Language of document : ECLI:EU:T:2000:277

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

29 novembre 2000 (1)

«Dumping - Mancata adozione di dazi definitivi da parte del Consiglio - Ricorso d'annullamento - Atto impugnabile - Ricorso per risarcimento danni»

Nella causa T-213/97,

Comité des industries du coton et des fibres connexes de l'Union européenne (Eurocoton), con sede in Bruxelles (Belgio),

Ettlin Gesellschaft für Spinnerei und Weberei AG, con sede in Ettlingen (Germania),

Textil Hof Weberei GmbH & Co. KG, con sede in Hof (Germania),

H. Hecking Söhne GmbH & Co., con sede in Stadtlohn (Germania),

Spinnweberei Uhingen GmbH, con sede in Uhingen (Germania),

F. A. Kümpers GmbH & Co., con sede in Rheine (Germania),

Tenthorey SA, con sede in Éloyes (Francia),

Les tissages des héritiers de G. Perrin - Groupe Alain Thirion (HPG-GAT Tissages), con sede in Cornimont (Francia),

Établissements des fils de Victor Perrin SARL, con sede in Thiéfosse (Francia),

Filatures et tissages de Saulxures-sur-Moselotte, con sede in Saulxures-sur-Moselotte (Francia),

Tissage Mouline Thillot, con sede in Thillot (Francia),

Tessival SpA, con sede in Azzano S. Paolo (Italia),

Filature Niggeler & Küpfer SpA, con sede in Capriolo (Italia),

Standardtela SpA, con sede in Milano (Italia),

rappresentati dai signori C. Stanbrook, QC, e A. Dashwood, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. A. Kronshagen, 12, boulevard de la Foire,

ricorrenti,

contro

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dalla signora M.A. Santacruz e dai signori A. Tanca e S. Marquardt, consiglieri giuridici, in qualità di agenti, assistiti dagli avv.ti H.-J. Rabe e G.M. Berrisch, dei fori di Amburgo e Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor A. Morbilli, direttore generale della direzione «Affari giuridici» della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

convenuto,

sostenuto da

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal signor J.E. Collins, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt,

interveniente,

avente ad oggetto la domanda di annullamento della «decisione» del Consiglio di non adottare la proposta di regolamento che impone un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di tessuti di cotone greggi originari della Repubblica popolare cinese, dell'Egitto, dell'India, dell'Indonesia, del Pakistan e della Turchia [COM (97) 160 def. del 21 aprile 1997] nonché la domanda di risarcimento del danno subito a causa di tale «decisione»,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dai signori J. Pirrung, presidente, J. Azizi, A. Potocki, M. Jaeger e A.W.H. Meij, giudici,

cancelliere: signor G. Herzig, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 26 gennaio 2000,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.
    L'8 gennaio 1996 il Comité des industries du coton et des fibres connexes de l'Union européenne (Comitato delle industrie del cotone e delle fibre connesse dell'Unione europea, Eurocoton) ha presentato alla Commissione una denuncia secondo la quale le importazioni di tessuti di cotone greggi originari della Repubblica popolare cinese, dell'Egitto, dell'India, dell'Indonesia, del Pakistan e della Turchia sarebbero oggetto di dumping e provocherebbero quindi un danno grave per l'industria comunitaria.

2.
    Il 21 febbraio 1996 la Commissione ha pubblicato un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di tessuti di cotone greggi originari di tali paesi (GU C 50, pag. 3).

3.
    Il 18 novembre 1996 la Commissione ha adottato il regolamento (CE) n. 2208/96 che impone un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni du cui trattasi (GU L 295, pag. 3).

4.
    Il 21 aprile 1997 la Commissione ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio che impone un dazio antidumping definitivo su tali importazioni [documento COM (97) 160 def.].

5.
    Ai sensi dell'art. 6, n. 9, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 56, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento di base»), l'inchiesta antidumping «in ogni caso (...) si conclude entro quindici mesi dall'inizio». Nella fattispecie, tale termine scadeva quindi il 21 maggio 1997.

6.
    In tale data, il Consiglio ha pubblicato un comunicato stampa (comunicato stampa relativo alla 2007² riunione del Consiglio - Mercato interno, 8134/97 - Stampa 156) ai sensi del quale:

«In esito al procedimento scritto relativo all'istituzione di dazi antidumping definitivi sui tessuti di cotone originari di taluni paesi terzi, conclusosi il 16 maggio [1997] - in modo negativo -, la delegazione francese ha insistito nuovamente sulla necessità di adottare i provvedimenti in questione».

7.
    Con fax del 23 giugno 1997 l'Eurocoton ha chiesto al segretariato generale del Consiglio, da una parte, che gli fosse confermata la decisione del Consiglio di respingere la proposta della Commissione e, d'altra parte, che gli venisse inviata copia di tale decisione o del verbale del Consiglio avente valore di decisione.

