Language of document : ECLI:EU:C:2019:520

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 20 giugno 2019 (1)

Causa C212/18

Prato Nevoso Termo Energy Srl

contro

Provincia di Cuneo,

ARPA Piemonte,

nei confronti di:

Comune di Frabosa Sottana

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Italia)]

«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Direttiva 2008/98/CE – Rifiuti – Oli vegetali esausti sottoposti a un trattamento chimico – Articolo 6, paragrafi 1 e 4 – Cessazione della qualifica di rifiuto – Condizioni – Margine di discrezionalità degli Stati membri – Direttiva 2009/28/CE – Promozione dell’energia prodotta da fonti rinnovabili – Richiesta di autorizzazione a utilizzare in un impianto per la produzione di energia termica ed elettrica, senza essere assoggettati alla normativa nazionale in materia di recupero energetico dei rifiuti, un bioliquido prodotto a partire da oli vegetali esausti sottoposti a trattamento chimico – Rigetto – Articolo 13, paragrafo 1 – Procedimento di autorizzazione»






I.      Introduzione

1.        Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Italia) chiede alla Corte di pronunciarsi sull’interpretazione dell’articolo 6 della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (2) e sull’articolo 13 della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (3).

2.        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Prato Nevoso Termo Energy S.r.l. (in prosieguo: la «PNTE») e la Provincia di Cuneo (Italia) in relazione al rigetto di una domanda presentata dalla PNTE diretta a ottenere l’autorizzazione a modificare la fonte di alimentazione di una centrale per la produzione di energia termica ed elettrica da essa gestita sostituendo il metano, all’epoca utilizzato, con un combustibile ottenuto dal trattamento chimico di oli vegetali esausti.

3.        Il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se l’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98 e l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 ostino a una normativa nazionale in base alla quale l’impiego di un combustibile siffatto in un impianto che produce emissioni in atmosfera è soggetto alle disposizioni imperative applicabili al recupero energetico dei rifiuti, a meno che e fintanto che un decreto ministeriale, atto interno di portata generale, non disponga diversamente.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

4.        L’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98 definisce la nozione di «rifiuto» come «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi».

5.        L’articolo 6 della direttiva di cui trattasi, recante il titolo «Cessazione della qualifica di rifiuto», così dispone:

«1.      Taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni:

a)      la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;

b)      esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c)      la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d)      l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.

2.      Le misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, completandola, che riguardano l’adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e specificano il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. Criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri, almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, i pneumatici e i rifiuti tessili.

(…)

4.      Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. (…)».

6.        L’articolo 2, lettera h), della direttiva 2009/28 definisce la nozione di «bioliquidi» come «combustibili liquidi per scopi energetici diversi dal trasporto, compresi l’elettricità, il riscaldamento ed il raffreddamento, prodotti a partire dalla biomassa».

7.        L’articolo 13 della direttiva di cui trattasi, dal titolo «Procedure amministrative, regolamentazioni e codici», prevede al suo paragrafo 1:

«Gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze applicabili agli impianti e alle connesse infrastrutture della rete di trasmissione e distribuzione per la produzione di elettricità, di calore o di freddo a partire da fonti energetiche rinnovabili e al processo di trasformazione della biomassa in biocarburanti o altri prodotti energetici siano proporzionate e necessarie.

Gli Stati membri prendono in particolare le misure appropriate per assicurare che:

a)      fatte salve le differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda le strutture amministrative e l’organizzazione, le responsabilità rispettive degli organi amministrativi nazionali, regionali e locali in materia di procedure di autorizzazione, di certificazione e di concessione di licenze, compresa la pianificazione del territorio, siano chiaramente coordinate e definite e che siano previsti calendari trasparenti per decidere sulle domande urbanistiche ed edilizie;

b)      siano rese disponibili al livello adeguato informazioni esaurienti sul trattamento delle domande di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze per gli impianti di energia rinnovabile e sull’assistenza disponibile per i richiedenti;

c)      le procedure amministrative siano semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato;

d)      le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti, proporzionate, non contengano discriminazioni tra partecipanti e tengano pienamente conto delle specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili;

e)      le spese amministrative pagate da consumatori, urbanisti, architetti, imprese edili e installatori e fornitori di attrezzature e di sistemi siano trasparenti e proporzionate ai costi; e

f)      siano previste procedure di autorizzazione semplificate e meno gravose, anche attraverso semplice notifica se consentito dal quadro regolamentare applicabile, per i progetti di piccole dimensioni ed eventualmente per dispositivi decentrati per la produzione di energia da fonti rinnovabili».

B.      Diritto italiano

8.        L’articolo 184 ter, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, Norme in materia ambientale (4), recepisce nel diritto italiano l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98.

9.        L’articolo 268, lettera eee-bis), del suddetto decreto legislativo definisce la nozione di «combustibile» come «qualsiasi materia solida, liquida o gassosa, di cui l’allegato X alla parte quinta preveda l’utilizzo per la produzione di energia mediante combustione, esclusi i rifiuti (…)».

10.      L’articolo 293, paragrafo 1, del decreto legislativo di cui trattasi stabilisce che «[n]egli impianti disciplinati dal titolo I e dal titolo II della parte quinta, inclusi gli impianti termici civili di potenza termica inferiore al valore di soglia, possono essere utilizzati esclusivamente i combustibili previsti per tali categorie di impianti dall’Allegato X alla parte quinta, alle condizioni ivi previste. I materiali e le sostanze elencati nell’allegato X alla parte quinta del presente decreto non possono essere utilizzati come combustibili ai sensi del presente titolo se costituiscono rifiuti ai sensi della parte quarta del presente decreto. È soggetta alla normativa vigente in materia di rifiuti la combustione di materiali e sostanze che non sono conformi all’allegato X alla parte quinta del presente decreto o che comunque costituiscono rifiuti (…)».

11.      L’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo n. 152/2006 elenca, nel titolo II, sezione 4, i combustibili da biomassa di cui è autorizzato l’utilizzo per la produzione di energia nei seguenti termini:

«a)      Materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate;

b)      Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccazione di coltivazioni agricole non dedicate;

c)      Materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da potatura;

d)      Materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica e dal trattamento con aria, vapore o acqua anche surriscaldata di legno vergine e costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti;

e)      Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccazione di prodotti agricoli;

f)      Sansa di oliva (…);

g)      Liquor nero ottenuto nelle cartiere (…);

h)      Prodotti greggi o raffinati costituiti prevalentemente da gliceridi di origine animale qualificati (…) come sottoprodotti di origine animale o prodotti derivati che è possibile utilizzare nei processi di combustione (…)».

12.      Conformemente all’articolo 281, paragrafi 5 e 6, del decreto di cui trattasi, le integrazioni e le modifiche degli allegati alla parte quinta del medesimo decreto «sono adottate con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro dello sviluppo economico e, per quanto di competenza, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Conferenza unificata (…)».

13.      L’articolo 2, paragrafo 1, lettera h), del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 (5) recepisce nel diritto italiano l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2009/28.

14.      A norma dell’articolo 5, paragrafo 1, del decreto di cui trattasi, «(…) la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all’autorizzazione unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 [(6)]».

III. Procedimento principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

15.      La PNTE gestisce una centrale di produzione di energia termica ed elettrica alimentata a metano. L’8 novembre 2016, detta società chiedeva alla Provincia di Cuneo di rilasciarle, sulla base dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003, un’autorizzazione a modificare la fonte di alimentazione della centrale di cui trattasi. La PNTE desidera sostituire il metano con un olio vegetale prodotto dalla società ALSO s.r.l., derivante dalla raccolta e trattamento chimico di oli esausti di frittura, residui di raffinazione di oli vegetali e residui di lavaggio di serbatoi per il loro stoccaggio (in prosieguo: l’«olio vegetale»).

16.      La ALSO dispone di un’autorizzazione a vendere l’olio vegetale quale prodotto che ha cessato di essere un rifiuto a norma dell’articolo 184 ter del decreto legislativo n. 152/2006, a condizione che esso presenti le caratteristiche fisico-chimiche indicate in detta autorizzazione e che sui documenti commerciali sia apposta la dicitura «prodotto da recupero rifiuti ad uso vincolato per la produzione di biodiesel».

17.      La PNTE si è vista negare l’autorizzazione richiesta in ragione del fatto che l’olio vegetale non rientra in nessuna delle categorie di combustibili autorizzati negli impianti che producono emissioni in atmosfera inseriti nell’elenco di cui all’allegato X, parte II, sezione 4 alla parte quinta del decreto legislativo n. 152/2006. Infatti, i soli oli vegetali rientranti in tali categorie sono quelli prodotti da coltivazioni dedicate o con trattamenti esclusivamente meccanici. La Provincia di Cuneo ne ha dedotto che, in conformità all’articolo 293, paragrafo 1, del decreto di cui trattasi, l’olio vegetale deve essere considerato un rifiuto.

18.      La società succitata impugnava detto provvedimento dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte. A fondamento della propria impugnazione, la PNTE affermava che il rigetto da essa patito viola talune disposizioni della direttiva 2008/98 e della direttiva 2009/28.

19.      In tale contesto, detto giudice osserva che l’amministrazione destinataria della richiesta di autorizzazione presentata dalla PNTE era tenuta a trattare l’olio vegetale come rifiuto in forza dell’articolo 293, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 152/2006, in combinato disposto con l’allegato X alla parte quinta del medesimo decreto.

20.      Detta conclusione si impone malgrado, anzitutto, la conformità dell’olio vegetale alla norma tecnica UNI/TS 11163:2009 relativa ai «Biocombustibili liquidi – Oli e grassi animali e vegetali, loro intermedi e derivati – Classificazione e specifiche ai fini dell’impiego energetico», circostanza questa non contestata dall’amministrazione (7).

21.      Inoltre, a parere del suddetto giudice, l’olio vegetale ha un proprio mercato come combustibile, circostanza questa attestata dalla volontà della PNTE di acquistarlo per alimentare la centrale oggetto del procedimento principale.

22.      Infine, il giudice del rinvio ritiene che la sostituzione, a tal fine, del metano con l’olio vegetale non sarebbe nel complesso idonea a recare pregiudizio all’ambiente. Nell’ambito del procedimento di autorizzazione, la PNTE ha prodotto una relazione tecnica che evidenzia un bilancio ambientale complessivamente positivo della sostituzione di cui trattasi, conclusione questa che non è stata rimessa in discussione dall’amministrazione.

