Language of document : ECLI:EU:T:2015:926

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

3 dicembre 2015 (*)

«Responsabilità extracontrattuale – Petizione indirizzata al Parlamento – Diffusione sul sito Internet del Parlamento di alcuni dati personali – Mancanza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma di diritto che attribuisce diritti ai soggetti»

Nella causa T‑343/13,

CN, residente in Brumath (Francia), rappresentato da M. Velardo, avvocato,

ricorrente,

sostenuto da:

Garante europeo della protezione dei dati (GEPD), rappresentato inizialmente da A. Buchta e V. Pozzato, successivamente da A. Buchta, M. Pérez Asinari, F. Polverino, M. Guglielmetti e U. Kallenberger, in qualità di agenti,

interveniente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da N. Lorenz e S. Seyr, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto una domanda di risarcimento mirante a ottenere la riparazione del danno asseritamente subìto dal ricorrente in seguito alla diffusione sul sito Internet del Parlamento di alcuni dati personali concernenti detto ricorrente,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da S. Frimodt Nielsen, presidente, F. Dehousse e A.M. Collins (relatore), giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 24 marzo 2015,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Fino al 2011 il sig. CN, ricorrente, è stato funzionario presso il Consiglio dell’Unione europea. Il 23 settembre 2009, egli ha presentato una petizione al Parlamento europeo, concernente il sostegno concesso ai membri disabili della famiglia di un funzionario europeo, le difficoltà alle quali devono far fronte i funzionari europei con problemi di salute durante la loro carriera e il cattivo trattamento della sua pratica da parte del Consiglio, tramite un formulario disponibile in linea sul sito Internet del Parlamento.

2        L’8 gennaio 2010, la Commissione europea è stata consultata, conformemente all’articolo 202, paragrafo 6, del regolamento del Parlamento (GU 2011, L 116, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento interno»), divenuto articolo 216, paragrafo 6, del regolamento interno nella sua versione del luglio 2014.

3        Il 15 gennaio 2010, la commissione per le petizioni del Parlamento ha informato il ricorrente che la sua petizione era stata dichiarata ricevibile.

4        Dopo aver ricevuto la risposta della Commissione, il 15 marzo 2010, la commissione per le petizioni ha deciso di archiviare la petizione e ne ha informato il ricorrente, il 14 giugno 2010.

5        Dopo avere respinto la petizione, il Parlamento ha pubblicato sul suo sito Internet un documento riguardante tale petizione, intitolato «comunicazione ai membri» (in prosieguo: la «comunicazione»). La comunicazione descriveva sommariamente il contenuto della petizione nonché la risposta della Commissione. In particolare, essa menzionava il nome del ricorrente, precisando che questi soffriva di una grave patologia che costituiva una minaccia per la sua vita, e che suo figlio era affetto da una grave forma di disabilità mentale o fisica.

6        Nel maggio 2011, il ricorrente è stato dispensato dal servizio dal Consiglio per motivi di salute.

7        Nell’aprile 2012, il ricorrente ha inviato un messaggio di posta elettronica al servizio «centro di contatto Europe direct» della Commissione, che l’ha trasmesso al Parlamento il 10 aprile 2012. In detto messaggio, il ricorrente chiedeva il ritiro della comunicazione dal sito Internet del Parlamento.

8        Il 20 aprile 2012, il Parlamento ha risposto al ricorrente, dichiarando di aver ritirato la comunicazione da Internet.

9        Il 31 agosto 2012, il ricorrente ha riproposto la sua domanda tramite il suo legale poiché, a suo parere, i dati personali in questione erano ancora visibili sul sito Internet del Parlamento.

10      Il 24 settembre 2012, il Parlamento ha risposto che la pubblicazione della comunicazione era lecita. Esso ha aggiunto che i dati personali del ricorrente sarebbero stati tuttavia cancellati da Internet, sebbene sotto il profilo giuridico non sussistesse alcun obbligo di farlo.

11      In risposta a un quesito scritto del Tribunale, il Parlamento ha dichiarato che le ultime operazioni di cancellazione, relative agli abituali motori di ricerca, erano avvenute l’8 ottobre 2012.

12      Il 4 dicembre 2012, il legale del ricorrente ha reiterato la domanda, rilevando che i dati personali in questione erano ancora visibili su Internet.

13      Il 10 gennaio 2013, il Parlamento ha risposto al legale del ricorrente che esso riteneva lecito il proprio comportamento. Esso ha aggiunto che tutti i documenti presenti sul suo sito Internet erano stati tuttavia trattati o erano in corso di trattamento al fine di cancellare i dati personali del ricorrente.

14      Secondo il ricorrente, i dati personali in questione erano disponibili su Internet almeno sino a quest’ultima data.

 Procedimento e conclusioni delle parti

15      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 giugno 2013, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

16      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 ottobre 2013, il Garante europeo della protezione dei dati (in prosieguo: il «GEPD») ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del ricorrente. Con ordinanza del 21 novembre 2013, il presidente della Sesta Sezione ha autorizzato l’intervento. Il GEPD ha depositato la propria memoria di intervento il 7 febbraio 2014. Le parti hanno depositato le rispettive osservazioni su detta memoria entro il termine a tal fine impartito.

17      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        condannare l’Unione europea e il Parlamento al versamento di un importo di EUR 1 000 quale risarcimento per i danni materiali subiti e di EUR 40 000 quale risarcimento per i danni morali subiti, aumentati degli interessi calcolati al tasso del 6,75%;

–        condannare l’Unione e il Parlamento alle spese.

18      Il Parlamento chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

19      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, ha invitato le parti a presentare determinati documenti e ha posto loro alcuni quesiti scritti, invitandole a rispondere agli stessi prima dell’udienza. Le parti hanno risposto a detti quesiti entro il termine assegnato.

20      Le parti hanno illustrato le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti orali posti dal Tribunale durante l’udienza del 24 marzo 2015.

 In diritto

21      A sostegno del suo ricorso il ricorrente deduce un motivo unico, relativo alla sussistenza della responsabilità extracontrattuale dell’Unione. A suo parere, i tre presupposti che consentono di giudicare esistente detta responsabilità sono soddisfatti nel caso di specie, ossia l’illiceità del comportamento del Parlamento, l’esistenza di un danno e l’esistenza di un nesso di causalità tra l’illecito e il danno.

