata a fini esclusivamente amministrativi, di modo che i prodotti e i servizi non possono essere considerati simili per il solo motivo che figurano nella stessa classe e non possono essere considerati diversi per il solo motivo che figurano in classi diverse, occorre rilevare che, secondo costante giurisprudenza, taluni prodotti possono essere ritenuti identici quando i prodotti oggetto della domanda di marchio sono inclusi in una categoria più generale contemplata dal marchio anteriore [v. sentenza del 7 settembre 2006, Meric/UAMI – Arbora & Ausonia (PAM-PIM’S BABY-PROP), T‑133/05, EU:T:2006:247, punto 29 e giurisprudenza ivi citata].

105    Orbene, nel caso di specie, come sostenuto dall’EUIPO, i prodotti «macchine per giochi di denaro», «slot-machine» e «carte da gioco», rientranti nella classe 28, oggetto del marchio contestato, devono essere considerati inclusi nella categoria più generale dei «giochi», rientranti anche nella classe 28, coperti dal marchio anteriore n. 238 352. È evidente che la nozione molto generale di «giochi» comprende numerosi tipi di giochi, tra cui quelli oggetto del marchio contestato precedentemente menzionati. Non si può, quindi, validamente contestare alla commissione di ricorso di aver ritenuto che i prodotti «macchine per giochi di denaro; slot-machine; carte da gioco», coperti dal marchio contestato e rientranti nella classe 28, e i «giochi», oggetto del marchio n. 238 352 e rientranti anche nella classe 28, fossero identici.

106    Infine, gli argomenti della ricorrente secondo cui le «slot-machine» sono oggetto di un’attività fortemente regolamentata e si rivolgono agli adulti, i quali costituiscono un pubblico diverso da quello a cui sono destinati i giocattoli o i giochi di società, sono irrilevanti. Come è stato già constatato al precedente punto 105, infatti, la categoria dei «giochi», coperti dal marchio anteriore n. 238 352, è sufficientemente ampia da includere le «macchine per giochi di denaro», le «slot‑machine» e le «carte da gioco», oggetto del marchio contestato e, pertanto, perché si possa ritenere che detti prodotti coperti da questi due marchi siano identici.

107    Da quanto precede risulta che la quinta parte del primo motivo di ricorso dev’essere respinta.

–       Sulla sesta parte del primo motivo di ricorso, vertente sul fatto che la commissione di ricorso sarebbe incorsa in errore nell’aver ritenuto che il comportamento della ricorrente non avesse consentito guadagni in termini di efficienza amministrativa

108    Nell’ambito della sesta parte del primo motivo di ricorso, la ricorrente contesta la valutazione contenuta al punto 73 della decisione impugnata, secondo cui, in sostanza, era difficile comprendere come l’onere amministrativo gravante su di essa avrebbe potuto essere ridotto mediante il deposito reiterato di un marchio identico ai marchi anteriori. La ricorrente sostiene di aver prodotto numerosi elementi di prova, tra cui la testimonianza, che dimostrano che tale pratica le avrebbe consentito di essere più efficiente dal punto di vista amministrativo, mentre invece la valutazione contraria della commissione di ricorso non si baserebbe su alcun elemento.

109    L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza di tale parte.

110    Nel caso di specie, occorre evidenziare che la valutazione contenuta al punto 73 della decisione impugnata si basa sulla constatazione del fatto che la ricorrente non ha rinunciato a nessuno dei suoi marchi anteriori, attualmente coperti dal marchio contestato. Inoltre, la commissione di ricorso ha evidenziato che, come aveva sostenuto l’interveniente, il «mantenimento dei marchi identici esistenti comporta[va] un accumulo di marchi […], che necessita[va] di un carico di lavoro amministrativo supplementare e di un maggiore investimento a causa, ad esempio, del pagamento delle tasse di deposito e delle spese di deposito relative ai rappresentanti legali per ciascun marchio richiesto e registrato, del costo delle tasse di rinnovo per ciascun marchio, delle spese di controllo amministrativo all’interno dell’impresa della titolare e presso lo studio legale, delle spese di monitoraggio e di controllo dei vari marchi al fine di garantire l’assenza di marchi identici e/o simili, nonché delle spese relative ai procedimenti di opposizione avviati per difendere ciascuno di questi vari marchi».