23.      Inoltre, il suddetto giudice sottolinea che il procedimento di autorizzazione degli impianti di produzione di energia alimentati da biomassa, previsto dal combinato disposto delle disposizioni dei decreti legislativi n. 28/2011 e n. 387/2003, non è coordinato con la procedura di modifica dell’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo n. 152/2006. In forza dell’articolo 281, paragrafi 5 e 6, di detto decreto, l’allegato di cui trattasi può essere modificato unicamente mediante decreto del Ministro dell’ambiente di concerto con i ministri competenti.

24.      Inoltre, la definizione della nozione di «combustibili» contenuta nell’articolo 268, lettera eee-bis), del decreto di cui trattasi non è armonizzata con quella della nozione di «bioliquidi» di cui all’articolo 2, lettera h), del decreto legislativo n. 28/2011, che recepisce l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2009/28.

25.      Alla luce delle considerazioni che precedono, con decisione del 14 febbraio 2018, pervenuta alla Corte il 26 marzo 2018, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte ha sospeso la decisione e sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 6 della direttiva [2008/98] e comunque il principio di proporzionalità, ostino ad una normativa nazionale, quale quella dettata dall’articolo 293 del d.lgs. n. 152/2006 e dall’articolo 268 lett. eee-bis) del d.lgs. n. 152/2006, che impongono di considerare rifiuto, anche nell’ambito di un procedimento di autorizzazione di una centrale alimentata a biomasse, un bioliquido che abbia i requisiti tecnici in tal senso e che sia richiesto a fini produttivi quale combustibile, se e fintanto che detto bioliquido non sia inserito nell’allegato X parte II, sezione 4, par. 1 alla parte V del decreto legislativo [n. 152/2006], e ciò a prescindere da valutazioni di impatto ambientale negativo ovvero da qualsiasi contestazione relativa alle caratteristiche tecniche del prodotto, svolta nell’ambito del procedimento autorizzatorio.

2)      Se l’articolo 13 della direttiva [2009/28] e comunque i principi di proporzionalità, trasparenza e semplificazione ostino ad una normativa nazionale quale quella dettata dall’art. 5 del d.lgs. n. 28/2011 nella parte in cui non contempla, qualora l’istante richieda di essere autorizzato all’impiego di una biomassa quale combustibile in un impianto che emette emissioni in atmosfera, alcun coordinamento con la procedura relativa all’autorizzazione di siffatto uso combustibile prevista dal d.lgs. n. 152/2006, allegato X alla parte V, né una possibilità di valutazione in concreto della soluzione proposta nel contesto di un unico procedimento autorizzatorio ed alla luce di specifiche tecniche predefinite».

26.      La PNTE, la Provincia di Cuneo, i governi italiano e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. La PNTE, il governo italiano e la Commissione sono comparsi all’udienza del 13 febbraio 2019.

IV.    Analisi

A.      Considerazioni preliminari

27.      Come emerge dalla decisione di rinvio e dal fascicolo sottoposto alla Corte, l’olio vegetale è prodotto a partire dal trattamento chimico per esterificazione, in particolare, di determinati oli alimentari esausti (8). È pacifico che, prima di essere assoggettati a detto trattamento, questi ultimi costituivano rifiuti a norma dell’articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98.

28.      L’ALSO ha conseguito un’autorizzazione in forza della quale l’olio vegetale, ottenuto al termine di detto trattamento, può essere commercializzato, quale prodotto che ha perso la propria natura di rifiuto, per un uso legato alla produzione di biodiesel (vale a dire un biocarburante utilizzato nei motori diesel) (9). Sempre secondo le indicazioni fornite nella decisione di rinvio, la PNTE si è procurata l’olio vegetale e intende servirsene a un altro fine, vale a dire, come combustibile in un impianto di cogenerazione rientrante nella categoria degli impianti che producono emissioni in atmosfera.

29.      In conformità dell’articolo 268, lettera eee-bis) e dell’articolo 293, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 152/2006, letti in combinato disposto con l’allegato X alla quinta parte del medesimo decreto (in prosieguo, congiuntamente: la «normativa nazionale controversa nel procedimento principale»), la combustione di oli vegetali derivati dal trattamento chimico di rifiuti negli impianti di detta categoria è soggetta alla normativa nazionale in materia di recupero energetico dei rifiuti. Ciò vale a meno che e fino a quando un decreto ministeriale non aggiunga tale tipologia di oli all’elenco contenuto nell’allegato di cui trattasi. La Provincia di Cuneo ha sottolineato che il recupero energetico di rifiuti richiede un’autorizzazione specifica ed è soggetto a rigorose regole concernenti, in particolare, i limiti di emissioni in atmosfera.

30.      Il mancato inserimento degli oli vegetali esausti trattati chimicamente nell’elenco di categorie di combustibili utilizzabili, in un impianto che produce emissioni siffatte, al di fuori del regime del recupero energetico di rifiuti comporta l’esclusione di ogni margine di discrezionalità caso per caso quanto alla perdita della qualifica di rifiuto da parte di detti oli quando sono destinati a un simile utilizzo. La decisione di rinvio non precisa i motivi che giustificano tale esclusione benché la cessazione della qualifica di rifiuto di detti oli possa essere accertata al termine di un esame individuale quando essi sono impiegati nella produzione di biodiesel. Le spiegazioni fornite dal giudice del rinvio suggeriscono che egli ritiene che tale scelta non sia fondata su una valutazione dei rischi per l’ambiente e la salute legati alla combustione di tale tipologia di oli all’interno di un impianto che produce emissioni in atmosfera.

31.      La Provincia di Cuneo e il governo italiano deducono, per contro, ragioni di natura ambientale e sanitaria a fondamento del mancato inserimento nell’elenco succitato degli oli vegetali esausti trattati chimicamente. Essenzialmente, essi affermano che, quando tali oli sono utilizzati come combustibile in un impianto siffatto, i reagenti chimici in essi contenuti sono rilasciati nell’atmosfera in proporzione ben maggiore rispetto a quanto accade quando sono utilizzati come componenti del biodiesel in un motore diesel. I lavori scientifici disponibili non escluderebbero l’assenza di rischi per l’ambiente o la salute umana legati alla combustione di oli vegetali esterificati in un impianto che genera emissioni in atmosfera. Detti rischi sarebbero potenzialmente superiori a quelli collegati all’uso di tale tipologia di oli per produrre biodiesel. La PNTE e la Commissione contestano la fondatezza di tale giustificazione.

32.      Tali considerazioni costituiranno la cornice della mia analisi delle questioni pregiudiziali.

B.      Sulla prima questione, concernente l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98

1.      Osservazioni introduttive

33.      La prima questione pregiudiziale concerne essenzialmente la conformità all’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98 di una normativa nazionale che preclude alle autorità destinatarie di una domanda di autorizzazione all’impiego come combustibile, in un impianto che produce emissioni in atmosfera, di una sostanza ottenuta dal trattamento di rifiuti da biomassa, quale un olio vegetale esausto trattato chimicamente, di valutare, alla luce delle sue caratteristiche tecniche e del suo impatto ambientale, se detta sostanza abbia perso la qualifica di rifiuto, ove essa non rientri in nessuna delle categorie inserite nell’elenco dei combustibili autorizzati in un siffatto impianto a norma della legislazione di cui trattasi. Il giudice del rinvio precisa che detto elenco può essere modificato al fine di aggiungervi nuove categorie di combustibili solo mediante decreto ministeriale, fermo restando che la combustione di sostanze non rientranti in tale elenco è soggetta alla normativa nazionale in materia di recupero energetico di rifiuti.

34.      A tal riguardo, ricordo che l’accertamento della perdita da parte di un rifiuto di detta qualità può avvenire in tre maniere distinte. In primis, detto accertamento può fondarsi sull’applicazione di criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto, relativi a specifiche categorie di rifiuti, come definiti a livello dell’Unione in forza dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/98 (10). In secondo luogo, in mancanza di criteri siffatti, tale accertamento può avvenire mediante una decisione «caso per caso» – vale a dire una decisione individuale concernente flussi di rifiuti specifici recuperati in un impianto determinato – adottata da uno Stato membro ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva di cui trattasi. In terzo luogo, come emerge dalla sentenza Tallinna Vesi (11), in mancanza di criteri a livello dell’Unione, la disposizione succitata autorizza gli Stati membri a stabilire essi stessi mediante un atto giuridico di portata generale i criteri in forza dei quali i rifiuti appartenenti a una determinata categoria perdono tale qualità (12).

35.      Nella fattispecie, per quanto concerne gli oli vegetali esausti, criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto non sono stati fissati né a livello dell’Unione, né a livello nazionale. La normativa nazionale controversa nel procedimento principale osta, inoltre, a ogni valutazione caso per caso della cessazione della qualifica di rifiuto di detti oli quando sono trattati chimicamente e sono destinati a essere impiegati come combustibile in un impianto che produce emissioni in atmosfera (13). Infatti, la perdita da parte loro della qualifica di rifiuto presuppone l’emanazione di un decreto ministeriale che li inserisca nell’elenco di combustibili autorizzati a tale utilizzo al di fuori del regime applicabile all’incenerimento dei rifiuti, spiegando se del caso i criteri che essi devono a tal fine soddisfare.

36.      In questo contesto, la prima questione pregiudiziale invita la Corte a stabilire se, ed eventualmente in che misura, in mancanza di criteri sulla perdita della qualifica di rifiuto definiti a livello dell’Unione o a livello nazionale in relazione a un determinato tipo di rifiuti, uno Stato membro sia tenuto a permettere la valutazione caso per caso della cessazione di detta qualifica da parte di flussi particolari di rifiuti di tale tipologia. Benché la Corte abbia già stabilito che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 impone agli Stati membri più di una semplice facoltà di esaminare se determinati rifiuti abbiano perso detta qualifica e di constatare, se del caso, la cessazione di detta qualifica (sezione 2), si rende necessario precisare la portata del margine di discrezionalità di cui essi dispongono a tal fine (sezione 3) per consentire al giudice del rinvio di valutare la conformità della normativa nazionale controversa nel procedimento principale alla disposizione di cui trattasi (sezione 4).

