Language of document : ECLI:EU:T:2021:454

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

14 luglio 2021 (*)

«Funzione pubblica – Personale dell’ECDC – Molestie psicologiche – Articolo 12 bis dello Statuto – Domanda di assistenza – Portata del dovere di assistenza – Articolo 24 dello Statuto – Dimissioni dell’autore dei comportamenti denunciati – Mancato avvio di un procedimento disciplinare – Articolo 86 dello Statuto – Risposta alla domanda di assistenza – Ricorso di annullamento – Atto lesivo – Violazione del diritto di essere ascoltato – Difetto di motivazione – Diniego di accesso alla relazione d’indagine e ad altri documenti – Articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali – Responsabilità»

Nella causa T‑65/19,

AI, rappresentato da L. Levi e A. Champetier, avocates,

ricorrente,

contro

Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), rappresentato da J. Mannheim e A. Iber, in qualità di agenti, assistite da D. Waelbroeck e A. Duron, avocats,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 270 TFUE e diretta, da un lato, all’annullamento delle decisioni dell’ECDC del 18 maggio, del 20 giugno e del 26 ottobre 2018 adottate in risposta alla domanda di assistenza del ricorrente per molestie psicologiche nonché alla sua domanda di accesso a taluni documenti e, dall’altro, al risarcimento del danno che egli avrebbe subito,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da R. da Silva Passos, presidente, L. Truchot e M. Sampol Pucurull (relatore), giudici,

cancelliere: S. Spyropoulos, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1° ottobre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        Il ricorrente, AI, è stato assunto dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) il [riservato] (1).

2        Il 20 giugno 2017 il ricorrente ha presentato una domanda di assistenza (in prosieguo: la «prima domanda di assistenza») ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea (in prosieguo: lo «Statuto»), riguardante presunti fatti configuranti molestie psicologiche da parte del suo capo unità, A (in prosieguo: il «capo unità»). Dopo aver descritto in dettaglio tali fatti, il ricorrente ha formulato la seguente domanda:

«Vi sarei grato se poteste aiutarmi a porre fine a questa situazione che mi sta provocando molto disagio e vi sarei altresì grato se poteste verificare se questo comportamento, che percepisco come ripetitivo, aggressivo e abusivo nei miei confronti, configuri una molestia».

3        Il 14 luglio 2017 il ricorrente ha depositato un modulo informativo a integrazione della sua prima domanda di assistenza.

4        Il 7 agosto 2017 l’ECDC ha notificato la prima domanda di assistenza all’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF). Il 27 settembre 2017, a seguito di vari scambi intercorsi con l’ECDC, la capo dell’unità 0.1 dell’OLAF ha inviato una nota alla direttrice dell’ECDC (in prosieguo: la «direttrice»). In tale nota si affermava che l’OLAF non aveva avviato alcuna indagine sui medesimi fatti, che esso prendeva atto del fatto che l’ECDC avrebbe avviato una propria indagine e che, in tali circostanze, lo stesso non avrebbe intrapreso alcuna indagine.

5        Il 28 settembre 2017, B, un ex funzionario della Commissione europea, è stato incaricato dalla direttrice di condurre un’indagine sui comportamenti del capo unità denunciati dal ricorrente e da C, un altro membro del personale dell’ECDC, che aveva parimenti presentato una domanda di assistenza.

6        Con lettera dello stesso giorno, la direttrice ha informato il ricorrente dell’avvio dell’indagine a seguito della sua prima domanda di assistenza e della nomina dell’investigatore. La stessa lo ha altresì informato che, «[a]lla ricezione della relazione di [B], [ella] [avrebbe adottato] una decisione in merito».

7        Il 9 ottobre 2017 il ricorrente è stato sentito una prima volta dall’investigatore.

8        Il 26 ottobre 2017 il ricorrente ha preso contatto con la direttrice per informarla di taluni comportamenti del capo unità, analoghi a quelli precedentemente denunciati nella sua prima domanda di assistenza, che avevano avuto luogo nel corso di una riunione di lavoro tenutasi il giorno precedente. Il ricorrente ha espresso alla direttrice il proprio sentimento di vulnerabilità e la propria inquietudine di fronte alla prospettiva di una riunione prevista per la sera stessa, in presenza anche del capo unità. In tale contesto, il ricorrente ha chiesto di essere sollevato dalle mansioni nell’ambito delle quali era in contatto con il capo unità.

9        La direttrice ha risposto con messaggio di posta elettronica il giorno stesso, comunicando di aver riorganizzato la propria agenda per poter essere presente alla prossima riunione che preoccupava il ricorrente. Al termine di tale riunione, il ricorrente e la direttrice hanno avuto un prima colloquio allo scopo di individuare le mansioni che comportavano un contatto diretto tra quest’ultimo e il capo unità e hanno convenuto di riflettere congiuntamente, nei giorni successivi, su una temporanea soluzione di organizzazione del lavoro del ricorrente fino al termine dell’indagine.

10      Nell’ambito di tale riflessione, il ricorrente ha trasmesso per iscritto alla direttrice una serie di opzioni idonee ad attenuare il rischio di molestie psicologiche. Tra le opzioni elencate «senza alcun ordine particolare», il ricorrente ha suggerito di «trasferire temporaneamente la responsabilità della gestione gerarchica della sezione (...) ad un altro capo unità» o di «cercare di evitare i contatti mediante congedi, telelavoro e orari flessibili».

11      Il 30 ottobre 2017 si è svolta una riunione tra il ricorrente e la direttrice, a seguito della quale quest’ultima gli ha suggerito, con messaggio di posta elettronica del 7 novembre 2017, di optare per un regime di telelavoro occasionale per un periodo più lungo di quello normalmente previsto, a partire dal 9 novembre 2017. Per garantire la propria presenza alle riunioni già programmate e per organizzare il lavoro del proprio gruppo di lavoro, il ricorrente ha infine rinviato l’inizio del regime di telelavoro al 13 novembre 2017.

12      Il 25 novembre 2017 il ricorrente ha avuto un secondo colloquio con l’investigatore, questa volta per telefono, nel corso del quale egli ha descritto a quest’ultimo il comportamento del capo unità durante la riunione del 25 ottobre 2017 e i successivi scambi intercorsi con la direttrice, illustrati ai precedenti punti da 8 a 11.

13      Il 13 dicembre 2017 il ricorrente ha posto fine al proprio periodo di telelavoro occasionale. Nella stessa data, il capo unità ha usufruito delle ferie fino alla fine del 2017. Il ricorrente, a sua volta, ha usufruito delle ferie all’inizio del 2018 e ha ripreso la propria attività il 9 gennaio 2018.

14      Il 21 gennaio 2018, B ha consegnato la propria relazione alla direttrice (in prosieguo: la «relazione d’indagine»).

15      Dopo avere mantenuto il proprio posto per tutto il mese di gennaio 2018, il capo unità è stato collocato in congedo per malattia e sostituito nelle sue funzioni a partire dal 31 gennaio 2018.

16      Il 13 marzo 2018 il ricorrente ha chiesto, sulla base dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, di avere accesso alla relazione d’indagine, comprese le conclusioni e le raccomandazioni in essa contenute.

17      Il 3 aprile 2018 è terminato il congedo per malattia del capo unità. In tale data egli non ha riassunto le sue precedenti funzioni, ma gli sono stati affidate mansioni direttamente assegnate e supervisionate dalla direttrice, senza avere alcun legame gerarchico con il ricorrente.

18      Con decisione del 6 aprile 2018, in risposta alla domanda del ricorrente del 13 marzo 2018 (v. supra, punto 16), la direttrice ha negato a quest’ultimo l’accesso alla relazione d’indagine con la motivazione che il procedimento avviato, a seguito della prima domanda di assistenza, non era stato chiuso. Inoltre, a suo avviso, il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, di cui all’articolo 41, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, consente la tutela dei suoi diritti alla difesa qualora una decisione incida negativamente sui suoi interessi.

19      Il 6 aprile 2018 si è svolta una riunione tra il capo unità e la direttrice, durante la quale quest’ultima lo ha informato oralmente dell’esito dell’indagine.

20      Con lettera del 10 aprile 2018 il ricorrente ha presentato una nuova domanda di assistenza (in prosieguo: la «seconda domanda di assistenza»). In tale domanda, egli denunciava il fatto che il capo unità aveva preso contatto con diversi membri del personale dell’ECDC durante e dopo la redazione della relazione d’indagine per spiegare loro che gli elementi che il ricorrente aveva denunciato nella sua prima domanda di assistenza erano falsità provenienti da un dipendente insoddisfatto. Il ricorrente ha altresì sottolineato che il capo unità era tornato in ufficio e poteva quindi continuare a diffamarlo o a proseguire le molestie psicologiche nei suoi confronti.

21      Con lettera del 16 aprile 2018 il ricorrente ha chiesto per la seconda volta di poter accedere alla relazione d’indagine, sulla base dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, ma anche dell’articolo 13 del regolamento (CE) n. 45/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2000, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati (GU 2001, L 8, pag. 1), e del regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).

22      Una seconda riunione tra la direttrice e il capo unità è stata fissata per il 16 aprile 2018, allo scopo di dare a quest’ultimo la possibilità di esprimersi formalmente sulla relazione d’indagine, che nel frattempo gli era stata comunicata. Su domanda del capo unità, per consentirgli di preparare le sue osservazioni orali, tale riunione è stata rinviata al 2 maggio 2018.

23      Con decisione dell’8 maggio 2018 l’accesso alla relazione d’indagine richiesta dal ricorrente (v. supra, punto 21) è stato nuovamente negato a quest’ultimo in quanto, da un lato, non era stata ancora adottata alcuna decisione lesiva nei suoi confronti e, dall’altro, non era stata dimostrata la necessità di rivelargli dati personali riguardanti il capo unità, altri membri del personale dell’ECDC nonché persone esterne. Inoltre, la domanda di accesso fondata sul regolamento n. 45/2001 è stata trasferita al responsabile della protezione dei dati dell’ECDC.

24      Il 15 maggio 2018 si è svolta una terza riunione tra la direttrice e il capo unità, nel corso della quale la prima lo ha informato della propria intenzione di risolvere il suo contratto sulla base dell’articolo 47, lettera c), punto i), del Regime applicabile agli altri agenti dell’Unione europea nella sua versione applicabile alla controversia (in prosieguo: il «RAA»).

25      Con lettera del 15 maggio 2018, redatta immediatamente dopo la predetta riunione, il capo unità ha rassegnato le proprie dimissioni «nell’interesse del servizio».

26      Con lettera del 16 maggio 2018 indirizzata al capo unità, la direttrice dell’ECDC ha accettato le sue dimissioni. In tale lettera, in primo luogo, la direttrice ha affermato che l’investigatore aveva concluso che, dal suo punto di vista, la prima domanda di assistenza del ricorrente e un’analoga domanda presentata da un altro membro del personale dell’ECDC potevano essere accolte. In secondo luogo, la direttrice ha ricordato le osservazioni formulate dal capo unità. Al riguardo, ad avviso del medesimo, il principio della presunzione d’innocenza non era stato rispettato nel corso dell’indagine, la relazione d’indagine era viziata da diversi errori di fatto, talune persone coinvolte nell’indagine potevano aver agito in malafede e la sua intenzione non era mai stata quella di nuocere ad alcuno, bensì di agire nell’interesse dell’ECDC. In terzo luogo, la direttrice ha dichiarato che aveva rilevato alcuni errori di fatto nella relazione d’indagine e che il capo unità aveva il diritto di agire in merito a taluni problemi di rendimento riguardanti vari membri della sua unità. La direttrice ha tuttavia considerato, dopo aver letto la relazione d’indagine e le gravi affermazioni formulate a suo carico, anche in testimonianze, che le modalità di gestione del capo unità avevano causato stress e ansia inutili per il personale. In tali circostanze, la direttrice ha affermato che non poteva più essere stabilito un rapporto di fiducia tra l’ECDC e il capo unità e che essa intendeva risolvere il suo contratto conformemente all’articolo 47, lettera c), punto i), del RAA. Nondimeno, avendo rilevato che, nel frattempo, il capo unità aveva rassegnato le dimissioni, la direttrice ha accettato queste ultime nei seguenti termini:

«Tuttavia, Lei ha presentato adesso le Sue dimissioni, il che significa in pratica che il Suo ultimo giorno di servizio sarà prima della data effettiva di una cessazione dell’impiego, osservo quindi che è nell’interesse del servizio accettare le Sue dimissioni in data 15 maggio. Dato che il Suo periodo di preavviso è di dieci mesi, il Suo ultimo giorno di servizio sarà il 15 marzo 2019.

Come discusso e concordato durante il nostro incontro, Lei lavorerà dal Suo domicilio durante il periodo di preavviso nelle mansioni da me assegnate.

Nel corso del Suo periodo di preavviso, Lei deve agire conformemente al Suo obbligo di lealtà nei confronti dell’ECDC ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto».

27      Il 18 maggio 2018 la direttrice ha inviato al ricorrente una lettera avente ad oggetto la sua prima domanda di assistenza (in prosieguo: la «prima decisione impugnata»). Tale lettera era formulata nei seguenti termini:

«A seguito della mia lettera del 28 settembre 2017, nella quale La informavo dell’avvio dell’indagine a seguito della Sua [prima] domanda di assistenza per molestie psicologiche [del] (...) capo unità (...), Le scrivo adesso per informarLa della conclusione dell’indagine e della relativa procedura. Alla fine di gennaio ho ricevuto la relazione dell’investigatore esterno, [B]. Le risultanze dell’indagine confermano la Sua versione nonché quella di un altro denunciante, anch’essa suffragata da svariate testimonianze. L’investigatore conclude che, dal suo punto di vista, le due denunce per molestie possono essere accolte.

