Language of document : ECLI:EU:C:2024:14

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate l’11 gennaio 2024 (1)

Causa C48/22 P

Google LLC,

Alphabet, Inc.

contro

Commissione europea

«Concorrenza – Abuso di posizione dominante – Ricerca generale su Internet – Ricerca specializzata di prodotti su Internet – Decisione che constata una violazione dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE – Abuso per effetto leva – Concorrenza basata sui meriti – Disparità di trattamento mediante autofavoritismo – Visualizzazione favorita dei risultati del proprio servizio di ricerca specializzata – Potenziali effetti di esclusione – Analisi controfattuale – Ipotetico concorrente altrettanto efficiente»






I.      Introduzione

1.        L’impugnazione proposta da Google LLC e dalla Alphabet Inc. (in prosieguo: le «ricorrenti in sede di impugnazione») si rivolge contro la sentenza del Tribunale del 10 novembre 2021, Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping) (2) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»). Nell’ambito di tale pronuncia, il Tribunale ha in sostanza respinto il ricorso delle ricorrenti avverso la decisione Google Search (Shopping) della Commissione europea del 27 giugno 2017 (3) (in prosieguo: la «decisione controversa»). In quest’ultima, la Commissione aveva constatato che Google aveva abusato, ai sensi dell’articolo 102 TFUE, della posizione dominante che essa deteneva in diversi mercati nazionali della ricerca generale su Internet e della ricerca specializzata di prodotti. L’abuso sarebbe consistito, in particolare, nel fatto che Google, nel visualizzare i risultati di ricerca sulla sua pagina dei risultati generali, svantaggiava i servizi di comparazione dei prodotti concorrenti rispetto al proprio servizio di comparazione dei prodotti. Nel loro ricorso, le ricorrenti avevano chiesto l’annullamento della decisione controversa e, in subordine, la riduzione dell’importo dell’ammenda loro inflitta.

2.        Le questioni di diritto relative all’articolo 102 TFUE che si pongono nella presente causa rivestono una grande importanza sotto il profilo giuridico e pratico.

3.        Da un lato, occorre precisare a quali condizioni la differenza di trattamento posta in essere da un’impresa in posizione dominante nei confronti dei concorrenti, in particolare sotto forma di autofavoritismo nei mercati digitali, si discosti dai (normali) mezzi della concorrenza basata sui meriti e possa quindi essere qualificata come un abuso. È particolarmente controverso se, a tal fine, i rigorosi criteri riconosciuti tra l’altro nella sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (4) (in prosieguo: la «sentenza Bronner») si possano applicare ai fini del riconoscimento di un abuso mediante il rifiuto di fornire l’accesso a un «servizio essenziale».

4.        D’altro lato, è necessario specificare ulteriori criteri che consentano di individuare una prassi contraria all’articolo 102 TFUE. In tale ambito rientra la questione se e in che modo la Commissione debba dimostrare mediante un’analisi controfattuale che tale pratica produce effetti di esclusione quantomeno potenziali. Inoltre, occorre stabilire se la prova di un siffatto effetto di esclusione, in un caso come quello di specie, imponga alla Commissione di esaminare il criterio del concorrente altrettanto efficace o efficiente (5).

II.    Fatti

A.      Fatti all’origine della controversia

5.         I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 20 della sentenza impugnata e possono essere riassunti come segue:

6.        Google LLC è una società con sede a Mountain View, California (Stati Uniti), che offre, tra l’altro, varie funzioni di ricerca su Internet in tutto il mondo. La più nota è il motore di ricerca generale disponibile all’indirizzo Internet www.google.com o ai corrispondenti indirizzi Internet regionali. La Alphabet, Inc., anch’essa con sede a Mountain View, è dal 2 ottobre 2015 azionista unica di Google e società madre del gruppo a cui appartiene anche Google.

7.        Gli utenti di Internet possono avviare un processo di ricerca inserendo termini di ricerca sul sito di Google. I risultati di ricerca vengono ordinati secondo la pertinenza e quindi visualizzati sulla base di vari criteri e utilizzando diversi algoritmi.

8.        Di particolare importanza nel caso di specie è la distinzione tra la ricerca generale e la ricerca specializzata di informazioni su Internet. Una ricerca generale può avere ad oggetto molti scopi e termini di ricerca. Una ricerca specializzata, invece, persegue uno scopo di ricerca specifico in relazione a determinati prodotti, servizi, contenuti o informazioni. Sulla base dei termini di ricerca inseriti dagli utenti, Google effettua una ricerca generale, una ricerca specializzata o una combinazione di entrambe le ricerche e presenta loro i risultati utilizzando algoritmi.

9.        Nel periodo in questione, Google era in concorrenza con altri operatori di motori di ricerca generali come AltaVista, Yahoo, Bing o Qwant, alcuni dei quali offrivano anche servizi di ricerca specializzata (in prosieguo: i «motori di ricerca»). Esistevano inoltre operatori di motori di ricerca specifici per la comparazione dei prodotti, come Bestlist, Nextag, IdealPrice, Twenga, Kelkoo o Prix.net (in prosieguo: i «comparatori di prodotti»).

10.      Oggetto della decisione controversa e della sentenza impugnata sono le ricerche di prodotti e la presentazione dei risultati di una siffatta ricerca sul sito Internet di Google per i risultati della ricerca generale. A seguito di una ricerca di prodotti, un motore di ricerca o un comparatore di prodotti mostra, come risultati, vari siti Internet sui quali il prodotto cercato può essere acquistato. Può trattarsi di siti Internet di venditori o di piattaforme commerciali quali eBay o Amazon.

11.      Google ha proposto, per la prima volta nel 2002 (negli Stati Uniti) e nel 2004 (in Europa), una ricerca di prodotti distinta in aggiunta alla ricerca generale. Utilizzando una banca dati alimentata dalle informazioni dei venditori, il cosiddetto «indice prodotti», i risultati della ricerca venivano ordinati e visualizzati secondo la loro pertinenza sulla base di algoritmi specifici. Si trattava di algoritmi di ricerca diversi da quelli utilizzati nell’ambito della ricerca generale su Internet mediante il processo denominato «crawling» per estrarre informazioni dai siti Internet, indicizzarle, includerle nell’«indice web» di Google, ordinarle e visualizzarle secondo la loro pertinenza. Google ha inizialmente reso possibile la ricerca specializzata di prodotti su un sito Internet distinto, denominato «Froogle».

12.      A partire dal 2003 (negli Stati Uniti) e dal 2005 (in Europa), Google ha integrato i risultati della ricerca specializzata di prodotti in quelli della ricerca generale. Fino al 2007, i risultati della ricerca di prodotti erano aggregati e visualizzati all’interno di una «Product OneBox» visivamente differenziata e distinta nei risultati della ricerca generale. Tale «box» conteneva anche link ai siti Internet dei venditori e alla pagina Froogle con una selezione più ampia di venditori e piattaforme commerciali. Oltre alla Product OneBox, comparivano anche, quali risultati della ricerca generale, siti Internet di altri comparatori di prodotti.

13.      Nel 2007 Google ha dichiarato di aver modificato la presentazione dei risultati della ricerca di prodotti nei risultati della ricerca generale. Ha rinominato la pagina Froogle «Product Search» e la Product OneBox «Product Universal» e successivamente «Shopping Units». La stessa ha inoltre integrato i risultati della ricerca di prodotti con fotografie e informazioni più dettagliate, in particolare sul prezzo dei prodotti e sulla loro valutazione da parte dei clienti. Per contro, i risultati della ricerca generale, nei quali erano visualizzate anche le pagine di altri comparatori di prodotti, continuavano a contenere un semplice link blu senza fotografie né testo. Un meccanismo denominato «Universal Search» consentiva di dare la priorità, nella pagina generale dei risultati, ai prodotti pertinenti della Product OneBox e del Product Universal, rispetto ai risultati della ricerca generale. Dal settembre 2010, in Europa Google ha consentito agli inserzionisti e agli utenti di Internet di vedere, cliccando sul testo, in un formato ingrandito rispetto all’annuncio di testo iniziale, le foto dei prodotti cercati nonché i loro prezzi come proposti.

14.      Oltre alla diversa presentazione visiva dei risultati della ricerca di prodotti nel Product Universal o nelle Shopping Units e di quelli della ricerca generale, Google – secondo quanto stabilito nella decisione controversa (6) – ha introdotto dal 2011 speciali «algoritmi di aggiustamento», in particolare l’algoritmo «Panda». Quest’ultimo era applicato solo ai risultati della ricerca generale per ordinarli secondo la loro pertinenza, ma non ai risultati della ricerca di prodotti del comparatore di prodotti di Google, visualizzati in modo prominente nel Product Universal o nelle Shopping Units.

15.      A partire dal 2013, il motore di ricerca di Google presentava i risultati di una ricerca di prodotti come segue: le Shopping Units contenevano, sotto il titolo del termine di ricerca, un link al comparatore di prodotti di Google nonché, sotto le immagini dei prodotti, i link ai siti dei venditori e delle piattaforme commerciali. Tale presentazione era supportata dalla visualizzazione di fotografie, prezzi e valutazioni dei clienti. I link ad altri comparatori di prodotti, invece, non erano visualizzati nelle Shopping Units, ma apparivano sempre solo come risultati della ricerca generale mediante semplici link blu.

16.      Secondo le constatazioni della Commissione, riassunte nella sentenza impugnata (e non più contestate nell’ambito del procedimento di impugnazione) (7), dall’applicazione, tra l’altro, dell’algoritmo Panda è derivato che i siti Internet di altri comparatori di prodotti venivano spesso visualizzati molto più in basso nei risultati della ricerca generale, in quanto essi rimandavano solo ai siti Internet di altri venditori e piattaforme commerciali senza presentare contenuti propri. Tuttavia, tali algoritmi non sarebbero stati applicati al comparatore di prodotti di Google, nonostante il fatto che condividesse numerose caratteristiche con i comparatori di prodotti concorrenti, caratteristiche che lo avrebbero esposto alle stesse retrocessioni nei risultati generici. Di conseguenza, dopo il lancio del Product Universal, i risultati del comparatore di prodotti di Google apparivano nella maggior parte dei casi al di sopra di tutti i risultati della ricerca generale o tra i primi risultati generali, ossia in una posizione di estrema visibilità, con l’obiettivo, secondo una e-mail interna di Google, di «aumentare il traffico in modo significativo». La visibilità dei link ad altri comparatori di prodotti aveva raggiunto il picco alla fine del 2010 ed aveva subìto un calo improvviso e drastico dopo il lancio dell’algoritmo Panda nel Regno Unito, in Germania, in Francia, in Italia e in Spagna. La loro presentazione era ancora limitata alla riproduzione di un semplice link blu, cioè senza fotografie e informazioni aggiuntive sui prodotti, sui prezzi e sul venditore. Il fatto che le Shopping Unit con i risultati della ricerca di prodotti del comparatore di prodotti di Google non fossero soggette agli stessi meccanismi di classificazione, in particolare all’algoritmo Panda, e che apparissero evidenziate all’interno di una «box» in una posizione di estrema visibilità in cima ai risultati della ricerca generale, insieme alla presentazione di caratteristiche grafiche più ricche, tra cui fotografie e informazioni dinamiche, come previsto da Google, avrebbe portato a un tasso di clic più elevato da parte degli utenti di Internet e quindi a un aumento dei suoi introiti.

17.      La combinazione delle pratiche messe in atto dal 2008, che avrebbe dovuto avere l’effetto di favorire i risultati della ricerca del comparatore di prodotti di Google nella pagina dei risultati della ricerca generale rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti (in prosieguo: la «pratica contestata»), è oggetto della presente causa.

B.      Procedimento amministrativo e decisione controversa

18.      Dal 2009 la Commissione ha ricevuto diverse denunce relative alla suesposta pratica di Google. Il 30 novembre 2010 la Commissione ha avviato un procedimento formale di indagine ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 773/2004 (8). Esso ha dato luogo all’adozione, il 13 marzo 2013, di una valutazione preliminare da parte della Commissione ai sensi dell’articolo 9 del regolamento (CE) n. 1/2003 (9). Dopo aver ascoltato i denuncianti, la Commissione ha respinto gli impegni successivamente proposti da Google tra l’aprile 2013 e il gennaio 2014. Il 15 aprile 2015 essa è tornata al procedimento di constatazione di un’infrazione ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 1/2003 e ha adottato una comunicazione degli addebiti indirizzata a Google. Il 14 luglio 2016 è seguita una comunicazione degli addebiti supplementare.

19.      I dettagli dello svolgimento del procedimento amministrativo sono esposti ai punti da 21 a 39 della sentenza impugnata.

20.      Il 27 giugno 2017, la Commissione ha emesso la decisione controversa.

21.      Tale decisione giunge alla conclusione che Google ha abusato della sua posizione dominante nei mercati della ricerca generale su Internet e della ricerca specializzata di prodotti ai sensi dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE. L’abuso consisterebbe nel fatto che Google ha presentato i risultati del suo comparatore di prodotti nei risultati del suo motore di ricerca generale in modo visivamente più ricco rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti e ha applicato l’algoritmo Panda solo a questi ultimi. Tale pratica avrebbe portato a un aumento del traffico dal sito di Google dei risultati della ricerca generale verso il suo sito Internet per i risultati della ricerca di prodotti e a una riduzione del traffico verso i siti Internet dei comparatori di prodotti concorrenti. Ciò avrebbe comportato effetti potenzialmente restrittivi sulla concorrenza sia nei vari mercati nazionali dei servizi di ricerca generale su Internet sia in quelli di ricerca specializzata di prodotti. Dal punto di vista geografico e temporale, la Commissione ha constatato un siffatto abuso per diversi periodi di tempo a partire dal gennaio 2008 in un totale di tredici paesi del SEE, ossia in Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Svezia, Regno Unito e Norvegia.

22.      Nella decisione controversa, la Commissione motiva, in sostanza, tali conclusioni come segue (10):

23.      La Commissione opera una distinzione tra due mercati digitali, vale a dire il mercato dei servizi di ricerca generale su Internet (in prosieguo: il «mercato della ricerca generale») e quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti su Internet o dei comparatori di prodotti (in prosieguo: il «mercato della ricerca specializzata»), entrambi di portata nazionale (11). Per quanto riguarda il primo mercato, essa afferma che i servizi di ricerca generale offerti sui siti Internet – nel senso di piattaforme «bilaterali» – sono in concorrenza tra loro al fine di incoraggiare il maggior numero possibile di utenti di Internet a utilizzarli (gratuitamente) e di rafforzare in tal modo la domanda degli inserzionisti per un uso commerciale (a pagamento) (12).

24.      Nei mercati nazionali della ricerca generale, la Commissione constata l’esistenza di barriere all’ingresso particolarmente rigide. Per entrare in tali mercati sono necessari investimenti rilevanti. Un motore di ricerca può funzionare correttamente solo se un numero sufficiente di utenti invia un volume significativo di richieste di ricerca. Inoltre, un finanziamento adeguato presuppone l’inserimento di un numero sufficiente di annunci a pagamento sul sito Internet di tale motore di ricerca. Entrambi gli aspetti favorirebbero il leader del settore e renderebbero più difficile l’emergere di nuovi operatori in tale mercato (13). Google detiene dal 2008 una posizione dominante in tutti i mercati nazionali della ricerca generale nell’ambito del SEE, tranne che nella Repubblica ceca (dove tale posizione sarebbe detenuta solo dal 2011) (14).

25.      Per quanto riguarda i mercati nazionali della ricerca specializzata di prodotti, la Commissione afferma che il successo di un servizio di comparazione dei prodotti dipende soprattutto dal volume di traffico generato, ossia dal numero di clic effettuati dagli utenti di Internet sul sito in questione. Un volume significativo consentirebbe ai comparatori di prodotti di convincere i venditori a fornire loro più dati sui loro prodotti, su tale base di ampliare la loro offerta e, quindi, di renderla più attraente per i venditori, gli inserzionisti, gli utenti di Internet e i potenziali acquirenti, aumentando di conseguenza i loro introiti (15).