111    Stanti tali circostanze, la ricorrente non può validamente sostenere che la commissione di ricorso ha effettuato la valutazione contenuta al punto 73 della decisione impugnata senza disporre del minimo elemento di prova e basandosi unicamente sulla propria convinzione.

112    Quanto all’argomento della ricorrente secondo cui essa avrebbe prodotto elementi che provano l’efficienza amministrativa associata al deposito della domanda di registrazione del marchio contestato, è necessario constatare che tale argomento non è corroborato in alcun modo. Essa, infatti, si limita ad affermare, da un lato, che il deposito del marchio contestato «era il modo in cui la ricorrente gestiva il suo enorme portafoglio di marchi» e, dall’altro, che essa utilizza un sistema informatizzato di registrazione, di modo che l’introduzione di un marchio supplementare in tale sistema non costituirebbe un atto gravoso dal punto di vista amministrativo.

113    Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui, nell’ambito della valutazione considerata, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto dell’importanza della questione della priorità collegata ai marchi anteriori quando il titolare di tali marchi prende una decisione quanto al loro eventuale rinnovo, tale argomento non può che essere respinto in quanto irrilevante in relazione alla questione se l’onere amministrativo gravante sulla ricorrente avrebbe potuto essere ridotto mediante il deposito reiterato di un marchio identico ai marchi anteriori.

114    Da quanto precede risulta che si deve respingere la sesta parte del primo motivo di ricorso e, di conseguenza, il primo motivo di ricorso nel suo insieme.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente su una violazione del diritto ad un processo equo

115    Nell’ambito del secondo motivo di ricorso, la ricorrente addebita alla commissione di ricorso, in primo luogo, di aver violato il suo diritto ad un processo equo, per il motivo che essa avrebbe basato la sua valutazione su determinati aspetti della controversia che non ha sottoposto alla ricorrente, in violazione del diritto a un procedimento imparziale; in secondo luogo, di aver statuito come un organo giurisdizionale di primo grado, privandola in tal modo di un grado di ricorso; e, in terzo luogo, di aver preso in considerazione altri procedimenti riguardanti i marchi anteriori senza informarne la ricorrente.

116    L’EUIPO e l’interveniente contestano la fondatezza del secondo motivo di ricorso.

117    In via preliminare, occorre ricordare, quanto alla violazione del diritto ad un processo equo invocata dalla ricorrente, che, secondo la giurisprudenza, l’applicazione ai procedimenti dinanzi alle commissioni di ricorso dell’EUIPO del diritto ad un «processo» equo è esclusa, atteso che tali procedimenti hanno non già natura giurisdizionale, bensì natura amministrativa [v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 2014, Comptoir d’Épicure/UAMI – A-Rosa Akademie (da rosa), T ‑405/13, non pubblicata, EU:T:2014:1072, punti 71, e del 3 maggio 2018, Raise Conseil/EUIPO – Raizers (RAISE), T‑463/17, non pubblicata, EU:T:2018:249, punto 22 e giurisprudenza ivi citata]. Ne consegue che il secondo motivo di ricorso della ricorrente, nei limiti in cui verte su una violazione del diritto ad un processo equo, dev’essere respinto in quanto infondato.

118    Supponendo che il secondo motivo di ricorso debba essere interpretato nel senso che la ricorrente invoca una violazione del suo diritto di essere ascoltata in forza dell’articolo 75 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 94, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001), detto motivo dev’essere parimenti respinto.

119    A tal riguardo, si deve ricordare che, ai sensi l’articolo 75 del regolamento n. 207/2009, le decisioni dell’EUIPO devono essere fondate esclusivamente sui motivi o mezzi di prova in merito ai quali le parti hanno potuto presentare le proprie deduzioni. Tale disposizione costituisce un’applicazione particolare del principio generale di tutela dei diritti della difesa, sancito anche all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo il quale le persone i cui interessi siano pregiudicati da decisioni delle autorità pubbliche devono essere messe in condizione di far conoscere utilmente il proprio punto di vista [v. sentenza dell’8 febbraio 2013, Piotrowski/UAMI (MEDIGYM), T‑33/12, non pubblicata, EU:T:2013:71, punto 16 e giurisprudenza ivi citata].