Come Lei sa, [il capo unità] è stato assente nella prima parte dell’anno e ho quindi potuto concludere il procedimento solo ora. Ho comunicato le conclusioni della relazione d’indagine a[l capo unità] in aprile, dopo il suo ritorno in ufficio, e, conformemente alla procedura, gli ho dato l’opportunità di comunicarmi il suo punto di vista sulle risultanze dell’indagine.

Dopo aver letto la relazione e tenuto conto delle informazioni di cui dispongo, sono giunta alla conclusione che vi erano stati elementi di molestie psicologiche. Posso peraltro constatare che la relazione contiene alcuni errori di fatto. Pur tenendo conto del fatto che [il capo unità], nel suo ruolo (...), doveva agire riguardo a talune questioni, ritengo tuttavia che il modo in cui egli ha affrontato tali difficoltà e il suo metodo di gestione hanno provocato stress e ansia inutili per il personale. Di conseguenza, stavo valutando opportuni provvedimenti, ma, nel frattempo, [il capo unità] ha rassegnato le dimissioni dalla sua posizione e non si presenterà più in ufficio. Tenuto conto della sua precedente assenza e della sua successiva riassegnazione all’ufficio della direttrice, e dal momento che egli ha presentato le sue dimissioni, mi auguro che la Sua [prima] domanda di assistenza sia stata ascoltata e che la situazione che La affliggeva sia venuta meno».

28      Il 29 maggio 2018 il capo unità ha presentato una domanda di assistenza in ragione della divulgazione di informazioni riservate relative all’indagine di cui era oggetto nei media svedesi nonché di minacce anonime che avrebbe ricevuto. Tale domanda ha dato luogo all’avvio di un’indagine amministrativa nel corso della quale è stato ascoltato il ricorrente.

29      Con lettera del 30 maggio 2018 il ricorrente ha chiesto, per la terza volta, di accedere alla relazione d’indagine, facendo riferimento anche in tale domanda a tutti i documenti sulla base dei quali la direttrice dell’ECDC aveva adottato la prima decisione impugnata, compresi quelli sulla base dei quali ella aveva ritenuto che la relazione d’indagine contenesse «alcuni errori di fatto» (in prosieguo: la «domanda di accesso controversa»). Detta domanda è stata presentata sulla base dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali. Secondo il ricorrente, tale accesso diventava necessario alla luce della prima decisione impugnata e cruciale alla luce della sua seconda domanda di assistenza. Nella stessa lettera, il ricorrente ha chiesto ulteriori precisazioni in merito alla situazione contrattuale del capo unità dopo le sue dimissioni, menzionata nella prima decisione impugnata.

30      Con lettera dello stesso giorno successiva alla decisione dell’8 maggio 2018 (v. supra, punto 23), il ricorrente ha presentato una domanda di conferma di accesso alla relazione d’indagine, in base all’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001.

31      Con lettera del 20 giugno 2018, indirizzata ai legali del ricorrente (in prosieguo: la «seconda decisione impugnata»), la direttrice ha respinto la domanda di accesso controversa, menzionata al precedente punto 29, nei seguenti termini:

«Avete dichiarato che [l]a domanda del [Vostro cliente] si fonda sul fatto che [egli] si considera leso dalla [prima] decisione [impugnata], comunicatagli con la lettera del 18 maggio 2018. Dopo aver debitamente valutato gli argomenti presentati, non vedo come l’interesse del Vostro cliente possa essere leso, in quanto non ho respinto la [prima] domanda di assistenza come infondata. Inoltre, il Vostro cliente ha avuto la possibilità di esporre il proprio punto di vista nel corso dell’indagine. Neppure la [seconda] domanda di assistenza (...) presentata dal Vostro cliente in data 10 aprile 2018 può giustificare una siffatta domanda, poiché in merito a tale domanda non è stata ancora tratta alcuna conclusione.

Confermo quindi le mie conclusioni secondo cui l’accesso alla relazione e agli altri documenti non è necessario sulla base dell’articolo 41 della Carta [dei diritti fondamentali].

Ritengo che tali conclusioni siano conformi alla giurisprudenza [dell’Unione], secondo la quale, per interpretare la portata del diritto della difesa, la situazione di un procedimento di indagine avviato a seguito di una domanda di assistenza per molestie da parte di un membro del personale non può, in nessun caso, essere assimilata al procedimento di indagine avviato contro tale membro. In casi simili, il diritto di accesso al fascicolo, fondato sulla Carta dei diritti fondamentali, è stato persino negato ai denuncianti quando si è concluso che l’esistenza di molestie non poteva essere dimostrata».

32      Con lettera dello stesso giorno (in prosieguo: la «seconda lettera del 20 giugno 2018»), la direttrice ha risposto alla domanda di conferma di accesso alla relazione d’indagine presentata il 30 maggio 2018 sulla base del regolamento n. 1049/2001 (v. supra, punto 30) e alla domanda del ricorrente presentata il 16 aprile 2018 sulla base del regolamento n. 45/2001 (v. supra, punto 21). In tale lettera, la direttrice ha concluso che il ricorrente poteva, da un lato, consultare in loco una versione non riservata della relazione d’indagine e, dall’altro, ricevere un documento contenente i suoi dati personali, messi a sua disposizione conformemente all’articolo 13 del regolamento n. 45/2001.

33      Il 2 luglio 2018 il ricorrente ha presentato un reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, contestando la prima e la seconda decisione impugnata. In tale reclamo egli ha presentato una domanda di risarcimento dei danni morali che gli sarebbero stati cagionati dal mancato pieno riconoscimento del suo status di vittima, dalla mancata irrogazione di sanzioni disciplinari nei confronti del capo unità e dalla omessa adozione di provvedimenti di tutela a seguito della sua prima domanda di assistenza. Tali danni sarebbero stati resi ancor più gravi, in particolare, dal diniego di accesso alla relazione d’indagine. Il ricorrente ha precisato che «i danni derivanti direttamente dalle molestie e dall’illecito dell’ECDC per [non] aver garanti[to] condizioni di lavoro conformi alle norme in materia di dignità, di salute e di sicurezza [sarebbero stati] oggetto di domande separate».

34      Con lettera del 7 settembre 2018 la direttrice ha informato il ricorrente, dopo aver interrogato alcuni membri del personale, che non esisteva alcuna prova che confermasse le affermazioni da egli formulate nella seconda domanda di assistenza (v. supra, punto 20) e ha respinto quest’ultima.

35      Il 12 settembre 2018 il ricorrente ha potuto consultare in loco una versione non riservata della relazione d’indagine. Egli ha firmato un foglio di presenza in cui precisava, in forma manoscritta, che contestava le condizioni di accesso a tale relazione.

36      L’11 ottobre 2018 il ricorrente e altri quattro membri del personale dell’ECDC hanno presentato una domanda risarcitoria ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, chiedendo il risarcimento dei danni morali e materiali dagli stessi subiti a causa dell’inerzia dell’ECDC tra il 2012 e il 2018 di fronte al comportamento del capo unità nei loro confronti.

37      Con lettera del 26 ottobre 2018 (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»), la direttrice ha respinto il reclamo del ricorrente del 2 luglio 2018 (v. supra, punto 33). Anzitutto, la direttrice ha contestato la ricevibilità del reclamo, facendo valere che la prima decisione impugnata non costituiva un atto che recava pregiudizio al ricorrente. Essa ha poi affermato che il comportamento del capo unità non era stato minimizzato in tale decisione. La direttrice ha precisato che, «data la gravità del comportamento [del capo unità], [ella aveva] valuta[to] opportuni provvedimenti per gestire l’esito della relazione d’indagine». Ella ha altresì ricordato che la prima domanda di assistenza del ricorrente mirava a «porre fine alla situazione e ad investigare sui fatti lamentati». La stessa ha altresì descritto le misure di protezione prese nei confronti del ricorrente prima dell’adozione della prima decisione impugnata. Inoltre, ha dichiarato di aver accettato le dimissioni del capo unità «nell’interesse del servizio». In aggiunta, la direttrice ha sottolineato che il ricorrente aveva potuto consultare una versione non riservata della relazione d’indagine il 12 settembre 2018. A suo avviso, un accesso completo alla relazione non gli era stato accordato a motivo della tutela della riservatezza dei colloqui con i testimoni e con lo stesso capo unità, del carattere sensibile della questione e della necessità di preservare la capacità dell’ECDC di condurre indagini. Infine, la direttrice ha respinto la domanda risarcitoria formulata nel reclamo.

38      Il 21 novembre 2018 il ricorrente ha presentato una denuncia presso il Mediatore europeo relativa alla seconda lettera del 20 giugno 2018, menzionata al precedente punto 32.

39      Il 5 dicembre 2018 il ricorrente ha presentato un reclamo ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto avverso la lettera del 7 settembre 2018 riguardante la sua seconda domanda di assistenza (v. supra, punto 34).

40      L’11 febbraio 2019 la direttrice ha respinto integralmente la domanda risarcitoria menzionata al precedente punto 36.

41      Con lettera del 6 marzo 2019 la lettera del 7 settembre 2018 che respingeva la seconda domanda di assistenza (v. supra, punto 34) è stata revocata dalla direttrice a seguito del reclamo del ricorrente del 5 dicembre 2018.

42      Con lettera datata 15 marzo 2019 la direttrice ha fornito al ricorrente una sintesi delle dichiarazioni dei vari testimoni ascoltati a seguito della seconda domanda di assistenza e lo ha invitato ad un colloquio, che si è tenuto il 25 marzo 2019.

43      Il 15 marzo 2019 il capo unità ha lasciato definitivamente l’ECDC dopo il periodo di preavviso.

44      Con lettera del 5 aprile 2019 la direttrice ha informato il ricorrente che, in difetto di una motivazione che giustificasse un approfondimento dell’esame dei fatti di cui alla seconda domanda di assistenza, essa aveva deciso di respingere tale domanda.

45      Con decisione del 6 giugno 2019 il Mediatore ha ritenuto che l’ECDC non avesse dato prova di cattiva amministrazione concedendo al ricorrente, nella seconda lettera del 20 giugno 2018, solo un accesso parziale alla relazione d’indagine.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

46      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 febbraio 2019, il ricorrente ha presentato il presente ricorso.

47      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 febbraio 2019, il ricorrente ha chiesto che gli fosse concesso l’anonimato in applicazione dell’articolo 66 del regolamento di procedura del Tribunale. Con decisione del 30 aprile 2019, il Tribunale ha accolto tale domanda.

48      Con decisione del 21 ottobre 2019 il presidente del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 3, del regolamento di procedura, ha riassegnato la causa a un nuovo giudice relatore, assegnato alla Settima Sezione.

49      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Settima Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento il 26 maggio 2020.

50      Con ordinanza del 19 giugno 2020 il Tribunale, sulla base dell’articolo 91, lettera c), e dell’articolo 104 del regolamento di procedura, ha ordinato all’ECDC di produrre i documenti ai quali era stato negato l’accesso con la seconda decisione impugnata. Tali documenti sono stati trasmessi al Tribunale il 27 agosto 2020 e non sono stati notificati al ricorrente, conformemente all’articolo 104 del regolamento di procedura.

51      Il 24 giugno 2020, su proposta del giudice relatore, il Tribunale, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha posto vari quesiti scritti alle parti e ha chiesto la produzione di taluni documenti. Le parti hanno ottemperato a tali misure entro il termine loro impartito.

52      Le parti hanno svolto le proprie difese e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 1º ottobre 2020.

53      Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la prima e la seconda decisione impugnata e, se del caso, la decisione di rigetto del reclamo;

–        disporre il risarcimento del danno morale subito, valutato ex aequo et bono nella somma di EUR 40 000;

–        condannare l’ECDC alle spese.

54      L’ECDC chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto parzialmente irricevibile e integralmente infondato;

–        condannare il ricorrente alle spese.

III. In diritto

A.      Sull’oggetto del ricorso

55      Il ricorrente chiede al Tribunale, oltre all’annullamento della prima e della seconda decisione impugnata, l’annullamento, «se del caso», della decisione di rigetto del reclamo.

56      Secondo una giurisprudenza costante, una domanda di annullamento formalmente diretta contro la decisione di rigetto di un reclamo ha l’effetto di sottoporre al Tribunale l’atto contro il quale il reclamo è stato presentato, qualora essa sia, in quanto tale, priva di contenuto autonomo (v. sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 63 e giurisprudenza citata).

57      Tuttavia, qualora la decisione di rigetto del reclamo abbia una portata diversa rispetto a quella dell’atto oggetto del reclamo, in particolare quando essa modifica la decisione originaria o contiene un riesame della posizione del ricorrente sulla scorta di nuove circostanze di diritto e di fatto che, se si fossero verificate o fossero state note all’autorità competente prima dell’adozione della decisione originaria, sarebbero state prese in considerazione, il Tribunale può essere tenuto a pronunciarsi specificamente sulla domanda formalmente diretta contro la decisione di rigetto del reclamo (v. sentenza del 19 dicembre 2019, ZQ/Commissione, T‑647/18, non pubblicata, EU:T:2019:884, punto 36 e giurisprudenza citata).