2.      Sullobbligo incombente agli Stati membri di non trattare come rifiuto una sostanza che ha cessato di esserlo

37.      La formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98, con l’utilizzo del termine «possono», può far pensare che il riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto per rifiuti che non ricadono in una categoria coperta da criteri definiti a livello dell’Unione costituisca un’opzione rimessa a ciascuno Stato membro. Tuttavia, tale interpretazione non corrisponde a quella ricavabile dalla giurisprudenza della Corte. Come sottolineato dalla Corte nella recente sentenza Tallinna Vesi (14), in mancanza dei suddetti criteri, gli Stati membri sono tenuti ad accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un rifiuto «che ha subito un’operazione di recupero che consente di renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente».

38.      Tale approccio rientra nel solco della giurisprudenza anteriore all’introduzione, all’atto dell’adozione della direttiva 2008/98, della nozione di «cessazione della qualifica di rifiuto». La suddetta giurisprudenza, che trae origine dalla sentenza ARCO Chemie Nederland e a. (15), prevedeva già un test, fondato sull’interpretazione della nozione di «rifiuto» (16) – che presuppone un’azione, un’intenzione oppure un obbligo di disfarsi della sostanza di cui trattasi – volto a distinguere un rifiuto da una sostanza che ha perso detta qualifica a seguito di operazioni di recupero (17).

39.      Nella suddetta sentenza e successivamente, la Corte ha statuito che, quando un rifiuto è stato oggetto di un recupero completo che comporta che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cosicché essa è utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente, detta sostanza perde la qualità di rifiuto. Ciò vale fintanto che il suo detentore non si disfi di essa, né abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsene (18). In numerose sentenze successive, la Corte ha applicato tali principi al fine di stabilire a partire da quale momento il recupero di un rifiuto – quale il suo riciclaggio (19) o il suo trattamento nell’ottica di utilizzarlo come combustibile (20) – sia ritenuto completo.

40.      Tale approccio si comprende anche alla luce dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2008/98. Come emerge, in particolare, dal suo articolo 1 e dai considerando da 6 a 9, l’obiettivo di protezione dell’ambiente perseguito da detta direttiva si declina sotto due aspetti, vale a dire, da una parte, la prevenzione e la riduzione degli impatti negativi dei rifiuti, e, dall’altra, il miglioramento dell’efficienza della gestione delle risorse. In tale ottica, la Corte ha sì ripetutamente stabilito che la nozione di «rifiuto» deve essere interpretata in maniera estensiva (21), nella misura in cui detta interpretazione sembra essere la più favorevole a proteggere l’ambiente sotto il primo dei suddetti aspetti. Tuttavia, la portata di detta nozione non dovrebbe essere estesa sino a scoraggiare il recupero dei rifiuti e a ostacolare così la realizzazione del secondo aspetto dell’obiettivo ambientale. Orbene, l’incertezza quanto alla qualifica dei rifiuti sottoposti a un’operazione di recupero rischia di incoraggiare i detentori di rifiuti a eliminarli, a dispetto della gerarchia dei rifiuti (22), invece di valorizzarli (23).

41.      L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851, non applicabile ratione temporis ai fatti oggetto della controversia principale, precisa ora l’obbligo, incombente agli Stati membri, di «adottare misure appropriate» per garantire che i rifiuti sottoposti a un’operazione di recupero cessino di essere considerati tali se soddisfano le condizioni da essa enunciate (24).

42.      Tale modifica legislativa segna, a mio avviso, non una rottura rispetto al sistema anteriore, ma piuttosto un rafforzamento dell’obbligo che già incombeva agli Stati membri di riconoscere la cessazione della qualifica di rifiuto delle sostanze oggetto di un recupero completo (25). Come risulta, in particolare, dal considerando 17 della direttiva 2018/851, detto rafforzamento mira a incrementare la certezza giuridica nell’interesse dei partecipanti al mercato delle materie prime secondarie al fine di agevolare la transizione verso un’economia circolare.

43.      Tuttavia, si rende necessario chiarire la portata del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nel valutare, a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98, se un determinato tipo di rifiuto o uno specifico flusso di rifiuti possa, al termine delle operazioni di recupero, essere utilizzabile senza mettere a rischio la salute umana e senza nuocere all’ambiente.

3.      Sulla portata del margine di discrezionalità degli Stati membri nello stabilire se un rifiuto abbia cessato di essere tale

44.      Come già osservato dalla Corte nella sentenza Lapin ELY-keskus, liikenne ja infrastruktuuri (26), la formulazione letterale dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 indica che, in mancanza di criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto fissati a livello dell’Unione, occorre che gli Stati membri decidano caso per caso se determinati rifiuti abbiano perso detta qualità alla luce della sola «giurisprudenza» (27). Tuttavia, nella sentenza Tallinna Vesi (28), la Corte ha anche stabilito che sia i criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto sia le decisioni caso per caso provenienti dagli Stati membri devono parimenti garantire il rispetto delle condizioni poste dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98. Osservo, a questo proposito, che, benché il paragrafo 4 dell’articolo di cui trattasi si riferisca soltanto alla «giurisprudenza», come sostenuto dalla Commissione in udienza, anche le condizioni previste nel suo paragrafo 1 si ispirano alle sentenze della Corte (29).

45.      Detta interpretazione corrisponde peraltro a quanto previsto ormai esplicitamente dall’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva di cui trattasi, come modificata dalla direttiva 2018/851 (30).

46.      Tanto precisato, propongo di riconoscere agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità sia quanto all’esame nel merito del rispetto di dette condizioni, sia quanto alla scelta del metodo – elaborazione di criteri per categorie di rifiuti o valutazione caso per caso per flussi di rifiuti particolari – e della procedura seguita.

47.      Per quanto attiene, anzitutto, alle norme concernenti le procedure, le autorità competenti e l’onere di provare gli elementi definiti nella direttiva 2008/98, dalla giurisprudenza emerge che, in mancanza di disposizioni specifiche a tal fine all’interno di detta direttiva, la definizione delle suddette norme ricade nel diritto nazionale degli Stati membri, a condizione che non siano lesi l’obiettivo e l’efficacia della direttiva di cui trattasi. In particolare, uno Stato membro può far gravare l’onere della prova di detti elementi sulla parte che se ne avvale, a condizione di non rendere per essa eccessivamente difficile la presentazione di detta prova (31). Tali principi disciplinano, in particolare, la scelta delle modalità processuali di valutazione del rispetto delle condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto previste all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi.

48.      Inoltre, l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 non precisa la natura delle misure che uno Stato membro deve privilegiare al fine di stabilire il momento in cui un rifiuto perde detta qualità in mancanza di criteri definiti a livello dell’Unione. Date le circostanze, la scelta di dette misure – criteri di portata generale concernenti la tipologia di rifiuti di cui trattasi o decisioni individuali per i flussi di tale tipologia di rifiuti – rientra anch’essa, a mio parere, nell’autonomia degli Stati membri (32).

49.      Per quanto attiene, infine, alla valutazione nel merito del rispetto delle condizioni sancite nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi, nella sentenza Tallinna Vesi (33), la Corte ha stabilito che, quantomeno in determinate circostanze (34), uno Stato membro può, per un determinato tipo di rifiuto, decidere di non prevedere criteri, né la possibilità di adottare decisioni individuali di accertamento della perdita della qualifica di rifiuto. Una siffatta decisione presuppone che lo Stato membro di cui trattasi abbia stabilito che, tenuto conto «di tutti gli elementi pertinenti e dello stato più recente delle conoscenze scientifiche e tecniche», non sia possibile ritenere che detta tipologia di rifiuti sia stata sottoposta a un’operazione di recupero idonea a renderla utilizzabile senza recare pregiudizio all’ambiente e alla salute – né, quindi, che essa soddisfi le condizioni succitate (35).

50.      Ai fini di una siffatta valutazione, mi sembra necessario riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità notevole, benché non assoluto.

51.      Ricordo a questo proposito che, come già stabilito dalla Corte, in mancanza di una concretizzazione mediante criteri generali o decisioni caso per caso, le condizioni enunciate all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 non consentono di dimostrare direttamente che taluni rifiuti hanno perso detta qualità (36). Essendo formulato in termini ancor più generali, il test previsto dalla «giurisprudenza» citata al paragrafo 4 dell’articolo di cui trattasi, cui dette condizioni s’ispirano, è ancor meno idoneo a permettere di accertare direttamente che un rifiuto ha cessato di essere tale.

52.      Anche i criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto elaborati a livello dell’Unione e degli Stati membri, al pari delle decisioni individuali adottate da questi ultimi, si accompagnano di norma, nell’ottica di garantire il rispetto delle condizioni succitate, a una definizione molto precisa, in particolare, delle modalità di svolgimento del processo di recupero di rifiuti.

53.      Così, i regolamenti che stabiliscono i criteri di cessazione della qualifica di rifiuto a livello dell’Unione prevedono criteri dettagliati concernenti i rifiuti rientranti nel processo di recupero, i materiali ottenuti al termine di detto processo, i processi di trattamento e le condizioni che le persone responsabili di detti processi sono tenute a soddisfare. Uno schema comparabile caratterizza, in particolare, gli strumenti adottati in Francia (37) e nel Regno Unito (38), che fissano i criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto per gli oli vegetali esausti. L’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2008/98, come modificato dalla direttiva 2018/851, prevede ora che i criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto a livello di Unione o di Stati membri si fondino su una struttura simile (39).

54.      L’elaborazione di criteri siffatti rappresenta, in pratica, un esercizio tecnico che di frequente richiede un confronto con il settore industriale e con le altre parti interessate e la realizzazione di studi destinati a valutare l’impatto sull’ambiente e sulla salute dell’uscita delle sostanze considerate dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti. In mancanza di criteri definiti per una tipologia determinata di rifiuti, la valutazione caso per caso del rispetto delle condizioni di cessazione della qualifica di rifiuto per flussi specifici di rifiuti di tale tipo richiede anch’essa un controllo rigoroso delle caratteristiche di detti flussi che consenta di garantire il soddisfacimento delle condizioni de quibus (40).

55.      In sintesi, l’adozione di criteri, così come di decisioni individuali, relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, implica, da parte delle autorità nazionali competenti, il compimento di valutazioni tecniche e scientifiche complesse (41). Valutazioni siffatte possono anche essere alla base della scelta di uno Stato membro di non prevedere criteri, né la possibilità di valutare caso per caso la perdita della qualifica di rifiuto da parte di determinati rifiuti. Né la Corte, né i giudici nazionali possono sostituire tale scelta con una propria pronuncia.

