Language of document : ECLI:EU:C:1999:97

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

ANTONIO SAGGIO

presentate il 25 febbraio 1999 (1)

Causa C-126/97

Eco Swiss China Time Ltd

contro

Benetton International NV

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi)

«Concorrenza - Applicazione d'ufficio dell'art. 85 del Trattato da parte degli arbitri - Poteri del giudice nazionale in sede di impugnazione delle sentenze arbitrali»

1.
    Con ordinanza del 21 marzo 1997 lo Hoge Raad dei Paesi Bassi ha rivolto alla Corte cinque quesiti pregiudiziali concernenti l'interpretazione dell'art. 85 del Trattato CE. I quesiti vertono, da un lato, sull'esistenza di un obbligo per gli arbitri di applicare d'ufficio la disposizione appena richiamata e, dall'altro, sui poteri attribuiti alle giurisdizioni nazionali in sede di impugnazione delle sentenze arbitrali per presunto contrasto con le norme comunitarie di concorrenza. Si pone dunque nuovamente all'attenzione della Corte il delicato problema del rapporto tra il diritto comunitario e le norme processuali nazionali.

Il quadro normativo nazionale

2.
    Ai sensi dell'art. 1054, n. 1, del codice di procedura civile olandese (Wetboek van Burgerlijke Rechtsvordering), i tribunali arbitrali decidono in conformità alle regole di diritto. L'art. 1064 dello stesso codice prevede che contro le decisioni nei confronti delle quali non è ammesso appello arbitrale o contro le decisioni rese in secondo grado dagli arbitri è consentito un ricorso giurisdizionale in annullamento, dinanzi al Rechtbank, da proporre nel termine di tre mesi dal deposito in cancelleria dell'originale della decisione.

    Il successivo art. 1065, al n. 1, indica i motivi per i quali può essere chiesto l'annullamento delle decisioni arbitrali. Assumono rilevanza nella presente causa i vizi indicati alle lett. a), c) ed e) della disposizione ora citata. Questi concernono rispettivamente le ipotesi in cui il compromesso arbitrale sia viziato da nullità, quella in cui gli arbitri non si siano attenuti ai limiti del loro mandato [(lett. c)] ed infine quella in cui il contenuto della sentenza o le modalità in cui essa è stata resa risultino in contrasto con l'ordine pubblico o il buon costume [(lett. e)].

    Al n. 4 si precisa, poi, che il vizio di cui alla lett. c) del n. 1 non può portare all'annullamento della decisione arbitrale qualora la parte che lo invoca, pur essendo consapevole del fatto che gli arbitri si pronunciavano extra petita, non abbia sollevato la questione nel corso del procedimento arbitrale.

3.
    Va poi aggiunto che, conformemente all'art. 1066, nn. 1 e 2 del codice di procedura civile olandese, l'impugnazione non sospende l'esecuzione della sentenza arbitrale a meno che il giudice chiamato a pronunciarsi non decida altrimenti sulla base di una sommaria valutazione della fondatezza del ricorso.

I fatti ed i quesiti pregiudiziali

4.
    La controversia dinanzi al giudice rimettente trova origine nel preteso inadempimento delle obbligazioni scaturenti da un contratto di licenza di marchio. Detto accordo, della durata di otto anni, era stato concluso in data 1° luglio 1986 tra la società Benetton International NV (in prosieguo: la «Benetton»), la Eco Swiss China Time Ltd (in prosieguo: la «Eco Swiss»), con sede a Hong Kong, e laBulova Watch Company, con sede a New York (in prosieguo: la «Bulova»). In virtù del contratto, la Benetton e la Bulova accordavano alla Eco Swiss il diritto di fabbricare e porre in commercio orologi recanti la menzione «Benetton by Bulova».

    Il contratto conteneva, all'art. 26A, una clausola compromissoria, ai sensi della quale ogni controversia relativa all'accordo avrebbe dovuto essere affidata ad arbitri, in applicazione delle regole dell'Istituto olandese di arbitrato (Nederlandse Arbitrage Institut). Veniva poi indicata come legge applicabile quella olandese.

5.
    Con lettera del 24 giugno 1991, in anticipo di tre anni rispetto al termine inizialmente previsto, la Benetton comunicava alle altre parti la sua intenzione di risolvere unilateralmente il contratto a far data dal 24 settembre 1991. In conseguenza di ciò, su iniziativa della Eco Swiss e della Bulova, aveva luogo un procedimento arbitrale, che aveva ad oggetto la liceità o meno del comportamento della Benetton rispetto agli obblighi previsti dal contratto. Nel corso del procedimento né le parti né gli arbitri sollevavano la questione della conformità dell'accordo al diritto comunitario della concorrenza, ed in particolare all'art. 85 del Trattato.

    In data 4 febbraio 1993 gli arbitri rendevano un lodo parziale (Partial Final Award; in prosieguo: il «PFA» ), depositato nello stesso giorno presso la cancelleria del Rechtbank dell'Aia, con il quale, sulla premessa che il contratto di licenza era da considerarsi «applicabile e in vigore», ingiungevano alla Benetton di risarcire la Eco Swiss e la Bulova per il pregiudizio subito a motivo dell'inadempimento del contratto stesso, lasciando alle parti il compito di raggiungere un accordo sull'ammontare della somma da versare a titolo di risarcimento. Nei confronti del PFA la Benetton non proponeva appello nel termine assegnato dalla legge (tre mesi a far data dal deposito del lodo).

    Non avendo le parti raggiunto un accordo, la Eco Swiss si rivolgeva nuovamente agli arbitri per ottenere una pronunzia sull'ammontare della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno. Con lodo del 23 giugno 1995, denominato Final Arbitral Award (in prosieguo: il «FAA»), gli arbitri ingiungevano alla Benetton di versare alla Eco Swiss la somma di 23 750 000 USD, oltre alle spese relative alle due fasi del procedimento arbitrale. Il FAA è stato depositato alla cancelleria del Rechtbank dell'Aia il 26 giugno 1995; il 17 luglio successivo, il presidente del tribunale autorizzava l'esecuzione del lodo.

6.
    Con atto del 14 luglio 1995 la Benetton citava la Eco Swiss e la Bulova dinanzi al Rechtbank dell'Aia per ottenere l'annullamento dei lodi arbitrali. La Benetton faceva valere, per quello che qui rileva, la contrarietà delle pronunzie arbitrali all'ordine pubblico in ragione dell'incompatibilità del contratto di licenza con l'art. 85 del Trattato CE. Il Rechtbank respingeva il ricorso con sentenza del2 ottobre 1996, contro la quale la Benetton proponeva appello dinanzi alla Corte d'appello di Grevenhage, presso la quale la causa è tuttora pendente.

    La Benetton proponeva poi dinanzi allo stesso tribunale una domanda di sospensione dell'esecuzione del FAA sino alla decisione definitiva sulla richiesta di annullamento del lodo. A seguito di una pronunzia negativa da parte del Rechtbank, la Benetton proponeva appello dinanzi al Gerechtshof (Corte d'appello), che accoglieva la domanda con ordinanza del 28 marzo 1996. La Corte d'appello motivava la sua decisione sulla base delle seguenti argomentazioni: in primo luogo, i giudici olandesi notavano che l'art. 85 del Trattato CE rientra nella nozione di «ordine pubblico» ai sensi dell'art. 1065, n. 1, lett. e), del codice di procedura civile; in secondo luogo, anche se è vero che la Benetton ha proposto domanda di annullamento del PFA oltre il termine assegnato dalla legge, per cui la stessa dovrebbe essere dichiarata irricevibile, ciò non esclude che si possa procedere ad una valutazione in merito alla compatibilità del contratto con le regole di concorrenza nell'ambito del ricorso relativo al FAA, V in quanto quest'ultima pronunzia arbitrale, nel quantificare la somma da versare alla Eco Swiss a titolo di risarcimento del danno, avrebbe in ogni caso dato esecuzione ad una clausola contrattuale contraria all'art. 85 del Trattato. Nel merito, la Corte d'appello riteneva che l'accordo concluso tra la Benetton, la Eco Swiss e la Bulova era prima facie contrario all'art. 85, in quanto comportava delle compartimentazioni del mercato su base territoriale. Essendo quindi probabile che, per le considerazioni esposte, la giurisdizione competente (2) si sarebbe pronunciata favorevolmente sulla domanda di annullamento del PFA, la Corte d'appello accoglieva la domanda di sospensione dell'esecuzione del secondo lodo.

