Language of document : ECLI:EU:T:2016:721

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

13 dicembre 2016 (*)

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talebani – Regolamento (CE) n. 881/2002 – Congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie di una persona inclusa in un elenco stilato da un organo delle Nazioni Unite – Inclusione del nominativo di tale persona nell’elenco contenuto nell’allegato I del regolamento n. 881/2002 – Ricorso di annullamento – Termine ragionevole – Obbligo di verificare e di giustificare la fondatezza dei motivi dedotti – Sindacato giurisdizionale»

Nella causa T‑248/13,

Mohammed Al-Ghabra, residente in Londra (Regno Unito), rappresentato da E. Grieves, barrister, e J. Carey, solicitor,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da M. Konstantinidis, T. Scharf e F. Erlbacher, successivamente da M. Konstantinidis e F. Erlbacher, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente da S. Behzadi‑Spencer e V. Kaye, successivamente da Kaye, successivamente da S. Brandon, e infine da C. Crane, in qualità di agenti, assistiti da T. Eicke, QC,

e da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.‑P. Hix e E. Finnegan, in qualità di agenti,

intervenienti,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta a ottenere l’annullamento, da un lato, del regolamento (CE) n. 14/2007 della Commissione, del 10 gennaio 2007, recante settantaquattresima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 del Consiglio (GU 2007, L 6, pag. 6), per la parte riguardante il ricorrente, e, dall’altro, della decisione Ares (2013) 188023 della Commissione, del 6 marzo 2013, che conferma il mantenimento del nominativo del ricorrente nell’elenco delle persone e delle entità alle quali si applicano le disposizioni del regolamento (CE) n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU 2002, L 139, pag. 9),

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto da S. Papasavvas, presidente, E. Bieliūnas e I.S. Forrester (relatore), giudici,

cancelliere: S. Spyropoulos, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 febbraio 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza (1)

 Fatti

1        Il 12 dicembre 2006 il nominativo del ricorrente, il sig. Mohammed Al‑Ghabra, è stato aggiunto, su richiesta del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, all’elenco stilato dal comitato per le sanzioni istituito dalla risoluzione 1267 (1999) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, del 15 ottobre 1999, sulla situazione in Afghanistan (in prosieguo, rispettivamente: il «comitato per le sanzioni» e l’«elenco del comitato per le sanzioni»), quale persona associata all’organizzazione Al‑Qaeda.

2        Con il regolamento (CE) n. 14/2007 della Commissione, del 10 gennaio 2007, recante settantaquattresima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 del Consiglio (GU 2007, L 6, pag. 6; in prosieguo: il «regolamento impugnato»), il nominativo del sig. Al‑Ghabra è stato quindi aggiunto all’elenco delle persone ed entità i cui capitali e altre risorse finanziarie devono essere congelati in forza del regolamento (CE) n. 881/2002 del Consiglio, del 27 maggio 2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l’esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell’Afghanistan (GU 2002, L 139, pag. 9) (in prosieguo: l’«elenco controverso»).

3        Con lettera del 12 giugno 2007, il Ministero degli Affari esteri e del Commonwealth del Regno Unito (United Kingdom Foreign and Commonwealth Office; in prosieguo: l’«FCO») ha comunicato al ricorrente che il Regno Unito aveva richiesto l’inserimento del suo nominativo nell’elenco del comitato per le sanzioni. L’FCO ha fornito, inoltre, al ricorrente una «copia della parte divulgabile della sintesi dei motivi» che avevano giustificato tale richiesta, aggiungendo che, «per ragioni di sicurezza nazionale e tenuto conto della delicatezza delle informazioni, sarebbe stato contrario all’interesse generale divulgare per intero la sintesi [dei motivi]».

4        Con lettera del 13 febbraio 2009, il ricorrente si è rivolto alla Commissione delle Comunità europee per chiedere il riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso e per contestarne la legittimità, alla luce della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P; in prosieguo: la «sentenza Kadi I», EU:C:2008:461).

5        Con lettera dell’8 maggio 2009, la Commissione ha comunicato al ricorrente di non disporre dell’esposizione dei motivi che aveva determinato l’inserimento del suo nominativo nell’elenco del comitato per le sanzioni (in prosieguo: l’«esposizione dei motivi») e ha aggiunto che avrebbe provveduto a trasmettergliela non appena le fosse stata comunicata dal suddetto comitato.

6        Con lettera del 10 maggio 2010, la Commissione ha notificato al ricorrente l’esposizione dei motivi, come comunicata dal comitato per le sanzioni e così redatta:

«Mohammed Al‑Ghabra (…) è stato inserito [nell’elenco del comitato per le sanzioni] il 12 dicembre 2006, in applicazione dei paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1617 (2005) [del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite] in quanto associato ad Al‑Qaeda, a Osama bin Laden o ai Talebani per “partecipazione al finanziamento, all’organizzazione, all’agevolazione, alla preparazione o alla perpetrazione di atti o di attività commessi da, in collaborazione con, in nome di o a sostegno di Al‑Qaeda e Harakat ul‑Mujahidin (HuM), sotto la loro denominazione, per loro conto o per fornire loro sostegno”, nonché per le sue attività di “reclutamento per loro conto”.

Informazioni supplementari:

Mohammed Al‑Ghabra ha tenuto regolarmente contatti con gli alti responsabili di Al‑Qaeda. Nel 2002 il sig. Al‑Ghabra ha incontrato il capo delle operazioni di Al‑Qaeda, Faraj Al‑Libi.

Il sig. Al‑Ghabra ha svolto un ruolo centrale nella radicalizzazione dei giovani musulmani nel Regno Unito, ricorrendo, al contempo, a contatti diretti e alla distribuzione di materiale di natura estremistica. Dopo aver estremizzato tali soggetti, li ha indotti ad aderire alla causa di Al‑Qaeda e ha spesso agevolato i loro spostamenti e, grazie ad un’ampia rete di contatti, ha fatto in modo che potessero raggiungere campi di addestramento di Al‑Qaeda. Alcuni di questi soggetti hanno partecipato successivamente all’organizzazione, dal Regno Unito, di attentati terroristici all’estero.

Il sig. Al‑Ghabra ha fornito inoltre sostegno materiale e logistico ad Al‑Qaeda e ad altre organizzazioni, alcune delle quali forniscono, a loro volta, sostegno logistico ad Al‑Qaeda. Il sig. Al‑Ghabra ha organizzato spostamenti in Pakistan per consentire alle reclute di incontrare gli alti responsabili di Al‑Qaeda e di seguire un addestramento terroristico specifico. Tali soggetti sono rientrati in gran parte nel Regno Unito per svolgervi attività clandestine per conto di Al‑Qaeda. Inoltre, il sig. Al‑Ghabra ha prestato assistenza diretta a soggetti implicati in attività terroristiche, nel Regno Unito e altrove, fornendo loro sostegno finanziario, logistico e materiale. Egli ha agevolato altresì il viaggio in Irak di soggetti stabiliti nel Regno Unito affinché potessero combattere e sostenere altri combattenti.

Il sig. Al‑Ghabra ha avuto legami stretti con Harakat ul‑Mujahidin/HuM (…) e ha seguito un addestramento terroristico in un campo dello HuM. Lo HuM ha inviato nuovamente il sig. Al‑Ghabra nel Regno Unito affinché vi raccogliesse fondi per suo conto.

(…)»

7        Il ricorrente ha inviato le sue osservazioni, in risposta alla Commissione, con lettera dell’8 luglio 2010, al fine di confutare le affermazioni formulate nei suoi confronti nell’esposizione dei motivi e di chiedere la trasmissione delle prove ritenute a sostegno di tali affermazioni.

8        Con lettera del 10 settembre 2010, la Commissione ha confermato la ricezione di tale lettera e ha annunciato al ricorrente che avrebbe provveduto al riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso. La Commissione ha inoltre comunicato al ricorrente che, in forza della risoluzione 1904 (2009) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, egli aveva la possibilità di presentare una richiesta di cancellazione dall’elenco del comitato per le sanzioni al mediatore delle Nazioni Unite.

9        Con lettera del 18 gennaio 2011, la Commissione ha trasmesso al comitato per le sanzioni le osservazioni del ricorrente dell’8 luglio 2010 e ha chiesto allo stesso informazioni supplementari riguardo alle ragioni dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco di detto comitato.

10      Con lettera del 22 marzo 2011, il ricorrente ha interpellato nuovamente la Commissione.

11      Con lettera del 3 maggio 2011, la Commissione ha comunicato al ricorrente di aver intrapreso il riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso e lo ha avvertito che tale riesame avrebbe richiesto ancora, probabilmente, diversi mesi, in quanto essa era ancora in attesa delle risposte alle sue richieste di chiarimenti. Nella medesima lettera la Commissione ha suggerito nuovamente al ricorrente di presentare una richiesta di cancellazione al mediatore delle Nazioni Unite.

12      Con lettera del 28 giugno 2011, il ricorrente ha risposto alla Commissione precisando che il ritardo nell’esame del caso e nell’adozione della decisione finale era inaccettabile, considerata la violazione della sua vita privata. Egli ha preteso altresì che gli venisse fornita una spiegazione di tale ritardo.

13      Con lettera del 26 agosto 2011, il comitato per le sanzioni ha comunicato alla Commissione informazioni supplementari riguardo alle ragioni dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco di detto comitato.

14      Con lettera del 19 ottobre 2011, la Commissione ha comunicato al ricorrente che il riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso era sempre in corso. Essa ha altresì accennato al fatto che il comitato per le sanzioni le aveva fornito di recente informazioni aggiuntive «più specifiche» relativamente all’esposizione dei motivi (in prosieguo: la «prima integrazione dei motivi»), ossia quanto segue:

«Mohammed Al‑Ghabra è un estremista importante, con sede nel Regno Unito, associato a un numero rilevante di estremisti. Il sig. Al‑Ghabra è da tempo regolarmente in contatto con alti responsabili di Al‑Qaeda aventi sede in Pakistan. Nel 2002 il sig. Al‑Ghabra ha incontrato il capo delle operazioni di Al‑Qaeda, Faraj Al‑Libi, un alto comandante di Al‑Qaeda, arrestato dalle autorità pakistane nel 2005 e attualmente detenuto negli Stati Uniti. Il sig. Al‑Ghabra ha soggiornato presso l’abitazione del sig. Al‑Libi per una settimana. Il sig. Al‑Ghabra è stato anche regolarmente in contatto con numerosi estremisti stabiliti nel Regno Unito e ha partecipato alla radicalizzazione di individui stabiliti nel Regno Unito attraverso la distribuzione di materiale estremistico.