56.      In quest’ottica, ritengo, da una parte, che in mancanza di criteri armonizzati, in linea di principio, uno Stato membro non dovrebbe essere tenuto ad avviare una procedura di adozione di criteri, né a prevedere una valutazione individuale della perdita della qualifica di rifiuto quando il legislatore nazionale ritiene che le condizioni previste all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 non possano essere soddisfatte in relazione a un determinato tipo di rifiuti (42). A mio giudizio, lo stesso vale a fortiori quando l’assenza di criteri e il rifiuto di ogni esame caso per caso riguardi tale tipologia di rifiuti solo nell’eventualità che abbia subito un trattamento specifico e sia destinata a un utilizzo particolare, fatta salva la possibilità che detti rifiuti cessino di essere tali a seguito di un distinto trattamento e/o al fine di impieghi differenti.

57.      Tuttavia, a mio giudizio, la decisione di non prevedere né l’elaborazione di criteri, né la possibilità di valutare caso per caso la cessazione della qualifica di rifiuto dovrebbe essere sanzionata quando la premessa su cui essa si fonda – concernente il mancato soddisfacimento delle condizioni enunciate all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 – è frutto di un evidente errore di valutazione. Tale limitato sindacato giurisdizionale mi sembra necessario per conciliare il necessario margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri con l’obiettivo della promozione dell’economia circolare perseguito da detta direttiva (43). Inoltre, detto margine discrezionale deve essere disciplinato alla luce del rischio, cui esso necessariamente si accompagna, di differenze tra le prassi nazionali in materia di valutazione del momento in cui i rifiuti perdono tale qualità che possono ostacolare gli scambi tra Stati membri (44).

58.      A maggior ragione, dall’altra, fatta salva sempre la verifica di un eventuale errore di valutazione manifesto (45), uno Stato membro può ritenere che, in relazione a un determinato tipo di rifiuti, il rispetto delle condizioni previste all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva de qua, benché non possa ragionevolmente essere escluso a priori, possa essere garantito unicamente mediante la definizione di criteri in un atto interno di portata generale da adottare al termine di una procedura implicante le consultazioni e gli studi opportuni.

59.      Ciò detto, in quest’ultimo caso, le autorità nazionali non potrebbero a mio giudizio assumere un atteggiamento passivo idoneo a ostacolare l’adozione di detti criteri o, in ogni caso, l’apertura di una procedura che permette di esaminare gli elementi dedotti dai detentori dei rifiuti interessati. La realizzazione dell’obiettivo di promozione del recupero dei rifiuti richiede che l’elaborazione di criteri sulla perdita della qualifica di rifiuto possa essere valutata nel quadro di una procedura le cui modalità, previste dal diritto nazionale, rispettino il principio di effettività del diritto dell’Unione. Tale principio implica, a mio avviso, che i detentori dei rifiuti interessati devono poter chiedere l’avvio della procedura di adozione di detti criteri e disporre di mezzi di ricorso in caso di rigetto di una siffatta domanda o di assenza di autorità nazionali competenti. Il principio di effettività presuppone altresì la previsione di termini ragionevoli per detta procedura (46).

4.      Sul controllo del manifesto errore di valutazione nel caso di specie

60.      Spetterà al giudice del rinvio, l’unico competente a valutare i fatti pertinenti, stabilire se la normativa nazionale controversa nel procedimento principale sia frutto di un manifesto errore di valutazione nell’applicazione dell’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98.

61.      L’accertamento di un siffatto errore imporrà a detto giudice di stabilire che il legislatore nazionale ha commesso un errore manifesto nel ritenere che almeno una delle condizioni enunciate al paragrafo 1 di detto articolo non potesse essere soddisfatta con riferimento agli oli vegetali esausti trattati chimicamente e utilizzati come combustibili in un impianto che genera emissioni in atmosfera, oppure nel ritenere che la verifica del soddisfacimento di dette condizioni potesse essere garantita unicamente attraverso la preliminare adozione, mediante regolamento, di criteri di perdita della qualifica di rifiuto per detta tipologia di oli.

62.      Le considerazioni svolte in prosieguo (47) sulla portata delle condizioni di cui trattasi potranno fornire chiarimenti al suddetto giudice nel quadro di tale valutazione. Prima di svolgere dette considerazioni, reputo utile formulare due precisazioni di carattere generale.

63.      In primo luogo, il fatto che l’autorità nazionale competente accerti che, una volta soddisfatti certi criteri, un rifiuto determinato perde la sua qualità di rifiuto in relazione a un particolare utilizzo, non comporta che detto rifiuto cessi di essere tale quando è destinato a un impiego ad altri fini. Infatti, il rispetto delle condizioni sancite nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98 dipende dagli specifici impieghi previsti e deve pertanto essere verificato separatamente per ciascuno di essi (48).

64.      In tale ottica, il fatto che, nell’autorizzazione rilasciata all’ALSO, la Provincia di Genova, in applicazione del paragrafo 4 di detto articolo, abbia constatato che l’olio vegetale cessa di essere un rifiuto quando è utilizzato per produrre biodiesel non indica assolutamente che il legislatore italiano abbia oltrepassato i limiti del suo potere discrezionale escludente la valutazione individuale della perdita della qualifica di rifiuto di detto stesso olio per un utilizzo in un impianto che produce emissioni in atmosfera.

65.      In secondo luogo, i criteri di cessazione della qualifica di rifiuto degli oli vegetali esausti elaborati in Francia e nel Regno Unito (49) consentono, se non erro, di accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di detta tipologia di oli quando sono trattati chimicamente, soltanto ai fini dell’impiego come biocarburante  e, nel Regno Unito, come combustibile per il riscaldamento domestico (50). Benché il rispetto delle condizioni per la perdita della qualifica di rifiuto debba essere valutato da ciascuno Stato membro nell’esercizio dei margini di discrezionalità di cui dispone, i criteri e le decisioni adottate negli altri Stati membri possono fornire talune indicazioni utili.

a)      Sullapplicazione dellarticolo 6, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2008/98

66.      L’articolo 6, paragrafo 1, punti a) e b), della direttiva 2008/98 subordina la perdita della qualifica di rifiuto al carattere comune dell’utilizzo dei rifiuti di cui trattasi per scopi specifici e all’esistenza di un mercato o di una domanda per essi. Tali condizioni sembrano riprendere la giurisprudenza secondo cui la qualità di rifiuto di una sostanza determinata dipende dal grado di probabilità di un suo riutilizzo, fermo restando che quest’ultimo è maggiore quando si accompagna a un vantaggio economico (51).

67.      A questo riguardo, il documento della Commissione dal titolo «Guidance on the interpretation of key provisions of Directive 2008/98/EC on waste» (52) indica, a mio parere a giusto titolo, che il rispetto di dette condizioni, tra loro collegate, può essere verificato utilizzando indici quali l’esistenza di condizioni di mercato di offerta e di domanda fortemente stabilizzate, di un prezzo di mercato verificabile per la sostanza di cui trattasi o, ancora, di specifiche o standard commerciali.

68.      Contrariamente a quanto suggerito dalla PNTE, dal governo dei Paesi Bassi e dalla Commissione, il fatto che la PNTE abbia acquistato l’olio vegetale nell’ottica di utilizzarlo come combustibile in un impianto che produce emissioni in atmosfera non giustifica necessariamente, da solo, la conclusione che le condizioni qui esaminate siano soddisfatte. Una siffatta conclusione implicherebbe che sia accertato che la richiesta di un unico utilizzatore è sufficiente, tenuto conto della sua portata, a garantire il rispetto di dette condizioni, oppure che esiste, per gli oli vegetali esausti trattati chimicamente, un mercato o una domanda più ampia in relazione a detto impiego.

b)      Sullapplicazione dellarticolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/98

69.      La condizione prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/98 riflette la giurisprudenza secondo cui un rifiuto perde detta qualità quando, a seguito di un’operazione di recupero, diviene utilizzabile alle medesime condizioni di una materia prima. Il rispetto di detta condizione implica infatti che il rifiuto, una volta recuperato, sia conforme alle disposizioni applicabili alle materie prime vergini utilizzate a detti stessi fini (53).

70.      A questo riguardo, il fatto che l’olio vegetale rispetti la norma tecnica UNI applicabile ai biocombustibili liquidi, pur rappresentando un indizio del soddisfacimento della suddetta condizione, non può da solo imporre un accertamento in tal senso.

71.      Il rispetto della condizione enunciata all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/98 dipende, a mio parere, ampiamente dalla questione se un olio vegetale esterificato che non sia stato ottenuto da rifiuti rientri nelle categorie di combustibili elencati nell’allegato X alla quinta parte del decreto legislativo n. 152/2006. Una risposta affermativa a detta domanda avvalorerebbe la conclusione secondo cui l’olio vegetale rispetta le disposizioni in materia di prodotti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/98. Per contro, ove un siffatto utilizzo fosse precluso per tutti gli oli vegetali trattati chimicamente – derivati dalla raffinazione di oli vergini (provenienti o meno da coltivazioni dedicate) o dal trattamento di oli esausti – tale circostanza potrebbe indicare che la condizione ivi prevista non è soddisfatta (54).

72.      In quest’ultimo caso, le rivendicazioni della PNTE equivarrebbero a contestare la norma applicabile ai prodotti che rappresenta tale divieto. Orbene, a mio parere, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi non rappresenta una base giuridica idonea a rimettere in discussione le scelte regolamentari, concernenti in particolare il livello di protezione dell’ambiente e della salute, su cui si fonda la disciplina dei prodotti.

73.      La questione della compatibilità di una norma siffatta con il diritto dell’Unione si porrebbe allora non rispetto alla direttiva 2008/98, bensì alla libera circolazione delle merci sancita dall’articolo 34 TFUE. Come afferma la PNTE, infatti, essa potrebbe ostacolare la libera circolazione degli oli vegetali trattati chimicamente subordinando il loro utilizzo negli impianti succitati a stringenti vincoli imposti dalla normativa in materia di rifiuti. Un siffatto ostacolo potrebbe essere ammesso unicamente in presenza di una giustificazione, tenendo conto della portata dei margini di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per valutare, in particolare, i rischi collegati all’utilizzo e alla gestione dei rifiuti (55).