7.
    La Eco Swiss proponeva ricorso in cassazione contro la decisione del Gerechtshof ora ricordata. Con ordinanza del 21 marzo 1997 lo Hoge Raad sospendeva il procedimento per rivolgere alla Corte di giustizia cinque quesiti pregiudiziali. Nel motivare il rinvio, la Corte di cassazione precisa che, in diritto olandese, non è consentito ai privati di chiedere l'annullamento di un lodo arbitrale per violazione delle regole di diritto, a meno che non sussista una violazione dell'ordine pubblico. Aggiunge lo Hoge Raad che una sentenza arbitrale è contraria all'ordine pubblico esclusivamente qualora il suo contenuto o la sua esecuzione sia in contrasto con una norma imperativa di portata tale che nessun ostacolo di natura procedurale possa impedire di invocarla in giudizio. In diritto olandese, il mero fatto che il contenuto o l'esecuzione di un lodo arbitrale sia in contrasto con un divieto sancito dal diritto interno della concorrenza non comporta problemi di contrarietà all'ordine pubblico.

    La Corte di cassazione si pone tuttavia il problema di sapere se la stessa conclusione possa essere raggiunta qualora siano in discussione norme imperativedi diritto comunitario; a suo parere, tuttavia, si ricaverebbe dalla sentenza Van Schijndel che anche la disposizione di cui all'art. 85 del Trattato CE non dovrebbe essere qualificata come una regola di ordine pubblico nel senso sopra indicato.

8.
    Lo Hoge Raad rileva inoltre che, non avendo nessuna delle parti sollevato la questione della nullità dell'accordo di licenza nel corso del procedimento, gli arbitri non si sarebbero attenuti al loro mandato qualora si fossero pronunciati di propria iniziativa su detta questione; la decisione avrebbe quindi potuto essere annullata in applicazione dell'art. 1065, n. 1, lett. c), del codice di procedura olandese. Inoltre, le regole di procedura interne non consentirebbero alle parti di avvalersi della nullità del contratto di licenza per la prima volta nell'ambito di un ricorso di annullamento.

    La Corte olandese aggiunge che dette norme trovano giustificazione nell'interesse generale a che il procedimento arbitrale funzioni in maniera spedita ed efficace; le stesse non sono applicate alle posizioni giuridiche soggettive di origine comunitaria in maniera meno favorevole rispetto a quelle di origine nazionale. Tuttavia, lo Hoge Raad esprime dei dubbi sulla possibilità di trasporre automaticamente i principi enunciati dalla Corte nella sentenza Van Schijndel nell'ambito di una procedura arbitrale, considerato, da un lato, che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, un tribunale arbitrale istituito sulla base di un accordo tra privati senza l'intervento delle autorità non ha la facoltà di avvalersi del meccanismo di rinvio pregiudiziale di cui all'art. 177 del Trattato e, dall'altro, che le regole di procedura olandese consentono l'annullamento del lodo soltanto per i motivi di cui all'art. 1065 del codice di procedura olandese tra cui la contrarietà all'ordine pubblico, mentre non esisterebbe a suo parere alcuna contrarietà all'ordine pubblico qualora la decisione degli arbitri non sia conforme all'art 85 del Trattato. La combinazione dei due elementi potrebbe risolversi in una limitazione nell'effettività della tutela dei diritti garantiti dall'ordinamento comunitario.

9.
    La Corte di cassazione aggiunge che, in diritto processuale olandese, qualora gli arbitri si pronuncino con un lodo interlocutorio che, come nella specie, decide definitivamente sul merito della controversia, detta decisione assume l'autorità di cosa giudicata. Di conseguenza, se il suo annullamento non è chiesto nei termini, diviene impossibile rimettere in discussione la soluzione raggiunta nel merito in sede di annullamento di un successivo lodo arbitrale che completa quello interlocutorio. La Corte olandese si domanda tuttavia se il diritto comunitario consente di applicare dette regole processuali in una situazione in cui, come nella fattispecie, il secondo lodo, il cui annullamento è stato chiesto nei termini, costituisce lo sviluppo di una sentenza arbitrale anteriore emanata per dare esecuzione ad un contratto contrario alle regole comunitarie della concorrenza.

10.
    Con la stessa ordinanza, lo Hoge Raad ha quindi rivolto alla Corte di giustizia i seguenti quesiti pregiudiziali:

«1)    In quale misura i principi formulati dalla Corte di giustizia nella sua sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel en Van Veen/Stichting Pensioenfonds Fysiotherapeuten (Racc. pag. 4705), si applichino per analogia qualora, in una controversia avente per oggetto un contratto di diritto privato che non è risolta da una giudice nazionale, bensì da arbitri, le parti non invochino l'art. 85 del Trattato CE e qualora gli arbitri, in base alle norme di diritto processuale nazionale che sono tenuti ad osservare, non abbiano alcuna facoltà di applicare d'ufficio tale disposizione.

2)    Se il giudice olandese, nonostante le norme di diritto processuale olandese descritte sopra ai punti 4.2 e 4.4 (secondo le quali una parte non può chiedere l'annullamento di una sentenza arbitrale che per un numero limitato di motivi, tra cui rientra la contrarietà all'ordine pubblico), debba accogliere una domanda d'annullamento di un lodo arbitrale a causa di un contrasto di detto lodo con l'art. 85 del Trattato CE - domanda che risponde peraltro a quanto prescritto dalla legge - qualora egli consideri che l'asserito contrasto sussista effettivamente.

3)    Se, nonostante le norme di diritto processuale olandese descritte sopra al punto 4.5 (per cui gli arbitri hanno l'obbligo di attenersi ai limiti del litigio e di conformarsi alla loro missione), il giudice sia tenuto a disporre in tal senso anche qualora nel procedimento arbitrale la questione dell'applicabilità dell'art. 85 del Trattato CE sia rimasta al di fuori dei limiti della controversia e gli arbitri non abbiano emesso quindi una pronuncia su tale questione.

4)    Se in base al diritto comunitario si debba disapplicare la norma di diritto processuale olandese descritta sopra al punto 5.3 (per cui una decisione arbitrale interlocutoria che ha natura di sentenza finale acquisisce l'autorità di cosa giudicata e non può essere oggetto di un ricorso di annullamento trascorsi tre mesi dal deposito della decisione presso la cancelleria del Rechtbank) qualora ciò sia necessario per poter esaminare nell'ambito del procedimento d'annullamento, diretto contro il successivo lodo arbitrale, se un contratto, la cui validità giuridica è stata stabilita dal lodo interlocutorio rivestito di autorità di cosa giudicata, sia tuttavia nullo perché in contrasto con l'art. 85 del Trattato CE.

5)    Oppure se, in un caso come quello descritto nella questione sub. 4), si debba disapplicare il principio secondo cui non si può chiedere contemporaneamente l'annullamento del lodo interlocutorio, nella misura in cui questo presenta le caratteristiche di un pronuncia definitiva, e l'annullamento del lodo arbitrale successivo».

Sul primo quesito pregiudiziale

11.
    Con il primo quesito pregiudiziale il giudice olandese chiede alla Corte se debbano trovare applicazione anche nel procedimento arbitrale i principi affermati nella sentenza Van Schijndel, prima citata, concernenti i poteri delle giurisdizioni di applicare d'ufficio disposizioni di diritto comunitario.

12.
    Ricordo a tal proposito che, nel giudizio principale dinanzi allo Hoge Raad, i ricorrenti intendevano in quell'occasione far valere come motivo di cassazione la mancata verifica da parte dei giudici inferiori della compatibilità di disposizioni nazionali con gli artt. 3, lett. f), 5, secondo comma, 85, 86 e 90 del Trattato CE. La questione relativa al rispetto delle disposizioni ora citate non era tuttavia stata sollevata dinanzi a quei giudici. I ricorrenti in cassazione si erano quindi avvalsi di fatti e circostanze non accertati davanti ai giudici di merito. Ciò sollevava, all'evidenza, problemi di carattere procedurale, con particolare riguardo al principio dispositivo per cui nelle cause aventi ad oggetto diritti ed obbligazioni civili di cui le parti dispongono liberamente, motivi di diritto addotti per la prima volta dalle parti in sede di ricorso in cassazione non costringono il giudice ad esorbitare dai limiti della controversia come è stata precedentemente circoscritta dalle stesse parti né a basarsi su fatti e circostanze diversi da quelli posti a fondamento della domanda (3).