58      Nel caso di specie, la decisione di rigetto del reclamo non è meramente confermativa della seconda decisione impugnata, in quanto la direttrice ha preso posizione su elementi nuovi emersi dopo l’adozione di quest’ultima e dopo la data del reclamo. Infatti, per quanto riguarda i documenti ai quali l’accesso era stato negato dalla seconda decisione impugnata, la direttrice ha constatato che il ricorrente aveva potuto infine consultare in loco, il 12 settembre 2018, una versione non riservata della relazione d’indagine nonché ottenere, sulla base dell’articolo 13 del regolamento n. 45/2001, un documento contenente i suoi dati personali.

59      In simili circostanze, è necessario pronunciarsi sulla domanda di annullamento tanto della prima e della seconda decisione impugnata quanto della decisione di rigetto del reclamo.

60      Inoltre, la decisione di rigetto del reclamo precisa taluni motivi della prima e della seconda decisione impugnata. Per quanto riguarda la prima decisione impugnata, essa riconosce la «gravità» del comportamento del capo unità e fornisce precisazioni, in particolare, circa le circostanze che hanno indotto la direttrice ad accettare, «nell’interesse del servizio», le dimissioni di quest’ultimo. Per quanto riguarda la seconda decisione impugnata, essa aggiunge che un accesso completo alla relazione d’indagine non era stato concesso al ricorrente a motivo della tutela della riservatezza dei colloqui con i testimoni e con lo stesso capo unità, del carattere sensibile della questione e della necessità di preservare la capacità dell’ECDC di condurre indagini. Di conseguenza, tenuto conto del carattere evolutivo del procedimento precontenzioso, tale motivazione complementare dovrà parimenti essere tenuta in considerazione ai fini dell’esame della legittimità dalla prima e della seconda decisione impugnata, presumendosi che detta motivazione coincida con quella di queste ultime (v., in questo senso, sentenza del 9 dicembre 2009, Commissione/Birkhoff, T‑377/08 P, EU:T:2009:485, punti 55 e 56 e giurisprudenza citata).

B.      Sulla domanda d’annullamento

1.      Sulla domanda di annullamento della prima decisione impugnata

61      Il ricorrente deduce tre motivi a sostegno della sua domanda di annullamento della prima decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo. Il primo motivo verte sulla violazione del diritto di essere ascoltati, il secondo sulla violazione dell’obbligo di motivazione e il terzo, in sostanza, sulla violazione degli articoli 24 e 86 dello Statuto.

62      L’ECDC chiede al Tribunale di dichiarare tale domanda di annullamento manifestamente irricevibile, in assenza di un atto lesivo per il ricorrente. In subordine, esso chiede al Tribunale di respingere i tre motivi in quanto infondati.

a)      Considerazioni preliminari

63      In via preliminare, occorre ricordare gli obblighi che incombono sull’amministrazione quando una domanda di assistenza viene formulata da un funzionario o da un agente.

64      Quando all’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») o, a seconda dei casi, all’autorità abilitata a concludere contratti di assunzione (in prosieguo: l’«AACC») di un’istituzione venga rivolta, conformemente all’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto, una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 di quest’ultimo, essa è tenuta, in virtù dell’obbligo di assistenza e se si trova di fronte a un incidente incompatibile con l’ordine e la serenità del servizio, a intervenire con tutta l’energia necessaria, rispondendo con la tempestività e la sollecitudine richieste dalle circostanze del caso specifico al fine di accertare i fatti e di trarne, con cognizione di causa, le opportune conclusioni. A tal fine, è sufficiente che il funzionario o l’agente che chiede la tutela della sua istituzione fornisca un principio di prova della sussistenza delle asserite aggressioni subite. In presenza di tali elementi, l’istituzione di cui trattasi è tenuta ad adottare gli opportuni provvedimenti, in particolare procedendo ad un’indagine amministrativa, al fine di accertare i fatti all’origine della denuncia, in collaborazione con l’autore di quest’ultima e, alla luce delle risultanze dell’indagine, ad adottare i provvedimenti necessari, come l’avvio di un procedimento disciplinare a carico della persona chiamata in causa qualora l’amministrazione concluda, in esito all’indagine amministrativa, nel senso dell’esistenza di molestie psicologiche (v. sentenza del 3 ottobre 2019, DQ e a./Parlamento, T‑730/18, EU:T:2019:725, punto 80 e giurisprudenza citata).

65      L’obbligo di assistenza di cui all’articolo 24 dello Statuto impone di informare tempestivamente i richiedenti l’assistenza del seguito riservato alla loro domanda. In particolare, qualora sia avviato un procedimento disciplinare, il richiedente l’assistenza deve essere informato della natura e della gravità della sanzione inflitta (v., in questo senso, sentenza del 3 ottobre 2019, DQ e a./Parlamento, T‑730/18, EU:T:2019:725, punto 108 e giurisprudenza citata). Inoltre, in presenza di una domanda di assistenza relativa a presunti atti di molestie, qualunque decisione dell’amministrazione circa l’esistenza o l’inesistenza di detti atti deve essere rapida, esplicita e motivata (v., in questo senso, sentenza del 5 dicembre 2000, Campogrande/Commissione, T‑136/98, EU:T:2000:281, punto 58).

66      Si deve rilevare, poi, che l’eventuale riconoscimento, da parte dell’APN, al termine dell’indagine amministrativa, dell’esistenza di molestie psicologiche è, di per se stesso, in grado di avere un effetto benefico nel processo terapeutico di ricostruzione delle vittime e può inoltre essere utilizzato dalle stesse ai fini di un’eventuale azione giudiziaria nazionale (v. sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 59 e giurisprudenza citata).

67      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare la ricevibilità della domanda di annullamento della prima decisione impugnata e la sua fondatezza.

b)      Sulla ricevibilità

68      Senza sollevare formalmente un’eccezione di irricevibilità parziale del ricorso, l’ECDC sostiene che la domanda di annullamento della prima decisione impugnata è manifestamente irricevibile. Secondo l’ECDC, l’indagine amministrativa non è stata chiusa senza seguito. Contrariamente ad altri casi esaminati dalla giurisprudenza, nella fattispecie in esame non vi sarebbe stato rigetto della denuncia. Al contrario, la prima domanda di assistenza del ricorrente, intesa ad aiutarlo a porre fine alla situazione e ad esaminare il comportamento del capo unità, sarebbe stata integralmente accolta.

69      Anzitutto, a parere dell’ECDC, in seguito a tale domanda sono state adottate varie misure, la prima delle quali è stata la consultazione dell’OLAF il 7 agosto 2017. L’indagine è stata avviata dalla direttrice dopo la conferma da parte dell’OLAF del mancato avvio di indagini su iniziativa di quest’ultimo. A partire dal 26 ottobre 2017 il ricorrente non è più stato in contatto diretto con il capo unità. Successivamente, sulla base della relazione d’indagine, la direttrice ha accettato le dimissioni del capo unità il 16 maggio 2018, con effetto dal 16 marzo 2019, ossia un mese e mezzo prima che questi raggiungesse l’età del suo collocamento a riposo, nell’interesse del servizio. L’ECDC sostiene che l’avvio di un procedimento disciplinare può esigere un notevole lasso di tempo e non comporta necessariamente il licenziamento della persona interessata, che configura la sanzione più elevata. Infine, sarebbero state introdotte misure di controllo durante il periodo di preavviso del capo unità. In particolare, egli avrebbe lavorato a distanza su mansioni direttamente assegnate e supervisionate dalla direttrice. Peraltro, nell’ambito della seconda domanda di assistenza, il ricorrente non avrebbe fornito alcuna prova del fatto che la situazione di molestie psicologiche si fosse protratta dopo l’adozione della prima decisione impugnata.

70      Per quanto riguarda, poi, la presunta minimizzazione della gravità del comportamento del capo unità, l’ECDC ritiene che essa non sia desumibile né dal testo della prima decisione impugnata né, più in generale, dall’insieme dei provvedimenti adottati dalla direttrice a seguito della prima domanda di assistenza.

71      Da ultimo, per quanto riguarda le sanzioni che, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto essere inflitte, l’ECDC aggiunge di non essere tenuto ad avviare un procedimento disciplinare né ad infliggere una sanzione qualora la relazione redatta in esito ad un’indagine proponga l’avvio di un siffatto procedimento. Una domanda di assistenza non mirerebbe, di per sé, ad imporre sanzioni al presunto autore delle molestie psicologiche, ma piuttosto ad assistere il richiedente nell’ambito della sua iniziativa. D’altra parte, la situazione in esame sarebbe particolare, a causa delle dimissioni del capo unità. In ogni caso, la discussione sulla fondatezza della sanzione non sarebbe legata alla questione se la prima decisione impugnata abbia recato pregiudizio al ricorrente. Nel corso dell’udienza, l’ECDC ha sottolineato inoltre che, nella sua prima domanda di assistenza, il ricorrente non aveva chiesto alla direttrice l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del capo unità.

72      Dal canto suo, il ricorrente fa valere che, contrariamente a quanto sostenuto dall’ECDC nella decisione di rigetto del reclamo e nell’ambito del presente ricorso, la prima decisione impugnata è un atto lesivo nei suoi confronti. A tal riguardo, egli sottolinea che, nonostante i provvedimenti adottati dalla direttrice nel corso dell’indagine amministrativa descritti al precedente punto 69, la prima decisione impugnata non gli ha dato piena soddisfazione. Da un lato, la direttrice non avrebbe riconosciuto, in modo chiaro e inequivocabile, che il capo unità fosse colpevole di molestie psicologiche di cui il ricorrente era vittima. L’uso dell’espressione «elementi di molestia» in tale decisione confermerebbe l’ambiguità di quest’ultima e minimizzerebbe l’impatto del comportamento del capo unità nei suoi confronti. Dall’altro, mentre l’investigatore aveva riconosciuto la fondatezza della sua denuncia, la direttrice non avrebbe adottato alcun «opportuno provvedimento» a motivo delle dimissioni volontarie del capo unità. In particolare, non sarebbe stato avviato alcun procedimento disciplinare.

73      Ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 1, prima frase, dello Statuto, la Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a dirimere ogni controversia tra l’Unione europea e una delle persone indicate nello Statuto circa la legalità di un atto che rechi pregiudizio a detta persona ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, di tale Statuto.

74      Secondo una giurisprudenza costante, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, sono atti che arrecano pregiudizio solamente gli atti o i provvedimenti che producono effetti giuridici vincolanti idonei a incidere in modo immediato e diretto sugli interessi di un funzionario o di un agente, modificandone in misura rilevante la situazione giuridica. Simili atti devono promanare, per quanto riguarda un agente soggetto al RAA, dall’AACC ed avere carattere decisionale (v. sentenza del 18 maggio 2015, Gyarmathy/OEDT, F‑79/13, EU:F:2015:49, punto 44 e giurisprudenza citata). La nozione di atto che arreca pregiudizio comprende sia le decisioni che le omissioni di una misura imposta all’amministrazione, espressamente o implicitamente, dallo Statuto per garantire i diritti dei funzionari (v. ordinanza del 25 ottobre 1996, Lopes/Corte di giustizia, T‑26/96, EU:T:1996:157, punto 31 e giurisprudenza citata).

75      Inoltre, affinché un funzionario o un ex funzionario possa chiedere, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi degli articoli 90 e 91 dello Statuto, l’annullamento di un atto che gli reca pregiudizio, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello Statuto, egli deve possedere, al momento della proposizione del ricorso, un interesse effettivo e attuale, sufficientemente rilevante, all’annullamento di tale atto, interesse che presuppone che la domanda, con il suo esito, possa procurargli un beneficio (v. sentenza del 9 dicembre 2010, Commissione/Strack, T‑526/08 P, EU:T:2010:506, punto 43 e giurisprudenza citata).

76      Nel caso di specie, la prima decisione impugnata è stata adottata dalla direttrice, nella sua qualità di AACC, in risposta alla prima domanda di assistenza del ricorrente, al fine di comunicargli la conclusione dell’indagine avviata il 28 settembre 2017 e l’esito della relativa procedura, nel rispetto degli obblighi imposti dall’articolo 90, paragrafo 1, e dall’articolo 24 dello Statuto. In particolare, sulla base della relazione d’indagine e degli elementi messi a sua disposizione, la direttrice ha qualificato i comportamenti denunciati alla luce dell’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello Statuto e ha informato il ricorrente del seguito dato a tale domanda di assistenza. Detta decisione produce quindi effetti giuridici tali da incidere sugli interessi del ricorrente. La prima decisione impugnata riveste quindi carattere decisionale e costituisce un atto che arreca pregiudizio ai sensi della giurisprudenza richiamata al precedente punto 74.

77      Per quanto riguarda l’interesse ad agire del ricorrente nei confronti della prima decisione impugnata, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata al precedente punto 64, la direttrice era tenuta, in risposta alla prima domanda di assistenza, da un lato, ad adottare gli opportuni provvedimenti al fine di accertare i fatti all’origine di tale domanda e, dall’altro, alla luce delle risultanze dell’indagine, ad adottare i provvedimenti necessari.

78      È stato statuito che è inerente ai requisiti di un sindacato giurisdizionale effettivo che il richiedente l’assistenza possa contestare, nell’ambito del suo ricorso avverso la decisione sulla sua domanda, l’inadeguatezza dei provvedimenti adottati in risposta a detta domanda, anche qualora questi contesti all’autore di simili provvedimenti il fatto di non aver avviato il procedimento disciplinare nei confronti di un terzo riconosciuto colpevole di molestie psicologiche, a condizione che egli faccia valere censure personali (v., in questo senso, sentenza del 13 luglio 2018, SQ/BEI, T‑377/17, EU:T:2018:478, punto 124).

79      Come risulta dai successivi punti da 85 a 116, nell’ambito del terzo motivo dedotto contro la prima decisione impugnata, le parti controvertono sulla questione se la direttrice abbia rispettato il suo dovere di assistenza. Contrariamente al ricorrente, l’ECDC ritiene che la direttrice abbia pienamente accolto la prima domanda di assistenza. I medesimi argomenti sono invocati dall’ECDC per contestare la ricevibilità della presente domanda di annullamento con la motivazione che la prima decisione impugnata non configurerebbe un atto che reca pregiudizio al ricorrente.

80      Orbene, l’ECDC non può far dipendere l’interesse ad agire del ricorrente avverso la prima decisione impugnata dalla fondatezza delle censure che egli adduce a sostegno della sua domanda di annullamento (v., in questo senso, sentenza del 4 luglio 2017, European Dynamics Luxembourg e a./ Agenzia dell’Unione europea per le ferrovie, T‑392/15, EU:T:2017:462, punto 41 e giurisprudenza citata). In proposito, occorre ricordare che l’interesse di un ricorrente all’annullamento di un atto presuppone che tale annullamento possa procurargli un vantaggio e non che sia certo che esso gli procurerà un siffatto vantaggio (sentenza del 23 ottobre 2012, Strack/Commissione, F‑44/05 RENV, EU:F:2012:144, punto 101).

81      Nel caso di specie, nell’ipotesi in cui il Tribunale ritenesse fondata la domanda di annullamento della prima decisione impugnata, ciò implicherebbe la successiva adozione, da parte della direttrice, di una nuova decisione in risposta alla prima domanda di assistenza del ricorrente, che potrebbe dimostrare in modo più chiaro i fatti e, se del caso, comportare l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del capo unità. In tal senso, il presente ricorso può procurargli un vantaggio. Pertanto, il ricorrente ha un interesse ad agire contro la prima decisione impugnata.

82      Contrariamente a quanto fatto valere dall’ECDC nel corso dell’udienza, il fatto che il ricorrente non abbia formalmente richiesto alla direttrice, nella prima domanda di assistenza, l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del capo unità non può rimettere in discussione il suo interesse ad agire. Infatti, come ricordato al precedente punto 64, affinché l’autorità investita di una domanda di assistenza sia tenuta ad accertare i fatti controversi e a trarne le conseguenze appropriate, incluso l’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti della persona chiamata in causa, è sufficiente che il funzionario o l’agente che chiede la tutela della propria istituzione fornisca nella sua domanda di assistenza un principio di prova della sussistenza delle aggressioni di cui asserisce essere oggetto.

83      Dall’insieme delle considerazioni che precedono consegue che l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’ECDC deve essere respinta.

c)      Nel merito

84      Il Tribunale ritiene opportuno analizzare anzitutto il terzo motivo, prima di esaminare il primo e il secondo motivo.

1)      Sul terzo motivo, vertente, in sostanza, sulla violazione degli articoli 24 e 86 dello Statuto

85      Il terzo motivo è presentato nell’atto introduttivo del ricorso sotto il titolo «Errore manifesto di valutazione ed errore di fatto manifesto – Violazione dell’articolo 86 dello Statuto». Come il ricorrente ha dichiarato durante l’udienza in risposta ad un quesito del Tribunale, tale motivo verte, in sostanza, sulla violazione degli articoli 24 e 86 dello Statuto. Infatti, anche se il ricorrente fa formalmente riferimento nelle sue memorie solo all’articolo 86 dello Statuto, la violazione dell’articolo 24 dello Statuto si evince dagli argomenti addotti a sostegno di tale motivo, secondo i quali la risposta fornita dall’ECDC alla sua prima domanda di assistenza non è soddisfacente, in sostanza, per due ragioni.

86      Da un lato, la direttrice non avrebbe qualificato «nella debita forma» i comportamenti denunciati come molestie psicologiche né informato il ricorrente delle condizioni in cui il capo unità aveva rassegnato le proprie dimissioni e avrebbe eseguito il preavviso, in violazione dell’articolo 24 dello Statuto.

87      Dall’altro, l’accettazione delle dimissioni del capo unità senza avviare un procedimento disciplinare non sarebbe conforme agli articoli 24 e 86 dello Statuto.

88      Va osservato che dalle memorie del ricorrente l’ECDC ha potuto desumere che quest’ultimo aveva fondato il terzo motivo dedotto a sostegno della domanda di annullamento della prima decisione impugnata, in modo implicito ma inequivocabile, in particolare sulle disposizioni dell’articolo 24 dello Statuto. Infatti, dalle memorie dell’ECDC emerge che gli argomenti sviluppati in sua difesa da quest’ultimo mirano a confutare la censura secondo cui i fatti all’origine della prima domanda di assistenza non sarebbero stati sufficientemente qualificati come molestie psicologiche, in violazione del citato articolo 24, e non soltanto a contestare una domanda del ricorrente, fondata sull’articolo 86 dello Statuto, diretta ad ottenere l’avvio di procedimenti disciplinari. Ne consegue che l’eccezione di irricevibilità relativa al terzo motivo, sollevata dall’ECDC nel corso dell’udienza e relativa al fatto che tale motivo sarebbe stato fondato tardivamente sull’articolo 24 dello Statuto, deve essere respinta.

i)      Sulla violazione dell’articolo 24 dello Statuto a causa della mancata qualificazione dei fatti, «nella debita forma», come molestie psicologiche e della mancata descrizione dei provvedimenti adottati nei confronti del capo unità

89      Il ricorrente rileva che la prima decisione impugnata si basa sulla relazione d’indagine, il cui contenuto non gli è stato comunicato, per concludere che vi erano «elementi» di molestie psicologiche. Così facendo, l’ECDC non avrebbe confermato espressamente che il comportamento del capo unità costituiva una molestia psicologica ai sensi dell’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello Statuto. Orbene, alla luce della relazione d’indagine e delle testimonianze del ricorrente e di altri membri del personale dell’ECDC, tale comportamento avrebbe dovuto essere qualificato come molestia «nella debita forma». In risposta alla prima domanda di assistenza, l’ECDC avrebbe dovuto prendere una posizione chiara quanto all’esistenza o meno di molestie psicologiche.

90      Inoltre, i provvedimenti adottati dall’ECDC nei confronti del capo unità non sarebbero una risposta sufficiente alla prima domanda di assistenza del ricorrente. A tal riguardo, quest’ultimo fa valere che, al momento della proposizione del ricorso, nessuno conosceva con certezza lo status professionale del capo unità all’interno dell’ECDC, né la sua posizione, né, più specificamente, le condizioni in cui questi aveva rassegnato le dimissioni. In tali circostanze, egli sarebbe stato in grado di diffamare il ricorrente durante il periodo di preavviso, come quest’ultimo ha denunciato nella sua seconda domanda di assistenza.

91      L’ECDC controbatte che la prima decisione impugnata non minimizza la condotta del capo unità. L’ECDC non avrebbe mai ritenuto che i fatti denunciati non costituissero una molestia «totale» ai sensi dell’articolo 12 bis dello Statuto. Inoltre, non sarebbe stata sancita alcuna impunità, in quanto l’ECDC ha pienamente accolto la prima domanda di assistenza del ricorrente.

92      In risposta ad un quesito posto dal Tribunale nel corso dell’udienza, l’ECDC ha spiegato che le persone coinvolte nei fascicoli che il capo unità supervisionava erano state informate delle sue dimissioni e del fatto che questi avrebbe lasciato l’ECDC dopo il periodo di preavviso. Una lettera sarebbe stata parimenti inviata al comitato direttivo dell’ECDC, composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri, in cui erano esposte la constatazione delle molestie psicologiche e le circostanze in cui il capo unità lasciava il servizio. I membri di tale comitato sarebbero stati quindi informati delle circostanze esatte in cui il capo unità era stato indotto a lasciare le sue funzioni.

93      In proposito, occorre ricordare che l’obiettivo di un’indagine amministrativa è quello di accertare i fatti e di trarne, con cognizione di causa, le dovute conseguenze tanto con riferimento al caso oggetto dell’indagine quanto, in termini generali e al fine di conformarsi al principio di buona amministrazione, per evitare che una situazione del genere si ripeta in futuro (v. sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 59 e giurisprudenza citata).

94      Quando, in risposta a una domanda di assistenza per presunti fatti di molestie, l’APN o l’AACC ritenga di essere in presenza di un principio di prova sufficiente, che imponga l’avvio di un’indagine amministrativa, occorre necessariamente che tale indagine sia portata a termine affinché l’amministrazione, alla luce delle conclusioni di tale indagine, possa prendere una posizione definitiva al riguardo, che le consenta allora di archiviare la domanda di assistenza oppure, qualora i fatti dedotti risultino accertati e rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 12 bis dello Statuto, di promuovere segnatamente un procedimento disciplinare al fine, se del caso, di adottare sanzioni disciplinari nei confronti del presunto molestatore (v., in questo senso, sentenza del 24 aprile 2017, HF/Parlamento, T‑570/16, EU:T:2017:283, punti 56 e 57 e giurisprudenza citata).

95      L’accertamento dei fatti da parte dell’istituzione al termine dell’indagine è essenziale per la persona che si ritenga vittima di molestie. Una situazione di molestie, qualora sia accertata, è lesiva della personalità, della dignità e dell’integrità fisica o psichica della vittima. Come ricordato al precedente punto 66, il riconoscimento, a seguito dell’indagine amministrativa, dell’esistenza di molestie psicologiche può di per sé avere un effetto benefico nel processo terapeutico di ricostruzione della vittima. Esso può, inoltre, essere da quest’ultima utilizzato ai fini di un’eventuale azione giudiziaria nazionale. Ne consegue che l’indagine amministrativa deve condurre l’APN o l’AACC a prendere una posizione definitiva sull’esistenza o meno di molestie ai sensi dell’articolo 12 bis dello Statuto.

96      Nel caso di specie, la direttrice ha informato il ricorrente della conclusione dell’investigatore secondo cui la sua denuncia poteva essere accolta, senza tuttavia comunicargli la relazione d’indagine, malgrado le reiterate richieste di quest’ultimo. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dall’ECDC, le affermazioni della direttrice contenute nella prima decisione impugnata rimangono oltremodo generiche e ambigue. Infatti, dopo aver ricordato le conclusioni dell’investigatore, ella ha constatato l’esistenza di «elementi di molestie» sulla base della relazione d’indagine, precisando al contempo che «la [suddetta] relazione cont[eneva] alcuni errori di fatto». Ella ha aggiunto che «il modo in cui [il capo unità] [aveva] affrontato [alcune] difficoltà e il suo metodo di gestione [avevano] provocato stress e ansia inutili per il personale», «[p]ur tenendo conto del fatto che (...), nel suo ruolo (...), [egli] doveva agire riguardo a talune questioni». In risposta al reclamo, la direttrice ha riconosciuto la «gravità» del comportamento del capo unità, senza però fornire ulteriori precisazioni.

97      La descrizione dei fatti formulata in tali termini a seguito di un’indagine condotta in risposta a una domanda di assistenza presentata sulla base dell’articolo 24 dello Statuto non soddisfa gli obblighi imposti da tale disposizione, quali ricordati ai precedenti punti da 64 a 66 e 94. Infatti, nella sua risposta alla prima domanda di assistenza, la direttrice non ha provato in modo sufficiente i fatti e non ha adottato una posizione definitiva e univoca sull’esistenza o meno di molestie psicologiche. In particolare, il riconoscimento dell’esistenza di «elementi» di molestie, accompagnato da considerazioni che sembrano rimettere in discussione l’analisi della relazione d’indagine secondo la quale la prima domanda di assistenza poteva essere accolta, non è sufficientemente chiara.

98      Inoltre, l’ECDC non ha informato il ricorrente in modo preciso sul seguito dato alla relazione d’indagine, in particolare per quanto riguarda gli «opportuni provvedimenti» che erano stati previsti prima delle dimissioni del capo unità e le condizioni di accettazione di queste ultime, mentre tali informazioni avrebbero dovuto essergli fornite in quanto rientravano nell’esame della domanda di assistenza (v., in questo senso e per analogia, sentenza del 3 ottobre 2019, DQ e a./Parlamento, T‑730/18, EU:T:2019:725, punto 108).

99      Infatti, è solo a seguito della risposta fornita dall’ECDC ad una misura di organizzazione del procedimento adottata dal Tribunale che il ricorrente è stato informato del fatto che il provvedimento previsto era la risoluzione del contratto del capo unità sulla base dell’articolo 47, lettera c), punto i), del RAA. La mancata comunicazione di tale informazione e la mera menzione delle dimissioni volontarie del capo unità possono aver indotto il ricorrente e l’insieme del personale dell’ECDC a credere che egli godesse di una certa impunità.

100    Orbene, conformemente alla giurisprudenza ricordata al precedente punto 64, il dovere di assistenza implica di intervenire con tutta l’energia necessaria in presenza di un incidente incompatibile con l’ordine e la serenità del servizio. Difatti, la finalità dell’obbligo di assistenza previsto dall’articolo 24 dello Statuto è quella di dare ai funzionari e agli agenti in servizio certezza per il presente e per il futuro affinché essi possano, nell’interesse generale del servizio, adempiere al meglio le loro funzioni (sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 57). A questo proposito, va rilevato che l’indagine amministrativa avviata a seguito di una domanda di assistenza per molestie permette, in ultima analisi, di ripristinare condizioni di lavoro conformi all’interesse del servizio (v., in questo senso, sentenza del 3 ottobre 2019, DQ e a./Parlamento, T‑730/18, EU:T:2019:725, punto 84). Essa risponde altresì ad un obiettivo di interesse generale, ossia l’identificazione di eventuali pratiche di molestie lesive della dignità umana (v., in questo senso, sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 66).

101    Nel caso di specie, sebbene tale obbligo derivi dall’articolo 24 dello Statuto, l’ECDC ha omesso di informare il ricorrente, nella prima decisione impugnata, delle condizioni alle quali le dimissioni del capo unità erano state accettate. In particolare, la direttrice non ha spiegato di aver preso in considerazione la possibilità di risolvere il suo contratto dopo aver letto la relazione d’indagine e di aver accettato le dimissioni nell’interesse del servizio, concordando con il medesimo modalità particolari di prestazione del suo preavviso aventi lo scopo di ristabilire la serenità nel servizio. Dalle precisazioni fornite dall’ECDC nel corso dell’udienza risulta che tali informazioni sono state comunicate ai membri del comitato direttivo, ma non al ricorrente né alle altre persone che lavoravano con il capo unità, mentre la trasparenza al riguardo avrebbe potuto rassicurare il ricorrente a seguito della sua prima domanda di assistenza, ripristinare la serenità delle condizioni di lavoro e contribuire così al buon funzionamento del servizio.

102    Ne consegue che le censure del ricorrente vertenti, in sostanza, su una violazione dell’articolo 24 dello Statuto, in difetto di una qualificazione sufficiente dei fatti e di descrizione dei provvedimenti adottati nei confronti del capo unità, devono essere accolte.

ii)    Sulla violazione degli articoli 24 e 86 dello Statuto, a causa dell’accettazione delle dimissioni del capo unità e del mancato avvio di un procedimento disciplinare

103    Il ricorrente fa valere che le dimissioni del capo unità non costituivano una valida ragione per non adottare alcun altro provvedimento alla luce delle conclusioni dell’indagine e, in particolare, per non avviare un procedimento disciplinare sulla base dell’articolo 86 dello Statuto, nel rispetto delle norme interne di esecuzione dell’ECDC. Orbene, una decisione di lasciare volontariamente il servizio sarebbe molto diversa da una cessazione del contratto di lavoro per motivi disciplinari, eventualmente senza preavviso e con riduzione dei diritti a pensione. La direttrice ha riconosciuto nella prima decisione impugnata che stava valutando «opportuni provvedimenti», il che confermerebbe che la situazione meritava adeguate sanzioni, senza alcun margine di discrezionalità al riguardo. In udienza, il ricorrente ha aggiunto che la serenità del servizio non era stata garantita dai provvedimenti adottati, il che sarebbe stato evidenziato dalla domanda di assistenza presentata dal capo unità il 29 maggio 2018, il quale avrebbe sostenuto che il ricorrente lo aveva screditato.

104    L’ECDC ribatte che obiettivo dell’assistenza non è quello di imporre sanzioni, bensì di accertare i fatti e di prevenire ulteriori difficoltà, e che tale obiettivo è stato conseguito nel caso di specie. Inoltre, in base al dettato dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), dell’allegato IX dello Statuto, non vi sarebbe stato alcun obbligo giuridico per l’ECDC di avviare un procedimento disciplinare, dato che il capo unità si era nel frattempo dimesso.

105    Occorre constatare, al pari dell’ECDC, che né l’articolo 86 dello Statuto né l’articolo 3 dell’allegato IX dello Statuto richiedono l’avvio di un procedimento disciplinare allorché si constati che un funzionario o un altro agente è venuto meno ai suoi obblighi.

106    Peraltro, neppure la regola interna di esecuzione dell’ECDC n. 33, relativa alla prevenzione delle molestie sessuali e morali, e la regola interna di esecuzione dell’ECDC n. 29, riguardante lo svolgimento delle indagini amministrative e dei procedimenti disciplinari, impongono l’avvio di un procedimento disciplinare. È vero che, come afferma il ricorrente, il punto 3 della regola interna di esecuzione dell’ECDC n. 33 richiama il principio generale secondo cui «[t]utti i comportamenti accertati quali molestie psicologiche o molestie sessuali sono considerati inammissibili dal[l’ECDC] e saranno sanzionati». Tuttavia, il punto 7.3 della stessa regola interna di esecuzione, che disciplina specificamente il procedimento formale applicabile in caso di presunte molestie psicologiche, precisa che, «[s]e la relazione [di indagine] propone l’avvio di un procedimento disciplinare, l’[APN] può decidere, dopo aver sentito [la o le persone interessate], di avviare un procedimento disciplinare e di applicare le sanzioni che ne deriveranno, in funzione della conferma dell’illecito commesso».

107    Conformemente alla giurisprudenza, per quanto riguarda i provvedimenti da adottare in una situazione che rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 24 dello Statuto, l’amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale, sotto il controllo del giudice dell’Unione, nella scelta dei provvedimenti e dei mezzi di applicazione di tale disposizione (v. sentenza del 13 luglio 2018, SQ/BEI, T‑377/17, EU:T:2018:478, punto 135).

108    In caso di illecito tale da giustificare il licenziamento di un agente temporaneo, alla luce del suddetto ampio margine di discrezionalità, nulla obbliga l’AACC ad avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti anziché ricorrere alla facoltà di risoluzione unilaterale del contratto prevista all’articolo 47, lettera c), del RAA. Solo nell’ipotesi in cui l’AACC intenda licenziare senza preavviso un agente temporaneo, in caso di grave inadempimento agli obblighi ai quali egli è tenuto, occorre avviare, conformemente all’articolo 49, paragrafo 1, del RAA, il procedimento disciplinare previsto dall’allegato IX dello Statuto, applicabile per analogia agli agenti temporanei (v., in questo senso, sentenza del 23 ottobre 2013, Gomes Moreira/ECDC, F‑80/11, EU:F:2013:159, punto 49 e giurisprudenza citata).

109    Come emerge dalla prima decisione impugnata, la direttrice ha comunicato la versione definitiva della relazione d’indagine al capo unità nel corso del mese di aprile 2018, dopo il rientro di quest’ultimo dal congedo per malattia, invitandolo a presentare le sue osservazioni su tale relazione. Nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale l’ECDC ha precisato che, conformemente al diritto del capo unità di essere ascoltato, la direttrice l’aveva informato il 15 maggio 2018, nel corso di una riunione, che intendeva risolvere il suo contratto sulla base dell’articolo 47, lettera c), punto i), del RAA. Al termine di tale riunione, il capo unità ha immediatamente rassegnato le proprie dimissioni. Come risulta dalla decisione di rigetto del reclamo, la direttrice ha accettato dette dimissioni il 16 maggio 2018 nell’interesse del servizio.

110    La lettera del 16 maggio 2018, contenente l’accettazione delle dimissioni del capo unità, prodotta dall’ECDC su richiesta del Tribunale, conferma le circostanze in cui tali dimissioni sono state accettate. Dalla lettera in discorso emerge che, dopo aver letto le «gravi accuse presentate», l’ECDC aveva ritenuto di non poter più cooperare con il capo unità. In simili circostanze, l’intenzione della direttrice, di cui quest’ultimo era stato informato il giorno prima, era quella di risolvere il suo contratto sulla base dell’articolo 47, lettera c), punto i), del RAA. La direttrice ha tuttavia constatato, in sostanza, che il capo unità aveva rassegnato le dimissioni immediatamente dopo la riunione del 15 maggio 2018, il che significava, in pratica, che il suo ultimo giorno di servizio a seguito di tali dimissioni sarebbe stato, nel rispetto del termine di preavviso, precedente alla data effettiva di partenza che sarebbe stata fissata nel caso di risoluzione del suo contratto di lavoro. Le dimissioni del capo unità erano quindi state accettate nell’interesse del servizio. Detta lettera menzionava altresì le condizioni alle quali il capo unità avrebbe svolto il proprio lavoro durante il periodo di preavviso, alle quali egli aveva acconsentito, ossia che avrebbe lavorato dal suo domicilio su mansioni assegnate dalla direttrice. Infine, quest’ultima ha ricordato al capo unità che, durante il periodo di preavviso, egli doveva rispettare gli obblighi previsti dall’articolo 11 dello Statuto.

111    Da quanto precede si evince che le dimissioni volontarie del capo unità sono la conseguenza delle azioni intraprese dall’ECDC a seguito dell’indagine amministrativa avviata in risposta alla prima domanda di assistenza. Ciò è confermato dalla lettera di dimissioni del capo unità del 15 maggio 2018, che non giustifica la sua decisione con motivi personali, ma fa riferimento all’«interesse del servizio». Si deve altresì rilevare che egli si è dimesso dalla sua posizione, di grado AD 12, un mese e mezzo prima di raggiungere l’età di collocamento a riposo e diversi anni prima di raggiungere l’età pensionabile legale, nel maggio 2021, con la conseguenza che le sue dimissioni hanno comportato una riduzione dei suoi diritti a pensione. Inoltre, dal momento che, durante il periodo di preavviso, egli ha lavorato direttamente con la direttrice a seguito della decisione adottata in tal senso da quest’ultima, il capo unità ha perso l’indennità di gestione che percepiva nella sua qualità di capo unità. Di conseguenza, le dimissioni in questione hanno comportato per lui taluni effetti economici sfavorevoli. Infine, le particolari condizioni in cui quest’ultimo ha svolto il suo lavoro durante tale periodo hanno consentito di evitare contatti professionali con il ricorrente.

112    È vero che la direttrice avrebbe potuto decidere di risolvere il contratto del capo unità anziché accettare le sue dimissioni. Siffatta opzione avrebbe però ritardato la data di cessazione dell’attività effettiva del capo unità, in quanto sarebbe stata allora necessaria una decisione debitamente motivata (v., in questo senso, sentenza dell’11 settembre 2013, L/Parlamento, T‑317/10 P, EU:T:2013:413, punto 60 e giurisprudenza citata). Una simile decisione di risoluzione, inoltre, avrebbe potuto essere contestata dal capo unità.

113    La direttrice avrebbe anche potuto avviare un procedimento disciplinare nei confronti del capo unità. Tuttavia, come sottolinea l’ECDC, una simile procedura richiede molto tempo. D’altro canto, i fatti denunciati dal ricorrente non avrebbero necessariamente condotto al licenziamento disciplinare del capo unità, che costituisce la sanzione più elevata. Oltretutto, il ricorrente non tiene conto del fatto che le dimissioni sono state accompagnate da provvedimenti volti ad evitare che il capo unità avesse un rapporto di natura gerarchica con lui e a garantire la serenità del servizio durante il periodo di preavviso. Infatti, il capo unità ha accettato di lavorare dal proprio domicilio durante tale periodo, svolgendo compiti assegnatigli direttamente dalla direttrice. Peraltro, il fatto che quest’ultimo abbia presentato a sua volta una domanda di assistenza due settimane dopo l’adozione della prima decisione impugnata non dimostra, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, che l’avvio di un procedimento disciplinare si imponesse, in luogo dell’accettazione da parte della direttrice delle sue dimissioni. Infatti, il capo unità avrebbe potuto presentare tale domanda anche nell’ipotesi in cui un simile procedimento fosse stato avviato.

114    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l’esistenza di un errore manifesto di valutazione da parte della direttrice non è dimostrata relativamente al fatto che ella ha accettato le dimissioni del capo unità invece di risolvere il suo contratto o di avviare un procedimento disciplinare nei confronti di quest’ultimo. La prima decisione impugnata non viola quindi gli articoli 24 e 86 dello Statuto sotto questo profilo.

115    Per contro, come indicato ai precedenti punti 97 e 98, la prima decisione impugnata viola l’articolo 24 dello Statuto in quanto l’ECDC ha omesso di dimostrare in modo sufficiente i fatti a seguito della relazione d’indagine, di assumere su tale base una posizione definitiva e inequivocabile quanto all’esistenza o meno di molestie psicologiche ai sensi dell’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello Statuto e di informare il ricorrente del seguito dato alla sua prima domanda di assistenza, in particolare di informarlo dell’intenzione iniziale della direttrice di porre fine al contratto del capo unità, prima che questi avesse presentato le proprie dimissioni, e delle condizioni alle quali tali dimissioni erano state accettate, comprese le modalità di esercizio del preavviso.

116    Alla luce di quanto precede, occorre accogliere parzialmente il terzo motivo a sostegno della domanda di annullamento della prima decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo, a causa della violazione dell’articolo 24 dello Statuto per quanto riguarda gli aspetti menzionati ai precedenti punti 102 e 115.

2)      Sul primo motivo, vertente sulla violazione del diritto di essere ascoltati

117    Il ricorrente sostiene di essere stato ascoltato dall’investigatore, ma non dalla direttrice prima dell’adozione della prima decisione impugnata, in violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza. Il ricorrente afferma di non aver potuto comunicare le proprie osservazioni né sulle constatazioni contenute nella relazione d’indagine, cui non ha avuto accesso prima dell’adozione della decisione impugnata, né sugli altri elementi tenuti in considerazione dalla direttrice. Il ricorrente precisa che la prima decisione impugnata gli arreca pregiudizio e che, prima della sua adozione, egli non è stato informato né del suo contenuto né della natura dell’interesse del servizio che giustificava che l’ECDC accettasse le dimissioni del capo unità anziché avviare un procedimento disciplinare.