26.      Secondo la Commissione, la pratica contestata ha avuto l’effetto di ridurre il traffico proveniente dalle pagine dei risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti e di aumentare di conseguenza il traffico da tali pagine verso il suo comparatore di prodotti. I primi dieci risultati della ricerca generale sul sito Internet di Google, la maggior parte dei quali classificati nei primi tre-cinque risultati della prima pagina, hanno ricevuto circa il 95% dei clic degli utenti di Internet, generando così il maggior traffico. Il posizionamento più basso dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti costituirebbe per questi ultimi un significativo svantaggio (16), che non potrebbe essere efficacemente sostituito da altre fonti di traffico (17).

27.      Secondo la Commissione, la pratica contestata ha generato effetti potenzialmente restrittivi sulla concorrenza nei mercati nazionali della ricerca generale e della ricerca specializzata di prodotti. In questi ultimi mercati, tale pratica potrebbe indurre i concorrenti a cessare le loro attività, avere un impatto negativo sull’innovazione e ridurre le possibilità dei consumatori di accedere ai servizi più efficienti. Ciò inciderebbe quindi sulla struttura concorrenziale di tali mercati. Nei mercati della ricerca generale, Google avrebbe utilizzato gli introiti supplementari generati nell’ambito delle ricerche specializzate di prodotti per rafforzare i suoi servizi di ricerca generale e mantenere così la sua posizione dominante in tali mercati (18).

28.      Per tali pratiche, la Commissione ha inflitto a Google un’ammenda di importo pari a EUR 2 424 495 000, di cui EUR 523 518 000 in solido con Alphabet, sua azionista unica (19).

C.      Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

29.      Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale l’11 settembre 2017, le ricorrenti in sede di impugnazione hanno chiesto l’annullamento della decisione controversa. In subordine, esse hanno chiesto l’annullamento o la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta.

30.      Il procedimento dinanzi al Tribunale è dettagliatamente descritto ai punti da 79 a 118 della sentenza impugnata.

31.      Nell’ambito di tale procedimento, sono stati ammessi gli interventi, a sostegno delle conclusioni della Commissione, del Bureau européen des unions de consommateurs (Ufficio europeo delle unioni dei consumatori; in prosieguo: il «BEUC»), della Infederation Ltd (in prosieguo: la «Foundem»), del Verband Deutscher Zeitschriftenverleger e. V. (in prosieguo: il «VDZ»), del BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger e. V. (in prosieguo: il «BDZV»), di Visual Meta GmbH, Twenga, dell’Autorità di vigilanza EFTA, di Kelkoo e della Repubblica federale di Germania. È stato ammesso l’intervento della Computer & Communication Industry Association (in prosieguo: la «CCIA») a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti in sede di impugnazione.

32.      Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha annullato la decisione controversa nei limiti in cui la Commissione vi aveva constatato una violazione dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo SEE mediante un abuso, da parte di Google, della propria posizione dominante nei tredici mercati nazionali della ricerca generale. Il Tribunale ha respinto il ricorso quanto al resto e ha confermato la conclusione, formulata nella decisione in esame, secondo cui Google aveva abusato della propria posizione dominante nei tredici mercati nazionali della ricerca specializzata di prodotti. Lo stesso, nell’esercizio della sua competenza estesa al merito, ha confermato l’intero importo dell’ammenda inflitta dalla Commissione alle ricorrenti in sede di impugnazione.

III. Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

33.      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 20 gennaio 2022, le ricorrenti hanno proposto impugnazione avverso la sentenza impugnata.

34.      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 2 febbraio 2022, le ricorrenti hanno chiesto che l’allegato 2 del loro atto d’impugnazione, contenente la decisione controversa nella versione corrispondente all’allegato 1 del loro ricorso, fosse sottoposto a un trattamento riservato nei confronti delle parti intervenienti. In primo grado, il Tribunale aveva già disposto un siffatto trattamento riservato. Con ordinanza del 22 marzo 2022, il Presidente della Corte ha accolto tale istanza (20).

35.      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 9 giugno 2022, la PriceRunner International AB (in prosieguo: la «PriceRunner») ha chiesto, ai sensi dell’articolo 40, secondo comma, dello Statuto della Corte, di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 1° settembre 2022, il Presidente della Corte ha accolto tale istanza. In tale decisione, il trattamento riservato dell’allegato 2 dell’atto d’impugnazione nei confronti della PriceRunner è stato oggetto di riserva e tale società è stata autorizzata a depositare una memoria di intervento.

36.      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 17 giugno 2022, la FairSearch AISBL ha chiesto, sulla base dell’articolo 40, secondo comma, dello Statuto della Corte, di intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione. Con ordinanza del 1° settembre 2022, il Presidente della Corte di giustizia ha respinto tale istanza.

37.      Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

–        annullare la sentenza impugnata;

–        annullare la decisione controversa o, in subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché statuisca;

–        condannare la Commissione alle spese inerenti al procedimento d’impugnazione e al procedimento dinanzi al Tribunale;

–        condannare la PriceRunner alle spese sostenute a causa del suo intervento.

38.      La Commissione chiede che la Corte voglia:

–        respingere l’impugnazione e

–        condannare le ricorrenti alle spese.

39.      La CCIA chiede l’annullamento della sentenza impugnata, l’annullamento della decisione controversa o, in subordine, il rinvio della causa dinanzi al Tribunale per la decisione e la condanna della Commissione alle spese relative al suo intervento.

40.      L’Autorità di vigilanza EFTA chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese.

41.      Il BEUC chiede di respingere l’impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese relative al suo intervento nell’ambito del procedimento di impugnazione.

42.      La Foundem chiede alla Corte di respingere l’impugnazione in quanto manifestamente irricevibile o integralmente infondata e di condannare le ricorrenti alle spese relative al suo intervento.

43.      Kelkoo chiede che l’impugnazione sia dichiarata irricevibile nella parte in cui si rivolge contro le valutazioni di fatto del Tribunale e infondata quanto al resto e che le ricorrenti siano condannati alle spese relative al suo intervento.

44.      Ladenzeile (in precedenza: Visual Meta GmbH), il BDZV e il VDZ chiedono che l’impugnazione sia integralmente respinta e che le ricorrenti siano condannate alle spese, comprese quelle relative al suo intervento.

45.      Twenga chiede alla Corte di respingere i motivi di impugnazione delle ricorrenti, di confermare la sentenza impugnata nonché la decisione controversa e di condannare le ricorrenti alle spese.

46.      La PriceRunner chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese relative al suo intervento.

47.      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti posti dalla Corte all’udienza tenutasi il 19 settembre 2023.

48.      In risposta a un quesito posto dalla Corte, le ricorrenti hanno rinunciato all’impugnazione, come riportato nel verbale d’udienza, nei limiti in cui essa era diretta contro la parte della sentenza impugnata con cui il Tribunale aveva accolto le loro conclusioni (punto 1 del dispositivo).

IV.    Analisi

A.      Ricevibilità

49.      Le domande avanzate dalla Foundem e da Kelkoo e dirette a ottenere il rigetto dell’impugnazione in quanto (manifestamente) irricevibile non possono essere accolte. Né le loro osservazioni scritte, né le dichiarazioni rese in udienza dalle stesse consentono di ravvisare un’adeguata motivazione in tal senso.

50.      In particolare, l’argomento della Foundem secondo cui l’impugnazione sarebbe fondata su una presentazione ingannevole o lacunosa di fatti rilevanti o su una rivalutazione inammissibile di questi ultimi non soddisfa i requisiti riconosciuti dalla giurisprudenza per dimostrare l’irricevibilità di un’impugnazione. Ciò avviene solo se essa mira ad ottenere un riesame di fatti e prove per i quali la Corte non è, in linea di principio, competente nell’ambito di un procedimento di impugnazione (21). Tuttavia, ciò non si verifica nel caso di nessuno dei motivi dedotti nell’ambito dell’impugnazione di cui trattasi. Inoltre, né dalle affermazioni della Foundes né da quelle di Kelkoos si evince chiaramente se e in quale misura l’asserita contestazione, nell’impugnazione, delle valutazioni di fatto del Tribunale si distingua dall’analisi asseritamente erronea effettuata in punto di diritto dallo stesso.

51.      Di conseguenza, l’impugnazione è ricevibile.

B.      Motivi dell’impugnazione

52.      A sostegno della loro impugnazione le ricorrenti deducono quattro motivi.

53.      Con il primo motivo di impugnazione, le ricorrenti contestano in sostanza al Tribunale di non aver riconosciuto che Google non era tenuta a fornire ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso non discriminatorio al suo servizio di ricerca su Internet, in particolare alle «boxes» destinate alla ricerca di prodotti.

54.      Con il secondo motivo di impugnazione, le ricorrenti fanno valere diversi errori di diritto in cui sarebbe incorso il Tribunale, riconoscendo che nella decisione controversa era dimostrata la deviazione del comportamento di Google dai mezzi della normale concorrenza basata sui meriti.

55.      Con il terzo motivo di impugnazione, le ricorrenti sostengono che il Tribunale sarebbe incorso in errori di diritto nella determinazione del nesso di causalità tra la pratica contestata e i suoi probabili effetti, in particolare in quanto non ha contestato l’assenza di un’analisi controfattuale nella decisione controversa.

56.      Con il quarto motivo di impugnazione, le ricorrenti contestano al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto ritenendo che la Commissione non fosse obbligata a valutare se la pratica contestata fosse atta a precludere il mercato a concorrenti altrettanto efficienti.

C.      Abuso o mezzo della concorrenza basata sui meriti? (primo e secondo motivo di impugnazione)

1.      Considerazioni preliminari

57.      Il primo e il secondo motivo di impugnazione vertono sulla questione se il Tribunale abbia commesso errori di diritto confermando che la pratica contestata si discosta dai mezzi di una normale concorrenza basata sui meriti e, pertanto, costituisce una pratica abusiva ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Mentre il secondo motivo ha in generale ad oggetto diverse censure relative alla distinzione tra la concorrenza basata sui meriti e una pratica abusiva, il primo motivo di impugnazione riguarda la questione specifica dell’applicabilità dei criteri riconosciuti, in particolare, nella sentenza Bronner (22) (in prosieguo: i «criteri Bronner»).

58.      La Corte ha sviluppato i criteri Bronner per valutare se il rifiuto di un’impresa dominante di fornire ai suoi concorrenti l’accesso (non discriminatorio) a una risorsa essenziale, ad esempio una licenza per l’esercizio di diritti di proprietà intellettuale o un’infrastruttura di sua proprietà, costituisca un abuso. Tale giurisprudenza è già da tempo oggetto di discussione con le parole chiave «servizio essenziale» («essential facility») (23). Come dimostra anche il caso di specie, l’ambito di applicazione dei criteri in esame è molto controverso. La loro applicazione dovrebbe, a mio avviso, rimanere limitata ai casi originariamente riconosciuti di rifiuto di fornitura o di accesso. Pertanto, qualora un siffatto rifiuto non sussista, come nella presente causa, e si configurino soltanto condizioni inique o discriminatorie per la fornitura o l’accesso, l’applicazione di tali criteri non viene in rilievo.

59.      Contrariamente all’ordine con cui il Tribunale ha esaminato il quinto motivo di ricorso (24), esaminerò anzitutto il primo (sub 1) e poi il secondo motivo di impugnazione (sub 2) al fine di verificare se il Tribunale potesse, senza commettere errori di diritto, confermare il carattere abusivo della pratica contestata.

2.      Applicabilità dei criteri Bronner (primo motivo di impugnazione)

a)      Sintesi delle censure del primo motivo di impugnazione

60.      Con il primo motivo di impugnazione, le ricorrenti contestano, in sostanza, al Tribunale di aver commesso un errore di diritto e di aver indebitamente sostituito la motivazione contenuta nella decisione controversa non applicando i criteri Bronner (prima parte) e dichiarandoli inapplicabili (seconda parte). Tuttavia, tali criteri si potrebbero applicare a qualsiasi obbligo, imposto a un’impresa dominante, di fornire ai concorrenti l’accesso a un servizio essenziale e, in linea di principio, a tutte le forme di disparità di trattamento. Le Shopping Units visualizzate nella pagina dei risultati generali di Google sarebbero un’infrastruttura distinta sviluppata dalla stessa Google. Il posizionamento più favorevole dei risultati del proprio comparatore di prodotti riguarderebbe quindi la questione relativa a un accesso non paritario ma conforme alla concorrenza basata sui meriti a tale infrastruttura in base alla sentenza Bronner. Tuttavia, a seguito della decisione controversa, Google dovrebbe garantire ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso paritario alle Shopping Units. Il Tribunale avrebbe erroneamente respinto tale argomento.

61.      La Commissione, sostenuta dalle parti intervenute a suo favore, nega che il Tribunale abbia sostituito la motivazione della decisione controversa. Inoltre, essa replica, in sostanza, che le «boxes» delle Shopping Units non costituiscono un’infrastruttura distinta. Esse farebbero parte, piuttosto, della pagina dei risultati generali di Google, il cui accesso sarebbe già stato fornito ai comparatori di prodotti concorrenti. La censura dedotta nella decisione controversa riguarderebbe essenzialmente non la questione dell’accesso a un’infrastruttura distinta, bensì la pratica di Google di favorire, nella sua pagina dei risultati generali, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti, pratica che potrebbe escludere questi ultimi dal mercato. I criteri Bronner non sarebbero applicabili né a livello generale né a un siffatto caso di autofavoritismo.

b)      Conclusioni contestate del Tribunale

62.      Il primo motivo di impugnazione riguarda le considerazioni esposte ai punti da 212 a 249 della sentenza impugnata, che in sostanza formulano le seguenti constatazioni in risposta alla seconda parte del quinto motivo di ricorso.:

63.      Il Tribunale fa anzitutto riferimento ai punti da 649 a 651 della decisione controversa, secondo cui i criteri Bronner non sarebbero applicabili alle circostanze del caso di specie per tre motivi. Secondo la Commissione, in primo luogo, gli abusi per effetto leva costituivano forme consolidate e autonome di abuso, che si discostavano dalla concorrenza basata sui meriti. In secondo luogo, la pratica contestata non consisteva in un rifiuto, da parte di Google, di accesso passivo alle sue pagine dei risultati generali, ma in un favoritismo attivo mediante la promozione del proprio comparatore di prodotti rispetto ai comparatori concorrenti. In terzo luogo, a differenza di quanto avveniva nella causa oggetto della sentenza Bronner, nel caso di specie non era necessario che l’impresa dominante, per porre fine all’abuso, cedesse un bene o stipulasse contratti con persone che non aveva scelto (25).

64.      Dopo aver esposto i criteri Bronner, compreso quello relativo all’indispensabilità dell’accesso ai servizi essenziali per mantenere o rendere possibile la concorrenza (26), il Tribunale si chiede se le condizioni alle quali Google fornisce ai comparatori di prodotti concorrenti l’accesso alle pagine dei risultati della sua ricerca generale debbano soddisfare tali criteri (27).

65.      In primo luogo, tenuto conto, tra l’altro, della sezione 7.2.4.2 e dei punti 662, 699 e 700, lettera c), della decisione controversa, il Tribunale ritiene che quest’ultima miri essenzialmente a fornire ai comparatori di prodotti concorrenti lo stesso accesso alle pagine dei risultati della ricerca generale di Google, indipendentemente dal tipo di risultati, che in precedenza era riservato al comparatore di prodotti di Google (28).

