Language of document : ECLI:EU:C:2018:594

SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

25 luglio 2018 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Marchio dell’Unione europea – Direttiva 2008/95/CE – Articolo 5 – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Articolo 9 – Diritto del titolare di un marchio di opporsi alla rimozione ad opera di un terzo di tutti i segni identici a tale marchio e all’apposizione di nuovi segni su prodotti identici a quelli per i quali detto marchio è stato registrato al fine della loro importazione o della loro immissione in commercio nello Spazio economico europeo (SEE)»

Nella causa C‑129/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo hof van beroep te Brussel (Corte d’Appello di Bruxelles, Belgio), con decisione del 7 febbraio 2017, pervenuta in cancelleria il 13 marzo 2017, nel procedimento

Mitsubishi Shoji Kaisha Ltd,

Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe BV

contro

Duma Forklifts NV,

G.S. International BVBA

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader, A. Prechal e E. Jarašiūnas (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 febbraio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

–        per la Mitsubishi Shoji Kaisha Ltd e la Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe BV, da P. Maeyaert e J. Muyldermans, advocaten;

–        per la Duma Forklifts NV e la G.S. International BVBA, da K. Janssens e J. Keustermans, advocaten, nonché da M.R. Gherghinaru, avocate;

–        per il governo tedesco, da T. Henze, M. Hellmann e J. Techert, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da J. Samnadda, E. Gippini Fournier e F. Wilman, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 26 aprile 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25), e dell’articolo 9 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Mitsubishi Shoji Kaisha Ltd (in prosieguo: la «Mitsubishi») e la Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe BV (in prosieguo: la «MCFE») e, dall’altro, la Duma Forklifts NV (in prosieguo: la «Duma») e la G.S. International BVBA (in prosieguo: la «GSI») in merito a una domanda volta a far sì che queste ultime cessino di rimuovere i segni identici ai marchi di cui Mitsubishi è titolare e di apporre nuovi segni su carrelli elevatori a forca Mitsubishi acquisiti al di fuori dello Spazio economico europeo (SEE).

 Contesto normativo

3        I considerando 1 e 2 della direttiva 2008/95 così recitano:

«(1)      La direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [(GU 1989, L 40, pag. 1)], è stata modificata nel suo contenuto. A fini di razionalità e chiarezza è opportuno procedere alla codificazione di tale direttiva.

(2)      Le legislazioni che si applicavano ai marchi d’impresa negli Stati membri prima che la direttiva 89/104/CEE entrasse in vigore presentavano disparità in grado di ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché di falsare le condizioni di concorrenza nel mercato comune. Era pertanto necessario ravvicinare le legislazioni degli Stati membri per garantire il buon funzionamento del mercato interno».

4        Ai sensi dell’articolo 5 della direttiva, rubricato «      Diritti conferiti dal marchio di impresa»:

«1.      Il marchio d’impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa.

(…)

3.      Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni menzionate [al paragrafo 1]:

a)      di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)      di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

5        L’ articolo 7 della direttiva, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», al paragrafo 1 dispone:

«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

6        Il regolamento n. 207/2009 ha codificato il regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio [dell’Unione europea] (GU 1994, L 11, pag. 1). L’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, rubricato «Diritti conferiti dal marchio [dell’Unione europea]», così disponeva;

«1.      Il marchio [dell’Unione europea] conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio [dell’Unione europea] per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio [dell’Unione europea] e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio [dell’Unione europea] e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra il segno e il marchio;

(…)

2.      Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 1:

a)      l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro imballaggio;

b)      l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

c)      l’importazione o l’esportazione dei prodotti sotto la copertura del segno;

d)      l’uso del segno nella corrispondenza commerciale o nella pubblicità.

(…)».

7        L’articolo 13 di tale regolamento, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio [dell’Unione europea]», al suo paragrafo 1 prevedeva quanto segue:

«Il diritto conferito dal marchio [dell’Unione europea] non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio [nell’Unione europea] con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso».