118    L’ECDC ribatte che la persona oggetto dell’indagine e il ricorrente non godono degli stessi diritti nello svolgimento dell’indagine, il che giustificherebbe che quest’ultimo non abbia avuto accesso alla relazione d’indagine. Nondimeno, il 12 settembre 2018 gli sarebbe stata concessa la possibilità di consultare parte della relazione d’indagine, nel rispetto della vita privata e dell’integrità delle persone menzionate in tale relazione, come confermato dal Mediatore nella sua decisione del 6 giugno 2019. Inoltre, il ricorrente sarebbe stato ascoltato dall’investigatore in due occasioni. In aggiunta, secondo l’ECDC, il diritto di essere ascoltati previsto all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali è garantito quando il provvedimento individuale reca pregiudizio alla persona, il che non avviene nel caso di specie. L’ECDC aggiunge che, in ogni caso, se il ricorrente fosse stato ascoltato, il risultato sarebbe stato simile, dal momento che l’ECDC ha accolto la sua prima domanda di assistenza.

119    In risposta a quest’ultimo argomento, il ricorrente ribadisce nella replica la propria tesi secondo cui la prima decisione impugnata non ha accolto la sua prima domanda di assistenza.

120    Si deve ricordare che una persona che ha presentato una domanda di assistenza sulla base degli articoli 12 bis e 24 dello Statuto, per il fatto di essere stata oggetto di molestie psicologiche, può avvalersi del diritto di essere ascoltata sui fatti che la riguardano, sul fondamento del principio di buona amministrazione (v. sentenza del 4 giugno 2020, SEAE/De Loecker, C‑187/19 P, EU:C:2020:444, punto 66 e giurisprudenza citata).

121    Infatti, l’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali dispone che il diritto ad una buona amministrazione comprende in particolare il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio.

122    Il diritto di essere ascoltati garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed effettivamente, il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo e prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi (v. sentenza del 4 giugno 2020, SEAE/De Loecker, C‑187/19 P, EU:C:2020:444, punto 68 e giurisprudenza citata).

123    Il diritto di essere ascoltati persegue un duplice obiettivo. Da un lato, esso serve all’istruzione del fascicolo e all’accertamento dei fatti nel modo più preciso e corretto possibile e, dall’altro lato, esso consente di assicurare una tutela effettiva dell’interessato. Il diritto di essere ascoltati mira in particolare a garantire che qualsiasi decisione lesiva sia adottata con piena cognizione di causa ed ha in particolare l’obiettivo di consentire all’autorità competente di correggere un errore o all’interessato di far valere gli elementi relativi alla sua situazione personale tali da far sì che la decisione sia, o meno, adottata o abbia un contenuto piuttosto che un altro (v. sentenza del 4 giugno 2020, SEAE/De Loecker, C‑187/19 P, EU:C:2020:444, punto 69 e giurisprudenza citata).

124    Il ruolo dell’autore della domanda di assistenza in cui si asseriscono fatti configuranti molestie consiste sostanzialmente nella sua collaborazione alla buona conduzione dell’indagine amministrativa al fine di accertare i fatti (v. sentenza del 13 dicembre 2018, CH/Parlamento, T‑83/18, EU:T:2018:935, punto 71 e giurisprudenza citata).

125    Quando, in risposta a una domanda di assistenza, l’amministrazione decide che gli elementi fatti valere a sostegno di detta domanda non sono fondati e che, pertanto, i comportamenti lamentati non configurano molestie psicologiche ai sensi dell’articolo 12 bis dello Statuto, una siffatta decisione incide negativamente sull’autore della domanda di assistenza e gli reca pregiudizio ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali (v. sentenza del 13 dicembre 2018, CH/Parlamento, T‑83/18, EU:T:2018:935, punto 78 e giurisprudenza citata).

126    In caso di rigetto di una domanda di assistenza, qualora l’AACC abbia deciso di avvalersi di un investigatore, al quale essa abbia affidato il compito di condurre un’indagine amministrativa e qualora, nella decisione sulla domanda di assistenza, essa tenga conto del parere così formulato dall’investigatore, detto parere, che può essere redatto in forma non riservata nel rispetto dell’anonimato concesso ai testimoni, dev’essere in linea di principio portato a conoscenza dell’autore della domanda di assistenza in applicazione del diritto di quest’ultimo di essere ascoltato, e ciò anche se le norme interne non prevedono una simile comunicazione (v., in questo senso e per analogia, sentenza del 13 dicembre 2018, CH/Parlamento, T‑83/18, EU:T:2018:935, punto 85).

127    Infine, occorre ricordare che, affinché la violazione del diritto di essere ascoltati possa comportare l’annullamento di una decisione, è altresì necessario verificare se, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto concludersi con un esito diverso. La valutazione di tale questione deve essere effettuata in funzione delle circostanze di fatto e di diritto specifiche di ciascun caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/RQ, C‑831/18 P, EU:C:2020:481, punti 105 e 107 e giurisprudenza citata).

128    Nella fattispecie in esame, la prima decisione impugnata non ha chiuso il procedimento amministrativo avviato dalla direttrice il 28 settembre 2017 a causa dell’assenza di molestie psicologiche ai sensi dell’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello Statuto nei confronti del ricorrente. Infatti, la direttrice ha riconosciuto l’esistenza di «elementi» di molestie da parte del capo unità. La prima decisione impugnata non è quindi una decisione di rigetto di una domanda di assistenza simile a quelle esaminate nella giurisprudenza citata ai precedenti punti 125 e 126.

129    Tuttavia, tale decisione costituisce nondimeno un atto lesivo nei confronti del ricorrente e che gli reca pregiudizio ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali.

130    Infatti, la prima decisione impugnata non condivide pienamente le conclusioni della relazione d’indagine relative alla prima domanda di assistenza del ricorrente. Da un lato, la direttrice constata l’esistenza di «taluni errori di fatto» in detta relazione. Dall’altro, mentre l’investigatore aveva concluso che la domanda di assistenza del ricorrente era fondata, la direttrice conclude solo che sussistevano «elementi» di molestie. Nel corso dell’udienza, l’ECDC ha precisato che l’aggiunta del termine «elementi» era dovuta all’esistenza di tali errori di fatto, che non erano certamente di particolare rilevanza, ma che dovevano del pari essere tenuti in considerazione. Orbene, come rilevato ai precedenti punti 96 e 97, la qualificazione in simili termini dei fatti denunciati non soddisfa gli obblighi imposti dall’articolo 24 dello Statuto.

131    La direttrice ha violato il diritto di essere ascoltato del ricorrente in quanto quest’ultimo non ha potuto prendere posizione, prima dell’adozione della prima decisione impugnata, sugli «errori di fatto» che sarebbero presenti nella relazione d’indagine e su qualsiasi altro elemento che abbia condotto la direttrice a non aderire completamente alle conclusioni di detta relazione.

132    Orbene, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento avrebbe potuto pervenire ad un risultato diverso. In particolare, il ricorrente avrebbe potuto convincere la direttrice che era possibile una diversa valutazione dei fatti, cosicché ella avrebbe potuto riconoscere pienamente la sua qualità di vittima, al pari dell’investigatore.

133    Invece, contrariamente a quanto fatto valere dal ricorrente, la direttrice non aveva l’obbligo di sentire le sue osservazioni sulle ragioni, connesse all’interesse del servizio, che l’hanno portata ad accettare le dimissioni del capo unità anziché risolvere il suo contratto o avviare un procedimento disciplinare. Infatti, le decisioni adottate nei confronti del capo unità non sono state adottate nei confronti del ricorrente, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta dei diritti fondamentali.

134    Da tutto quanto precede risulta che il primo motivo, vertente su una violazione del diritto ad essere ascoltati, deve essere parzialmente accolto.

3)      Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

135    Il ricorrente fa valere che la mancata comunicazione della relazione d’indagine, nella sua versione integrale o nella sua versione non riservata, configura una violazione dell’obbligo di motivazione della prima decisione impugnata, in quanto tale decisione si basa sulla relazione in questione. Il ricorrente dichiara di non conoscere le persone interrogate dall’investigatore e gli errori di fatto della relazione d’indagine menzionati nella prima decisione impugnata. L’affermazione, contenuta in tale decisione, secondo cui «[il] metodo di gestione del capo unità ha provocato stress e ansia inutili per il personale» non soddisferebbe l’obbligo di motivazione. Detta decisione non consentirebbe neppure di comprendere le ragioni che hanno indotto l’ECDC ad accettare le dimissioni del capo unità, con mantenimento di tutti i suoi diritti finanziari durante e dopo il periodo di preavviso di dieci mesi, anziché rifiutarle e avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti.

136    L’ECDC sottolinea che l’articolo 25, secondo comma, dello Statuto impone unicamente l’obbligo di motivare le decisioni che incidono negativamente, il che non avverrebbe nel caso di specie, poiché la prima domanda di assistenza sarebbe stata accolta. In ogni caso, il ricorrente sarebbe stato debitamente informato dalla decisione impugnata dei motivi che hanno indotto l’ECDC ad adottarla. Inoltre, al fine segnatamente di tutelare la riservatezza dei testimoni, la relazione d’indagine non avrebbe potuto essere trasmessa nella sua forma originaria, tanto più che il ricorrente non era l’oggetto dell’indagine. Ciò sarebbe stato confermato dal Mediatore nella sua decisione del 6 giugno 2019. Infine, il ricorrente sarebbe già venuto a conoscenza dell’elenco delle persone che erano state sentite.

137    Come risulta dal precedente punto 76, la prima decisione impugnata configura un atto che arreca pregiudizio. Essa deve, pertanto, essere motivata in modo giuridicamente valido, conformemente all’articolo 25, secondo comma, dello Statuto, che non è altro che la riaffermazione dell’obbligo generale sancito dall’articolo 296 TFUE.

138    L’obbligo di motivare una decisione che arrechi pregiudizio ha lo scopo di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per stabilire se la decisione sia fondata o se sia inficiata da un vizio che consenta di contestarne la legittimità nonché di permettere al giudice dell’Unione di esercitare il suo sindacato sulla legittimità della decisione impugnata. La portata dell’obbligo di motivazione deve, in ogni caso, essere valutata non soltanto in considerazione della decisione impugnata, ma anche in relazione alle circostanze concrete in cui si inserisce detta decisione (v. sentenza del 25 ottobre 2007, Lo Giudice/Commissione, T‑154/05, EU:T:2007:322, punti 160 e 161 e giurisprudenza citata).

139    Sebbene sia vero che la giurisprudenza ammette una motivazione con riferimento ad una relazione o ad un parere a sua volta motivato, è tuttavia necessario che una siffatta relazione o un siffatto parere sia effettivamente comunicato all’interessato assieme all’atto che arreca pregiudizio (v., in questo senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Tzirani/Commissione, F‑46/11, EU:F:2013:115, punto 152 e giurisprudenza citata).

140    L’amministrazione può ovviare ad un’insufficienza, ma non all’assenza totale di motivazione con una motivazione adeguata fornita nella fase della risposta al reclamo, o addirittura con precisazioni integrative apportate in corso di causa (v., in questo senso, sentenza del 2 marzo 2010, Doktor/Consiglio, T‑248/08 P, EU:T:2010:57, punto 93 e giurisprudenza citata).

141    Tuttavia, nel contesto particolare di un’indagine avviata sulla base di una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello Statuto e diretta ad accertare la realtà di fatti configuranti molestie di cui un agente ritenga di essere stato vittima, occorre tener conto dell’obbligo che incombe all’istituzione di rispondere al funzionario che presenta una siffatta domanda con la rapidità e la sollecitudine richieste nella gestione di una situazione così grave. Pertanto, in un contesto del genere, l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 25, secondo comma, dello Statuto dev’essere interpretato in maniera restrittiva, sicché non può rispondere ai requisiti imposti da tale disposizione una decisione che, in tale ambito, si limiti di per sé a fornire solo un inizio di motivazione, obbligando così l’interessato a presentare un reclamo per ottenere una motivazione della decisione che gli reca pregiudizio che sia conforme a quanto prescritto da detta disposizione (v., in questo senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Tzirani/Commissione, F‑46/11, EU:F:2013:115, punti 164 e 165 e giurisprudenza citata).

142    Tale rilievo non può tuttavia pregiudicare la possibilità per le istituzioni di apportare, nella decisione recante rigetto del reclamo, precisazioni riguardanti la motivazione adottata dall’amministrazione, né la possibilità per il Tribunale di prendere in considerazione tali precisazioni nell’esame di un motivo che contesti la legittimità della decisione (v. sentenza dell’11 luglio 2013, Tzirani/Commissione, F‑46/11, EU:F:2013:115, punto 167 e giurisprudenza citata).

143    Per quanto riguarda la motivazione della prima decisione impugnata, occorre rilevare che tale decisione non analizza espressamente nessuna delle situazioni menzionate dal ricorrente nella sua prima domanda di assistenza, limitandosi a rinviare agli elementi di fatto descritti nella relazione d’indagine, alla quale il ricorrente non aveva in quel momento ottenuto alcun accesso, e alle «informazioni di cui [la direttrice] dispone[va]», senza fornirne dettagli. Detta decisione menziona altresì l’esistenza di «errori di fatto» nella relazione d’indagine, senza fornirne alcuna descrizione, e di «questioni» o di «difficoltà» in merito alle quali il capo unità «doveva agire», nuovamente senza offrire dettagli al riguardo. Infine, la direttrice menziona, senza fornire precisazioni, che stava prendendo in considerazione «opportuni provvedimenti», i quali non sono stati adottati a causa delle dimissioni del capo unità. Nella decisione di rigetto del reclamo, la direttrice non ha fornito alcuna motivazione supplementare riguardo a tali aspetti.

144    Ne consegue che la prima decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo, non è motivata su taluni aspetti essenziali, menzionati al precedente punto 143, cosicché il ricorrente si è trovato nell’impossibilità di contestare la fondatezza di detti aspetti.