22      Il GEPD sostiene le conclusioni del ricorrente per quanto concerne l’illiceità del comportamento del Parlamento.

23      Il Parlamento considera il ricorso del tutto infondato.

1.     Sull’illiceità del comportamento del Parlamento

 Argomenti delle parti

24      In via preliminare, il ricorrente sostiene che, secondo la giurisprudenza, quando l’illecito si verifica in un settore in cui sia ampio il potere discrezionale dell’istituzione interessata, il sorgere della responsabilità extracontrattuale dell’Unione è subordinato all’accertamento di una violazione sufficientemente qualificata di una norma di diritto intesa a conferire diritti ai soggetti. Il criterio decisivo per considerare una violazione sufficientemente qualificata sarebbe quello della violazione grave e manifesta, da parte di un’istituzione, dei limiti imposti al suo potere discrezionale.

25      Al contrario, secondo il ricorrente, quando un’istituzione dispone solo di un margine discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto dell’Unione può essere sufficiente per dimostrare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata.

26      Il ricorrente ritiene che, per quanto concerne la decisione di pubblicare la comunicazione sul sito Internet del Parlamento, quest’ultimo non disponesse di nessun potere discrezionale, alla luce del quadro giuridico applicabile (l’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, siglata a Roma il 4 novembre 1950 – in prosieguo: la «CEDU» –, l’articolo 8, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’articolo 22 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Unione il 23 dicembre 2010 – in prosieguo: la «Convenzione sui diritti dei disabili» –, nonché il regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati – GU 2001, L 8, pag. 1).

27      Il ricorrente sostiene che il Parlamento ha violato queste disposizioni, pubblicando informazioni sullo stato di salute suo e di suo figlio, nonché sulla sua vita professionale.

28      Egli richiama, segnatamente, l’articolo 5, lettera d), nonché gli articoli 10 e 16 del regolamento n. 45/2001. Dal documento in cui il ricorrente ha acconsentito al trattamento pubblico della sua petizione non risulterebbe che egli avesse manifestato in modo inequivocabile il proprio consenso alla pubblicazione di dati personali, o che avesse prestato il consenso in modo esplicito quanto alla pubblicazione di dati relativi al proprio stato di salute e alla presenza in famiglia di un soggetto disabile.

29      Inoltre, pur avendo il ricorrente richiesto il ritiro dei dati personali dal sito Internet del Parlamento, quest’ultimo avrebbe inizialmente reagito in modo negativo, accogliendo la richiesta solo a seguito dell’intervento del legale del ricorrente, in violazione del diritto alla cancellazione dei dati personali. Peraltro, il fatto che il Parlamento abbia accettato di cancellare i dati implicherebbe che esso abbia implicitamente riconosciuto l’illiceità della pubblicazione. L’articolo 16 del regolamento n. 45/2001 prevedrebbe, infatti, la cancellazione dei dati il cui trattamento sia illecito.

30      Il dovere di trasparenza del Parlamento non potrebbe giustificare la divulgazione di dati personali relativi alla salute e alla presenza in famiglia di un soggetto disabile. Anche qualora volesse ritenersi che la pubblicazione di una sintesi delle petizioni per fornire informazioni sulle attività delle istituzioni dell’Unione corrisponda ad un interesse meritevole di tutela, la violazione dei diritti del ricorrente sarebbe sproporzionata.

31      Nella replica il ricorrente aggiunge che il Parlamento avrebbe violato parimenti l’articolo 12 della decisione dell’Ufficio [di presidenza] del 22 giugno 2005, sulle norme di attuazione relative al regolamento n. 45/2001 (GU C 308, pag. 1; in prosieguo: le «disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001»), il quale impone di rispondere ad una domanda di cancellazione entro il termine di quindici giorni lavorativi e, se la cancellazione è accordata, di procedervi «senza indugio». Orbene, nel caso di specie il procedimento avrebbe avuto una durata di circa dieci mesi.

32      Secondo il ricorrente, l’articolo 203 del regolamento interno non impone né autorizza la pubblicazione d’informazioni come quelle di cui trattasi nella fattispecie. A ciò si aggiunga che il regolamento interno, un atto organizzativo interno, non potrebbe derogare al regolamento n. 45/2001.

33      Il Parlamento considera lecito il proprio comportamento.

34      Relativamente alla fase iniziale del trattamento pubblico della petizione, il Parlamento sostiene che il suo comportamento era conforme agli articoli 5, lettera b) (trattamento necessario al rispetto di un obbligo legale), 5, lettera d) (trattamento fondato sul consenso manifestato in maniera inequivocabile), 10, paragrafo 2, lettera a) (consenso esplicito al trattamento di dati delicati) e 10, paragrafo 2, lettera d) (trattamento di dati delicati resi manifestamente pubblici dall’interessato), del regolamento n. 45/2001.

35      In particolare, per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento relativo all’articolo 5, lettera b), del regolamento n. 45/2001, il Parlamento ricorda che l’articolo 203 del regolamento interno (divenuto articolo 217) prevede come regola generale la pubblicità delle petizioni. Ai sensi del suo articolo 201, paragrafo 9 (divenuto articolo 215, paragrafo 9), le petizioni diventano di norma documenti pubblici e il Parlamento, per ragioni di trasparenza, può pubblicare il nome del firmatario e il contenuto della petizione. L’introduzione di una petizione implicherebbe quindi, in linea di principio, la sua pubblicità, il che consentirebbe ad altri cittadini di associarsi al firmatario. Peraltro, il Parlamento sostiene che, in forza degli articoli 10 TUE e 11 TUE nonché degli articoli 15 TFUE e 232 TFUE, i suoi lavori si svolgono principalmente in pubblico.

36      In secondo luogo, secondo il Parlamento, il trattamento dei dati personali era conforme all’articolo 5, lettera d), del regolamento n. 45/2001, giacché il ricorrente aveva manifestato in maniera inequivocabile il suo consenso al trattamento pubblico della sua petizione. Il ricorrente sarebbe stato debitamente informato e non avrebbe fatto uso della possibilità offertagli di chiedere un trattamento anonimo o confidenziale della sua petizione.

37      In terzo luogo, il Parlamento sostiene che il consenso prestato dal ricorrente nelle condizioni in precedenza esposte era un consenso esplicito al trattamento dei dati delicati ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

38      Per quanto concerne la fase successiva alla pubblicazione dei dati, relativa alla domanda di cancellazione, il Parlamento rileva che la condizione principale affinché l’interessato possa ottenere la cancellazione dei suoi dati in base all’articolo 16 del regolamento n. 45/2001 è che il trattamento di questi ultimi sia illegale, ipotesi che non ricorreva nel caso di specie. Ciò nonostante, il Parlamento avrebbe cancellato i dati del ricorrente per semplice cortesia.