13.
    Lo Hoge Raad aveva quindi rivolto dei quesiti pregiudiziali alla Corte al fine di sapere se, in siffatte circostanze, fosse tenuto a dare applicazione d'ufficio alle prescrizioni comunitarie in tema di concorrenza, qualora queste non siano state invocate dalla parte processuale che ha interesse alla loro applicazione; in caso di risposta affermativa, lo Hoge Raad chiedeva inoltre alla Corte se detta soluzione fosse valida anche qualora, così disponendo, il giudice avesse dovuto rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza è tenuto in virtù della normativa nazionale, poiché in tal modo avrebbe dovuto esorbitare dai limiti della controversia fra le parti e basarsi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni aveva posto a fondamento della propria domanda.

14.
    Chiarito che le regole di concorrenza menzionate dal giudice nazionale sono norme vincolanti, direttamente efficaci nell'ordinamento giuridico nazionale, la Corte ha innanzitutto affermato che in tutti i casi in cui, in forza del diritto interno, i giudici devono sollevare d'ufficio motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme comunitarie (punto 13). Ha poi aggiunto che lo stesso obbligo si impone anche laddove il diritto nazionale conferisce al giudice la mera facoltà di applicare d'ufficio la norma di diritto vincolante: ciò in quanto è compito dei giudici nazionali, alla luce del principio di collaborazione di cui all'art. 5 del Trattato, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto (punto 14). In definitiva,la Corte ha individuato in capo ai giudici nazionali l'obbligo di applicare d'ufficio le disposizioni comunitarie dotate di effetto diretto in tutti i casi in cui il diritto nazionale consente loro tale applicazione (punto 15).

15.
    Per quel che concerne la seconda questione, relativa al rapporto tra i doveri del giudice ora indicati ed i principi di diritto processuale interno, la Corte ha ribadito i principi che risultano dalla sua consolidata giurisprudenza, per cui in mancanza di disciplina comunitaria in materia spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto (punto 16). Tuttavia, dette modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (4) (punto 17). La Corte ha poi aggiunto, come ulteriore cautela, che spetta al giudice nazionale il compito di disapplicare una norma del diritto nazionale che impedisce l'attivazione del procedimento contemplato dall'art. 177 del Trattato (5).

16.
    Sulla scorta dei principi ora indicati, la Corte ha poi statuito che ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione di diritto processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento nonché dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. A questo scopo vanno tenuti presenti i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del processo (punto 19).

17.
    Nella fattispecie si discuteva della conformità con i principi elaborati dalla Corte del principio dispositivo che informa il sistema processuale olandese: in un procedimento civile il giudice deve o può sollevare motivi d'ufficio solamente a condizione di attenersi all'oggetto della lite e di basare la sua pronuncia sui fattiche gli sono stati presentati dalle parti (punto 20). A parere della Corte, detta limitazione dei poteri del giudice viene giustificata dal principio per cui l'iniziativa del processo spetta alle parti, mentre il giudice può agire d'ufficio solo in casi eccezionali in cui il pubblico interesse esige il suo impulso. Si tratta di un principio che riflette concezioni condivise dalla maggior parte degli Stati membri quanto ai rapporti tra lo Stato ed i privati, tutela i diritti della difesa e garantisce il regolare svolgimento del procedimento preservandolo in particolare dai ritardi dovuti alla valutazione dei motivi nuovi (punto 21).

18.
    La Corte ha quindi concluso che:

    «1) In un procedimento avente ad oggetto diritti ed obbligazioni civili di cui le parti dispongono liberamente, è compito del giudice nazionale applicare le disposizioni degli artt. 3, lett. f), 85, 86 e 90 del Trattato CEE, anche qualora la parte che ha interesse alla loro applicazione non le abbia sollevate, nel caso in cui il suo diritto nazionale gli consente tale applicazione.

    2) Il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d'ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l'esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza sono tenuti, esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda».

19.
    Il giudice olandese chiede ora alla Corte se le conclusioni raggiunte nella sentenza Van Schijndel, appena citate, possano trovare applicazione analogica rispetto ai poteri e ai doveri che spettano agli arbitri nella definizione di una controversia sottoposta al loro esame. In particolare, il giudice di rinvio intende sapere se gli arbitri sono tenuti ad applicare l'art. 85 del Trattato anche qualora ciò comporti una deviazione dai confini della controversia come prospettati dalle parti. Conviene ribadire a questo proposito che le parti del contratto di licenza avevano chiesto l'intervento degli arbitri, in applicazione della clausola compromissoria inserita nel contratto, al fine di ottenere una pronunzia in merito al preteso inadempimento degli obblighi convenzionali da parte della Benetton. Le parti non avevano quindi prospettato agli arbitri alcun problema di validità del contratto, della cui esecuzione si discuteva, rispetto alle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza: detta questione non ha quindi formato oggetto di discussione. Il contratto si presentava dunque come un dato di fatto, apportato dalle parti, al quale gli arbitri si sono attenuti nel decidere sul comportamento di queste ultime in sede di esecuzione del contratto stesso. In applicazione della normativa olandese, dunque, gli arbitri avrebbero deciso ultra petita qualora avessero, di propria iniziativa, affrontato e risolto la questione della validità del contratto rispetto alle norme comunitarie sulla concorrenza. Sottolinea il giudice rimettente che un tale comportamento da parte degli arbitri avrebbe di conseguenza potuto esseresanzionato in applicazione dell'art. 1065, n. 1, prima frase, lett. c), del codice di rito, ai sensi del quale il lodo può essere annullato qualora gli arbitri si siano pronunziati fuori dei limiti del compromesso.

20.
    Si tratta ora di valutare se i principi che la Corte ha enunciato nella sentenza Van Schijndel rispetto all'applicabilità d'ufficio delle prescrizioni comunitarie possano essere trasposti nell'ambito di un procedimento arbitrale, ovvero se, al contrario, sussistono delle peculiarità della procedura stessa che possano giustificare a carico degli arbitri degli obblighi ulteriori: nella fattispecie, quello di sollevare d'ufficio questioni relative alla nullità di un contratto, sul cui eventuale inadempimento sono chiamati a decidere, per violazione delle disposizioni in materia di concorrenza.

21.
    Ritengo che la prima soluzione sia quella corretta. Chiarito che gli arbitri chiamati a pronunciarsi su una controversia applicando il diritto di uno Stato membro della Comunità sono tenuti all'evidenza ad applicare il diritto comunitario pertinente in quanto parte integrante dell'ordinamento nazionale richiamato (6), non ritengo che sussistano ragioni sufficienti per imporre agli arbitri un controllo sistematico sul rispetto delle norme comunitarie nell'attività contrattuale dei privati, se uno stesso obbligo non si ricava, alla luce delle disposizioni interne, in capo agli organi giurisdizionali. Credo cioè che possa senz'altro trovare applicazione anche in questo ambito il principio generale per cui spetta agli Stati membri scegliere le modalità appropriate per tutelare i diritti attribuiti dall'ordinamento comunitario, a condizione tuttavia che dette modalità non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative ai ricorsi analoghi per i diritti di origine interna (principio di non discriminazione) e non rendano eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio dell'effettività della tutela giurisdizionale). Si tratta di criteri che hanno come obiettivo quello di mantenere un equilibrio fra la necessità di rispettare l'autonomia procedurale dei sistemi giuridici degli Stati membri e la necessità di garantire una protezione efficace dei diritti attribuiti dall'ordinamento comunitario dinanzi agli organi giudiziari nazionali (7).

    Ora, una regola nazionale che vieta agli arbitri di sollevare d'ufficio questioni di compatibilità con il diritto comunitario appare conforme ai requisiti ora indicati, in maniera analoga a quanto già riconosciuto dalla Corte rispetto ai poteri degli organi giurisdizionali. Anche nel procedimento arbitrale si presentano infatti quelle esigenze, richiamate dalla Corte nella sentenza Van Schijndel, secondo cuiin un procedimento civile l'organo giudicante deve o può sollevare motivi d'ufficio solo a condizione di attenersi all'oggetto della lite e di basare la sua pronuncia sui fatti che gli sono stati presentati. Si tratta di esigenze legate al rispetto del principio dispositivo, alla regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, alla tutela dei diritti della difesa, nonché alla garanzia del regolare svolgimento del procedimento. A ciò si aggiunga che gli arbitri, in quanto mandatari delle parti di un contratto per la soluzione di una lite, risultano legati alla volontà di queste ultime in misura ancora maggiore di quanto non possa esserlo un organo giurisdizionale, per cui non appare giustificato porre a loro carico il compito di valutare sistematicamente argomenti che esulano dai confini della lite quale prospettata dalle parti. In quanto forma di giustizia privata, sia pure riconosciuta dalla legge, l'arbitrato si regge sui principi dell'autonomia delle parti e della passività dell'organo giudicante, come viene chiaramente dimostrato dalla circostanza che il lodo pronunciato fuori dai limiti del compromesso viene sanzionato dalla nullità. Di certo anche nel processo arbitrale queste regole riflettono concezioni condivise nei Paesi membri, tutelano i diritti della difesa e garantiscono il regolare svolgimento del procedimento, in particolare preservandolo dai ritardi dovuti alla valutazione dei motivi nuovi (8).

22.
    Non ritengo dunque che sussistano motivi, legati alle peculiarità del procedimento arbitrale, che possano suggerire una soluzione differente da quella già raggiunta dalla Corte nella sentenza Van Schijndel. Va tuttavia tenuto conto del fatto che il giudice a quo, nel motivare i propri dubbi sull'applicazione analogica di quei principi, si riferisce a due circostanze precise: da una parte, al fatto che un organo arbitrale, alla luce della giurisprudenza della Corte, non è una «giurisdizione di uno Stato membro» ex art. 177 del Trattato CE, per cui non è abilitato a ricorrere al meccanismo del rinvio pregiudiziale (9); dall'altra, al limitato controllo giurisdizionale al quale, in linea di principio, vengono sottoposte le decisioni arbitrali, in particolare nel diritto olandese, nel quale l'annullamento di un lodo per violazione del diritto è ammesso esclusivamente in caso di incompatibilità con l'ordine pubblico.

23.
    Non credo tuttavia che queste circostanze debbano assumere un significato determinante ai fini della soluzione del primo quesito. Rispetto all'impossibilità per gli arbitri di ottenere una pronuncia pregiudiziale dalla Corte di giustizia, non è chiaro perché una tale circostanza debba comportare a carico degli arbitri degli obblighi di agire ex officio che non sono invece richiesti in capo ai giudici (10). Regole interne che impongono ai giudici ed agli arbitri un ruolo passivo rispetto alle allegazioni delle parti nella determinazione dei confini della lite non hanno alcunadiretta connessione con la presenza o meno della facoltà dell'organo decidente di rivolgere quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia in merito all'interpretazione o alla validità delle disposizioni comunitarie in oggetto, qualora dette questioni non siano state sollevate dalle parti. Anzi, proprio la circostanza che gli arbitri non abbiano la possibilità di ottenere dalla Corte chiarimenti sulla portata delle norme comunitarie da applicare consiglierebbe una certa prudenza nell'attribuire loro poteri di indagine d'ufficio sul rispetto delle norme comunitarie.

    Per quel che concerne, invece, la seconda circostanza citata dallo Hoge Raad, ritengo che si tratti di un problema di estrema delicatezza, che tuttavia non concerne tanto i doveri di «passività» degli arbitri, quanto la conformità delle regole olandesi sui poteri attribuiti agli organi giurisdizionali in sede di riesame delle pronunzie arbitrali con le esigenze di applicazione corretta ed uniforme di norme imperative di diritto comunitario. La questione sarà dunque affrontata nella sede appropriata, vale a dire nell'ambito dell'esame del secondo e del terzo quesito pregiudiziale, che appunto si riferiscono alla conformità delle regole processuali olandesi con le esigenze di tutela efficace dei diritti che fanno parte dell'«ordine pubblico» comunitario. Per gli stessi motivi, in quella sede sarà affrontata la questione relativa alle analogie del caso qui in esame con la fattispecie che ha dato luogo alla sentenza Peterbroeck (11), in cui la Corte, contrariamente a quanto concluso nella sentenza Van Schijndel, ha ritenuto incompatibile con il principio della tutela effettiva dei diritti di origine comunitaria una regola processuale belga che impediva al giudice di esaminare d'ufficio, in sede di riesame di una decisione assunta da un organismo amministrativo che non soddisfa i criteri per essere qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell'art. 177, la conformità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione comunitaria, qualora quest'ultima non sia stata invocata dal singolo entro un determinato termine. Basti osservare in proposito che, a differenza della fattispecie relativa a quella controversia, nel caso che ci occupa il motivo relativo alla violazione del diritto comunitario è stato di fatto sollevato in sede di controllo giurisdizionale della decisione arbitrale, emanata, come nel caso dell'amministrazione finanziaria belga, da un organo che non è competente a rivolgersi alla Corte ex art. 177 del Trattato.

24.
    E' stata anche prospettata, al fine di giustificare un obbligo per gli arbitri di esaminare di propria iniziativa la validità di un accordo tra privati rispetto alle regole di concorrenza, l'eventualità che le parti sottopongano scientemente alla cognizione di un collegio arbitrale una questione relativa all'esecuzione di un contratto manifestamente illegittimo al fine di ottenere una pronunzia che non potrebbe poi essere messa in discussione in sede giurisdizionale. Si tratta di una preoccupazione legittima, ma che, ancora una volta, deve essere affrontata nella sede adatta, vale a dire quella dell'effettività del controllo giurisdizionale sulle pronunzie arbitrali. Qualora le parti decidessero espressamente di sottrarre al giudizio arbitrale questioni relative alla compatibilità dell'accordo con il dirittocomunitario della concorrenza, il compromesso sarebbe viziato da nullità e quindi la decisione arbitrale potrebbe essere impugnata per questa ragione dinanzi alle giurisdizioni competenti. In tali circostanze, gli stessi arbitri potrebbero dichiararsi incompetenti a statuire.

25.
    Si pone poi il problema di riconoscere a carico degli arbitri l'obbligo di sollevare d'ufficio questioni di diritto comunitario non solo qualora l'ordinamento nazionale imponga un tale comportamento in relazione ai diritti di origine interna, ma anche qualora questo attribuisca al giudice una mera facoltà (12). La difficoltà che si pone rispetto a questa ulteriore assimilazione ai doveri del giudice nazionale deriva dal fatto che, nella sentenza Van Schijndel, la Corte ha giustificato la sua conclusione in ragione del fatto che spetta al giudice, nel rispetto del principio di collaborazione enunciato dall'art. 5 del Trattato, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto (13). Nella fattispecie che ci occupa, in cui in definitiva si discute di una norma procedurale nazionale che esclude tout court che gli arbitri possano d'ufficio sollevare questioni non proposte dalle parti, che si tratti di prescrizioni interne o comunitarie, il problema appena esposto non riveste specifica rilevanza. Non nascondo tuttavia le mie perplessità ad estendere agli arbitri l'obbligo di sollevare d'ufficio questioni concernenti il rispetto della normativa comunitaria di natura vincolante, qualora l'ordinamento nazionale conceda loro una mera facoltà rispetto ad analoghe questioni relative al diritto interno. Una tale conclusione non potrebbe sic et simpliciter essere motivata alla luce dell'art. 5 del Trattato, disposizione che, come è noto, ha come destinatari solo gli Stati membri e che quindi non potrebbe di per sé creare degli obblighi a carico degli arbitri. Ciò, naturalmente, non esclude che questi ultimi possano far ricorso ai mezzi ed ai poteri istruttori offerti dall'ordinamento nazionale o dalla convenzione arbitrale per colmare, con l'aiuto delle parti, eventuali lacune nella prospettazione degli elementi di diritto e di fatto pertinenti.

26.
    Per i motivi esposti, suggerisco alla Corte di rispondere al primo quesito pregiudiziale nel senso che il diritto comunitario non richiede agli arbitri di sollevare di propria iniziativa questioni relative alla conformità con il diritto comunitario della concorrenza di un contratto la cui esecuzione è sottoposta al loro giudizio, qualora l'esame di dette questioni obblighi gli arbitri a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza sono tenuti, esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda.

Sul secondo quesito pregiudiziale

27.
    Con il secondo quesito pregiudiziale lo Hoge Raad domanda in sostanza alla Corte se le regole processuali nazionali, secondo le quali la nullità di un lodo arbitrale per violazione del diritto può essere pronunciata esclusivamente in caso di contrasto con l'ordine pubblico e con il buon costume, siano da disapplicare qualora non consentano al giudice di pronunciare la nullità di un lodo arbitrale per contrasto con l'art. 85 del Trattato.

