Language of document : ECLI:EU:C:2020:141

Causa C482/18

Google Ireland Limited

contro

Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó- és Vámigazgatósága

(domanda di pronuncia pregiudiziale,
proposta dal Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság)

 Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 3 marzo 2020

«Rinvio pregiudiziale – Libera prestazione dei servizi – Articolo 56 TFUE – Restrizioni – Disposizioni tributarie – Imposta relativa alle attività pubblicitarie e basata sul fatturato – Obblighi inerenti alla registrazione presso l’amministrazione tributaria – Principio di non discriminazione – Sanzioni pecuniarie – Principio di proporzionalità»

1.        Libera prestazione dei servizi – Restrizioni – Normativa nazionale che rende la prestazione di servizi tra gli Stati membri più difficoltosa rispetto alla prestazione puramente interna allo Stato membro – Inammissibilità – Nozione di restrizione – Misura che produce costi supplementari per la prestazione di cui trattasi – Esclusione – Presupposto – Misura che incide allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra Stati membri e su quella interna a uno Stato membro

(Art. 56 TFUE)

(v. punti 25, 26)

2.        Libera prestazione dei servizi – Restrizioni – Normativa tributaria – Normativa nazionale concernente un’imposta relativa alle attività pubblicitarie e basata sul fatturato – Obbligo dichiarativo ai fini dell’assoggettamento a detta imposta – Esonero per i prestatori residenti a motivo del loro obbligo di registrazione a titolo di altre imposte – Ammissibilità

(Art. 56 TFUE)

(v. punto 36, dispositivo 1)

3.        Libera prestazione dei servizi – Restrizioni – Normativa tributaria – Normativa nazionale concernente un’imposta relativa alle attività pubblicitarie e basata sul fatturato – Obbligo dichiarativo ai fini dell’assoggettamento a detta imposta – Possibilità di sanzionare i prestatori di servizi non residenti che violino tale obbligo – Presupposti per la sanzione decisamente più favorevoli per i prestatori residenti – Inammissibilità – Giustificazione fondata su ragioni di interesse generale – Efficacia dei controlli fiscali e della riscossione dell’imposta – Inclusione – Mancanza di giustificazione nella fattispecie – Violazione del principio di proporzionalità

(Art. 56 TFUE)

(v. punti 45, 47, 54, dispositivo 2)


Sintesi

Il regime sanzionatorio che si ricollega all’imposta ungherese sulla pubblicità è incompatibile con il diritto dell’Unione. Per contro, tale diritto non osta all’obbligo dichiarativo cui sono soggetti i prestatori di servizi pubblicitari stranieri relativamente a tale imposta.

Con la sua sentenza del 3 marzo 2020, Google Ireland (C 482/18), la Grande Sezione della Corte ha statuito che la libera prestazione dei servizi, sancita all’articolo 56 TFUE, non osta alla normativa ungherese che impone ai prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Ungheria un obbligo dichiarativo ai fini del loro assoggettamento all’imposta ungherese sulla pubblicità. Ciò vale anche se i prestatori di questo tipo di servizi stabiliti in Ungheria sono dispensati da tale obbligo, dal momento che sottostanno a obblighi dichiarativi o di registrazione analoghi a titolo del loro assoggettamento a ogni altra imposta applicabile nel territorio ungherese.

Per contro, la Corte ha statuito che il summenzionato principio osta alla parte di tale normativa che prevede che ai prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in uno Stato membro diverso dall’Ungheria, che non abbiano ottemperato all’obbligo dichiarativo, è inflitta, in pochi giorni, una serie di sanzioni pecuniarie che può complessivamente raggiungere diversi milioni di euro, senza che l’autorità competente, prima di adottare la sua decisione che fissa definitivamente l’importo cumulativo di tali sanzioni pecuniarie, conceda ai prestatori di cui trattasi il tempo necessario per ottemperare ai loro obblighi, offra loro la possibilità di presentare le loro osservazioni ed esamini essa stessa la gravità dell’infrazione. A tale riguardo, la Corte precisa che l’importo della sanzione pecuniaria che sarebbe inflitta a un prestatore di servizi pubblicitari stabilito in Ungheria che non abbia ottemperato a un analogo obbligo dichiarativo o di registrazione, in violazione delle disposizioni generali del diritto tributario nazionale, è notevolmente inferiore e non viene aumentato, in caso di inadempimento continuato di siffatto obbligo, né nella stessa misura né necessariamente entro un periodo di tempo così breve.