8        Il regolamento n. 207/2009 è stato modificato dal regolamento (UE) n. 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, recante modifica del regolamento (CE) n. 207/2009, che modifica il regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, recante modalità di esecuzione del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio sul marchio [dell’Unione europea], e che abroga il regolamento (CE) n. 2869/95 della Commissione relativo alle tasse da pagare all’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno (marchi, disegni e modelli) (GU 2015, L 341, pag. 21), entrato in vigore il 23 marzo 2016 e applicabile ai fatti di cui al procedimento principale a decorrere da tale data.

9        Il regolamento n. 2015/2424 ha introdotto, all’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, un nuovo paragrafo 4 così formulato:

«Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha inoltre il diritto di impedire a tutti i terzi di introdurre nell’Unione, in ambito commerciale, prodotti che non siano stati immessi in libera pratica, quando detti prodotti, compreso l’imballaggio, provengono da paesi terzi e recano senza autorizzazione un marchio identico al marchio UE registrato per tali prodotti o che non può essere distinto nei suoi aspetti essenziali da detto marchio.

La titolarità del marchio UE ai sensi del primo comma cessa qualora, durante il procedimento per determinare l’eventuale violazione del marchio UE, avviato conformemente al regolamento (UE) n. 608/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 12 giugno 2013, relativo alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale da parte delle autorità doganali e che abroga il regolamento (CE) n. 1383/2003 del Consiglio (GU 2013, L 181, pag. 15)], il dichiarante o il detentore dei prodotti fornisca prova che il titolare del marchio UE non ha il diritto di vietare l’immissione in commercio dei prodotti nel paese di destinazione finale».

10      Una disposizione analoga è prevista all’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), con la quale si è proceduto a una rifusione della direttiva 2008/95 abrogandola con effetto dal 15 gennaio 2019, ma che non è applicabile ai fatti di cui al procedimento principale.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

11      La Mitsubishi, con sede in Giappone, è titolare dei seguenti marchi (in prosieguo: i «marchi Mitsubishi»):

–        il marchio dell’Unione europea denominativo MITSUBISHI, registrato il 24 settembre 2001 con il numero 118042, che designa in particolare i prodotti rientranti nella classe 12 dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, compresi veicoli a motore, veicoli elettrici e carrelli elevatori a forca;

–        il marchio dell’Unione europea figurativo di seguito rappresentato, registrato il 3 marzo 2000 con il numero 117713, che designa in particolare i prodotti rientranti nella classe 12 del suddetto accordo, compresi veicoli a motore, veicoli elettrici e carrelli elevatori a forca:

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–        il marchio Benelux denominativo MITSUBISHI, registrato il 1o giugno 1974 con il numero 93812, che designa in particolare i prodotti rientranti nella classe 12, compresi veicoli e mezzi di trasporto terrestri, e nella classe 16, compresi libri e stampati;

–        il marchio Benelux figurativo MITSUBISHI, registrato il 1o giugno 1974, con il numero 92755, che designa in particolare i prodotti rientranti nella classe 12, compresi veicoli e mezzi di trasporto terrestri, e nella classe 16, compresi libri e stampati, identico al marchio dell’Unione europea figurativo.

12      La MCFE, con sede nei Paesi Bassi, è autorizzata a titolo esclusivo a produrre e a immettere in commercio nel SEE carrelli elevatori a forca dotati dei marchi Mitsubishi.

13      La Duma, con sede in Belgio, svolge come attività principale la compravendita a livello mondiale di carrelli elevatori a forca, nuovi e di seconda mano. Essa mette in vendita anche i propri carrelli elevatori a forca con i nomi «GSI», «GS» o «Duma». In passato era un sotto‑distributore ufficiale di carrelli elevatori a forca Mitsubishi in Belgio.

