Language of document : ECLI:EU:C:2022:534

SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

7 luglio 2022 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE – Obbligo degli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione – Articolo 267 TFUE – Obbligo del giudice del rinvio di dare piena efficacia all’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 – Accesso a un giudice indipendente e imparziale precostituito per legge – Sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultimo grado dopo una decisione pregiudiziale della Corte – Asserita non conformità di tale sentenza con l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte – Normativa nazionale che impedisce l’introduzione di un ricorso per revocazione avverso tale sentenza»

Nella causa C‑261/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanza del 18 marzo 2021, pervenuta in cancelleria il 21 aprile 2021, nei procedimenti

F. Hoffmann-La Roche Ltd,

Novartis AG,

Novartis Farma SpA,

Roche SpA

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,

nei confronti di:

Società Oftalmologica Italiana (SOI) – Associazione Medici Oculisti Italiani (AMOI),

Regione Emilia-Romagna,

Regione Lombardia,

Altroconsumo,

Novartis Farma SpA,

Roche SpA,

Novartis AG,

F. Hoffmann-La Roche Ltd,

Associazione Italiana delle Unità Dedicate Autonome Private di Day Surgery e dei Centri di Chirurgia Ambulatoriale (Aiudapds),

Coordinamento delle associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori (Codacons),

Ministero della Salute – Agenzia Italiana del Farmaco,

LA CORTE (Nona Sezione),

composta da S. Rodin, presidente di sezione, C. Lycourgos (relatore) e O. Spineanu-Matei, giudici,

avvocato generale: A.M. Collins

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la F. Hoffmann-La Roche Ltd, da P. Merlino, M. Siragusa e M. Zotta, avvocati;

–        per la Novartis AG e la Novartis Farma SpA, da P. Bertolini, L. D’Amario e A. Villani, avvocati;

–        per la Roche SpA, da F. Elefante e E. Raffaelli, avvocati;

–        per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, da G. Galluzzo e P. Gentili, avvocati dello Stato;

–        per la Società Oftalmologica Italiana (SOI) – Associazione Medici Oculisti Italiani (AMOI), da R. La Placa, avvocato;

–        per la Regione Emilia-Romagna, da R. Bonatti e R. Russo Valentini, avvocati;

–        per la Regione Lombardia, da M.L. Tamborino, avvocata;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da M. Cherubini, procuratore dello Stato, C. Colelli e M. Russo, avvocati dello Stato;

–        per la Commissione europea, da G. Conte e C. Sjödin, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 3, e dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché dell’articolo 2, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di quattro controversie che vedono opposti, rispettivamente, la F. Hoffmann-La Roche Ltd e la Roche SpA (in prosieguo, congiuntamente: il «gruppo Roche»), la Novartis AG e la Novartis Farma SpA (in prosieguo, congiuntamente: il «gruppo Novartis») all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Italia) (in prosieguo: l’«AGCM») in merito alla domanda dei gruppi Roche e Novartis diretta alla revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato (Italia) in quanto non conforme all’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in una sentenza resa a seguito di un rinvio pregiudiziale promosso dal medesimo organo giurisdizionale.

 Contesto normativo

3        L’articolo 6, comma 1, del codice del processo amministrativo prevede quanto segue:

«Il Consiglio di Stato è organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa».

4        L’articolo 91 di detto codice così dispone:

«I mezzi di impugnazione delle sentenze [dei giudici amministrativi] sono l’appello, la revocazione, l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione per i soli motivi inerenti alla giurisdizione».

5        Ai sensi dell’articolo 106, comma 1, di detto codice:

«(...) le sentenze (...) del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile».

6        L’articolo 395 del codice di procedura civile enuncia:

«Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione:

1)      se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra;

2)      se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;

3)      se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;

4)      se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;

5)      se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;

6)      se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato».

7        Ai sensi dell’articolo 396 del codice di procedura civile:

«Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per revocazione nei casi dei numeri 1, 2, 3 e 6 dell’articolo precedente, purché la scoperta del dolo o della falsità o il ricupero dei documenti o la pronuncia della sentenza di cui al numero 6 siano avvenuti dopo la scadenza del termine suddetto.

Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il corso del termine per l’appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

8        L’AGCM, con decisione del 27 febbraio 2014 (in prosieguo: la «decisione dell’AGCM»), ha inflitto due ammende, una al gruppo Roche, per un importo di circa 90,6 milioni di EUR, e l’altra al gruppo Novartis, per un importo di circa 92 milioni di EUR, per il fatto che tali imprese avevano concluso un’intesa contraria all’articolo 101 TFUE, diretta ad ottenere una differenziazione artificiosa tra i medicinali Avastin e Lucentis, manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico dell’Avastin.

9        Detti medicinali sono stati entrambi sviluppati da una società con sede negli Stati Uniti d’America, la cui attività è limitata al territorio di tale paese terzo. Tale società ha affidato lo sfruttamento commerciale dell’Avastin al di fuori di detto territorio al gruppo Roche e quello del Lucentis al gruppo Novartis.

10      Il 12 gennaio 2005 è stata rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio (in prosieguo: l’«AIC») per l’Unione europea per l’Avastin, ai fini del trattamento di talune patologie tumorali. Il 22 gennaio 2007 è stata rilasciata un’AIC per il Lucentis, ai fini del trattamento di patologie oftalmiche.

11      Prima dell’immissione in commercio del Lucentis, alcuni medici avevano cominciato a prescrivere l’Avastin ai loro pazienti affetti da patologie oftalmiche, ossia per indicazioni che non corrispondevano a quelle menzionate nell’AIC di quest’ultimo (in prosieguo: l’«uso off-label»). Tale pratica è proseguita dopo l’immissione in commercio del Lucentis, più costoso.

12      Secondo la decisione dell’AGCM, i gruppi Roche e Novartis hanno stipulato un accordo di ripartizione del mercato, costitutivo di una restrizione della concorrenza per oggetto. L’Avastin e il Lucentis sarebbero due medicinali equivalenti per quanto riguarda il trattamento di patologie oftalmiche. L’Avastin sarebbe stato, a causa del suo uso off-label ampiamente diffuso per il trattamento di questo tipo di patologie, il principale prodotto concorrente del Lucentis. L’intesa tra i gruppi Roche e Novartis sarebbe consistita nel diffondere notizie in grado di ingenerare nel pubblico preoccupazioni in merito alla sicurezza dell’utilizzo dell’Avastin in oftalmologia. Ne sarebbe derivato un calo delle vendite dell’Avastin e uno spostamento della domanda verso il Lucentis.

13      In seguito al rigetto da parte del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Italia) dei loro ricorsi proposti avverso tale decisione, i gruppi Roche e Novartis hanno proposto appello dinanzi al giudice del rinvio, il Consiglio di Stato (Italia), il quale ha sottoposto alla Corte diverse questioni pregiudiziali relative all’interpretazione dell’articolo 101 TFUE.

14      In riposta a tali questioni, la Corte, al punto 67 della sentenza del 23 gennaio 2018, F. Hoffmann-La Roche e a. (C‑179/16; in prosieguo: la «sentenza Hoffmann-La Roche», EU:C:2018:25), ha dichiarato che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE, un’autorità nazionale garante della concorrenza può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie interessate, un altro medicinale la cui AIC non copra detto trattamento, ma che sia utilizzato a tal fine e presenti quindi un rapporto concreto di sostituibilità con i primi. Per determinare se sussista un siffatto rapporto di sostituibilità, tale autorità deve – sempreché le autorità o i giudici competenti a tal fine abbiano condotto un esame della conformità del prodotto in questione alle disposizioni vigenti che ne disciplinano la fabbricazione o la commercializzazione – tener conto del risultato di detto esame, valutandone i possibili effetti sulla struttura della domanda e dell’offerta.

15      La Corte ha altresì precisato, al punto 95 della sentenza Hoffmann-La Roche, che costituisce una restrizione della concorrenza «per oggetto», vietata dall’articolo 101 TFUE, un’intesa tra imprese che commercializzano medicinali concorrenti, avente ad oggetto – in un contesto segnato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche – la diffusione presso l’Agenzia europea per i medicinali (EMA), gli operatori sanitari e il pubblico, di informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso off-label di uno di tali medicinali, al fine di ridurre la pressione concorrenziale derivante da tale uso sull’uso dell’altro medicinale.

16      In seguito a tale decisione pregiudiziale, il giudice del rinvio, con la sentenza n. 4990/2019, ha respinto gli appelli (in prosieguo: la «sentenza n. 4990/2019»).

17      I gruppi Roche e Novartis chiedono al giudice del rinvio, in forza dell’articolo 106 del codice del processo amministrativo, la revocazione di tale sentenza, affermando che essa è inficiata da un errore di fatto, ai sensi dell’articolo 395, punto 4, del codice di procedura civile.