Il sig. Al‑Ghabra ha avuto legami stretti con il gruppo militante del Kashmir Harakat Ul Mujahidin (HuM). Si ritiene che il sig. Al‑Ghabra abbia seguito un addestramento alla jihad in un campo di addestramento dello HuM ad Aza, nel Kashmir, nel 2002. Durante il suo soggiorno in tale campo, il sig. Al‑Ghabra ha imparato a maneggiare fucili d’assalto AK‑47 e pistole. Si ritiene altresì che egli avesse intenzione di combattere nel Kashmir ma che ciò gli sia stato impedito dallo HuM, che necessitava di persone che rientrassero nel Regno Unito per raccogliervi fondi. Durante il suo soggiorno in Pakistan, il sig. Al‑Ghabra ha incontrato anche Haroon Rashid Aswat, arrestato successivamente ed espulso nel Regno Unito per aver svolto attività collegate al terrorismo. Il sig. Aswat è attualmente detenuto nel Regno Unito ove attende di essere estradato negli Stati Uniti per atti terroristici. Per quanto i suoi beni siano congelati, il sig. Al‑Ghabra rimane in contatto con estremisti e continua a svolgere attività estremistiche.

A partire dal dicembre 2009, il sig. Al‑Ghabra preparava attentati terroristici contro imprese aventi sede nel Regno Unito, ma non disponeva delle risorse necessarie per portarli a termine.

(…)»

15      Nella medesima lettera, la Commissione ha precisato che tali informazioni venivano comunicate al ricorrente affinché potesse esprimere il suo punto di vista prima dell’adozione di una decisione di riesame, e che egli aveva tempo fino all’11 novembre 2011 per provvedervi.

16      Con lettera del 10 novembre 2011, il ricorrente ha risposto alla Commissione per confutare i nuovi elementi di informazione assunti a suo carico nella prima integrazione dei motivi, che egli ha ritenuto, per la maggior parte, «simili a quelli menzionati nell’esposizione dei motivi», e per chiedere chiarimenti nonché la trasmissione delle prove ritenute a sostegno di tali informazioni.

17      Con lettera del 17 maggio 2012, il comitato per le sanzioni ha trasmesso alla Commissione nuove informazioni supplementari riguardanti le ragioni dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco di detto comitato.

18      Con lettera del 29 maggio 2012, la Commissione ha comunicato al ricorrente che il riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso era sempre in corso. Essa ha altresì accennato al fatto che il comitato per le sanzioni le aveva fornito di recente nuove informazioni aggiuntive «più specifiche» relativamente all’esposizione dei motivi (in prosieguo: la «seconda integrazione dei motivi»), ossia quanto segue:

«Nell’agosto 2006, al sig. Al‑Ghabra sono stati consegnati vari oggetti, tra i quali alcuni video che inneggiavano al martirio, da un individuo la cui identità è stata resa anonima dalla giustizia del Regno Unito con le iniziali AY, perché fossero spediti agli estremisti di Al‑Qaeda in Pakistan. Tali video raffiguranti martiri sono stati registrati da individui appartenenti a una rete di estremisti con sede nel Regno Unito che preparavano attacchi multipli contro aerei di linea in partenza dal Regno Unito. Tali fatti sono successivi a una serie di incontri tra questi due individui, avvenuti in Sudafrica nell’aprile/maggio 2006, che si ritiene avessero come fine di affrontare questioni connesse all’estremismo islamico.

AY è stato arrestato e accusato di cospirazione per omicidio e di preparazione di atti terroristici, ma è stato assolto al termine del processo, sebbene altri membri della rete siano stati riconosciuti colpevoli e condannati a pene detentive per una serie di reati, tra i quali la cospirazione per omicidio, la cospirazione per attentati dinamitardi e la preparazione di atti terroristici.

In seguito alla sua assoluzione, AY è stato sottoposto a misure restrittive imposte con un’ordinanza di controllo giurisdizionale [“control order”] e rimane sottoposto a misure antiterroristiche imposte dal Ministro dell’Interno del Regno Unito ai sensi del Terrorism Prevention and Investigation Measures Act 2011 [legge del 2011 sulla prevenzione del terrorismo e sulle misure d’indagine], in considerazione del fatto che esistono fondati motivi per ritenere che egli abbia partecipato ad attività collegate al terrorismo e che tali misure siano necessarie per impedire che svolga nuovamente tali attività».

19      Nella medesima lettera, la Commissione ha precisato che tali informazioni venivano comunicate al ricorrente affinché potesse esprimere il suo punto di vista prima dell’adozione di una decisione di riesame, e che egli aveva tempo fino all’15 giugno 2012 per provvedervi.

20      Con lettere del 20 giugno e del 10 luglio 2012, il ricorrente ha risposto alla Commissione per confutare i nuovi elementi di informazione assunti a suo carico nella seconda integrazione dei motivi, sottolineando, in particolare, che tali informazioni erano prive di forza probatoria. Il ricorrente ha anche chiesto alla Commissione di concludere il suo riesame, tenuto conto dei notevoli ritardi.

21      Con decisione Ares (2013) 188023, del 6 marzo 2013, notificata agli avvocati del ricorrente l’11 marzo 2013 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha deciso, previo riesame, di mantenere il nominativo del ricorrente nell’elenco controverso.

22      La Commissione ha precisato, al punto 5 della decisione impugnata, che gli elementi di informazione contenuti nell’esposizione dei motivi nonché nella prima e nella seconda integrazione dei motivi costituivano l’«intera motivazione» di tale decisione.

23      La Commissione ha peraltro precisato, al punto 7 della decisione impugnata, che, «dopo aver preso in considerazione [le] osservazioni [del ricorrente], consultato il comitato per le sanzioni e tenuto conto degli obiettivi del congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie ai sensi del regolamento n. 881/2002, [essa] restava del parere che [l’]inserimento [del suo nominativo nell’elenco controverso fosse] giustificato». Al riguardo, la Commissione ha puntualizzato che, «in particolare, nelle [sue] osservazioni, [il ricorrente] non aveva fornito ragioni valide per concludere che le affermazioni assunte a suo carico non sarebbero state veritiere, e neppure informazioni a sostegno delle [sue] contestazioni».

24      La Commissione ha altresì precisato, al punto 9 della decisione impugnata, che il criterio dalla stessa applicato, per quanto attiene all’onere della prova, era quello formulato dal Gruppo di azione finanziaria (GAFI) nella nota interpretativa della sua raccomandazione speciale n. III sul finanziamento del terrorismo, ossia che «l’inserimento [del nominativo di un individuo nell’elenco controverso] dovrebbe fondarsi su una base o su ragionevoli motivi per sospettare o per ritenere che l’individuo (…) sia un terrorista o che finanzi il terrorismo o un’organizzazione terroristica».

 Procedimento e conclusioni delle parti

25      Il 23 aprile 2013 il ricorrente ha presentato una domanda di gratuito patrocinio, iscritta a ruolo con il numero T‑248/13 AJ, al fine di proporre il presente ricorso.

26      Con ordinanza del presidente della Seconda Sezione del Tribunale del 10 ottobre 2013, al ricorrente è stato concesso il beneficio del gratuito patrocinio e i sigg. J. Carey e E. Grieves sono stati designati quali suoi rappresentanti.

27      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 6 novembre 2013, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

28      Con ordinanza del presidente della Terza Sezione del Tribunale del 20 maggio 2014 il Regno Unito e il Consiglio dell’Unione europea sono stati autorizzati a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

29      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto alle parti quesiti scritti, invitando una parte a rispondere agli stessi per iscritto prima dell’udienza e le altre parti in udienza.

30      Il 29 gennaio 2016 il ricorrente ha presentato una domanda di gratuito patrocinio supplementare.

31      Le difese orali delle parti e le risposte di queste ultime ai quesiti scritti e orali posti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 17 febbraio 2016.

32      Con ordinanza del presidente della Terza Sezione del Tribunale del 20 aprile 2016, è stata accolta in parte la domanda di gratuito patrocinio supplementare.

33      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato, per la parte in cui esso lo riguarda;

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

34      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile per la parte in cui è diretto all’annullamento del regolamento impugnato;

–        respingere il ricorso per la restante parte, in quanto infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

35      Il Regno Unito chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile nei limiti in cui è diretto all’annullamento del regolamento impugnato;

–        respingere gli altri elementi del ricorso in quanto infondati.

36      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

37      La Commissione, sostenuta dal Regno Unito e dal Consiglio, fa valere che il presente ricorso di annullamento è manifestamente tardivo e, pertanto, irricevibile per la parte in cui è diretto all’annullamento del regolamento impugnato, nei limiti in cui quest’ultimo riguarda il ricorrente.

38      Il ricorrente si oppone a tale eccezione di irricevibilità.

39      A norma dell’articolo 263, sesto comma, TFUE, «[i] ricorsi previsti dal presente articolo devono essere proposti nel termine di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza».

40      Nella fattispecie, è giocoforza constatare che la domanda di annullamento del regolamento impugnato è manifestamente tardiva, indipendentemente dall’evento a partire dal quale il termine per proporre ricorso ha iniziato a decorrere. Infatti, da un lato, anche supponendo che tale termine abbia iniziato a decorrere dalla pubblicazione del regolamento impugnato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, è sufficiente rilevare che il presente ricorso di annullamento è stato proposto più di sei anni dopo tale data. D’altro lato, anche supponendo che detto termine di ricorso abbia iniziato a decorrere dalla data della comunicazione che deve essere effettuata nei confronti dell’interessato o, in mancanza, dal giorno in cui quest’ultimo ne ha avuto conoscenza (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2013, Gbagbo e a./Consiglio, da C‑478/11 P a C‑482/11 P, EU:C:2013:258, punti da 55 a 59), occorre constatare che il ricorrente ha avuto conoscenza del regolamento impugnato non oltre la data del 13 febbraio 2009, quella in cui si è rivolto alla Commissione, tramite i suoi avvocati, per chiedere il riesame dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso e per contestare la legittimità di tale inserimento, mentre ha presentato la domanda di gratuito patrocinio, preliminare rispetto alla proposizione del presente ricorso, soltanto il 23 aprile 2013.

41      Peraltro, il ricorrente non ha provato, e neppure asserito, l’esistenza di un caso fortuito o di forza maggiore ai sensi dell’articolo 45 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, che gli consentirebbe di ovviare alla decadenza risultante dallo spirare del termine per proporre il ricorso di annullamento del regolamento impugnato.

42      Il ricorrente sostiene tuttavia che il Tribunale è «competente ad annullare il regolamento impugnato» in quanto quest’ultimo sarebbe «manifestamente illegittimo» ab initio, non essendogli stata fornita alcuna motivazione all’atto dell’inserimento iniziale del suo nominativo nell’elenco controverso. Sottolineando che i ricorsi dinanzi al Tribunale devono essere effettivi e non illusori, il ricorrente ritiene che, fino a quando non gli sono state fornite tutte le motivazioni fatte valere dalla Commissione nei suoi confronti, non fosse in grado di difendersi e neppure di investire il Tribunale di un ricorso di annullamento.