66.      In secondo luogo, alla luce dei punti 341, 342, 344 e da 649 a 652 della decisione controversa, il Tribunale constata, in sostanza, che la Commissione, per accertare la pratica abusiva, non si è basata sui criteri Bronner bensì sulla giurisprudenza applicabile agli abusi per effetto leva. La Commissione avrebbe concluso che Google faceva leva sulla sua posizione dominante nel mercato della ricerca generale per favorire il proprio comparatore di prodotti nel mercato della ricerca specializzata di prodotti, favoritismo che avrebbe portato a un’esclusione potenziale o effettiva della concorrenza nel mercato a valle (29). Il Tribunale aggiunge che «la pagina dei risultati generale di Google presenta caratteristiche che la avvicinano a un servizio essenziale (…), nel senso che non esiste attualmente alcun sostituto reale o potenziale disponibile che consenta di sostituirla in modo economicamente sostenibile nel mercato». Esso rinvia, a tal riguardo, ai punti da 170 a 173 della sentenza impugnata e alla sezione 7.2.4 della decisione controversa. Il traffico di ricerca proveniente dalle pagine dei risultati generali di Google rappresentava quindi un’ampia percentuale del traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti e non poteva essere sostituito in modo efficace o «economicamente sostenibile» da altre fonti di traffico a loro disposizione. La Commissione ha pertanto ritenuto che tale traffico fosse «indispensabile» per i comparatori di prodotti concorrenti (30). Infine, nella sezione 7.3 della decisione controversa, essa avrebbe concluso che la pratica contestata poteva «portare alla potenziale eliminazione di qualsiasi concorrenza» (31).

67.      In terzo luogo, il Tribunale afferma, in modo piuttosto macchinoso, che, sebbene le pratiche contestate non siano «estranee a un problema di accesso», esse sono tuttavia distinte nei loro elementi costitutivi dal rifiuto di accesso o di fornitura in base ai criteri Bronner. Questi ultimi non dovrebbero quindi essere applicati a un siffatto comportamento autonomo, anche se può avere gli stessi effetti di esclusione (32). Un «rifiuto» di fornitura implica, da un lato, un carattere espresso, ossia l’esistenza di una «domanda» o in ogni caso della volontà di ottenere un accesso e di un «rifiuto» correlativo. Dall’altro, l’effetto di esclusione dovrebbe basarsi principalmente sul rifiuto in quanto tale e non su un’altra pratica, ad esempio una forma di abuso per effetto leva. In mancanza di un rifiuto espresso di fornitura, pratiche aventi effetti comparabili, ma che, tenuto conto dei loro elementi costitutivi, i quali per loro stessa natura si discostano dalla concorrenza basata sui meriti, costituiscono una violazione autonoma dell’articolo 102 TFUE, non dovrebbero quindi essere analizzate alla luce dei criteri rigorosi stabiliti per siffatto rifiuto (33).

68.      Inoltre, secondo il Tribunale, tutte, o almeno, la maggior parte delle pratiche di esclusione potrebbero costituire rifiuti impliciti di fornitura, poiché tendono a rendere più difficile l’accesso a un mercato. Tuttavia, i criteri di Bronner non possono essere applicati a tutte queste pratiche. Infatti, ciò disattenderebbe la lettera e lo spirito dell’articolo 102 TFUE, la cui portata non può essere limitata alle pratiche abusive vertenti su beni e servizi «indispensabili» ai sensi di tale sentenza (34). Inoltre, nella giurisprudenza relativa ai problemi di accesso a un servizio, come nel caso della compressione dei margini e delle vendite collegate, non sarebbe stato richiesto di dimostrare il requisito di indispensabilità (35).

69.      Il Tribunale ritiene quindi che i criteri Bronner non siano applicabili nel caso di specie (36). La differenza di trattamento contestata a Google costituirebbe una forma autonoma di abuso per effetto leva (37).

70.      Infine, il Tribunale respinge, tra l’altro, l’argomento di Google secondo cui l’obbligo per un’impresa che sfrutta in modo abusivo una posizione dominante di cedere beni, stipulare contratti o fornire l’accesso al suo servizio a condizioni non discriminatorie implicherebbe necessariamente l’applicazione dei criteri Bronner. Infatti, non può esistere un’automaticità tra i criteri di qualificazione giuridica dell’abuso e le misure correttive che consentono di porvi rimedio. Pertanto, il criterio basato sulla necessità di cedere beni o di stipulare contratti per porre fine all’infrazione è inoperante nell’ambito delle infrazioni attive che, come nel caso di specie, si distinguono da un semplice rifiuto di fornitura (38).

c)      Analisi

1)      Disparità di trattamento mediante autofavoritismo come forma autonoma di abuso

71.      Le affermazioni – alquanto macchinose e ridondanti – del Tribunale ai punti 212 e seguenti della sentenza impugnata sono nuove nella misura in cui per la prima volta la giurisprudenza qualifica espressamente come abusiva ai sensi dell’articolo 102 TFUE la disparità di trattamento nella forma dell’autofavoritismo di un’impresa dominante mediante un effetto leva. Tuttavia, come dimostrerò in prosieguo, tale interpretazione può fondarsi sui criteri elaborati dalla giurisprudenza precedente ai fini dell’applicazione della nozione di pratica abusiva e non vi si può quindi ravvisare alcun errore di diritto.

72.      La pratica contestata consiste, essenzialmente, nel fatto che Google ha sfruttato la sua (incontestata) posizione dominante nel mercato a monte della ricerca generale, mediante un effetto leva, per procurare un vantaggio concorrenziale al proprio comparatore di prodotti rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti nel mercato a valle della ricerca specializzata di prodotti su cui essa non deteneva una posizione del genere. Tale vantaggio si fondava sulla preferenza accordata al proprio comparatore di prodotti sulla pagina dei risultati generali a seguito delle richieste di ricerca specializzata di prodotti degli utenti di Internet. Utilizzando algoritmi specifici, in particolare l’algoritmo Panda, Google presentava i risultati di ricerca del proprio comparatore di prodotti in cima alla sua pagina dei risultati generali e in modo prominente, con informazioni grafiche e testuali attraenti, nelle Shopping Units. Per contro, i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti apparivano su tale pagina solo in posizione meno favorevole come link blu. È parimenti pacifico che la Commissione ha dimostrato, e il Tribunale ha confermato, che tale pratica ha avuto un impatto duraturo sul comportamento degli utenti e sul traffico a vantaggio di Google e a danno dei comparatori di prodotti concorrenti. Le sezioni 7.1 e 7.2 della decisione controversa qualificano tale disparità di trattamento mediante autofavoritismo come una forma autonoma di abuso (39). A tal riguardo, la decisione in questione si basa tra l’altro sulla giurisprudenza relativa all’abuso derivante dall’utilizzo dell’effetto leva (40).

73.      Come illustrerò in prosieguo, la citata pratica contestata costituisce una deviazione dai mezzi della concorrenza basata sui meriti che non può essere messa in discussione dai criteri Bronner.

74.      A tal fine, esaminerò anzitutto i criteri giuridici elaborati dalla giurisprudenza per quanto riguarda la nozione di pratica abusiva ai sensi dell’articolo 102 TFUE e, più in particolare, la discriminazione dei concorrenti da parte di un’impresa in posizione dominante (sub 2). Analizzerò poi l’argomento di Google secondo cui una siffatta differenza di trattamento può costituire un abuso solo se sono soddisfatti i criteri Bronner (sub 3). Esaminerò quindi dettagliatamente le censure avanzate contro le constatazioni di cui ai punti 212 e seguenti della sentenza impugnata (sub 4).

2)      Criteri generali per la valutazione di un abuso mediante discriminazione dei concorrenti

75.      Il punto di partenza per individuare i criteri pertinenti ai fini dell’accertamento di una deviazione dagli strumenti della concorrenza basata sui meriti e di una pratica abusiva è l’articolo 102, lettera c), TFUE. Tale disposizione prevede espressamente un caso particolare di disparità di trattamento da parte di un’impresa in posizione dominante. Essa prevede che le pratiche abusive possano consistere in particolare «nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza».

76.      Tale ipotesi tipica indica principalmente una discriminazione tra diverse controparti commerciali o concorrenti dell’impresa in posizione dominante (41). Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, i casi di cui alle lettere da a) a d) della medesima disposizione non costituiscono una riproduzione esaustiva delle pratiche abusive (42). È quindi possibile, in linea di principio, qualificare come abusive forme di disparità di trattamento simili alla specifica ipotesi tipica di cui trattasi, che sono altrettanto pregiudizievoli per la concorrenza.

77.      Tale premessa è conforme, da un lato, al principio riconosciuto secondo cui all’impresa in posizione dominante incombe la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale nel mercato interno (43). Dall’altro, la nozione di sfruttamento abusivo di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE è una nozione oggettiva, anche se indeterminata, le cui condizioni devono essere stabilite caso per caso. Secondo una giurisprudenza costante, si tratta di comportamenti che, su un mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera l’impresa in posizione dominante, il grado di concorrenza è già sminuito, abbiano l’effetto di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi da quelli su cui si impernia la normale concorrenza fondata sulle prestazioni degli operatori economici, la conservazione o lo sviluppo della concorrenza ancora esistente (44). L’esame del carattere abusivo o conforme ai mezzi della concorrenza basata sui meriti della pratica di una siffatta impresa deve essere effettuato prendendo in considerazione tutte le circostanze specifiche della controversia (45).

78.      Nell’ambito del primo motivo di impugnazione, si pone dunque la questione se la disparità di trattamento mediante autofavoritismo contestata a Google costituisca una pratica assimilabile all’ipotesi tipica di cui all’articolo 102, lettera c), TFUE, pratica che pone i comparatori di prodotti concorrenti in una posizione di svantaggio concorrenziale con modalità che si discostano dai mezzi della concorrenza basata sui meriti. Google ritiene, per contro, nell’ambito del primo motivo di impugnazione, che a tale questione si possa dare una risposta affermativa solo se ricorrono cumulativamente i criteri Bronner per un rifiuto dell’accesso o della fornitura, che devono essere interpretati restrittivamente, ma che non sono soddisfatti nel caso di specie.

79.      Ritengo che tale argomento non sia sostenibile.

80.      I criteri Bronner riguardano tipicamente una situazione in cui un’impresa in posizione dominante rifiuta ai suoi concorrenti l’accesso a un’infrastruttura che essa ha sviluppato per le proprie attività e di cui è proprietaria. Dalla giurisprudenza si evince che un tale rifiuto può costituire un abuso solo a condizione che, in primo luogo, tale diniego possa eliminare del tutto la concorrenza sul mercato in questione da parte della persona che richiede l’accesso, in secondo luogo, che esso non sia obiettivamente giustificabile e, in terzo luogo, anche che tale infrastruttura sia, di per sé, indispensabile per l’esercizio dell’attività di tale persona, nel senso che non esiste alcun modo che possa realmente o potenzialmente sostituirsi alla stessa (46). In riferimento all’esistenza di siffatte circostanze eccezionali, la Corte aveva già in precedenza riconosciuto criteri corrispondenti nella sentenza Magill nell’ipotesi di un rifiuto di fornitura o di un diniego di licenza da parte del titolare di un diritto di proprietà intellettuale (47).

81.      Conformemente alla precedente giurisprudenza della Corte, ritengo che i criteri Bronner debbano essere applicati entro limiti rigorosi e unicamente in casi assimilabili al rifiuto di accesso o di fornitura. Tuttavia, ciò non vale per pratiche del tipo di cui alla presente causa che, come illustrerò ai paragrafi 88 e seguenti delle presenti conclusioni, non sono assimilabili a un siffatto rifiuto, ma nondimeno si discostano dai mezzi della concorrenza basata sui meriti, in particolare per il loro carattere iniquo e discriminatorio.

82.      Passo ora a illustrare i motivi per i quali il Tribunale ha potuto, in definitiva, ritenere che tali criteri non fossero applicabili nel caso di specie senza incorrere in errori di diritto.

3)      Assenza di un caso particolare di abuso mediante rifiuto di accesso o di fornitura (criteri Bronner)

83.      Come riconosciuto dalla giurisprudenza, i rigorosi criteri Bronner possono essere imposti in presenza delle circostanze proprie di un rifiuto di accesso o di fornitura e hanno una portata molto limitata alla luce degli obiettivi che essi perseguono (48).

84.      Infatti, tali criteri hanno carattere derogatorio e non si applicano in generale per constatare l’esistenza di un abuso (49). In virtù di detti criteri si dovrebbe trovare, nel caso specifico di un siffatto rifiuto, un giusto equilibrio tra l’uso fondamentalmente esclusivo di un diritto di proprietà (intellettuale) e la libertà contrattuale dell’impresa in posizione dominante, da un lato, e la creazione o il mantenimento della concorrenza, dall’altro.

85.      Come altresì affermato dal Tribunale al punto 217 della sentenza impugnata, i rigorosi criteri Bronner, in particolare quello di indispensabilità e quello relativo al rischio di eliminare del tutto la concorrenza, sono l’espressione concreta della contrapposizione tra due obiettivi (50).

86.      In primo luogo, i criteri in esame tengono conto della necessità di tutelare il diritto sancito quale principio dell’ordinamento e la libertà dell’impresa (dominante) di scegliere i suoi partner commerciali e di disporre dei suoi beni. Infatti, qualsiasi obbligo di accesso o di fornitura nei confronti dei suoi concorrenti che l’articolo 102 TFUE impone a tale impresa, implica una lesione di tale diritto e di tale libertà e deve quindi essere accuratamente soppesato e giustificato (51).

87.      D’altronde, criteri meno rigorosi dei criteri Bronner per riconoscere l’abuso attraverso il rifiuto di accesso o di fornitura sarebbero a loro volta idonei a pregiudicare eccessivamente la concorrenza, anche a danno dei consumatori. Solo consentendo a un’impresa di utilizzare in modo esclusivo le infrastrutture o i diritti di proprietà (intellettuale) da essa stessa sviluppati, si promuoverà o si manterrà l’incentivo originario a investire in essi (52). In altri termini, tale incentivo è un motore essenziale per gli investimenti e l’innovazione, che mirano proprio a promuovere il processo concorrenziale. Tuttavia, un obbligo di accesso o di fornitura imposto dall’articolo 102 TFUE potrebbe ridurre o addirittura annullare tale incentivo sia per l’impresa in posizione dominante sia per i suoi concorrenti. Infatti, ciò consentirebbe ai concorrenti di condividere gli utili derivanti da siffatti investimenti o innovazioni dell’impresa in posizione dominante senza dover essi stessi investire nello sviluppo di un’infrastruttura concorrente. Tale comportamento, detto anche parassitismo (free riding), può quindi pregiudicare, nel lungo termine, la concorrenza, ivi compreso il benessere dei consumatori. La promozione a breve termine della concorrenza basata su un obbligo di accesso o di fornitura non può compensare un siffatto pregiudizio (53). A tal riguardo, occorre altresì tener conto del fatto che lo scopo principale dell’articolo 102 TFUE è quello di preservare la concorrenza nel suo complesso, compresi gli interessi dei consumatori, e non gli interessi dei singoli concorrenti (54).

88.      Alla luce di tale ratio dei criteri Bronner, non posso ammettere che la qualificazione in base al diritto della concorrenza della pratica contestata, ossia la discriminazione mediante autofavoritismo, debba essere soggetta a criteri così rigorosi per poter constatare l’esistenza di un abuso. Ciò ridurrebbe inoltre indebitamente l’effetto utile dell’articolo 102 TFUE (55).

89.      Al contrario, la Corte ha già dichiarato che tali criteri non sono applicabili qualora un’impresa dominante, contrariamente a quanto avveniva nella causa che ha dato luogo alla sentenza Bronner, conceda già l’accesso alla propria infrastruttura o addirittura, come in materia di telecomunicazioni, debba concederlo in forza di disposizioni in vigore, ma subordini tale accesso a condizioni inique. Comportamenti del genere possono quindi configurare una forma autonoma di abuso, allorché producono effetti anticoncorrenziali almeno potenziali, o addirittura preclusivi, sul mercato interessato. Ciò è tanto più evidente quando l’accesso a una simile infrastruttura, a un determinato servizio o a un particolare fattore di produzione è indispensabile per consentire ai concorrenti dell’impresa dominante di operare in modo redditizio su un mercato a valle (56).

