Language of document : ECLI:EU:T:2019:234

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

10 aprile 2019 (*)

«Dumping – Importazioni di tubi di ghisa duttile originari dell’India – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/388 – Regolamento (CE) n. 1225/2009 [sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036] – Margine di dumping – Determinazione del prezzo all’esportazione – Associazione tra l’esportatore e l’importatore – Prezzo all’esportazione attendibile – Costruzione del prezzo all’esportazione – Margine adeguato per le spese generali, amministrative e di vendita – Margine adeguato per i profitti – Pregiudizio all’industria dell’Unione – Calcolo della sottoquotazione del prezzo e del margine di pregiudizio – Nesso causale – Accesso ai dati riservati dell’inchiesta antidumping – Diritti della difesa»

Nella causa T‑301/16,

Jindal Saw Ltd, con sede in New Delhi (India),

Jindal Saw Italia SpA, con sede in Trieste (Italia),

rappresentate da R. Antonini e E. Monard, avvocati,

ricorrenti,

contro

Commissione europea, rappresentata da J.‑F. Brakeland e G. Luengo, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

SaintGobain Pam, con sede in Pont‑à‑Mousson (Francia), rappresentata da O. Prost, A. Coelho Dias e C. Bouvarel, avvocati,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2016/388 della Commissione, del 17 marzo 2016, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) originari dell’India (GU 2016, L 73, pag. 53), nella parte in cui tale regolamento riguarda le ricorrenti,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata),

composto da I. Pelikánová, presidente, V. Valančius, P. Nihoul, J. Svenningsen (relatore) e U. Öberg, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 luglio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Jindal Saw Ltd, società privata di diritto indiano, e la Jindal Saw Italia SpA, società italiana appartenente alla Jindal Saw, ricorrenti, sono attive nella produzione e nella vendita, in particolare, di tubi di ghisa duttile destinati al mercato indiano e all’esportazione. Durante il periodo che rileva nella specie, tre società collegate sono intervenute per la commercializzazione dei prodotti della Jindal Saw nell’Unione europea, ossia, oltre alla Jindal Saw Italia, la Jindal Saw España SL e la Jindal Saw Pipeline Solutions, UK (detta Jindal Saw UK) (in prosieguo, congiuntamente: gli «organismi di vendita della Jindal Saw»).

2        Il 10 novembre 2014 la Saint‑Gobain Pam, la Saint‑Gobain Pam Deutschland GmbH e la Saint‑Gobain Pam España S.A, conformemente al regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2009, L 343, pag. 51), come modificato dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014 (GU 2014, L 18, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di base») [sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21)], hanno presentato una denuncia alla Commissione europea, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento n. 1225/2009, affinché essa avviasse un’inchiesta antidumping riguardante le importazioni di tubi di ghisa duttile originari dell’India.

3        Con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 20 dicembre 2014 (GU 2014, C 461, pag. 35), la Commissione ha aperto un procedimento antidumping riguardante le importazioni di cui trattasi (in prosieguo: il «procedimento antidumping»).

4        Contemporaneamente, il 26 gennaio 2015, la Saint‑Gobain Pam, la Saint‑Gobain Pam Deutschland e la Saint‑Gobain Pam España, conformemente al regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea (GU 2009, L 188, pag. 93), come modificato dal regolamento n. 37/2014 (in prosieguo: il «regolamento di base antisovvenzioni») [sostituito dal regolamento (UE) 2016/1037 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 55)], hanno presentato una denuncia alla Commissione, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento di base, affinché essa avviasse un’inchiesta antisovvenzioni, riguardante anche le importazioni di cui trattasi.

5        Con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale l’11 marzo 2015 (GU 2015, C 83, pag. 4), la Commissione ha aperto un procedimento antisovvenzioni riguardante le importazioni di cui trattasi (in prosieguo: il «procedimento antisovvenzioni»).

6        Il 24 giugno 2015 la Jindal Saw ha presentato alla Commissione le proprie osservazioni su taluni aspetti dell’analisi del dumping, del pregiudizio causato all’industria dell’Unione e dell’interesse dell’Unione. Tali osservazioni riguardavano sia il procedimento antidumping sia il procedimento antisovvenzioni.

7        Il 18 settembre 2015 la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2015/1559, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) originari dell’India (GU 2015, L 244, pag. 25; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Il prodotto in esame veniva definito in tale regolamento come i tubi di ghisa duttile (detta anche «ghisa a grafite sferoidale») originari dell’India.

8        Il 23 ottobre 2015 la Jindal Saw ha presentato le proprie osservazioni sulle informazioni provvisorie nel procedimento antidumping, chiedendo al contempo lo svolgimento di un’audizione da parte della Commissione.

9        Il 20 novembre 2015 si è svolta una riunione. Il 24 novembre 2015 la Jindal Saw ha inviato un messaggio di posta elettronica alla Commissione in cui confermava taluni elementi affrontati durante tale riunione, in particolare quelli vertenti sulla definizione del prodotto in esame e sul calcolo della sottoquotazione del prezzo, e il 27 novembre 2015, essa ha sottoposto alla Commissione le proprie osservazioni conseguenti a detta riunione nell’ambito del procedimento antidumping. Il 9 dicembre 2015 essa ha comunicato alla Commissione talune osservazioni nell’ambito del procedimento antidumping e nell’ambito del procedimento antisovvenzioni, in particolare per quanto riguarda, in primo luogo, la natura sovvenzionale della tassa all’esportazione sul minerale di ferro, in secondo luogo, il pregiudizio, in terzo luogo, le risposte ai questionari fornite dagli utilizzatori del prodotto in esame e, in quarto luogo, l’esclusione dalla definizione del prodotto in esame dei tubi che non hanno né rivestimento interno né rivestimento esterno.

10      Il 22 dicembre 2015 la Commissione ha informato la Jindal Saw dei principali fatti e considerazioni in base ai quali intendeva istituire un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di detto prodotto (in prosieguo: le «informazioni finali») nonché dei principali fatti e considerazioni in base ai quali intendeva istituire un dazio compensativo definitivo sulle medesime importazioni. Prima di sottoporre le proprie osservazioni, la Jindal Saw, con messaggio di posta elettronica del 12 gennaio 2016, ha chiesto un complemento di informazione su quattro punti specifici.

11      Il 20 gennaio 2016 la Jindal Saw ha presentato le proprie osservazioni sulle informazioni finali nell’ambito del procedimento antidumping e nell’ambito del procedimento antisovvenzioni.

12      Il 26 gennaio 2016 la Commissione ha inviato alla Jindal Saw una comunicazione di informazioni finali supplementare riguardante alcune correzioni apportate a taluni elementi usati nel calcolo del margine di dumping nell’ambito del procedimento antidumping. La scadenza del termine per presentare osservazioni era fissata al 28 gennaio 2016.

13      Il 28 gennaio 2016 la Jindal Saw ha assistito a una riunione organizzata dalla Commissione. Tale riunione ha in particolare riguardato le conclusioni relative alla sovvenzione che sarebbe costituita dalla tassa all’esportazione sul minerale di ferro e dal regime di doppia tariffazione del trasporto ferroviario di merci riguardante il minerale di ferro, i calcoli relativi a tutte le misure di sovvenzione, il pregiudizio causato all’industria dell’Unione e il dumping. Lo stesso giorno, la Commissione ha inviato una lettera alla Jindal Saw informandola di talune correzioni apportate ai calcoli degli indicatori di pregiudizio all’industria dell’Unione nell’ambito del procedimento antidumping e nell’ambito del procedimento antisovvenzioni. La scadenza del termine per presentare osservazioni era fissata al 1o febbraio 2016.

14      Il 1o febbraio 2016 la Jindal Saw ha inviato due messaggi di posta elettronica alla Commissione, esponendo le proprie osservazioni relative, da un lato, alle correzioni apportate a taluni indicatori di pregiudizio all’industria dell’Unione e, dall’altro, alla riunione del 28 gennaio 2016. Tali messaggi di posta elettronica contenevano altresì diverse richieste di informazioni.

15      In esito al procedimento antidumping e al procedimento antisovvenzioni, la Commissione ha adottato, rispettivamente, il regolamento di esecuzione (UE) 2016/388, del 17 marzo 2016, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) originari dell’India (GU 2016, L 73, pag. 53; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), nonché il regolamento di esecuzione (UE) 2016/387, del 17 marzo 2016, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) originari dell’India (GU 2016, L 73, pag. 1), il quale è oggetto di un ricorso di annullamento nella causa Jindal Saw e Jindal Saw Italia/Commissione (T‑300/16).

16      Nel regolamento impugnato, il prodotto in esame è stato individuato in via definitiva come «tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) (…), ad esclusione dei tubi di ghisa duttile senza rivestimento interno ed esterno (…) originari dell’India, attualmente classificati ai codici NC ex 7303 00 10 ed ex 7303 00 90» (in prosieguo: il «prodotto in esame»).

 Procedimento e conclusioni delle parti

17      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 13 giugno 2016, le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso. Il controricorso, la replica e la controreplica sono stati depositati il 27 settembre e il 21 novembre 2016 nonché il 26 gennaio 2017.

18      A seguito della modifica della composizione delle sezioni del Tribunale, la causa è stata riassegnata a un nuovo giudice relatore all’interno della Prima Sezione.

19      Alcune richieste di riservatezza vertenti su talune informazioni contenute nel ricorso, nella replica e nella controreplica sono state depositate dalle ricorrenti l’11 e il 21 novembre 2016 e il 14 febbraio 2017.

20      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 ottobre 2016, la Saint‑Gobain Pam ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 19 gennaio 2017, il presidente della Prima Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento.

21      Il 6 marzo 2017, l’interveniente ha depositato presso la cancelleria del Tribunale una memoria d’intervento. La Commissione e le ricorrenti hanno depositato le proprie osservazioni su tale memoria il 24 marzo e 19 aprile 2017.

22      Il 20 luglio 2017 il Tribunale ha ordinato alla Commissione, ai sensi dell’articolo 91, lettera b), del regolamento di procedura del Tribunale e fatta salva l’applicazione dell’articolo 103, paragrafo 1, di tale regolamento, di produrre i dati riservati necessari per verificare la veridicità di talune spiegazioni fornite nel controricorso per quanto riguarda le implicazioni dell’errore materiale menzionato al considerando 72 del regolamento impugnato (in prosieguo: l’«errore materiale»).

23      Il 10 agosto 2017 la Commissione ha prodotto, in formato digitale, i dati di cui alla misura istruttoria disposta dal Tribunale.

24      Con decisione notificata alle parti il 14 settembre 2017, gli avvocati che rappresentano le ricorrenti sono stati invitati, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, a consultare, a talune condizioni, detti dati nei locali della cancelleria del Tribunale. Tale consultazione ha avuto luogo il 26 e il 27 settembre 2017.

25      Il 18 ottobre 2017 le ricorrenti hanno presentato osservazioni a seguito della consultazione da parte dei loro avvocati dei dati di cui trattasi (in prosieguo: le «osservazioni del 18 ottobre 2017»). Lo stesso giorno, esse hanno depositato una domanda di trattamento riservato, nei confronti dell’interveniente, riguardo ad alcuni di tali dati.

26      Il 14 novembre 2017 la Commissione ha presentato una domanda di trattamento riservato, nei confronti dell’interveniente, riguardo a taluni dati figuranti nelle osservazioni del 18 ottobre 2017.

27      Il 22 novembre 2017 la Commissione ha presentato osservazioni sulle osservazioni del 18 ottobre 2017.

28      Il 15 dicembre 2017 l’interveniente ha presentato osservazioni sulle osservazioni del 18 ottobre 2017 e sulle osservazioni della Commissione.

29      Il 27 aprile 2018 il Tribunale ha invitato le parti principali, nell’ambito di misure di organizzazione del procedimento, a rispondere a vari quesiti e a produrre alcuni documenti. Le parti hanno ottemperato a tale richiesta nei termini impartiti. Esse hanno avuto la possibilità di presentare le proprie osservazioni sulle loro rispettive risposte, il che è parimenti avvenuto nei termini previsti.

30      Il 25 giugno 2018, a seguito delle risposte della Commissione, il Tribunale ha invitato quest’ultima a presentare un calcolo corretto del margine di dumping, in considerazione di un errore ammesso da quest’ultima, nell’ambito di una nuova misura di organizzazione del procedimento.

31      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui le riguarda;

–        condannare la Commissione alle spese.

32      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

33      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 3 luglio 2018.