43      Al riguardo, occorre ricordare che l’applicazione rigorosa delle norme dell’Unione europea relative ai termini processuali, la quale, secondo una giurisprudenza costante, risponde all’esigenza della certezza del diritto e alla necessità di evitare qualsiasi discriminazione o trattamento arbitrario nell’amministrazione della giustizia, non incide né sul diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva né sul diritto ad essere sentiti (v. sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

44      Inoltre, niente impediva al ricorrente di proporre un ricorso di annullamento del regolamento impugnato prima della comunicazione dei motivi che avevano determinato l’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso, ricorso fondato, proprio, su tale mancata comunicazione.

45      Dalle suesposte considerazioni deriva che il presente ricorso deve essere respinto in quanto irricevibile per la parte in cui è diretto contro il regolamento impugnato, nei limiti in cui esso riguarda il ricorrente.

 Nel merito

46      Il ricorrente deduce, in sostanza, cinque motivi a sostegno del suo ricorso, vertenti, il primo, sulla violazione del principio del termine ragionevole, il secondo, sulla violazione dell’obbligo che incombeva alla Commissione di valutare utilmente, essa stessa, la questione se il ricorrente rispondesse ai criteri rilevanti ai fini del mantenimento del suo nominativo nell’elenco controverso, il terzo, sulla violazione delle norme in materia di onere e di produzione della prova, il quarto, su errori che viziano l’esposizione dei motivi e, il quinto, sulla violazione del principio di proporzionalità.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione del principio del termine ragionevole

47      Il ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da illegittimità, da un lato, in quanto l’esposizione dei motivi nonché la prima e la seconda integrazione dei motivi non gli sono state comunicate integralmente entro un termine ragionevole dopo l’adozione del regolamento impugnato e, dall’altro, in quanto la decisione impugnata non è stata adottata entro un termine ragionevole a decorrere dalla ricezione delle sue osservazioni in risposta a tale comunicazione, impedendogli pertanto di adire il Tribunale entro siffatto termine. In particolare, la Commissione avrebbe indebitamente ritardato il processo comunicando una prima, e successivamente, una seconda integrazione dei motivi, in violazione della giurisprudenza della Corte secondo la quale tutte le motivazioni devono essere comunicate «il più rapidamente possibile».

48      La Commissione, sostenuta dal Consiglio, contesta tali argomenti.

49      Nei limiti in cui il ricorrente contesta alla Commissione di non avergli comunicato interamente l’esposizione dei motivi nonché la prima e la seconda integrazione dei motivi entro un termine ragionevole dopo l’adozione del regolamento impugnato, è vero che, in particolare, dai punti 348 e 349 della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461) deriva che l’istituzione dell’Unione interessata, nel decidere di congelare i capitali di una persona in applicazione del regolamento n. 881/2002, è tenuta, per rispettare i suoi diritti della difesa, in particolare il diritto al contraddittorio e il diritto a un controllo giurisdizionale effettivo, a comunicare all’interessato gli elementi assunti a suo carico o a concedergli il diritto di prenderne conoscenza entro un termine ragionevole dopo l’adozione di tale misura.

50      Nella fattispecie, tuttavia, è già stato constatato che il ricorso di annullamento della decisione iniziale di congelamento dei capitali del ricorrente, concretizzatasi nel regolamento impugnato, è irricevibile. Poiché l’unica decisione validamente soggetta al controllo del Tribunale è una decisione di riesame, adottata al termine di un procedimento avviato con la domanda di riesame del 13 febbraio 2009, il periodo precedente a quest’ultima data non può essere preso in considerazione ai fini della valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale è stata adottata quest’ultima decisione.

51      Quanto al periodo successivo al 13 febbraio 2009, risulta che la Commissione ha seguito, nella fattispecie, il procedimento introdotto in seguito alla pronuncia della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), proprio al fine di istituire un procedimento che garantisse il rispetto dei diritti della difesa degli interessati. Tale procedimento è stato successivamente codificato, a decorrere dal 26 dicembre 2009, con il regolamento (UE) n. 1286/2009 del Consiglio, del 22 dicembre 2009, recante modifica del regolamento n. 881/2002 (GU 2009, L 346, pag. 42). Per quanto riguarda gli «inserimenti storici» nell’elenco controverso, ossia quelli effettuati, come nel caso del ricorrente, prima del 3 settembre 2008, ossia prima della pronuncia di detta sentenza, il procedimento è quello previsto dall’articolo 7 quater del regolamento n. 881/2002, come modificato.

52      In via preliminare, va constatato che né l’articolo 7 quater del regolamento n. 881/2002 né altri testi normativi del diritto dell’Unione impongono un termine entro il quale deve essere adottata, dall’istituzione competente dell’Unione, una decisione di riesame dell’inserimento del nominativo di una persona nell’elenco controverso.

53      In tale situazione, risulta dalla giurisprudenza della Corte che il carattere «ragionevole» del termine assunto dall’istituzione per adottare l’atto in questione deve essere valutato in funzione dell’insieme delle circostanze proprie di ciascuna causa e, segnatamente, della rilevanza della controversia per l’interessato, della complessità del procedimento e del comportamento delle parti in causa (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2013, Réexamen Arango Jaramillo e a./BEI, C‑334/12 RX‑II, EU:C:2013:134, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

54      Nella fattispecie, è certamente vero che la Commissione, come la stessa osserva, ha comunicato al ricorrente i motivi successivi dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso non appena li ha ricevuti dal comitato per le sanzioni.

55      È altrettanto vero che le particolari circostanze del caso di specie asserite dalla Commissione, e in particolare i) la necessità per le autorità dell’Unione di accordarsi con gli intervenienti internazionali interessati sulle misure da adottare per rispettare i principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), ii) la necessità per la Commissione di ottenere preventivamente l’esposizione dei motivi del comitato per le sanzioni, iii) la natura e le caratteristiche proprie del regime sanzionatorio internazionale di cui trattasi nella fattispecie, iv) la natura particolarmente delicata dei lavori del comitato per le sanzioni e v) l’elevato numero di domande di riesame che la Commissione ha dovuto trattare contemporaneamente dopo la pronuncia della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), spiegano in parte la durata relativamente lunga dei procedimenti di riesame delle decisioni di inserimento del nominativo delle persone interessate nell’elenco controverso, quali si sono svolti in seguito alla pronuncia della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461).

56      È vero tuttavia che, nella fattispecie, il termine di oltre quattro anni decorso tra la data della domanda di riesame del 13 febbraio 2009 e quella di adozione della decisione impugnata del 6 marzo 2013 supera di gran lunga la durata che potrebbe essere ritenuta «normale» per portare a termine tale procedimento di riesame, anche tenendo conto di tutte le circostanze particolari summenzionate.

57      A tal riguardo, va osservato che, nella sentenza del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione (T‑306/10, EU:T:2014:141, punto 102), il Tribunale ha dichiarato che «non [era] ammissibile» che la Commissione, oltre quattro anni dopo la pronuncia della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), non fosse ancora in grado di assolvere il proprio obbligo di esame accurato ed imparziale del caso del sig. Hani El Sayyed Elsebai Yusef, eventualmente in «cooperazione proficua» con il comitato per le sanzioni. Occorre altresì rilevare che, nella sentenza dell’8 settembre 2015, Ministry of Energy of Iran/Consiglio (T‑564/12, EU:T:2015:599, punti 71 e 72), che riguardava un altro regime sanzionatorio internazionale, il Tribunale ha dichiarato «manifestamente irragionevole» un termine di risposta alle osservazioni del ricorrente di oltre quindici mesi.

58      Tale valutazione è confermata dalla durata notevolmente inferiore del procedimento di riesame del caso di altre persone il cui nominativo è stato inserito nell’elenco controverso e che ha formato oggetto di un ricorso dinanzi al Tribunale, sebbene le particolari circostanze elencate supra al punto 55 si applicassero anche nel loro caso. Pertanto, dalla sentenza del 14 aprile 2015, Ayadi/Commissione (T‑527/09 RENV, non pubblicata, EU:T:2015:205), emerge che l’esposizione dei motivi che lo riguardava è stata comunicata al sig. Chafiq Ayadi il 24 giugno 2009, che quest’ultimo ha presentato osservazioni in risposta il 23 luglio 2009 e che la decisione di mantenere il suo nominativo, previo riesame, nell’elenco controverso è stata adottata il 13 ottobre 2009. Dalla sentenza del 28 ottobre 2015, Al‑Faqih e a./Commissione (T‑134/11, non pubblicata, oggetto di impugnazione, EU:T:2015:812, punto 69), emerge altresì che il riesame della situazione dei ricorrenti interessati ha avuto luogo in meno di sei mesi.

59      Ciò vale a maggior ragione, nel caso del ricorrente, in quanto i motivi che hanno determinato l’inserimento del suo nominativo nell’elenco riassuntivo del comitato per le sanzioni, come comunicatigli dalla Commissione il 10 maggio 2010, coincidevano, in sostanza, con quelli che gli erano stati già comunicati dalle autorità del Regno Unito, quali elementi che avevano motivato la domanda di tale inserimento da parte di detto Stato membro, sin dal 12 giugno 2007 (v. supra, punto 3).

60      La Commissione e gli intervenienti non hanno fatto valere altre circostanze particolari, specifiche del caso del ricorrente, che possano spiegare tale durata, insolitamente lunga, del procedimento di riesame del suo caso.

61      In tali circostanze, occorre constatare una violazione del principio del termine ragionevole.

62      Tuttavia, la violazione del principio del termine ragionevole giustifica l’annullamento di una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo solo qualora comporti anche una violazione dei diritti della difesa dell’interessato. Infatti, quando non è dimostrato che un eccessivo lasso di tempo abbia pregiudicato la capacità delle persone interessate di difendersi in modo efficace, il mancato rispetto del principio del termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento amministrativo (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2015, Ministry of Energy of Iran/Consiglio, T‑564/12, EU:T:2015:599, punti da 73 a 77; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenze del 21 settembre 2006, JCB Service/Commissione, C‑167/04 P, EU:C:2006:594, punti 72 e 73, e del 25 giugno 2010, Imperial Chemical Industries/Commissione, T‑66/01, Racc., EU:T:2010:255, punto 109 e giurisprudenza ivi citata).

63      Orbene, nella fattispecie, non è provato, e neppure seriamente affermato, che la capacità del ricorrente di difendersi in modo efficace sia stata concretamente compromessa a causa della durata eccessiva del procedimento di riesame. Al riguardo, il ricorrente si limita, infatti, ad esporre, nella replica, considerazioni puramente ipotetiche, sostenendo che, se un’esposizione completa dei motivi gli viene comunicata solo anni dopo gli eventi considerati, egli ha maggiore difficoltà a elaborare la propria difesa, dato che gli elementi a discarico «possono» risultare indisponibili o più difficili da ottenere, che la sua memoria «diminuirà» col tempo e che testimoni cruciali «possono» non essere più disponibili o in grado di fornire elementi di prova utili.