28.
    E' utile premettere all'analisi del secondo quesito l'avvertenza che lo stesso, come formulato dal giudice rimettente, prescinde sia dal comportamento delle parti che dall'oggetto del procedimento arbitrale. In altre parole, il giudice a quo chiede alla Corte di pronunciarsi sulla conformità con il diritto comunitario delle regole processuali olandesi, prima esposte, che di fatto limitano ad ipotesi davvero eccezionali il controllo giurisdizionale dei lodi arbitrali. Non viene invece in linea di conto, in questo specifico contesto, il fatto che le parti abbiano o meno sollevato dinanzi al collegio arbitrale questioni attinenti alla nullità del contratto: si tratta di un problema che sarà invece affrontato nell'ambito dell'analisi del terzo quesito proposto dallo Hoge Raad.

29.
    Venendo quindi all'esame del secondo quesito, va innanzitutto osservato che dall'esposizione contenuta nell'ordinanza di rinvio si ricava che, in diritto olandese, il mero fatto che il contenuto o l'esecuzione del lodo sia in contrasto con le disposizioni interne in materia di concorrenza non solleva, «in genere», problemi di ordine pubblico. Lo Hoge Raad si chiede tuttavia se lo stesso possa affermarsi qualora, come nella specie, il contrasto venga ipotizzato con una disposizione del diritto comunitario della concorrenza. Dalle risposte fornite dalla Corte nella causa Van Schijndel, la quale verteva anch'essa in materia di concorrenza, il giudice rimettente desume che anche l'art. 85 non potrebbe essere annoverato tra le norme di «ordine pubblico» ai fini dell'applicazione dell'art. 1065 del codice di rito. In quell'occasione, come si ricorderà, la Corte ha stabilito che anche qualora venga addotta dalle parti una pretesa violazione dell'art. 85 il giudice non è obbligato a rinunciare al principio dispositivo: dunque, un motivo tratto dalla violazione di detta norma non può per la prima volta essere sollevato in sede di ricorso in cassazione qualora ciò richieda al giudice di esorbitare dai limiti della lite quale circoscritta dalle parti basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli posti a fondamento della domanda.

30.
    Ritengo che la soluzione del quesito vada ricercata tenendo conto del ruolo che, nella giurisprudenza della Corte, viene riconosciuto al controllo giurisdizionale delle sentenze arbitrali. Nella sentenza Nordsee, immediatamente dopo avere negato agli arbitri la qualifica di «giurisdizione» ai sensi dell'art. 177, la Corte ha precisato che «l'importante è che il diritto comunitario sia interamente osservato nel territorio di tutti gli Stati membri» e da ciò ha tratto la conseguenza che «leparti di un contratto non hanno (...) la facoltà di derogarvi» (14). Dall'esigenza di uniforme applicazione ha quindi ricavato che, «se un arbitrato convenzionale solleva questioni di diritto comunitario, il giudice ordinario può esaminarle (...) nell'ambito del controllo del lodo arbitrale, più o meno ampio a seconda dei casi, che spetta ad esso in caso di appello, di opposizione, di exequatur, o di qualsiasi altra impugnazione contemplata dalla normativa nazionale di cui trattasi». La Corte ha quindi concluso che «spetta ai (...) giudici nazionali controllare se si debba rinviare alla Corte ai sensi dell'art. 177 del Trattato, per ottenere l'interpretazione o la valutazione della validità delle disposizioni di diritto comunitario ch'esse debbano applicare nell'esercizio di tali funzioni d'assistenza e di controllo» (15). Dalle affermazioni che precedono si desume che la soluzione di non consentire agli arbitri di procedere al rinvio pregiudiziale ex art. 177 viene in qualche modo «bilanciata» dalla rilevanza che la Corte attribuisce al controllo giudiziario delle decisioni arbitrali. Esiste dunque un collegamento stretto tra l'effettività del controllo giudiziario dell'applicazione corretta del diritto comunitario e la garanzia di accesso, quanto meno potenziale, al procedimento ex art. 177: combinati, i due principi richiedono che, nell'ambito di una controversia che coinvolge una disposizione di diritto comunitario, deve essere consentito alle giurisdizioni nazionali, in qualità di giudici comunitari di diritto comune, di rivolgersi alla Corte qualora lo ritengano necessario per ottenere chiarimenti sull'interpretazione o sulla validità della norma comunitaria che sono chiamate ad applicare. Allo stesso modo, le parti che ritengono di essere titolari di un diritto in virtù della disposizione comunitaria pertinente devono avere la possibilità di richiedere al giudice di valutare l'opportunità di un rinvio pregiudiziale.

31.
    La giurisprudenza successiva della Corte insiste sulla necessità che venga assicurato un certo controllo sulle sentenze arbitrali e conferma il predetto collegamento tra procedimento pregiudiziale e garanzie di tutela effettiva delle posizioni giuridiche soggettive attribuite dal diritto comunitario. Nella sentenza Almelo (16), la Corte ha stabilito che la soluzione raggiunta nella sentenza Nordsee «non viene influenzata dalla circostanza che, in forza del compromesso concluso tra le parti, un giudice è chiamato a decidere secondo equità». Secondo la Corte, infatti, «in base ai principi della preminenza e dell'uniforme applicazione del diritto comunitario, combinati con l'art. 5 del Trattato, un organo giurisdizionale di uno Stato membro adito, ai sensi del diritto nazionale, con un appello avverso un lodo, anche se giudica secondo equità, è tenuto a rispettare le norme del diritto comunitario, in particolare quelle in materia di concorrenza» (17) (punto 23).

    Mi sembra che un'ulteriore conferma di questo orientamento sia rinvenibile nella sentenza Peterbroeck, precisamente nella parte in cui la Corte, nell'elencare le «circostanze del caso di specie» tali da giustificare la disapplicazione della disposizione processuale nazionale, indicava il fatto che il giudice a quo (la Cour d'appel di Bruxelles) «è il primo giudice che può sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, poiché il direttore, dinanzi al quale si svolge il procedimento in prima istanza, fa parte dell'amministrazione finanziaria e non è, di conseguenza, un giudice ai sensi dell'art. 177 del Trattato» (18).

32.
    In definitiva, risulta dalla giurisprudenza della Corte che, al fine di salvaguardare la corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario, deve essere consentito ai giudici eventualmente chiamati a valutare la conformità dei lodi arbitrali alle regole di diritto di procedere ad un controllo effettivo sul lodo. In particolare, gli organi giurisdizionali devono avere la possibilità di valutare questioni di diritto comunitario e, nel farlo, di ottenere i necessari chiarimenti dalla Corte di giustizia (19).

33.
    Le regole procedurali nazionali che limitano ad ipotesi davvero eccezionali il controllo giurisdizionale della conformità dei lodi arbitrali al diritto comunitario dovrebbero quindi essere disapplicate.

34.
    Ciò premesso, si tratta di valutare se le pertinenti disposizioni del codice di rito olandese siano conformi alle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale ora indicate. Va in proposito ribadito che, come espressamente indicato dal giudice rimettente, nell'ordinamento olandese il riesame delle pronunzie arbitrali per violazione del diritto è limitato ad ipotesi davvero eccezionali, vale a dire ai casi di contrarietà del lodo all'ordine pubblico o al buon costume. Inoltre, il giudice olandese tiene a precisare che, nell'interpretazione correntemente offerta dell'art. 1065 del codice di rito, sussiste contrarietà all'ordine pubblico solo qualora il contenuto o l'esecuzione del lodo violi una norma di carattere talmente fondamentale che nessuna restrizione di natura procedurale è capace di impedirne l'osservanza. Tale non sarebbe il caso delle regole nazionali di concorrenza, mentre dalla stessa giurisprudenza della Corte, a parere del giudice olandese, può essere desunto che la prescrizione di cui all'art. 85 del Trattato non deve essere considerata come una «norma di ordine pubblico» nel senso prima indicato.