14      La GSI, anch’essa con sede in Belgio, è collegata alla Duma con la quale condivide amministrazione e sede. Fabbrica e ripara carrelli elevatori a forca che essa importa ed esporta all’ingrosso sul mercato mondiale insieme alle relative parti di ricambio. Essa li adatta alla normativa vigente in Europa, vi appone i propri numeri di serie e li consegna alla Duma fornendo dichiarazioni di conformità UE.

15      Dalla decisione di rinvio risulta che, nel periodo dal 1o gennaio 2004 al 19 novembre 2009, la Duma e la GSI hanno importato parallelamente nel SEE carrelli elevatori a forca recanti i marchi Mitsubishi, senza il consenso del titolare di tali marchi.

16      A partire dal 20 novembre 2009, la Duma e la GSI acquistano presso una società del gruppo Mitsubishi, al di fuori del SEE, carrelli elevatori a forca che esse introducono nel territorio del SEE, dove li collocano in regime di deposito doganale. Quindi esse rimuovono, su tali merci, tutti i segni identici ai marchi Mitsubishi, apportano le modifiche necessarie per renderle conformi alle norme vigenti nell’Unione, sostituiscono le targhette di identificazione e i numeri di serie con i propri segni. Successivamente le importano e le commercializzano nel SEE e al di fuori di esso.

17      La Mitsubishi e la MCFE hanno adito il rechtbank van koophandel te Brussel (Tribunale del commercio di Bruxelles, Belgio) chiedendo che venisse disposta la cessazione di tali condotte. Poiché le loro domande sono state respinte con sentenza del 17 marzo 2010, esse hanno interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles) richiedendo sia il divieto del commercio parallelo di carrelli elevatori a forca contrassegnati dai marchi Mitsubishi che il divieto dell’importazione e della commercializzazione di carrelli elevatori a forca sui quali sono stati rimossi i segni identici a tali marchi e sono stati apposti nuovi segni.

18      Dinanzi a detto giudice, la Mitsubishi ha sostenuto che la rimozione dei segni e l’apposizione dei nuovi segni sui carrelli elevatori a forca acquistati al di fuori del SEE, la rimozione delle targhette di identificazione e dei numeri di serie, nonché l’importazione e la commercializzazione di detti carrelli elevatori a forca nel SEE ledessero i diritti ad essa conferiti dai marchi Mitsubishi. In particolare, essa ha sostenuto che la rimozione dei segni identici a tali marchi, senza il suo consenso, costituisse un’elusione del diritto del titolare del marchio di controllare la prima immissione in commercio nel SEE dei prodotti recanti tale marchio e compromettesse le funzioni di indicazione di origine e di qualità nonché le funzioni di investimento e di pubblicità del marchio. Al riguardo, essa ha osservato che, nonostante tale rimozione, i carrelli elevatori a forca Mitsubishi potevano comunque essere riconosciuti dal consumatore.

19      La Duma e la GSI hanno sostenuto, in particolare, che esse dovevano essere considerate le fabbricanti dei carrelli elevatori a forca acquistati al di fuori del SEE, in quanto procedevano ad alcune modifiche per renderli conformi alla normativa dell’Unione, e avevano quindi il diritto di apporvi i propri segni.

20      Il giudice del rinvio, per quanto riguarda l’importazione parallelanel SEE dei carrelli elevatori a forca contrassegnati dai marchi Mitsubishi, ha ritenuto che essa costituisse una violazione del diritto dei marchi e ha accolto le domande della Mitsubishi e della MCFE. Per quanto riguarda l’importazione e la commercializzazione nel SEE, a partire dal 20 novembre 2009, dei carrelli elevatori a forca Mitsubishi, provenienti da paesi non-membri del SEE, sui quali i segni identici ai marchi Mitsubishi sono stati rimossi e sono stati apposti nuovi segni, tale giudice ha rilevato che la Corte non si era ancora pronunciata sulla questione di stabilire se condotte quali quelle adottate dalla Duma e dalla GSI costituiscano un uso che il titolare del marchio può vietare, precisando tuttavia che la giurisprudenza della Corte offriva indicazioni che gli consentivano di supporre una risposta positiva a tale questione.