64      Quanto all’argomento del ricorrente secondo il quale dal superamento del termine ragionevole è derivata una violazione dei suoi diritti della difesa e del suo diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, in quanto, in mancanza di una decisione motivata, egli non poteva proporre alcun ricorso dinanzi al Tribunale, è sufficiente rilevare, per respingere tale argomento, che il Trattato FUE prevede, all’articolo 265, un rimedio giuridico appositamente concepito per far fronte all’illecita astensione di un’istituzione, sotto forma di ricorso per carenza. In qualsiasi momento, fra il 13 febbraio 2009 e il 6 marzo 2013, il ricorrente poteva quindi invitare la Commissione a cancellare il suo nominativo dall’elenco controverso e, in caso di astensione di quest’ultima, protratta al di là del termine di due mesi previsto dall’articolo 265 TFUE, proporre un ricorso per carenza (v., in tal senso, sentenza del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione, T‑306/10, EU:T:2014:141, punti 62, 63 e 68).

65      Fatto salvo il diritto del ricorrente di chiedere, in forza dell’articolo 340 TFUE, il risarcimento del danno che esso avrebbe eventualmente subìto a causa del ritardo della Commissione nell’adempimento dei suoi obblighi, il ricorrente non può quindi avvalersi del ritardo di cui trattasi per ottenere l’annullamento della decisione impugnata (v., in tal senso e per analogia, sentenza dell’8 settembre 2015, Ministry of Energy of Iran/Consiglio, T‑564/12, EU:T:2015:599, punto 77).

66      Dalle suesposte considerazioni risulta che la violazione del principio del termine ragionevole constatata nella fattispecie non può giustificare l’annullamento della decisione impugnata e che il primo motivo deve essere quindi respinto in quanto inoperante.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo che incombeva alla Commissione di valutare utilmente, essa stessa, se il ricorrente rispondesse ai criteri rilevanti ai fini del mantenimento dell’iscrizione del suo nominativo nell’elenco controverso

67      Il ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da illegittimità in quanto la Commissione ha violato l’obbligo ad essa incombente di valutare utilmente, essa stessa, se egli rispondesse ai criteri rilevanti ai fini del mantenimento dell’iscrizione del suo nominativo nell’elenco controverso. Tale motivo si articola in quattro parti.

–       Sulla prima parte del secondo motivo

68      Con la prima parte del secondo motivo, il ricorrente contesta alla Commissione, rinviando al punto 8 della decisione impugnata, di non aver tentato di ottenere dal comitato per le sanzioni né dallo Stato di designazione gli elementi di prova a sostegno delle accuse formulate a suo carico. In tali circostanze, la Commissione avrebbe effettuato un controllo puramente formale e artificioso, limitandosi a riprodurre l’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni, e la presunta presa in considerazione, da parte della stessa, delle osservazioni del ricorrente sarebbe illusoria. Il ricorrente fa valere, in tal senso, le constatazioni effettuate dal Tribunale nella sentenza del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione (T‑306/10, EU:T:2014:141, punti 103 e 104). A suo avviso, il modo in cui la Commissione concepisce il suo ruolo è tale per cui essa non cancellerebbe mai il nominativo di una persona dall’elenco controverso in contrasto con la valutazione del comitato per le sanzioni. Nel riprodurre semplicemente l’elenco di detto comitato, nel rifiutarsi di esigere e di valutare in modo critico gli elementi a conferma di tale elenco e nel rinviare quindi la decisione al Tribunale ai fini di siffatta valutazione critica, la Commissione rinuncerebbe alla sua principale responsabilità, consistente nel valutare, essa stessa, la fondatezza di un inserimento nell’elenco controverso.

69      Per rispondere all’argomento del ricorrente, occorre tener conto di tutte le considerazioni formulate dalla Corte, ai punti da 104 a 134 della sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, Racc. EU:C:2013:518; in prosieguo: la «sentenza Kadi II»), per quanto riguarda gli obblighi gravanti, da un lato, sulle autorità competenti dell’Unione, nella fattispecie la Commissione, nell’ambito di un procedimento di inserimento o di mantenimento, previo riesame, dell’iscrizione del nominativo di un’organizzazione, di una persona o di un’entità nell’elenco controverso, e, dall’altro, sul giudice dell’Unione, nell’ambito del suo controllo giurisdizionale della legittimità della decisione amministrativa adottata al termine di detto procedimento.

70      Da tali considerazioni emerge che il rispetto dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva, nonché, nella fattispecie, il rispetto del principio di buona amministrazione, da una parte, richiede che l’autorità competente dell’Unione comunichi all’interessato l’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni su cui è fondata la decisione di inserire o mantenere il suo nominativo nell’elenco controverso, che essa gli consenta di esprimere in modo utile le sue osservazioni in merito e che essa valuti, con cura ed imparzialità, la fondatezza dei motivi addotti alla luce delle osservazioni formulate e degli eventuali elementi probatori a discarico prodotti dall’interessato (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 135).

71      Il rispetto di detti diritti e di detto principio implica, dall’altra parte, che, in caso di contestazione in giudizio, il giudice dell’Unione verifichi, in particolare, il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi addotti nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni nonché, all’occorrenza, il fatto che, alla luce degli elementi che gli sono stati comunicati, i fatti concreti corrispondenti al motivo di cui trattasi risultino dimostrati (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 136).

72      Per contro, la circostanza che l’autorità competente dell’Unione non renda accessibili all’interessato né, successivamente, al giudice dell’Unione informazioni o elementi probatori – di cui solo il comitato per le sanzioni o il membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) coinvolto sono in possesso – afferenti all’esposizione dei motivi alla base della decisione in oggetto, non consente, di per sé, di dichiarare che tali diritti e tale principio sono stati violati. Tuttavia, in una situazione del genere, il giudice dell’Unione, chiamato a verificare la fondatezza di fatto dei motivi contenuti nell’esposizione fornita dal comitato per le sanzioni tenendo conto delle osservazioni e degli elementi a discarico eventualmente prodotti dall’interessato nonché della risposta dell’autorità competente dell’Unione a tali osservazioni, non disporrà di informazioni aggiuntive o di elementi probatori. Di conseguenza, se gli risulta impossibile constatare la fondatezza di tali motivi, questi ultimi non potranno fungere da fondamento della decisione di iscrizione impugnata (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 137).

73      Tenuto conto di tali rinvii e alla luce di tali principi, la prima parte del secondo motivo deve essere respinta in quanto infondata. In particolare, dal punto 107 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518) emerge che la Commissione è tenuta a prendere la sua decisione sulla base dell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni e che, per contro, non è previsto, in tale fase, che detto comitato metta spontaneamente a disposizione della Commissione, affinché questa adotti la sua decisione, altri elementi oltre a tale esposizione dei motivi. Inoltre, dal punto 108 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), emerge che la Corte ha esaminato e convalidato, o quantomeno non ha criticato in alcun modo, il procedimento previsto, al riguardo, dall’articolo 7 quater del regolamento n. 881/2002, come modificato dal regolamento n. 1286/2009, il quale prevede «esclusivamente» la comunicazione all’interessato dell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni.

74      È vero che, ai punti 114 e 115 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), la Corte ha precisato che la Commissione era tenuta a valutare, in base al suo obbligo di svolgere un esame diligente e imparziale della fondatezza dei motivi addotti, in particolare alla luce del contenuto delle osservazioni formulate dall’interessato, la necessità di richiedere la collaborazione del comitato per le sanzioni onde ottenere la comunicazione di informazioni o di elementi probatori aggiuntivi.

75      Orbene, si tratta proprio del procedimento seguito nella fattispecie, quale emerge dai punti da 2 a 4 della decisione impugnata, in quanto la Commissione, con la suddetta decisione, ha deciso di mantenere il nominativo del ricorrente nell’elenco controverso dopo aver comunicato le sue osservazioni al comitato per le sanzioni, ha richiesto la collaborazione di tale comitato in due occasioni per consentirle di rispondere a tali osservazioni e ha ottenuto, di conseguenza, la comunicazione di informazioni o di elementi probatori aggiuntivi, sotto forma di prima e seconda integrazione dei motivi (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 115). È pacifico altresì che la Commissione ha comunicato al ricorrente l’esposizione dei motivi nonché la prima e la seconda integrazione dei motivi fornite dal comitato per le sanzioni, esposizione e integrazioni che hanno dato luogo inoltre a nuovi scambi di osservazioni tra il ricorrente e la Commissione.

76      Per contro, la Commissione non può essere censurata nella fattispecie, soltanto in base al punto 114 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), per non aver ottenuto dal comitato per le sanzioni o dallo Stato di designazione, nel corso del procedimento amministrativo che ha portato all’adozione della decisione impugnata, gli elementi di informazione o di prova a sostegno delle accuse formulate a carico del ricorrente e per aver effettuato, quindi, un controllo «puramente formale e artificioso» della fondatezza dei motivi addotti, alla luce delle osservazioni formulate dall’interessato riguardo all’esposizione dei motivi.

77      A tal proposito, occorre ricordare che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), e contrariamente alle circostanze del caso di specie, la Commissione non aveva neppure tentato di ottenere dal comitato per le sanzioni o dallo Stato di designazione il benché minimo elemento di informazione o di prova che potesse suffragare le affermazioni formulate contro il sig. Yassin Abdullah Kadi nell’esposizione dei motivi fornita da detto comitato per le sanzioni. Non è, tuttavia, per tale motivo che la Corte ha confermato l’annullamento del regolamento controverso, ma per il fatto che, nell’ambito del proprio controllo giurisdizionale della legittimità di tale regolamento, aveva ritenuto che nessuna di dette affermazioni fosse tale da giustificare l’adozione, a livello dell’Unione, di misure restrittive nei confronti del sig. Kadi, a causa di un’insufficiente motivazione o della mancanza, in sede giurisdizionale, di elementi di informazione o di prova che suffragassero il motivo in questione a fronte delle circostanziate contestazioni opposte dall’interessato [v. l’analisi di tali affermazioni ai punti da 151 a 162 e la conclusione generale al punto 163 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518)].

78      Anzi, la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto fondando la propria constatazione di una violazione dei diritti della difesa e del diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva sul fatto che la Commissione avesse omesso di comunicare al sig. Kadi e al Tribunale stesso le informazioni e gli elementi probatori relativi ai motivi per cui il nominativo dell’interessato era stato mantenuto nell’elenco controverso, dato che la Commissione non disponeva di tali informazioni ed elementi probatori (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 138 e 139).

79      Sarebbe quindi incompatibile con i principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518) sanzionare la Commissione nella fattispecie, per una presunta violazione dell’obbligo di esame accurato ed imparziale della fondatezza dei motivi addotti nei confronti del ricorrente, oppure per non essere riuscita ad ottenere dal comitato per le sanzioni gli elementi di informazione o di prova che le consentissero di assolvere tale obbligo di esame accurato ed imparziale, allorché, nelle analoghe circostanze della causa che ha dato luogo a detta sentenza, la Corte non ha ravvisato a carico della Commissione alcuna violazione di detto obbligo né, più in generale, dei diritti della difesa.