35.
    Non ritengo che il sistema ora sommariamente descritto soddisfi le esigenze di effettività della tutela giurisdizionale indicate dalla Corte. Limitando ad ipotesi invero eccezionali la possibilità di impugnare il lodo arbitrale per violazione deldiritto, le prescrizioni olandesi non consentono al giudice nazionale - ed, in ultima analisi, attraverso quest'ultimo, alla Corte di giustizia - di esercitare un sufficiente controllo sulle pronunzie arbitrali. In altri termini, le regole processuali olandesi, lette alla luce della giurisprudenza della Corte, rendono eccessivamente difficile l'applicazione del diritto comunitario. Ciò appare ancora meno giustificato qualora si verta in materia di concorrenza, se si considera l'interesse - che evidentemente trascende quello delle parti private coinvolgendo anche le imprese terze, i potenziali concorrenti ed i consumatori - ad una corretta applicazione delle prescrizioni di cui agli artt. 85 e ss. del Trattato. In altri termini, come riconosciuto dalla Corte nel succitato passo della sentenza Almelo, l'esigenza di controllo della conformità delle pronunzie arbitrali con il diritto comunitario si presenta in maniera ancora più accentuata in un settore, come quello della concorrenza, nel quale esiste un interesse generale al rispetto delle regole al fine di garantire un corretto funzionamento del mercato interno.

36.
    Invero, non credo si possa dubitare della natura di norme imperative delle regole di concorrenza. Significativa risulta, innanzitutto, la sanzione di nullità assoluta o «di pieno diritto» (20) comminata dall'art. 85, n. 2, alle intese concluse in violazione del divieto previsto al n. 1. Il funzionamento delle regole di concorrenza rientra tra gli obiettivi fondamentali della Comunità, come risulta a chiare lettere dal testo degli artt. 2 e 3 del Trattato (21). Della giurisprudenza della Corte è sufficiente citare per esteso un passo della sentenza Hoechst (22), poi ripreso in successive occasioni (23), in cui si afferma che le norme sulla concorrenza nel mercato comune «hanno la funzione di evitare che la concorrenza sia alterata a danno dell'interesse pubblico, delle singole imprese e dei consumatori. L'esercizio dei poteri conferiti alla Commissione dal regolamento n. 17 contribuisce pertantoal mantenimento del regime di libera concorrenza voluto dal Trattato la cui osservanza si impone categoricamente alle imprese» (24).

37.
    Rilevanza assumono anche le indicazioni, rinvenibili nella giurisprudenza della Corte, concernenti i rapporti tra regole comunitarie della concorrenza e disposizioni nazionali: «prassi legislative o giurisdizionali nazionali, anche ammesso che siano comuni a tutti gli Stati membri, non possono imporsi nell'applicazione delle norme del Trattato relative alla concorrenza» (25). Dette «prassi» sarebbero infatti contrarie all'art. 5, secondo comma, del Trattato e potrebbero privare di effetto utile le norme comunitarie (26).

38.
    Le considerazioni appena svolte potrebbero in definitiva giustificare una diversa soluzione, che consentirebbe al giudice nazionale di rispettare comunque le regole interne di procedura. Si tratterebbe cioè di inquadrare le norme comunitarie di concorrenza, in particolare il divieto di intese di cui all'art. 85, nell'ambito delle norme di «ordine pubblico» e di estendere l'ambito di applicazione della disposizione olandese che consente l'esame giurisdizionale del lodo anche ai motivi di «ordine pubblico comunitario». Di conseguenza, sarebbe comunque garantita, l'applicazione della disciplina interna con minore sacrificio del principio dell'«autonomia procedurale» che attribuisce agli Stati membri il compito di stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario. Si tratta di una conclusione, quella per cui le regole di concorrenza fanno parte dell'«ordine pubblico economico comunitario», che trova conforto nell'opinione di larga parte della dottrina e che viene condivisa dalla giurisprudenza di numerosi Stati membri. A prescindere dallo strumento tecnico che si intende utilizzare per consentire un controllo effettivo di lodi arbitrali contrari alle regole di concorrenza, ciò che importa sottolineare è che ognuno dei due strumenti ipotizzati parte dal presupposto che le norme comunitarie di concorrenza assumono una valenza pubblicistica: pur disciplinando rapporti interindividuali, esse non possono essere derogate dai privati a pena di nullità di pieno diritto di intese concluse in violazione del divieto di cui all'art. 85, n. 1. All'interno degli ordinamenti nazionali, qualora si ponga il problema di bilanciare esigenze potenzialmente in conflitto, quali il rispetto delle regole procedurali nazionali, da una parte, ed il funzionamento di unmercato concorrenziale, dall'altra, detto bilanciamento deve comunque essere operato tenendo conto della primaria importanza che le regole di concorrenza rivestono nell'ordinamento comunitario.

39.
    In definitiva, propongo alla Corte di rispondere al secondo quesito pregiudiziale rivolto dallo Hoge Raad nel senso che il giudice nazionale deve accogliere una domanda di annullamento di un lodo arbitrale a causa di un contrasto di detto lodo con l'art. 85 del Trattato anche se le norme processuali nazionali consentono l'annullamento per violazione del diritto soltanto in caso di contrarietà all'ordine pubblico o al buon costume.

Sul terzo quesito pregiudiziale

40.
    Con il terzo quesito pregiudiziale il giudice rimettente chiede in sostanza alla Corte se, in caso di risposta positiva al secondo quesito, il giudice possa accogliere la domanda di annullamento del lodo arbitrale anche qualora la questione della nullità del contratto per violazione delle regole di concorrenza sia rimasta estranea all'oggetto del giudizio arbitrale. Lo Hoge Raad precisa che, secondo il diritto processuale olandese, non sarebbe consentito alle parti invocare per la prima volta la nullità del contratto nel contesto dell'azione di annullamento. Si sarebbe dunque formato un giudicato interno, con la conseguenza che sarebbe precluso alle parti ed al giudice di rimettere in discussione la validità del contratto di cui si discute la corretta esecuzione.

41.
    Ritengo che la risposta al quesito, anch'essa positiva, possa essere ricavata dagli elementi già in precedenza considerati, e in particolare dalle osservazioni svolte sull'importanza delle regole di concorrenza nell'ordinamento comunitario in quanto norme imperative, nonché sulla necessità che sull'interpretazione e sull'applicazione del diritto comunitario si pronunci almeno una volta un'istanza che sia «giurisdizione» ai sensi dell'art. 177 del Trattato.

42.
    Per quel che concerne il primo degli elementi ora indicati, ritengo che, in ragione della particolare natura di norme imperative delle disposizioni comunitarie che disciplinano la concorrenza tra imprese, non si debba concedere eccessiva rilevanza al comportamento delle parti. Invero, se così fosse, si correrebbe il rischio di cristallizzare definitivamente, anche in ragione degli interessi dei privati, situazioni contrarie all'interesse comune. Come prima indicato, le norme di concorrenza di cui si discute, pur disciplinando comportamenti individuali, perseguono obiettivi di carattere generale quali il corretto funzionamento del mercato interno ed il benessere dei consumatori. La sanzione civilistica della nullità assoluta ex tunc delle intese vietate e l'azione di vigilanza della Commissione hanno precisamente lo scopo di garantire che l'attività dei privati non si svolga in maniera da pregiudicare il raggiungimento dei suddetti fini di interesse pubblico. Trattandosi di diritti indisponibili, anche il comportamento processuale delle parti non dovrebbeassumere rilievo determinante, mentre trova certamente giustificazione, in conformità alle soluzioni rinvenibili negli ordinamenti nazionali, una deroga ai principi di diritto processuale (principio devolutivo, principio dispositivo) che regolano le impugnazioni. La nullità del contratto può dunque essere rilevata dal giudice chiamato a controllare la validità del lodo anche qualora, come nel caso di specie, il suo compito sia limitato ad un controllo di mera legittimità, a condizione tuttavia che i motivi di nullità emergano in modo certo dagli atti processuali e non siano quindi richieste specifiche indagini di fatto. Nel caso di specie, qualora risulti dagli atti in possesso del giudice dell'impugnazione che il contratto della cui esecuzione si è discusso nella procedura arbitrale è contrario all'art. 85 in quanto comporta una ripartizione dei mercati su base territoriale, la questione della nullità può essere fatta valere per la prima volta in sede di controllo giudiziario del lodo arbitrale.