90.      L’autofavoritismo contestato a Google costituisce, a mio avviso, una forma autonoma di abuso risultante dall’applicazione di condizioni inique di accesso ai comparatori di prodotti concorrenti, purché esso produca effetti anticoncorrenziali almeno potenziali (v. paragrafi 159 e seguenti delle presenti conclusioni). I criteri Bronner non sono applicabili a una siffatta forma di abuso.

91.      Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti in sede di impugnazione, nella presente causa non vi è infatti alcun rifiuto di accesso o di fornitura in base ai criteri Bronner. Se non si applicano tali criteri, non è neppure limitato in modo iniquo il diritto di proprietà di Google sull’infrastruttura del suo servizio di ricerca generale o la sua libertà contrattuale, e ancor meno è pregiudicata la sua disponibilità ad investire o innovare. Al contrario, le parti intervenienti a sostegno della Commissione hanno dedotto in modo convincente, in particolare in udienza, di non aver mai chiesto a Google di ottenere l’accesso alle «boxes» delle Shopping Units, in quanto infrastruttura asseritamente distinta, o di stipulare un contratto in tal senso. Piuttosto, esse avevano chiesto la loro rimozione e il ritorno alla pratica originaria di presentare e classificare i risultati della ricerca esclusivamente in funzione della pertinenza dei criteri di ricerca inseriti dagli utenti di Internet.

92.      Come correttamente stabilito dal Tribunale ai punti 177 e 178 della sentenza impugnata, il modello commerciale di Google si basa invece sull’offerta di un’infrastruttura fondamentalmente aperta, concepita per attirare il massimo numero di utenti di Internet e generare traffico al fine di ottenere gli effetti di rete positivi che sono necessari per il suo successo commerciale. Pertanto, seguendo la logica del suo modello commerciale, essa ha sempre concesso ai comparatori di prodotti concorrenti l’accesso alla sua pagina dei risultati generali. Tuttavia, con la pratica contestata, essa presentava i risultati degli stessi, tra l’altro mediante l’applicazione di algoritmi specifici che non erano applicabili al proprio comparatore di prodotti, in un modo e in una posizione talmente sfavorevole da risultare generalmente non interessanti per gli utenti di Internet. In altre parole, tale disparità di trattamento mediante autofavoritismo si basava, secondo la giurisprudenza citata al paragrafo 89 delle presenti conclusioni, su condizioni di accesso inique che, esercitando un’influenza ingannevole sul comportamento degli utenti, hanno avuto un impatto negativo sulla redditività dell’attività dei comparatori di prodotti concorrenti sul mercato a valle della ricerca specializzata di prodotti. Come sottolineano giustamente sia la Commissione che il Tribunale (57), tale pratica era attuata da Google mediante l’utilizzo di un effetto leva, che consisteva nello sfruttare la propria posizione dominante nel mercato della ricerca generale su Internet al fine di ottenere vantaggi concorrenziali nel mercato a valle della ricerca specializzata di prodotti, sul quale non deteneva (ancora) tale posizione.

93.      Pertanto, non vi è in definitiva motivo di contestare le considerazioni esposte ai punti 212 e seguenti della sentenza impugnata.

94.      Come si evince altresì dai punti 234 e seguenti della sentenza impugnata, tale conclusione è confermata, in particolare, dalla precedente giurisprudenza in materia di condizioni inique di accesso o di fornitura che comportano parimenti una disparità di trattamento tra l’impresa dominante e i suoi concorrenti.

95.      L’ipotesi di autofavoritismo di cui alla presente causa presenta, in particolare una certa somiglianza con i casi di compressione dei margini dei concorrenti o di «effetto forbice» (58). In tali casi, un’impresa di telecomunicazioni integrata verticalmente che domina il mercato a monte sfrutta il fatto che i suoi concorrenti operanti nel mercato a valle dipendono dai suoi servizi di accesso, nella fattispecie l’accesso alle reti locali, per cui devono pagare una tariffa. Grazie alle sue pratiche tariffarie e al suo accesso privilegiato, in particolare a costi inferiori, tale impresa può offrire ai clienti finali, per i suoi servizi nel mercato a valle, prezzi più bassi con i quali i concorrenti, a causa dei costi più elevati per l’accesso nel mercato a valle, non possono competere senza subire perdite, anche se sono altrettanto efficienti (59). I loro margini sono in tal modo compressi al punto che essi non possono più operare in modo efficiente e sono infine costretti a uscire dal mercato. Si tratta, nello specifico, di pratiche tariffarie abusive dell’impresa in posizione dominante che si fondano, in definitiva, su una disparità di trattamento tra tale impresa e i suoi concorrenti per quanto riguarda le condizioni di accesso alla risorsa che risulta essenziale per l’attività nel mercato a valle.

96.      Anche se non implica una tariffazione abusiva, la pratica contestata è certamente paragonabile a quella sopra descritta, come sostenuto anche dalla Commissione. Infatti, come esposto al paragrafo 72 delle presenti conclusioni, Google utilizzava la sua posizione dominante nel mercato a monte della ricerca generale su Internet per procurare un vantaggio concorrenziale al proprio comparatore di prodotti nel mercato a valle della ricerca specializzata di prodotti e svantaggiare i comparatori di prodotti concorrenti. Tuttavia, secondo le constatazioni – non più contestate – della Commissione e del Tribunale, i comparatori di prodotti concorrenti facevano affidamento sul traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google per avere successo commerciale e rimanere all’interno di tale mercato.

97.      Inoltre, come sostenuto dalla Commissione e dalle parti intervenienti a sostegno delle sue conclusioni, la conseguente deviazione del traffico non si basava su una migliore qualità del servizio di comparazione dei prodotti di Google. Per contro, esso risultava unicamente dall’autofavoritismo e dall’effetto leva sulla pagina dei risultati generali di Google, vale a dire dallo sfruttamento della sua posizione dominante nel mercato della ricerca generale su Internet (60). Ciò è confermato dalla circostanza, menzionata al punto 343 della decisione controversa, secondo cui il comparatore di prodotti Froogle, originariamente offerto da Google su un sito Internet distinto, non riscontrava alcun successo e, in base a quanto accertato, solo la pratica contestata aveva modificato tale situazione. Analogamente, ai punti 380 e seguenti di detta decisione si afferma che Google condivideva numerose caratteristiche con i comparatori di prodotti concorrenti, cosicché sarebbe stata esposta alle stesse retrocessioni nei risultati della ricerca generale se le fossero stati applicati gli algoritmi di aggiustamento (61).

98.      Tale forma di discriminazione mediante autofavoritismo costituisce quindi un comportamento che si discosta dai mezzi della concorrenza basata sui meriti ed ha carattere abusivo, nella misura in cui è tale da pregiudicare la concorrenza (v. paragrafo 159 e seguenti delle presenti conclusioni).

99.      Nel prosieguo illustrerò dettagliatamente le ragioni per le quali le censure avanzate, nell’ambito del primo motivo di impugnazione, nei confronti delle relative considerazioni del Tribunale (e della Commissione) non possono essere accolte.

4)      Esposizione dettagliata delle censure del primo motivo di impugnazione

i)      Prima parte del primo motivo

100. Con la prima parte del primo motivo di impugnazione le ricorrenti contestano al Tribunale di essersi indebitamente sostituito alla Commissione ai punti da 224 a 228 della sentenza impugnata. Il Tribunale vi avrebbe erroneamente distinto il caso di specie da quello che aveva dato origine, tra l’altro, alla sentenza Bronner, nonostante il mancato accertamento nella decisione controversa. Lo stesso avrebbe erroneamente riconosciuto che Google deve fornire ai comparatori di prodotti concorrenti un accesso non discriminatorio al suo servizio di ricerca su Internet, in particolare alle «boxes» destinate al servizio di ricerca dei prodotti. Con le affermazioni contestate, il Tribunale avrebbe inoltre indebitamente sostituito i motivi addotti in tale decisione.

101. Ritengo che tale prima parte del primo motivo di impugnazione sia integralmente infondata.

102. Nelle considerazioni in questione, il Tribunale constata, in particolare, anzitutto che la pagina dei risultati generale di Google presenta caratteristiche che la avvicinano a un servizio essenziale (62), in secondo luogo, che la Commissione ha ritenuto che il traffico generato da tale pagina fosse indispensabile per i comparatori di prodotti concorrenti (63) e, in terzo luogo, che la Commissione ha concluso che la pratica contestata poteva portare alla potenziale eliminazione di qualsiasi concorrenza (64).

103. È vero che la constatazione secondo cui la pagina dei risultati generali di Google presenta caratteristiche che «la avvicinano a un servizio essenziale» non compare letteralmente nella decisione controversa. Tuttavia, si tratta solo di una valutazione autonoma inizialmente espressa dal Tribunale in relazione alla motivazione essenziale addotta dalla Commissione per la sussistenza di un comportamento abusivo ai punti da 341 a 343, 444 e seguenti e, in particolare, ai punti 539 e seguenti della medesima decisione. Il Tribunale espone poi tale valutazione in modo più approfondito ai punti da 225 a 227. Nell’ambito della stessa vanno lette anche le affermazioni contenute al punto 224 della sentenza impugnata. In base ad esse, infatti, per i comparatori di prodotti concorrenti non esiste un’alternativa economicamente sostenibile per il traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google (65). La valutazione del Tribunale secondo cui il traffico di tale pagina di risultati si avvicina alla qualità di un servizio o di una risorsa essenziale non può quindi essere considerata una sostituzione inammissibile della motivazione della decisione controversa.

104. Lo stesso vale per la valutazione di cui al punto 227 della sentenza impugnata, secondo cui il traffico generato dalla pagina dei risultati generali di Google sarebbe «indispensabile» per i comparatori di prodotti concorrenti. Contrariamente all’impressione comunicata dalle ricorrenti in sede di impugnazione, non si tratta di un’applicazione (viziata da un errore di diritto) del criterio dell’indispensabilità o della non indispensabilità in base alla sentenza Bronner (66). Utilizzando il termine «indispensabile» ai punti 227 e 234 (alla fine) della sentenza impugnata, il Tribunale si riferisce piuttosto ai criteri sui quali si basa la giurisprudenza menzionata al paragrafo 89 delle presenti conclusioni per constatare un abuso consistente in condizioni di fornitura inique. Secondo tale giurisprudenza, le condizioni in esame possono infatti avere carattere abusivo in particolare se l’accesso a un’infrastruttura, a un servizio o a un fattore di produzione è indispensabile per consentire ai concorrenti dell’impresa dominante di operare in modo redditizio in un mercato a valle.

105. Il Tribunale non ha così neppure sostituito indebitamente i motivi addotti nella decisione controversa. Da un lato, anche tale decisione si riferisce, benché non in modo esplicito come nel caso del Tribunale, a tale giurisprudenza per qualificare come abusiva la pratica contestata (67). Dall’altro, i punti 542 e seguenti della medesima decisione espongono in dettaglio le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto che il traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google non fosse sostituibile, ossia che fosse «indispensabile», per i comparatori di prodotti concorrenti. Il Tribunale vi fa peraltro riferimento anche al punto 219 della sentenza impugnata.

106. Infine, anche la terza censura – priva di elementi che la supportino – della prima parte del primo motivo di impugnazione è infondata.

107. Secondo tale censura, il Tribunale non avrebbe dovuto dichiarare, al punto 228 della sentenza impugnata, che la Commissione aveva concluso, nella sezione 7.3 della decisione controversa, che la pratica contestata poteva «portare alla potenziale eliminazione di qualsiasi concorrenza». È vero che tale conclusione non riflette esattamente il contenuto dei punti 589 e seguenti di tale decisione, che motivano dettagliatamente le ragioni per cui tali pratiche hanno potenziali effetti anticoncorrenziali sui mercati della ricerca specializzata di prodotti (68). Tuttavia, il punto 594 della decisione controversa, a cui il Tribunale fa esplicito riferimento, afferma che la pratica contestata può indurre i comparatori di prodotti concorrenti a cessare la fornitura dei loro servizi di ricerca di prodotti (69). Benché il Tribunale abbia riformulato tale affermazione in maniera leggermente più puntuale, essa può essere intesa nel senso di una potenziale eliminazione della concorrenza. Pertanto, non si può parlare di una sostituzione inammissibile dei motivi addotti in tale decisione.

108. Nella misura in cui le ricorrenti in sede di impugnazione intendono contestare alla Commissione e al Tribunale di essere in tal modo incorsi in errori di diritto nell’applicare i criteri Bronner, è sufficiente rilevare che tali criteri non sono applicabili nel caso di specie (paragrafi 75 e seguenti delle presenti conclusioni) per dichiarare infondata tale censura.

109. Ne consegue che la prima parte del primo motivo d’impugnazione dev’essere respinta.

ii)    Seconda parte del primo motivo di impugnazione

110. Nella seconda parte del primo motivo di impugnazione, le ricorrenti lamentano diversi errori di diritto commessi dal Tribunale ai punti da 229 a 248 della sentenza impugnata. In essi il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che i criteri Bronner non fossero applicabili, sebbene la decisione controversa avesse sottoposto Google a un obbligo di fornire l’accesso.

111. Con la prima censura, le ricorrenti in sede di impugnazione asseriscono che il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto, ai punti da 237 a 240 della sentenza impugnata, distinguendo la disparità di trattamento constatata da un caso di diniego di accesso. Contrariamente all’ipotesi formulata al punto 239 della medesima sentenza, il rifiuto di accesso in questione costituirebbe un caso specifico di tale disparità di trattamento. Le «boxes» delle Shopping Units sarebbero un servizio distinto, sviluppato da Google, che avrebbe consentito una presentazione più favorevole dei risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti, ma che non sarebbe stato accessibile ai comparatori di prodotti concorrenti. Questi ultimi avrebbero avuto solo un accesso meno vantaggioso alla pagina dei risultati generali di Google. Diversamente da quanto affermato al punto 232 della sentenza impugnata, la disparità di trattamento non consisterebbe quindi in una pratica estrinseca rispetto all’ambito di applicazione del rifiuto di accesso. Comunque, ad essa si sarebbero dovuti applicare i criteri Bronner.

112. Alla luce delle mie osservazioni di cui ai paragrafi 75 e seguenti delle presenti conclusioni, la prima censura in esame deve essere respinta.

113. In detti paragrafi ho esposto le ragioni per le quali i criteri Bronner non possono essere applicati all’ipotesi in esame della disparità di trattamento mediante autofavoritismo. Non si tratta di un caso di rifiuto di accesso a un’infrastruttura, a un servizio o a un fattore di produzione conformemente alla sentenza Bronner, ma di un’ipotesi di creazione di condizioni inique di accesso o di fornitura una volta che l’accesso è già concesso.

114. Per contro, la distinzione, invocata dalle ricorrenti in sede di impugnazione, tra, da un lato, l’accesso alla pagina dei risultati generali di Google e, dall’altro, l’accesso alle «boxes» distinte delle Shopping Units ivi collocate, che mostrano unicamente i risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google, è artificiosa, se non addirittura arbitraria. Il VDZ, il BDZV e Ladenzeile, in particolare, hanno esposto in modo convincente tale aspetto in udienza.