80      Peraltro, nessun elemento contenuto nel fascicolo consente di affermare che la Commissione, prima di adottare la decisione impugnata, non abbia esaminato, con accuratezza e imparzialità, tutte le informazioni di cui essa disponeva, ivi comprese le osservazioni del ricorrente. Come ha rilevato al punto 7 della decisione impugnata, la Commissione ha maturato la convinzione che l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco controverso continuasse ad essere giustificato, dato che in particolare l’interessato non aveva fornito alcun motivo per dubitare della veridicità delle accuse formulate a suo carico.

81      Quanto all’argomento vertente sulla sentenza del 21 marzo 2014, Yusef/Commissione (T‑306/10, EU:T:2014:141), esso va respinto dal momento che i fatti e le circostanze di tale causa non sono identici a quelli del caso di specie. Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, infatti, era «pacifico» (v. punto 94 di tale sentenza) che l’interessato non aveva beneficiato di nessuno dei principi e di nessuna delle garanzie enunciati dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518) fino alla presentazione del ricorso e che tale situazione di carenza continuava alla data di chiusura della fase orale del procedimento (punto 100 di detta sentenza). Inoltre, secondo le sue affermazioni in udienza (punto 103 della medesima sentenza), la Commissione aveva continuato a ritenersi rigidamente vincolata dalle valutazioni del comitato per le sanzioni e senza alcun potere discrezionale autonomo al riguardo, in contrasto con i principi stabiliti dalla Corte nelle sentenze del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), e del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 114, 115 e 135). Il Tribunale ne ha concluso che era in modo meramente formale e artificioso che la Commissione asseriva di porre rimedio, con l’attuazione della procedura di riesame del caso del sig. Yusef, alle illegittimità della stessa natura accertate dalla Corte nella sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461). Per contro, nella fattispecie, la Commissione ha rilevato in udienza di essere disposta a dissociarsi dalle valutazioni del comitato per le sanzioni se queste ultime le fossero apparse manifestamente errate o contraddette dagli elementi a discarico presentati dall’interessato.

82      Da tutte le suesposte considerazioni deriva che la prima parte del secondo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

–       Sulla seconda parte del secondo motivo

[omissis]

–       Sulla terza parte del secondo motivo

89      Con la terza parte del secondo motivo il ricorrente contesta alla Commissione di non aver valutato se le affermazioni assunte a suo carico dal comitato per le sanzioni si fondassero su dati ottenuti mediante tortura, sebbene egli avesse menzionato tale elemento nella sua lettera del 28 giugno 2010. La presunzione secondo la quale il comitato per le sanzioni non si basa su tali dati, fatta valere dalla Commissione, non sarebbe giustificata. Sul suo sito Internet l’ufficio del mediatore delle Nazioni Unite riconoscerebbe, del resto, che i servizi segreti di taluni Stati di designazione possono utilizzare informazioni in tal modo viziate. Nella fattispecie, il ricorrente ritiene «possibile» che informazioni che lo riguardano abbiano potuto essere ottenute da individui detenuti negli Stati Uniti o in Pakistan, contro i quali possono essere state utilizzate misure coercitive equivalenti alla tortura. Il ricorrente dichiara quindi che il sig. Faraj Al‑Libi è stato catturato in Pakistan il 2 maggio 2005 dai servizi segreti di tale paese, trasferito successivamente negli Stati Uniti, tenuto sotto custodia in luoghi di detenzione segreti per oltre un anno e infine trasferito a Guantánamo. Orbene, secondo un rapporto del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) del 14 febbraio 2007, quattordici persone detenute a Guantánamo, tra cui il sig. Al‑Libi, hanno descritto trattamenti e tecniche di interrogatorio che si configuravano come una forma di ricorso alla tortura.

90      La Commissione, sostenuta dal Regno Unito e dal Consiglio, contesta tale argomento.

91      Al riguardo, occorre constatare che il ricorrente non ha formulato, nella sua lettera del 28 giugno 2010, alcuna affermazione precisa e neppure alcun motivo plausibile, secondo i quali talune informazioni contenute nell’esposizione dei motivi sarebbero state ottenute mediante tortura. Tutt’al più egli ha chiesto, in tale lettera, la «conferma del fatto che la Commissione europea ha adottato le misure necessarie che le consentono di assicurarsi che nessuna delle informazioni sulle quali essa si basa nell’esposizione dei motivi sia stata ottenuta mediante tortura».

92      La Commissione ritiene correttamente che, in simili circostanze, è ragionevole basarsi su una presunzione secondo la quale il comitato per le sanzioni non si fonda su prove ottenute mediante tortura. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la Commissione applica quindi lo stesso criterio applicato dall’ufficio del mediatore delle Nazioni Unite, tentando anzitutto di sapere se esistano «elementi sufficienti per dare ragionevolmente credito all’asserzione della tortura», come emerge dal suo sito Internet.

93      Nella fattispecie, nessun elemento contenuto nel fascicolo consente di dar credito a tale asserzione, per quanto attiene agli elementi assunti a carico del ricorrente. Più in particolare, nessuna informazione contenuta nel fascicolo sembra poter essere collegata al sig. Faraj Al‑Libi né ad altre persone detenute a Guantánamo o in Pakistan.

94      Al riguardo, il Regno Unito osserva altresì, a ragion veduta, che la maggior parte degli elementi di prova prodotti dalla Commissione si fondano su decisioni giudiziarie del Regno Unito pronunciate da giudici che, conformemente alle raccomandazioni formulate dalla House of Lords (Camera dei Lords, Regno Unito) nella decisione A e a. c. Secretary of State for the Home Department (N. 2) [2006] 2 A.C. 221, erano tenuti a esaminare la questione se fossero state formulate dinanzi ad essi affermazioni di ricorso alla tortura.

95      Peraltro, dal controricorso dell’FCO dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Queen’s Bench Division (Administrative Court) [Alta Corte di giustizia (Inghilterra e Galles), divisione del Queen’s Bench (Sezione Amministrativa); in prosieguo: la «High Court»], depositato nell’ambito del ricorso proposto dal ricorrente contro la decisione dell’FCO di non dar seguito alla sua domanda diretta a ottenere che l’FCO invitasse il comitato per le sanzioni a cancellare il suo nominativo dall’elenco di detto comitato, emerge che, nel corso di tale procedimento, il ricorrente aveva anche formulato congetture sulla questione se taluni elementi di prova ammessi a suo carico provenissero dall’interrogatorio del sig. Al‑Libi condotto dai servizi segreti pakistani o americani. L’FCO ha precisato, nel corso del medesimo procedimento, che nessuna delle affermazioni assunte a carico del ricorrente si fondava sul risultato di interrogatori di detenuti. Poiché il ricorrente aveva successivamente rinunciato a tale ricorso, la High Court non ha avuto occasione di confermare tale punto. In mancanza di qualsiasi indizio in senso contrario, non vi è tuttavia alcun motivo per rimettere in discussione tale affermazione dell’FCO.

96      La terza parte del secondo motivo risulta quindi del tutto infondata.

–       Sulla quarta parte del secondo motivo

[omissis]

 Sul terzo motivo, vertente sulla violazione delle norme sull’onere della prova e sul livello probatorio necessario

100    Il ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da illegittimità in quanto la Commissione ha violato le norme sull’onere della prova e sul livello probatorio necessario. Tale motivo si articola in due parti.

–       Sulla prima parte del terzo motivo

101    Con la prima parte del terzo motivo il ricorrente fa valere che, come risulterebbe dal punto 7 della decisione impugnata, la Commissione ha invertito l’onere della prova affinché gravasse sullo stesso, in violazione della giurisprudenza della Corte (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121) secondo la quale, in caso di contestazione, è all’autorità competente dell’Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi.

102    Tale argomento si fonda, tuttavia, su un’errata interpretazione degli obblighi che, secondo la sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), gravano sulla Commissione, in termini di onere della prova, nell’ambito di un procedimento di riesame dei motivi sui quali si fonda la decisione di inserire o di mantenere il nominativo di una determinata persona nell’elenco controverso.

103    Infatti, come rileva correttamente la Commissione, il «criterio giuridico» che la stessa deve applicare, nella fase amministrativa del riesame delle decisioni di inserimento nell’elenco controverso, quale descritto ai punti da 111 a 116 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), si distingue da quello applicabile nella fase del controllo giurisdizionale, quale descritto ai punti da 117 a 134 di detta sentenza.

104    Pertanto, anche se l’onere della prova grava indubbiamente sulla Commissione, tale prova non deve essere prodotta dalla Commissione nella fase del procedimento relativa al riesame, ma soltanto nella fase successiva del procedimento relativa al controllo giurisdizionale della sua decisione di mantenimento, previo riesame. Ciò emerge chiaramente dal punto 121 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), che rientra fra le considerazioni di carattere generale espresse dalla Corte, a partire dal punto 117 della medesima sentenza, riguardanti il «procedimento giurisdizionale».

105    Più specificamente, e come osserva anche la Commissione, il punto di partenza del riesame che la stessa deve effettuare, su richiesta dell’interessato, è costituito dalle constatazioni del comitato per le sanzioni, come formulate nella sua esposizione dei motivi e che fungono esse stesse da fondamento della motivazione dell’atto dell’Unione. Se tale motivazione è sufficientemente precisa e concreta, la Commissione ritiene, senza commettere errori, di poterla rimettere in discussione, in via di principio, solo nel caso in cui l’interessato fornisca prove specifiche e circostanziate che confutino le constatazioni in questione, fatto salvo l’onere della prova che incomberà successivamente sulla Commissione, in sede di controllo giurisdizionale della legittimità e della fondatezza dei motivi sui quali è fondata la decisione di inserire o di mantenere il nominativo dell’interessato nell’elenco controverso.

106    La Commissione si è debitamente conformata, nella fattispecie, a tali principi, come emerge dal punto 7 della decisione impugnata, la cui parte iniziale è citata supra al punto 23. Nella parte successiva di tale punto, la Commissione non si è del resto limitata a rilevare che il ricorrente non aveva fornito alcun motivo per dubitare della veridicità delle accuse formulate a suo carico. Essa ha effettuato, in particolare, un’analisi fattuale approfondita di alcune delle sue contestazioni, per concludere nel senso della loro mancanza di pertinenza o di credibilità.