39      Il Parlamento rileva, peraltro, che il regolamento n. 45/2001 non contiene nessuna disposizione che preveda la possibilità di revocare il consenso dato. Anche ipotizzando che una siffatta revoca sia possibile, ciò potrebbe esplicare effetti unicamente per il futuro. Inoltre, sarebbe impossibile cancellare retroattivamente determinati dati, come quelli contenuti nel verbale di una seduta del Parlamento, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

40      Nella sua memoria di intervento, il GEPD concentra la sua attenzione sulla condizione relativa al comportamento asseritamente illecito del Parlamento.

41      Il GEPD ritiene che, affinché il consenso sia valido, questo debba essere informato e specifico, vale a dire, connesso all’operazione di trattamento di cui la persona è stata informata. Per il GEPD, tali requisiti non sussistono nella fattispecie. Nessuna delle informazioni fornite nel modulo on line avviserebbe con chiarezza il firmatario delle conseguenze precise del trattamento previsto. In particolare, in detto formulario non si indicherebbe per nulla che i dati delicati potrebbero essere resi accessibili su Internet. Il GEPD aggiunge che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001 offre una maggiore protezione rispetto all’articolo 5, lettera d), di detto regolamento, in quanto richiede che le informazioni fornite alla persona al fine di ottenere il suo consenso menzionino con chiarezza i dati delicati e il trattamento previsto. Secondo il GEPD, qualsiasi altra interpretazione svuoterebbe di contenuti l’articolo 5, lettera d), di tale regolamento.

42      Alla luce delle suesposte considerazioni, il GEPD è del parere che il Parlamento non abbia ottenuto il consenso esplicito del ricorrente ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

 Giudizio del Tribunale

43      Ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, «in materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni».

44      La Corte ha dichiarato che, ai sensi dell’articolo 340, secondo comma, TFUE, la sussistenza di una responsabilità extracontrattuale dell’Unione per comportamento illecito dei suoi organi è subordinata al soddisfacimento di un insieme di condizioni, vale a dire l’illiceità del comportamento addebitato all’istituzione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento fatto valere e il danno lamentato (sentenze dell’11 luglio 1997, Oleifici Italiani/Commissione, T‑267/94, Racc., EU:T:1997:113, punto 20, e del 9 settembre 2008, MyTravel/Commissione, T‑212/03, Racc., EU:T:2008:315, punto 35). Il requisito del comportamento illecito delle istituzioni dell’Unione richiede la violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica avente lo scopo di attribuire diritti ai soggetti (sentenza MyTravel/Commissione, cit., EU:T:2008:315, punto 37). Il criterio decisivo per ritenere una violazione del diritto dell’Unione sufficientemente qualificata è quello della violazione grave e manifesta, da parte di un’istituzione dell’Unione, dei limiti imposti al suo potere discrezionale (sentenza del 5 marzo 1996, Brasserie du pêcheur e Factortame, C‑46/93 e C‑48/93, Racc., EU:C:1996:79, punto 55).

45      Per quanto concerne la condizione relativa all’illiceità del comportamento delle istituzioni, occorre esaminare, in primo luogo, se le norme giuridiche invocate dal ricorrente abbiano lo scopo di attribuire diritti ai soggetti e, in secondo luogo, se il Parlamento abbia commesso una violazione sufficientemente qualificata di tali norme.

46      Nell’atto introduttivo il ricorrente invoca, da un lato, alcune disposizioni relative alla tutela dei dati personali contenute nella Carta dei diritti fondamentali, nel regolamento n. 45/2001 nonché nelle disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001 e, dall’altro, alcune disposizioni relative alla protezione della vita privata contenute nella CEDU e nella Convenzione sui diritti dei disabili.

 Sulle norme relative alla tutela dei dati personali

47      Occorre rilevare che il diritto alla tutela dei dati personali, sancito dall’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali, è sviluppato dal regolamento n. 45/2001, per quanto concerne gli atti delle istituzioni e degli organi dell’Unione, e dalle disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001, per quanto concerne in particolare il Parlamento. Queste diverse disposizioni hanno lo scopo di attribuire diritti ai soggetti. Di conseguenza, esse possono essere invocate dal ricorrente nel quadro del suo ricorso di risarcimento.

48      Per quanto concerne l’esistenza di una presunta violazione sufficientemente qualificata di tali norme, gli argomenti sviluppati dal ricorrente riguardano essenzialmente l’applicazione del regolamento n. 45/2001 e delle sue disposizioni di attuazione. Egli, in particolare, non contesta che queste norme siano compatibili con il diritto sancito dalla Carta dei diritti fondamentali. Di conseguenza, e contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (C‑92/09 e C‑93/09, Racc., EU:C:2010:662), è irrilevante ai fini della soluzione della presente controversia.

49      Per di più, secondo la giurisprudenza, dalla prima frase del considerando 15 del regolamento n. 45/2001 si ricava che un rinvio ad altre disposizioni non risulta necessario per un trattamento effettuato nell’esercizio di attività situate nell’ambito d’applicazione di detto regolamento, dato che, in un caso siffatto, è manifestamente lo stesso regolamento n. 45/2001 che si applica (sentenza del 29 giugno 2010, Commissione/Bavarian Lager, C‑28/08 P, Racc., EU:C:2010:378, punto 62). Di conseguenza, ai fini del presente ricorso, occorre analizzare le disposizioni del regolamento n. 45/2001 e le sue disposizioni di attuazione.

50      Dalla giurisprudenza risulta che all’espressione «dati relativi alla salute» occorre dare un’interpretazione ampia, tale da comprendere informazioni concernenti tutti gli aspetti, tanto fisici quanto psichici, della salute di una persona (v., per analogia, sentenza del 6 novembre 2003, Lindqvist, C‑101/01, Racc., EU:C:2003:596, punto 50, concernente la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati – GU L 281, pag. 31). Tuttavia, questa nozione non può essere ampliata sino a inglobare espressioni che non comportino la divulgazione di nessun dato relativo alla salute o alla condizione medica di una persona (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2005, Dionyssopoulou/Consiglio, T‑105/03, Racc. PI, EU:T:2005:189, punto 33).