8.
    Il 24 giugno 1997 all'Eurocoton è stato risposto che «il Consiglio, mediante procedimento scritto, conclusosi il 16 maggio 1997, ha constatato l'assenza della maggioranza semplice necessaria all'adozione del regolamento [di cui trattasi]».

9.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 18 luglio 1997 i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

10.
    Con atto separato depositato nella cancelleria del Tribunale in pari data essi hanno presentato una domanda di provvedimenti urgenti intesa, in particolare, ad ottenere la sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata. Tale domanda è stata respinta con ordinanza del presidente del Tribunale 2 ottobre 1997, causa T-213/97 R, Eurocoton e a./Consiglio (Racc. pag. II-1609).

11.
    Il 14 ottobre 1997 il convenuto ha sollevato un'eccezione d'irricevibilità. Con ordinanza del Tribunale (Terza Sezione ampliata) 26 marzo 1998 (causa T-213/97, non pubblicata nella Raccolta), l'eccezione è stata riunita al merito e le spese sono state riservate.

12.
    Con istanze depositate alla cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 19 e il 22 gennaio 1998, la società Broome & Wellington Ltd e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord hanno chiesto d'intervenire nel presente procedimento a sostegno del convenuto.

13.
    Con ordinanza del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale 25 gennaio 1999, causa T-213/97, Eurocoton e a./Consiglio (non pubblicata nellaRaccolta), la Broome & Wellington Ltd e il Regno Unito sono stati autorizzati ad intervenire; con la stessa ordinanza, è stata accolta la domanda di trattamento riservato presentata dai ricorrenti nei confronti delle parti intervenienti.

14.
    A queste ultime è stato imposto un termine per il deposito delle rispettive memorie.

15.
    Con lettera 15 febbraio 1999, il Regno Unito ha fatto sapere che rinunciava a depositare osservazioni scritte.

16.
    Con lettera 8 marzo 1999, la Broome & Wellington Ltd ha informato il Tribunale della sua decisione di rinunciare agli atti nella presente causa. Le altre parti non hanno formulato osservazioni in proposito. Con ordinanza del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale 17 maggio 1999, causa T-213/97, Eurocoton e a./Consiglio (non pubblicata nella Raccolta), la Broome & Wellington Ltd è stata cancellata dal ruolo delle parti intervenienti e ciascuna delle parti è stata condannata a sopportare le proprie spese relative all'intervento della Broome & Wellington Ltd.

17.
    Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale.

18.
    All'udienza del 26 gennaio 2000 le parti - ad eccezione del Regno Unito che non ha inteso partecipare all'udienza - hanno svolto le proprie difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale.

Conclusioni delle parti

19.
    I ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:

-    annullare la decisione del Consiglio recante rigetto della proposta di regolamento presentata dalla Commissione relativo, da una parte, all'istituzione di un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di tessuti di cotone greggi originari della Repubblica popolare cinese, dell'Egitto, dell'India, dell'Indonesia, del Pakistan e della Turchia, e, dall'altra parte, alla riscossione del dazio provvisorio istituito dal regolamento n. 2208/96;

-    condannare il Consiglio a risarcire i danni che tale decisione ha loro cagionato;

-    condannare il Consiglio a tutte le spese o, in ogni caso, alle spese attinenti all'eccezione di irricevibilità.

20.
    Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

-    dichiarare il ricorso irricevibile o, in subordine, respingerlo in quanto infondato;

-    condannare i ricorrenti alle spese.

21.
    Il Regno Unito sostiene le conclusioni e i motivi del convenuto.

Sulla ricevibilità del ricorso di annullamento

22.
    Contro la ricevibilità del ricorso il convenuto solleva tre motivi. Il primo riguarda l'insussistenza di un atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 230 CE). Il secondo si fonda sulla carenza d'interesse ad agire dei ricorrenti. L'ultimo verte sul fatto che l'atto che i ricorrenti intendono contestare non li riguarda individualmente, ad eccezione dell'Eurocoton.

23.
    Occorre esaminare il primo motivo, vertente sull'insussistenza di un atto impugnabile.

Argomenti delle parti

24.
    L'argomento del Consiglio si articola, sostanzialmente, in tre punti.

25.
    In primo luogo, la conclusione del procedimento scritto del 16 maggio 1997 non costituirebbe un atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato (sentenza della Corte 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione, Racc. pag. 2639, punto 9, e sentenza del Tribunale 24 marzo 1994, causa T-3/93, Air France/Commissione, Racc. pag. II-121, punto 43). Essa non costituirebbe un «provvedimento» ai sensi della citata sentenza IBM/Commissione. In realtà non vi sarebbe proprio alcun atto, giacché il Consiglio si sarebbe limitato a «non fare nulla», come i ricorrenti riconoscono.