107    Ne consegue che la prima parte del terzo motivo è infondata.

–       Sulla seconda parte del terzo motivo

108    Con la seconda parte del terzo motivo il ricorrente fa valere che il riferimento al livello probatorio ammesso dal GAFI, ossia quello dei «motivi ragionevoli per sospettare o per ritenere», al punto 9 della decisione impugnata, è irrilevante e, in ogni caso, errato, in quanto la Corte ha richiesto, nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), una «base di fatto sufficientemente solida». Quanto al punto 149 di detta sentenza, invocato dalla Commissione e dal Regno Unito, il ricorrente sostiene che esso non rimette in discussione tale requisito e non fissa il criterio giuridico determinante. Lo stesso Regno Unito avrebbe abbandonato il criterio dei «motivi ragionevoli per sospettare» a favore del criterio più rigoroso dei «motivi ragionevoli per ritenere» al momento dell’adozione della legge del 2011 sulla prevenzione del terrorismo e sulle misure d’indagine.

109    Nella replica il ricorrente insiste, peraltro, sulla gravità dell’incidenza delle misure restrittive sugli interessati, che giustificherebbe un livello probatorio elevato per evitare il rischio di violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). In tale contesto, il ricorrente sostiene che è praticamente impossibile distinguere il livello probatorio necessario da quello richiesto in materia penale, sebbene il procedimento in questione non abbia natura strettamente penale. Il ricorrente invita il Tribunale ad adottare l’approccio seguito dalla Court of Appeal (England & Wales) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles)] nella sentenza Gough e a. c. Chief Constable of Derbyshire [2002] EWCA Civ 351, a proposito del caso di una persona sottoposta a un divieto di viaggio a causa della sua presunta tendenza a rimanere coinvolta in atti di violenza connessi al calcio.

110    Per quanto riguarda tale argomento, si applicano, mutatis mutandis, le considerazioni espresse nell’ambito dell’esame della prima parte di detto motivo. Pertanto, la questione del livello di prova necessario si pone unicamente nella fase del controllo giurisdizionale della legittimità e della fondatezza dei motivi sui quali è basata la decisione di inserire o di mantenere, previo riesame, il nominativo di una persona nell’elenco controverso.

111    Al riguardo, spetta soltanto al Tribunale assicurarsi che la decisione impugnata «si fondi su una base di fatto sufficientemente solida» (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119), verificando se i fatti asseriti nell’esposizione dei motivi siano «fondati» (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, point 122) e, quindi, concretamente «dimostrati» (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 136).

112    In tali circostanze, la seconda parte del presente motivo può essere respinta anzitutto in quanto inoperante, dato che un eventuale errore di diritto da parte della Commissione nella definizione del livello probatorio necessario o nella sua applicazione non può, di per sé, giustificare l’annullamento della decisione impugnata se quest’ultima soddisfa in altro modo le condizioni probatorie indicate al punto precedente, circostanza che spetta al Tribunale verificare nell’ambito dell’esame del quarto motivo.

113    In ogni caso, la Commissione non è incorsa in un errore nel fare riferimento, al punto 9 della decisione impugnata, al criterio operativo formulato dal GAFI nella nota interpretativa della sua raccomandazione speciale n. III sul finanziamento del terrorismo, ossia che l’inserimento del nominativo di un individuo nell’elenco controverso e, di conseguenza, il congelamento dei suoi capitali dovrebbero fondarsi «su motivi ragionevoli o su una base ragionevole per sospettare o per ritenere che tali capitali o tali altri beni potrebbero servire al finanziamento di attività terroristiche», in quanto tale livello probatorio è conforme ai criteri stabiliti dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518).

114    È vero che tale criterio non risulta privo di ambiguità, in quanto «sospettare» e «ritenere» sono operazioni mentali distinte, che danno luogo a gradi di convinzione diversi.

115    È giocoforza constatare, tuttavia, che la Corte ha convalidato, nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), il ricorso al meno elevato tra questi due possibili livelli di prova, ossia quello dei sospetti, nell’esaminare la fondatezza di un particolare motivo assunto a carico dell’interessato.

116    La Corte ha infatti precisato, al punto 149 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), che i motivi dell’inserimento nell’elenco controverso potevano fondarsi su «sospetti di coinvolgimento in attività terroristiche, fatta salva la verifica della fondatezza di tali sospetti». Alla luce del punto 162 di detta sentenza, occorre aggiungere che, affinché sospetti di coinvolgimento in attività terroristiche possano essere validamente assunti a carico di una persona, è necessario produrre elementi di informazione o di prova per confermare tali sospetti, il che costituisce una valutazione caso per caso.

117    Sebbene tale formulazione non rimetta in discussione il requisito di una «base di fatto sufficientemente solida», stabilito in termini generali al punto 119 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), si deve ammettere che tale requisito può essere soddisfatto mediante il ricorso al criterio dei «motivi ragionevoli per sospettare», purché questi ultimi siano suffragati da elementi di informazione o di prova sufficienti, in quanto la Corte vi ha fatto ricorso ai punti 149 e 162 di detta sentenza.

118    Quanto alla circostanza secondo la quale il Regno Unito avrebbe abbandonato il criterio dei «motivi ragionevoli per sospettare» a favore del criterio più rigoroso dei «motivi ragionevoli per ritenere» al momento dell’adozione della legge del 2011 sulla prevenzione del terrorismo e sulle misure d’indagine, essa è del tutto irrilevante. Per contro, il criterio dei «motivi ragionevoli per sospettare», purché questi ultimi siano suffragati da elementi di informazione o di prova sufficienti, risulta adeguato in circostanze come quelle previste dal regolamento n. 881/2002, dalle raccomandazioni del GAFI e dalle risoluzioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza, in particolare dalla risoluzione 2161 (2014) del 17 giugno 2014, al paragrafo 11. Di analogo avviso è stata la Court of Appeal (England & Wales) (Corte d’appello) nella causa Youssef c. Secretary of State for Foreign & Commonwealth Affairs [2013] EWCA Civ 1302 [2014] 2 WLR 1082.

119    Alla luce delle suesposte considerazioni, anche l’argomento del ricorrente secondo il quale sarebbe praticamente impossibile distinguere il livello probatorio necessario in circostanze come quelle del caso di specie dal livello richiesto in materia penale, ossia «al di là di ogni ragionevole dubbio», non può che essere respinto. Del resto, da una giurisprudenza costante a partire dalla sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), risulta che le misure restrittive come quelle di cui trattasi nella fattispecie non hanno natura penalistica. Orbene, la natura preventiva e non repressiva delle misure restrittive influisce necessariamente sulla natura, la modalità e l’intensità della prova che può essere chiesta alla Commissione (conclusioni dell’avvocato generale Bot nelle cause Anbouba/Consiglio, C‑605/13 P e C‑630/13 P, EU:C:2015:2, paragrafo 111).

120    Quanto all’argomento sviluppato a tal riguardo nella replica, la Commissione, sostenuta dal Regno Unito ribatte, correttamente, che i giudici inglesi competenti hanno respinto il criterio quasi penalistico adottato nella causa che ha dato luogo alla sentenza Gough e a. c. Chief Constable of Derbyshire [2002] EWCA Civ 351, nel caso di misure preventive come quelle di cui trattasi nella fattispecie. Per quanto riguarda l’applicazione delle misure decise a livello delle Nazioni Unite, l’approccio corretto nel diritto inglese, quale stabilito dalla Court of Appeal (England & Wales) (Corte d’appello) nelle cause Secretary of State for the Home Department c. MB [2006] EWCA Civ 1140, [2007] QB 415 e Youssef c. Secretary of State for Foreign & Commonwealth Affairs [2013] EWCA Civ 1302 [2014] 2 WLR 1082, è fondato su un criterio di «sospetto ragionevole» (ossia la sussistenza di elementi tali da suscitare sospetti).

121    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il terzo motivo deve essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente su errori che viziano l’esposizione dei motivi

122    Tale motivo è stato notevolmente ampliato in seguito alla comunicazione in corso di causa di nuovi elementi di informazione e di prova.

123    Nell’atto introduttivo del ricorso il ricorrente sosteneva essenzialmente che la decisione impugnata era viziata da illeciti sostanziali in quanto, in primo luogo, le affermazioni assunte a suo carico non erano dimostrate; in secondo luogo, talune affermazioni non erano sufficientemente precise per consentirgli di contestarle utilmente; in terzo luogo, talune affermazioni erano così datate o così vaghe da non presentare alcun collegamento razionale con i criteri pertinenti; e, in quarto luogo, talune affermazioni erano contraddette dagli elementi a discarico.

124    Nel suo controricorso la Commissione, sostenuta dal Regno Unito e dal Consiglio, ha fatto valere che i motivi di inserimento nell’elenco controverso comunicati al ricorrente erano sufficientemente precisi, dettagliati, specifici e concreti, ai sensi della giurisprudenza (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 116, 130 e da 142 a 149), e che essi assolvevano l’obbligo di motivazione (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 102 e 116).

125    La Commissione ha fatto peraltro riferimento a taluni principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 117, da 119 a 122), riguardanti il processo di controllo giurisdizionale della legittimità delle decisioni di inserimento o di mantenimento, previo riesame, del nominativo di una persona nell’elenco controverso, più in particolare per quanto riguarda la verifica, da parte del giudice dell’Unione, delle affermazioni di fatto contenute nell’esposizione dei motivi sottesa a tali decisioni.

126    La Commissione ha poi chiarito che, nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia e tenuto conto del ricorso proposto dal ricorrente, «[essa aveva] deciso di non limitarsi a difendere la decisione impugnata [unicamente] in base a elementi del procedimento amministrativo, ma di rivolgersi, nello spirito di utile cooperazione di cui all’articolo 220, paragrafo 1, TFUE, al comitato per le sanzioni (…) nonché, conformemente al principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, alle autorità del Regno Unito, quale membro dell’ONU che aveva proposto di inserire il nominativo del ricorrente nell’elenco» del comitato per le sanzioni.

127    A seguito di tali contatti, la Commissione ha prodotto, da un lato, nell’allegato B.4 del controricorso, una lettera inviatale dal comitato per le sanzioni il 20 gennaio 2014, per informarla che, nell’ambito del suo riesame annuale delle iscrizioni nell’elenco, tale comitato aveva riesaminato l’inserimento del nominativo del ricorrente e aveva ritenuto che permanesse l’opportunità di tale inserimento.

128    La Commissione ha prodotto, d’altro lato, nell’allegato B.5 del controricorso, un insieme di informazioni e di elementi di prova dettagliati, che le sono stati trasmessi dalle autorità del Regno Unito, e che essa ha deciso, in stretta collaborazione con tali autorità, di rimettere al Tribunale, per porlo in condizione di assicurarsi che la decisione impugnata fosse stata effettivamente adottata su una base di fatto sufficientemente solida, almeno per quanto riguarda taluni motivi dell’inserimento nell’elenco controverso (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 130). Secondo il Regno Unito, tali elementi comprendono documenti fatti valere a sostegno della sua proposta al comitato per le sanzioni di inserire e di mantenere il nominativo del ricorrente nell’elenco di detto comitato.