145    In simili circostanze, il secondo motivo deve essere accolto, senza che le precisazioni che l’ECDC ha potuto apportare dinanzi al Tribunale siano tali da porre rimedio a tale difetto di motivazione.

d)      Conclusioni sulla domanda di annullamento della prima decisione impugnata

146    Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare che la prima decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo, è stata adottata in violazione dell’articolo 24 dello Statuto, del diritto di essere ascoltato del ricorrente e dell’obbligo di motivazione.

2.      Sulla domanda di annullamento della seconda decisione impugnata

147    Con la seconda decisione impugnata, l’ECDC ha respinto la domanda di accesso controversa, diretta ad ottenere la relazione d’indagine nonché tutti i documenti in base ai quali la direttrice aveva adottato la prima decisione impugnata, compresi quelli in base ai quali la stessa aveva ritenuto che la relazione d’indagine contenesse «alcuni errori di fatto» (v. supra, punto 29).

148    Nella sua domanda del 30 maggio 2018, il ricorrente affermava che, dato che la prima decisione impugnata gli recava pregiudizio, egli doveva avere accesso ai summenzionati documenti, conformemente all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, tanto più che egli aveva dovuto presentare, il 10 aprile 2018, la seconda domanda di assistenza a seguito di condotte del capo unità verificatesi durante e dopo la redazione della relazione d’indagine.

149    Nella seconda decisione impugnata, la direttrice ha affermato che l’interesse del ricorrente non poteva essere pregiudicato dalla prima decisione impugnata, dal momento che la prima domanda di assistenza non era stata respinta in quanto infondata. D’altro canto, neppure la seconda domanda di assistenza poteva giustificare l’accesso alla relazione d’indagine, poiché nessuna decisione era stata ancora adottata in relazione a tale domanda. La direttrice ha altresì precisato che il ricorrente era stato posto in condizione di presentare il proprio punto di vista nel corso dell’indagine. Infine, ella ha ricordato, in sostanza, che, secondo la giurisprudenza relativa alla portata del diritto della difesa, la situazione di una persona che ha presentato una domanda di assistenza per molestie psicologiche non può essere assimilata a quella della persona interessata da tale domanda e che i diritti processuali che devono essere riconosciuti a quest’ultima si distinguono da quelli, più limitati, di cui dispone nell’ambito del procedimento amministrativo colui che richiede assistenza. A tal riguardo, la direttrice ha sottolineato che il diritto di accesso al fascicolo, fondato sulla Carta dei diritti fondamentali, era stato persino negato ai denuncianti in casi in cui l’autorità competente aveva concluso per l’insussistenza di molestie psicologiche.

150    Nella decisione di rigetto del reclamo, la direttrice ha aggiunto che il ricorrente aveva potuto consultare una versione non riservata della relazione d’indagine il 12 settembre 2018 e che aveva avuto accesso ai propri dati personali contenuti in tale relazione, conformemente all’articolo 13 del regolamento n. 45/2001. La direttrice ha precisato che un accesso completo alla relazione in parola non gli era stato accordato a motivo della tutela della riservatezza dei colloqui con i testimoni e con lo stesso capo unità, del carattere sensibile della questione e della necessità di preservare la capacità dell’ECDC di condurre indagini.

151    Il ricorrente deduce un unico motivo contro la seconda decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo. Tale motivo verte sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali. In udienza, il ricorrente ha rinunciato alla seconda censura da lui fatta valere nel ricorso, in modo non suffragato, e che verteva su una violazione dell’articolo 13 del regolamento n. 45/2001.

152    A sostegno del suo motivo unico, il ricorrente asserisce che, contrariamente a quanto affermato nella seconda decisione impugnata, la prima decisione impugnata costituisce un atto che gli reca pregiudizio, il che giustificava maggiormente la necessità di avere un accesso completo alla relazione d’indagine. Del resto, le eccezioni previste dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali e dall’articolo 20 del regolamento n. 45/2001 non sarebbero più opponibili, dato che l’indagine era stata chiusa. Inoltre, il ricorrente sottolinea che taluni testimoni avevano acconsentito a che egli avesse accesso al resoconto delle loro audizioni, cosicché neppure l’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1049/2001 sarebbe stata opponibile. In aggiunta, il pregiudizio concreto ed effettivo ad interessi protetti non sarebbe stato dimostrato. In tali circostanze, l’accesso molto limitato alla relazione d’indagine che il ricorrente ha avuto in loco il 12 settembre 2018 non equivale, a suo parere, a un accesso regolare, conforme all’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali. Infine, il ricorrente precisa di non condividere le conclusioni della decisione del Mediatore del 6 giugno 2019, in particolare per quanto attiene all’analisi relativa alla protezione dei dati personali. In udienza, il ricorrente ha aggiunto che le testimonianze erano già state rese anonime nella versione della relazione d’indagine trasmessa alla direttrice.

153    L’ECDC replica che, poiché la prima decisione impugnata non arreca pregiudizio, le ragioni che hanno motivato la seconda decisione impugnata sono ancora valide. Esso sottolinea che l’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali impone di rispettare i legittimi interessi della riservatezza. L’articolo 20 del regolamento n. 45/2001 e l’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali legittimerebbero restrizioni che circoscrivono sotto tale profilo il diritto processuale del ricorrente. Peraltro, il fatto che l’indagine sia ormai chiusa non modificherebbe l’interesse né dei testimoni né del capo unità. Quest’ultimo avrebbe del resto fornito elementi concreti secondo i quali la divulgazione dei dati contenuti nella relazione d’indagine potrebbe ledere i suoi diritti. Inoltre, l’ECDC adduce che il ricorrente ha avuto la possibilità di consultare una versione non riservata di detta relazione il 12 settembre 2018. Il Mediatore avrebbe confermato che l’ECDC aveva motivato correttamente e in modo sufficiente il rifiuto di concedere un pieno accesso a tale relazione. Infine, per quanto riguarda l’anonimizzazione delle testimonianze nella relazione d’indagine fornita alla direttrice, l’ECDC sottolinea che essa non è sufficiente, dal momento che, date le dimensioni dell’ECDC e la portata delle testimonianze, sarebbe agevole identificare i testimoni dalla lettura della relazione.

154    In via preliminare, occorre sottolineare che la decisione del Mediatore del 6 giugno 2019 verte non sulla seconda decisione impugnata, bensì sulla seconda lettera del 20 giugno 2018, menzionata al precedente punto 32. Tale lettera è stata inviata al ricorrente in risposta ad una precedente domanda di accesso alla relazione d’indagine, laddove tale domanda era fondata sui regolamenti nn. 1049/2001 e 45/2001. Il Mediatore ha quindi verificato se, alla luce di tali regolamenti, l’ECDC avesse correttamente e sufficientemente motivato la sua decisione di negare al pubblico pieno accesso alla relazione d’indagine, al fine di tutelare la vita privata e l’integrità delle persone interessate. Il Mediatore non ha quindi verificato se tali interessi giustificassero la concessione al ricorrente solo di un accesso limitato alla relazione d’indagine nell’ambito dell’esercizio, da parte di quest’ultimo, del suo diritto di accesso al fascicolo garantito dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali.

155    Il diritto ad una buona amministrazione è sancito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali, che figura tra le garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione nei procedimenti amministrativi (v. sentenza del 19 settembre 2018, Selimovic/Parlamento, T‑61/17, non pubblicata, EU:T:2018:565, punto 67 e giurisprudenza citata). L’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), di detta Carta sancisce il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale. Siffatto diritto di accesso al fascicolo implica che l’istituzione in questione debba dare alla persona interessata la possibilità di esaminare tutti i documenti contenuti nel fascicolo istruttorio che possono essere rilevanti per la sua difesa (v. sentenza del 19 settembre 2018, Selimovic/Parlamento, T‑61/17, non pubblicata, EU:T:2018:565, punto 78 e giurisprudenza citata).

156    Come rilevato al precedente punto 129, la prima decisione impugnata costituisce un atto che reca pregiudizio al ricorrente, contrariamente a quanto sostiene l’ECDC. Occorre pertanto esaminare se le altre ragioni addotte dalla direttrice nella seconda decisione impugnata, la cui motivazione è stata integrata dalla decisione di rigetto del reclamo, giustifichino il diniego di accesso, totale o parziale, ai documenti richiesti.

157    In risposta ad una misura di organizzazione del procedimento del Tribunale, l’ECDC ha prodotto la versione non riservata della relazione d’indagine, che il ricorrente ha potuto consultare in loco il 12 settembre 2018.

158    A seguito di un provvedimento istruttorio, l’ECDC ha altresì prodotto la versione riservata della relazione d’indagine, il cui accesso è stato negato dalla seconda decisione impugnata, nonché gli altri documenti che la direttrice aveva tenuto in considerazione nell’ambito dell’adozione della prima decisione impugnata. Tali documenti sono, in primo luogo, la prima domanda di assistenza del ricorrente, in secondo luogo, il modulo di informazioni complementari inviato dal ricorrente il 14 luglio 2017, in terzo luogo, un messaggio di posta elettronica del 17 gennaio 2018 inviato dal capo unità alla direttrice, con il quale questi le ha trasmesso i suoi commenti sul progetto di relazione di indagine che gli era stato comunicato, in quarto luogo, un messaggio di posta elettronica del 27 luglio 2018 inviato dall’investigatore alla direttrice in merito agli errori di fatto che sarebbero presenti nella relazione d’indagine nonché, in quinto luogo, la risposta della direttrice a tale messaggio di posta elettronica, datata 3 agosto 2018.

159    Per quanto riguarda la relazione d’indagine, dalla lettura dei documenti prodotti dall’ECDC dinanzi al Tribunale risulta che tale relazione è stata redatta nel rispetto dei criteri previsti all’articolo 4, paragrafo 8, della regola interna di esecuzione dell’ECDC n. 29, relativa alla conduzione delle indagini amministrative e dei procedimenti disciplinari. Ai sensi di tale disposizione, «[l]a relazione espone i fatti e le circostanze di cui trattasi; essa accerta se le norme e le procedure applicabili alle situazioni siano state rispettate e determina qualunque responsabilità individuale, tenuto conto delle circostanze aggravanti o attenuanti». Detta disposizione prevede altresì che «[a]lla relazione devono essere allegate copie di tutti i documenti pertinenti e dei verbali dei colloqui». Sulla base di tali indicazioni, la relazione è stata strutturata in sette sezioni non numerate.

160    In risposta ad un quesito posto dal Tribunale durante l’udienza, l’ECDC ha precisato che i dati personali contenuti nella relazione d’indagine che sono stati comunicati al ricorrente con la seconda lettera del 20 giugno 2018, sulla base dell’articolo 13 del regolamento n. 45/2001 (v. supra, punto 32), sono solo gli addebiti che il ricorrente stesso aveva sollevato nell’ambito della sua prima domanda di assistenza.

161    Dalla versione non riservata della relazione d’indagine prodotta dall’ECDC e dalle precisazioni fornite da quest’ultimo si evince che il ricorrente ha avuto accesso unicamente alle parti di tale relazione che richiamano le censure mosse dallo stesso e a quelle che contengono considerazioni generali sulle disposizioni giuridiche applicabili e sul modo in cui l’indagine era stata condotta. Per contro, la parte essenziale di detta relazione è stata completamente occultata. In particolare, il ricorrente non ha avuto accesso alle ultime tre sezioni di quest’ultima, che includono, anzitutto, la descrizione dei fatti denunciati nelle domande di assistenza presentate dal ricorrente e da un altro membro del personale dell’ECDC, anche alla luce delle testimonianze raccolte, comprese le dichiarazioni del capo unità (quinta sezione), poi, le conclusioni individuali dell’investigatore riguardanti ciascuna domanda di assistenza (sesta sezione) e, infine, le sue conclusioni generali sull’indagine (settima Sezione).

162    Orbene, è stato statuito che la trasmissione di una copia delle relazioni redatte al termine dell’indagine amministrativa, eventualmente in una versione non riservata, è necessaria alla luce del principio di buona amministrazione garantito dall’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali e dell’obbligo di assistenza, i quali implicano che l’autorità competente informi gli interessati dell’esito della loro domanda di assistenza, a maggior ragione in un caso, come quello di specie, in cui la relazione riconosce l’esistenza di molestie psicologiche (v., in questo senso, sentenza del 3 ottobre 2019, DQ e a./Parlamento, T‑730/18, EU:T:2019:725, punto 109).

163    Tuttavia, come sottolinea l’ECDC, il diritto di accesso al fascicolo non è assoluto. L’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali garantisce tale diritto a due condizioni. Da un lato, il diritto di accesso di una persona concerne solo un «fascicolo che la riguarda». Dall’altro, l’accesso deve essere garantito nel rispetto «dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale».

164    Per quanto concerne le implicazioni, nel caso di specie, della prima condizione, si deve constatare che la relazione d’indagine verte non solo sulla prima domanda di assistenza del ricorrente, ma anche su quella di un altro richiedente assistenza. Inoltre, l’investigatore ha fatto riferimento anche alla situazione personale di altri membri del personale dell’ECDC nella sesta e nella settima sezione della sua relazione, relativamente a «circostanze aggravanti».

165    Interrogato su tale punto nel corso dell’udienza, il ricorrente non ha escluso di poter beneficiare di un diritto di accesso alle parti della relazione d’indagine riguardanti la situazione di terzi. Tuttavia, il diritto di accesso al fascicolo di cui egli si avvale, sul fondamento dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali, garantisce l’accesso solo al fascicolo che lo riguarda.