26.
    Il Consiglio precisa che la conclusione del procedimento scritto non ha abolito il dazio antidumping provvisorio imposto con il regolamento n. 2208/96. Ai sensi dell'art. 3 di quest'ultimo, il dazio provvisorio avrebbe cessato di applicarsi per il solo fatto della scadenza del termine di sei mesi a decorrere dall'entrata in vigore dello stesso regolamento.

27.
    I ricorrenti non potrebbero fondatamente far riferimento alle sentenze della Corte 28 novembre 1989, causa C-121/86, Epicheiriseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon e a./Consiglio (Racc. pag. 3919) e 27 novembre 1991, causa C-315/90, Gimelec e a./Commissione (Racc. pag. I-5589). In tali cause, infatti, non era stata affatto messa in dubbio la sussistenza di un atto impugnabile.

28.
    Il motivo, nel merito, vertente sulla carenza di motivazione confermerebbe l'approccio del convenuto. Il Consiglio, allorché adotta atti regolamentari, potrebbe agire soltanto su proposta della Commissione; orbene, ad esso non verrebbe maisottoposta una «proposta» recante i motivi per la mancata adozione di una proposta della Commissione. Le ragioni per le quali gli Stati membri votano contro una proposta potrebbero per altro essere molteplici e il Consiglio sarebbe ovviamente impossibilitato a fornirle.

29.
    In secondo luogo, e in subordine, il Consiglio deduce che la conclusione negativa del procedimento scritto non costituisce un rifiuto definitivo della proposta della Commissione. Tale proposta avrebbe ancora potuto essere adottata dal Consiglio, alle condizioni previste dal suo regolamento interno, e in particolare dall'art. 2, n. 5 (decisione del Consiglio 6 dicembre 1993, 93/662/CE, GU L 304, pag. 1, modificata dalla decisione del Consiglio 6 febbraio 1995, 95/24/CE/CECA/Euratom, GU L 31, pag. 14). Nella fattispecie, la delegazione francese si sarebbe per l'appunto sforzata affinché la proposta fosse nuovamente discussa ed adottata; tali sforzi sarebbero tuttavia rimasti vani, in assenza dei presupposti fissati dal regolamento interno.

30.
    In terzo luogo, il Consiglio sostiene che, nei limiti in cui i ricorrenti contestano l'asserita decisione risultante dalla scadenza del termine di quindici mesi e non dalla conclusione del procedimento scritto del 16 maggio 1997, si tratta di un argomento irricevibile ai sensi dell'art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale. Tale argomento infatti, sollevato tardivamente - in sede di osservazioni sull'eccezione di irricevibilità - modificherebbe l'oggetto del ricorso.

31.
    I ricorrenti osservano che l'atto di cui chiedono l'annullamento è la decisione del Consiglio recante rigetto della proposta di regolamento, presentata dalla Commissione, relativo all'istituzione di un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di cui trattasi. In tal senso, la conclusione del procedimento scritto del 16 maggio 1997 equivarrebbe a una decisione di rigetto definitivo, da parte del Consiglio, della proposta di regolamento presentata dalla Commissione (sentenza della Corte 5 dicembre 1963, cause riunite 23/63, 24/63 e 52/63, Usines Émile Henricot e a./Alta Autorità, Racc. pag. 439).

32.
    Se così non fosse, i denuncianti, che sono all'origine di un'inchiesta antidumping, sarebbero privati di qualunque mezzo di ricorso giurisdizionale qualora il Consiglio si astenesse dall'agire. Ciò sarebbe in contrasto tanto con i principi generali del diritto (v., nel diritto della concorrenza, sentenze della Corte 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro/Commissione, Racc. pag. 1875, 11 ottobre 1983, causa 210/81, Demo-Studio Schmidt/Commissione, Racc. pag. 3045; in materia di aiuti di Stato, sentenze 28 gennaio 1986, causa 169/84, Cofaz e a./Commissione, Racc. pag. 391, e 15 giugno 1993, causa C-225/91, Matra/Commissione, Racc. pag. I-3203; in materia di dazi compensativi, sentenza 4 ottobre 1983, causa 191/82, Fediol/Commissione, Racc. pag. 2913; in materia istituzionale, sentenze 23 aprile 1986, causa 294/83, Les Verts/Parlamento, Racc. pag. 1339 e 22 maggio 1990, causa C-70/88, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I-2041) quanto con l'obiettivo del regolamento di base.

33.
    In realtà non vi sarebbe alcun dubbio che la mancata adozione, da parte del Consiglio, delle misure proposte dalla Commissione, abbia inciso sulla posizione giuridica dei ricorrenti.