 In diritto

 Sulla ricevibilità delle osservazioni del 18 ottobre 2017

34      Le osservazioni del 18 ottobre 2017 sono state depositate dalle ricorrenti nel contesto esposto di seguito.

35      Nella fase finale del procedimento amministrativo, la Commissione ha informato le parti interessate dell’esistenza dell’errore materiale. Tale errore, relativo a taluni indicatori di pregiudizio all’industria dell’Unione, consisteva nella presa in considerazione di talune vendite all’esportazione dell’industria dell’Unione come vendite effettuate nell’Unione. Di conseguenza, la Commissione ha proceduto alla correzione dei dati relativi alle vendite nell’Unione dell’industria dell’Unione nonché alla revisione di dati relativi ad altri indicatori che erano stati influenzati, per ripercussione, dall’errore materiale.

36      Nel ricorso, le ricorrenti hanno sostenuto che la Commissione non aveva effettuato tutte le revisioni che la correzione dell’errore materiale implicava.

37      Nel controricorso la Commissione ha spiegato dettagliatamente che l’errore materiale si era prodotto in occasione della trascrizione di talune cifre, contenute in un foglio di calcolo informatizzato, redatto con il supporto di un foglio elettronico, allegato alle risposte al questionario di un produttore dell’Unione, in un foglio di calcolo informatizzato specifico e che tale errore non aveva avuto effetti sugli indicatori diversi da quelli che erano stati corretti, poiché gli altri indicatori erano stati redatti in fogli di calcolo informatizzati distinti.

38      Secondo la Commissione, gli unici indicatori di pregiudizio che erano stati influenzati, e che sono stati rivisti, erano quelli per i quali erano stati creati collegamenti automatici, nelle formule di calcolo integrate in tale foglio di calcolo specifico, con i dati che erano stati oggetto dell’errore materiale.

39      La Commissione ha proposto di mettere i dati di cui trattasi, riservati ai sensi dell’articolo 19 del regolamento di base, a disposizione del Tribunale, fatta salva l’applicazione dell’articolo 103 del regolamento di procedura, per consentire alle ricorrenti di verificare la fondatezza delle spiegazioni esposte ai precedenti punti 37 e 38.

40      A seguito della misura istruttoria disposta dal Tribunale, la Commissione ha depositato presso la cancelleria del Tribunale una chiave USB contenente i dati alla cui produzione era fatto riferimento. Con decisione notificata il 14 settembre 2017, letta congiuntamente a detta misura istruttoria, gli avvocati che rappresentano le ricorrenti sono stati invitati, previa sottoscrizione di un impegno di riservatezza, a consultare i documenti contenuti in tale chiave USB nei locali della cancelleria del Tribunale, esclusivamente al fine di poter verificare la veridicità di talune spiegazioni fornite nel controricorso per quanto riguarda le implicazioni dell’errore materiale.

41      Nelle osservazioni del 18 ottobre 2017, depositate a seguito di tale consultazione, le ricorrenti non contestano la veridicità di tali spiegazioni, ma sostengono di aver scoperto in detti documenti cinque nuovi errori, i quali confermerebbero alcune loro censure.

42      In via principale, la Commissione sostiene che le osservazioni del 18 ottobre 2017 sono irricevibili, poiché esse vertono su questioni estranee all’oggetto della misura istruttoria e della misura di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale. In subordine, essa sostiene che la rettifica degli errori individuati dalle ricorrenti non avrebbe cambiato l’analisi da essa compiuta nell’ambito del regolamento impugnato.

43      L’interveniente, da cui proviene la maggior parte dei dati riservati di cui trattasi, fa valere, essenzialmente, che il regolamento di base non autorizza la divulgazione dei dati riservati trasmessi da un’impresa alle istituzioni dell’Unione nell’ambito di un procedimento antidumping senza l’autorizzazione di tale impresa. In via subordinata, l’interveniente chiede di ottenere un accesso più completo di quello che è già stato ad essa concesso ai dati di cui trattasi.

44      Occorre constatare, innanzitutto, che i cinque errori a cui le ricorrenti fanno riferimento nelle osservazioni del 18 ottobre 2017 non sono correlati all’errore materiale all’origine della misura istruttoria e della misura di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale e, quindi, all’oggetto di tali misure.

45      Occorre poi ricordare che il regolamento di base disciplina in modo dettagliato l’accesso delle parti interessate ai dati raccolti nell’ambito di un’inchiesta antidumping. Esso prevede un sistema completo di garanzie procedurali intese, da un lato, a consentire alle parti interessate di difendere utilmente i propri interessi e, dall’altro, a preservare, quando è necessario, la riservatezza delle informazioni utilizzate nel corso dell’inchiesta, e contiene regole che consentono di conciliare queste due esigenze (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Jinan Meide Casting/Consiglio, T‑424/13, EU:T:2016:378, punto 96).

46      A tale riguardo, l’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento di base sancisce il principio secondo cui le informazioni di natura riservata devono essere trattate come tali dalle autorità se vengono forniti motivi debitamente giustificati. Il paragrafo 5 di tale articolo vieta, in particolare, alla Commissione di rivelare, salvo esplicita autorizzazione della persona che le ha fornite, le informazioni ricevute in applicazione del suddetto regolamento per le quali è stato chiesto il trattamento riservato e, salvo espressa disposizione contraria, di divulgare, in particolare, i documenti interni preparati dalle autorità dell’Unione.

47      Il regolamento di base contiene altresì una serie di disposizioni che consentono di conciliare le esigenze connesse ai diritti delle parti interessate di difendere utilmente i propri interessi con quelle connesse alla necessità di tutelare le informazioni riservate. Da un lato, l’accesso delle parti interessate alle informazioni disponibili in forza dell’articolo 6, paragrafo 7, e dell’articolo 20 del regolamento di base è limitato dalla natura riservata di tali informazioni. Dall’altro lato, l’articolo 19, paragrafi da 2 a 4, del regolamento di base prevede un certo numero di adeguamenti al principio del rispetto della riservatezza delle informazioni al fine di tutelare detti diritti delle parti interessate.

48      Nel caso di specie, i documenti che gli avvocati delle ricorrenti sono stati autorizzati a consultare contengono esclusivamente dati commerciali di due delle tre società che costituiscono, nella specie, l’industria dell’Unione. Si tratta di dati di natura riservata ai sensi dell’articolo 19 del regolamento di base, circostanza che le parti non contestano.

49      Si tratta quindi di documenti di cui le ricorrenti non potevano richiedere la divulgazione in applicazione del regolamento di base. L’accesso a tali documenti è stato concesso soltanto ai loro avvocati, e ciò unicamente al fine di consentire la verifica delle implicazioni dell’errore materiale in cui è incorsa la Commissione, nell’ambito di una decisione del Tribunale che circoscrive rigorosamente tale accesso, al fine di garantire il rispetto dei diritti della difesa delle ricorrenti, come risulta dalla misura istruttoria e dalla misura di organizzazione del procedimento adottate dal Tribunale.

50      Infatti, da un lato, la misura istruttoria disposta dal Tribunale era formulata in modo preciso. La Commissione doveva produrre soltanto i dati strettamente necessari per verificare la veridicità di talune spiegazioni fornite nel controricorso per quanto riguarda le implicazioni dell’errore materiale.

51      Dall’altro lato, la decisione notificata alle parti il 14 settembre 2017 prevedeva, nell’ambito di una misura di organizzazione del procedimento, un accesso ai dati di cui trattasi unicamente per garantire il rispetto dei diritti della difesa delle ricorrenti, nell’ambito del presente procedimento, riguardo a tali spiegazioni, e non per garantire un’informativa delle ricorrenti al di là delle garanzie previste dal regolamento di base a favore delle parti interessate, che contrasterebbe con il rispetto della riservatezza di detti dati. Occorre del resto sottolineare che, nell’ambito del procedimento amministrativo, i diritti delle ricorrenti sono stati garantiti dall’articolo 6, paragrafo 7, e dagli articoli 19 e 20 del regolamento di base.

52      Da quanto precede risulta che il caso di specie non può essere assimilato a una situazione in cui il Tribunale abbia deciso, in forza dell’articolo 103, paragrafo 3, del regolamento di procedura e in esito alla ponderazione prevista al paragrafo 2 di tale articolo, di portare in via generale a conoscenza di una parte principale informazioni o documenti riservati prodotti dall’altra parte principale. Infatti, nella specie, il Tribunale ha concesso agli avvocati delle ricorrenti un accesso specifico ai fogli di calcolo informatizzati utilizzati dalla Commissione per la determinazione degli indicatori contestati al solo fine di consentire loro di verificare la veridicità di talune spiegazioni fornite nel controricorso per quanto riguarda le implicazioni dell’errore materiale, in particolare per quanto riguarda i collegamenti creati in tali fogli di calcolo. Di conseguenza, le ricorrenti non possono far valere di avere avuto un accesso generale a informazioni nuove la cui presa di conoscenza consentirebbe loro di dedurre nuovi motivi o censure che debbano essere considerati ricevibili in forza dell’articolo 84 del regolamento di procedura.

53      A tale riguardo, occorre altresì osservare che le ricorrenti stesse non hanno chiesto al Tribunale di consentire loro l’accesso ai documenti di cui trattasi per poterne disporre in via generale. Al contrario, nella replica, le ricorrenti hanno chiesto espressamente che tale accesso sia loro concesso al solo fine di verificare la veridicità di talune spiegazioni fornite nel controricorso per quanto riguarda le implicazioni dell’errore materiale.

54      Sulla base dell’insieme di tali considerazioni, occorre respingere le osservazioni del 18 ottobre 2017 in quanto irricevibili.

55      Pertanto, non vi è luogo a statuire sulla domanda presentata in subordine dall’interveniente volta a ottenere un accesso più completo ai dati di cui trattasi.

 Nel merito

56      A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono, in sostanza, quattro motivi vertenti su diverse violazioni del regolamento di base, ossia:

–        il primo motivo, sulla violazione dell’articolo 2, paragrafi 8 e 9, e, di conseguenza, dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base;

–        il secondo, sulla violazione dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, e, di conseguenza, dell’articolo 3, paragrafo 6, e dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base;

–        il terzo, sulla violazione dell’articolo 3, paragrafi 2, 3, da 5 a 8, dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base;

–        il quarto, sulla violazione dell’articolo 20, paragrafi 4 e 5, del regolamento di base e dei diritti della difesa.

57      Occorre esaminare, in primo luogo, il quarto motivo.

 Sul quarto motivo, vertente su una violazione dell’articolo 20, paragrafi 4 e 5, del regolamento di base e dei diritti della difesa

58      Il quarto motivo consta, in sostanza, di due parti.

59      Con la prima parte, le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato l’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento di base e il diritto della Jindal Saw di essere ascoltata, non avendo trasmesso a quest’ultima un certo numero di elementi che la stessa le aveva richiesto in due messaggi di posta elettronica del 1o febbraio 2016.

60      Basandosi sulla giurisprudenza, le ricorrenti sottolineano che, allorché le istituzioni dell’Unione dispongono di un ampio potere discrezionale, il rispetto dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione è ancor più fondamentale e che tra tali diritti figura quello di essere utilmente ascoltato. Orbene, non si potrebbe completamente escludere che, se la Jindal Saw avesse avuto la possibilità di presentare osservazioni riguardanti le informazioni che aveva richiesto per quanto riguarda gli indicatori di pregiudizio influenzati dall’errore materiale e i costi dell’industria dell’Unione, ivi comprese le spese generali, amministrative e di vendita (in prosieguo: le «SGAV») degli organismi di vendita del gruppo Saint‑Gobain Pam, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare a un risultato diverso e più favorevole per essa, poiché, in precedenza, la Commissione avrebbe già rivisto il suo punto di vista a seguito di osservazioni che erano state ad essa trasmesse dalle parti interessate.

61      Con la seconda parte, le ricorrenti fanno valere che la Commissione avrebbe violato l’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento di base nonché il diritto della Jindal Saw di essere ascoltata, non avendo concesso a quest’ultima il tempo sufficiente per presentare le proprie osservazioni a seguito della comunicazione degli indicatori di pregiudizio modificati. A tale riguardo, esse fanno valere che non si potrebbe completamente escludere che, se la Jindal Saw avesse disposto di un termine conforme alle previsioni di tale disposizione a seguito della comunicazione degli indicatori di pregiudizio modificati, essa avrebbe potuto presentare osservazioni più articolate che avrebbero potuto indurre la Commissione a modificare il suo punto di vista.

62      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale motivo.