21      È in tale contesto che lo hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      a)      Se gli articoli 5 della direttiva 2008/95 e 9 del regolamento [n. 207/2009] prevedano il diritto del titolare del marchio di opporsi alla rimozione, ad opera di un terzo, senza il consenso del titolare del marchio, di tutti i segni uguali ai marchi apposti sui prodotti (“smarchiatura”), che non siano ancora commercializzati [nel SEE], come prodotti in regime di deposito doganale, e qualora la rimozione ad opera di tale terzo avvenga al fine di importare o commercializzare detti prodotti [nel SEE].

b)      Se ai fini della risposta alla questione a) sopra formulata rilevi se l’importazione o la commercializzazione di tali prodotti [nel SEE] abbia luogo con un proprio segno distintivo apposto da tale terzo (“rimarchiatura”).

2)      Se ai fini della risposta alla prima questione rilevi se i prodotti in tal modo importati o commercializzati grazie al loro aspetto esteriore o al loro modello vengano ancora identificati dal consumatore medio di riferimento come provenienti dal titolare del marchio».

 Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento

22      Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 20 giugno 2018, la Mitsubishi ha chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento, ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte. A sostegno di tale richiesta, la Mitsubishi fa valere, in sostanza, che le conclusioni dell’avvocato generale si basano su un’erronea considerazione secondo la quale l’uso nel commercio, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, presuppone un atto positivo e visibile. Essa ritiene, inoltre, che tali conclusioni non forniscano una risposta ai suoi argomenti secondo cui la rimozione dei segni pregiudica le diverse funzioni del marchio.

23      Ai sensi dell’articolo 83 del proprio regolamento di procedura, la Corte, sentito l’avvocato generale, può disporre in qualsiasi momento la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo determinante la decisione della Corte, oppure quando la causa dev’essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati dall’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

24      Nel caso di specie, non sussiste nessuna di queste ipotesi. Infatti, non è stata in alcun modo allegata l’esistenza di un fatto nuovo. Inoltre, la Mitsubishi, al pari delle altre parti che hanno partecipato al presente procedimento, ha potuto esporre, nel corso tanto della fase scritta quanto di quella orale, gli elementi di fatto e di diritto a suo avviso pertinenti per rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio, in particolare circa la nozione di «usare nel commercio», ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e dell’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009. Pertanto, la Corte, sentito l’avvocato generale, ritiene di essere in possesso di tutti gli elementi necessari per statuire.

25      Inoltre, per quanto riguarda le critiche formulate dalla Mitsubishi nei confronti delle conclusioni dell’avvocato generale, occorre ricordare, da un lato, che lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e il regolamento di procedura di quest’ultima non prevedono la possibilità per le parti interessate di presentare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (sentenza del 20 dicembre 2017, Acacia e D’Amato, C‑397/16 e C‑435/16, EU:C:2017:992, punto 26 nonché giurisprudenza ivi citata).

26      Dall’altro lato, in forza dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. A tal proposito, la Corte non è vincolata né dalle conclusioni dell’avvocato generale né dalla motivazione in base alla quale quest’ultimo giunge alle proprie conclusioni. Di conseguenza, il disaccordo di una parte con le conclusioni dell’avvocato generale, qualunque siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale (sentenza del 20 dicembre 2017, Acacia e D’Amato, C‑397/16 e C‑435/16, EU:C:2017:992, punto 27 nonché giurisprudenza ivi citata).

27      Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte ritiene che non vi sia motivo per disporre la riapertura della fase orale del procedimento.

 Sulle questioni pregiudiziali

28      Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 2008/95 e l’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può opporsi a che un terzo, senza il suo consenso, rimuova tutti i segni identici a tale marchio e apponga altri segni sui prodotti in regime doganale come nel procedimento principale, al fine di importarli o di immetterli in commercio nel SEE, dove non sono mai stati commercializzati.