34.
    I ricorrenti avrebbero potuto esperire un ricorso se, a seguito di consultazione, i provvedimenti di tutela fossero stati giudicati superflui e il procedimento antidumping si fosse chiuso in applicazione dell'art. 9, n. 2, del regolamento di base (sentenze Epicheiriseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon e a./Consiglio e Gimelec e a./Commissione, citate). Un ricorso del genere sarebbe necessario a maggior ragione allorché il procedimento si chiude per effetto dello scadere del termine di quindici mesi. In tali condizioni, anche se, come afferma il Consiglio, quest'ultimo avesse potuto adottare la proposta della Commissione dopo il 16 maggio 1997, il fatto che esso abbia lasciato scadere il termine di quindici mesi equivarrebbe a un atto negativo che conferma il suo rigetto della proposta della Commissione.

35.
    Peraltro, i documenti prodotti lascerebbero supporre che la conclusione del procedimento scritto del 16 maggio 1997 costituisse effettivamente una decisione definitiva (v. il comunicato stampa del Consiglio 21 maggio 1997 e il fax del Consiglio all'Eurocoton del 24 maggio 1997). Orbene, allorché ha formalmente luogo un voto, per iscritto o meno, e la maggioranza necessaria non è raggiunta, ciò equivarrebbe a un rigetto della proposta e il suo effetto giuridico sarebbe consumato: soltanto una nuova proposta della Commissione potrebbe permettere di riprendere l'iter legislativo.

36.
    La difficoltà per il Consiglio di indicare i motivi della propria decisione non giustificherebbe che atti negativi, come quello di cui trattasi nella fattispecie, siano sottratti al sindacato giurisdizionale.

Giudizio del Tribunale

37.
    Ai sensi dell'art. 9, n. 4, del regolamento di base, «Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l'esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento a norma dell'articolo 21, il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice su una proposta presentata dalla Commissione dopo aver sentito il comitato consultivo, istituisce un dazio antidumping definitivo».

38.
    Occorre sottolineare inoltre che, ai sensi dell'art. 14, n. 1, del regolamento di base, i dazi antidumping definitivi sono imposti con regolamento.

39.
    E' pacifico che un regolamento che impone dazi antidumping definitivi, adottato dal Consiglio, costituisce un atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato, e che, ove ricorrano gli altri presupposti di ricevibilità, è soggetto a controllo di legalità.

40.
    Da tale constatazione non può dedursi che, qualora, nella fattispecie inversa, il Consiglio non adotti una proposta di regolamento che impone dazi antidumping definitivi, si sia necessariamente in presenza di un atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato.

41.
    La sussistenza di un atto impugnabile ai sensi di tale norma, infatti, può essere accertata soltanto caso per caso.

42.
    Nella fattispecie, le ricorrenti domandano l'annullamento della «decisione» del Consiglio di non adottare un dazio antidumping definitivo. Tale decisione, come risulta dal punto 22 del ricorso, consisterebbe nella «conclusione del procedimento scritto del 16 maggio 1997».

43.
    Occorre anzitutto determinare se i ricorrenti abbiano un diritto a che il Consiglio adotti un regolamento che impone un dazio antidumping definitivo, ed esaminare quindi la natura dei poteri riservati in materia al Consiglio.

44.
    In proposito si deve rilevare, in primo luogo, che nessuna disposizione del Trattato CE impone al Consiglio di adottare, su proposta della Commissione, un regolamento che impone dazi antidumping definitivi.

45.
    In secondo luogo, dall'esame del sistema del regolamento di base si evince che, nell'ambito di un procedimento di inchiesta in materia antidumping da parte della Commissione, spettano ai denuncianti taluni diritti precisi (v. in particolare, in tal senso, sentenza Fediol/Commissione, citata, punto 25, per quanto riguarda l'istituzione di dazi compensativi).

46.
    Tuttavia, il regolamento di base non conferisce ai ricorrenti un diritto a che il Consiglio adotti una proposta di regolamento che impone dazi antidumping definitivi.

47.
    Infatti, allorché l'art. 9, n. 4, del regolamento di base dispone che un dazio antidumping definitivo è imposto dal Consiglio «deliberando a maggioranza semplice su una proposta presentata dalla Commissione», risulta implicitamente ma necessariamente dal riferimento a tale procedura di voto che la proposta della Commissione non è adottata dal Consiglio qualora soltanto una minoranza di Stati membri abbia ritenuto sussistere i presupposti per l'applicazione di dazi antidumping definitivi.

48.
    Va ricordato peraltro che, ai sensi dell'art. 1 del regolamento di base, «può» essere imposto un dazio antidumping su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui immissione in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio.

49.
    Vero è che l'art. 6, n. 9, del regolamento di base ha sancito una durata massima dell'inchiesta, ma da ciò non si può dedurre che il Consiglio sia tenuto adaccogliere una proposta della Commissione di imporre un dazio antidumping definitivo. Ciò non soltanto sarebbe incompatibile con le norme innanzi ricordate ma, inoltre, contravverrebbe all'obiettivo stesso dell'introduzione di tali termini. Tale introduzione aveva infatti quale unico scopo quello di evitare una durata eccessiva dei procedimenti antidumping, consentendo così a tutte le parti interessate - tanto all'industria comunitaria quanto all'imprese dei paesi terzi - di conoscere a tale data ultima l'esito dell'inchiesta.

50.
    Infine, non può desumersi dall'accordo relativo all'applicazione dell'art. VI dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU L 336, pag. 103; in prosieguo: il «codice antidumping») che il Consiglio avrebbe l'obbligo di adottare dazi antidumping definitivi. Tali norme, infatti, si limitano a fissare le condizioni restrittive che devono ricorrere affinché una parte contraente possa istituire dazi antidumping, e ledere così le esportazioni di un altro Stato parte dell'accordo. Come risulta dall'art. 1 di tale codice, esse tendono quindi unicamente a garantire alle parti contraenti che nessuna di esse fisserà dazi antidumping ove non ricorrano i presupposti ivi enunciati.

51.
    Tali norme non possono per contro essere intese come volte ad imporre alle parti contraenti l'obbligo di istituire dazi antidumping. Al contrario, l'art. 9, n. 1, del codice antidumping prevede che «è opportuno che l'applicazione (...) sia facoltativa».

52.
    Le ricorrenti non possono quindi vantare alcun diritto a che il Consiglio adotti una proposta di regolamento istitutivo di dazi antidumping definitivi sottopostagli dalla Commissione.

53.
    Alla luce di tali constatazioni, tratte tanto dal sistema del Trattato quanto da quello del regolamento di base, occorre accertare se, in una situazione come quella della fattispecie, spetti ai ricorrenti il diritto di proporre un ricorso d'annullamento.

54.
    Secondo una giurisprudenza costante, costituiscono atti o decisioni che possono essere oggetto di un'azione di annullamento ai sensi dell'art. 173 i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica di questi ultimi (v., in particolare, sentenza IBM/Commissione, citata).

55.
    In tal senso, possono essere impugnate con un ricorso d'annullamento tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, indipendentemente dalla loro natura e forma, che mirino a produrre effetti giuridici (sentenza della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263, punto 42).

56.
    Nella fattispecie, dalla circostanza che il voto avvenuto in seno al Consiglio il 16 maggio 1997, mediante procedimento scritto, non abbia permesso il formarsi di una maggioranza semplice a favore della proposta di regolamento che impone un dazioantidumping definitivo, che gli era stata sottoposta, deriva che il Consiglio non ha adottato alcuna disposizione.

57.
    Inoltre, il semplice fatto che, a seguito del voto, non sia stata raggiunta la maggioranza richiesta per l'adozione di una proposta di regolamento antidumping non costituisce, di per sé, atto impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato.

58.
    Se, infatti, il voto positivo costituisce la modalità giuridica mediante la quale l'atto è adottato, il voto negativo, per contro, traduce semplicemente la mancanza di decisione.

59.
    Quanto all'argomento dei ricorrenti vertente sulla carenza di tutela giurisdizionale che risulterebbe dall'irricevibilità della presente domanda d'annullamento, occorre ricordare che il sindacato giurisdizionale cui i ricorrenti hanno diritto deve essere adeguato alla natura dei poteri riservati in materia antidumping alle istituzioni della Comunità (sentenza Fediol/Commissione, citata, punto 29). Orbene, sotto questo profilo la situazione in cui si trova la Commissione, in particolare quanto all'esame della denuncia e al seguito da attribuire a quest'ultima, non è paragonabile a quella del Consiglio. Se spetta a quest'ultimo, quando riceve una proposta di regolamento che impone dazi antidumping definitivi, iscrivere tale proposta all'ordine del giorno delle sue riunioni, esso non ha per contro l'obbligo di adottare tale proposta.

60.
    Occorre infine sottolineare che, nel caso in cui la mancata adozione, da parte del Consiglio, di un regolamento che impone dazi antidumping definitivi sia illecita, ad esempio in quanto affetta da un vizio procedurale grave, i ricorrenti conservano la possibilità di proporre ricorso per risarcimento danni in forza degli artt. 178 e 215 del Trattato CE (divenuti artt. 235 CE e 288 CE). E' appunto quanto essi hanno fatto nella fattispecie.

61.
    Pertanto, senza che occorra esaminare le altre eccezioni di irricevibilità sollevate dal convenuto, occorre dichiarare il ricorso d'annullamento irricevibile.

62.
    Nelle loro osservazioni sull'eccezione d'irricevibilità (in particolare punti 7 e 9) i ricorrenti hanno contestato inoltre la legittimità dell'atto negativo risultante, a loro parere, dallo scadere del termine di quindici mesi previsto dall'art. 6, n. 9, del regolamento di base.

63.
    Occorre rilevare che, in tal modo, i ricorrenti hanno proposto una domanda nuova, contravvenendo all'art. 19 dello Statuto CE della Corte e all'art. 44 del regolamento di procedura del Tribunale. Una domanda del genere deve essere pertanto dichiarata irricevibile.

64.
    In ogni caso, la mera scadenza del termine di quindici mesi previsto dall'art. 6, n. 9, del regolamento di base non integra gli estremi di una decisione del Consiglio, impugnabile con ricorso d'annullamento in forza dell'art. 173 del Trattato.

Sul ricorso per risarcimento danni

1. Sulla ricevibilità

65.
    Il convenuto afferma che il ricorso non è conforme agli artt. 19 dello Statuto della Corte e 44 del regolamento di procedura del Tribunale. Esso infatti non presenterebbe la precisione necessaria alla ricevibilità di una domanda di risarcimento danni (v., ad esempio, sentenza del Tribunale 10 luglio 1990, causa T-64/89, Automec/Commissione, Racc. pag. II-367, punti 73 e 74).

66.
    Tale obiezione va disattesa.

67.
    Il ricorso contiene infatti gli elementi che consentono di identificare il comportamento contestato all'istituzione, il carattere e la portata del danno allegato e le ragioni per le quali i ricorrenti ritengono sussistere un nesso di causalità tra il comportamento contestato e il danno allegato.

68.
    Pertanto, esso è conforme ai dettami delle norme citate. In realtà, le obiezioni sollevate dal convenuto, in particolare per quanto riguarda la natura del danno o la prova del nesso di causalità, rientrano piuttosto nell'ambito della valutazione della fondatezza della domanda.

69.
    L'eccezione d'irricevibilità sollevata dal Consiglio va quindi respinta.

2. Nel merito

70.
    Secondo una giurisprudenza costante, il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità presuppone il ricorrere di una serie di condizioni attinenti all'illegittimità del comportamento contestato alle istituzioni comunitarie, all'esistenza di un danno effettivo e certo nonché all'esistenza di un nesso causale diretto tra il comportamento dell'istituzione di cui trattasi e il danno asserito (v. sentenza del Tribunale 15 settembre 1998, causa T-54/96, Oleifici italiani e Fratelli Rubino/Commissione, Racc. pag. II-3377, punto 66).

71.
    Nella fattispecie occorre esaminare la domanda di risarcimento alla luce del primo di tali presupposti.

Argomenti dei ricorrenti

72.
    I ricorrenti sostengono, in limine, che è sufficiente che essi dimostrino l'esistenza di un illecito semplice, e non quella di una violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli. Infatti, nell'ambito delle funzioni conferitegli dal regolamento di base, il Consiglio non effettuerebbe alcuna scelta di politica economica, ai sensi della sentenza della Corte 2 dicembre 1971, causa 5/71, Zuckerfabrik Scöppenstedt/Consiglio (Racc. pag. 975). In ogni caso, gli illeciticontestati al Consiglio nella fattispecie costituirebbero una violazione grave di norme superiori a tutela degli interessi dei singoli.

73.
    I ricorrenti contestano al Consiglio due distinti illeciti. In via principale, il Consiglio avrebbe respinto la proposta di regolamento sottopostagli dalla Commissione pur non essendo competente a farlo. In subordine, volendo ammettere che esso possedesse tale competenza, l'avrebbe nella fattispecie esercitata in maniera arbitraria.

Sull'illecito dedotto in via principale, vertente sull'impossibilità per il Consiglio di respingere sic et simpliciter la proposta della Commissione.

74.
    Secondo i ricorrenti, ai sensi dell'art. 9, n. 4, del regolamento di base, un dazio antidumping «è» istituito dal Consiglio ove risulti dalla constatazione definitiva dei fatti «l'esistenza di dumping e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un intervento».

75.
    Inoltre, ai sensi dell'art. 6, n. 9, del regolamento di base, l'inchiesta deve concludersi entro quindici mesi dalla sua apertura. La previsione di tale termine nel regolamento di base avrebbe modificato la posizione giuridica in cui si trova il Consiglio.

76.
    In tal senso, il potere discrezionale riconosciutogli in altre occasioni (sentenza della Corte 14 marzo 1990, cause riunite C-133/87 e C-150/87, Nashua Corporation e a./Commissione e Consiglio, Racc. pag. I-719; ordinanza del Tribunale 10 luglio 1996, causa T-208/95, Miwon/Commissione, Racc. pag. II-635) troverebbe ineluttabilmente il suo limite nel tentativo di pervenire, entro lo scadere dei quindici mesi, ad una soluzione accettabile dalla maggioranza semplice dei membri del Consiglio, pur restando conforme alle conclusioni definitive della Commissione vertenti sull'esistenza di un dumping e di un danno conseguente e sull'interesse della Comunità. Il Consiglio non avrebbe l'obbligo di adottare la proposta iniziale della Commissione. Per contro, sarebbe obbligato, entro la scadenza del termine, ad adottare o ad emendare ogni proposta risultante dalle discussioni tra le due istituzioni. In tal senso, non potrebbe adottare una decisione incompatibile con le conclusioni della Commissione né, il che sarebbe lo stesso, astenersi dall'adottare la proposta di quest'ultima. Il regolamento di base non conterrebbe peraltro alcuna disposizione che autorizzi il Consiglio a respingere la proposta della Commissione o ad astenersi dall'adottarla.

77.
    Vi sarebbero, in realtà, due possibili esiti ad un'inchiesta antidumping. Il primo sarebbe la chiusura del procedimento senza l'istituzione di misure definitive, ammissibile unicamente in caso di ritiro della denuncia o di insussistenza di dumping, di danno o di interesse della Comunità (art. 9, nn. 1 e 2). Il secondo sarebbe l'imposizione di dazi definitivi (art. 9, n. 4, del regolamento di base), qualora dalla constatazione definitiva dei fatti risulti l'esistenza di un dumping e diun conseguente pregiudizio, e qualora gli interessi della Comunità esigano un intervento.

78.
    I fatti accertati in via definitiva dalla Commissione sarebbero pertanto determinanti. Il Consiglio, sprovvisto di poteri d'inchiesta, non sarebbe competente a discostarsi dalle conclusioni di fatto della Commissione.

79.
    Nell'ottica del rispetto tanto delle disposizioni del regolamento di base quanto di quelle dell'art. 6, n. 9, del codice antidumping, l'interpretazione dei rispettivi ruoli della Commissione e del Consiglio propugnata dai ricorrenti sarebbe l'unica possibile.

80.
    Infine, i ricorrenti non contestano la libertà di voto dei membri del Consiglio. Esisterebbe tuttavia una distinzione tra questa libertà - riconducibile alla responsabilità politica degli Stati membri - e un obbligo giuridico vincolante per l'istituzione stessa. Il Consiglio non potrebbe eludere un obbligo che gli incombe asserendo che i suoi membri non lo autorizzano ad adempiere tale obbligo.

Sugli illeciti dedotti in subordine

- Sulla deliberata omissione consistente nel non aver preso in considerazione i fatti accertati dalla Commissione o sull'errore manifesto di valutazione di tali fatti

81.
    Secondo i ricorrenti, la Commissione, tanto nel regolamento che impone un dazio provvisorio quanto nella proposta di regolamento che impone un dazio antidumping definitivo, aveva dimostrato con precisione l'esistenza di un dumping e del grave danno che ne derivava, concludendo che rispondeva all'interesse della Comunità imporre un dazio antidumping definitivo. Poiché il Consiglio non avrebbe, di regola, accesso diretto ai documenti e ai dati dettagliati raccolti dalla Commissione, sarebbe inconcepibile che esso possa essere giunto ad una diversa valutazione dei fatti.

- Sulla negazione dei diritti procedurali e delle legittime aspettative del denunciante

82.
    Il regolamento di base conferirebbe alla parte denunciante in un'inchiesta antidumping specifici diritti (sentenza Fediol/Commissione, citata, punto 28). Tali diritti risulterebbero lesi qualora il Consiglio potesse respingere sic et simpliciter una proposta della Commissione senza tener conto delle conclusioni da essa raggiunte al termine della sua inchiesta (v., per analogia, conclusioni dell'avvocato generale Verloren van Themaat nella causa Cofaz e a./Commissione, citata, Racc. pag. 392, nonché sentenza del Tribunale 18 settembre 1992, causa T-24/90, Automec/Commissione, Racc. pag. II-2223). Quanto meno, i ricorrenti potrebbero legittimamente attendersi che i fatti accertati dalla Commissione siano esaminati dal Consiglio con tutta l'attenzione necessaria.

83.
    Contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, tali diritti procedurali dovrebbero trovare applicazione tanto davanti alla Commissione quanto davanti al Consiglio. Il codice antidumping, in tal senso, utilizzerebbe il termine «autorità» senza distinzione.

- Sulla violazione dell'obbligo di motivazione

84.
    I ricorrenti contestano al Consiglio di non aver motivato il rigetto della proposta della Commissione. La semplice menzione del fatto che il procedimento scritto si è chiuso, non essendo stato ottenuto il numero di voti sufficiente, non basterebbe a giustificare il rigetto delle dettagliate constatazioni di fatto presentate dalla Commissione al termine di un'inchiesta destinata a tutelare i diritti procedurali di tutte le parti.

85.
    La mancanza di una proposta della Commissione recante le «ragioni» per non adottare provvedimenti antidumping nulla toglierebbe all'obbligo del Consiglio di motivare le proprie decisioni. Tale obbligo incomberebbe sull'istituzione anche in assenza di testi normativi specifici (in particolare, sentenza della Corte 29 marzo 1979, causa 113/99, NTN Toyo Bearing e a./Consiglio, Racc. pag. 1185).

Giudizio del Tribunale

86.
    Per le ragioni esposte innanzi, ai punti 43-52, la tesi principale dei ricorrenti va respinta. Il Consiglio, infatti, non ha l'obbligo di accogliere una proposta di regolamento che impone dazi antidumping definitivi sottopostagli dalla Commissione.

87.
    Per quanto riguarda gli illeciti dedotti dai ricorrenti in subordine, si fondano sull'erronea premessa che i ricorrenti abbiano il diritto di ottenere dal Consiglio l'adozione di un regolamento.

88.
    In tal senso, per quanto riguarda l'asserita omissione consistente nel fatto che il Consiglio non avrebbe preso in considerazione i fatti accertati dalla Commissione, occorre ricordare che il Consiglio non ha l'obbligo di adottare, su proposta della Commissione, un regolamento che impone dazi antidumping definitivi. Per definizione, la Commissione sottoporrà al Consiglio una proposta di regolamento che impone dazi antidumping definitivi solo qualora ritenga che dai fatti esaminati risulti l'esistenza di un dumping, di un danno conseguente e che l'interesse della Comunità imponga un intervento del genere. Ciò non toglie che sia giuridicamente impossibile adottare tale proposta qualora soltanto una minoranza di Stati membri ritenga che essa debba essere adottata.

89.
    Analogamente, in assenza di qualunque obbligo a carico del Consiglio, i ricorrenti non possono sostenere che l'omessa adozione di un dazio antidumping definitivo da parte del Consiglio contravvenga al principio di tutela del legittimo affidamento.Per giunta, le sole legittime aspettative cui i ricorrenti si riferiscono consistono nel fatto che il Consiglio esamini le circostanze di causa con attenzione. Orbene, nulla negli atti consente di concludere che il Consiglio non abbia proceduto ad un siffatto esame.

90.
    Peraltro, l'argomento relativo all'illecito consistente nell'asserita carenza di motivazione va disatteso. E' sufficiente ricordare che l'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE) dispone che i regolamenti, le direttive e le decisioni adottate, in particolare, dal Consiglio, sono motivati. Nella fattispecie, come risulta dall'esame della ricevibilità del ricorso d'annullamento, nessun atto è stato adottato dal Consiglio.

91.
    Infine, per quanto riguarda l'argomento dei ricorrenti relativo alle garanzie procedurali, occorre rilevare che esso è riconducibile in realtà al loro motivo principale, volto a dimostrare la sussistenza di un obbligo, che incomberebbe al Consiglio, di adottare una proposta di regolamento antidumping. I ricorrenti, infatti, non contestano che sia stato rispettato l'insieme dei diritti procedurali loro conferiti dal regolamento di base, ma sostengono che, se il Consiglio potesse, come nella fattispecie, non adottare una proposta di regolamento, tali diritti risulterebbero violati. Orbene, come è già stato dichiarato, la possibilità che il Consiglio non adotti una proposta di regolamento che impone un dazio antidumping è inerente tanto al sistema del Trattato quanto allo stesso regolamento di base.

92.
    Dall'insieme di tali elementi risulta che, in mancanza di illecito da parte del Consiglio, la domanda di risarcimento danni deve comunque essere respinta.

Sulle spese

93.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché i ricorrenti sono rimasti soccombenti, occorre condannarli alle spese, comprese le spese attinenti al procedimento sommario, conformemente a quanto chiesto dal convenuto.

94.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 4, del regolamento di procedura, gli Stati membri intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Il Regno Unito sopporterà quindi le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)        Il ricorso è respinto.

2)        I ricorrenti sono condannati a tutte le spese. Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporterà le proprie spese.

Pirrung Azizi Potocki

            Jaeger                 Meij

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 29 novembre 2000.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

A.W.H. Meij


1: Lingua processuale: l'inglese.