51      È alla luce di queste considerazioni che occorre esaminare, anzitutto, la pubblicazione iniziale dei dati personali in questione e, successivamente, la risposta del Parlamento alla domanda del ricorrente di ritirare tali dati dal suo sito Internet.

–       Diffusione dei dati personali su Internet

52      In via preliminare, occorre rilevare che, nel caso di specie, il Parlamento ha realizzato una serie di operazioni di trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 2, lettera b), del regolamento n. 45/2001. La diffusione di dati personali, ivi compresa la diffusione su Internet, costituisce una siffatta operazione di trattamento ai sensi di detta disposizione.

53      La comunicazione pubblicata sul sito Internet del Parlamento riportava, segnatamente, che il ricorrente, identificato con il suo nome, aveva avuto di recente una malattia grave tale da porre a rischio la sua vita e che suo figlio era disabile. La comunicazione conteneva anche alcune informazioni relative alla carriera del ricorrente.

54      Di conseguenza, è giocoforza constatare che il trattamento di dati effettuato dal Parlamento riguardava dati personali del ricorrente (segnatamente, informazioni relative alla sua carriera) nonché dati personali delicati relativi alla salute del ricorrente e a quella di suo figlio. Occorre esaminare separatamente il trattamento di queste diverse serie di dati personali.

55      In primo luogo, il trattamento dei dati personali delicati del ricorrente dev’essere esaminato alla luce dell’articolo 10 del regolamento n. 45/2001.

56      Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001, è vietato il trattamento dei dati personali che rientrino fra i dati relativi alla salute. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento, questo divieto non si applica, segnatamente, quando l’interessato ha dato il proprio consenso esplicito.

57      In tale contesto, occorre ricordare che l’articolo 2, lettera h), del regolamento n. 45/2001 definisce come consenso dell’interessato «qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica e informata con la quale la persona interessata accetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento».

58      Nel caso di specie occorre determinare se, come asserisce il Parlamento, il ricorrente avesse dato il suo consenso esplicito per la pubblicazione dei suoi dati personali delicati su Internet.

59      Nel presente caso, dato che l’articolo 2, lettera h), del regolamento n. 45/2001 non impone nessun requisito formale, il deposito della petizione può essere considerato una manifestazione di volontà del ricorrente.

60      Peraltro, quest’ultimo non lamenta nessuna circostanza tale da mettere in dubbio il fatto che la petizione sia stata liberamente depositata, senza coercizione, pressione, intimidazione o inganno.

61      In forza della stessa disposizione, il consenso dev’essere specifico, ossia collegato a un’operazione di trattamento (o a una serie di operazioni di trattamento) aventi precise finalità. Detta disposizione prevede anche che, per essere valido, il consenso debba essere informato, la qual cosa implica che l’interessato disponga, al momento di prestare il suo consenso, delle informazioni essenziali riguardanti gli aspetti fondamentali del trattamento, fatta attenzione al contesto del caso di specie.

62      Infine, come risulta dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001, quando il consenso verte sul trattamento di dati delicati, esso dev’essere esplicito. In altri termini, questo consenso dev’essere espresso, senza che sia possibile dedurlo implicitamente dal comportamento dell’interessato.

63      È alla luce delle considerazioni che precedono che occorre esaminare il caso di specie.

64      Occorre rilevare che il sito Internet del Parlamento raccomanda ai firmatari di una petizione di leggere l’«aiuto on line» prima di presentare una petizione. Detto «aiuto on line» conteneva il testo seguente, nella rubrica «Pubblicità di una petizione»:

«Si informano i firmatari delle petizioni che i processi verbali sono pubblicati nella Gazzetta ufficiale e che pertanto taluni dati, tra cui il nome del firmatario e il numero della petizione, sono disponibili su Internet. Si richiama in particolare l’attenzione dei firmatari sul fatto che ciò ha delle ricadute sulla tutela dei dati personali. Qualora il firmatario desideri che il suo nome non sia reso noto, il Parlamento europeo ne rispetterà la privacy. Tale richiesta dovrà però essere indicata in modo chiaro ed esplicito nella petizione. Analogamente, se si desidera che la petizione venga trattata in via confidenziale, si indicherà chiaramente tale richiesta. La commissione accorda importanza alla trasparenza delle sue riunioni che possono essere trasmesse via webstreaming. È pertanto possibile seguire le riunioni della commissione su qualsiasi computer accedendo al sito web del Parlamento europeo. Le riunioni della commissione sono pubbliche e i firmatari delle petizioni possono eventualmente partecipare, su richiesta, alla discussione della loro petizione».

65      Inoltre, al momento del deposito della sua petizione tramite il sito Internet del Parlamento, il ricorrente ha compilato un formulario rispondendo in senso affermativo alle seguenti questioni:

«Nel caso in cui la commissione per le petizioni dichiarasse ricevibile la vostra petizione, siete d’accordo affinché quest’ultima venga trattata pubblicamente?»

«Autorizzate l’iscrizione del vostro nome in un registro pubblico, accessibile da Internet?»

66      Peraltro, occorre tener conto dei seguenti elementi.

67      In primo luogo, il Tribunale deve prendere in considerazione l’economia e la finalità del diritto di petizione al Parlamento concesso dagli articoli 24 TFUE e 227 TFUE. Detto diritto di petizione è espressamente concepito come uno strumento di partecipazione alla vita democratica, concepito in modo da essere trasparente al fine di consentire ad altri cittadini di associarsi eventualmente e, pertanto, di suscitare un pubblico dibattito. Per di più, occorre fare riferimento agli articoli 15 TFUE e 232 TFUE, i quali prevedono che i lavori del Parlamento si svolgano principalmente in pubblico. Pertanto, è in tale contesto che va collocata l’applicazione delle norme disciplinanti l’esercizio del diritto di petizione, segnatamente quelle comprese negli articoli 201 e seguenti del regolamento interno (divenuti articoli 215 e seguenti).

68      In secondo luogo, occorre fare riferimento al senso comune dell’espressione «trattata pubblicamente» per una persona normale, quando è invitata a compilare un formulario al momento del deposito della sua petizione.

69      In terzo luogo, occorre ricordare che, all’atto del deposito, il ricorrente è stato informato dal Parlamento del fatto che egli poteva chiedere un trattamento anonimo, ossia riservato, della sua petizione, che i verbali erano pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, che «taluni dati», ivi compreso il nome del firmatario, erano disponibili su Internet, che esisteva un registro pubblico accessibile da Internet e che le riunioni della commissione per le petizioni potevano essere seguite on line.