63      In limine, occorre rilevare, in primo luogo, che, qualora le parti interessate da un’inchiesta antidumping, in particolare i produttori esportatori interessati, intendano accedere a informazioni riguardanti fatti e considerazioni che possono costituire la base di misure antidumping al fine di difendere i propri interessi, la Commissione è tenuta a rispettare taluni principi e garanzie procedurali.

64      A tale riguardo, occorre considerare che, da un lato, l’articolo 20 del regolamento di base stabilisce talune modalità circa l’esercizio del diritto delle parti interessate di essere ascoltate, il quale costituisce un diritto fondamentale riconosciuto dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Tale articolo prevede, al paragrafo 2, il diritto di essere informato dei principali fatti e considerazioni in base ai quali si intende raccomandare l’istituzione di misure antidumping definitive. Detto articolo dispone inoltre, al paragrafo 4, che, qualora la Commissione intenda adottare una decisione fondandosi su fatti e considerazioni diversi da quelli comunicati in precedenza, essa deve comunicarli il più rapidamente possibile e, al suo paragrafo 5, che le parti interessate devono disporre, in linea di principio, di un termine minimo di dieci giorni per presentare le proprie osservazioni, e tale termine può essere più breve nel caso in cui si tratti di ulteriori informazioni finali.

65      Dall’altro lato, secondo una giurisprudenza costante, le esigenze connesse al rispetto dei diritti della difesa si impongono non solo nell’ambito di procedimenti che possono concludersi con l’irrogazione di sanzioni, ma anche nei procedimenti di inchiesta che preludono all’adozione di regolamenti antidumping i quali possono riguardare le imprese interessate direttamente e individualmente e comportare per esse conseguenze sfavorevoli. In particolare, nell’ambito della comunicazione delle informazioni alle imprese interessate nel corso del procedimento d’inchiesta, il rispetto dei loro diritti della difesa implica che tali imprese devono essere state messe in condizione, nel corso di tale procedimento, di far conoscere efficacemente il loro punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegati, nonché sugli elementi di prova posti dalla Commissione a fondamento della propria allegazione relativa all’esistenza di una pratica di dumping e del pregiudizio ad essa conseguente (v. sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

66      Sebbene, certamente, il rispetto dei diritti della difesa rivesta un’importanza capitale nei procedimenti d’inchiesta antidumping (v. sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 77 e giurisprudenza ivi citata), l’esistenza di un’irregolarità per quanto riguarda il rispetto di tali diritti può portare all’annullamento di un regolamento che istituisce un dazio antidumping solo nei limiti in cui esista una possibilità che, a motivo di tale irregolarità, il procedimento amministrativo avrebbe potuto portare ad un risultato differente, ledendo così in concreto i diritti della difesa della parte interessata (v., in tal senso, sentenza del 1o ottobre 2009, Foshan Shunde Yongjian Housewares & Hardware/Consiglio, C‑141/08 P, EU:C:2009:598, punto 107).

67      Tuttavia, occorre ricordare che non si può obbligare tale parte a dimostrare che la decisione della Commissione sarebbe stata differente, bensì soltanto che una siffatta ipotesi non è totalmente esclusa, in quanto detta parte avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza dell’irregolarità procedurale denunciata (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP, C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

68      Per contro, spetta alla parte interessata dimostrare concretamente in che modo essa avrebbe potuto difendersi più efficacemente in assenza di una tale irregolarità procedurale, senza potersi limitarsi a dedurre l’impossibilità di fornire osservazioni su situazioni ipotetiche (v. sentenza del 1o giugno 2017, Changmao Biochemical Engineering/Consiglio, T‑442/12, EU:T:2017:372, punto 145 e giurisprudenza ivi citata).

69      In secondo luogo, occorre rilevare che, nella specie, nelle informazioni finali, la Commissione ha comunicato alle parti interessate tutti i fatti e le considerazioni che essa riteneva principali e in base ai quali essa intendeva istituire un dazio antidumping definitivo, ivi comprese le cifre riguardanti gli indicatori di pregiudizio e l’analisi delle tendenze che avrebbero dimostrato tali indicatori. Concretemente, da un lato, la Commissione aveva rilevato che le vendite dell’industria dell’Unione erano diminuite di oltre il 6% e che tale industria aveva perso circa il 2,5% di quote di mercato in un mercato in declino. Dall’altro lato, sempre per quanto riguarda tale industria, essa aveva indicato che una redditività considerata bassa associata a una riduzione delle vendite e delle quote di mercato nell’Unione aveva posto quest’ultima in una situazione economica e finanziaria difficile, e aveva concluso, sulla base di un’analisi complessiva di tutti gli indicatori di pregiudizio da essa ritenuti pertinenti e di tale situazione economica e finanziaria considerata difficile, che detta industria aveva subito un pregiudizio notevole ai sensi dell’articolo 3 del regolamento di base.

70      La prima censura riguarda una violazione, da un lato, dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento di base, che deve essere letto alla luce del paragrafo 2 del medesimo articolo, e, dall’altro, dei diritti della difesa a motivo della mancata comunicazione di informazioni richieste nei due messaggi di posta elettronica della Jindal Saw del 1o febbraio 2016 riguardanti, in primo luogo, la comunicazione degli indicatori di pregiudizio modificati a seguito della scoperta dell’errore materiale e, in secondo luogo, diversi costi dell’industria dell’Unione.

71      Per quanto riguarda, in primo luogo, la mancata comunicazione delle informazioni richieste dalla Jindal Saw riguardanti le correzioni apportate agli indicatori di pregiudizio dell’Unione, occorre osservare che, innanzitutto, nella sua comunicazione scritta del 28 gennaio 2016, che informava la Jindal Saw di talune correzioni apportate agli indicatori di pregiudizio all’industria dell’Unione, la Commissione ha espressamente menzionato quali indicatori di pregiudizio erano stati oggetto di modifiche a seguito della scoperta dell’errore materiale, ossia quelli relativi, innanzitutto, al consumo complessivo nell’Unione, poi, alla quota di mercato dei produttori esportatori, inoltre, alla quota di mercato di detta industria e, infine, al prezzo di vendita della stessa industria. Inoltre, un allegato accluso a tale comunicazione scritta riportava le cifre interessate, presentate sotto forma di intervalli di valori come nelle informazioni finali. Infine, la Commissione ha espressamente indicato in detta comunicazione scritta che tali modifiche non avevano portato né a un cambiamento delle conclusioni riguardanti le tendenze né a un cambiamento delle conclusioni finali che erano state in precedenza comunicate alle parti interessate.

72      Da tali constatazioni risulta che le modifiche apportate dalla Commissione a seguito della correzione dell’errore materiale non costituivano, di per sé, principali fatti e considerazioni ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento di base, in quanto tali modifiche non apportavano alcun cambiamento nelle tendenze su cui la valutazione del pregiudizio era fondata. Pertanto, la Commissione non era obbligata, in forza del regolamento di base, in particolare dell’articolo 20, paragrafo 4, di detto regolamento, a informare la Jindal Saw di dette modifiche né, a fortiori, era obbligata a dare seguito alla richiesta di quest’ultima volta a ottenere ulteriori informazioni al riguardo. Pertanto, essa non ha violato l’articolo 20, paragrafi 2 e 4, del regolamento di base.

73      Per quanto riguarda, inoltre, l’asserita violazione del diritto di essere ascoltato, occorre ritenere che, con la sua comunicazione scritta del 28 gennaio 2016, la Commissione avesse trasmesso tutti gli elementi necessari per consentire alla Jindal Saw di fare valere il suo punto di vista rispetto alle modifiche apportate a seguito della correzione dell’errore materiale, cosa che la Jindal Saw ha, del resto, fatto nel suo primo messaggio di posta elettronica del 1o febbraio 2016. A tale riguardo, occorre rilevare, inoltre, che, nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale, le ricorrenti non hanno presentato nessuna nuova osservazione rispetto a quelle che erano già state presentate alla Commissione il 1o febbraio 2016. È necessario pertanto constatare che la Commissione ha adottato il regolamento impugnato dopo che la Jindal Saw ha potuto far valere ogni osservazione utile e che le ricorrenti non hanno dimostrato nell’ambito del presente procedimento che la Jindal Saw avrebbe potuto difendersi più efficacemente nell’ambito del procedimento amministrativo.

74      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la mancata comunicazione delle informazioni riguardanti taluni costi dell’industria dell’Unione, occorre rilevare che, certamente, sarebbe stato conforme alla buona amministrazione da parte della Commissione rispondere a tale richiesta, se non altro per far sapere che si trattava di dati riservati ai quali essa non poteva concedere l’accesso alla Jindal Saw. Tuttavia, dall’assenza di risposta specifica a tale richiesta di informazioni non consegue che la Commissione abbia violato l’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento di base, letto alla luce del paragrafo 2 di tale articolo, in quanto le informazioni ulteriori richieste dalla Jindal Saw non costituivano nuovi principali fatti e considerazioni.

75      Infatti, già dal regolamento provvisorio, adottato il 18 settembre 2015, risultava che, per il calcolo della redditività dell’industria dell’Unione, la Commissione aveva preso in considerazione non soltanto le SGAV degli organismi di produzione di tale industria, ma anche le spese degli organismi di vendita della stessa. A tale riguardo, il considerando 92 del regolamento provvisorio enunciava che «[l]a Commissione [aveva] stabilito la redditività dei produttori dell’Unione che hanno collaborato esprimendo l’utile netto, al lordo delle imposte, derivante dalle vendite del prodotto simile ad acquirenti indipendenti nell’Unione, in percentuale sul fatturato delle stesse vendite» e che «[l]a maggior parte delle vendite del prodotto [simile] nell’UE [erano] state effettuate attraverso [gli organismi] di vendita dei produttori dell’Unione che hanno collaborato, e i loro costi e redditività sono stati presi in considerazione».

76      Il fatto che la Jindal Saw non avesse rilevato o compreso correttamente la portata di tali spiegazioni fornite nell’ambito del regolamento provvisorio e ripetute nelle informazioni finali, secondo cui i costi degli organismi di vendita dell’industria dell’Unione erano presi in considerazione per il calcolo della redditività di tale industria, non significa che i chiarimenti apportati a tale riguardo dalla Commissione alla riunione del 28 gennaio 2016 costituissero nuovi principali fatti e considerazioni. La Commissione non ha, pertanto, violato l’articolo 20, paragrafi 2 e 4, del regolamento di base a tale riguardo.

77      Dal fatto che l’informazione in questione, relativa alla presa in considerazione delle spese degli organismi di vendita dell’industria dell’Unione nell’ambito del calcolo della redditività di tale industria, fosse in possesso della Jindal Saw dal 19 settembre 2015, data della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del regolamento provvisorio, discende altresì che la Jindal Saw disponeva degli elementi necessari per far valere utilmente le proprie osservazioni riguardo a tale calcolo.

78      Si deve quindi respingere la prima censura in quanto infondata.

79      Per quanto attiene alla seconda censura, relativa alla violazione dell’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento di base, in quanto la Jindal Saw non ha disposto di un termine di dieci giorni, o quantomeno di un termine sufficiente, per presentare osservazioni relative alle modifiche apportate a taluni indicatori di pregiudizio, occorre rilevare che non risulta da tale disposizione che la Commissione sia obbligata a concedere un termine alle parti interessate per formulare osservazioni su qualsiasi modifica a cui ha proceduto a seguito delle loro osservazioni sulle informazioni finali. Un siffatto obbligo sarebbe esistito soltanto qualora la comunicazione scritta della Commissione del 28 gennaio 2016 avesse contenuto principali fatti e considerazioni, ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento di base, il che non si è verificato.

80      In ogni caso, occorre osservare che, nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale, le ricorrenti non hanno addotto alcun argomento in relazione alla correzione dell’errore materiale diverso da quelli che la Jindal Saw aveva già addotto nel suo primo messaggio di posta elettronica del 1o febbraio 2016.

81      Di conseguenza, nulla consente di ritenere che il procedimento antidumping avrebbe potuto portare a un risultato diverso se la Jindal Saw avesse avuto un termine più lungo per presentare le proprie osservazioni a tale riguardo.

82      Inoltre, può essere sottolineato che, anche dopo la consultazione dei documenti contenenti i dati potenzialmente influenzati dall’errore materiale, nell’ambito della misura di organizzazione del procedimento disposta dal Tribunale, le ricorrenti non hanno avanzato alcun argomento nuovo in relazione a tale errore, ammettendo che la correzione di detto errore non necessitava di ulteriori rettifiche oltre a quelle che erano state apportate dalla Commissione e comunicate alla Jindal Saw il 28 gennaio 2016.