29      L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, il cui contenuto è identico, devono essere interpretati allo stesso modo (v., in tal senso, ordinanza del 19 febbraio 2009, UDV North America, C‑62/08, EU:C:2009:111, punto 42).

30      A tal fine, occorre ricordare che la direttiva 2008/95, che ha codificato la direttiva 89/104, è volta, come emerge dai suoi considerando 1 e 2, ad abolire le disparità tra gli Stati membri in materia di marchi che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi nonché alterare le condizioni di concorrenza nel mercato interno. Il diritto di marchio costituisce quindi un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il diritto dell’Unione mira a stabilire e mantenere. In tale sistema le imprese devono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all’esistenza di contrassegni distintivi che consentano di identificarli (sentenza del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club, C‑206/01, EU:C:2002:651, punti 46 e 47 nonché giurisprudenza ivi citata).

31      Occorre inoltre ricordare che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95 e l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009 limitano l’esaurimento del diritto conferito al titolare del marchio ai soli casi in cui i prodotti siano immessi in commercio nel SEE. Tali articoli consentono al titolare di commercializzare i suoi prodotti al di fuori del SEE senza che detta immissione in commercio esaurisca i suoi diritti all’interno di esso. Precisando che l’immissione sul mercato al di fuori del SEE non esaurisce il diritto del titolare d’impedire l’importazione di tali prodotti effettuata senza il suo consenso, il legislatore dell’Unione ha così concesso al titolare del marchio di controllare la prima immissione sul mercato nel SEE dei prodotti contrassegnati dal marchio (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 1998, Silhouette International Schmied, C‑355/96, EU:C:1998:374, punto 26; del 20 novembre 2001, Zino Davidoff e Levi Strauss, da C‑414/99 a C‑416/99, EU:C:2001:617, punti 32 e 33, nonché del 18 ottobre 2005, Class International, C‑405/03, EU:C:2005:616, punto 33).

32      Al riguardo, la Corte ha sottolineato in numerose occasioni che, al fine di assicurare la tutela dei diritti conferiti dal marchio, è essenziale che il titolare del marchio registrato in uno o più Stati membri possa controllare la prima immissione in commercio di tali prodotti nel SEE (sentenze del 15 ottobre 2009, Makro Zelfbedieningsgroothandel e a., C‑324/08, EU:C:2009:633, punto 32; del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 60, nonché del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a., C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 31). Risulta peraltro dalla giurisprudenza della Corte che tale diritto del titolare verte su ciascun esemplare del suddetto prodotto (v., in tal senso, sentenze del 1o luglio 1999, Sebago e Maison Dubois, C‑173/98, EU:C:1999:347, punti 19 e 20, nonché del 3 giugno 2010, Coty Prestige Lancaster Group, C‑127/09, EU:C:2010:313, punto 31).

33      Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2008/95 e l’articolo 9, paragrafo 1, prima frase, del regolamento n. 207/2009 conferiscono al titolare del marchio registrato un diritto esclusivo, il quale, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), di detta direttiva e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettere a) e b), di detto regolamento, legittima il titolare a vietare ai terzi di usare nel commercio, salvo proprio consenso, un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato o un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza con il marchio e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio.

34      La Corte ha dichiarato in più occasioni che il diritto esclusivo del titolare del marchio è stato concesso al fine di consentirgli di tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest’ultimo, ossia garantire che il marchio possa adempiere le proprie funzioni, e che l’esercizio di tale diritto deve essere pertanto riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio. Fra dette funzioni è da annoverare non solo la funzione essenziale del marchio, consistente nel garantire al consumatore l’identità di origine del prodotto o del servizio, ma anche le altre funzioni del marchio, segnatamente quella di garantire la qualità del prodotto o del servizio di cui si tratti, o quelle di comunicazione, investimento o pubblicità (v. sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club, C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 51; del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punto 58; del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punti 77 e 79, nonché del 22 settembre 2011, Interflora et Interflora British Unit, C‑323/09, EU:C:2011:604, punti 37 e 38).

35      Riguardo a tali funzioni, occorre ricordare che il marchio ha la funzione essenziale di garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa (sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 82 nonché giurisprudenza ivi citata). Esso serve in particolare ad attestare che tutti i prodotti o i servizi da esso contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un’unica impresa, alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità, e ciò affinché possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato (v., in tal senso, sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club, C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 48, nonché del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 80).

36      La funzione di investimento del marchio è intesa come la possibilità per il titolare del marchio di utilizzarlo per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e renderli fedeli, mediante diverse tecniche commerciali. Pertanto, qualora l’uso da parte di un terzo, come ad esempio un concorrente del titolare del marchio, di un segno identico a quest’ultimo per prodotti o servizi identici a quelli per i quali detto marchio è stato registrato intralci in modo sostanziale l’utilizzo, da parte del suddetto titolare, del proprio marchio per acquisire o mantenere una reputazione idonea ad attirare i consumatori e renderli fedeli, il predetto uso pregiudica tale funzione. Detto titolare ha pertanto il diritto di vietare un uso di questo tipo ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95 o, in caso di marchio dell’Unione europea, dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 (v., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit, C‑323/09, EU:C:2011:604, punti da 60 a 62).

37      La funzione di pubblicità del marchio, a sua volta, è quella di utilizzare un marchio a fini pubblicitari volti ad informare o a persuadere il consumatore. Pertanto, il titolare di un marchio può in particolare vietare l’uso, senza il suo consenso, di un segno identico al suo marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali tale marchio è registrato, qualora tale uso pregiudichi l’impiego del marchio, da parte del suo titolare, quale strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale (v., in tal senso, sentenza del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punti 91 e 92).

38      Per quanto riguarda la nozione di «usare nel commercio», la Corte ha già dichiarato che l’elenco dei tipi di uso che il titolare del marchio può vietare, contenuto nell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2008/95 e nell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, non è esaustivo (v. sentenze del 12 novembre 2002, Arsenal Football Club, C‑206/01, EU:C:2002:651, punto 38; del 25 gennaio 2007, Adam Opel, C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 16, nonché del 23 marzo 2010, Google France e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punto 65) e contiene esclusivamente comportamenti attivi da parte del terzo (v. sentenza del 3 marzo 2016, Daimler, C‑179/15, EU:C:2016:134, punto 40).

39      La Corte ha altresì osservato che l’uso nel commercio di un segno identico al marchio, o che presenta delle somiglianze con esso, presuppone che tale uso avvenga nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell’ambito privato (v. sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a., C‑379/14, EU:C:2015:497, punto 43 nonché giurisprudenza ivi citata). Essa ha precisato che i termini «uso» e «nel commercio» non possono essere interpretati nel senso che riguardano solo i rapporti immediati tra un commerciante e un consumatore e, in particolare, che ricorre uso di un segno identico al marchio quando l’operatore economico interessato utilizza tale segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale (v. sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a., C‑379/14, EU:C:2015:497, punti 40 e 41 nonché giurisprudenza ivi citata).

40      Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che, senza il consenso della Mitsubishi, la Duma e la GSI acquistano, al di fuori del SEE, carrelli elevatori a forca Mitsubishi che esse introducono nel territorio del SEE, dove li collocano in regime di deposito doganale. Mentre tali merci si trovano ancora in detto regime, esse ne rimuovono integralmente i segni identici ai marchi Mitsubishi, apportano modifiche per renderle conformi alle norme vigenti nell’Unione, procedono alla sostituzione delle targhette di identificazione e dei numeri di serie, vi appongono i propri segni, poi le importano e le commercializzano nel SEE e al di fuori di esso.