115. Anche se sono presentati in modo prominente sulla pagina dei risultati generali di Google, tali «boxes» non costituiscono un’infrastruttura autonoma nel senso di una pagina di risultati del tutto indipendente sotto il profilo tecnico, ma sono stati integrati da Google, a differenza del suo precedente comparatore di prodotti Froogle, nel suo motore di ricerca generale e nelle modalità di funzionamento di quest’ultimo, al fine di poter utilizzare a proprio vantaggio gli effetti di rete ivi generati nel mercato della ricerca specializzata di prodotti, secondo le conclusioni, non più contestate, della Commissione e del Tribunale (70). Gli algoritmi specifici, il cui utilizzo ha comportato che le «boxes» delle Shopping Units visualizzassero solo i risultati del comparatore di prodotti di Google, sono stati di conseguenza attivati da richieste di ricerca degli utenti sul suo motore di ricerca generale. La conseguente discriminazione dei risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti riguarda quindi le modalità di accesso alla pagina dei risultati generali di Google, e non una questione di accesso a un’infrastruttura asseritamente distinta consistente nelle «boxes» delle Shopping Units. Come già rilevato al paragrafo 90 delle presenti conclusioni, le parti intervenute a sostegno della Commissione hanno sostenuto in modo convincente, soprattutto in udienza, di non aver mai chiesto l’accesso alle «boxes» di cui trattasi, ma di averne piuttosto chiesto la rimozione.

116. Alla luce di tali elementi, non si può contestare in particolare la conclusione a cui è giunto il Tribunale al punto 240 della sentenza impugnata. Infatti, esso vi affermava che la Commissione non era tenuta a dimostrare che i criteri Bronner erano soddisfatti, per giungere alla constatazione di un’infrazione nel caso di specie. Il Tribunale poteva dunque constatare, senza incorrere in errori di diritto, che la pratica contestata costituiva una forma autonoma di abuso per effetto leva, che si manifestava con un comportamento «attivo», cioè in atti positivi di discriminazione a vantaggio dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google.

117. La seconda censura è solo una variante della prima censura e deve essere parimenti respinta in quanto infondata.

118. Le ricorrenti in sede di impugnazione lamentano che è inammissibile e viziata da errori di diritto la descrizione della decisione controversa effettuata dal Tribunale, in particolare ai punti 219 e 243 della sentenza impugnata, nel senso che essa riguarderebbe le condizioni di accesso o di fornitura e non la questione relativa all’accesso in quanto tale a un’infrastruttura distinta. Tuttavia, per le ragioni esposte ai paragrafi da 113 a 116 delle presenti conclusioni, tale censura è infondata.

119. Con la terza censura, le ricorrenti in sede di impugnazione contestano le considerazioni formulate dal Tribunale ai punti 232 e 233 della sentenza impugnata, con cui lo stesso ha negato l’applicabilità dei criteri Bronner anche per il motivo che nel caso di specie non esisteva né una richiesta esplicita di accesso né un rifiuto esplicito di accesso.

120. Nell’ambito di tali considerazioni, il Tribunale si riferisce, quanto meno implicitamente, al punto 651 della decisione controversa, in base a cui i criteri Bronner non sono applicabili alla pratica contestata. Anche se il riferimento alla mancanza di una richiesta e di un rifiuto di accesso non ha un esplicito riscontro nella motivazione di tale decisione e si basa su un approccio piuttosto formalistico, tali aspetti non sono affatto determinanti per la conclusione del Tribunale, in quanto tale esente da errori di diritto, secondo cui la Commissione poteva rinunciare all’applicazione dei criteri Bronner nel caso di specie.

121. Ne consegue che la terza censura è inoperante e deve essere parimenti respinta.

122. La quarta censura è diretta contro il punto 240 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che non sussistesse un rifiuto di fornitura in quanto non si trattava di un comportamento «passivo», ma di una discriminazione «attiva».

123. Poiché, per le ragioni indicate ai paragrafi 75 e seguenti delle presenti conclusioni, la pratica contestata non riguarda un caso di rifiuto di accesso in base ai criteri Bronner, bensì una discriminazione mediante autofavoritismo che è riconducibile, in definitiva, all’utilizzo di algoritmi specifici, non si può contestare la qualificazione operata dal Tribunale e fondata sul punto 650 della decisione contestata, come comportamento «attivo».

124. Tale censura è pertanto inconferente e deve parimenti essere respinta.

125. Con la quinta censura, le ricorrenti in sede di impugnazione contestano le considerazioni esposte al punto 246 della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha erroneamente ritenuto che le misure adottate per porre fine all’infrazione siano irrilevanti ai fini della valutazione della natura giuridica del contestato abuso. Un siffatto collegamento sarebbe stato infatti stabilito ai punti 699 e 700 della decisione controversa in relazione a un rifiuto di accesso a un’infrastruttura contestato dalla Commissione.

126. Come già rilevato, tale censura si basa ancora una volta sull’erronea premessa secondo cui la pratica contestata costituirebbe un rifiuto di accesso o di fornitura conformemente ai criteri Bronner.

127. Anche tale quinta censura deve pertanto essere respinta in quanto inconferente.

128. Di conseguenza, anche la seconda parte del primo motivo di impugnazione e tale motivo nel suo complesso devono essere respinti.

3.      Valutazione generale della sussistenza di una deviazione dai mezzi della normale concorrenza basata sui meriti (secondo motivo di impugnazione)

a)      Oggetto del secondo motivo di impugnazione

129. Con il secondo motivo di impugnazione, le ricorrenti, sostenute dalla CCIA, affermano che il Tribunale ha commesso più errori di diritto. In primo luogo, esso avrebbe ritenuto sufficienti gli elementi di motivazione contenuti nella decisione controversa, che si riferivano solo agli asseriti effetti probabili della pratica contestata, ma non a quest’ultima in quanto tale, per constatare la sussistenza di una deviazione dai mezzi della concorrenza basata sui meriti. In secondo luogo, il Tribunale si sarebbe a tal fine avvalso di elementi supplementari di motivazione, che non erano tuttavia contenuti nella decisione in esame. In terzo luogo, gli elementi supplementari di motivazione non avrebbero suffragato, in ogni caso, la sua valutazione. Inoltre, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto non includendo in tale valutazione gli aspetti favorevoli alla concorrenza dedotti da Google, ma esaminandoli unicamente come possibile giustificazione.

130. La Commissione ritiene che tale argomento sia irricevibile nella misura in cui esso è diretto contro le constatazioni formulate nella decisione controversa in merito alla pratica contestata (prima parte), che le ricorrenti in sede di impugnazione non avrebbero contestato dinanzi al Tribunale. Inoltre, la decisione in questione, valutando tale pratica nel suo contesto economico, conterrebbe una motivazione sufficiente per ritenere che essa si sia discostata dalla concorrenza basata sui meriti. Nei limiti in cui le ricorrenti in sede di impugnazione contestano le considerazioni supplementari del Tribunale (seconda parte), ciò sarebbe inconferente. Tali considerazioni non avrebbero sostituito la motivazione nella decisione controversa, ma avrebbero solo integrato la spiegazione relativa alle ragioni per le quali la pratica contestata si discostava dai mezzi della concorrenza basata sui meriti. Tali considerazioni del Tribunale non sarebbero contestabili neppure sotto il profilo del merito (terza parte).

131. Esaminerò anzitutto la ricevibilità della prima parte del secondo motivo di impugnazione.

b)      Ricevibilità della prima parte del secondo motivo di impugnazione

132. La prima parte del secondo motivo di impugnazione riguarda in particolare il quinto motivo di ricorso, che il Tribunale ha affrontato per primo, ai punti 136 e seguenti della sentenza impugnata, sotto la rubrica «[C]onformità delle pratiche in questione alla concorrenza basata sui meriti».

133. Dalla sintesi di cui al punto 122 della sentenza impugnata risulta che nell’ambito di tale motivo di ricorso le ricorrenti in sede di impugnazione avevano sostenuto, in sostanza, che le pratiche contestate costituirebbero, in realtà, miglioramenti qualitativi del servizio di ricerca generale di Google. Poiché la Commissione non ha individuato elementi, in tali miglioramenti, che si discostino della concorrenza basata sui meriti, non vi può essere abuso. Al contrario, essa avrebbe imposto a Google l’obbligo di fornire ai suoi concorrenti l’accesso a un «servizio essenziale» indispensabile per i medesimi, senza soddisfare i rigorosi criteri Bronner. Inoltre, il Tribunale afferma, al punto 122, di esaminare in tale contesto l’argomento secondo il quale Google non avrebbe perseguito alcun obiettivo anticoncorrenziale nel predisporre i risultati della ricerca specializzata, in quanto essi costituiscono miglioramenti qualitativi del suo servizio di ricerca (71).

134. La prima parte del secondo motivo di impugnazione è diretta, in particolare, contro le constatazioni formulate in risposta a tale quinto motivo di ricorso ai punti 162 e seguenti della sentenza impugnata. Il Tribunale vi espone le ragioni per cui la Commissione poteva concludere che la pratica contestata si discostava dai mezzi della concorrenza basata sui meriti. Contrariamente a quanto ritiene la Commissione, il quinto motivo di ricorso metteva pertanto in discussione le constatazioni a partire dal punto 341 della decisione controversa, secondo cui la pratica in questione non rientra nell’ambito della concorrenza basata sui meriti. La prima parte del secondo motivo di impugnazione si sofferma su tale aspetto.

135. Tuttavia, secondo giurisprudenza costante, qualora un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto dell’Unione effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso di un’impugnazione. Se così non fosse, il procedimento di impugnazione sarebbe privato di una parte di significato (72).

136. L’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione deve pertanto essere respinta e la prima parte del secondo motivo di impugnazione è quindi ricevibile.

c)      Fondatezza della prima parte del secondo motivo di impugnazione

137. Tuttavia, ritengo che la prima parte del secondo motivo di impugnazione sia infondata.

138. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti in sede di impugnazione, non è vero che le affermazioni formulate ai punti 162 e seguenti della sentenza impugnata vertono unicamente sugli effetti probabili della pratica contestata e non su tale pratica in quanto tale. Al contrario, in tali punti il Tribunale procede, alla luce del merito della decisione controversa, a una qualificazione giuridica di tale pratica in quanto tale per motivare il fatto che essa si discosta dai mezzi della concorrenza basata sui meriti e che soddisfa così la nozione di abuso.

139. In tali affermazioni, il Tribunale si basa infatti in particolare sul punto 344 della decisione controversa, in cui la Commissione constata una differenza di trattamento dei comparatori di prodotti concorrenti, sotto forma di favoritismo, da parte di Google, nei confronti del proprio comparatore (73). Esso fa altresì riferimento alle conclusioni contenute nella decisione controversa, secondo cui tale disparità di trattamento sarebbe stata tale da comportare un indebolimento della concorrenza nel mercato, in primo luogo, a causa dell’entità del traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google, in secondo luogo, a causa del comportamento degli utenti quando effettuano ricerche su Internet e, in terzo luogo, in considerazione del fatto che il traffico deviato rappresenta un’ampia percentuale di tale traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti e non può essere efficacemente sostituito da altre fonti (74).

140. Più precisamente, il Tribunale motiva tale aspetto come segue.

141. Esso ricorda anzitutto l’entità del traffico e degli effetti di rete positivi che ne derivano per il successo commerciale di un comparatore di prodotti, quale esposta ai punti da 444 a 450 della decisione controversa; per contro, la perdita di tale traffico può portare a un circolo vizioso e, alla lunga, a un’uscita dal mercato (75). Il Tribunale affronta poi l’analisi del comportamento degli utenti esposta ai punti da 454 a 461 e 535 di tale decisione. In base ad essa, gli utenti si concentrano, in generale, sui primi tre-cinque risultati di ricerca e prestano poca o nessuna attenzione ai risultati che seguono, e in particolare ai risultati al di sotto della parte immediatamente visibile dello schermo (fold) (76). Inoltre, il Tribunale si basa sulle constatazioni di cui alle sezioni 7.2.4.1 e 7.2.4.2 della decisione controversa (77) per quanto riguarda l’impatto del traffico deviato dalle pagine dei risultati generali di Google. Esso rappresenterebbe un’ampia percentuale di tale traffico verso i servizi di comparazione dei prodotti concorrenti e non potrebbe essere efficacemente sostituito da altre fonti, compresi gli annunci di testo, le applicazioni mobili, il traffico diretto, i rinvii a siti partner, i social network o altri motori di ricerca (78).

142. Ciò porta il Tribunale a concludere che l’entità del traffico di Google proveniente dalle sue pagine di ricerca generali e la sua effettiva insostituibilità sono stati considerati dalla Commissione, senza incorrere in errori di diritto, come circostanze pertinenti che possono caratterizzare un comportamento non rientrante nella concorrenza basata sui meriti. Essa non si sarebbe limitata a constatare l’esistenza di un effetto leva, ma avrebbe qualificato in diritto le pratiche di Google che accompagnavano tale effetto, basandosi su criteri pertinenti. Pertanto, supponendo che il favoritismo e i suoi effetti siano stati validamente dimostrati dalla Commissione, quest’ultima avrebbe correttamente considerato che tale favoritismo si discostava dalla concorrenza basata sui meriti (79).

143. Tali considerazioni dimostrano che il Tribunale ha esaminato in modo approfondito la questione se la Commissione potesse correttamente concludere, nella decisione controversa, che la pratica contestata era di per sé (e non soltanto per i suoi effetti) incompatibile con i mezzi della concorrenza basata sui meriti. Ciò è avvenuto, secondo la tesi della Commissione, confermata dal Tribunale, in considerazione del fatto che il comparatore di prodotti di Google era favorito, sia nelle intenzioni che negli effetti, rispetto ai comparatori di prodotti concorrenti. Dal punto di vista della Commissione e del Tribunale, si tratta di una qualificazione in diritto, effettuata sulla base degli accertamenti di fatto esaustivi e dell’assunzione di prove da parte della Commissione, della questione se Google, in rapporto al funzionamento dei mercati digitali in questione, rispettasse i mezzi della concorrenza basata sui meriti oppure ne abusasse.

144. Tale approccio è compatibile con i requisiti riconosciuti dalla giurisprudenza. In base ad essa, l’esame e la dimostrazione del carattere abusivo di una pratica devono essere effettuati prendendo in considerazione tutte le rilevanti circostanze fattuali (80). Inoltre, come osserva la Commissione riferendosi in particolare al punto 152 della sentenza impugnata, la questione se una pratica si discosti dai mezzi della concorrenza basata sui meriti va distinta, sul piano concettuale, dalla questione se essa sia parimenti atta a limitare la concorrenza, e ciò anche se entrambi i criteri sono elementi costitutivi della nozione di abuso.

145. Non può essere accolta l’obiezione delle ricorrenti in sede di impugnazione secondo cui il Tribunale ha criticato il punto 341 della decisione controversa per quanto riguarda la censura, avanzata dalla CCIA, relativa a una violazione del principio della certezza del diritto (81). Infatti, secondo il Tribunale, tale punto, considerato isolatamente, potrebbe essere interpretato erroneamente nel senso che la Commissione avrebbe dedotto solo dai (potenziali) effetti di esclusione che essa ha constatato che la pratica contestata si discostava dalla concorrenza basata sui meriti. È vero che, come ho spiegato al paragrafo 143 delle presenti conclusioni, non posso condividere tale valutazione. Tuttavia, come stabilito dallo stesso Tribunale, il punto 341 della decisione controversa deve essere letto in combinato disposto con il punto 342 della medesima (82), in cui la Commissione ha fatto riferimento alle circostanze esposte ai paragrafi da 139 a 141 delle presenti conclusioni per motivare nello specifico lo scostamento dai mezzi della concorrenza basata sui meriti, cosicché il Tribunale respinge, in conclusione, la censura della CCIA (83). L’argomento delle ricorrenti in sede di impugnazione è quindi inconferente.