43.
    In secondo luogo, va ribadito che, alla luce della giurisprudenza della Corte, sussiste l'esigenza di garantire che la questione della corretta applicazione delle norme comunitarie sia posta almeno una volta all'attenzione di un'istanza giurisdizionale, competente ad effettuare un rinvio alla Corte ai sensi dell'art. 177 del Trattato. Una normativa o una prassi nazionale che non lo consenta, in particolare qualora sia rinvenibile un interesse pubblico al rispetto delle disposizioni in questione, non è in linea con le esigenze di una corretta ed uniforme applicazione del diritto comunitario. A sostegno può essere utilmente richiamata la soluzione raggiunta dalla Corte nel citato caso Peterbroeck. In quell'occasione, si discuteva di una normativa nazionale che impediva ad un privato di far valere per la prima volta, dinanzi ad un'istanza giurisdizionale che si pronunciava in appello su una decisione di un organo amministrativo, un motivo di ricorso fondato sull'art. 52 del Trattato dopo la scadenza del termine assegnato dalla legge, che faceva data dal deposito, da parte del direttore delle imposte, della copia autentica del provvedimento impugnato. La Corte ha statuito che il diritto comunitario osta all'applicazione della norma processuale nazionale in questione. Richiamato il principio per cui le modalità procedurali dei ricorsi giurisprudenziali interni non devono rendere eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti riconosciuti dall'ordinamento comunitario e precisato che una norma di diritto nazionale che impedisce l'attivazione del procedimento ex art. 177 del Trattato deve essere disapplicata, la Corte ha indicato le caratteristiche peculiari del procedimento di cui si trattava: tra queste, la circostanza per cui la Cour d'appel di Bruxelles «è il primo giudice che può sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, poiché il direttore [delle imposte] dinanzi al quale si svolge il procedimento di prima istanza, fa parte dell'amministrazione finanziaria e non è, di conseguenza, un giudice ai sensi dell'art. 177 del Trattato». Come appare evidente, la Corte, nel motivare l'inadeguatezza della disciplina processuale nazionale rispetto alle esigenze di corretta applicazione del diritto comunitario, ha posto l'accento sul fatto che l'organismo che si era pronunciato in prima istanza sul ricorso del privato nonfosse una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 e dunque non fosse competente a rivolgere quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia (27).

44.
    In definitiva, si desume dal precedente ora ricordato che nessuna preclusione potrebbe verificarsi in un procedimento giurisdizionale rispetto all'invocazione di un vizio di nullità di un contratto per violazione di norme imperative, in particolar modo qualora l'organo giurisdizionale dinanzi al quale la questione di diritto comunitario è stata sollevata sia il primo giudice a poter rivolgere quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia. In altre parole, l'ampiezza del controllo giurisdizionale del rispetto delle norme imperative di diritto comunitario non dovrebbe essere condizionato dal comportamento delle parti, in particolar modo qualora a pronunciarsi in prima istanza sulla controversia sia un organismo che non presenta i requisiti di «giurisdizione» ai sensi dell'art. 177 del Trattato.

45.
    Lo stesso avviene nella fattispecie che ci occupa, in cui il collegio arbitrale che in prima istanza si è pronunciato sulla controversia non è, alla luce della giurisprudenza della Corte, una «giurisdizione». In una valutazione di proporzionalità del sacrificio imposto al funzionamento delle regole processuali nazionali rispetto all'obiettivo da perseguire (nel nostro caso, il rispetto delle regole comunitarie di concorrenza), ritengo che i principi fondamentali indicati dalla Corte come parametri di valutazione (28) - la certezza del diritto, il regolare svolgimento del procedimento, la tutela dei diritti della difesa - inducano alla conclusione che devono essere disapplicate le regole processuali nazionali che non consentono al giudice di pronunciarsi sulla validità di un contratto rispetto alle norme comunitarie di concorrenza qualora le parti non abbiano sollevato la stessa questione nel corso del procedimento arbitrale.

46.
    In definitiva, propongo alla Corte di rispondere al terzo quesito proposto dallo Hoge Raad nel senso che il giudice nazionale è tenuto ad accogliere una domanda di annullamento di un lodo arbitrale a causa di un contrasto di detto lodo con l'art. 85 del Trattato CE anche qualora la questione dell'applicabilità delladisposizione ora richiamata sia rimasta al di fuori dei limiti della controversia e gli arbitri non si siano quindi pronunciati su di essa.

Sul quarto e sul quinto quesito pregiudiziale

47.
    Con il quarto ed il quinto quesito, che possono essere esaminati congiuntamente, il giudice rimettente domanda alla Corte se il diritto comunitario richiede la disapplicazione delle regole processuali interne che escludono che possa essere rimessa in discussione la validità di un contratto, definitivamente accertata da una decisione arbitrale interlocutoria che ha acquisito l'autorità di cosa giudicata in difetto di impugnazione, in sede di riesame di un successivo lodo arbitrale che quantifica il danno prodotto a causa dell'inadempimento del contratto stesso.

48.
    Pur rispettando l'ordine dei quesiti pregiudiziali quale proposto dal giudice rimettente, non posso non rilevare che l'oggetto degli ultimi due quesiti ora ricordati assume invero un valore assorbente, in quanto una risposta negativa di fatto renderebbe inutile, per la soluzione della controversia a qua, l'indagine sinora svolta. Ciò premesso, rilevo che la risposta al quarto ed al quinto quesito deve prendere nuovamente le mosse dal principio generale per cui, in difetto di disciplina comunitaria della materia, spetta all'ordinamento di ciascuno Stato membro designare le regole e le modalità procedurali dei ricorsi destinati ad assicurare il rispetto del diritto comunitario, a condizione che queste modalità non siano discriminatorie rispetto ad analoghi ricorsi che concernono posizioni giuridiche attribuite dal diritto interno e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento comunitario. A ciò va aggiunto che dalla giurisprudenza della Corte si ricava la regola, che riflette peraltro un principio generale del diritto sancito in tutti gli Stati membri, per cui «l'autorità del giudicato osta (...) a che siano rimessi in discussione i diritti giudizialmente sanciti» (29).

49.
    Ora, partendo da queste premesse, ritengo che le regole procedurali indicate dal giudice olandese siano conformi ai principi indicati. Il termine di tre mesi previsto dal codice di rito si applica a tutte le impugnazioni di decisioni arbitrali che siano fondate su motivi tratti dal diritto nazionale o da quello comunitario; lo stesso non rende eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento comunitario, in quanto la parte che intende porre in discussione la validità di un lodo arbitrale ha la facoltà di farlo entro un termine del tutto ragionevole. L'autorità di cosa giudicata che l'ordinamento nazionale attribuisce alle decisioni arbitrali non contestate entro detto termine è dunque la normale conseguenza dell'inattività delle parti. E' invece nell'interesse del buon funzionamento della giustizia che la definizione di una lite, quale risulta da unadecisione arbitrale non impugnata nei termini, non possa più essere messa in discussione in sede di impugnazione di una decisione successiva che, come nel nostro caso, concerne la quantificazione del danno prodotto con l'inadempimento contrattuale. Questa seconda decisione trova infatti fondamento non più in un contratto di cui si contesta la validità, ma nell'autorità di cosa giudicata attribuita alla decisione arbitrale.

50.
    Inoltre, non ritengo che la conclusione possa essere differente per il solo motivo che la disposizione comunitaria di cui si contesta la violazione riveste un'importanza particolare nel sistema giuridico comunitario. Il termine previsto dalle regole processuali nazionali vale anche per i motivi di ordine pubblico di diritto interno, ed in entrambi i casi persegue l'obiettivo, del tutto legittimo, di giungere ad un determinato punto della procedura ad una conclusione definitiva della controversia, sulla quale le parti possano fare affidamento.

51.
    Per i motivi indicati, propongo alla Corte di rispondere al quarto ed al quinto quesito posti dallo Hoge Raad nel senso che il diritto comunitario non obbliga il giudice nazionale a disapplicare le regole processuali nazionali secondo le quali, in sede di annullamento di una decisione arbitrale che, nel quantificare il danno per inadempimento contrattuale, si fonda su una precedente decisione che definisce nel merito la controversia, non può essere messa in discussione l'autorità di cosa giudicata che l'ordinamento nazionale riconosce a quest'ultima decisione. Il diritto comunitario non richiede inoltre al giudice nazionale di disapplicare la regola secondo la quale non si può chiedere nel contempo l'annullamento del lodo interlocutorio, che definisce nel merito la controversia, e l'annullamento del lodo arbitrale successivo con cui viene quantificato il danno da risarcire per inadempimento contrattuale.

52.
    Per i motivi indicati, propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente ai quesiti posti dallo Hoge Raad dei Paesi Bassi:

«1)    Il diritto comunitario non richiede agli arbitri di sollevare di propria iniziativa questioni relative alla conformità con il diritto comunitario della concorrenza di un contratto la cui esecuzione è sottoposta al loro giudizio qualora l'esame di dette questioni obblighi gli arbitri a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza sono tenuti, esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda.