70      In quarto luogo, è importante rilevare il contenuto specifico della petizione in questione, ossia il fatto che si asseriva che un’istituzione dell’Unione non avesse debitamente preso in considerazione la malattia del ricorrente (e la disabilità del figlio) ai fini della sua carriera, una questione che, in linea di principio, suscita un certo interesse pubblico. Occorre aggiungere che l’avviso di ricevimento confermava espressamente che l’oggetto della petizione verteva proprio su tali considerazioni. Di conseguenza, la pubblicazione di tali informazioni verteva sul contenuto specifico della petizione, e non su elementi accessori o superflui.

71      A questo proposito, l’articolo 201, paragrafo 9, del regolamento interno dispone che, «una volta iscritte nel ruolo generale, le petizioni diventano di norma documenti pubblici e il Parlamento, per ragioni di trasparenza, può pubblicare il nome del firmatario e il contenuto della petizione». Il paragrafo 10 dello stesso articolo dispone che, «in deroga alle disposizioni del paragrafo 9, il firmatario può chiedere che il suo nome non sia reso noto, al fine di tutelare la sua vita privata. In tal caso il Parlamento è tenuto a soddisfare tale richiesta».

72      Ai sensi dell’articolo 203 del regolamento interno relativo alla pubblicità delle petizioni:

«1. Le petizioni iscritte nel ruolo generale di cui all’articolo 201, paragrafo 6, e le principali decisioni in merito alla procedura di esame delle stesse sono annunciate in Aula. Tali comunicazioni sono pubblicate nel processo verbale.

2. Il titolo e la sintesi delle petizioni iscritte nel ruolo nonché i pareri e le principali decisioni che accompagnano l’esame della petizione sono inseriti in una banca dati di pubblico accesso, sempre che il firmatario sia d’accordo. Le petizioni da esaminare in via riservata sono custodite negli archivi del Parlamento dove possono essere consultate dai deputati».

73      In particolare, le petizioni sono, in linea di principio, documenti pubblici, anche se si può derogare a tale regola su domanda dell’interessato. Come sottolineato dal Parlamento in udienza, qualunque altra conclusione equivarrebbe a imporgli un obbligo di censura in merito al contenuto della petizione depositata dal ricorrente.

74      Di conseguenza, occorre constatare che, nel caso di specie, in considerazione del complesso delle circostanze specifiche ricordate nei precedenti punti da 64 a 73, il ricorrente ha formulato una «manifestazione di volontà libera e informata». Infatti, una lettura attenta delle informazioni fornite dal Parlamento avrebbe dovuto permettere a un firmatario di una petizione ragionevolmente attento di valutare la portata della sua azione e le sue conseguenze. Peraltro, questa manifestazione di volontà era specifica, poiché il Parlamento ha informato il ricorrente del fatto che la sua denuncia, il cui oggetto riguardava in modo pertinente le considerazioni ricordate nel precedente punto 70, sarebbe stata accessibile su Internet. Infine, il ricorrente ha dato il suo consenso espresso, marcando le caselle del formulario relative al trattamento pubblico e all’iscrizione su un registro accessibile su Internet, senza che il suo consenso debba essere dedotto implicitamente da una qualsivoglia azione.

75      Il complesso di tali circostanze distingue in modo fondamentale il caso presente dai fatti di cui alla causa V/Parlamento (sentenza del 5 luglio 2011, V/Parlamento, F‑46/09, Racc. PI, EU:F:2011:101, punto 138), in cui l’interessato non aveva dato nessun consenso al trasferimento, dalla Commissione verso il Parlamento, dei dati medici che lo riguardavano.

76      Alla luce del complesso delle precedenti considerazioni, il Tribunale giudica che, nel caso di specie, il ricorrente aveva dato il suo consenso espresso alla divulgazione delle informazioni delicate in questione, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

77      In secondo luogo, per quanto concerne i dati personali non contenuti tra quelli menzionati nell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 45/2001 (quali quelli relativi alla carriera del ricorrente), il loro trattamento è soggetto al regime previsto dall’articolo 5 del regolamento n. 45/2001. Ai sensi dell’articolo 5, lettera d), di tale regolamento, il trattamento può essere effettuato, segnatamente, quando l’interessato ha inequivocabilmente dato il suo consenso. In altri termini, il trattamento può essere effettuato quando l’interessato ha dato il suo consenso con certezza e senza ambiguità.

78      Occorre rilevare che, mentre l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001 richiede che il consenso sia espresso, l’articolo 5, lettera d), di detto regolamento impone un consenso inequivocabilmente dato. Come rilevato dal GEPD, è logico ritenere, in considerazione della natura dei dati personali delicati, che le condizioni richieste per il consenso ai sensi dell’articolo 5, lettera d), del regolamento n. 45/2001 non possano essere più rigorose di quelle previste dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), di detto regolamento.

79      Di conseguenza, occorre fare riferimento alle riflessioni illustrate nei precedenti punti da 57 a 74, che devono essere applicate mutatis mutandis, nel caso di specie, al trattamento dei dati personali diversi dai dati personali delicati del ricorrente. In particolare, per quanto concerne l’oggetto della petizione, è importante sottolineare che esso riguardava specificamente il fatto che un’istituzione dell’Unione non aveva debitamente preso in considerazione la situazione personale del ricorrente ai fini della sua carriera.

80      Alla luce di ciò, il Tribunale giudica che il ricorrente aveva indubbiamente formulato una «manifestazione di volontà libera, specifica e informata» per il trattamento dei suoi dati personali da parte del Parlamento e, segnatamente, la loro divulgazione nel contesto del trattamento di una petizione ad opera del Parlamento.

81      Poiché le giustificazioni previste dall’articolo 5 del regolamento n. 45/2001 per il trattamento dei dati non sono cumulative, come si evince dal testo di tale disposizione, non è necessario esaminare se il trattamento dei dati personali fosse parimenti giustificato in forza di un’altra delle disposizioni invocate dal Parlamento.

82      Alla luce di quanto sin qui esposto, il Tribunale giudica che il Parlamento non ha commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica diffondendo i dati personali in questione su Internet.

83      In terzo luogo, occorre rilevare che, quanto al fatto che essa dichiara che il figlio del ricorrente è colpito da una disabilità mentale o fisica grave, la comunicazione contiene parimenti dati personali delicati relativi a quest’ultimo, anche se egli non è indicato con il suo nome.