146. Pertanto, la prima parte del secondo motivo di impugnazione non può essere accolta e deve essere respinta.

d)      Elementi di motivazione supplementari nella sentenza impugnata (seconda parte del secondo motivo di impugnazione)

147. Nella seconda parte del secondo motivo di impugnazione, le ricorrenti contestano al Tribunale di essersi avvalso di elementi supplementari, per motivare la deviazione dai mezzi della concorrenza basata sui meriti, che non sarebbero contenuti nella decisione controversa. A tal riguardo, esso avrebbe commesso un errore di diritto sostituendo il proprio ragionamento a quello della Commissione.

148. Tali elementi di motivazione supplementari riguardavano, in primo luogo, un criterio giuridico di valutazione più rigoroso per le imprese «superdominanti» (84); in secondo luogo, la valutazione che, in considerazione dell’infrastruttura in linea di principio aperta del motore di ricerca di Google, sarebbe «anomala» la promozione di un tipo di risultati della ricerca specializzata, ossia i propri, rispetto ai risultati concorrenti (85) e, in terzo luogo, la valutazione del carattere discriminatorio di tale pratica (86).

149. Si deve convenire con le ricorrenti in sede di impugnazione nei limiti in cui il Tribunale, ai punti da 176 a 185 della sentenza impugnata, formula considerazioni aggiuntive che non trovano riscontro, almeno in parte, nella motivazione della decisione controversa.

150. Nell’ambito di tali considerazioni, alla luce dell’infrastruttura in linea di principio aperta fornita da Google, il Tribunale considera anomalo che i risultati di ricerca del comparatore di prodotti della stessa Google siano favoriti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Una siffatta disparità di trattamento dovrebbe essere giustificata dal suo autore alla luce del diritto della concorrenza (87). Ciò sarebbe dimostrato anche dal regolamento (UE) 2015/2120 (88), che impone ai fornitori di servizi Internet universali un obbligo generale di trattamento equo, vale a dire senza discriminazioni, restrizioni o interferenze del traffico (89). La deviazione dai mezzi della concorrenza basata sui meriti sarebbe tanto più evidente se la pratica contestata fosse il risultato, dopo il fallimento di Froogle nel mercato della ricerca specializzata di prodotti, di un cambiamento nel comportamento di Google nel mercato della ricerca generale, sul quale detiene una posizione «superdominante». Data tale posizione, il suo ruolo di porta di accesso a Internet e le barriere all’ingresso particolarmente rigide nel mercato della ricerca generale, a Google incombeva un obbligo rafforzato di non compromettere, con il suo comportamento, la concorrenza nel mercato collegato della ricerca specializzata di prodotti (90).

151. A mio avviso, tuttavia, tale seconda parte del secondo motivo di impugnazione è inconferente. Infatti, anche se il Tribunale dovesse aver in tal modo integrato o addirittura sostituito indebitamente una parte dei motivi addotti nella decisione controversa (91), le affermazioni di cui ai punti 162 e seguenti di tale sentenza – come rilevato ai paragrafi 138 e seguenti delle presenti conclusioni – erano di per sé sufficienti a non ritenere censurabile la constatazione formulata nella decisione impugnata, secondo cui la pratica contestata si discostava dai mezzi della concorrenza basata sui meriti (92).

152. Gli elementi di motivazione supplementari forniti dal Tribunale non sarebbero quindi stati necessari, almeno in tale contesto e indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica. Peraltro, fatta eccezione per la considerazione secondo cui l’autofavoritismo contestato, alla luce dell’infrastruttura aperta fornita da Google, sarebbe anomalo e discriminatorio, non è vero che tali considerazioni non trovano alcun sostegno esplicito nella motivazione della decisione controversa.

153. Ciò risulta da quanto segue.

154. In primo luogo, come confermato dalla formulazione introduttiva contenuta nel punto 180 della sentenza impugnata (93), l’analisi del regolamento 2015/2120, non menzionato nella decisione controversa, è limitata a riflessioni di carattere sussidiario, che non suffragano la conclusione di cui al punto 179 della medesima sentenza. In secondo luogo, il riferimento alla posizione «superdominante» di Google nei vari mercati (nazionali) dei servizi di ricerca generale ai punti 182 e 183 di tale sentenza si basa, almeno implicitamente, sui punti da 271 a 283 della decisione in questione, in cui la Commissione ha al riguardo riscontrato, nella maggior parte dei casi, quote di mercato ben superiori al 90%. In terzo luogo, l’affermazione contenuta ai punti 181 e 184 di tale sentenza, secondo cui Google avrebbe modificato il suo comportamento nei mercati di cui trattasi dopo la cessazione di Froogle, ossia il suo servizio di ricerca specializzata di prodotti, è riconducibile alle constatazioni formulate ai punti 343, 490 e 491 di tale decisione. In quarto luogo, le considerazioni di cui al punto 184 della medesima sentenza si limitano a ripetere le constatazioni relative all’autofavoritismo di Google di cui al punto 344 della decisione controversa (94). In quinto e ultimo luogo, la conclusione formulata alla fine del punto 185, secondo cui la pratica contestata non rientrerebbe nella concorrenza basata sui meriti, rinvia esclusivamente alle considerazioni principali di cui ai punti da 170 a 173, ma non alle considerazioni supplementari formulate dal Tribunale ai punti 176 e seguenti di tale sentenza e contestate dalle ricorrenti.

155. Pertanto, anche la seconda parte del secondo motivo di impugnazione deve essere respinta.

156. Poiché le censure delle ricorrenti in sede di impugnazione presentate riguardo alla seconda parte sono inconferenti, non è necessario analizzare la terza parte del secondo motivo di impugnazione, ossia la questione se le considerazioni supplementari di cui ai punti 176 e seguenti della sentenza impugnata siano di per sé viziate da un errore di diritto. Ciò vale anche per la censura secondo cui il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto non includendo nella sua valutazione gli aspetti favorevoli alla concorrenza che sono stati dedotti, ma esaminandoli unicamente come possibile giustificazione.

157. Infine, nella misura in cui tali censure o considerazioni riguardano l’applicabilità dei criteri Bronner, è sufficiente rinviare alle affermazioni sviluppate ai precedenti paragrafi 83 e seguenti delle presenti conclusioni per respingerle.

158. Ne consegue che il secondo motivo di impugnazione deve essere respinto in toto in quanto infondato.

D.      Nesso causale tra la pratica contestata e i potenziali effetti restrittivi sulla concorrenza – È necessaria un’analisi controfattuale? (terzo motivo d’impugnazione)

1.      Oggetto e ricevibilità del terzo motivo di impugnazione

159. Con il terzo motivo di impugnazione, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso diversi errori di diritto non ritenendo censurabile l’assenza di un’analisi controfattuale nella decisione controversa. Solo attraverso una siffatta analisi si può dimostrare che gli asseriti potenziali effetti anticoncorrenziali sono in sostanza dovuti alla pratica contestata e non ad altre circostanze.

160. Tale motivo di impugnazione è diretto contro le constatazioni formulate ai punti 368 e seguenti della sentenza impugnata in risposta alla prima parte del terzo motivo di ricorso. In esse, il Tribunale respinge le censure secondo cui la Commissione non avrebbe dimostrato che la pratica contestata avrebbe comportato una riduzione del traffico a danno dei comparatori di prodotti concorrenti. Infatti, in base all’argomento addotto a sostegno del ricorso, tale riduzione era unicamente imputabile all’effetto – pacifico, ma non contestato dalla Commissione – di specifici algoritmi di aggiustamento. Tuttavia, questi ultimi erano volti soltanto a migliorare la qualità dei risultati di ricerca. Non sarebbe stato pertanto dimostrato un nesso causale tra, da un lato, la contestata promozione, da parte di Google, del proprio comparatore di prodotti, e, dall’altro, l’asserita esclusione dal mercato dei comparatori di prodotti concorrenti. Al contrario, la Commissione avrebbe dovuto determinare in che modo si sarebbe sviluppato il traffico se non vi fossero stati il posizionamento e la presentazione privilegiati dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google nelle Shopping Units.

161. Il terzo motivo di impugnazione si suddivide in tre parti. In primo luogo, ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel ritenere che tale analisi controfattuale avrebbe dovuto essere effettuata da Google e non dalla Commissione. In secondo luogo, i punti 374 e 376 della medesima sentenza sarebbero viziati da un errore di diritto in quanto il Tribunale vi avrebbe constatato che, ai fini di una siffatta analisi, si dovrebbe immaginare di escludere entrambi gli elementi costitutivi della pratica contestata. In terzo luogo, al punto 572 della medesima sentenza, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel valutare gli effetti e la giustificazione obiettiva di tale pratica.

162. Contrariamente a quanto sostenuto da alcune parti intervenienti a sostegno della Commissione, la prima e la seconda parte di tale motivo di impugnazione sono ricevibili. Le parti in questione non mirano a una nuova valutazione dei fatti o degli elementi di prova da parte del Tribunale. Per contro, esse mettono in discussione la legittimità dei criteri utilizzati dal Tribunale per determinare se e come la Commissione avrebbe dovuto condurre un’analisi controfattuale per dimostrare il nesso di causalità tra una pratica composta da vari elementi costitutivi e i suoi possibili effetti anticoncorrenziali.

2.      Prima parte del terzo motivo di impugnazione

163. Nell’ambito della prima parte, le ricorrenti in sede di impugnazione contestano anzitutto alla Commissione di aver di fatto constatato, al punto 462 della decisione controversa, che la pratica contestata aveva avuto effetti reali e non solo potenziali sulla concorrenza. Essa avrebbe infatti comportato una riduzione del traffico proveniente dalla pagina dei risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti. Anche il Tribunale si sarebbe basato su tale tesi al punto 519 della sentenza impugnata. La Commissione avrebbe pertanto dovuto procedere a un’analisi controfattuale di tali effetti reali. Il Tribunale non avrebbe quindi dovuto ritenere che la Commissione avesse preso in considerazione solo gli effetti potenziali di tale pratica.

164. Tale prima parte del terzo motivo è, a mio avviso, manifestamente infondata.

165. Infatti, da un lato, ai punti 67, 228, 450, 454, 519 e 667 della sentenza impugnata, il Tribunale si basa sulla sezione 7.3 della decisione controversa (95), in cui la Commissione ha affermato che la pratica contestata aveva potenziali effetti anticoncorrenziali su diversi mercati nazionali. Dall’altro, ai punti 438 e seguenti e 518 e seguenti di tale sentenza, il Tribunale parte ugualmente dal principio che, per accertare un abuso di posizione dominante, la Commissione doveva solo dimostrare l’esistenza di effetti potenziali dovuti alla pratica in questione, non essendo dunque necessario fornire la prova dei reali effetti restrittivi sulla concorrenza. Tali constatazioni del Tribunale in risposta alla prima e alla quarta parte del quarto motivo di ricorso non sono state peraltro contestate dalle ricorrenti nell’ambito della loro impugnazione.

166. Tuttavia, la constatazione formulata al punto 462 della decisione controversa, citata dalle ricorrenti in sede di impugnazione, riguarda solo l’effettiva riduzione – ormai indiscussa – del traffico dalla pagina dei risultati generali di Google verso i comparatori di prodotti concorrenti. Infatti, come giustamente sostenuto dalla Commissione, l’impugnazione non contesta neppure le constatazioni effettuate al riguardo ai punti da 401 a 422 della sentenza impugnata. Il riferimento a ciò, contenuto al punto 519 di tale sentenza, non può quindi essere a posteriori interpretato nel senso che il Tribunale riteneva che la Commissione volesse o dovesse dimostrare che la pratica contestata aveva avuto effetti reali sulla concorrenza. Di conseguenza, l’argomento delle ricorrenti in sede di impugnazione, secondo cui sarebbe stato necessario dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità in relazione agli effetti reali, è inconferente e deve essere respinto.

167. Inoltre, le ricorrenti in sede di impugnazione, sostenute dalla CCIA, contestano al Tribunale di non aver riconosciuto, ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, che la Commissione avrebbe dovuto condurre un’analisi controfattuale degli asseriti effetti restrittivi, reali o potenziali, di tale pratica sulla concorrenza e motivarla nella decisione controversa, e di aver inammissibilmente invertito l’onere della prova a tale riguardo.

168. Occorre ammettere che le considerazioni del Tribunale su tale aspetto sono di difficile comprensione. Al punto 377 della sentenza impugnata, esso rileva che l’individuazione di uno scenario controfattuale può essere, in una situazione come quella del caso di specie, un esercizio aleatorio, se non addirittura impossibile, qualora esso «non esista nella realtà per un mercato che aveva inizialmente caratteristiche simili al mercato (…) [nel quale] tali pratiche sono state attuate». Infatti, in linea di principio, uno scenario controfattuale affidabile corrisponderebbe a una situazione reale «inizialmente simile, ma la cui evoluzione non è influenzata da tutte le pratiche in questione». Il Tribunale aggiunge, essenzialmente, che, contrariamente a una situazione in cui possono essere confrontati due sviluppi reali, una valutazione degli effetti potenziali, sebbene debba essere realistica, deve descrivere una situazione probabile. Ai punti 378 e 379 della medesima sentenza, esso respinge l’argomento secondo cui la Commissione sarebbe tenuta a dimostrare, spontaneamente o sistematicamente, uno scenario controfattuale in risposta a un’analisi controfattuale presentata dall’impresa in questione. Ciò si tradurrebbe per la stessa nell’obbligo – non previsto – di dimostrare che la pratica contestata ha avuto effetti reali. Un’analisi controfattuale presentata da tale impresa, volta a contestare la valutazione, da parte della Commissione, degli effetti potenziali di tale pratica, dovrebbe inoltre consentire di dimostrare gli effetti complessivi della stessa, e non solo quelli parziali.

169. Tali constatazioni non possono, a mio avviso, essere intese nel senso che il Tribunale avrebbe in linea di principio negato l’esistenza di un obbligo per la Commissione di effettuare un’analisi controfattuale degli effetti reali o potenziali di una pratica, né consentono il riconoscimento, al riguardo, di un’inammissibile inversione dell’onere della prova a danno dell’impresa in questione. Le constatazioni in esame devono piuttosto essere collocate nel contesto generale della risposta del Tribunale all’argomento sviluppato nella prima parte del terzo motivo di ricorso e devono essere interpretate solo in tale contesto.

170. Come risulta in particolare dai punti 372 e 374 della sentenza impugnata, il Tribunale respinge, in sostanza, la censura relativa alla mancanza di un’analisi controfattuale per il motivo che tale argomento e gli scenari controfattuali addotti a suo sostegno suddividerebbero arbitrariamente la condotta contestata, composta da due elementi inscindibili. Infatti, gli effetti cumulativi di tali elementi combinati, ossia, da un lato, la preferenza accordata da Google al proprio comparatore di prodotti mediante la presentazione prominente dei suoi risultati di ricerca nelle «boxes» delle Shopping Units e, dall’altro, l’applicazione degli algoritmi specifici al fine di provocare la retrocessione dei risultati dei comparatori di prodotti concorrenti, non potrebbero essere valutati separatamente. Il Tribunale ne deduce, al punto 376 di tale sentenza, che l’unico scenario controfattuale valido sarebbe stato quello fondato sull’esclusione di entrambe le componenti in esame, salvo intendere solo in parte gli effetti combinati di tali pratiche combinate.

171. Ciò dimostra che la risposta del Tribunale all’argomento addotto a sostegno del ricorso è contenuta principalmente ai punti da 372 a 376, mentre le considerazioni di cui ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, iniziando con l’espressione «[d]el resto», come afferma la Commissione, hanno una mera funzione integrativa o sussidiaria.