74.      L’ordinanza di rinvio non contiene, a mio avviso, elementi sufficienti a consentire alla Corte di prendere posizione su detta questione particolarmente complessa. In particolare, il governo italiano non ha precisato se il mancato inserimento degli oli vegetali trattati chimicamente nell’elenco di cui all’allegato X alla quinta parte del decreto legislativo n. 152/2006 sia motivato unicamente da rischi legati alle emissioni da combustione o se risponda anche ad altri obiettivi, quali il rispetto della gerarchia dei rifiuti (incoraggiando, se del caso, il loro riciclaggio in luogo del trattamento al fine di una valorizzazione energetica (56)) o ancora la promozione dell’utilizzo di oli vegetali esausti come carburanti invece che come combustibili (57). La Corte non dispone nemmeno di informazioni sufficienti per stabilire se la normativa di cui trattasi sia proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito.

c)      Sullapplicazione dellarticolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2008/98

75.      L’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2008/98, nella misura in cui prevede che un rifiuto può cessare di essere tale solo ove il suo utilizzo non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana, riflette anch’esso la giurisprudenza anteriore alla sua adozione (58).

76.      A mio giudizio, la mancata contestazione da parte della Provincia di Cuneo della valutazione compiuta dalla PNTE, secondo cui il bilancio ambientale della sostituzione, quale fonte di alimentazione della centrale di cogenerazione oggetto del procedimento principale, del metano con l’olio vegetale sarebbe nel complesso positivo, non comproverebbe da sola il rispetto di detta condizione.

77.      Certamente, come osservato dalla PNTE, il recupero energetico degli oli vegetali esausti può presentare benefici dal punto di vista ecologico, in quanto permette di disfarsi di rifiuti sostituendoli a un combustibile fossile o a un bioliquido prodotto da coltivazioni dedicate, il cui bilancio ambientale è controverso in ragione del cambiamento indiretto della destinazione dei terreni che esse possono comportare (59).

78.      Tuttavia, dubito che sia sufficiente comparare il bilancio dell’utilizzo di biocombustibile prodotto da rifiuti con quello dell’uso del combustibile sostituito sotto il profilo delle emissioni di norma collegate alla combustione di quest’ultimo. Tale problematica concerne l’identificazione del termine di confronto pertinente nel quadro dell’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2008/98.

79.      Secondo il documento di orientamento della Commissione, il rispetto della suddetta condizione presuppone che sia stabilito che l’uscita della sostanza dal regime applicabile ai rifiuti non abbia un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute superiore rispetto a quello della qualificazione di detta sostanza quale rifiuto (60). Si tratterà pertanto di comparare il rischio per l’ambiente e per la salute considerando la sostanza di cui trattasi come un rifiuto o come un prodotto privo di tale qualifica.

80.      Nella specie, dai documenti allegati alle osservazioni scritte della PNTE e della Provincia di Cuneo emerge che le autorità nazionali competenti hanno ammesso che il bilancio ambientale del cambiamento di combustibile era positivo in quanto comporterebbe una riduzione delle emissioni associate alla combustione di metano (61). Tuttavia, in base a detti documenti e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, tale bilancio non affronta l’eventuale impatto ambientale derivante dalla combustione dell’olio vegetale sotto il profilo dell’emissione di altre sostanze inquinanti che possono essere associate all’incenerimento dei rifiuti. Allo stesso modo, il fatto che l’olio vegetale rispetti la norma tecnica UNI applicabile ai biocombustibili liquidi non garantisce necessariamente che esso non presenti rischi ambientali o sanitari specificamente legati al fatto che è prodotto dal trattamento di rifiuti (62).

81.      Date le circostanze, la Provincia di Cuneo e il governo italiano invocano il principio di precauzione. A detta di questi ultimi, per le ragioni indicate al paragrafo 31 delle presenti conclusioni, un impatto complessivamente negativo sull’ambiente o sulla salute umana dell’utilizzo dell’olio vegetale quale combustibile in un impianto di cogenerazione non potrebbe essere escluso con un ragionevole grado di certezza scientifica.

82.      Per contro, la PNTE e la Commissione affermano che le autorità italiane non hanno dimostrato né che la combustione di olio vegetale esterificato è più dannosa per l’ambiente di quella dell’olio vegetale trattato meccanicamente, né che l’utilizzo dell’olio vegetale esterificato quale combustibile in una centrale di cogenerazione è più nociva del suo utilizzo come biocarburante. A detta di queste ultime, l’assenza di prova in tal senso imporrebbe, essenzialmente, di considerare come soddisfatta la condizione prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2008/98.

83.      In tale contesto, ricordo che gli Stati membri dispongono, a mio giudizio, di un ampio margine di discrezionalità nel valutare il soddisfacimento delle condizioni per la perdita della qualifica di rifiuto. In particolare, detta valutazione dipende, in mancanza di criteri definiti a livello dell’Unione, dalle scelte compiute da ciascuno Stato membro quanto al livello di protezione dell’ambiente che esso intende raggiungere (63) e al contemperamento dei due interessi perseguiti da detto articolo (64).

84.      Inoltre, una siffatta valutazione si iscrive spesso in un contesto caratterizzato da un certo livello di incertezza scientifica quanto ai rischi ambientali collegati alla perdita della qualità di rifiuto da parte di determinate sostanze. Orbene, uno Stato membro è, a mio parere, autorizzato – in forza, per l’appunto, del principio di precauzione (65) – a definire il richiesto grado di certezza dell’assenza di un impatto negativo significativo sull’ambiente o sulla salute umana, così come il livello di rischio accettabile al fine di autorizzare la perdita della qualifica di rifiuto. Tuttavia, la sua decisione deve fondarsi su elementi tecnici e scientifici pertinenti, fermo restando che gli Stati membri possono far gravare l’onere della prova del rispetto delle condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto sul detentore dei rifiuti che se ne avvale (66).

5.      Conclusione intermedia

85.      Le considerazioni che precedono mi portano a concludere che l’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98 non osterebbe alla normativa nazionale controversa nel procedimento principale ove il giudice del rinvio ritenesse che il legislatore nazionale abbia potuto considerare, senza commettere un manifesto errore di valutazione, che gli oli vegetali esausti trattati chimicamente non potevano soddisfare le condizioni previste nel paragrafo 1 di detto articolo quando sono utilizzati come combustibile in un impianto che produce emissioni in atmosfera.

86.      Lo stesso varrebbe nel caso in cui detto giudice stabilisse che il legislatore nazionale poteva, senza che detta conclusione sia viziata da un manifesto errore di valutazione, ritenere che la verifica del rispetto di dette condizioni, visto il suo carattere tecnico e complesso, presuppone l’adozione di criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto per tale tipologia di oli mediante un atto interno di portata generale, a condizione che la procedura di adozione di un simile atto garantisca l’effettività dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98.

C.      Sulla seconda questione, relativa all’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28

87.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 osti alla normativa nazionale controversa nel procedimento principale, nella parte in cui stabilisce che l’elenco di categorie di combustibili prodotti da biomassa che possono essere utilizzati all’interno di un impianto che produce emissioni in atmosfera senza essere sottoposti alle norme in materia di recupero energetico dei rifiuti può essere modificato unicamente mediante un decreto ministeriale la cui procedura di adozione non è coordinata con la procedura amministrativa di autorizzazione dell’utilizzo di una sostanza prodotta da biomassa come combustibile (67). Detto giudice sottolinea che per la procedura di adozione di un siffatto decreto ministeriale non sono inoltre previsti calendari chiari e trasparenti.

88.      La problematica così sollevata concerne il rapporto tra, da una parte, le procedure nazionali di riconoscimento della cessazione della qualifica di rifiuto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 e, dall’altra, le condizioni derivanti dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28. La Corte è infatti invitata a stabilire se, ed eventualmente in che misura, il fatto che la sostanza di cui il detentore vuol fare accertare la perdita della qualifica di rifiuto costituisce un bioliquido ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva di cui trattasi, incida sui requisiti imposti agli Stati membri quanto al rispetto delle condizioni fissate nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98.

89.      Collocata nel contesto dell’analisi proposta in risposta alla prima questione pregiudiziale, tale problematica impone, da una parte, di stabilire se l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 rimetta in discussione la conclusione secondo cui gli Stati membri possono, fatto salvo il controllo dell’errore manifesto di valutazione, escludere ogni possibilità di perdita della qualifica di rifiuto per un determinato tipo di rifiuti, se del caso, quando sono oggetto di uno specifico trattamento e/o sono destinati a un determinato impiego.

90.      Dall’altra, occorre precisare se, quando uno Stato membro ritiene che, benché detta possibilità non possa ragionevolmente essere esclusa, il rispetto di condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto possa essere verificato unicamente in presenza di criteri definiti per detta tipologia di rifiuti, l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 gli imponga obblighi in aggiunta a quelli di prevedere una procedura rispettosa del principio di effettività che consenta l’elaborazione di siffatti criteri.

91.      Tali questioni richiedono, a mio parere, una risposta negativa.

92.      Lo stesso vale poiché, da una parte, le disposizioni di diritto nazionale in forza delle quali determinate categorie di rifiuti prodotti da biomassa non cessano di essere tali quando hanno subito un determinato trattamento ai fini di un impiego come combustibili devono, a mio giudizio, essere considerate condizioni sostanziali che inquadrano il ricorso a determinate tipologie di energia rinnovabile. Disposizioni siffatte non ostano all’autorizzazione ad utilizzare i rifiuti di cui trattasi quali fonti di energia rinnovabile. Esse si limitano a subordinare detto utilizzo ai vincoli normativi applicabili al recupero energetico dei rifiuti. Orbene, per le ragioni esposte di seguito, ritengo che le condizioni sostanziali relative all’utilizzo delle energie rinnovabili non ricadano nel campo di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28.

93.      Dall’altra, i dubbi nutriti dal giudice del rinvio concernono la compatibilità con detta disposizione del procedimento diretto ad autorizzare lo sfruttamento di un impianto alimentato a biomasse unicamente nella misura in cui esso non è coordinato con la procedura di elaborazione di un atto interno di portata generale che consenta la perdita della qualifica di rifiuto del bioliquido che esso intende autorizzare. Il suddetto giudice si interroga inoltre sul carattere necessario e proporzionato di quest’ultima procedura. A mio giudizio, anche per i motivi sviluppati di seguito, nemmeno le procedure normative di adozione dei criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto sono disciplinate dall’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28.