2)    Il giudice nazionale deve accogliere una domanda di annullamento di un lodo arbitrale a causa di un contrasto di detto lodo con l'art. 85 del Trattatoanche se le norme processuali nazionali consentono l'annullamento per violazione del diritto soltanto in caso di contrarietà all'ordine pubblico o al buon costume.

3)    Il giudice nazionale è tenuto ad accogliere una domanda di annullamento di un lodo arbitrale a causa di un contrasto di detto lodo con l'art. 85 del Trattato CE anche qualora la questione dell'applicabilità della disposizione ora richiamata sia rimasta al di fuori dei limiti della controversia e gli arbitri non si siano quindi pronunciati su di essa.

4)    Il diritto comunitario non obbliga il giudice nazionale a disapplicare le regole processuali nazionali secondo le quali, in sede di annullamento di una decisione arbitrale che, nel quantificare il danno per inadempimento contrattuale, si fonda su una precedente decisione che definisce nel merito la controversia, non può essere messa in discussione l'autorità di cosa giudicata che l'ordinamento nazionale riconosce a quest'ultima decisione. Il diritto comunitario non richiede inoltre al giudice nazionale di disapplicare la regola secondo la quale non si può chiedere nel contempo l'annullamento del lodo interlocutorio, che definisce nel merito la controversia, e l'annullamento del lodo arbitrale successivo con cui viene quantificato il danno da risarcire per inadempimento contrattuale».


1: Lingua originale: l'italiano.


2: -     Si trattava, in quel momento, del Rechtbank, il quale, come su ricordato, ha invece respinto la domanda di annullamento.


3: -     Sentenza Van Schijndel, punto 11.


4: -     Cfr. sul punto le sentenze: 16 dicembre 1976, causa 33/76, Rewe (Racc. pag. 1989, punto 5); 16 dicembre 1976, causa 45/76, Comet (Racc. pag. 2043, punti 12-16); 27 febbraio 1980, causa 68/79, Just (Racc. pag. 501, punto 25); 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio (Racc. pag. 3595, punto 14); 25 febbraio 1988, cause riunite 331/85, 376/85 e 378/85, Bianco e Girard (Racc. pag. 1099, punto 12); 24 marzo 1988, causa 104/86, Commissione/Italia (Racc. pag. 1799, punto 7); 14 luglio 1988, cause riunite 123/87 e 330/87, Jeunehomme e a. (Racc. pag. 4517, punto 17); 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I-5357, punto 43); 9 giugno 1992, causa C-96/91, Commissione/Spagna (Racc. pag. I-3789, punto 12); 1° aprile 1993, cause riunite da C-31/91 a C-44/91, Lageder e a. (Racc. pag. I-1761, punti 27-29); 17 luglio 1997, causa C-242/95, GT-Link (Racc. pag. I-4449, punti 24 e 27); 15 settembre 1998, causa C-231/96, Edis (Racc. pag. I-4951, punti 19 e 34).


5: -     Sentenza 16 gennaio 1974, causa 166/73, Rheinmühlen (Racc. pag. 33, punti 2 e 3).


6: -     Sentenza 23 marzo 1982, causa 102/81, Nordsee (Racc. pag. 1095, punto 14), in cui la Corte, sulla scorta dell'esigenza che il diritto comunitario sia interamente osservato nel territorio di tutti gli Stati membri, ha precisato che «le parti di un contratto non hanno quindi la facoltà di derogarvi».


7: -     Cfr. le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs relative alla causa Van Schijndel, cit., paragrafo 18.


8: -     Sentenza Van Schijndel, punto 21.


9: -     Sentenza Nordsee, cit., punti 10-16.


10: -     Non è superfluo ricordare che il problema della correttezza e dell'estensione del divieto per gli arbitri di sollevare quesiti pregiudiziali non è oggetto del presente procedimento.


11: -     Sentenza 14 dicembre 1995, causa C-312/93 (Racc. pag.I-4599).


12: -     Sentenza Van Schijndel, cit., punto 14.


13: -     Sentenza citata, punto 14.


14: -     Sentenza cit., punto 14.


15: -     Sentenza cit., punto 15.


16: -     Sentenza 27 aprile 1994, causa C-393/92 (Racc. pag. I-1477).


17: -     Il corsivo è mio.


18: -     Sentenza cit., punto 17.


19: -     Naturalmente, un'alternativa potrebbe essere quella di consentire agli arbitri di effettuare il rinvio pregiudiziale. Tuttavia, come prima rilevato, la questione non rientra nell'ambito della presente fattispecie. Cfr. sul punto S. Prechal, Community Law and National Courts: The Lessons from Van Schijndel, in Common Market Law Review, 1998, pag. 681 ss.


20: -     Trattandosi di nullità assoluta, essa opera ex tunc indipendentemente da una dichiarazione in tal senso dell'organo investito dell'accertamento. Cfr., ad esempio, la sentenza 6 febbraio 1973, causa 48/72, Brasserie de Haecht (Racc. pag. 77, punti 25-27).


21: -     Cfr. la sentenza 21 febbraio 1972, causa 6/72, Europemballage Corporation e Continental Can/Commissione (Racc. pag. 215), in cui la Corte ha osservato che «la tesi secondo cui l'art. 3, lett. f, del Trattato sarebbe solo programmatico, cioè privo di effetti giuridici immediati, non tiene conto del fatto che detta disposizione considera il perseguimento degli scopi da essa enunciati come indispensabile per l'adempimento dei compiti affidati alla Comunità» (il corsivo è mio).


22: -     Sentenza 21 settembre 1989, cause riunite 46/87 e 227/88 (Racc. pag. 2859, punto 25).


23: -     Sentenza 17 ottobre 1989, causa 85/87, Dow Benelux/Commissione (Racc. pag. 3137, punto 36); 17 ottobre 1989, cause riunite 97/87, 98/87 e 99/87, Dow Chemical Ibérica e a./Commissione (Racc. pag. 3165, punto 22); sentenza 18 ottobre 1989, causa 374/87, Orkem/Commissione (Racc. pag. 3283, punto 19).


24: -     Si veda anche la sentenza del Tribunale di primo grado 27 ottobre 1994, causa T-34/92, Fiatagri e New Holland Ford (Racc. II-905, punto 39), in cui si osserva che «l'art. 85, n. 1, del Trattato enuncia infatti un divieto di principio rispetto agli accordi che presentano un carattere anticoncorrenziale. Tal disposizione inderogabile si impone quindi alle imprese ricorrenti a prescindere da qualsiasi ingiunzione della Commissione al riguardo».


25: -     Sentenza 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione (Racc. pag. 19, punto 40). Nello stesso senso la sentenza del Tribunale 9 luglio 1992, causa T-66/89, Publishers Association (Racc. pag. II-1995). V. anche le conclusioni dell'avvocato generale Darmon relative alla causa Almelo, cit., I-1486.


26: -     Conclusioni dell'avvocato generale Darmon relative alla causa Almelo, cit., paragrafo 40.


27: -     Va rilevato che è proprio su questo particolare aspetto che può essere rinvenuta una differenza tra la fattispecie relativa al caso Peterbroeck e quella relativa al caso Van Schijndel, capace di spiegare in definitiva le differenti soluzioni raggiunte dalla Corte nei due casi. In Van Schijndel, infatti, gli interessati non avevano sollevato per la prima volta la questione della compatibilità delle disposizioni nazionali con le norme in tema di concorrenza dinanzi ai giudici competenti nei due gradi di merito, proponendo dunque una domanda nuova dinanzi alla Corte di cassazione. In Peterbroeck, invece, si era pronunciato in prima istanza un organismo amministrativo (il direttore delle imposte) che non possiede la qualifica di giurisdizione ai sensi dell'art. 177. Solo nel secondo caso la Corte ha concluso nel senso di ritenere la regola processuale belga incompatibile con il diritto comunitario. V. M. Hoskins, Tilting the balance: supremacy and national procedural rules, in European Law Review, 1996, pag. 365 ss.


28: -     Sentenza Peterbroeck, punto 14; sentenza Van Schijndel, punto 19.


29: -     Sentenza 9 luglio 1964, cause riunite 79/63 e 82/63, Reynier e a./Commissione (Racc. pag. 509, in particolare pag. 524). Si vedano anche le conclusioni dell'avvocato generale Jacobs relative alla causa Peterbroeck (Racc. pag. I-4606, paragrafo 23).