41      Diversamente dalle cause che hanno dato origine alle sentenze citate al punto 31 della presente sentenza, i prodotti di cui trattasi nel procedimento principale non sono contrassegnati dai marchi interessati quando sono importati e commercializzati nel SEE, dopo essere stati collocati in regime di deposito doganale. Inoltre, a differenza delle altre sentenze citate ai punti da 34 a 39 della presente sentenza, i terzi non sembrano usare in alcun modo in tale momento segni identici ai marchi interessati o segni che presentano similitudini con essi, in particolare nella comunicazione commerciale. Ciò distingue il procedimento principale dalle circostanze contemplate al punto 86 della sentenza dell’8 luglio 2010, Portakabin (C‑558/08, EU:C:2010:416), menzionata dal giudice del rinvio, nella quale la Corte ha rilevato che, quando il rivenditore rimuove, senza il consenso del titolare di un marchio, la menzione di tale marchio apposta sui prodotti e la sostituisce con un’etichetta recante il proprio nome, di modo che il marchio del fabbricante dei prodotti in questione venga interamente occultato, il titolare del marchio ha il diritto di opporsi a che il rivenditore utilizzi il marchio stesso per annunciare la rivendita in questione, poiché ciò pregiudica la funzione essenziale del marchio.

42      Tuttavia occorre rilevare, in primo luogo, che la rimozione dei segni identici al marchio impedisce che i prodotti per i quali tale marchio è stato registrato rechino il marchio medesimo la prima volta che sono immessi in commercio nel SEE e priva pertanto il titolare di detto marchio del godimento del diritto essenziale, riconosciutogli dalla giurisprudenza richiamata al punto 31 della presente sentenza, di controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti il marchio.

43      In secondo luogo, la rimozione dei segni identici al marchio e l’apposizione di nuovi segni sui prodotti al fine della loro prima immissione sul mercato nel SEE pregiudicano le funzioni del marchio.

44      Per quanto riguarda la funzione di indicazione di origine, è sufficiente ricordare che, al punto 48 della sentenza del 16 luglio 2015, TOP Logistics e a. (C‑379/14, EU:C:2015:497), la Corte ha già rilevato che qualsiasi atto di un terzo che impedisca al titolare di un marchio registrato in uno o più Stati membri di esercitare il suo diritto di controllare la prima immissione in commercio nel SEE di prodotti recanti detto marchio, pregiudica di per sé detta funzione fondamentale del marchio.

45      Il giudice del rinvio si interroga sull’impatto che può avere il fatto che i prodotti importati o immessi in commercio possano ancora essere identificati dal consumatore medio di riferimento come provenienti dal titolare del marchio grazie al loro aspetto esteriore o al loro modello. Esso indica infatti che, nonostante la rimozione dei segni identici al marchio e l’apposizione di nuovi segni sui carrelli elevatori a forca, i consumatori di riferimento continuano a percepirli come carrelli elevatori a forca Mitsubishi. Al riguardo, occorre osservare che, se è vero che la funzione essenziale del marchio può essere influenzata indipendentemente da tale fatto, quest’ultimo appare idoneo ad accentuare gli effetti di una simile influenza.

46      Inoltre, la rimozione dei segni identici al marchio e l’apposizione di nuovi segni sui prodotti ostacolano la possibilità per il titolare del marchio di attirare la clientela con la qualità dei suoi prodotti e incidono sulle funzioni di investimento e di pubblicità del marchio qualora, come nella fattispecie, il prodotto interessato non sia ancora stato commercializzato con il marchio del titolare su tale mercato da quest’ultimo o con il suo consenso. Invero, il fatto che i prodotti del titolare del marchio siano immessi in commercio prima che detto titolare li abbia contrassegnati con tale marchio, di modo che i consumatori conosceranno i suddetti prodotti prima di poterli associare ad esso, può intralciare in modo sostanziale l’utilizzo di tale marchio, da parte del suddetto titolare, per acquisire una reputazione idonea ad attirare i consumatori e renderli fedeli, e per fungere da strumento di promozione delle vendite o di strategia commerciale. Inoltre, tali condotte privano il titolare della possibilità di realizzare, con una prima immissione in commercio nel SEE, il valore economico del prodotto recante il marchio e, di conseguenza, il suo investimento.