83      Occorre, quindi, respingere le seconda censura in quanto infondata e, pertanto, respingere integralmente il quarto motivo.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 2, paragrafi 8 e 9, del regolamento di base e, di conseguenza, dell’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento

84      Il primo motivo si articola in due parti.

–       Sulla prima parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 2, paragrafi 8 e 9, del regolamento di base

85      La prima parte consta a sua volta di due censure.

86      Con la prima censura, le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato l’articolo 2, paragrafi 8 e 9, del regolamento di base non avendo utilizzato i prezzi effettivi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw per le vendite ai suoi organismi di vendita ed essendo invece ricorsa alla costruzione di un prezzo all’esportazione. A tale riguardo, esse fanno valere che, per la determinazione del margine di dumping, i prezzi effettivi all’esportazione possono essere esclusi non già semplicemente a causa dell’esistenza di un’associazione tra l’esportatore e l’importatore, bensì unicamente se emerge che tali prezzi non siano attendibili a motivo di tale associazione, circostanza che la Commissione non avrebbe dimostrato.

87      A sostegno di tale censura, le ricorrenti invocano, in primo luogo, il testo dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, la cui modifica in seguito all’istituzione, il 1o gennaio 1995, dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) dimostrerebbe un cambiamento nell’approccio imposto da tale disposizione. A loro avviso, sebbene i giudici dell’Unione non si siano ancora pronunciati sulla ripartizione dell’onere della prova nell’ambito dell’applicazione di detta disposizione, il punto 59 della sentenza del 26 novembre 2015, Giant (China)/Consiglio (T‑425/13, non pubblicata, EU:T:2015:896), avvalora la loro interpretazione di tale disposizione. Inoltre, esse fanno riferimento a un regolamento specifico che istituisce dazi antidumping, da cui risulterebbe che la stessa Commissione l’abbia interpretata in tal senso.

88      In secondo luogo, le ricorrenti invocano il testo dell’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base, relativo alla determinazione del valore normale del prodotto in esame nel paese esportatore, da cui risulterebbe che un’associazione tra le parti in una vendita è sufficiente a escludere i prezzi praticati tra tali due parti. La differenza nel testo di tali due paragrafi del medesimo articolo dimostrerebbe che il legislatore dell’Unione ha stabilito una distinzione sostanziale tra le due situazioni.

89      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale censura.

90      In limine, occorre osservare che l’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base prevede che, in linea di principio, il «prezzo all’esportazione è il prezzo realmente pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione dal paese esportatore al[l’Unione]». È soltanto «[q]uando non esiste un prezzo all’esportazione oppure quando il prezzo all’esportazione non è considerato attendibile a causa dell’esistenza di un rapporto d’associazione o di un accordo di compensazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo» che l’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base consente di costruire il prezzo all’esportazione in base al prezzo al quale i prodotti importati sono rivenduti per la prima volta a un acquirente indipendente.

91      Dall’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base risulta quindi che la Commissione può ritenere che il prezzo all’esportazione non sia attendibile in due casi, vale a dire in presenza di un’associazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo, oppure a causa di un accordo di compensazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo. Al di fuori di tali casi, la Commissione, quando esiste un prezzo all’esportazione, è tenuta a basarsi sul medesimo ai fini della determinazione dell’esistenza di un dumping (v., in tal senso, sentenze del 21 novembre 2002, Kundan e Tata/Consiglio, T‑88/98, EU:T:2002:280, punto 49, e del 25 ottobre 2011, CHEMK e KF/Consiglio, T‑190/08, EU:T:2011:618, punto 26).

92      Per quanto riguarda, in primo luogo, le successive modifiche del testo della disposizione corrispondente all’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base, occorre osservare che la parte di frase «quando il prezzo all’esportazione non è considerato attendibile a causa dell’esistenza di un rapporto d’associazione (…) tra l’esportatore e l’importatore», interessata dalla presente censura, si ritrova quasi identica nel testo della parte di frase corrispondente che figurava, in origine, nell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento (CEE) n. 459/68 del Consiglio, del 5 aprile 1968, relativo alla difesa contro le pratiche di dumping, premi o sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU 1968, L 93, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento antidumping del 1968»). La formulazione impiegata in quest’ultima disposizione era «(…) quando non è possibile fondarsi su tale prezzo a seguito dell’esistenza di un’associazione (…) tra l’esportatore e l’importatore». Tale formulazione riprendeva il testo dell’articolo 2, lettera e), dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), firmato a Ginevra il 30 giugno 1967, entrato in vigore il 1o luglio 1968.

93      Nelle sue conclusioni nella causa NTN Toyo Bearing e a./Consiglio (113/77, EU:C:1979:39, racc. pag. 1212[1253]), l’avvocato generale Warner, dopo aver rilevato tale analogia, ha osservato che l’articolo 2, lettera e), dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI del GATT era interpretativo dell’articolo VI del GATT e che i termini dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento antidumping del 1968 non si prestavano a un’interpretazione nel senso che lo scostamento dai prezzi effettivi sarebbe stato autorizzato soltanto a condizione che fosse stata accertata la sussistenza di motivi specifici per ritenere che, a seguito di un’associazione tra l’esportatore e l’importatore, tali prezzi non fossero attendibili. Tale avvocato generale ne ha tratto la conclusione che l’esistenza di un’associazione tra l’esportatore e l’importatore era sufficiente a ritenere inattendibili i prezzi all’esportazione.

94      L’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento antidumping del 1968 è stato sostituito dall’articolo 2, paragrafo 8, lettera b), del regolamento (CEE) n. 3017/79 del Consiglio, del 20 dicembre 1979, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU 1979, L 339, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento antidumping del 1979»), e tale ultima disposizione era formulata come segue:

«Quando non esiste prezzo all’esportazione oppure quando esiste un’associazione (…) tra l’esportatore e l’importatore o un terzo, o quando, per altri motivi, il prezzo realmente pagato o da pagare per il prodotto venduto all’esportazione verso [l’Unione] non può servire come riferimento (…)».

95      Tuttavia, non si può ritenere che tale modifica nel testo abbia avuto lo scopo di modificare la norma concernente l’onere della prova relativa all’attendibilità o alla mancanza di attendibilità dei prezzi in caso di associazione tra l’esportatore e l’importatore. Per contro, essa ha avuto l’effetto di ampliare lo spettro delle situazioni in cui il prezzo realmente pagato per il prodotto venduto all’esportazione non poteva servire come riferimento (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 1990, Gestetner Holdings/Consiglio e Commissione, C‑156/87, EU:C:1990:116, punto 30). Ciò risulta dall’aggiunta delle parole «per altri motivi», termini che non figuravano nel testo del nuovo accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI del GATT. La modifica apportata alla struttura della frase, rispetto a quella dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento antidumping del 1968, è stata necessaria per integrare tale aggiunta. Pertanto, la sostanza della norma per quanto riguarda l’attendibilità del prezzo all’esportazione praticato tra parti collegate è rimasta invariata.

96      Il testo dell’articolo 2, paragrafo 8, lettera b), del regolamento antidumping del 1979 è stato mantenuto nelle disposizioni corrispondenti delle normative che sono succedute a quest’ultimo fin quando tale testo è stato, a sua volta, sostituito da quello dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento (CE) n. 3283/94 del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1994, L 349, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento antidumping del 1994»), il quale riguarda l’ipotesi di un’associazione tramite i termini «quando il prezzo all’esportazione non è considerato attendibile a causa dell’esistenza di un rapporto d’associazione (…) tra l’esportatore e l’importatore o un terzo». Tale formulazione è comparabile al testo originario, come figurava nell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento antidumping del 1968, e al testo dell’articolo 2.3 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping OMC 1994»).

97      Dai considerando terzo e quinto del regolamento antidumping del 1994 risulta che la modifica delle norme comunitarie derivava dall’accordo antidumping OMC 1994, del quale occorreva garantire un’applicazione adeguata e trasparente trasponendone, per quanto possibile, i termini nel diritto comunitario.

98      È quindi evidente che il legislatore comunitario mirava ad allineare il più possibile il testo del regolamento antidumping del 1994 a quello dell’accordo antidumping OMC 1994. Alla luce, in particolare, dell’assenza di osservazioni riguardo alle modifiche apportate al testo della disposizione in questione tanto nei considerando e nei lavori preparatori del regolamento antidumping del 1979, in cui tale testo è stato modificato per la prima volta, quanto in quelli del regolamento antidumping del 1994, in cui tale testo è stato di nuovo alineato alla formulazione utilizzata nell’accordo antidumping OMC 1994, occorre ritenere che dette modifiche non abbiano avuto lo scopo di apportare una modifica per quanto riguarda l’onere della prova nell’ambito dell’applicazione della disposizione corrispondente all’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base.

99      Tale analisi non è inficiata dagli altri argomenti delle ricorrenti.

100    Innanzitutto, nei limiti in cui le ricorrenti si riferiscono al punto 59 della sentenza del 26 novembre 2015, Giant (China)/Consiglio (T‑425/13, non pubblicata, EU:T:2015:896), occorre rilevare che tale punto non può essere preso in considerazione al di fuori del suo contesto. Orbene, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, il Tribunale si è pronunciato non già sull’onere della prova riguardante l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, bensì soltanto su una questione specifica diversa.

101    Inoltre, per quanto riguarda il riferimento fatto dalle ricorrenti al regolamento (CE) n. 930/2003 del Consiglio, del 26 maggio 2003, che chiude i procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di salmone d’allevamento dell’Atlantico originario della Norvegia nonché il procedimento antidumping relativo alle importazioni di salmone dell’Atlantico d’allevamento originario del Cile e delle Isole Færøer (GU 2003, L 133 pag. 1), le stesse invocano un’enunciazione, figurante nel considerando 84 di tale regolamento, che è parimenti avulsa dal suo contesto specifico, quale risulta dai considerando da 82 a 84 di detto regolamento.

102    In secondo luogo, per quanto riguarda l’argomento tratto dalle ricorrenti dalla differenza di formulazione esistente tra l’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base e il paragrafo 1, terzo comma, del medesimo articolo, occorre rilevare che, contrariamente alla prima di tali due disposizioni, la seconda non trova la sua origine nell’accordo antidumping OMC 1994, di modo che nessun argomento a contrario può essere utilmente tratto dalla differenza nel testo tra dette disposizioni. Infatti, poiché il legislatore dell’Unione non è obbligato a rispettare la formulazione di un testo adottato nell’ambito dell’OMC, esso ha potuto esprimere, all’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base, la stessa idea espressa al paragrafo 9 di tale articolo, ma in maniera più esplicita.

103    Occorre quindi respingere la prima censura in quanto infondata.

104    Con la seconda censura, presentata in subordine, le ricorrenti fanno valere che, in ogni caso, nel corso del procedimento amministrativo, la Jindal Saw ha dimostrato che i prezzi all’esportazione che essa aveva praticato nei confronti dei suoi organismi di vendita erano attendibili, in primo luogo, con riferimento ai prezzi praticati nei confronti degli importatori indipendenti nell’Unione, in secondo luogo con riferimento ai prezzi praticati nei confronti degli importatori indipendenti in paesi terzi e, in terzo luogo, in considerazione dell’accettazione, da parte delle autorità doganali, di detti prezzi all’esportazione.

105    In primo luogo, per quanto riguarda i prezzi all’esportazione forniti dalla Jindal Saw riguardanti le vendite dirette ad acquirenti indipendenti nell’Unione, le ricorrenti sostengono che la Commissione non poteva, da un lato, rifiutare di ricorrere a tali prezzi effettivi per la valutazione dell’attendibilità dei prezzi all’esportazione fatturati agli organismi di vendita della Jindal Saw, per il motivo che le quantità vendute direttamente ad acquirenti indipendenti erano troppo esigue, e, dall’altro, utilizzare detti prezzi effettivi nell’ambito della costruzione del prezzo all’esportazione.