84      In mancanza di un qualsiasi indizio del fatto che il ricorrente sia il rappresentante legale di suo figlio, il consenso espresso da lui dato non può giustificare il trattamento di detti dati da parte del Parlamento, in forza dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 45/2001.

85      Tuttavia, il figlio del ricorrente non è parte del presente ricorso. Inoltre, come appena illustrato, non c’è nessuna prova che il ricorrente sia il rappresentante legale di suo figlio o che abbia ricevuto mandato per proporre il presente ricorso a nome di quest’ultimo.

86      A questo proposito occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, al fine di preservare l’efficacia pratica della condizione riguardante la violazione di una norma giuridica che attribuisce diritti ai soggetti, è necessario che la tutela offerta dalla norma invocata sia effettiva nei confronti della persona che la invoca e, pertanto, che questa persona sia tra quelle alle quali la norma in questione attribuisce diritti. Non si può ammettere come fonte di risarcimento una norma che non tuteli la persona contro l’illecito che ella denuncia, ma un’altra persona (sentenze del 12 settembre 2007, Nikolaou/Commissione, T‑259/03, EU:T:2007:254, punto 44, nonché del 9 luglio 2009, Ristic e a./Commissione, T‑238/07, EU:T:2009:263, punto 60). Da ciò discende che il ricorrente non può invocare, nel quadro del suo ricorso per risarcimento, illiceità derivanti dalla presunta violazione dei diritti di un terzo, segnatamente di suo figlio.

–       A seguito della domanda di ritiro dei dati dal sito Internet

87      Occorre esaminare allora se il comportamento del Parlamento, a seguito della domanda di ritiro dal suo sito Internet dei dati personali del ricorrente, possa costituire una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica avente lo scopo di attribuire diritti ai soggetti.

88      Secondo il ricorrente, quando egli ha chiesto il ritiro dei dati personali dal sito Internet del Parlamento, quest’ultimo ha inizialmente reagito in modo negativo, accogliendo la richiesta solo a seguito dell’intervento del suo legale, in violazione del diritto alla cancellazione dei propri dati personali. Peraltro, il fatto che il Parlamento abbia accettato di cancellare i dati implicherebbe che esso abbia riconosciuto implicitamente l’illiceità della pubblicazione. Infine, il ricorrente aggiunge che il Parlamento ha violato l’articolo 12 delle disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001.

89      In sostanza, gli argomenti del ricorrente implicano l’analisi di due questioni: in primo luogo, accertare se egli avesse il diritto di ottenere il ritiro dei suoi dati personali e, in secondo luogo, accertare se il Parlamento abbia trattato questo domanda in modo diligente.

90      Per quanto concerne la prima questione, occorre rilevare che l’articolo 16 del regolamento n. 45/2001 attribuisce il diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali unicamente quando il trattamento è illecito (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 2009, Vinci/BCE, F‑130/07, Racc. PI, EU:F:2009:114, punti 66 e 67), come ammette lo stesso ricorrente. Di conseguenza, tale disposizione non può essere invocata a sostegno di una domanda di cancellazione quando il trattamento è lecito, come avviene nel caso di specie (v. punti 52 e seguenti). Il fatto che il Parlamento abbia deciso di accogliere la domanda non implica di per sé il riconoscimento dell’illiceità della pubblicazione iniziale. A questo riguardo, occorre ricordare che il Parlamento ha spiegato di avere cancellato i dati per cortesia.

91      Peraltro, occorre constatare che, ai sensi dell’articolo 18 del regolamento n. 45/2001, l’interessato ha il diritto di opporsi in qualsiasi momento, per ragioni imperative e legittime concernenti la sua situazione particolare, al fatto che dati che lo riguardano costituiscano oggetto di un trattamento, a meno che, segnatamente, egli abbia inequivocabilmente dato il suo consenso ai sensi dell’articolo 5, lettera d), del medesimo regolamento.

92      Per di più, posto che il trattamento dei dati nel caso di specie si basava sul consenso dell’interessato, occorre rilevare che il regolamento n. 45/2001 non prevede espressamente la facoltà di ritirare il consenso inizialmente prestato.

93      Alla luce delle precedenti considerazioni, il Tribunale giudica che il ricorrente non poteva invocare un diritto alla cancellazione dei dati personali in questione in base al regolamento n. 45/2001. Occorre aggiungere che il ricorrente non ha invocato validamente un qualsiasi altro fondamento per la sua domanda di cancellazione. Ad ogni modo, occorre ricordare che il Parlamento, malgrado la mancanza di qualsiasi obbligo vincolante, ha proceduto alla cancellazione dei dati dal suo sito Internet.

94      Infine, occorre rilevare che la causa che ha condotto alla sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (C‑131/12, Racc., EU:C:2014:317), relativa al «diritto all’oblio» su Internet, riguardava un contesto in fatto e in diritto molto diverso da quello del caso di specie. In particolare, anche se, in tale sentenza, la Corte ha giudicato, in sostanza, che un siffatto diritto poteva esistere a determinate condizioni, è giocoforza constatare che le disposizioni della direttiva 95/46 sulle quali la Corte ha basato la sua motivazione [ossia gli articoli 7, lettera f), 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46] differiscono notevolmente da quelle in questione nel caso di specie, che è collegato essenzialmente alla questione del consenso dell’interessato. Infatti, occorre ricordare che, a differenza del caso di specie, nella causa Google l’interessato non aveva dato il suo consenso alla pubblicazione iniziale dei suoi dati personali.

95      Per quanto concerne la seconda questione, il ricorrente non ha invocato la violazione di una norma o di un principio di diritto nell’ipotesi in cui la pubblicazione iniziale da parte del Parlamento sia stata lecita, come nel caso di specie.

96      Anzitutto, occorre rilevare che l’articolo 12 delle disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001, relativo al diritto alla cancellazione, al suo paragrafo 3 così dispone:

«Il responsabile del trattamento deve rispondere entro un termine di quindici giorni lavorativi a decorrere dalla ricezione della domanda di cancellazione. Se la domanda è accolta, la cancellazione deve essere eseguita senza indugio. Se ritiene che la domanda non sia giustificata, il responsabile del trattamento dispone di un termine di quindici giorni lavorativi per informarne l’interessato con lettera motivata».