47      In terzo luogo, pregiudicando il diritto del titolare del marchio di controllare la prima immissione sul mercato dei prodotti recanti detto marchio nel SEE, nonché le funzioni del marchio, la rimozione dei segni identici al marchio e l’apposizione di nuovi segni su tali prodotti da parte di un terzo, senza il consenso di detto titolare, al fine di importare o immettere in commercio i suddetti prodotti nel SEE e con lo scopo di eludere il diritto del titolare di impedire l’importazione di tali prodotti recanti il suo marchio, sono in contrasto con l’obiettivo di assicurare una concorrenza non falsata.

48      Infine, alla luce della giurisprudenza richiamata al punto 38 della presente sentenza relativa alla nozione di «usare nel commercio», occorre rilevare che l’operazione con cui il terzo rimuove i segni identici al marchio per apporvi i propri segni implica un comportamento attivo da parte di tale terzo che, qualora venga effettuata al fine di importare e commercializzare i prodotti nel SEE, e quindi nel contesto di un’attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 39 della presente sentenza, può essere considerata un uso del marchio nel commercio.

49      Per tutti questi motivi, si deve ritenere che il titolare del marchio possa opporsi, in forza dell’articolo 5 della direttiva 2008/95 e dell’articolo 9 del regolamento n. 207/2009, a simili condotte.

50      È irrilevante ai fini di tale conclusione il fatto che la rimozione dei segni identici al marchio e l’apposizione di nuovi segni avvengano allorché le merci sono ancora assoggettate al regime di deposito doganale, dal momento che tali operazioni sono effettuate ai fini dell’importazione e dell’immissione in commercio di tali merci nel SEE, come dimostrato, nel procedimento principale, dal fatto che la Duma e la GSI apportano modifiche ai carrelli elevatori a forca per renderli conformi alle norme vigenti nell’Unione nonché, inoltre, dal fatto che questi ultimi sono, almeno in parte, effettivamente importati e immessi in commercio nel SEE.

51      In tale contesto, occorre inoltre osservare che l’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento n. 207/2009, come modificato dal regolamento n. 2015/2424, applicabile ai fatti di cui al procedimento principale a decorrere dal 23 marzo 2016, autorizza ormai il titolare del marchio ad impedire a tutti i terzi di introdurre nell’Unione, in ambito commerciale, prodotti che non vi siano stati immessi in libera pratica, quando detti prodotti, compreso l’imballaggio, provengono da paesi terzi e recano senza autorizzazione un marchio identico al marchio UE registrato per tali prodotti o che non può essere distinto nei suoi aspetti essenziali da detto marchio. Tale diritto del titolare si estingue solo se, nel corso del procedimento volto a determinare l’eventuale violazione del marchio, il dichiarante o il detentore dei prodotti dimostra che il titolare non ha diritto a vietare l’immissione in commercio dei prodotti nel paese di destinazione finale.

52      Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni poste dichiarando che l’articolo 5 della direttiva 2008/95 e l’articolo 9 del regolamento n. 207/2009 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può opporsi a che un terzo, senza il suo consenso, rimuova tutti i segni identici a tale marchio e apponga altri segni su prodotti collocati in regime di deposito doganale come nel procedimento principale al fine di importarli o di immetterli in commercio nel SEE, dove non sono mai stati commercializzati.

 Sulle spese

53      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’articolo 5 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, e l’articolo 9 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio può opporsi a che un terzo, senza il suo consenso, rimuova tutti i segni identici a tale marchio e apponga altri segni su prodotti collocati in regime di deposito doganale come nel procedimento principale al fine di importarli o di immetterli in commercio nello Spazio economico europeo (SEE), dove non sono mai stati commercializzati.

Firme


*      Lingua processuale: il neerlandese.