94.      A questo riguardo, anzitutto, dalla formulazione letterale del primo comma della disposizione succitata risulta che le norme nazionali in materia di «procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze» applicabili agli impianti di produzione, trasmissione o distribuzione di energia a partire da fonti rinnovabili e al processo di trasformazione della biomassa in prodotti energetici devono essere «proporzionate e necessarie» (68). Il suo secondo comma obbliga gli Stati membri a prendere una serie di misure destinate, in maniera non esaustiva, a concretizzare dette esigenze. Tali obblighi specifici, considerati alla luce del primo comma di detta disposizione, non possono essere interpretati come aventi un ambito di applicazione più ampio di quello del requisito generale di proporzionalità e di necessità che essi concretizzano (69).

95.      Inoltre, la lettura secondo cui detta esigenza generale si applica unicamente alle disposizioni di carattere procedurale si ricava anche dalla genesi dell’adozione dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28. Infatti, i lavori preparatori evidenziano che tale disposizione mirava a ridurre le barriere amministrative legate ai ritardi, ai costi e alle incertezze derivanti dalle procedure di autorizzazione e di concessione delle licenze per i progetti concernenti lo sfruttamento di energie rinnovabili (70).

96.      Infine, gli obiettivi e l’economia generale della direttiva 2009/28 corroborano tale interpretazione.

97.      Come emerge dal suo articolo 1, la direttiva in parola si limita a stabilire un quadro comune per la promozione dell’energia da fonti rinnovabili. A tal fine, essa fissa obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e nei trasporti. La realizzazione di detti obiettivi è volta essa stessa a permettere la realizzazione dell’obiettivo globale consistente nel garantire che la quota di energia da fonti rinnovabili in seno all’Unione sia pari almeno al 20% entro il 2020 (71).

98.      A tale riguardo, i lavori preparatori sottolineano che il legislatore intendeva preservare la libertà degli Stati membri di sviluppare il settore delle energie rinnovabili più adatto alla rispettiva situazione e a comporre così il loro mix energetico secondo le rispettive priorità (72), a condizione che essi realizzino gli obiettivi nazionali obbligatori loro fissati.

99.      Detta descrizione degli obiettivi e dell’economia generale della direttiva 2009/28 è alla base dell’approccio adottato nella sentenza Elecdey Carcelen e a. (73). La Corte ha ivi stabilito che l’articolo 13, paragrafo 1, lettera e), della direttiva di cui trattasi mira unicamente a disciplinare i costi riguardanti i procedimenti amministrativi di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze e non ha lo scopo di limitare gli Stati membri nell’istituzione di tributi come un canone gravante sugli aerogeneratori. Essa ha sottolineato che questi ultimi, benché gravati da un’obbligazione di risultato ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva di cui trattasi, vale a dire quello di raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali obbligatori, dispongono di un certo margine di discrezionalità quanto alla scelta dei mezzi adottati a tal fine. In tale ottica, la Corte ha riconosciuto che non era escluso che un siffatto canone potesse disincentivare o addirittura compromettere lo sviluppo dell’energia eolica. Tuttavia, a giudizio della Corte, anche ammettendo che il canone di cui trattasi sia idoneo a impedire allo Stato membro interessato di rispettare l’obiettivo nazionale obbligatorio su di esso gravante, da ciò deriverebbe, tutt’al più, una violazione di detto obbligo di risultato. La misura istitutiva del canone non potrebbe, tuttavia, essere considerata di per sé contraria alla direttiva stessa. Detta misura doveva, tuttavia, rispettare le libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE (74).

100. La logica cui si ispira detta sentenza mi sembra confermare che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva in esame non può essere interpretato nel senso che limita la facoltà degli Stati membri di inquadrare mediante misure normative di carattere non processuale lo sviluppo delle energie rinnovabili.

101. A mio giudizio, la sentenza succitata rimette in discussione l’approccio adottato nella sentenza Azienda Agro-Zootecnica Franchini e Eolica di Altamura (75), che la Commissione ha invocato a fondamento dell’interpretazione opposta a quella da me sostenuta. Nell’ambito di una controversia cui la direttiva 2009/28 non era ancora applicabile ratione temporis, la Corte stabiliva che l’articolo 13 di detta direttiva rappresentava un’espressione del principio generale di proporzionalità nel diritto dell’Unione. Essa ha quindi esaminato la conformità a detto principio di una normativa nazionale che vietava, all’interno dei siti Natura 2000, l’installazione di aerogeneratori non finalizzati all’autoconsumo. Nella parte in cui detta sentenza suggeriva che il principio di proporzionalità sancito dalla disposizione di cui trattasi riguarda tutte le norme, sia processuali che sostanziali, che disciplinano l’utilizzo di energie rinnovabili, tale approccio mi sembra essere stato superato nella sentenza Elecdey Carcelen e a. (76).

102. Ne concludo che l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 non osta a una normativa nazionale che subordina al rispetto delle norme in materia di incenerimento di rifiuti l’utilizzo di oli vegetali esausti trattati chimicamente come combustibili in un impianto che produce emissioni in atmosfera, a meno che e fintanto che un decreto ministeriale non disponga diversamente. Anche laddove una siffatta disciplina mettesse a rischio la realizzazione dell’obiettivo nazionale obbligatorio fissato all’Italia (aspetto questo che la decisione di rinvio non suggerisce in alcun modo), ne risulterebbe unicamente una violazione dell’obbligo di risultato incombente a detto Stato.

103. Tale conclusione non è inficiata dall’argomento addotto dalla PNTE, secondo cui la normativa controversa nel procedimento principale violerebbe l’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28 nella misura in cui l’elenco dei combustibili autorizzati ivi contenuto non è coordinato con la definizione di «bioliquido» prevista dalla disposizione di diritto nazionale che recepisce l’articolo 2, lettera h), di detta direttiva.

104. Essa non è rimessa in discussione nemmeno dall’argomento invocato in udienza dalla Commissione secondo cui l’articolo 17, paragrafo 8, della direttiva de qua impedirebbe a uno Stato membro di assoggettare alla normativa in materia di rifiuti la combustione di un bioliquido, come l’olio vegetale, che soddisfa i criteri di sostenibilità definiti nel paragrafo 1 di detto articolo.

105. Osservo, a questo proposito, che l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2009/28 si limita a definire la nozione di «bioliquidi», utilizzata all’interno di altre disposizioni della direttiva in esame. In particolare, l’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva prevede taluni «criteri di sostenibilità» applicabili ai biocarburanti e ai bioliquidi.

106. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, come risulta dalla formulazione del suo paragrafo 8 e come già constatato dalla Corte (77), l’armonizzazione operata dall’articolo 17 della direttiva 2009/28 si limita a precisare i criteri di sostenibilità che devono essere soddisfatti da biocarburanti e bioliquidi «[a]i fini di cui al paragrafo 1, lettere a), b) e c)» di detto articolo. Tali fini indicano, da una parte, la presa in considerazione dell’energia prodotta a partire da essi per verificare in che misura lo Stato membro rispetti i suoi obiettivi nazionali obbligatori e i suoi obblighi in materia di energie rinnovabili e, dall’altra, l’eventuale ammissione a un sostegno nazionale per il consumo di biocarburanti.

107. A giudizio della Corte, ne deriva che l’articolo 17 della direttiva 2009/28 non obbliga gli Stati membri ad autorizzare incondizionatamente le importazioni di biocarburanti sostenibili provenienti da altri Stati membri (78). Seguendo la medesima logica, a mio avviso, detta disposizione non impone nemmeno a uno Stato membro di consentire senza restrizioni l’utilizzo di biocarburanti e di bioliquidi sostenibili, prodotti sul suo territorio o in un altro Stato membro.

V.      Conclusione

108. Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Italia) come segue:

1)      L’articolo 6, paragrafi 1 e 4, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive non osta a una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale che impone di considerare rifiuto, quando è utilizzato come combustibile in un impianto di produzione di energia termica ed elettrica, una sostanza derivata dal trattamento chimico di oli vegetali esausti che non rientra nell’elenco delle categorie di sostanze prodotte da biomassa a tal fine autorizzate, fermo restando che detto elenco può essere modificato unicamente mediante adozione di un atto interno di portata generale. Tuttavia, ciò vale solo ove il legislatore nazionale abbia stabilito, senza commettere un manifesto errore di valutazione:

–        che le condizioni previste nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi non potevano essere soddisfatte rispetto agli oli vegetali esausti che subiscano un trattamento siffatto ai fini di detto utilizzo, aspetto questo che spetta al giudice del rinvio esaminare, o

–        che il soddisfacimento di dette condizioni poteva essere verificato unicamente mediante la preliminare adozione di criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto per tale tipologia di sostanze mediante un atto interno di portata generale e che la procedura di adozione di un atto siffatto prevista dal diritto nazionale garantiva l’effettività dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi, in particolare in quanto era soggetta a termini ragionevoli, poteva essere avviata su richiesta dei detentori dei rifiuti interessati e prevedeva mezzi di ricorso avverso il diniego di accoglimento della domanda da parte delle autorità nazionali competenti, aspetti questi la cui valutazione è rimessa al giudice del rinvio.

2)      L’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che assoggetta alla disciplina nazionale del recupero energetico dei rifiuti l’utilizzo, quale combustibile in un impianto di produzione di energia termica ed elettrica, di un bioliquido derivato da rifiuti che non rientra in nessuna delle categorie presenti nell’elenco dei combustibili autorizzati in tal senso in forza di detta normativa, elenco che può essere modificato unicamente mediante un atto interno di portata generale la cui procedura di adozione non è coordinata con la procedura di autorizzazione dello sfruttamento dell’impianto in causa.


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 (GU 2008, L 312, pag. 3).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 (GU 2009, L 140, pag. 16).


4      GURI del 14 aprile 2006, supplemento ordinario n. 96 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 152/2006»).


5      GURI n. 71 del 28 marzo 2011, supplemento ordinario n. 81 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 28/2011»).


6      Decreto legislativo – Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità (GURI n. 25 del 31 gennaio 2004, supplemento ordinario n. 17; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 387/2003»).


7      Osservo che l’Ente Nazionale di Normazione (UNI) (Italia) è un ente senza fini di lucro che elabora, pubblica e promuove norme tecniche volontarie nei settori dell’industria, del commercio e dei servizi. L’UNI rappresenta l’Italia presso il Comitato europeo di normazione (CEN) e presso l’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) (v. http://www.uni.com/ e https://www.iso.org/fr/member/1823.html).