172. Tuttavia, si deve convenire con le ricorrenti in sede di impugnazione e la CCIA nel riconoscere che la distinzione tra analisi controfattuali, operata al punto 377 della sentenza impugnata, a seconda che esse si riferiscano a effetti reali o potenziali, non è fondata. In entrambi i casi, infatti, uno sviluppo reale nel passato che tenga conto dell’infrazione deve essere confrontato ex post con uno sviluppo ipotetico, che non tenga conto di tale infrazione (96). Inoltre, non è chiaro perché, come probabilmente intendeva il Tribunale, un obbligo sistematico per la Commissione di presentare uno scenario controfattuale nel caso di effetti solo potenziali equivarrebbe a esigere che essa fornisca la dimostrazione di effetti reali.

173. Tuttavia, da tali affermazioni non si può dedurre che il Tribunale abbia ritenuto che la Commissione non fosse affatto tenuta a prendere in considerazione e, se del caso, a respingere una valida analisi controfattuale dell’impresa in questione che le sue conclusioni potrebbero mettere in discussione. Al contrario, ai punti 380 e seguenti della sentenza impugnata, esso ha analizzato approfonditamente la questione se la Commissione potesse respingere le analisi presentate da Google nell’ambito del procedimento amministrativo (97) e constatare l’esistenza di un nesso causale tra la pratica contestata alla stessa Google e la riduzione del traffico proveniente dalla sua pagina dei risultati generali verso i comparatori di prodotti concorrenti (98).

174. Nei limiti in cui le ricorrenti in sede di impugnazione contestano specificamente le affermazioni formulate ai punti da 377 a 379 della sentenza impugnata, il loro argomento risulta inconferente e deve essere respinto.

175. Esaminerò nell’ambito della seconda parte del terzo motivo di impugnazione la questione se i punti da 372 a 376 della sentenza impugnata siano viziati da un errore di diritto e se un’analisi controfattuale nel senso proposto dalle ricorrenti in sede di impugnazione fosse comunque necessaria.

176. La prima parte del terzo motivo deve essere pertanto respinta.

3.      Seconda parte del terzo motivo di impugnazione

177. Con la seconda parte, le ricorrenti in sede di impugnazione, sostenute dalla CCIA, contestano al Tribunale di aver erroneamente ritenuto che un’analisi controfattuale potesse riguardare soltanto la combinazione di entrambi gli elementi costitutivi della pratica contestata a Google, menzionati al paragrafo 170 delle presenti conclusioni. I punti 374, 376 e 525 della sentenza impugnata sarebbero viziati da errori di diritto in quanto hanno interpretato erroneamente la nozione di analisi controfattuale per due motivi. Da un lato, sarebbe sufficiente escludere una sola di tali componenti, vale a dire il posizionamento e la presentazione nelle «boxes» delle Shopping Units, per far venir meno l’abuso. D’altro lato, il Tribunale avrebbe applicato un criterio non conforme ai requisiti riconosciuti dalla giurisprudenza per uno scenario controfattuale realistico, plausibile o probabile. L’esclusione di entrambe le componenti, ivi compresi gli algoritmi specifici di aggiustamento, richiesta al punto 376 della medesima sentenza, eccederebbe il limite del necessario, sarebbe irrealistica e confonderebbe in modo inammissibile i rispettivi effetti degli elementi consentiti e non consentiti che compongono tale pratica combinata.

178. Ritengo che sia infondata anche tale seconda parte del terzo motivo di ricorso.

179. Come risulta dalle constatazioni formulate dal Tribunale ai punti 372, 417, 419 e 525 della sentenza impugnata, che non sono al riguardo contestate dalle ricorrenti in sede di impugnazione, la pratica contestata si basa su due elementi costitutivi indissolubilmente combinati, vale a dire, da un lato, l’applicazione degli algoritmi specifici di aggiustamento, mediante i quali retrocedono solo i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti e, dall’altro, la presentazione in evidenza nelle «boxes» delle Shopping Units esclusivamente dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google. Entrambe le componenti di cui trattasi operano congiuntamente ai fini dell’autofavoritismo di Google. Infatti, solo per il fatto di essere combinate tali componenti influenzano il comportamento degli utenti in modo da deviare il traffico in tale ambito a vantaggio del suo proprio comparatore di prodotti.

180. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti in sede di impugnazione, tale legame indissolubile non può essere reciso ai fini di un’analisi controfattuale del nesso causale tra la pratica contestata e i suoi effetti (reali o potenziali). Un siffatto approccio non terrebbe conto degli effetti tecnici e commerciali combinati delle due componenti. In particolare, sarebbe ignorata la loro influenza congiunta sul comportamento degli utenti. Infatti, l’aumento del numero di clic degli utenti a vantaggio del comparatore di prodotti di Google si basa non solo sul posizionamento e sulla presentazione privilegiati dei suoi risultati di ricerca nelle «boxes» delle Shopping Units, ma anche sulla parallela retrocessione, controllata dall’algoritmo, e sulla presentazione meno attraente dei risultati di ricerca dei comparatori dei prodotti concorrenti, che di conseguenza sfuggono all’attenzione degli utenti. L’analisi controfattuale separata che è sostenuta dalle ricorrenti in sede di impugnazione non sarebbe quindi né plausibile né realistica, ma, piuttosto, arbitraria (99).

181. Il Tribunale non ha quindi commesso un errore di diritto nel ritenere, al punto 372 della sentenza impugnata, che «l’analisi degli effetti di tali [componenti] combinate non può essere effettuata isolando gli effetti di [una componente] da quelli dell’[altra componente]». Non è parimenti viziata da alcun errore di diritto la valutazione di cui al punto 376 di tale sentenza, secondo cui l’unico scenario controfattuale valido sarebbe stato quello fondato sull’esclusione di entrambe le componenti in esame, «salvo intendere solo in parte gli effetti combinati di tali [componenti] combinate».

182. Le ricorrenti in sede di impugnazione non possono obiettare che l’applicazione degli algoritmi specifici di aggiustamento non è stata contestata in quanto tale dalla Commissione. Come ha giustamente affermato il Tribunale, ciò non è rilevante. Infatti, è solo la loro specifica combinazione con la presentazione privilegiata dei risultati di ricerca del comparatore di prodotti di Google ad aver reso possibili i potenziali effetti pregiudizievoli per la concorrenza individuati nella decisione controversa (100).

183. Le constatazioni di cui ai punti da 372 a 376 della sentenza impugnata non possono quindi essere contestate.

184. Pertanto, la seconda parte del terzo motivo di impugnazione deve essere parimenti respinta.

4.      Terza parte del terzo motivo di impugnazione

185. Dalla valutazione della prima e della seconda parte risulta che anche la terza parte del terzo motivo di impugnazione non può essere accolta. In base ad essa, al punto 572 della sentenza impugnata, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel valutare gli effetti e la giustificazione obiettiva della pratica contestata.

186. Per contro, al punto 572, il Tribunale ha potuto dedurre dalle sue constatazioni sull’inscindibilità delle due componenti della pratica contestata, senza commettere errori di diritto, che i potenziali effetti pregiudizievoli della stessa sulla concorrenza e sul benessere dei consumatori non possono essere neutralizzati unicamente da eventuali aumenti di efficienza attribuiti a una sola di tali componenti, ossia gli algoritmi specifici di aggiustamento. Ciò vale indipendentemente dalla circostanza che specifici aumenti di efficienza dovuti all’applicazione degli algoritmi specifici di aggiustamento in quanto tali siano o meno accertati (101).

187. Di conseguenza, occorre altresì dichiarare infondati la terza parte nonché il terzo motivo di impugnazione nella sua interezza.

E.      È applicabile il criterio del concorrente altrettanto efficiente? (quarto motivo di impugnazione)

188. Con il quarto motivo di impugnazione, le ricorrenti lamentano che il Tribunale non ha contestato alla Commissione di aver omesso di valutare gli effetti della condotta contestata su concorrenti altrettanto efficienti. Conformemente all’obiettivo dell’articolo 102 TFUE riconosciuto dalla giurisprudenza, gli effetti restrittivi sulla concorrenza si manifestano generalmente solo nel caso in cui tale comportamento abbia un effetto pregiudizievole su concorrenti, esistenti o ipotetici, altrettanto efficienti. Tuttavia, nella decisione controversa, la Commissione non avrebbe esaminato l’efficienza dei comparatori di prodotti concorrenti né preso in considerazione un siffatto ipotetico concorrente. Il Tribunale avrebbe quindi commesso un errore di diritto nel ritenere, al punto 538 della sentenza impugnata, che la Commissione non fosse obbligata ad applicare il criterio del concorrente altrettanto efficiente in assenza di concorrenza sulle tariffe.

189. La Commissione, sostenuta dalle parti intervenute a suo favore, afferma che, in assenza di concorrenza sulle tariffe, non era necessario un confronto con un concorrente, esistente o ipotetico, altrettanto efficiente. Non essendole state contestate pratiche tariffarie abusive, Google non avrebbe dovuto applicare il criterio del concorrente altrettanto efficiente. Invece, la Commissione può fornire la prova di potenziali effetti sulla concorrenza in qualsiasi forma, com’è avvenuto anche nella decisione controversa.

190. Il Tribunale esamina gli effetti restrittivi sulla concorrenza della pratica contestata ai punti 518 e seguenti e il criterio del concorrente altrettanto efficiente ai punti da 538 a 543 della sentenza impugnata. Al punto 527 di tale sentenza, esso ribadisce anzitutto (102) che la Commissione ha dimostrato correttamente che tale pratica di Google ha comportato una riduzione del traffico verso i comparatori di prodotti concorrenti e un aumento verso il proprio comparatore di prodotti, influenzando pertanto la situazione di una categoria significativa di concorrenti di Google in modo sufficiente da poter constatare l’esistenza di effetti anticoncorrenziali. Ai punti da 538 a 541 della sentenza impugnata, il Tribunale rileva poi, in sostanza, che la Commissione non era tenuta ad applicare a tal fine il criterio del concorrente altrettanto efficiente. Ciò avrebbe senso solo in caso di concorrenza sulle tariffe, cosa che non avviene nel caso di specie. La Commissione avrebbe quindi dovuto dimostrare solo i potenziali effetti restrittivi sulla concorrenza della pratica contestata (103). Avrebbe scarsa rilevanza, a tale riguardo, il fatto che il motore di ricerca di Google fosse più efficiente di quello dei comparatori di prodotti concorrenti.

191. A mio avviso, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto nel negare l’esistenza di un obbligo per la Commissione di applicare il criterio del concorrente altrettanto efficiente.

192. L’applicazione di tale criterio consiste di norma nell’esaminare se la strategia tariffaria di un’impresa in posizione dominante sia tale da precludere il mercato ad un concorrente avente le medesime capacità di prestazione di detta impresa (104). A tal fine, è necessaria un’analisi dei prezzi e dei costi, che viene generalmente effettuata sulla base della struttura dei costi della stessa impresa in posizione dominante (105).

193. Secondo una giurisprudenza consolidata, è vero che l’articolo 102 TFUE non è diretto a garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti dell’impresa che detiene una posizione dominante. Per definizione, la concorrenza basata sui meriti tutelata da tale disposizione può portare alla sparizione dal mercato o all’emarginazione dei concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione (106).

194. Tuttavia, tale giurisprudenza non dovrebbe essere interpretata erroneamente nel senso che l’attività di concorrenti meno efficienti, in particolare di piccoli concorrenti, che non possiedono o non sono in grado di neutralizzare le economie di scala o i vantaggi in termini di costi di un’impresa in posizione dominante, non è affatto meritevole di tutela o non svolge alcun ruolo ai fini del mantenimento di una concorrenza efficace (107).

195. Al contrario, a seconda della struttura del mercato, in particolare se vi sono elevate barriere all’ingresso, infatti, anche la presenza di un concorrente meno efficiente può intensificare la pressione concorrenziale e, in tal modo, influenzare il comportamento di un’impresa in posizione dominante (108). Ciò si verifica, in particolare, quando, alla luce di una siffatta struttura del mercato, è improbabile che un’altra impresa possa essere altrettanto efficiente come l’impresa in posizione dominante. Inoltre, se la presenza di una siffatta impresa indebolisce la concorrenza su un mercato a tal punto che anche concorrenti con lo stesso livello di efficienza non possono affermarvisi, non può essere trascurata neppure la pressione concorrenziale derivante da imprese meno efficienti. Infatti, essa può altresì evitare che la struttura del mercato e la possibilità di scelta degli utenti peggiorino ulteriormente in ragione della politica commerciale dell’impresa dominante ed è quindi funzionale all’obiettivo fondamentale del mantenimento della concorrenza perseguito dall’articolo 102 TFUE (109). Anche in ipotesi del genere la Corte ha logicamente escluso la possibilità di applicare il criterio del concorrente altrettanto efficiente (110).

196. Contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti in sede di impugnazione, il criterio del concorrente altrettanto efficiente non è dunque applicabile a livello generale, né tantomeno costituisce un presupposto indispensabile per stabilire se il comportamento di un’impresa in posizione dominante sia conforme ai mezzi della concorrenza basata sui meriti (111). Anche la Corte ha in più occasioni confermato tale interpretazione e sottolineato che, in linea di principio, le autorità garanti della concorrenza non hanno l’obbligo giuridico di applicare tale criterio. Infatti, esso non è che uno dei diversi metodi utili a valutare la capacità di una pratica tariffaria di produrre un effetto escludente (112). Inoltre, se la sua applicazione non è ipotizzabile, né la Commissione né il Tribunale possono essere obbligati a esaminare gli argomenti dedotti in tal senso dall’impresa interessata (113).

197. In particolare, l’ambito di applicazione del criterio del concorrente altrettanto efficiente non dovrebbe essere esteso a pratiche che non hanno alcun rapporto con la concorrenza basata sui prezzi per la quale esso era inizialmente concepito conformemente alla comunicazione sulle priorità della Commissione (114). Ritengo che affermazioni quantomeno ambigue a tale riguardo nella giurisprudenza debbano essere chiarite, se non addirittura corrette (115).

198. La pratica contestata non ha alcun rapporto con la concorrenza basata sui prezzi. Il Tribunale ha quindi potuto concludere, senza commettere alcun errore di diritto, che la Commissione non era tenuta ad applicare il criterio del concorrente altrettanto efficiente ai comparatori di prodotti concorrenti o ai corrispondenti ipotetici concorrenti per poter stabilire che tale comportamento produceva potenziali effetti di esclusione a danno degli stessi.

199. Il quarto motivo di impugnazione è pertanto infondato e deve essere parimenti respinto.

F.      Conclusione intermedia

200. Da quanto precede risulta che occorre respingere i quattro motivi di impugnazione e, pertanto, l’impugnazione nel suo insieme.

V.      Spese

201. La Corte statuisce pertanto sulle spese ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura.

202. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, reso applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione e le parti intervenienti a suo sostegno ne hanno fatto domanda, le ricorrenti in sede di impugnazione devono essere condannate a farsi carico sia delle proprie spese sia di quelle relative all’impugnazione e di quelle sostenute dalle parti intervenute a sostegno della Commissione.

203. L’articolo 140, paragrafi 1 e 2, del regolamento di procedura, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione, stabilisce che le spese sostenute dagli Stati membri e dalle Autorità di vigilanza EFTA intervenuti nella causa restano a loro carico. Inoltre, ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 4, del regolamento di procedura, una parte interveniente in primo grado che non abbia proposto essa stessa l’impugnazione può essere condannata dalla Corte a sostenere le proprie spese se ha partecipato alla fase scritta od orale del procedimento dinanzi alla Corte.

204. Di conseguenza, l’Autorità di vigilanza EFTA deve essere condannata a farsi carico delle proprie spese. Alla luce del punto 5 del dispositivo della sentenza impugnata, non è necessario statuire sulle spese in relazione alla Repubblica federale di Germania che non ha partecipato al procedimento di impugnazione.

205. L’articolo 140, paragrafo 3, del regolamento di procedura, anch’esso applicabile al procedimento di impugnazione, dispone che la Corte può decidere che una parte interveniente diversa da quelle indicate ai paragrafi 1 e 2 si faccia carico delle proprie spese. Poiché la CCIA ha sostenuto le conclusioni delle ricorrenti in sede di impugnazione, risultate soccombenti, deve essere condannata a farsi carico delle proprie spese.