106    In secondo luogo, per quanto riguarda i prezzi praticati nell’ambito delle vendite ad acquirenti indipendenti in paesi terzi, le ricorrenti fanno valere che la Commissione non poteva escluderli per la valutazione dell’attendibilità dei prezzi all’esportazione praticati nei confronti degli organismi di vendita della Jindal Saw per il motivo che dette vendite non riflettevano sufficientemente la posizione economica e il comportamento della Jindal Saw nel mercato dell’Unione. Infatti, a loro avviso, poiché lo stesso regolamento di base prevede, al suo articolo 2, paragrafo 3, il ricorso ai prezzi all’esportazione verso paesi terzi per la costruzione del valore normale, tali prezzi devono altresì essere ritenuti sufficientemente attendibili per effettuare un confronto che consenta di determinare se i prezzi fatturati a importatori collegati nell’Unione siano di per sé attendibili. L’argomento addotto a tale riguardo dalla Commissione nel regolamento provvisorio, secondo cui la Jindal Saw «ha venduto prodotti all’Unione in grandi quantità attraverso operatori commerciali collegati durante lo stesso periodo», non sarebbe pertinente. Peraltro, le istituzioni avrebbero già utilizzato i prezzi fatturati sui mercati di paesi terzi per verificare l’attendibilità dei prezzi all’esportazione verso l’Unione.

107    In terzo luogo, per quanto riguarda l’accettazione, da parte delle autorità doganali di taluni Stati membri, dei prezzi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nei confronti dei suoi organismi di vendita, la Commissione non potrebbe validamente affermare che tali autorità non abbiano svolto adeguatamente il loro compito per il solo motivo che l’aliquota dei dazi all’importazione era dello 0%, in particolare perché l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è calcolata sul valore in dogana, circostanza che avrebbe costituito un motivo sufficiente affinché dette autorità verificassero il prezzo all’esportazione.

108    Secondo le ricorrenti, anche ammettendo che, considerati isolatamente, tali elementi non siano sufficienti a dimostrare che i prezzi all’esportazione fatturati dalla Jindal Saw ai suoi organismi di vendita fossero attendibili, gli stessi, considerati nel loro complesso e in assenza di elementi in senso contrario, comprovano tale circostanza.

109    La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale censura.

110    In limine, occorre ricordare che, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che deve esaminare (v. sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che il controllo del giudice dell’Unione su tali valutazioni deve essere limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere (v. sentenza del 7 febbraio 2013, EuroChem MCC/Consiglio, T‑84/07, EU:T:2013:64, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). Così è, in particolare, per quanto riguarda la valutazione dell’attendibilità dei prezzi all’esportazione comunicati da un esportatore (v., in tal senso, sentenza del 21 novembre 2002, Kundan e Tata/Consiglio, T‑88/98, EU:T:2002:280, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

111    Inoltre, come deriva dall’esame della prima censura, dall’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base risulta che, in caso di associazione tra l’esportatore e l’importatore, esiste una presunzione secondo cui i prezzi praticati tra di loro non sono attendibili, di modo che la Commissione può, in linea di principio, costruire il prezzo all’esportazione. Tuttavia, come riconosciuto dalla Commissione, si tratta di una presunzione relativa, che le imprese coinvolte possono rovesciare presentando elementi che dimostrino che i loro prezzi sono attendibili.

112    Nella specie, le ricorrenti sostengono che, nell’ambito del procedimento amministrativo, esse hanno presentato prove atte a dimostrare che i prezzi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nei confronti dei suoi organismi di vendita erano attendibili.

113    Dal considerando 35 del regolamento provvisorio risulta che la Commissione ha ritenuto a priori che, per quanto riguarda le importazioni effettuate da importatori collegati, i prezzi all’esportazione dovessero essere costruiti conformemente all’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base. In seguito, la Commissione ha ritenuto, al considerando 45 di tale regolamento, che né le vendite della Jindal Saw a parti indipendenti nell’Unione né le sue vendite in paesi terzi potessero essere utilizzate per verificare l’attendibilità dei prezzi effettivi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nei confronti dei suoi organismi di vendita.

114    Gli argomenti presentati dalle ricorrenti a sostegno della loro allegazione secondo cui esse hanno dimostrato l’attendibilità dei prezzi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nei confronti dei suoi organismi di vendita non possono essere accolti.

115    In primo luogo, il fatto che la Commissione abbia constatato, al considerando 45 del regolamento provvisorio, che le vendite della Jindal Saw ad acquirenti indipendenti nell’Unione, che rappresentavano l’1% del totale delle vendite della Jindal Saw nell’Unione, non erano sufficienti, in termini di volume e in termini di valore, per essere rappresentative e servire da riferimento per valutare l’attendibilità dei prezzi all’esportazione praticati nell’ambito delle vendite ai suoi organismi di vendita è indipendente dalla questione se i prezzi di tali vendite ad acquirenti indipendenti nell’Unione costituissero, considerati isolatamente, prezzi attendibili per le singole operazioni di cui si trattava. Infatti, la Commissione ha fatto valere non già che i prezzi praticati dalla Jindal Saw nei confronti degli acquirenti indipendenti nell’Unione non erano attendibili di per sé, bensì, tramite una valutazione priva di errori manifesti, che tali vendite non erano sufficienti, in termini di volume e in termini di valore, per essere rappresentative e, quindi, per servire da riferimento per valutare l’attendibilità dei prezzi praticati per il restante 99% delle esportazioni della Jindal Saw verso l’Unione, che corrispondevano a vendite tra parti collegate.

116    In secondo luogo, per quanto riguarda il rifiuto della Commissione di utilizzare i prezzi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nell’ambito delle sue vendite in paesi terzi come riferimento per verificare l’attendibilità dei prezzi all’esportazione ai suoi organismi di vendita, occorre considerare che la Commissione ha potuto constatare, parimenti senza incorrere in errori manifesti di valutazione, che i mercati di paesi terzi nei quali la Jindal Saw vendeva i suoi prodotti erano mercati assai diversi da quello dell’Unione e ha potuto ritenere, in sostanza, che non fosse dimostrato che la strategia in materia di prezzi in tali mercati fosse identica a quella adottata nel mercato dell’Unione.

117    A tale riguardo, l’argomento delle ricorrenti secondo cui lo stesso regolamento di base prevede il ricorso ai prezzi all’esportazione verso paesi terzi per la costruzione del valore normale del prodotto in esame non è pertinente. Infatti, occorre ricordare, innanzitutto, che il calcolo del valore normale e il calcolo del prezzo all’esportazione sono operazioni distinte, che riposano su metodi di calcolo differenti, previsti rispettivamente all’articolo 2, paragrafi da 3 a 7, del regolamento di base e all’articolo 2, paragrafi 8 e 9, del regolamento di base (v., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 1988, Canon e a./Consiglio, 277/85 e 300/85, EU:C:1988:467, punto 37). Pertanto, non si può ragionare sulla base di un parallelismo tra i metodi di determinazione del prezzo all’esportazione e del valore normale.

118    Al pari della Commissione, occorre poi ricordare che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, l’utilizzo dei prezzi all’esportazione per il calcolo del valore normale è consentito «purché tali prezzi siano rappresentativi». Orbene, le ricorrenti non hanno provato né durante il procedimento amministrativo né dinanzi al Tribunale che i prezzi all’esportazione verso paesi terzi praticati dalla Jindal Saw fossero rappresentativi.

119    Infine, una volta stabilito che il valore normale deve effettivamente essere costruito, la Commissione vi procede ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base. Così, come sostenuto dalla Commissione, il ricorso al prezzo all’esportazione in mercati di paesi terzi è previsto dopo che sia stato deciso di costruire il valore normale, e non per decidere se si debba o meno costruire lo stesso. Pertanto, anche ammettendo che i procedimenti per la determinazione del valore normale e per la determinazione del prezzo all’esportazione siano comparabili, quod non, non potrebbe essere stabilito un parallelo tra la possibilità di ricorrere ai prezzi all’esportazione verso paesi terzi per costruire il valore normale, prevista in una fase successiva del procedimento, e la questione se un prezzo all’esportazione debba o meno essere costruito conformemente all’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base.

120    Peraltro, indipendentemente dal fatto che le ricorrenti non possano fare legittimamente affidamento sulla conservazione del mezzo scelto inizialmente da un’instituzione qualora questa disponga di un margine di discrezionalità nella scelta dei mezzi necessari per la realizzazione della sua politica (v. sentenza del 20 maggio 2015, Yuanping Changyuan Chemicals/Consiglio, T‑310/12, non pubblicata, EU:T:2015:295, punto 120 e giurisprudenza ivi citata), l’esempio che esse forniscono a sostegno di tale argomento, secondo cui le istituzioni hanno già utilizzato prezzi all’esportazione verso paesi terzi per verificare l’attendibilità dei prezzi all’esportazione verso l’Unione, non è pertinente. Infatti, il regolamento di esecuzione (UE) n. 905/2011 del Consiglio, del 1o settembre 2011, che chiude il riesame intermedio parziale delle misure antidumping applicate alle importazioni di alcuni tipi di polietilentereftalato (PET) originario dell’India (GU 2011, L 232, pag. 14), invocato dalle ricorrenti, riguardava una situazione in cui i prezzi all’esportazione verso l’Unione non erano utilizzabili o perché non vi era stata alcuna esportazione verso l’Unione per alcuni mesi, o perché esisteva un impegno sui prezzi ai sensi del quale l’impresa di cui trattasi era vincolata a vendere i suoi prodotti nel mercato dell’Unione a un prezzo superiore a un prezzo minimo all’importazione fissato ogni mese in forza di un impegno previo.

121    In terzo e ultimo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione avrebbe dovuto accettare i prezzi effettivi all’esportazione fatturati dalla Jindal Saw ai propri organismi di vendita, perché tali prezzi erano stati accettati dalle autorità doganali e fiscali di taluni Stati membri, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza, la nozione di «valore in dogana» ai sensi, attualmente, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), e la nozione di «prezzi all’esportazione» ai sensi, nell’ambito della presente causa, del regolamento di base non possono essere assimilati (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 1995, Descom Scales/Consiglio, T‑171/94, EU:T:1995:164, punto 39).

122    L’argomento complementare delle ricorrenti relativo all’utilizzo del valore in dogana come base di calcolo dell’IVA deve parimenti essere respinto per gli stessi motivi.

123    Per quanto riguarda l’affermazione delle ricorrenti secondo cui, anche se, considerati isolatamente, gli elementi esaminati ai precedenti punti da 115 a 122 non sono sufficienti a dimostrare che i prezzi all’esportazione praticati dalla Jindal Saw nei confronti dei propri organismi di vendita erano attendibili, considerati nel loro complesso, gli stessi elementi devono essere ritenuti sufficienti a dimostrare tale attendibilità, occorre rilevare che i medesimi elementi hanno soltanto valore indiziario. Orbene, in considerazione dell’ampio potere discrezionale di cui dispone la Commissione per operare le valutazioni a essa incombenti per quanto riguarda l’attendibilità o meno dei prezzi all’esportazione praticati tra un esportatore e un importatore associati, non si può ritenere che costituisca un errore manifesto il fatto che la Commissione abbia ritenuto che tali indizi, nei limiti in cui potevano essere accolti tenuto conto delle obiezioni che essa aveva sollevato, non fossero sufficienti a dimostrare l’attendibilità dei prezzi fatturati dalla Jindal Saw ai propri organismi di vendita.

124    Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere la prima parte del primo motivo in quanto infondata.

–       Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base e, di conseguenza, dell’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento

125    La seconda parte del primo motivo è suddivisa parimenti in due censure.

126    Con la loro prima censura, le ricorrenti, fondandosi in particolare sui punti 6.99 e 6.100 della relazione del gruppo di esperti dell’organo di conciliazione dell’OMC adottata il 1o febbraio 2001 nella controversia intitolata «Stati Uniti – Misure antidumping riguardanti piastre in acciaio inossidabile in rotoli e lamiere e nastri in acciaio inossidabile originari della Corea» [WT/DS179/R, in prosieguo, rispettivamente: la «controversia Stati Uniti – Acciaio inossidabile (Corea)» e la «relazione del gruppo di esperti nella controversia Stati Uniti – Acciaio inossidabile (Corea)»], sostengono che la costruzione dei prezzi all’esportazione è volta a stabilire i prezzi che sarebbero stati pagati dall’importatore collegato se le vendite fossero state effettuate a condizioni commerciali normali. Orbene, il prezzo all’esportazione costruito dalla Commissione non sarebbe «attendibile», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, secondo comma, del regolamento di base.

127    La mancanza di attendibilità dei prezzi all’esportazione costruiti dalla Commissione sarebbe evidenziata dal fatto che tali prezzi, in media, rappresenterebbero soltanto una frazione, talvolta addirittura inferiore alla metà, dei prezzi effettivi fatturati dagli organismi di vendita della Jindal Saw ad acquirenti indipendenti nell’Unione e una frazione analoga dei prezzi fatturati dalla Jindal Saw ad acquirenti indipendenti su mercati di paesi terzi, circostanza che non sarebbe stata contestata dalla Commissione. In alcuni casi, i prezzi all’esportazione costruiti sarebbero persino nulli o negativi.