8      La PNTE afferma che l’olio vegetale è prodotto a partire da una materia prima che ha cessato di essere rifiuto, denominata olio acido limpido (OAL), essa stessa prodotta dalla ALSO a partire da rifiuti. Tale versione dei fatti si discosta sensibilmente da quella che risulta sia dalla decisione di rinvio che dall’autorizzazione rilasciata alla ALSO. Fatta salva la verifica del giudice del rinvio – l’unico competente a valutare i fatti pertinenti –, detta autorizzazione indica che la ALSO produce, in un primo impianto, OAL a partire da vari rifiuti diversi dagli oli alimentari esausti. L’OAL è utilizzato, in un secondo impianto, per produrre l’olio vegetale esterificato. In un terzo impianto, la ALSO produce un distinto olio vegetale a partire da oli esausti di frittura. In base alle indicazioni fornite dal giudice del rinvio e fatto sempre salvo il suo controllo, l’olio vegetale oggetto del procedimento principale non sembra corrispondere a quello prodotto a partire dall’OAL. In ogni caso, come esporrò nei paragrafi 63 e 64 delle presenti conclusioni, il fatto che un rifiuto abbia cessato di esserlo per un determinato uso (come la produzione di biocarburante) non implica che esso abbia perso detto status in relazione ad altri impieghi (ad esempio, come combustibile in un impianto di cogenerazione).


9      Secondo la PNTE, detta limitazione relativa all’utilizzo del prodotto riguarderebbe unicamente l’OAL. Per contro, l’autorizzazione rilasciata all’ALSO prevedrebbe che l’olio vegetale possa essere commercializzato senza restrizioni nel settore energetico. Tale versione dei fatti non corrisponde a quella illustrata nella decisione di rinvio. Osservo, a questo proposito, che, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, l’autorizzazione di cui trattasi non sembra limitare all’OAL l’obbligo di indicare sui documenti commerciali che i prodotti provenienti dagli impianti dell’ALSO sono destinati a essere utilizzati come biodiesel.


10      Per il momento, sulla base della succitata disposizione sono stati adottati il regolamento (UE) n. 333/2011 del Consiglio, del 31 marzo 2011, recante i criteri che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della [direttiva 2008/98] (GU 2011, L 94, pag. 2), il regolamento (UE) n. 1179/2012 della Commissione, del 10 dicembre 2012, recante i criteri che determinano quando i rottami di vetro cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della [direttiva 2008/98] (GU 2012, L 337, pag. 31), e il regolamento (UE) n. 715/2013 della Commissione, del 25 luglio 2013, recante i criteri che determinano quando i rottami di rame cessano di essere considerati rifiuti ai sensi della [direttiva 2008/98] (GU 2013, L 201, pag. 14).


11      Sentenza del 28 marzo 2019 (C‑60/18, EU:C:2019:264, punti 24 e 25).


12      Tale facoltà è ora espressamente prevista dall’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva 2008/98, come modificato dalla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la [direttiva 2008/98] (GU 2018, L 150, pag. 109), entrata in vigore dopo i fatti oggetto del procedimento principale.


13      Il fascicolo sottoposto alla Corte non contiene alcun elemento indicante che la normativa controversa nel procedimento principale comporti, in pratica, detto stesso effetto in relazione ad altri combustibili «candidati» a perdere la qualifica di rifiuto. A tal riguardo, il giudice del rinvio sottolinea che le categorie di combustibili elencate nell’allegato X alla quinta parte del decreto legislativo n. 152/2006 sono definite in termini particolarmente ampi. Benché la PNTE ritenga che l’inserimento degli oli vegetali esterificati all’interno di detto elenco mediante un decreto ministeriale si sia fatto attendere troppo a lungo, nulla indica se una tale contestazione si estenda anche ad altri combustibili da rifiuti.


14      Sentenza del 28 marzo 2019 (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 27).


15      Sentenza del 15 giugno 2000 (C‑418/97 e C‑419/97, EU:C:2000:318, punti 94 e 96).


16      V. articolo 3, punto 1, della direttiva 2008/98, che riprende essenzialmente la definizione della nozione di «rifiuto» prevista negli strumenti che hanno preceduto detta direttiva.


17      A norma dell’articolo 3, punto 15, della direttiva 2008/98, la nozione di «recupero» comprende «qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione (…)». L’allegato II della direttiva di cui trattasi fornisce un elenco non esaustivo di operazioni di recupero, tra cui rientra l’utilizzo come combustibile. La nozione di «riciclaggio» è, dal canto suo, definita all’articolo 3, punto 17, della direttiva di cui trattasi, come «qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali di rifiuto sono ritrattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini», fermo restando che detta nozione «non [include] il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento».


18      V. sentenze del 18 aprile 2002, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus (C‑9/00, EU:C:2002:232, punto 46), e del 22 dicembre 2008, Commissione/Italia (C‑283/07, non pubblicata, EU:C:2008:763, punto 61). La suddetta interpretazione della nozione di «rifiuto» si spiega, a mio parere, in ragione del fatto che l’azione di disfarsi di una sostanza può consistere nel sottoporla a un’operazione di recupero [v., in particolare, sentenza del 18 dicembre 1997, Inter-Environnement Wallonie (C‑129/96, EU:C:1997:628, punti 26 e 27)]. Quando tale operazione è completata e la sostanza che ne risulta è utilizzabile senza rischi per l’ambiente o la salute, il suo detentore in linea di principio non se ne disfa più. Benché il fatto che un rifiuto abbia subito un recupero completo rappresenti così un indice forte e, di frequente, determinante della perdita da parte sua della qualifica di rifiuto, la Corte ha tuttavia osservato che non si potrebbe escludere – benché tale possibilità sia relativamente teorica [v. conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa Mayer Parry Recycling (C‑444/00, EU:C:2002:420, paragrafo 104)] – che il detentore se ne disfi, cerchi di disfarsene o sia tenuto a disfarsene malgrado detto recupero.


19      V. sentenze del 19 giugno 2003, Mayer Parry Recycling (C‑444/00, EU:C:2003:356, punti 67 e 68 e punto 75), e dell’11 novembre 2004, Niselli (C‑457/02, EU:C:2004:707, punto 52).


20      V. sentenze del 4 dicembre 2008, Lahti Energia (C‑317/07, EU:C:2008:684, punti 35 e 36), e del 25 febbraio 2010, Lahti Energia (C‑209/09, EU:C:2010:98, punti da 18 a 21), lette congiuntamente. V., altresì, a contrario, sentenza del 22 dicembre 2008, Commissione/Italia (C‑283/07, non pubblicata, EU:C:2008:763, punto 62).


21      V., in particolare, sentenze del 18 aprile 2002, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus (C‑9/00, EU:C:2002:232, punto 23); del 24 giugno 2008, Commune de Mesquer (C‑188/07, EU:C:2008:359, punto 44), e del 12 dicembre 2013, Shell Nederland (C‑241/12 e C‑242/12, EU:C:2013:821, punto 53).


22      V. articolo 4 della direttiva 2008/98.


23      V., in tal senso, Commission staff working document – Annex the Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on waste and Communication from the Commission Taking sustainable use of resources forward: A Thematic Strategy on the prevention and recycling of waste – Impact assessment on the Thematic Strategy on the prevention and recycling of waste and the immediate implementing measures, 21 dicembre 2005 [SEC(2005) 1681, pagg. 9 e 17].


24      Secondo il considerando 17 della direttiva 2018/851, tali misure possono includere «l’adozione di disposizioni di recepimento delle condizioni in parola, accompagnate da procedure di attuazione, come per esempio l’elaborazione di criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto specifici per materiale e applicazione, documenti di orientamento, decisioni prese caso per caso e altre procedure per l’applicazione ad hoc di condizioni armonizzate fissate a livello dell’Unione».


25      Sempre a meno che il loro detentore non se ne disfi a sua volta o che altre circostanze non testimonino un’intenzione o addirittura un obbligo di disfarsene.


26      Sentenza del 7 marzo 2013 (C‑358/11, EU:C:2013:142, punti 56 e 57).


27      La giurisprudenza di cui trattasi comprende, a parere della Corte, le sentenze indicate al paragrafo 39 delle presenti conclusioni.


28      Sentenza del 28 marzo 2019 (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 23).


29      V. paragrafi 66, 69 e 75 delle presenti conclusioni.


30      Tale disposizione prevede che, laddove non siano stati stabiliti criteri sulla cessazione della qualifica di rifiuto a livello dell’Unione o a livello dello Stato membro considerato, le decisioni caso per caso da quest’ultimo adottate si fondano sulle condizioni sancite nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98.


31      V., in tal senso, sentenze del 15 giugno 2000, ARCO Chemie Nederland e a. (C‑418/97 e C‑419/97, EU:C:2000:318, punti 41 e 70); dell’11 novembre 2004, Niselli (C‑457/02, EU:C:2004:707, punto 34), e, per analogia, del 3 ottobre 2013, Brady (C‑113/12, EU:C:2013:627, punto 62). V., altresì, considerando 17 della direttiva 2018/851.


32      V., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 25).


33      Sentenza del 28 marzo 2019 (C‑60/18, EU:C:2019:264, punti 26 e 28).


34      Osservo che, nella sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 30), la Corte ha stabilito che l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 non consentiva a un detentore di rifiuti di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità nazionale competente «in circostanze come quelle (…) [della causa che ha portato alla pronuncia di detta sentenza]». Pertanto, la Corte sembra indicare che esso avrebbe potuto agire diversamente in circostanze diverse o, almeno, sembra lasciare la questione aperta.


35      Tale conclusione deriva, a mio parere, dal punto 27 della sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264).


36      Sentenze del 7 marzo 2013, Lapin ELY‑keskus, liikenne ja infrastruktuuri (C‑358/11, EU:C:2013:142, punto 55), e del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 29).


37      Arrêté du 24 août 2016 fixant les critères de sortie du statut de déchet pour les déchets graisseux et les huiles alimentaires usagées pour un usage en tant que combustible dans une installation de combustion classée sous la rubrique 2910-B au titre de la nomenclature des installations classées pour la protection de l’environnement et d’une puissance supérieure à 0,1 [mégawatts (MW)] et les esters méthyliques d’acides gras fabriqués à partir de ces déchets destinés à être incorporés dans un produit pétrolier (JORF n. 0234 del 7 ottobre 2016; in prosieguo: il «decreto del 24 agosto 2016»).