VI.    Conclusione

206. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1.      L’impugnazione è respinta.

2.      Google LLC e la Alphabet Inc. sono condannate a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla Commissione, dal Bureau européen des unions de consommateurs (BEUC), dalla Infederation Ltd, dal Verband Deutscher Zeitschriftenverleger eV, dal BDZV – Bundesverband Digitalpublisher und Zeitungsverleger e. V., da Visual Meta GmbH, da Twenga e da Kelkoo.

3.      L’Autorità di vigilanza EFTA e la Computer & Communication Industry Association sono condannate a farsi carico delle proprie spese.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Sentenza del 10 novembre 2021, Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping) (T‑612/17, EU:T:2021:763).


3      Decisione C (2017) 4444 final, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 102 TFUE e dell’articolo 54 dell’accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE) [caso AT.39740 – Google Search (Shopping)].


4      Sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punti 37 e segg.).


5      In inglese denominato «as-efficient-competitor-test» o «AEC-test».


6      V., in particolare, punti 356 e segg. della decisione controversa, nonché punti 59 e segg., 282 e segg., nonché 369 e segg. della sentenza impugnata.


7      Punti da 59 a 62 della sentenza impugnata; v. altresì punti 371 e segg. della decisione controversa.


8      Regolamento della Commissione, del 7 aprile 2004, relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2004, L 123, pag. 18).


9      Regolamento del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1).


10      V. altresì punti da 40 a 78 della sentenza impugnata.


11      Punti 154 e segg. della decisione controversa.


12      V. altresì punto 43 della sentenza impugnata.


13      Punti 254, 269, 270 e 285 e segg. della decisione controversa; v. altresì punti 46 e 47 della sentenza impugnata.


14      Punti 264 e segg. della decisione controversa; punto 54 della sentenza impugnata.


15      Punto 444 della decisione controversa; punto 64 della sentenza impugnata.


16      Punti 452 e segg. della decisione controversa; punto 65 della sentenza impugnata.


17      Punti 539 e segg. della decisione controversa; punto 66 della sentenza impugnata.


18      Punti 89 e segg. della decisione controversa; punto 67 della sentenza impugnata.


19      Punti 710 e segg. e articolo 2 della decisione controversa; punto 72 della sentenza impugnata.


20      Ordinanza del Presidente della Corte del 22 marzo 2022, Google e Alphabet/Commissione (C‑48/22 P, non pubblicata, EU:C:2022:207).


21      V., in tal senso, sentenze del 3 settembre 2020, Vereniging tot Behoud van Natuurmonumenten in Nederland e a./Commissione (C‑817/18 P, EU:C:2020:637, punto 46), e del 22 giugno 2023, DI/BCE (C‑513/21 P, EU:C:2023:500, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).


22      Sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punti 37 e segg.).


23      V., più recentemente, conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nelle cause Deutsche Telekom/Commissione e Slovak Telekom/Commissione (C‑152/19 P e C‑165/19 P, EU:C:2020:678, paragrafi 56 e segg.), e conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafi 55 e segg.).


24      V. punti 136 e segg. della sentenza impugnata.


25      Punto 212 della sentenza impugnata.


26      Punti da 213 a 217 della sentenza impugnata.


27      Punti 218 e segg. della sentenza impugnata.


28      Punti da 219 a 222 della sentenza impugnata.


29      Punto 223 della sentenza impugnata.


30      Punti da 224 a 227 della sentenza impugnata con riferimento ai punti da 285 a 305, 544, 568, 580 e 588 della decisione controversa.


31      Punto 228 della sentenza impugnata, con riferimento al punto 594 della decisione controversa.


32      Punti da 229 a 231 della sentenza impugnata, con riferimento al punto 649 della decisione controversa.


33      In tal senso, punti 232 e 233 della sentenza impugnata, che ho riformulato per renderli più comprensibili.


34      Punto 234 della sentenza impugnata, con riferimento alle conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nelle cause Deutsche Telekom/Commissione e Slovak Telekom/Commissione (C‑152/19 P e C‑165/19 P, EU:C:2020:678, paragrafi da 85 a 89).


35      Punto 235 della sentenza impugnata, con riferimento alle sentenze del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2011:83, punti da 55 a 58); del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 75), e del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione (T‑201/04, EU:T:2007:289, punto 961).


36      Punto 236 della sentenza impugnata, con riferimento alla sentenza del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punti 48 e 49).


37      Punti da 237 a 240 della sentenza impugnata, con riferimento, tra l’altro, alle conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2010:483, paragrafo 32), e alla sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 45).


38      Punti da 241 a 247 della sentenza impugnata.


39      V. punti 331 e segg., in particolare punti 334, 341 e segg. della decisione controversa.


40      Sentenza del 14 novembre 1996, Tetra Pak/Commissione (C‑333/94 P, EU:C:1996:436, punto 25).


41      In tal senso, sentenza del 19 aprile 2018, MEO – Serviços de Comunicações e Multimédia (C‑525/16, EU:C:2018:270, punti 24 e 25 e giurisprudenza ivi citata). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Mazák nella causa TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2010:483, paragrafo 32).


42      Sentenze del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione (C‑280/08 P, EU:C:2010:603, punto 172); del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2011:83, punto 26), e del 16 marzo 2023, Towercast (C‑449/21, EU:C:2023:207, punto 46).


43      Giurisprudenza costante, v., ex multis, sentenze del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52, punto 153), e del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).


44      In tal senso, v. sentenza del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).


45      In tal senso, v. sentenza del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punto 78), e del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations (C‑680/20, EU:C:2023:33, punti 40 e 44 e giurisprudenza ivi citata).


46      In tal senso, sentenze del 26 novembre 1998, Bronner (C‑7/97, EU:C:1998:569, punto 41); del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 44), e del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punto 79). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafo 61).


47      Sentenza del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione (C‑241/91 P e C‑242/91 P, EU:C:1995:98, punti 50 e segg.). V., altresì, sentenza del 29 aprile 2004, IMS Health (C‑418/01, EU:C:2004:257, punti 35 e segg.).


48      In tal senso, sentenze del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punti 45 e segg.), e del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punti 78 e segg.).


49      Ciò è espresso in modo puntuale nelle conclusioni dell’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nelle cause Deutsche Telekom/Commissione e Slovak Telekom/Commissione (C‑152/19 P e C‑165/19 P, EU:C:2020:678, paragrafo 63): «Le condizioni Bronner subordinano l’accertamento di una pratica abusiva a uno standard giuridico particolarmente elevato. Esse rappresentano, in qualche modo, un “picco” nel quadro normativo dell’articolo 102 TFUE».


50      Riassumendo le conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafi da 63 a 65).


51      In tal senso, sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 46); conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafo 64).


52      Tale problema, denominato anche «Hold up», è descritto più dettagliatamente dalla Commissione al punto 16, lettere e) e f), dei suoi orientamenti sulle restrizioni verticali (GU 2022, C 248, pag. 1).


53      In tal senso, sentenza del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 47); conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafo 65).


54      In tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 73). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafo 65).


55      V. sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2011:83, dal punto 58 alla fine).


56      In tal senso, sentenze del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punti 50 e segg.), e Slovak Telekom/Kommission (C‑165/19 P, EU:C:2021:239, punti 50 e segg.). V., altresì, sentenza del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2011:83, punti da 54 a 58 e da 70 a 72), e del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punti 75 e 76).


57      Punti 331 e segg. e 652 della decisione controversa; punti 223 e da 237 a 240 della sentenza impugnata.


58      Sentenze del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione (C‑280/08 P, EU:C:2010:603); del 17 febbraio 2011, TeliaSonera Sverige (C‑52/09, EU:C:2011:83); del 10 luglio 2014, Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062), e del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238), e Slovak Telekom/Commissione (C‑165/19 P, EU:C:2021:239).


59      V. le situazioni descritte nelle sentenze del 14 ottobre 2010, Deutsche Telekom/Commissione (C‑280/08 P, EU:C:2010:603, punto 4), e del 25 marzo 2021, Deutsche Telekom/Commissione (C‑152/19 P, EU:C:2021:238, punto 16), e Slovak Telekom/Kommission (C‑165/19 P, EU:C:2021:239, punto 16).


60      V. punti 287 e 288 della sentenza impugnata, secondo cui la disparità di trattamento non è il risultato di una differenza oggettiva tra due tipi di risultati di ricerca, ma deriva da una scelta di Google di trattare i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti in modo meno favorevole di quelli del proprio comparatore, applicando loro una presentazione e un posizionamento meno visibili.


61      V. altresì punto 61 della sentenza impugnata.


62      Punto 224 della sentenza impugnata.


63      Punto 227 della sentenza impugnata.


64      Punto 228 della sentenza impugnata.


65      Punto 226 della sentenza impugnata, con riferimento ai punti da 285 a 305, 544, 568, 580 e 588 della decisione controversa.


66      In tal senso, solo il punto 239 della sentenza impugnata.


67      V. punti 335 e seguenti della decisione controversa, sulla base della giurisprudenza sui casi di compressione dei margini.


68      Il titolo di tale sezione nella versione originale in lingua inglese così recita: «The Conduct has potential anti-competitive effects on several markets».


69      La versione originale in lingua inglese è così formulata: «(…) the Conduct is capable of leading competing comparison shopping services to cease providing their services» (il corsivo è mio).


70      V. punti da 333 a 335 della sentenza impugnata, con riferimento ai punti 414 e segg. della decisione controversa, in cui il Tribunale ha respinto la seconda parte del secondo motivo di ricorso.


71      V. altresì punti 136, 139, da 142 a 145 e 158 della sentenza impugnata.


72      V., in tal senso, sentenza del 3 dicembre 2015, Italia/Commissione (C‑280/14 P, EU:C:2015:792, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


73      Punto 168 della sentenza impugnata.


74      Punto 169 della sentenza impugnata, con riferimento alle sezioni da 7.2.2 a 7.2.4 della decisione controversa.


75      Punti 170 e 171 della sentenza impugnata.


76      Punto 172 della sentenza impugnata.


77      Punti 539 e seguenti della medesima decisione.


78      Punto 173 della sentenza impugnata.


79      Punti 174 e 175 della sentenza impugnata (il corsivo è mio).


80      In tal senso, sentenze del 12 gennaio 2023, Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2023:12, punto 78), e del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations (C‑680/20, EU:C:2023:33, punti 40 e 44 e giurisprudenza ivi citata). Analogamente, conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Lietuvos geležinkeliai/Commissione (C‑42/21 P, EU:C:2022:537, paragrafo 92).


81      Punto 195 della sentenza impugnata.


82      Punto 196 della sentenza impugnata.


83      Punto 197 della sentenza impugnata.


84      Punti 180, 182 e 183 della sentenza impugnata.


85      Punti da 176 a 184 della sentenza impugnata.


86      Punto 180 della sentenza impugnata; v. altresì punti 240 e 279 della medesima sentenza.


87      Punti da 176 a 179 della sentenza impugnata.


88      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l’accesso a un’Internet aperta e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica e il regolamento (UE) n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione (GU 2015, L 310, pag. 1).


89      Punto 180 della sentenza impugnata.


90      Punti da 181 a 184 della sentenza impugnata.


91      Su tale divieto di sostituzione, v. sentenze del 10 aprile 2014, Areva e a./Commissione (C‑247/11 P e C‑253/11 P, EU:C:2014:257, punto 56); del 21 gennaio 2016, Galp Energía España e a./Commissione (C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 73), e del 28 settembre 2023, Ryanair/Commissione (C‑321/21 P, EU:C:2023:713, punto 105).


92      V. altresì paragrafi 83 e segg. delle presenti conclusioni.


93      «Si può del resto osservare, ad abundantiam, (…)». «It may be observed, for the sake of completeness (…)» nella versione in lingua inglese; ancora più chiaramente nella versione in lingua francese: «Il peut d’ailleurs être observé, à titre surabondant (…)».


94      V. altresì punti 378 e segg. della decisione controversa, nonché il punto 168 della sentenza impugnata.


95      Punti 589 e segg. della medesima decisione.


96      Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 101 TFUE, v. sentenze del 30 gennaio 2020, Generics (UK) e a. (C‑307/18, EU:C:2020:52, punti da 118 a 121); del 2 aprile 2020, Budapest Bank e a. (C‑228/18, EU:C:2020:265, punto 55 e giurisprudenza ivi citata), e del 18 novembre 2021, Visma Enterprise (C‑306/20, EU:C:2021:935, punto 74). V., altresì, le mie conclusioni nella causa Commissione/Servier e Servier Laboratories (C‑176/19 P, EU:C:2022:576, paragrafi 288 e segg.).


97      Sezione 7.2.3.2 e punti 464 e segg. e 523 e segg. della decisione controversa.


98      V., in particolare, punto 392 della sentenza impugnata.


99      Così intesa, neppure l’affermazione del Tribunale al punto 377 della sentenza impugnata è censurabile.


100      Punti 344 e segg. e 589 e segg. di tale decisione.


101      V., al riguardo, punti 568, 577, 588 e 590 della sentenza impugnata.


102      Con riferimento alle constatazioni formulate ai punti 420, 506 e da 520 a 526 della sentenza impugnata.


103      A tal riguardo, il Tribunale rinvia alla constatazione di cui al punto 441 della sentenza impugnata.


104      In tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 53).


105      V. sentenze del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 54), e del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations (C‑680/20, EU:C:2023:33, dal punto 56 alla fine).


106      In tal senso, sentenze del 27 marzo 2012, Post Danmark (C‑209/10, EU:C:2012:172, punti 21 e 22); del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C‑413/14 P, EU:C:2017:632, punto 134), e del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 45).


107      V., tuttavia, le conclusioni dell’avvocato generale Rantos nella causa Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2021:998, paragrafo 45), in cui tale giurisprudenza viene intesa come uno strumento di protezione delle sole imprese più meritevoli, le quali possono servire da stimolo per la competitività del mercato, ma non delle imprese meno capaci e meno efficienti.


108      In tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 60).


109      V., in tal senso, le mie conclusioni nella causa Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:343, paragrafi 71 e 73).


110      Sentenze del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punto 59), e del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 101). V., altresì, le mie conclusioni nella causa Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:343, paragrafi da 71 a 73).


111      La sentenza del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punto 82) non consente una diversa interpretazione. Per quanto riguarda le pratiche di esclusione, in tale sentenza la Corte si è limitata a qualificare a tale riguardo il criterio del concorrente altrettanto efficiente, allorché esso è attuabile, solo come uno dei criteri che consentono di stabilire se il comportamento di un’impresa dominante debba o meno essere considerato basato sull’utilizzo di mezzi propri di una concorrenza normale (il corsivo è mio).


112      Sentenze del 6 ottobre 2015, Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:651, punti da 57 a 61); del 12 maggio 2022, Servizio Elettrico Nazionale e a. (C‑377/20, EU:C:2022:379, punti 81 e 82), e del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations (C‑680/20, EU:C:2023:33, punti da 56 a 58); v., altresì, le mie conclusioni nella causa Post Danmark (C‑23/14, EU:C:2015:343, paragrafi 61, 63 e da 71 a 74).


113      V., a contrario, sentenza del 6 settembre 2017, Intel/Commissione (C-413/14 P, EU:C:2017:632, punto 141).


114      V. punti 23 e segg. della comunicazione della Commissione – Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo [102 TFUE] al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti (GU 2009, C 45, pag. 7). V. altresì le mie conclusioni nella causa Post Danmark (C-23/14, EU:C:2015:343, paragrafi 59 e 60).


115      Sentenza del 19 gennaio 2023, Unilever Italia Mkt. Operations (C‑680/20, EU:C:2023:33, punto 59).