166    Per quanto concerne la seconda condizione menzionata al precedente punto 163, relativa alla tutela dei legittimi interessi della riservatezza, anch’essa garantita dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali, è stato statuito che, nel contesto di una denuncia per molestie psicologiche, occorre, salvo circostanze particolari, garantire la riservatezza delle testimonianze raccolte, anche nel corso del procedimento contenzioso, nella misura in cui la prospettiva di un’eventuale revoca di tale riservatezza nella fase contenziosa possa impedire la tenuta di indagini neutre e obiettive che beneficino di una collaborazione senza riserve dei dipendenti chiamati ad essere sentiti come testimoni (v. sentenza del 19 settembre 2018, Selimovic/Parlamento, T‑61/17, non pubblicata, EU:T:2018:565, punto 79 e giurisprudenza citata).

167    Tuttavia, nel caso di specie, l’ECDC non si è limitato unicamente a nascondere le parti della relazione d’indagine relative alle testimonianze, ma ha occultato tutto il contenuto dell’analisi dell’investigatore, ivi comprese le sue conclusioni sulla prima domanda di assistenza del ricorrente, il che non può essere giustificato dalla tutela dei legittimi interessi della riservatezza dei testimoni e del corretto svolgimento delle indagini.

168    Peraltro, l’investigatore aveva già adottato misure volte a garantire l’anonimato dei testimoni nella relazione d’indagine. In particolare, egli ha sempre dato la possibilità alle persone che avevano accettato di essere ascoltate di firmare o meno il resoconto del loro colloquio. Per quanto riguarda le persone che hanno scelto di non firmarlo, le informazioni raccolte presso le stesse non sono state utilizzate nella relazione in un modo che avrebbe consentito di identificarle. Quanto alle persone che hanno accettato di firmare detto resoconto, il loro nome, associato alla loro dichiarazione nella relazione d’indagine, è stato sostituito con un codice. Anche nell’ipotesi in cui, come afferma l’ECDC, a causa delle dimensioni di quest’ultimo, tale tecnica di anonimizzazione non fosse stata giudicata sufficiente per tutelare la loro identità, si sarebbe potuta prevedere la possibilità di divulgare la sostanza delle loro testimonianze sotto forma di sintesi o, ancora, di schermare talune parti del contenuto delle testimonianze (v., in questo senso, sentenza del 25 giugno 2020, HF/Parlamento, C‑570/18 P, EU:C:2020:490, punto 66 e giurisprudenza citata). Orbene, nessuna di tali tecniche è stata presa in considerazione dall’ECDC.

169    Per quanto riguarda gli altri documenti indicati al precedente punto 158, ai quali la seconda decisione impugnata ha del pari negato l’accesso, occorre rilevare che la prima domanda di assistenza e il modulo di informazioni complementari sono stati redatti dallo stesso ricorrente. Quanto al messaggio di posta elettronica inviato il 17 gennaio 2018 dal capo unità alla direttrice, quest’ultima avrebbe dovuto trasmettere al ricorrente le parti non riservate di tale messaggio che riguardavano i fatti denunciati nella sua prima domanda di assistenza, nel rispetto della riservatezza dei testimoni. Infine, per quanto attiene allo scambio di messaggi di posta elettronica tra la direttrice e l’investigatore, occorre rilevare che esso è intervenuto tra il 27 luglio e il 3 agosto 2018 ed era quindi successivo all’adozione della prima decisione impugnata, e pertanto non rientra nell’ambito della domanda di accesso controversa.

170    Da tutto quanto precede risulta che il motivo unico dedotto dal ricorrente è parzialmente fondato.

171    Occorre pertanto annullare la seconda decisione impugnata, integrata dalla decisione di rigetto del reclamo, nella parte in cui ha negato al ricorrente l’accesso alle parti non riservate della relazione d’indagine e del messaggio di posta elettronica del capo unità del 17 gennaio 2018 che lo riguardavano (v. supra, punti 164 e 169).

C.      Sulla domanda risarcitoria

172    Il ricorrente chiede al Tribunale di condannare l’ECDC al pagamento di un’indennità a titolo di risarcimento del danno morale che avrebbe subito, valutato ex aequo et bono nella somma di EUR 40 000.

173    A sostegno della sua domanda, il ricorrente fa valere che il fatto che l’ECDC non abbia completamente riconosciuto la sua qualità di vittima e la mancata adozione di sanzioni disciplinari nei confronti del capo unità gli hanno causato un danno morale.

174    A tal riguardo, il ricorrente sottolinea che, per un periodo ininterrotto di cinque anni, è stato esposto ad un livello molto elevato di tensione, il che avrebbe provocato gravi problemi di salute che si sarebbero tradotti in ansia, problemi di pressione arteriosa e perdita di autostima. Il fatto che l’ECDC abbia deciso, nel contesto della prima decisione impugnata, di non infliggere sanzioni disciplinari al capo unità e che la direttrice non abbia adottato alcun provvedimento di tutela a seguito della sua prima domanda di assistenza avrebbe accentuato nel ricorrente l’impressione che il capo unità potesse agire del tutto impunemente.

175    Il danno sarebbe stato inoltre aggravato dal fatto che la direttrice avrebbe tentato con tutti i mezzi di non concedergli l’accesso ad elementi e documenti chiave sui quali si era basata per pronunciarsi, nella prima decisione impugnata, sull’esito della sua prima domanda di assistenza. Orbene, la trasparenza e la chiarezza sarebbero indispensabili nel tentativo di ripristinare la fiducia nel fatto che il datore di lavoro rifiuta effettivamente le violazioni di diritti conferiti dallo Statuto, anche qualora tali violazioni possano essere imputate al personale direttivo.

176    I quattro anni trascorsi tra l’inizio delle condotte del capo unità nei confronti del ricorrente e la presentazione della prima domanda di assistenza costituirebbero un termine ragionevole, tenuto conto del lasso di tempo necessario per acquisire consapevolezza della situazione, del suo stato di esaurimento e della scadenza del suo contratto nel 2014. Il ricorrente aggiunge che, in ogni caso, egli aveva già, personalmente e tramite il comitato del personale, avvertito l’amministrazione in merito al comportamento del capo unità. Per anni non avrebbe cessato di chiedere assistenza, senza essere realmente ascoltato e ancor meno compreso.

177    L’ECDC fa valere che, a partire dalla presentazione della prima domanda di assistenza del ricorrente, esso ha rispettato il proprio dovere di diligenza e il principio di buona amministrazione, procedendo all’avvio dell’indagine amministrativa dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’OLAF, all’adozione di provvedimenti di tutela, al riconoscimento di molestie e all’accettazione delle dimissioni del capo unità nell’interesse del servizio. Il livello molto elevato di stress e ansia sarebbe stato denunciato dal ricorrente solo il 2 luglio 2018, nell’ambito del suo reclamo. L’ECDC sostiene che, se fosse stato prima a conoscenza del fatto che il ricorrente si sentiva vittima di molestie, avrebbe adottato gli opportuni provvedimenti, come ha fatto dopo la presentazione della prima domanda di assistenza. Per quanto riguarda la data in cui quest’ultima è stata introdotta, l’ECDC fa presente di non aver affermato che essa fosse colpita da prescrizione.

178    Quanto all’effettività del danno, l’ECDC obietta che non è stata fornita alcuna prova, dal momento che, a suo avviso, il certificato medico allegato al ricorso avrebbe solo scarso valore informativo.

179    Infine, non sarebbe dimostrato neppure il nesso di causalità tra il presunto illecito e il danno morale.

180    In via preliminare, occorre precisare la portata della domanda di risarcimento del ricorrente.

181    Infatti, come indicato al precedente punto 36, quest’ultimo nonché altri membri del personale dell’ECDC hanno presentato, l’11 ottobre 2018, un’altra domanda risarcitoria, sulla base dell’articolo 90, paragrafo 1, dello Statuto. Nell’ambito di tale domanda congiunta, il ricorrente ha chiesto una somma di EUR 356 400 a causa dei danni materiali e morali che avrebbe subito tra il 2012 e il 2018, periodo durante il quale l’ECDC non avrebbe garantito un ambiente di lavoro appropriato e avrebbe ritardato nel reagire di fronte al comportamento del capo unità. Tale domanda è stata respinta dalla direttrice ed è stata successivamente oggetto di un reclamo e di un ricorso dinanzi al Tribunale, protocollato con il numero T‑864/19. Durante l’udienza, il ricorrente ha dichiarato che la domanda di risarcimento formulata nell’ambito della presente causa è diversa da quella oggetto della causa T‑864/19. Non occorre quindi pronunciarsi sui danni lamentati dal ricorrente in quest’ultima domanda.

182    Dal ricorso risulta che i danni morali fatti valere dal ricorrente nella presente causa deriverebbero dalla prima e dalla seconda decisione impugnata. In particolare, il ricorrente afferma che la prima decisione impugnata ha chiuso l’indagine senza dare pieno riconoscimento al suo status di vittima e senza imporre sanzioni disciplinari al capo unità, a causa delle sue dimissioni. Tali danni sarebbero stati aggravati dal diniego di accesso alla relazione d’indagine contenuto nella seconda decisione impugnata.

183    Di conseguenza, il ricorrente chiede il risarcimento dei danni morali conseguenti alle illegittimità denunciate nell’ambito del terzo motivo dedotto a sostegno della domanda di annullamento della prima decisione impugnata e del motivo unico dedotto contro la seconda decisione impugnata.

184    Come risulta dai precedenti punti 116 e 170, tali motivi sono stati parzialmente accolti. È stato infatti rilevato che, da un lato, l’ECDC ha omesso di accertare i fatti in modo completo a seguito della relazione d’indagine e di informare il ricorrente del seguito dato alla sua prima domanda di assistenza, in violazione dell’articolo 24 dello Statuto. Dall’altro, l’accesso ristretto alla relazione d’indagine che è stato concesso al ricorrente non era conforme all’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta dei diritti fondamentali.

185    Secondo costante giurisprudenza, l’annullamento di un atto viziato da illegittimità costituisce, di per sé, il risarcimento adeguato e, in linea di principio, sufficiente di qualsiasi danno morale che tale atto possa aver causato. Tuttavia, ciò non vale qualora la parte ricorrente dimostri di aver subito un danno morale separabile dall’illecito su cui si basa l’annullamento e che non possa essere integralmente riparato da quest’ultimo (v. sentenza del 13 luglio 2018, Curto/Parlamento, T‑275/17, EU:T:2018:479, punto 114 e giurisprudenza citata).

186    Ciò si verifica, in primo luogo, quando l’atto annullato contiene una valutazione esplicitamente negativa delle capacità del ricorrente in grado di ferirlo, in secondo luogo, quando l’irregolarità commessa è di particolare gravità e, in terzo luogo, quando l’annullamento è privato di ogni effetto utile, non potendo così costituire di per sé stesso il risarcimento adeguato e sufficiente di qualsiasi danno morale causato dall’atto impugnato (v. sentenza del 23 ottobre 2012, Strack/Commissione, F‑44/05 RENV, EU:F:2012:144, punto 128 e giurisprudenza citata).

187    Inoltre, secondo la giurisprudenza, il carattere morale del danno asseritamente subito non è idoneo a invertire l’onere della prova dell’esistenza e dell’entità del danno, che incombe alla parte ricorrente. Infatti, la responsabilità dell’Unione sorge solo se il richiedente è riuscito a dimostrare la realtà del suo danno (v. sentenza del 29 aprile 2015, CC/Parlamento, T‑457/13 P, EU:T:2015:240, punto 49 e giurisprudenza citata).

188    Nel caso di specie, il ricorrente non ha dimostrato l’esistenza di danno morale separabile dagli illeciti su cui si fonda l’annullamento della prima e della seconda decisione impugnata, cui non possa essere integralmente rimediato con tale annullamento. In udienza, egli si è limitato, al riguardo, a riaffermare che il capo unità aveva beneficiato di una situazione di impunità e che l’ansia e la sofferenza di cui era stato vittima restavano una realtà, soprattutto dopo gli sforzi che aveva dovuto intraprendere al fine di ottenere l’accesso a ciò che era essenziale per lui, ossia la relazione d’indagine. Il ricorrente non ha tuttavia indicato le ragioni per le quali tale pregiudizio non potrebbe essere riparato dall’annullamento della prima e della seconda decisione impugnata.

189    Alla luce di quanto precede, la domanda di risarcimento dei danni morali che deriverebbero da tali decisioni deve essere respinta.

IV.    Sulle spese

190    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, se ciò appare giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, il Tribunale può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese dell’altra parte.

191    Nel caso di specie, in applicazione di tale disposizione, occorre decidere che, oltre alle proprie spese, l’ECDC sopporterà i tre quarti delle spese del ricorrente e che quest’ultimo sopporterà un quarto delle proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) del 18 maggio 2018 adottata in risposta alla domanda di assistenza presentata da AI il 20 giugno 2017 è annullata.

2)      La decisione dell’ECDC del 20 giugno 2018 è annullata nella parte in cui ha negato ad AI l’accesso alle parti non riservate e che lo riguardano della relazione d’indagine relativa alla sua domanda di assistenza del 20 giugno 2017 e del messaggio di posta elettronica di A del 17 gennaio 2018.

3)      La decisione dell’ECDC del 26 ottobre 2018 che respinge il reclamo di AI del 2 luglio 2018 è annullata.

4)      La domanda di risarcimento è respinta.

5)      L’ECDC sopporterà, oltre alle proprie spese, i tre quarti delle spese sostenute da AI.

6)      AI sosterrà un quarto delle proprie spese.

da Silva Passos

Truchot

Sampol Pucurull

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 luglio 2021.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.


1 Dati riservati omessi.