18      Tali gruppi deducono, in particolare, che la motivazione della sentenza n. 4990/2019, secondo la quale, «[n]el caso di specie, al momento dell’applicazione dell’articolo 101 TFUE da parte dell’[AGCM], l’eventuale illiceità delle condizioni di riconfezionamento e di prescrizione dell’Avastin destinato all’uso off-label (…) non era stata accertata dalle autorità preposte al controllo del rispetto della normativa farmaceutica o dai giudici nazionali», sarebbe erronea in punto di fatto, poiché, a loro avviso, l’illiceità dell’offerta dell’Avastin per indicazioni terapeutiche non corrispondenti a quelle menzionate nell’AIC di quest’ultimo sarebbe stata constatata in numerose prese di posizione ufficiali di autorità e di organi giurisdizionali competenti. Non prendendo in considerazione gli esami di conformità così effettuati, la sentenza n. 4990/2019 non terrebbe conto dell’interpretazione, fornita dalla Corte nella sentenza Hoffmann-La Roche, secondo cui si deve prendere in considerazione il risultato di tali esami.

19      Detti gruppi osservano, altresì, che la sentenza n. 4990/2019 non contiene alcuna valutazione in merito all’ingannevolezza delle informazioni diffuse dalle imprese interessate. Orbene, dalla sentenza Hoffmann-La Roche risulterebbe che una valutazione di questo tipo è necessaria. L’interpretazione fornita dalla Corte implicherebbe che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, una restrizione della concorrenza per oggetto sia configurabile solo a condizione che le informazioni diffuse dalle imprese interessate fossero ingannevoli. La Corte avrebbe precisato che incombeva al giudice del rinvio esaminare tale aspetto.

20      Il gruppo Roche fa valere, inoltre, che il regime di sindacato giurisdizionale istituito dall’articolo 106 del codice del processo amministrativo, in combinato disposto con gli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile, è lacunoso, in quanto non prevede la possibilità di chiedere la revocazione di una sentenza di un giudice amministrativo nazionale laddove quest’ultima comporti una violazione manifesta dei principi di diritto affermati dalla Corte in sede di rinvio pregiudiziale. Come conseguenza di siffatta lacuna, possono acquistare forza di giudicato decisioni giurisdizionali contrarie al diritto dell’Unione. Una situazione del genere pregiudicherebbe il carattere vincolante e l’efficacia erga omnes delle decisioni pregiudiziali della Corte e rischierebbe di condurre alla proposizione, da parte della Commissione europea, di un ricorso per inadempimento contro la Repubblica italiana.

21      Il giudice del rinvio rileva che, nel diritto italiano, non sussiste alcun rimedio giurisdizionale che consenta di verificare se una sentenza emessa da un giudice nazionale di ultimo grado non si ponga in contrasto con il diritto dell’Unione e, nello specifico, con la giurisprudenza della Corte.

22      Esso si chiede se una situazione del genere sia compatibile con l’articolo 4, paragrafo 3, e con l’articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché con l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, e con l’articolo 267 TFUE, letti in particolare alla luce dell’articolo 47 della Carta.

23      È vero che la Corte ha dichiarato, precisamente ai punti da 22 a 24 della sentenza del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506), che le modalità di attuazione del principio dell’autorità di cosa giudicata rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, nel rispetto tuttavia dei principi di equivalenza e di effettività, senza che il diritto dell’Unione imponga a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una violazione del diritto dell’Unione.

24      Il giudice del rinvio nutre tuttavia dubbi in merito alla pertinenza di tale giurisprudenza nell’ipotesi in cui un singolo faccia valere che l’organo giurisdizionale nazionale che ha pronunciato una sentenza in ultimo grado ha violato la decisione pregiudiziale emessa dalla Corte nella causa che ha dato luogo a tale sentenza nazionale, non più impugnabile.

25      A tal riguardo, il giudice del rinvio osserva che la possibilità di incidere sulla decisione prima che la stessa passi in giudicato, al fine di scongiurare il consolidamento della violazione del diritto dell’Unione, appare preferibile rispetto al rimedio a posteriori consistente, secondo la giurisprudenza risultante dalla sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513), nel garantire alla persona che, in conseguenza di ciò, abbia subito un danno, il risarcimento di quest’ultimo. Infatti, tale rimedio a posteriori costringerebbe detto soggetto ad avviare un nuovo procedimento nell’ambito del quale dovrebbe dimostrare non solo l’esistenza della violazione del diritto dell’Unione, ma anche il carattere manifesto di quest’ultima.

26      Ciò premesso, detto giudice reputa che, nel caso di specie, la sentenza n. 4990/2019 rispetti l’interpretazione del diritto dell’Unione derivante dalla sentenza Hoffmann-La Roche. Non esisterebbe quindi, a suo avviso, alcun conflitto tra la sentenza n. 4990/2019 e il diritto dell’Unione. Tutt’al più al Consiglio di Stato si potrebbe addebitare di aver erroneamente applicato tale diritto ai fatti del procedimento principale. Orbene, un errore di questo tipo, ammesso che sia dimostrato, non costituirebbe una violazione del carattere vincolante della sentenza Hoffmann-La Roche. Il meccanismo previsto all’articolo 267 TFUE lascerebbe intatta la funzione giurisdizionale, riservata al giudice nazionale, di applicare l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte ai fatti del procedimento principale.

27      Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che non si possa escludere che non spetti ad esso, bensì alla Corte, pronunciarsi sulla compatibilità della sentenza n. 4990/2019 con la sentenza Hoffmann-La Roche. A tal riguardo, detto giudice ricorda che l’articolo 267 TFUE attribuisce alla Corte la competenza a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità e sull’interpretazione degli «atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione». Sussisterebbe la possibilità che le decisioni della Corte rientrino fra tali atti e non esista quindi, allo stato, alcuna certezza definitiva sulla compatibilità della sentenza n. 4990/2019 con la sentenza Hoffmann-La Roche.

28      In tale contesto, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, in un giudizio in cui la domanda della parte sia direttamente rivolta a far valere la violazione dei principi espressi dalla [Corte] nel medesimo giudizio al fine di ottenere l’annullamento della sentenza impugnata, possa verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi dalla [Corte] nel medesimo giudizio, oppure se tale valutazione spetti alla [Corte].

2)      Se la sentenza del Consiglio di Stato n. 4990/2019 abbia violato, nel senso prospettato dalle parti, i principi espressi dalla [Corte] nella sentenza [Hoffmann-La Roche] in relazione a) all’inclusione nel medesimo mercato rilevante dei due farmaci senza tener conto delle prese di posizione di autorità che avrebbero accertato l’illiceità della domanda e dell’offerta di Avastin off-label; b) alla mancata verifica della pretesa ingannevolezza delle informazioni diffuse dalle società.

3)      Se gli articoli 4, paragrafo 3, 19, paragrafo 1, del TUE e 2, paragrafi 1 e 2, e 267 TFUE, letti anche alla luce dell’articolo 47 della [Carta], ostino ad un sistema come quello concernente gli articoli 106 del codice del processo amministrativo e 395 e 396 del codice di procedura civile, nella misura in cui non consente di usare il rimedio del ricorso per revocazione per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della [Corte], ed in particolare con i principi di diritto affermati dalla [Corte] in sede di rinvio pregiudiziale».

 Sulle domande di apertura della fase orale del procedimento

29      Con domande presentate il 16 e il 17 marzo 2022, il gruppo Roche ha chiesto l’apertura della fase orale ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte, facendo valere l’esistenza di un fatto nuovo che sarebbe tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte.

30      Il fatto nuovo consisterebbe nell’adozione definitiva, in data 24 febbraio 2022, da parte dell’EMA, di un parere negativo sull’uso della sostanza «bevacizumab» per il trattamento di una patologia oftalmica, per il motivo che i rischi connessi a un siffatto uso sarebbero superiori ai benefici terapeutici.

31      Il gruppo Roche osserva che il bevacizumab corrisponde al principio attivo dell’Avastin. Il parere negativo dell’EMA sull’uso del bevacizumab per il trattamento di una patologia oftalmica dimostrerebbe, secondo tale gruppo, che l’Avastin non può sostituirsi al Lucentis e che questi due medicinali non rientrano, pertanto, nello stesso mercato. Tale parere dell’EMA confermerebbe, inoltre, il fatto che le informazioni diffuse dai gruppi Roche e Novartis in merito ai rischi dell’uso dell’Avastin in ambito oftalmico non fossero ingannevoli.

32      Di conseguenza, la decisione dell’AGCM sarebbe inficiata da errori. Secondo il gruppo Roche, il giudice del rinvio avrebbe constatato tali errori se avesse esaminato, conformemente agli insegnamenti derivanti dalla sentenza Hoffmann-La Roche, i dati disponibili in relazione ai rischi connessi all’uso dell’Avastin in ambito oftalmico. Secondo tale gruppo, detto giudice avrebbe dovuto in particolare constatare che l’asserita equivalenza terapeutica tra l’Avastin e il Lucentis, sulla quale si è basata l’AGCM, non era mai stata accertata da alcuna autorità competente in materia. Il giudice del rinvio avrebbe quindi dovuto concludere che l’AGCM non aveva debitamente dimostrato l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale.

33      Il parere negativo dell’EMA sarebbe determinante, in particolare, per la risposta alla seconda questione, diretta ad accertare se i principi espressi dalla Corte nella sentenza Hoffmann-La Roche siano stati disattesi dalla sentenza n. 4990/2019.

34      A tal riguardo, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 83 del suo regolamento di procedura, la Corte può, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, disporre l’apertura o la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta, oppure quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha addotto un fatto nuovo tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa sulla base di un argomento che non è stato oggetto di discussione.

35      Orbene, il fatto invocato dal gruppo Roche a sostegno delle domande di apertura della fase orale del procedimento, consistente nel parere negativo emesso dall’EMA in data 24 febbraio 2022 in merito all’uso della sostanza bevacizumab per il trattamento della patologia oftalmica descritta in tale parere, non è idoneo ad influenzare in modo determinante la decisione che la Corte adotterà nella presente causa.

36      Non spetta infatti alla Corte valutare se il contenuto di detto parere emesso dall’EMA dimostri la presenza nella decisione dell’AGCM di errori che il giudice del rinvio avrebbe dovuto constatare nella sua sentenza n. 4990/2019. È sufficiente ricordare, a tal riguardo, che il giudice nazionale è il solo competente a conoscere e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

37      Nel caso di specie, la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene, sulla base della domanda di pronuncia pregiudiziale e degli atti della fase scritta del procedimento, di disporre di tutti gli elementi necessari per trattare il presente rinvio pregiudiziale. In tali circostanze, pertanto, non occorre disporre l’apertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla terza questione

38      In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente a una costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 15 luglio 2021, The Department for Communities in Northern Ireland, C‑709/20, EU:C:2021:602, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).

39      La terza questione, che occorre esaminare per prima, riguarda, segnatamente, l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, TFUE. Orbene, tali disposizioni non sono rilevanti ai fini della risposta a tale questione.

40      L’articolo 2 TFUE riguarda infatti la ripartizione, tra l’Unione e gli Stati membri, delle competenze a legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Le regole enunciate al riguardo dai paragrafi 1 e 2 di detto articolo sono estranee alla questione relativa all’esistenza di rimedi giurisdizionali all’interno di uno Stato membro sollevata dal giudice del rinvio (v., per analogia, sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 45).

41      Pertanto, la terza questione deve essere riformulata escludendo dal suo oggetto l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, TFUE.

42      Tale questione mira, in sostanza, a chiarire se l’articolo 4, paragrafo 3, e l’articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché l’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro aventi per effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell’ambito della quale esso aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del citato articolo 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell’organo giurisdizionale nazionale sulla base del motivo che quest’ultima avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda.

43      Al riguardo, occorre ricordare anzitutto che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE obbliga gli Stati membri a stabilire i rimedi giurisdizionali necessari ad assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

44      Fatta salva l’esistenza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali di tali rimedi giurisdizionali, a condizione, tuttavia, che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione (principio di effettività) (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 58).

45      Per quanto riguarda il rispetto del principio di equivalenza, alla luce delle informazioni fornite nella domanda di pronuncia pregiudiziale e fatta salva una verifica da parte del giudice del rinvio, risulta che l’articolo 106, paragrafo 1, del codice del processo amministrativo, letto in combinato disposto con gli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile, limita la possibilità per i singoli di chiedere la revocazione di una sentenza del Consiglio di Stato secondo le medesime modalità, indipendentemente dal fatto che la domanda di revocazione trovi il proprio fondamento in disposizioni di diritto nazionale oppure in disposizioni del diritto dell’Unione.

46      Ciò posto, si deve considerare che le norme processuali di diritto interno non violano il principio di equivalenza.

47      Per quanto riguarda il principio di effettività, occorre ricordare che il diritto dell’Unione non produce l’effetto di obbligare gli Stati membri a istituire mezzi di ricorso diversi da quelli già contemplati dal diritto interno, a meno che, tuttavia, dall’impianto sistematico dell’ordinamento giuridico nazionale in questione risulti che non esiste alcun rimedio giurisdizionale che permetta, anche solo in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, o che l’unico modo per poter adire un giudice da parte di un singolo sia quello di commettere violazioni del diritto (v., in particolare, sentenze del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 143, e del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 62).

48      Nel caso di specie, nessun elemento menzionato nella domanda di pronuncia pregiudiziale o nelle osservazioni presentate alla Corte induce a ritenere che il diritto processuale italiano abbia, di per sé, l’effetto di rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, nel settore del diritto della concorrenza, dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell’Unione. In siffatte circostanze, una disposizione come l’articolo 106, paragrafo 1, del codice del processo amministrativo, in combinato disposto con gli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile, non lede neppure il principio di effettività e non risulta, pertanto, contraria all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

49      In una situazione caratterizzata dall’esistenza di un rimedio giurisdizionale che consente di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione è perfettamente ammissibile, sotto il profilo di tale diritto, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 47 della presente sentenza, che lo Stato membro interessato conferisca all’organo di ultimo grado della giustizia amministrativa di detto Stato la competenza a pronunciarsi in ultima istanza, tanto in fatto quanto in diritto, sulla controversia di cui trattasi (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 64).

50      Qualora, come nel caso di specie, siano invocate disposizioni di diritto dell’Unione dinanzi a un organo giurisdizionale nazionale, il quale emetta la propria decisione dopo aver ricevuto la risposta alle questioni che esso aveva sottoposto alla Corte in merito all’interpretazione di tali disposizioni, la condizione relativa all’esistenza, nello Stato membro interessato, di un rimedio giurisdizionale che consenta di garantire il rispetto dei diritti che i singoli traggono dal diritto dell’Unione, è necessariamente soddisfatta. Detto Stato membro può, di conseguenza, limitare la possibilità di chiedere la revocazione di una sentenza del suo organo giurisdizionale amministrativo di ultimo grado a situazioni eccezionali e tassativamente disciplinate, che non includano l’ipotesi in cui, ad avviso del singolo soccombente dinanzi a detto organo giurisdizionale, quest’ultimo non abbia tenuto conto dell’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta alla sua domanda di pronuncia pregiudiziale.

51      Da quanto precede risulta che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE non obbliga gli Stati membri a consentire ai singoli di chiedere la revocazione di una decisione giurisdizionale emessa in ultimo grado sulla base del motivo che quest’ultima violerebbe l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale che era stata formulata nel medesimo procedimento.

52      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, che obbliga gli Stati membri ad adottare ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Infatti, per quanto riguarda il sistema dei rimedi giurisdizionali necessari per assicurare un controllo giurisdizionale effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, l’articolo 4, paragrafo 3, TUE non può essere interpretato nel senso che esso obbliga gli Stati membri ad istituire nuovi rimedi giurisdizionali, obbligo che non è imposto loro dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE (sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 66).

53      Detta conclusione non può essere rimessa in discussione neppure alla luce dell’articolo 267 TFUE.

54      È vero che tale disposizione impone al giudice del rinvio di dare piena efficacia all’interpretazione del diritto dell’Unione data dalla Corte nella sentenza emessa in via pregiudiziale (sentenza del 12 febbraio 2020, Kolev e a., C‑704/18, EU:C:2020:92, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, quando ha pronunciato la sentenza n. 4990/2019, il Consiglio di Stato era tenuto ad assicurarsi che quest’ultima fosse conforme all’interpretazione dell’articolo 101 TFUE che la Corte aveva appena fornito, su richiesta di tale giudice nazionale, nella sentenza Hoffmann-La Roche.

55      Tuttavia, come ricordato al punto 36 della presente sentenza, spetta unicamente al giudice nazionale accertare e valutare i fatti della controversia di cui al procedimento principale. Ne consegue che non spetta alla Corte esercitare, nell’ambito di un nuovo rinvio pregiudiziale, un controllo che sia destinato a garantire che tale giudice, dopo aver investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione applicabili alla controversia sottopostagli, abbia applicato tali disposizioni in modo conforme all’interpretazione di queste ultime fornita dalla Corte. Per quanto i giudici nazionali possano, in virtù della cooperazione tra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, rivolgersi nuovamente alla Corte prima di dirimere la controversia di cui sono investiti, al fine di ottenere ulteriori chiarimenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), tale disposizione non può, tuttavia, essere interpretata nel senso che un organo giurisdizionale nazionale possa proporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale volta a chiarire se detto organo giurisdizionale nazionale abbia correttamente applicato al procedimento principale l’interpretazione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale da esso precedentemente sottopostale nello stesso procedimento.

56      Pertanto, il meccanismo di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituito da tale disposizione del Trattato FUE, non richiede affatto che gli Stati membri prevedano un rimedio giurisdizionale che consenta ai singoli di proporre ricorsi per revocazione di una decisione giurisdizionale pronunciata in ultimo grado da un organo giurisdizionale nazionale in una determinata controversia, al fine di obbligare quest’ultimo a sottoporre alla Corte una domanda volta a verificare se tale decisione sia conforme all’interpretazione fornita dalla Corte in risposta a una domanda di pronuncia pregiudiziale che detto organo le aveva precedentemente presentato nel medesimo procedimento.

57      La conclusione tratta al punto 51 della presente sentenza non può essere rimessa in discussione neppure alla luce dell’articolo 47 della Carta. A tal riguardo, è sufficiente osservare che, quando i singoli hanno accesso, nel settore del diritto dell’Unione interessato, a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge – circostanza che sembra ricorrere, fatta salva la verifica del giudice del rinvio, nell’ordinamento giuridico italiano –, il diritto di accedere a un siffatto giudice, sancito dalla Carta, è rispettato, senza che sia possibile qualificare la norma di diritto nazionale che circoscrive la possibilità di chiedere la revocazione delle sentenze dell’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa a situazioni eccezionali e tassativamente disciplinate come una limitazione, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, del suddetto diritto sancito all’articolo 47 della stessa (v., per analogia, sentenza del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 69).

58      Ciò nondimeno, si deve ricordare che i singoli che abbiano, eventualmente, subito un danno per effetto della violazione dei diritti loro conferiti dal diritto dell’Unione causata da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado possono far valere la responsabilità di tale Stato membro, purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 59, e del 21 dicembre 2021, Randstad Italia, C‑497/20, EU:C:2021:1037, punto 80).

59      Infatti, il principio della responsabilità di uno Stato membro per i danni causati ai privati da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema del trattato, a prescindere dal fatto che l’origine del danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo. In considerazione del ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti che i singoli traggono dalle norme dell’Unione, la piena efficacia di queste ultime verrebbe rimessa in discussione e la tutela dei diritti che esse riconoscono sarebbe affievolita se fosse escluso che i privati possano, a determinate condizioni, ottenere un risarcimento allorché i loro diritti siano lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado di uno Stato membro (sentenza del 4 marzo 2020, Telecom Italia, C‑34/19, EU:C:2020:148, punti 67 e 68).

60      In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alla terza questione che l’articolo 4, paragrafo 3, e l’articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché l’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, devono essere interpretati nel senso che non ostano a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro che, pur rispettando il principio di equivalenza, producono l’effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell’ambito della quale esso aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del suddetto articolo 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell’organo giurisdizionale nazionale sulla base del motivo che quest’ultimo avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda.

 Sulle questioni prima e seconda

61      Alla luce della risposta fornita alla terza questione, non occorre rispondere alla prima e alla seconda questione.

 Sulle spese

62      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

L’articolo 4, paragrafo 3, e l’articolo 19, paragrafo 1, TUE nonché l’articolo 267 TFUE, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a disposizioni di diritto processuale di uno Stato membro che, pur rispettando il principio di equivalenza, producono l’effetto che, quando l’organo di ultimo grado della giurisdizione amministrativa di tale Stato membro emette una decisione risolutiva di una controversia nell’ambito della quale esso aveva investito la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi del suddetto articolo 267, le parti di tale controversia non possono chiedere la revocazione di detta decisione dell’organo giurisdizionale nazionale sulla base


del motivo che quest’ultimo avrebbe violato l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte in risposta a tale domanda.

Rodin

Lycourgos

Spineanu-Matei

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 7 luglio 2022.

Il cancelliere

 

Il presidente della Nona Sezione

A. Calot Escobar

 

S. Rodin


*      Lingua processuale: l’italiano.