97      Da tale disposizione risulta che il Parlamento dispone di un termine di quindici giorni lavorativi per rispondere a una domanda di cancellazione, fondata o meno. Nel caso di specie, il ricorrente ha inviato la sua domanda al servizio «centro di contatto Europe direct» della Commissione, che l’ha trasmesso al Parlamento il 10 aprile 2012. Quest’ultimo ha risposto a detta domanda nel termine prescritto. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, il Parlamento non ha mai respinto la domanda. In realtà, come si evince dalle risposte del 20 aprile 2012, del 24 settembre 2012 e del 10 gennaio 2013, il Parlamento ha accettato la cancellazione, sottolineando nel contempo, giustamente, che la pubblicazione era lecita.

98      I dati personali sono stati cancellati intorno all’8 ottobre 2012, secondo il Parlamento, e al 10 gennaio 2013, secondo il ricorrente.

99      Nel suo controricorso, il Parlamento ha dichiarato che c’era voluto un certo tempo per ritrovare i documenti dove comparivano i dati del ricorrente e per adottare le necessarie misure tecniche. Come spiegato dal Parlamento in udienza in risposta ai quesiti del Tribunale, la cancellazione completa da Internet è una procedura tecnicamente delicata. Il Tribunale giudica che sono queste difficoltà tecniche che spiegano il lasso di tempo di cui ha avuto bisogno il Parlamento, i cui servizi tecnici sono dovuti intervenire più volte, per cancellare i dati in questione e che quest’ultimo non ha inizialmente opposto un diniego alla domanda del ricorrente.

100    Occorre rilevare che l’articolo 12, paragrafo 3, delle disposizioni di attuazione del regolamento n. 45/2001 prevede che, quando la domanda è accolta, essa venga eseguita senza indugio. Ebbene, tale disposizione concerne le situazioni in cui la domanda è accolta poiché è fondata, ossia poiché il trattamento è illecito. In tali ipotesi, è logico che essa debba essere eseguita senza indugio. Viceversa, quando, come nel caso di specie, la domanda è infondata, ma è accolta per cortesia, non c’è ragione di imporre un obbligo di esecuzione «senza indugio». In tal caso, il Parlamento è tenuto unicamente a dare seguito all’impegno entro un termine ragionevole. Alla luce delle spiegazioni fornite dal Parlamento, il Tribunale giudica che nel caso di specie esso non ha commesso illeciti nel trattamento della domanda di cancellazione, ivi compreso nella sua esecuzione.

101    Alla luce di quanto sin qui esposto, il Tribunale giudica che il Parlamento non ha commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica a seguito della domanda di cancellazione presentata dal ricorrente.

 Norme relative alla tutela della vita privata

102    Per quanto concerne le disposizioni relative alla tutela della vita privata invocate dal ricorrente, occorre rilevare che, secondo l’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali, quali garantiti dalla CEDU, fanno parte del diritto dell’Unione in qualità di principi generali, anche se l’Unione non è parte della CEDU. Viceversa, la Convenzione sui diritti dei disabili è stata ratificata dall’Unione.

103    Tuttavia, a prescindere dall’accertare se, in considerazione della loro natura e della loro economia (sentenze del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C‑149/96, Racc., EU:C:1999:574, punto 47, e del 3 febbraio 2005, Chiquita Brands e a./Commissione, T‑19/01, Racc., EU:T:2005:31, punto 114), la CEDU e la Convenzione sui diritti dei disabili contengano disposizioni aventi lo scopo di conferire diritti ai soggetti, è giocoforza constatare che il ricorrente si limita a invocare la violazione dell’articolo 22 della Convenzione sui diritti dei disabili, senza fornire nessun argomento specifico a sostegno di questo assunto.

104    Lo stesso avviene per la presunta violazione dell’articolo 8 della CEDU. A tale riguardo, il ricorrente si limita a citare tre sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo le quali, a suo parere, dimostrano che il diritto al rispetto della vita privata implica il diritto a mantenere segreto il proprio stato di salute (Corte eur. D.U., S. e Marper c. Regno Unito, nn. 30562/04 e 30566/04, 4 dicembre 2008) nonché il diritto a che non siano divulgati dati concernenti la vita professionale (Corte eur. D.U., Amman c. Svizzera, n. 27798/95, 16 febbraio 2000, e Rotaru c. Romania, n. 28341/95, 4 maggio 2000). Tuttavia, queste sentenze vertono su situazioni molto diverse dalla situazione del caso di specie, segnatamente sulla conservazione di dati biometrici di persone sospette di aver commesso delitti, sull’intercettazione di una chiamata telefonica professionale e sulla creazione da parte delle autorità pubbliche di una scheda contenente informazioni personali di vario tipo.

105    Peraltro, la sentenza del 5 ottobre 1994, X/Commissione (C‑404/92 P, Racc., EU:C:1994:361), citata dal ricorrente a sostegno delle sue affermazioni, riguarda parimenti una questione molto diversa, segnatamente il diniego da parte della Commissione di assumere una persona dopo aver effettuato prove in grado di far sorgere sospetti che essa fosse infetta dal virus dell’AIDS, malgrado quest’ultima si fosse opposta all’effettuazione di tali prove. È giocoforza constatare che la sentenza V/Parlamento, citata nel precedente punto 75 (EU:F:2011:101, punti 110 e seguenti), concerne parimenti una situazione che non è paragonabile, poiché verte sul trasferimento di dati medici di un vecchio dipendente della Commissione al Parlamento senza il consenso dell’interessato, condotta che ha portato al ritiro dell’offerta di impiego del Parlamento.

106    Di conseguenza, alla luce delle precedenti considerazioni, è difficile individuare un parallelismo o una somiglianza tra i fatti all’origine di tali sentenze e la situazione del caso di specie che possa suffragare gli argomenti del ricorrente.

107    Peraltro, per le ragioni esposte nei punti 52 e seguenti, non è possibile ritenere che ci sia un’«ingerenza di un’autorità pubblica» nella vita privata ai sensi dell’articolo 8 della CEDU quando il ricorrente dà il suo consenso alla divulgazione di informazioni, come nel caso di specie.

108    Di conseguenza, il Tribunale giudica che il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di una violazione della Convenzione sui diritti dei disabili o della CEDU da parte del Parlamento.

109    Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre respingere gli argomenti relativi all’illiceità del comportamento del Parlamento.