129    Tale insieme consiste in una dichiarazione scritta ufficiale («first statement»; in prosieguo: la «dichiarazione ufficiale»), redatta ai fini del presente procedimento e datata 18 marzo 2014, a firma del capo del dipartimento per la lotta al terrorismo dell’FCO, nonché in vari documenti che avrebbero dovuto fungere da prove. Come emerge dai punti da 12 a 14 della dichiarazione ufficiale, quest’ultima è fondata su un parere e su una valutazione del Security Service (servizio di sicurezza), che rappresenta il servizio segreto e di sicurezza interna del Regno Unito, responsabile della tutela della sicurezza nazionale (in prosieguo: il «Security Service»).

130    Nella replica il ricorrente si oppone all’invocazione e alla presa in considerazione da parte del Tribunale delle affermazioni, delle precisazioni e dei nuovi elementi di prova prodotti nell’allegato B.5 del controricorso, i quali non sarebbero stati invocati prima dell’adozione della decisione impugnata né presi in considerazione al momento dell’adozione della stessa decisione. Il ricorrente fa valere che, secondo i principi enunciati dalla Corte nelle sentenze del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461), e del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 115), tutti questi elementi aggiuntivi avrebbero dovuto essere richiesti dalla Commissione al comitato per le sanzioni o allo Stato membro interessato ed essergli comunicati «fin dall’inizio» per rispettare i suoi diritti della difesa e di accesso ad un organo giurisdizionale. A suo avviso, la completa divulgazione di tali elementi non dipende dall’avvio di un procedimento giurisdizionale, ma deve precedere in ogni caso tale procedimento, in modo da garantire l’esercizio dei diritti della difesa.

131    Il ricorrente sostiene, peraltro, che, nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), la Corte ha affermato chiaramente che avrebbe dovuto farsi trasmettere tutti gli elementi riservati fatti valere ed essa stessa avrebbe deciso, a quel punto, ciò che avrebbe dovuto essere comunicato all’interessato, conformemente ai principi enunciati nella sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363). Nella fattispecie, il Regno Unito tenterebbe di eludere tutte le garanzie giurisdizionali del Tribunale, chiedendo a quest’ultimo di basarsi sulla propria valutazione secondo la quale le informazioni fornite sono conformi ai criteri stabiliti in detta sentenza. L’argomento secondo il quale qualsiasi Stato che proponga una designazione al comitato per le sanzioni dovrebbe poi decidere quali informazioni possono essere fornite al Tribunale sarebbe fondamentalmente errato.

132    Per quanto riguarda, più in particolare, gli elementi rinvenuti presso la sua abitazione nel corso di una perquisizione, il ricorrente ricorda che egli è stato assolto al termine di un processo penale avviato nei suoi confronti, in relazione a tali elementi. Egli sostiene che, se avesse saputo che la Commissione intendeva assumere tali elementi a suo carico, avrebbe potuto tentare di fornire ugualmente una risposta. Ottenere trascrizioni o altri atti del processo in questione richiederebbe tempi e sforzi notevoli, mentre il governo del Regno Unito è in possesso delle trascrizioni e degli elementi a discarico in base ai quali la giuria ha assolto il ricorrente. Sarebbe iniquo, in tali circostanze, attendersi dal ricorrente la produzione degli elementi a discarico a prezzo di costi e sacrifici notevoli. Il ricorrente sostiene che tale esempio dimostra la necessità di comunicare al Tribunale, su richiesta della Commissione, gli elementi a discarico in possesso del Regno Unito.

133    Il ricorrente sostiene altresì che il Tribunale non dovrebbe basarsi su constatazioni ad esso sfavorevoli effettuate nell’ambito di procedimenti giudiziari nel Regno Unito, di cui non era parte e contro i quali non ha quindi potuto difendersi. Quanto alla circostanza, asserita dal Regno Unito, secondo la quale tali procedimenti giudiziari si sono svolti conformemente all’articolo 6 della CEDU e all’articolo 47 della Carta, il ricorrente ribatte che, se ciò è vero per quanto riguarda gli individui interessati, non è altrettanto vero nei suoi riguardi in quanto non era neppure parte di tali procedimenti.

134    Infine, nei limiti in cui il Regno Unito si riferisce a procedimenti giudiziari di cui il ricorrente stesso sarebbe stato parte, in particolare contro le condizioni imposte dallo HM Treasury (Ministero delle Finanze del Regno Unito) e contro la decisione dell’FCO di non chiedere la cancellazione del suo nominativo dall’elenco del comitato per le sanzioni, il ricorrente sostiene che tali procedimenti non sono equiparabili al presente procedimento e che essi mirano a una diversa soluzione.

135    Al riguardo, e come ha sottolineato la Corte al punto 136 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), il rispetto dei diritti fondamentali dell’interessato, più in particolare dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, implica che, in caso di contestazione in giudizio, il giudice dell’Unione verifichi, in particolare, il carattere sufficientemente preciso e concreto dei motivi addotti nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni nonché, all’occorrenza, il fatto che, alla luce degli elementi che gli sono stati comunicati, i fatti concreti corrispondenti al motivo di cui trattasi risultino dimostrati.

136    Nella fattispecie, conformemente ai requisiti stabiliti dalla giurisprudenza, le indicazioni contenute nell’esposizione dei motivi nonché nella prima e nella seconda integrazione dei motivi identificano almeno alcune delle ragioni individuali, specifiche e concrete per le quali le autorità competenti ritengono che il ricorrente debba essere oggetto di misure restrittive (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 140).

137    In particolare, i motivi e, soprattutto, la prima e la seconda integrazione dei motivi comunicati al ricorrente non consistono unicamente in semplici affermazioni di carattere generale, ma contengono altresì numerosi dettagli e indicazioni precise riguardanti sia l’identità degli interessati sia l’epoca, il luogo, il contesto e le altre circostanze degli illeciti considerati.

138    Per quanto riguarda la questione se i fatti concreti corrispondenti a tali motivi possano essere considerati dimostrati alla luce degli elementi che sono stati comunicati, ai sensi del punto 136 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), essa implica che si debba verificare se tali fatti siano «sufficientemente fondati» affinché sia possibile ritenere che la decisione impugnata sia fondata su una «base di fatto sufficientemente solida» (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119), fermo restando che i motivi dell’inserimento nell’elenco controverso possono fondarsi su «sospetti di coinvolgimento in attività terroristiche, fatta salva la verifica della fondatezza di tali sospetti» (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 149).

139    Nella fattispecie, è vero che, alla data di adozione della decisione impugnata, non era stata presentata alcuna informazione o prova per suffragare i motivi assunti, in tale decisione, a carico del ricorrente.

140    Quanto ai nuovi elementi di informazione e di prova prodotti nell’allegato B.5 del controricorso, e loro appendici corrispondenti, la Commissione ha risposto correttamente all’argomento del ricorrente, sintetizzato supra al punto 130, affermando che quest’ultimo confonde due diverse questioni, ossia, da un lato, l’obbligo procedurale di un’esposizione dei motivi sufficientemente specifica e della sua comunicazione all’interessato nel corso del procedimento amministrativo (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti da 111 a 116) e, dall’altro, la verifica, da effettuarsi ad opera del giudice dell’Unione, che l’esposizione dei motivi così comunicata si fondi su una base di fatto solida, dopo aver chiesto, eventualmente, all’autorità competente dell’Unione di produrre informazioni o elementi di prova, riservati o meno, rilevanti ai fini di siffatto esame (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti da 117 a 120). I nuovi elementi prodotti nell’allegato B.5 del controricorso sono proprio destinati a perseguire tale scopo ed è conforme ai principi enunciati dalla Corte nella sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), prendere in considerazione tali elementi ai fini del controllo di legittimità il cui esercizio spetta al Tribunale.

141    Quanto all’argomento del ricorrente secondo il quale la Commissione non può basarsi su nuovi elementi di informazione o di prova ai quali egli non ha avuto la possibilità di rispondere, è sufficiente rilevare che il ricorrente ha avuto la possibilità di rispondere a tali nuovi elementi nella replica nonché in udienza.

142    Quanto all’argomento del ricorrente, sintetizzato supra al punto 131, secondo il quale spetterebbe al giudice dell’Unione farsi trasmettere tutti gli elementi riservati fatti valere e decidere esso stesso ciò che deve essere comunicato all’interessato, esso dipende da un’interpretazione manifestamente errata della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518). Al punto 122 di detta sentenza, infatti, la Corte ha precisato che non era richiesto che l’autorità competente dell’Unione producesse dinanzi al giudice dell’Unione tutte le informazioni e gli elementi probatori attinenti ai motivi dedotti nell’esposizione dei motivi fornita dal comitato per le sanzioni, fermo restando che, se l’autorità competente dell’Unione si trova nell’impossibilità di esaudire la richiesta del giudice dell’Unione (ad esempio, in quanto lo Stato di designazione o il comitato per le sanzioni si rifiutano di comunicarle le informazioni e gli elementi di prova in questione), quest’ultimo deve allora fondarsi sui soli elementi comunicatigli, con le conseguenze previste al punto 123 di tale sentenza. Quanto agli sviluppi dedicati dalla Corte, ai punti 125 e seguenti di detta sentenza, all’applicazione, da parte del giudice dell’Unione, di particolari tecniche di esame degli elementi riservati, essi partono dalla premessa, menzionata al punto 124 di tale sentenza, secondo la quale siffatti elementi gli sono stati volontariamente comunicati, in via preventiva, dall’autorità competente dell’Unione, corredati di una richiesta di trattamento riservato nei confronti dell’interessato. Del resto, anche in una simile eventualità, la Corte ha precisato, al punto 127 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), rinviando al punto 63 della sentenza del 4 giugno 2013, ZZ (C‑300/11, EU:C:2013:363), che, se tale autorità si oppone alla comunicazione, in tutto o in parte, delle informazioni o degli elementi comunicati al giudice dell’Unione, adducendo come pretesto una richiesta di riservatezza nei confronti dell’interessato, detto giudice procederà all’esame della legittimità dell’atto impugnato in base ai soli elementi che sono stati comunicati.

143    Quanto all’argomento del ricorrente relativo agli elementi rinvenuti presso la sua abitazione nel corso di una perquisizione (v. supra, punto 132), tale argomento non deve essere accolto, in quanto tali elementi sono stati presi in considerazione nella dichiarazione ufficiale tenendo conto delle constatazioni effettuate, sulla base di tali elementi, dalla High Court nell’esercizio dei suoi poteri sovrani. Nei limiti in cui il ricorrente ricorda che egli è stato assolto al termine del processo penale avviato nei suoi confronti, in relazione a tali elementi, è sufficiente rammentare, rinviando alla valutazione della seconda parte del terzo motivo, che il livello probatorio applicabile nella fattispecie non è quello della prova penale.