128    Inoltre, le ricorrenti hanno affermato nelle loro osservazioni sulle risposte alle misure di organizzazione del procedimento, come precisate in udienza, che l’inattendibilità dei prezzi all’esportazione costruiti nella specie è altresì dimostrata dal fatto che la Commissione non ha incluso nel calcolo di tali prezzi una quota delle vendite della Jindal Saw ad acquirenti indipendenti nell’Unione. Tuttavia, occorre constatare che, in udienza, le ricorrenti hanno rinunciato alla contestazione che avevano formulato su tale punto.

129    La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale censura.

130    In limine, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 9, secondo comma, del regolamento di base, quando il prezzo all’esportazione è costruito in base al prezzo al primo acquirente indipendente o su qualsiasi altra base equa, «per stabilire [un] prezzo all’esportazione attendibile al livello frontiera [dell’Unione] sono applicati adeguamenti per tener conto di tutti i costi (…) sostenuti tra l’importazione e la rivendita e dei profitti». L’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base prevede che i costi per i quali sono applicati gli adeguamenti comprendono, in particolare, «un margine adeguato per le [SGAV] e i profitti».

131    Peraltro, l’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base non prevede alcun metodo di calcolo o di determinazione del margine per le SGAV e per i profitti, ma si limita a rinviare all’adeguatezza di tale margine. Neppure l’accordo antidumping OMC 1994 prescrive alcun metodo a tale riguardo, come risulta dal punto 6.91 della relazione del gruppo di esperti nella controversia Stati Uniti – Acciaio inossidabile (Corea).

132    Inoltre, la determinazione di margini adeguati per le SGAV e per i profitti non fa eccezione all’applicazione della giurisprudenza citata al precedente punto 110, secondo la quale la Commissione dispone, nell’ambito delle misure di difesa commerciale, di un ampio potere discrezionale, di modo che il giudice dell’Unione è chiamato a svolgere soltanto un sindacato limitato. Infatti, tale determinazione comporta necessariamente valutazioni economiche complesse (v. sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).

133    Infine, occorre rilevare che, in caso di associazione tra l’esportatore e l’importatore, spetta alla parte interessata che intenda contestare la portata degli adeguamenti effettuati sul fondamento dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, in quanto i margini determinati a titolo delle SGAV e dei profitti sarebbero eccessivi, fornire elementi di prova e calcoli effettivi che giustifichino le sue affermazioni e, in particolare, il tasso alternativo da essa eventualmente proposto (v. sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

134    Per quanto riguarda, più nello specifico, la prima censura, occorre rilevare subito che, contrariamente a quanto afferma la Commissione, quando il prezzo all’esportazione è costruito, lo scopo è di stabilire un prezzo all’esportazione attendibile al livello frontiera dell’Unione, come precisato all’articolo 2, paragrafo 9, secondo comma, del regolamento di base. Ciò risulta altresì dalla giurisprudenza degli organi di conciliazione dell’OMC, in special modo dal punto 6.99 della relazione del gruppo di esperti nella controversia Stati Uniti – Acciaio inossidabile (Corea).

135    Con riferimento, in primo luogo, all’argomento delle ricorrenti secondo cui la mancanza di attendibilità dei prezzi all’esportazione costruiti dalla Commissione sarebbe dimostrata dal fatto che essi rappresentano soltanto una frazione dei prezzi praticati dagli organismi di vendita della Jindal Saw ad acquirenti indipendenti, dal testo dell’articolo 2, paragrafo 9, primo comma, del regolamento di base risulta che il prezzo pagato dal primo acquirente indipendente è un punto di partenza per la costruzione di un prezzo all’esportazione. Pertanto, il prezzo all’esportazione costruito corrisponderà necessariamente a una percentuale del prezzo fatturato al primo acquirente indipendente, tenuto conto dei diversi adeguamenti che tale disposizione impone di operare.

136    Con riferimento, in secondo luogo, alle vendite della Jindal Saw ad acquirenti indipendenti nell’Unione, come indicato ai considerando 33 e 39 del regolamento provvisorio, tali vendite costituivano circa l’1% del totale delle vendite della Jindal Saw nell’Unione. Orbene, come risulta dal precedente punto 115, nell’ambito del suo ampio potere discrezionale, la Commissione poteva ritenere, senza incorrere in errori manifesti, che un volume di vendite così esiguo non potesse essere considerato rappresentativo e, quindi, che i prezzi praticati dalla Jindal Saw nei confronti degli acquirenti indipendenti nell’Unione non potessero servire da riferimento di per sé per valutare l’attendibilità dei prezzi all’esportazione praticati per vendite tra parti collegate. Per lo stesso motivo, non si può contestare alla Commissione di non aver valutato l’attendibilità dei prezzi all’esportazione costruiti prendendo tali vendite come punto di riferimento.

137    Pertanto, poiché i due elementi presentati dalle ricorrenti nell’ambito della prima censura non sono idonei a stabilire di per sé stessi che i prezzi all’esportazione costruiti dalla Commissione non sono attendibili ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, occorre respingere tale censura in quanto infondata.

138    Con la seconda censura, le ricorrenti contestano l’«adeguatezza», ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base, del margine di SGAV e del margine di profitto presi in considerazione dalla Commissione per gli adeguamenti operati nell’ambito della costruzione dei prezzi all’esportazione sulla base dei prezzi di vendita ai primi acquirenti indipendenti.

139    In primo luogo, per quanto riguarda la determinazione delle SGAV da prendere in considerazione nell’ambito della costruzione dei prezzi all’esportazione, poiché la Commissione ha basato i suoi calcoli sulle spese effettive degli organismi di vendita della Jindal Saw, le ricorrenti le contestano, innanzitutto, di non aver sufficientemente preso in considerazione, al fine di escluderle dagli adeguamenti da operare per le SGAV, le spese legate alle attività di trasformazione esercitate da due di tali organismi di vendita, ossia dalla Jindal Saw Italia e dalla Jindal Saw UK, cosa che essa avrebbe potuto fare utilizzando per tali due organismi il margine di SGAV preso in considerazione per il terzo organismo di vendita, la Jindal Saw España, che non esercitava alcuna attività di trasformazione o, perlomeno, applicando per la Jindal Saw UK lo stesso margine di SGAV che per Jindal Saw Italia.

140    Inoltre, le ricorrenti contestano alla Commissione di non aver adeguato le SGAV effettive degli organismi di vendita della Jindal Saw in maniera da prendere in considerazione l’effetto, su tali spese, del fatto che le vendite nell’Unione di detti organismi non avevano ancora raggiunto un livello normale.

141    Infine, le ricorrenti sostengono che il fatto che la Commissione abbia utilizzato dati reali relativi alle SGAV degli organismi di vendita della Jindal Saw per la costruzione dei prezzi all’esportazione non significa che tali dati corrispondano, per definizione, alla nozione di margine di SGAV adeguato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base.

142    A tale riguardo, le ricorrenti fanno valere, innanzitutto, che l’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base impone alla Commissione non già di utilizzare un metodo adeguato per calcolare le SGAV, bensì di utilizzare SGAV adeguate. Inoltre, le ricorrenti rilevano che tale disposizione non menziona che si debbano utilizzare dati reali per le SGAV, contrariamente a quanto precisa il legislatore dell’Unione, ad esempio, all’articolo 2, paragrafo 6, del regolamento di base. Esisterebbe quindi una differenza tra l’obbligo di utilizzare dati reali per le SGAV e quello di utilizzare un margine adeguato per le stesse. Infine, anche nell’ipotesi in cui le spese effettive dovessero essere ritenute adeguate, non si tratterebbe di una presunzione assoluta. Orbene, la Commissione non avrebbe spiegato perché gli elementi menzionati dalle ricorrenti e il livello molto elevato delle SGAV degli organismi di vendita della Jindal Saw, in quanto tali, non rendessero inadeguato il margine di SGAV preso in considerazione nella specie.

143    In secondo luogo, per quanto riguarda il margine di profitto teorico preso in considerazione dalla Commissione nell’ambito della costruzione del prezzo all’esportazione, le ricorrenti contestano alla Commissione di aver utilizzato un margine di profitto irrazionale per un importatore cui è applicato, allo stesso tempo, un margine molto elevato di SGAV. A loro avviso, se la Commissione decide di applicare un margine di profitto teorico, essa deve altresì utilizzare un margine di SGAV teorico adeguato che consenta di raggiungere tale livello di profitto, in quanto l’adeguatezza del margine di SGAV e quella del margine di profitto si valuterebbero anche esaminando tali margini l’uno rispetto all’altro.

144    In terzo e ultimo luogo, per quanto riguarda la determinazione del margine di SGAV da prendere in considerazione nell’ambito della costruzione dei prezzi all’esportazione, le ricorrenti fanno valere che la Commissione ha stabilito erroneamente tale margine per gli organismi di vendita della Jindal Saw sotto forma di una percentuale che esprime il rapporto tra le loro SGAV effettive e il loro fatturato reale, il quale corrispondeva a perdite. Infatti, a loro avviso, la Commissione avrebbe dovuto stabilire tale margine tenendo conto del fatturato reale aumentato del margine di profitto teorico che essa ha peraltro preso in considerazione.

145    In conclusione, le ricorrenti sostengono che, alla luce delle irregolarità che hanno influenzato la determinazione dei prezzi all’esportazione costruiti, il margine di dumping preso in considerazione dalla Commissione è stato sopravvalutato, di modo che il dazio antidumping imposto, stabilito sulla base di tale margine, eccederebbe il margine di dumping come avrebbe dovuto essere determinato, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base.

146    La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale censura.

147    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione non avrebbe utilizzato un margine di SGAV adeguato per stabilire i prezzi all’esportazione in quanto essa ha utilizzato le spese effettive degli organismi della Jindal Saw per stabilire tale margine, occorre osservare che, innanzitutto, la Commissione dispone a tale riguardo di un ampio margine di discrezionalità e che la presa in considerazione delle spese effettive dell’importatore i cui prezzi fatturati ai primi acquirenti indipendenti servono alla determinazione dei prezzi all’esportazione costruiti non può essere considerata come un’errore manifesto di valutazione, poiché tali spese effettive costituiscono a priori i dati più attendibili per stabilire gli adeguamenti previsti a tale riguardo all’articolo 2, paragrafo 9, secondo comma, del regolamento di base. Il fatto che tale disposizione non preveda espressamente la possibilità di stabilire il margine di SGAV sulla base di dati reali non può significare che l’utilizzo delle spese effettive sia inadeguato.

148    Per quanto riguarda, poi, la presa in considerazione dei costi legati alle attività di trasformazione della Jindal Saw Italia e della Jindal Saw UK per la determinazione delle SGAV effettive di tali due organismi, occorre rilevare che la Commissione ha esposto in sostanza, ai considerando da 45 a 47 del regolamento impugnato, da un lato, che un’estrapolazione sulla base delle SGAV della Jindal Saw España, che non aveva alcuna attività di trasformazione, non era compatibile con il metodo che essa aveva accolto e che riteneva adeguato, consistente nel determinare le SGAV sulla base delle spese effettivamente sostenute da ciascuno degli organismi di vendita della Jindal Saw, e, dall’altro, che essa non aveva potuto procedere a un adeguamento delle SGAV della Jindal Saw UK poiché nessuna informazione riguardo alla ripartizione di tali spese le era stata comunicata dopo l’adozione del regolamento provvisorio.

149    Poiché, come risulta dal precedente punto 147, la scelta della Commissione di fondarsi sulle spese effettive degli organismi di vendita della Jindal Saw non è opinabile di per sé, non può essere ad essa validamente contestato di aver rifiutato di procedere a un’estrapolazione sia delle SGAV della Jindal Saw España per tener conto delle spese legate alle attività di trasformazione degli altri due organismi di vendita della Jindal Saw, sia delle SGAV della Jindal Saw Italia per tener conto delle spese legate alle attività di trasformazione della Jindal Saw UK.

150    Del resto, come risulta dalla giurisprudenza citata al precedente punto 133, spetta alle parti interessate, nei limiti in cui esse intendono contestare una parte degli adeguamenti annunciati, presentare elementi numerici a sostegno della loro contestazione, come calcoli concreti che la giustifichino.