120    Il diritto di essere ascoltato previsto all’articolo 75 del regolamento n. 207/2009 si estende a tutti gli elementi di fatto o di diritto che costituiscono il fondamento dell’atto decisionale, ma non alla posizione finale che l’amministrazione intende adottare (v. ordinanza dell’8 settembre 2015, DTL Corporación/UAMI, C‑62/15 P, non pubblicata, EU:C:2015:568, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

121    Va aggiunto che, nel caso di specie, come fanno valere, in sostanza, sia l’EUIPO che l’interveniente, dallo svolgimento del procedimento dinanzi agli organi dell’EUIPO risulta che le parti hanno avuto la possibilità di discutere dei vari aspetti della presente causa. Infatti, il 12 novembre 2018, la ricorrente ha depositato la testimonianza. L’udienza dinanzi alla commissione di ricorso si è svolta il 19 novembre 2018. Il 21 gennaio 2019, l’interveniente ha depositato osservazioni sul verbale e sul contenuto della procedura orale, nelle quali chiedeva che non venisse presa in considerazione la testimonianza, e la ricorrente ha risposto a tali osservazioni il 22 febbraio 2019.

122    Orbene, è necessario constatare che la ricorrente non ha dimostrato di essere stata privata della possibilità di presentare le proprie deduzioni in merito a determinati aspetti della controversia sui quali la commissione di ricorso ha basato la sua posizione finale. Pertanto, a prescindere dal fatto che sia poco circostanziato, l’argomento della ricorrente, secondo cui essa non sarebbe stata specificamente interrogata su determinati aspetti della controversia, non può essere accolto.

123    Infine, in ogni caso, dalla giurisprudenza deriva che i diritti della difesa sono violati a causa di un’irregolarità procedurale solo ove questa abbia inciso concretamente sulla possibilità per le imprese coinvolte di difendersi. Pertanto, il mancato rispetto delle regole in vigore aventi lo scopo di tutelare i diritti della difesa può viziare il procedimento amministrativo soltanto se risulta che esso avrebbe potuto giungere ad un risultato diverso in sua assenza [v. sentenza del 12 maggio 2009, Jurado Hermanos/UAMI (JURADO), T‑410/07, EU:T:2009:153, punto 32 e giurisprudenza ivi citata].

124    Orbene, nel caso di specie, la ricorrente non menziona alcun fatto né adduce alcun argomento idonei a dimostrare che, se fosse stata consultata dalla commissione di ricorso riguardo a determinati aspetti della controversia, il procedimento amministrativo avrebbe potuto giungere ad un risultato diverso. Essa non fornisce alcuna informazione sulle possibilità di difesa di cui sarebbe stata privata né sugli elementi che essa avrebbe prodotto o fatto valere qualora avesse avuto la possibilità di presentare le proprie deduzioni in merito ai quesiti che, a suo avviso, avrebbero dovuto esserle posti.

125    Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere il secondo motivo di ricorso e, di conseguenza, il ricorso nel suo insieme, senza che sia necessario pronunciarsi sull’argomento dell’interveniente con cui si eccepisce l’irricevibilità di alcuni allegati prodotti dalla ricorrente dinanzi al Tribunale.

 Sulle spese

126    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese, conformemente alle conclusioni dell’EUIPO e dell’interveniente.

127    L’interveniente ha inoltre chiesto che la ricorrente venga condannata a rimborsarle le spese da essa sostenute ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO. A tal proposito, si deve ricordare che, in forza dell’articolo 190, paragrafo 2, del regolamento di procedura, le spese indispensabili sostenute dalle parti ai fini del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso sono considerate spese ripetibili. Di conseguenza, la domanda dell’interveniente diretta a che la ricorrente venga condannata a rimborsare le spese indispensabili da essa sostenute ai fini del procedimento dinanzi alla seconda commissione di ricorso dell’EUIPO dev’essere accolta.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Hasbro, Inc. è condannata alle spese, comprese quelle sostenute dalla Kreativni Događaji d.o.o. ai fini del procedimento dinanzi alla seconda commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO).

Marcoulli

Frimodt Nielsen

Schwarcz

Iliopoulos

 

      Norkus

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 aprile 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.