Nel caso di specie, Google Ireland, una società di diritto irlandese che esercitava un’attività soggetta all’imposta ungherese sulla pubblicità, ha violato il proprio obbligo dichiarativo relativo a tale imposta. Per tale motivo, a tale prestatore di servizi sono state inflitte, in un primo tempo, una sanzione pecuniaria di importo pari a dieci milioni di fiorini ungheresi (HUF) (circa EUR 31 000) e in seguito, nell’arco di pochi giorni, sanzioni pecuniarie supplementari, il cui importo complessivo ammontava a un miliardo di HUF (circa 3,1 milioni di euro). Tale somma corrispondeva all’importo massimo di sanzioni pecuniarie previste dalla normativa ungherese in caso di violazione dell’obbligo dichiarativo. Google Ireland ha contestato dinanzi al Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) la compatibilità con il diritto dell’Unione, da un lato, dell’obbligo dichiarativo per i prestatori di servizi pubblicitari stranieri e, dall’altro, del regime sanzionatorio che si ricollega all’omissione di procedere a siffatta dichiarazione. Tale argomento ha indotto detto giudice a rivolgere alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale.

La Corte ha ricordato che il principio della libera prestazione di servizi vieta ogni normativa nazionale che può rendere una prestazione di servizi tra gli Stati membri più difficoltosa rispetto alla prestazione di servizi puramente interna a uno Stato membro. Tale principio esige pertanto l’eliminazione di ogni restrizione alla libera prestazione dei servizi imposta per il fatto che il prestatore è stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui è fornita la prestazione.

Osservando che l’obbligo dichiarativo in questione non condiziona l’esercizio dell’attività di diffusione pubblicitaria nel territorio ungherese ed è imposto indipendentemente dal luogo di stabilimento dell’insieme dei prestatori di servizi pubblicitari assoggettati all’imposta ungherese sulla pubblicità, la Corte ha statuito che questa formalità amministrativa non costituisce, in quanto tale, un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.

Nel caso di specie non si è infatti potuta constatare alcuna differenza di trattamento che possa costituire una restrizione a tale libertà fondamentale. Sebbene deteminati prestatori, in particolare quelli stabiliti in Ungheria, sono dispensati dall’obbligo dichiarativo, ciò è dovuto al fatto che essi sono già dichiarati o registrati a titolo di una qualsiasi altra imposizione diretta o indiretta prelevata in Ungheria. Tale esonero non ha un effetto dissuasivo, ma evita ai prestatori già registrati l’adempimento di una formalità inutile, dal momento che l’obbligo dichiarativo che si ricollega all’imposta sulla pubblicità ha precisamente lo scopo di rendere noti all’amministrazione tributaria ungherese i soggetti passivi di tale imposta.

Per quanto riguarda le sanzioni in materia fiscale, la Corte ha ricordato che – sebbene i regimi sanzionatori in tale materia rientrino, in mancanza di armonizzazione a livello dell’Unione, nella competenza degli Stati membri – tali regimi non possono avere l’effetto di compromettere le libertà previste dal Trattato FUE.

In tale ambito, la Corte ha esaminato se le sanzioni associate alla mancata presentazione della dichiarazione prevista dalla normativa di cui trattasi nella fattispecie siano contrarie alla libera prestazione dei servizi. A tale riguardo, la Corte ha constatato che, da un punto di vista formale, il regime sanzionatorio in questione è indistintamente applicabile a tutti i soggetti passivi che non si conformano al loro obbligo dichiarativo, indipendentemente dallo Stato membro nel cui territorio essi sono stabiliti. Tuttavia, solo le persone fiscalmente non residenti in Ungheria corrono realmente il rischio che siano loro inflitte tali sanzioni.

È vero che i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in Ungheria possono essere sanzionati per l’inadempimento di analoghi obblighi dichiarativi e di registrazione loro imposti dalle disposizioni generali della normativa tributaria nazionale.

Tuttavia, il regime sanzionatorio che si ricollega alla legge relativa all’imposta sulla pubblicità consente di infliggere sanzioni pecuniarie di importo significativamente superiore a quello delle sanzioni pecuniarie previste in caso di violazione, da parte di un prestatore di servizi pubblicitari stabilito in Ungheria, del suo obbligo di registrazione. Peraltro né gli importi né le scadenze previsti da quest’ultimo regime sono così rigorosi come quelli applicabili nel contesto delle sanzioni previste dalla legge relativa all’imposta sulla pubblicità. Ne risulta che tale regime sanzionatorio costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi.

La Corte ha inoltre riconosciuto che l’efficacia dei controlli fiscali e della riscossione dell’imposta costituiscono motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare una simile restrizione e che l’irrogazione di sanzioni pecuniarie di importo sufficientemente elevato è idonea a dissuadere i prestatori di servizi pubblicitari soggetti all’obbligo di registrazione dall’inosservanza del medesimo. Tuttavia la Corte ha giudicato sproporzionato il regime sanzionatorio in questione. Al riguardo essa ha sottolineato, in particolare, il fatto che tale regime non prevede alcuna correlazione tra l’aumento esponenziale, in tempi particolarmente brevi, dell’importo cumulativo delle sanzioni pecuniarie e la gravità dell’omissione di procedere alla dichiarazione, nonché il fatto che il soggetto passivo interessato si trova nell’impossibilità materiale di evitare che gli sia inflitto l’importo massimo della sanzione pecuniaria ottemperando al suo obbligo dichiarativo prima di ricevere l’ultima decisione sanzionatoria con cui tale importo è raggiunto.