151    Nella specie, dal considerando 47 del regolamento impugnato risulta che siffatti elementi sono stati comunicati alla Commissione per quanto riguarda le attività di trasformazione della Jindal Saw Italia e che la Commissione ha proceduto a un adeguamento delle SGAV di tale organismo di vendita sulla base di detti elementi, senza che siano state indicate, dinanzi al Tribunale, voci di costi precise che non siano state prese in considerazione in occasione di tale adeguamento. Per contro, detti dati non sono stati comunicati per quanto riguarda la Jindal Saw UK, senza che le ricorrenti forniscano spiegazioni precise a tale riguardo.

152    Infine, ammettendo che la richiesta di tener conto dei costi legati alle attività di trasformazione della Jindal Saw Italia e della Jindal Saw UK estrapolando il margine di SGAV della Jindal Saw España possa essere considerata come una contestazione numerica, è stato rilevato ai precedenti punti 148 e 149 che tale richiesta era stata validamente respinta dalla Commissione.

153    Per quanto riguarda, infine, l’argomento delle ricorrenti secondo cui la Commissione non avrebbe sufficientemente preso in considerazione l’effetto sulle SGAV effettive degli organismi di vendita della Jindal Saw del fatto che le vendite nell’Unione di tali organismi non avrebbero ancora raggiunto un livello considerato come normale, occorre notare che tale argomento non può essere accolto, in quanto neanch’esso è stato avvalorato da elementi numerici riguardanti gli adeguamenti del margine di SGAV che le ricorrenti ritenevano necessari per tale motivo.

154    Certamente, non si può escludere che un’impresa dimostri di essere in una fase di avviamento in un nuovo mercato e che, per tale motivo, le sue vendite non hanno ancora raggiunto il livello cui essa può ambire su detto mercato e presenti elementi numerici riguardo all’effetto di tale situazione. In una siffatta ipotesi, l’esigenza di prendere in considerazione un margine di SGAV adeguato impone, in linea di principio, alla Commissione di valutare tali prove e di apportare, in funzione delle stesse, gli adeguamenti necessari. Tuttavia, occorre osservare che le ricorrenti non hanno affatto presentato siffatte prove nella specie.

155    In secondo luogo, per quanto riguarda l’utilizzo da parte della Commissione di un margine di profitto teorico del 3,7%, quest’ultima ha esposto in sostanza, al considerando 50 del regolamento impugnato, che, a causa della situazione di perdita in cui si trovavano gli organismi di vendita della Jindal Saw, era impossibile riferirsi a dati reali per stabilire il margine di profitto di tali organismi, di modo che, in mancanza di qualsiasi altro elemento di riferimento equo, era stato preso in considerazione un profitto medio.

156    A tale riguardo, occorre rilevare che, sebbene l’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base preveda che debba essere operato un adeguamento per il margine di profitto, tale disposizione non prevede alcun metodo di determinazione di detto margine, il quale deve tuttavia essere adeguato.

157    Secondo la giurisprudenza, allorché sussiste un’associazione tra produttore ed importatore nell’Unione, il calcolo di tale margine adeguato di profitto può fondarsi non già sui dati forniti dall’importatore affiliato, che possono venire influenzati da questa associazione, ma su quelli provenienti da un importatore indipendente (v. sentenza del 25 ottobre 2011, CHEMK e KF/Consiglio, T‑190/08, EU:T:2011:618, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

158    Nella specie, gli organismi di vendita della Jindal Saw erano in perdita e la Commissione sostiene che non le è stato pertanto possibile utilizzare il margine di profitto effettivo di tali organismi.

159    Quanto alla critica fondamentale sviluppata implicitamente dalle ricorrenti, secondo cui, in presenza di un livello di costi che comporti una perdita, nessun margine di profitto può essere considerato adeguato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, terzo comma, del regolamento di base, occorre anzitutto rilevare, al pari della Commissione, che il secondo comma di detto paragrafo 9 non prevede un adeguamento per un margine «di perdita», ma soltanto per un margine di profitto. Pertanto, in linea di principio, non è possibile effettuare adeguamenti per tener conto di perdite se un’impresa, come avviene nella specie, è in perdita. Peraltro, come sottolineato al punto 6.99 della relazione del gruppo di esperti nella controversia Stati Uniti – Acciaio inossidabile (Corea), ci si può, in linea di principio, aspettare che un importatore collegato stabilisca un prezzo fondato sulle spese più i profitti. Inoltre, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al precedente punto 157, i dati di un importatore affiliato riguardanti la propria situazione, di profitto o di perdita, possono venire influenzati dal fatto stesso che esso sia associato a un esportatore.

160    Tuttavia, tale questione presenta un nesso con la situazione particolare di imprese in fase di avviamento, poiché una siffatta fase può corrispondere a un periodo in perdita. Tuttavia, com’è stato esposto al precedente punto 154, la presa in considerazione di una siffatta situazione negli adeguamenti da operare nell’ambito della costruzione dei prezzi all’esportazione dovrebbe avvenire a livello delle SGAV e sulla base di prove nonché di elementi numerici che mancano nella specie.

161    Pertanto, le ricorrenti non hanno dimostrato che la Commissione sia incorsa in un errore manifesto nel procedere, nella specie, ad adeguamenti per tener conto di un margine di profitto nell’ambito della costruzione dei prezzi all’esportazione.

162    In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento delle ricorrenti secondo cui, poiché la Commissione intendeva stabilire, allo stesso tempo, il margine di SGAV sulla base delle spese effettive degli organismi di vendita della Jindal Saw e prendere in considerazione un margine di profitto teorico sebbene tali organismi fossero in perdita, essa avrebbe dovuto stabilire il margine di SGAV sulla base della percentuale che esprime il rapporto tra le SGAV effettive e un fatturato teorico corrispondente al fatturato reale maggiorato di detto margine di profitto teorico, è sufficiente rilevare che tale pretesa presenta, anch’essa, un nesso con il livello elevato delle SGAV degli organismi di vendita della Jindal Saw a causa della fase di avviamento in cui esse si sarebbero trovate, che avrebbe corrisposto a una fase in perdita, e con la presa in considerazione da parte della Commissione di un margine di profitto teorico. Pertanto, com’è stato indicato al precedente punto 160, tale questione attiene ad adeguamenti che si sarebbero dovuti effettuare sulle SGAV e sulla base di prove nonché di elementi numerici che non sono stati tuttavia forniti nella specie.

163    Infine, per quanto riguarda l’asserzione delle ricorrenti secondo cui, ammettendo che ciascuno degli elementi che esse hanno presentato per provare la non adeguatezza dei margini di SGAV e di profitto presi in considerazione per la costruzione del prezzo all’esportazione non sia sufficiente, di per sé, a provare tale allegazione, detti elementi costituirebbero, considerati nel loro complesso, una serie di indizi che sarebbe, di per sé, atta a dimostrare la stessa allegazione, tale asserzione deve altresì essere respinta. Infatti, occorre constatare che detti elementi sono privi di fondamento, poiché, da un lato, per quanto riguarda il margine di SGAV, le pretese concernenti l’esclusione di spese di trasformazione ulteriori e la presa in considerazione del carattere eccezionalmente elevato delle SGAV dovuto alla fase di avviamento in cui si sarebbero trovati gli organismi di vendita della Jindal Saw non poggiano su prove e dati numerici, e, dall’altro, per quanto attiene al margine di profitto, la contestazione è, in ogni caso, fondata su dati provenienti dagli organismi di vendita della Jindal Saw riguardo alla situazione di profitto o di perdita degli stessi, che, conformemente alla giurisprudenza, devono essere considerati dubbi. Pertanto, nessuno di tali elementi può essere preso in considerazione a titolo di indizio della non adeguatezza dei margini di SGAV e di profitto che sono stati determinati, nella specie, dalla Commissione.

164    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre respingere anche la seconda censura della seconda parte del primo motivo in quanto infondata e, pertanto, tale parte e detto motivo nella loro interezza.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base e, di conseguenza, dell’articolo 3, paragrafo 6, e dell’articolo 9, paragrafo 4, del medesimo regolamento

165    Nell’ambito del secondo motivo, le ricorrenti fanno valere che la Commissione non ha fondato la determinazione dell’esistenza di un pregiudizio all’industria dell’Unione su elementi di prova positivi e su un esame obiettivo. Esse sostengono che, per l’analisi degli effetti delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi di un prodotto simile di tale industria, e più nello specifico per la determinazione della sottoquotazione del prezzo del prodotto in esame rispetto al prodotto simile dell’industria dell’Unione, la Commissione non ha effettuato il confronto dei prezzi né allo stesso stadio commerciale né a uno stadio commerciale adeguato, in violazione dell’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base.

166    Secondo le ricorrenti, le conclusioni tratte dal calcolo della sottoquotazione del prezzo del prodotto in esame sono state utilizzate dalla Commissione per la determinazione del pregiudizio all’industria dell’Unione e per la constatazione del nesso di causalità tra le importazioni di tale prodotto e detto pregiudizio nonché per il calcolo del margine di pregiudizio. Pertanto, gli errori commessi nel calcolo della sottoquotazione avrebbero un’incidenza su tali altri elementi del regolamento impugnato. In particolare, la determinazione del margine di pregiudizio a un livello eccessivo avrebbe come conseguenza che il dazio antidumping come fissato da tale regolamento ecceda il dazio sufficiente per eliminare il pregiudizio causato a detta industria, in violazione dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base.

167    La Commissione, sostenuta dall’interveniente, contesta la fondatezza di tale motivo. Essa fa valere che l’argomentazione delle ricorrenti manca di precisione. Inoltre, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la sottoquotazione sarebbe stata senz’altro calcolata sulla base di un confronto dei prezzi allo stesso stadio commerciale e a uno stadio adeguato.

168    La Commissione sottolinea che il regolamento di base non definisce il modo in cui la sottoquotazione debba essere calcolata e che neanche la giurisprudenza prescrive una particolare metodologia per il calcolo della stessa.

169    La Commissione ricorda peraltro che tutti i dati utilizzati per il calcolo della sottoquotazione dei prezzi sono stati forniti dalle parti interessate.

170    La Commissione sostiene inoltre che dal regolamento di base come interpretato dalla giurisprudenza non risulta che il calcolo della sottoquotazione debba essere fondato su prezzi effettivi in modo da tener conto della concorrenza effettiva nel mercato e del punto di vista del cliente, come sostenuto dalle ricorrenti.

171    Infine, la Commissione fa valere che, in ogni caso, la sottoquotazione del prezzo delle importazioni di cui trattasi è soltanto un indicatore dell’esistenza di un pregiudizio notevole all’industria dell’Unione, che le constatazioni relative alla sottoquotazione per quanto riguarda l’altro produttore esportatore indiano che ha collaborato all’inchiesta non sono state contestate e che l’analisi del nesso di causalità tra le importazioni di cui trattasi e il pregiudizio a detta industria è fondata su considerazioni relative non soltanto ai prezzi, ma anche ai volumi, poiché questi ultimi possono di per sé costituire una base sufficiente per concludere per l’esistenza di un nesso di causalità.

172    Con il presente motivo, le ricorrenti fanno valere in modo puntuale che la Commissione è incorsa in taluni errori nell’ambito del calcolo della sottoquotazione del prezzo che costituirebbero violazioni dell’articolo 3 del regolamento di base e inficerebbero la validità del regolamento impugnato.

173    Occorre ricordare che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base, l’accertamento del pregiudizio causato a un’industria dell’Unione si basa su prove positive e implica un esame obiettivo, da un lato, del volume delle importazioni oggetto di dumping e dei loro effetti sui prezzi dei prodotti simili sul mercato dell’Unione e, dall’altro, dell’incidenza di tali importazioni su detta industria.

174    Per quanto riguarda più nello specifico l’effetto delle importazioni oggetto di dumping sui prezzi, l’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento di base prevede l’obbligo di esaminare se le importazioni oggetto di dumping siano state effettuate a prezzi sensibilmente inferiori a quelli dei prodotti simili dell’industria dell’Unione oppure se tali importazioni abbiano comunque l’effetto di deprimere notevolmente i prezzi o di impedire in misura notevole aumenti che altrimenti sarebbero intervenuti.

175    Il regolamento di base non contiene alcuna definizione della nozione di sottoquotazione del prezzo e non prevede alcun metodo per il calcolo di quest’ultima.