38      Guidance, Biodiesel: quality protocol, versione aggiornata al 12 giugno 2015, https://www.gov.uk/government/publications/biodiesel-quality-protocol/biodiesel-quality-protocol.


39      Viene aggiunto che, in sede di elaborazione dei criteri, la Commissione si fonda sui più rigorosi criteri di protezione ambientale adottati dagli Stati membri.


40      Nella specie, l’autorizzazione rilasciata all’ALSO stabilisce le caratteristiche tecniche, fisico-chimiche e di rendimento energetico che devono presentare le sostanze prodotte dalla sua attività al fine di perdere la qualifica di rifiuto, precisando che dette caratteristiche sono strettamente legate all’uso cui dette sostanze sono destinate in conformità alla succitata autorizzazione.


41      V., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 27).


42      Per quanto attiene ai rifiuti trattati per essere impiegati come combustibili, il loro recupero si considererà quindi concluso non al termine del suddetto trattamento, ma dopo che essi siano stati inceneriti nel rispetto della normativa applicabile al recupero energetico dei rifiuti.


43      V., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2019, Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2019:264, punto 27).


44      V., in tal senso, per analogia, sentenza del 19 giugno 2003, Mayer Parry Recycling (C‑444/00, EU:C:2003:356, punti 78 e 79).


45      Analogamente, nelle sue conclusioni nella causa Tallinna Vesi (C‑60/18, EU:C:2018:969), l’avvocato generale Kokott ha ritenuto che gli Stati membri godono di un ampio margine di discrezionalità nel disciplinare le operazioni di recupero e definire il livello di protezione applicabile a norma dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 (paragrafo 43). L’avvocato generale ha ritenuto, essenzialmente, che, escludendo, in relazione a determinati rifiuti, ogni possibilità di valutare caso per caso la cessazione della qualifica di rifiuto in mancanza di criteri definiti da un atto interno di portata generale, uno Stato membro oltrepassa detto margine di discrezionalità unicamente nel caso in cui i rifiuti di cui trattasi siano stati resi utilizzabili «al di là di ogni ragionevole dubbio» attraverso un’operazione di recupero, senza compromettere la salute umana o danneggiare l’ambiente (paragrafo 52).


46      La decisione di rinvio indica, a questo proposito, che gli operatori economici interessati possono tutt’al più sollecitare l’esercizio, da parte del Ministero dell’ambiente, del suo potere discrezionale di avviare la procedura di modifica dell’elenco succitato. Il governo italiano afferma che detti operatori dispongono di mezzi di ricorso giurisdizionali avverso una risposta negativa a detta richiesta o contro l’inerzia del Ministero. La PNTE contesta tale affermazione. Secondo il giudice del rinvio, la procedura di modifica di cui trattasi non prevedrebbe inoltre né termini certi, né calendari trasparenti.


47      V. paragrafi da 66 a 84 delle presenti conclusioni.


48      L’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/98 precisa peraltro che la sostanza di cui trattasi deve essere comunemente utilizzata «per scopi specifici». Il rispetto delle condizioni indicate ai punti da a) a d) della disposizione di cui trattasi è anch’esso intrinsecamente legato a ciascun utilizzo specifico della sostanza di cui trattasi.


49      V. paragrafo 53 delle presenti conclusioni.


50      La normativa francese prevede che gli oli vegetali trattati meccanicamente possano, per contro, cessare di essere rifiuti per servire da combustibili in determinati impianti di combustione. V. articolo 3, lettera b), del decreto del 24 agosto 2016, letto in combinato disposto con il suo allegato I, sezione 2, punti 2.1 e 2.2.


51      V., per analogia, sentenza del 18 aprile 2002, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus (C‑9/00, EU:C:2002:232, punti 36 e 37).


52      Giugno 2012, pag. 23 (in prosieguo: il «documento di orientamento della Commissione»). Detto documento, benché privo di carattere vincolante, fornisce indicazioni che possono guidare la Corte ai fini dell’interpretazione della direttiva 2008/98.


53      V., anche, in tal senso, il documento di orientamento della Commissione, pag. 23.


54      Secondo le indicazioni contenute nel fascicolo presentato alla Corte, il decreto ministeriale n. 264 del 13 ottobre 2016, Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti (GURI n. 38 del 15 febbraio 2017) precisa, nella sua sezione 2, che i sottoprodotti del trattamento o della raffinazione dell’olio vegetale rientrano nell’allegato X alla quinta parte del decreto legislativo n. 152/2006 se sono oggetto di un trattamento fisico. Fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, detta regola sembra applicarsi agli oli vergini. Per contro, nel fascicolo agli atti non si precisa se un olio vegetale prodotto da coltivazioni dedicate possa essere utilizzato in un impianto che genera emissioni in atmosfera quando è stato trattato chimicamente.


55      V. paragrafo 83 delle presenti conclusioni.


56      V. articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/98.


57      Sottolineo che, in forza dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2009/28, ciascuno Stato membro assicura che la propria quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto nel 2020 sia almeno pari al 10% del consumo finale di energia in detto trasporto. V., altresì, per analogia, sentenza del 26 settembre 2013, IBV & Cie (C‑195/12, EU:C:2013:598, punti 81 e 82), da cui emerge che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nel selezionare le fonti da biomasse di cui intendono incoraggiare l’utilizzo come combustibili mediante misure di sostegno.


58      V. paragrafi 38 e 39 delle presenti conclusioni.


59      V., a tal riguardo, in particolare, considerando 4 e 5 della direttiva (UE) 2015/1513 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che modifica la direttiva 98/70/CE, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, e la direttiva [2009/28] (GU 2015, L 239, pag. 1) e considerando 81 della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento [europeo] e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (rifusione) (GU 2018, L 328, pag. 82).


60      Documento di orientamento della Commissione, pag. 24.


61      Vale a dire, le emissioni di monossido di zolfo (SOx), di monossido di azoto (NOx), di monossido di carbonio (CO), di ammoniaca (NH3) e di polveri.


62      V., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, Commissione/Italia (C‑283/07, non pubblicata, EU:C:2008:763, punto 62).


63      V., in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2004, EU‑Wood‑Trading (C‑277/02, EU:C:2004:810, punto 46).


64      V. paragrafo 40 delle presenti conclusioni.


65      V., in particolare, per analogia, sentenze del 22 dicembre 2010, Gowan Comércio Internacional e Serviços (C‑77/09, EU:C:2010:803, punti 60 e 82); dell’11 luglio 2013, Francia/Commissione (C‑601/11 P, EU:C:2013:465, punto 143), e del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 49).


66      V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.


67      Tale procedimento è previsto, nel caso di specie, all’articolo 5, paragrafo 1, del decreto legislativo n. 28/2011, che rinvia all’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003. La procedura di modifica dell’elenco di cui all’allegato X alla quinta parte del decreto legislativo n. 152/2006 è prevista, dal canto suo, all’articolo 281, paragrafi 5 e 6, di detto decreto.


68      L’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2018/2001 riprende peraltro essenzialmente detta formulazione. La direttiva di cui trattasi non è applicabile ratione temporis ai fatti della controversia principale.


69      Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale lettura non è rimessa in discussione dal riferimento, nel titolo dell’articolo 13 della direttiva 2009/28, a «regolamentazioni e codici». Infatti, dai paragrafi da 4 a 6 dell’articolo succitato emerge che il rimando de quo riguarda le disposizioni normative e i codici in materia edilizia all’interno dei quali gli Stati membri devono introdurre misure adeguate per aumentare la quota di energie rinnovabili negli edifici e incoraggiare il ricorso a detta tipologia di energie. Esso non implica che il paragrafo 1 di detto articolo impone una condizione generale di proporzionalità per tutte le disposizioni nazionali che disciplinano la produzione e l’utilizzo di energie rinnovabili.


70      V., in particolare, documento di lavoro dei servizi della Commissione, The support of electricity from renewable energy sources – Accompanying document to the Proposal for a Directive of the European Parliament and of the Council on the promotion of the use of energy from renewable sources, 23 gennaio 2008 [SEC(2008) 57 definitivo, pag. 7]. V., altresì, documento di lavoro dei servizi della Commissione – Impact assessment – Document accompanying the Package of Implementation measures for the EÙs objectives on climate change and renewable energy for 2020 [SEC(2008) 85 definitivo, pag. 12].


71      Articolo 3, paragrafo 1, e allegato I, parte A, della direttiva 2009/28. In forza dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva di cui trattasi, ogni Stato membro adotta misure efficaci per assicurare che la propria quota di energia da fonti rinnovabili sia uguale o superiore alla quota indicata nella traiettoria indicativa di cui all’allegato I, parte B. L’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva di cui trattasi richiede l’adozione di piani nazionali che descrivano tali misure.


72      V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, del 23 gennaio 2008 [COM(2008) 19 definitivo, pag. 12].


73      Sentenza del 20 settembre 2017 (C‑215/16, C‑216/16, C‑220/16 e C‑221/16, EU:C:2017:705, punti da 32 a 35, 39 e 40).


74      Nell’affrontare la prima questione pregiudiziale, ho già osservato che, a mio giudizio, la Corte non dispone di elementi sufficienti per stabilire se un divieto di utilizzo di oli vegetali esterificati come combustibile in un impianto che produce emissioni in atmosfera senza dover rispettare la normativa in materia di incenerimento dei rifiuti integri un ostacolo ingiustificato alla libera circolazione delle merci sancito dall’articolo 34 TFUE (v. paragrafi 73 e 74 delle presenti conclusioni).


75      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑2/10, EU:C:2011:502, punto 73).


76      Sentenza del 20 settembre 2017 (C‑215/16, C‑216/16, C‑220/16 e C‑221/16, EU:C:2017:705).


77      Sentenze del 22 giugno 2017, E.ON Biofor Sverige (C‑549/15, EU:C:2017:490, punti 28, 32 e 33), e del 4 ottobre 2018, L.E.G.O. (C‑242/17, EU:C:2018:804, punto 28). V., altresì, considerando 94 della direttiva 2009/28.


78      Sentenza del 22 giugno 2017, E.ON Biofor Sverige (C‑549/15, EU:C:2017:490, punto 35).