110    Poiché le tre condizioni relative alla sussistenza di una responsabilità extracontrattuale dell’Unione sono cumulative (sentenza del 10 luglio 2014, Nikolaou/Corte dei conti, C‑220/13 P, Racc., EU:C:2014:2057, punto 52), occorre respingere integralmente il ricorso, senza che sia necessario esaminare gli argomenti relativi al danno e al nesso di causalità. Tuttavia, nel caso di specie, il Tribunale ritiene opportuno esaminare questi argomenti.

2.     Sul danno e sul nesso di causalità

 Argomenti delle parti

111    Il ricorrente lamenta che il comportamento illecito del Parlamento gli ha causato un danno sia materiale sia morale.

112    In primo luogo, il ricorrente afferma di essere stato costretto a rivolgersi a un legale e che solo a seguito di due diffide da quest’ultimo inviate il Parlamento ha ritirato il documento dal proprio sito Internet. Il ricorrente è stato così esposto a spese ammontanti a EUR 1 000, costituenti il suo danno materiale.

113    In secondo luogo, relativamente al danno morale, il ricorrente lamenta che detto danno risulta da un atteggiamento noncurante e dilatorio del Parlamento, che lo avrebbe ferito profondamente e gli avrebbe causato un notevole stress, essendo egli preoccupato che il figlio, affetto da una grave patologia mentale e molto fragile, potesse venne a conoscenza delle informazioni pubblicate. Egli stima il danno morale pro bono et aequo in EUR 40 000.

114    Nella replica il ricorrente sostiene che il lasso di tempo intercorso tra la pubblicazione e la richiesta di cancellazione non ha alcun rilievo. Peraltro, il ricorrente ha presentato la domanda di cancellazione senza indugio, non appena venuto a conoscenza della pubblicazione dei dati.

115    Il ricorrente ritiene che sussista un nesso di causalità diretto fra l’illecito e il danno, poiché quest’ultimo deriva dalla pubblicazione delle informazioni da parte del Parlamento, nonché dalla difficoltà di ottenere la rimozione delle informazioni.

116    Il Parlamento non contesta che, qualora fosse dimostrata la sussistenza di un comportamento illecito, il ricorrente avrebbe subìto un danno materiale pari a EUR 1 000 per le spese legali. Tuttavia, esso ritiene che il ricorrente non abbia dimostrato l’esistenza di un danno morale.

117    Infine, il Parlamento non nega l’esistenza di un nesso di causalità qualora il Tribunale giudichi che c’è stato un comportamento illecito e che il ricorrente ha subìto un danno.

 Giudizio del Tribunale

118    È importante ricordare che, in base alla giurisprudenza, per quanto concerne la condizione del danno, quest’ultimo dev’essere reale e certo. Viceversa, un danno puramente ipotetico e indeterminato non dà diritto a risarcimento (sentenza del 28 aprile 2010, BST/Commissione, T‑452/05, Racc., EU:T:2010:167, punto 165). Tuttavia, la condizione relativa all’esistenza di un danno certo è soddisfatta una volta che il danno è imminente e prevedibile con sufficiente sicurezza, anche se la sua entità non è ancora esattamente determinabile (sentenza del 14 gennaio 1987, Zuckerfabrik Bedburg e a./Consiglio e Commissione, 281/84, Racc., EU:C:1987:3, punto 14).

119    È alla parte che denuncia la responsabilità dell’Unione che incombe l’onere di fornire prove in merito all’esistenza o all’ampiezza del danno da essa lamentato, e di stabilire tra questo danno e il comportamento incriminato dell’istituzione coinvolta un nesso sufficientemente diretto di causa a effetto (sentenza BST/Commissione, punto 118 supra, EU:T:2010:167, punto 167).

120    Occorre rilevare che il Parlamento non nega l’esistenza del danno materiale lamentato dal ricorrente, ossia le spese del suo legale, a condizione che esista un comportamento illecito.

121    Viceversa, per quanto concerne il danno morale, è giocoforza constatare che il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di un danno siffatto. Egli si è limitato a sostenere che l’atteggiamento noncurante e dilatorio del Parlamento lo aveva profondamente ferito e gli aveva provocato un notevole stress, senza fornire nessun elemento di prova a sostegno di tale affermazione. Di conseguenza, quest’ultima non può essere accolta.

122    Alla luce di quanto sin qui esposto, occorre respingere gli argomenti del ricorrente relativi all’esistenza di un danno morale.

123    Infine, occorre ricordare che un nesso di causalità è riconosciuto quando esiste una relazione diretta di causa a effetto tra l’illecito commesso dall’istituzione interessata e il danno lamentato e che spetta ai ricorrenti fornirne la prova (sentenza del 28 settembre 1999, Hautem/BEI, T‑140/97, Racc. PI, EU:T:1999:176, punto 85). In base a una giurisprudenza consolidata, il danno deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento denunciato (sentenza del 25 giugno 1997, Perillo/Commissione, T‑7/96, Racc., EU:T:1997:94, punto 41).

124    Dalla giurisprudenza discende che, benché non si possa vietare agli interessati di avvalersi in una fase precontenziosa di consulenze legali, si tratta di una loro scelta personale, che non può essere imputata all’istituzione coinvolta (sentenze del 9 marzo 1978, Herpels/Commissione, 54/77, Racc., EU:C:1978:45, punto 48; del 28 giugno 2007, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, C‑331/05 P, Racc., EU:C:2007:390, punto 24, e dell’8 luglio 2008, Franchet e Byk/Commissione, T‑48/05, Racc., EU:T:2008:257, punto 415). Le spese, affrontate pertanto liberamente dall’interessato, non possono essere quindi imputabili al Parlamento (v., in tal senso, sentenza Internationaler Hilfsfonds/Commissione, cit., EU:C:2007:390, punto 27). Di conseguenza, manca qualsiasi nesso di causalità tra il presunto danno materiale sofferto dal ricorrente e il comportamento del Parlamento.

125    Di conseguenza, gli argomenti del ricorrente relativi al nesso di causalità tra il presunto illecito e il danno materiale devono essere parimenti respinti.

126    Alla luce di ciò, occorre respingere come infondata la domanda del ricorrente diretta al risarcimento del danno asseritamente subìto.

 Sulle spese

127    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il ricorrente, poiché è rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese, conformemente alle conclusioni del Parlamento.

128    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, il GEPD sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      Il sig. CN sopporterà le spese del Parlamento europeo nonché le proprie spese.

3)      Il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD) sopporterà le proprie spese.

Frimodt Nielsen

Dehousse

Collins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 3 dicembre 2015.

Firme


* Lingua processuale: l’italiano.