176    Il calcolo della sottoquotazione del prezzo delle importazioni di cui trattasi è operato, conformemente all’articolo 3, paragrafi 2 e 3, del regolamento di base, ai fini della determinazione dell’esistenza di un pregiudizio subito dall’industria dell’Unione a causa di tali importazioni ed è utilizzato, più in generale, al fine di valutare tale pregiudizio e di determinare il margine di pregiudizio, ossia il livello di eliminazione di detto pregiudizio. L’obbligo di procedere a un esame obiettivo dell’incidenza delle importazioni oggetto di dumping, sancito in detto articolo 3, paragrafo 2, impone di procedere a un equo confronto tra il prezzo del prodotto in esame e il prezzo del prodotto simile di detta industria in vendite effettuate nel territorio dell’Unione. Al fine di garantire il carattere equo di tale confronto, i prezzi devono essere confrontati allo stesso stadio commerciale. Infatti, un confronto effettuato tra prezzi ottenuti in fasi commerciali diverse, vale a dire senza includere tutti i costi afferenti allo stadio commerciale di cui occorre tener conto, darà necessariamente luogo a risultati artificiali che non consentono una valutazione corretta del pregiudizio all’industria dell’Unione. Un siffatto equo confronto costituisce una condizione della legittimità del calcolo del pregiudizio di tale industria (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2011, Zhejiang Xinshiji Foods e Hubei Xinshiji Foods/Consiglio, T‑122/09, non pubblicata, EU:T:2011:46, punti 79 e 85).

177    A norma del considerando 84 del regolamento impugnato, il margine di sottoquotazione è stato calcolato, nella specie, nel seguente modo:

«La Commissione ha determinato la sottoquotazione dei prezzi durante il periodo dell’inchiesta in base ai dati presentati dai produttori esportatori e dall’industria dell’Unione, confrontando:

a)      la media ponderata dei prezzi di vendita per tipo di prodotto dei produttori dell’Unione, praticati sul mercato dell’Unione ad acquirenti indipendenti, adeguati a livello franco fabbrica; e

b)      la corrispondente media ponderata dei prezzi delle importazioni, per tipo di prodotto, praticati dai produttori indiani che hanno collaborato al primo acquirente indipendente sul mercato dell’Unione, stabiliti su base cif, opportunamente adeguati per tener conto dei costi successivi all’importazione».

178    Inoltre, al considerando 93 del regolamento impugnato, la Commissione è giunta alla conclusione che esisteva, per il prodotto in esame fabbricato dalla Jindal Saw e venduto nell’Unione, una sottoquotazione del 30,9% su una base media ponderata, vale a dire che i prezzi ai quali tale prodotto era venduto nell’Unione dalla Jindal Saw erano inferiori del 30,9% al prezzo di un prodotto simile dell’industria dell’Unione.

179    Così, dal considerando 84 del regolamento impugnato emerge che il confronto dei prezzi è stato fatto allo stesso stadio commerciale, ossia prendendo in considerazione i prezzi a livello franco fabbrica per le vendite dell’industria dell’Unione e i prezzi cif per le vendite della Jindal Saw. Tuttavia, a seguito di quesiti posti dal Tribunale nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, la Commissione ha esposto che, in realtà, erano stati presi in considerazione in tale confronto, da un lato, per quanto riguarda detta industria, o i prezzi a livello franco fabbrica degli organismi di produzione, quando questi ultimi vendevano direttamente ad acquirenti indipendenti, oppure i prezzi a livello franco fabbrica degli organismi di vendita e, dall’altro, per quanto riguarda la Jindal Saw, i prezzi cif, corrispondenti al prezzo all’esportazione come costruito nell’ambito della determinazione del margine di dumping. Come risulta dalla risposta al primo motivo, tali prezzi cif sono basati su prezzi all’esportazione costruiti tenendo conto di diversi adeguamenti segnatamente destinati a far apparire il prezzo all’esportazione del prodotto in esame prima di qualsiasi implicazione degli organismi di vendita della Jindal Saw.

180    La Commissione sostiene a tale riguardo che le vendite effettuate dagli organismi di vendita dell’industria dell’Unione dovevano essere ritenute vendite «equivalenti franco fabbrica», di modo che esse erano state correttamente considerate come vendite «franco fabbrica» del prodotto simile di detta industria per il calcolo della sottoquotazione. Pertanto, il confronto dei prezzi sarebbe stato effettivamente operato tra prezzi corrispondenti allo stesso stadio commerciale.

181    Tale tesi non può essere accolta.

182    Sebbene la Commissione abbia esposto, al considerando 84 del regolamento impugnato e in udienza, di aver preso in considerazione, nell’ambito del confronto, i prezzi dell’industria dell’Unione allo stadio «franco fabbrica», in realtà, essa ha confrontato i prezzi delle vendite ai primi acquirenti indipendenti di detta industria ai prezzi cif della Jindal Saw.

183    Orbene, poiché la Commissione ha utilizzato i prezzi delle vendite ai primi acquirenti indipendenti per il prodotto simile dell’industria dell’Unione, l’esigenza di confrontare i prezzi allo stesso stadio commerciale imponeva alla medesima di confrontarli anche, per quanto riguarda i prodotti della Jindal Saw, con i prezzi delle vendite ai primi acquirenti indipendenti.

184    Inoltre, occorre constatare che, da un lato, la commercializzazione di prodotti effettuata non già direttamente dal produttore, bensì tramite organismi di vendita, implica l’esistenza di costi e di un margine di profitto propri di tali organismi, di modo che i prezzi praticati da questi ultimi nei confronti degli acquirenti indipendenti sono generalmente superiori ai prezzi praticati dai produttori nelle loro vendite dirette a siffatti acquirenti e non possono quindi essere assimilati a questi ultimi prezzi. Dall’altro lato, dai considerando 7 e 92 del regolamento provvisorio risulta che, nel caso di specie, la maggior parte delle vendite nell’Unione dell’industria dell’Unione sono state realizzate dagli organismi di vendita dei due produttori dell’Unione che hanno collaborato all’inchiesta, i quali rappresentano circa il 96% della produzione totale dell’Unione.

185    Pertanto, nel procedere, per il confronto dei prezzi effettuato nell’ambito del calcolo della sottoquotazione, all’assimilazione descritta al precedente punto 180, tra i prezzi praticati dagli organismi di vendita nei confronti degli acquirenti indipendenti e i prezzi praticati dai produttori nelle loro vendite dirette a siffatti acquirenti, unicamente per quanto riguarda il prodotto simile dell’industria dell’Unione, la Commissione ha preso in considerazione per tale prodotto un prezzo maggiorato e, di conseguenza, sfavorevole alla Jindal Saw, che effettuava la maggior parte delle sue vendite nell’Unione tramite organismi di vendita e la cui situazione si distingueva a tale riguardo da quella dell’altro produttore esportatore che ha collaborato all’inchiesta.

186    Peraltro, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, non risulta dalla sentenza del 30 novembre 2011, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio e Commissione (T‑107/08, EU:T:2011:704), che, per quanto riguarda il prodotto in esame, essa sarebbe stata tenuta a prendere in considerazione i prezzi a livello dell’immissione in libera pratica, il che avrebbe corrisposto, nella specie, al prezzo cif per i prodotti dei produttori esportatori indiani.

187    Infatti, dai punti 62 e 63 di tale sentenza risulta che, in detta causa, il Tribunale ha ritenuto che i prezzi utilizzati per il calcolo della sottoquotazione dovessero essere prezzi negoziati con gli acquirenti indipendenti, ossia prezzi che avevano potuto essere presi in considerazione da questi ultimi al fine di decidere se acquistare i prodotti dell’industria dell’Unione o i prodotti dei produttori esportatori di cui trattasi, e non i prezzi in uno stadio intermedio.

188    Dalle considerazioni che precedono risulta che, poiché la Commissione ha preso in considerazione i prezzi delle vendite realizzate dagli organismi di vendita collegati al principale produttore dell’Unione per determinare il prezzo del prodotto simile dell’industria dell’Unione senza tuttavia prendere in considerazione i prezzi delle vendite degli organismi di vendita della Jindal Saw per determinare il prezzo del prodotto in esame fabbricato da quest’ultima, non si può ritenere che il calcolo della sottoquotazione sia stato effettuato confrontando prezzi allo stesso stadio commerciale.

189    Orbene, come risulta dal precedente punto 176, il confronto di prezzi allo stesso stadio commerciale costituisce una condizione di legittimità del calcolo della sottoquotazione del prezzo del prodotto in esame. Pertanto, il calcolo della sottoquotazione come operato dalla Commissione nell’ambito del regolamento impugnato deve essere ritenuto contrario all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di base.

190    Di conseguenza, la contestazione, da parte delle ricorrenti, del calcolo della sottoquotazione del prezzo per quanto riguarda i prodotti della Jindal Saw è fondata.

191    Dalle considerazioni che precedono risulta che l’errore in cui è incorsa la Commissione nell’ambito del calcolo della sottoquotazione del prezzo del prodotto in esame per quanto riguarda i prodotti della Jindal Saw ha avuto l’effetto di prendere in considerazione una sottoquotazione di detto prezzo la cui entità, e persino esistenza, non sono state correttamente determinate.

192    Orbene, al considerando 124 del regolamento impugnato, la Commissione ha sottolineato l’importanza che essa attribuiva all’esistenza di una sottoquotazione. Ai considerando 125 e 126 di tale regolamento, essa ha considerato che la vendita del prodotto in esame a prezzi notevolmente inferiori a quelli applicati dall’industria dell’Unione, in considerazione di una sottoquotazione maggiore del 30%, spiegava, da un lato, un aumento dei volumi di vendita e delle quote di mercato di detto prodotto e, dall’altro, l’impossibilità per detta industria di aumentare i suoi volumi di vendita nel mercato dell’Unione a un livello che consentisse un profitto sostenibile. In detto considerando 126, essa ha constatato inoltre che le importazioni a prezzi notevolmente inferiori ai prezzi di tale industria avevano fortemente ridotto i prezzi nel mercato dell’Unione e, in tal modo avevano impedito aumenti dei prezzi che altrimenti sarebbero intervenuti e ha concluso per la coincidenza temporale tra dette importazioni a prezzi notevolmente inferiori ai prezzi dell’industria dell’Unione e il pregiudizio subito da tale industria.

193    Dai considerando del regolamento impugnato menzionati al precedente punto 192 risulta che la sottoquotazione come calcolata in tale regolamento è alla base della conclusione secondo cui le importazioni del prodotto in esame sono all’origine del pregiudizio all’industria dell’Unione. Orbene, conformemente all’articolo 1, paragrafo 1, e all’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base, l’esistenza di un nesso causale tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio all’industria dell’Unione è una condizione necessaria per l’imposizione di dazi antidumping.

194    Inoltre, come sostenuto dalle ricorrenti nell’ambito della terza censura della presente parte del motivo, non si può escludere che, se la sottoquotazione del prezzo fosse stata calcolata correttamente, il margine di pregiudizio all’industria dell’Unione sarebbe stato stabilito a un livello inferiore a quello del margine di dumping. Orbene, in tale ipotesi, conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, l’importo del dazio antidumping dovrebbe essere ridotto a un’aliquota che sia sufficiente per eliminare detto pregiudizio.

195    Pertanto, poiché l’errore constatato nel calcolo della sottoquotazione del prezzo può rimettere in discussione la legittimità del regolamento impugnato, invalidando tutta l’analisi della Commissione relativa al nesso di causalità (v., in tal senso, sentenza del 25 ottobre 2011, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio, T‑192/08, EU:T:2011:619, punto 119 e giurisprudenza ivi citata), occorre annullare tale regolamento nella parte in cui riguarda la Jindal Saw, senza che sia necessario esaminare il terzo motivo.

 Sulle spese

196    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Commissione, risultata soccombente, deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalle ricorrenti, conformemente alla domanda di queste ultime.

197    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere che un interveniente diverso da quelli indicati nei paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo si faccia carico delle proprie spese. Nelle circostanze della fattispecie, occorre decidere che l’interveniente si farà carico delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Prima Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)      Il regolamento di esecuzione (UE) 2016/388 della Commissione, del 17 marzo 2016, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di tubi di ghisa duttile (detta anche ghisa a grafite sferoidale) originari dell’India è annullato nella parte in cui riguarda la Jindal Saw Ltd.

2)      La Commissione europea sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Jindal Saw e dalla Jindal Saw Italia SpA.

3)      La SaintGobain Pam sopporterà le proprie spese.

Pelikánová

Valančius

Nihoul

Svenningsen

 

      Öberg

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 10 aprile 2019.

Firme


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*      Lingua processuale: l’inglese.