144    Quanto all’argomento del ricorrente, sintetizzato supra al punto 133, secondo il quale il Tribunale non dovrebbe tener conto delle constatazioni effettuate dai giudici del Regno Unito in procedimenti di cui egli non era parte, la Commissione osserva correttamente che, dato che contribuiscono a dimostrare l’esistenza di motivi ragionevoli per sospettare, se non addirittura per ritenere, che il ricorrente sia associato ad Al‑Qaeda, e a suffragare in tal modo le affermazioni contenute nell’esposizione dei motivi, le constatazioni in questione sono pertinenti e possono essere prese in considerazione dal Tribunale. La Commissione fa valere, in modo altrettanto corretto, che il Tribunale può attribuire una particolare rilevanza a tali constatazioni, in quanto esse sono state effettuate da un giudice nazionale competente, nell’ambito di procedimenti giudiziari svolti conformemente all’articolo 6 della CEDU e all’articolo 47 della Carta.

145    Infine, per quanto riguarda i procedimenti giudiziari nel Regno Unito, fatti valere da tale Stato, di cui il ricorrente era parte, è assolutamente irrilevante il fatto che tali procedimenti non siano equiparabili al presente procedimento e che abbiano mirato a una diversa soluzione, in quanto essi contengono elementi tali da suffragare le affermazioni assunte a carico del ricorrente nell’esposizione dei motivi del comitato per le sanzioni.

146    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il Tribunale può tener conto dell’insieme dei nuovi elementi di informazione e di prova acclusi nell’allegato B.5 del controricorso.

[omissis]

177    A conclusione di tale panoramica sulla dichiarazione ufficiale e dopo aver passato accuratamente in rassegna tutti gli elementi di informazione e di prova allegati in appendice a tale dichiarazione, il Tribunale si ritiene certo del fatto che almeno alcuni dei motivi contenuti nell’esposizione dei motivi nonché nella prima e nella seconda integrazione dei motivi, come comunicati dal comitato per le sanzioni, sono sufficientemente corroborati da detti elementi di informazione o di prova per risultare fondati su una base di fatto particolarmente solida, e in grado di resistere a qualche vago tentativo di confutazione da parte del ricorrente.

178    Occorre altresì tener conto dell’esistenza di altri rimedi giuridici a disposizione del ricorrente, ma che quest’ultimo ha scelto di non utilizzare.

179    Da un lato, il Regno Unito ha sottolineato che il ricorrente, dall’inserimento iniziale del suo nominativo nell’elenco del comitato per le sanzioni, non aveva mai tentato di contattare l’ufficio del mediatore nominato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite conformemente alla sua risoluzione 1904 (2009), al fine di ottenere da quest’ultimo l’avvio di un’indagine approfondita che potesse portare alla cancellazione del suo nominativo dall’elenco del comitato per le sanzioni, sebbene la risoluzione 2161 (2014) del Consiglio di Sicurezza (paragrafo 48) inviti gli Stati a «incoraggiare gli individui e le entità che intendono contestare il loro inserimento nell’[elenco del comitato per le sanzioni] passando attraverso organi giurisdizionali nazionali o regionali, o che hanno già iniziato a farlo, a tentare di essere cancellati da [detto elenco] presentando una domanda in tal senso all’ufficio del mediatore». Non esistono motivi razionali per una simile astensione, tanto più che il ricorrente sostiene di disporre di argomenti a favore della cancellazione del suo nominativo dall’elenco del comitato per le sanzioni.

180    D’altro lato, dopo aver proposto un ricorso dinanzi alla High Court, il 28 gennaio 2013, avverso la decisione dell’FCO, del 1o novembre 2012, di non presentare a suo nome una richiesta di cancellazione dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco del comitato per le sanzioni, il ricorrente ha rinunciato a tale ricorso con una dichiarazione di consenso (consent order), il 17 ottobre 2013 (appendice 4 della dichiarazione ufficiale), dopo che la High Court aveva accettato che l’FCO ricorresse, per giustificare tale decisione, ad elementi di prova riservati, accessibili soltanto al giudice e non già al ricorrente.

181    Sebbene non si possa contestare al ricorrente tale strategia giudiziaria in quanto tale, essa non contribuisce neppure a eliminare eventualmente i sospetti che gravano legittimamente sul ricorrente, alla luce degli elementi di informazione e di prova esaminati supra.

182    Tenuto conto di tutte le suesposte considerazioni, va considerato che almeno alcuni dei motivi menzionati nell’esposizione dei motivi nonché nella prima e nella seconda integrazione dei motivi sono sufficientemente precisi e concreti, che sono dimostrati e che, di per sé, costituiscono un fondamento adeguato della decisione impugnata (sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 130).

183    Ne consegue che almeno alcune delle affermazioni formulate contro il ricorrente nell’esposizione dei motivi nonché nella prima e nella seconda integrazione dei motivi erano tali da giustificare l’adozione, a livello dell’Unione, di misure restrittive nei suoi confronti.

184    Pertanto, il quarto motivo deve essere respinto in quanto infondato.

 Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

185    Il ricorrente fa valere che la decisione impugnata è viziata da illegittimità in quanto la Commissione ha omesso di procedere a un esame della proporzionalità, nel contemperare i suoi diritti fondamentali e il rischio effettivo che egli attualmente rappresenterebbe.

186    La Commissione, sostenuta dal Consiglio, contesta tale argomento e rinvia ai punti da 360 a 363 della sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461).

187    Dalla sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461) emerge infatti che, di fronte a un obiettivo di interesse generale così fondamentale per la comunità internazionale quale la lotta con ogni mezzo, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionali derivanti dagli atti terroristici, il congelamento di capitali, proventi finanziari e altre risorse economiche delle persone individuate dal Consiglio di Sicurezza o dal comitato per le sanzioni come associate a Osama bin Laden, alla rete Al‑Qaeda, ai Talebani non può, di per se stesso, essere considerato inadeguato o sproporzionato (v. sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 363 e giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso e per analogia, sentenza del 15 novembre 2012, Al‑Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al‑Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punti da 120 a 130). Occorre, tuttavia, assicurarsi che, in fase di adozione di tali misure, i diritti processuali degli interessati, e in particolare i loro diritti della difesa, siano stati rispettati (v., in tal senso, sentenza del 3 settembre 2008, Kadi I, C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punti da 367 a 370). Orbene, nella fattispecie, dall’esame degli altri motivi di ricorso emerge che i diritti processuali del ricorrente sono stati debitamente rispettati nel corso del processo di riesame dei motivi dell’inserimento del suo nominativo nell’elenco controverso.

188    Nei limiti in cui il ricorrente contesta, più in particolare, alla Commissione di non aver proceduto essa stessa al contemperamento delle restrizioni di cui è oggetto con i suoi diritti fondamentali e il rischio che egli rappresenterebbe, è sufficiente constatare che siffatto contemperamento non è né previsto dalla normativa applicabile né contemplato dalla giurisprudenza. Per contro, la Corte ha dichiarato, al punto 107 della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518), che, quando nel contesto delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza il comitato per le sanzioni ha deciso di inserire il nominativo di una persona nel suo elenco riassuntivo, l’autorità competente dell’Unione, per eseguire tale decisione in nome degli Stati membri, era tenuta a prendere la decisione di inserire o mantenere tale nominativo nell’elenco controverso sulla base dell’esposizione dei motivi fornita da tale comitato. In tale contesto, gli unici obblighi che incombono all’autorità competente dell’Unione sono quelli individuati dalla Corte ai punti 111 et 112 (rispetto dei diritti della difesa), 114 (esame accurato e imparziale della fondatezza dei motivi sollevati) e 116 (motivazione che identifica le ragioni individuali, specifiche e concrete per cui le autorità competenti ritengono che alla persona interessata debbano essere applicate misure restrittive) della sentenza del 18 luglio 2013, Kadi II (C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518). Orbene, nella fattispecie, dall’esame degli altri motivi di ricorso emerge altresì che tali obblighi sono stati debitamente rispettati nel corso del processo di riesame dei motivi dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco controverso.

189    Per quanto attiene alla proporzionalità della decisione impugnata alla luce del periodo di tempo trascorso dall’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco controverso, è vero che i capitali del ricorrente erano congelati da poco più di sei anni alla data dell’adozione di detta decisione, la quale è l’unica a essere oggetto del controllo giurisdizionale effettuato dal Tribunale nell’ambito del presente ricorso.

190    Tuttavia, come è stato esposto supra, il mantenimento dell’iscrizione del nominativo del ricorrente nell’elenco del comitato per le sanzioni e, di conseguenza, nell’elenco controverso, previo riesame, si basa non solo sull’esposizione dei motivi iniziale di detto comitato, ma anche su diverse valutazioni più recenti del pericolo per la sicurezza nazionale e internazionale che continuava ad essere rappresentato dal ricorrente, effettuate sia dagli organismi dell’ONU che dalle autorità e dai giudici del Regno Unito competenti. È per questo motivo, in particolare, che, alla data di adozione della decisione impugnata, era trascorso meno di un anno e mezzo da quando la High Court aveva dichiarato valida la valutazione del Security Service secondo la quale il ricorrente continuava ad essere un estremista islamico di prim’ordine con sede nel Regno Unito e avente collegamenti con un numero rilevante di singoli estremisti (v. punto 175 supra).

191    Inoltre, come è già stato esposto supra al punto 181, il Tribunale dichiara che, astenendosi dall’intraprendere una qualunque azione presso il mediatore delle Nazioni Unite (v. supra, punto 179) e rinunciando a proseguire il suo ricorso dinanzi alla High Court (v. supra, punto 180), il ricorrente adotta un comportamento che non contribuisce a eliminare eventualmente i sospetti che gravano legittimamente sullo stesso, alla luce degli elementi di informazione e di prova esaminati supra.

192    Peraltro, il ricorrente non ha presentato alcun elemento di informazione o di prova concreto che possa dimostrare che egli non rappresenta più una minaccia per la sicurezza nazionale e internazionale.

193    In tali circostanze, la decisione impugnata non può essere considerata sproporzionata alla luce del periodo di tempo trascorso dall’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco controverso.

194    Pertanto, il quinto motivo deve essere respinto in quanto infondato e, con esso, il ricorso nel suo insieme.

 Sulle spese

195    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il ricorrente è rimasto soccombente, occorre condannarlo alle spese sostenute dalla Commissione, conformemente alla domanda di quest’ultima.

196    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto in quanto irricevibile per la parte in cui è diretto all’annullamento del regolamento (CE) n. 14/2007 della Commissione, del 10 gennaio 2007, recante settantaquattresima modifica del regolamento (CE) n. 881/2002 che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete AlQaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 del Consiglio, nei limiti in cui tale regolamento riguarda il sig. Mohammed AlGhabra.

2)      Il ricorso è respinto per la restante parte, in quanto infondato.

3)      Il sig. AlGhabra è condannato a sopportare le proprie spese, nonché le spese sostenute dalla Commissione europea.

4)      Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e il Consiglio dell’Unione europea sopporteranno le proprie spese.

Papasavvas

Bieliūnas

Forrester

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2016.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.


1      Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale.