Language of document : ECLI:EU:T:2014:10

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

16 gennaio 2014 (*)

«Marchio comunitario – Opposizione – Domanda di marchio comunitario figurativo FOREVER – Marchio nazionale figurativo anteriore 4 EVER – Impedimento relativo alla registrazione – Rischio di confusione – Somiglianza tra i segni – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 – Uso effettivo del marchio anteriore – Articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009»

Nella causa T‑528/11,

Aloe Vera of America, Inc., con sede in Dallas, Texas (Stati Uniti), rappresentata da R. Niebel e F. Kerl, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato da J. Crespo Carrillo, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI e interveniente dinanzi al Tribunale:

Detimos – Gestão Imobiliária, SA, con sede in Carregado (Portogallo), rappresentata da V. Caires Soares, avvocato,

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI dell’8 agosto 2011 (procedimento R 742/2010‑4), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Diviril – Distribuidora de Viveres do Ribatejo, Lda e l’Aloe Vera of America, Inc.,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da S. Frimodt Nielsen, presidente, F. Dehousse e A. Collins (relatore), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 ottobre 2011,

visto il controricorso dell’UAMI depositato presso la cancelleria del Tribunale il 31 gennaio 2012,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 27 gennaio 2012,

vista la modifica della composizione delle sezioni del Tribunale,

visto che le parti non hanno presentato domanda di fissazione dell’udienza nel termine di un mese dalla notifica della chiusura della fase scritta ed avendo quindi deciso, su relazione del giudice relatore e in applicazione dell’articolo 135 bis del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire senza aprire la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 22 dicembre 2006 la ricorrente, Aloe Vera of America, Inc., ha presentato una domanda di registrazione di marchio comunitario all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), ai sensi del regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio oggetto della domanda di registrazione è il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano in particolare nella classe 32 ai sensi dell’Accordo di Nizza del 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Succo di aloe vera, bevande a base di aloe vera e polpa di aloe vera; miscele di aloe vera e succo di frutta; ed acqua di sorgente in bottiglia».

4        La domanda di marchio comunitario è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 30/2007, del 2 luglio 2007.

5        Il 28 settembre 2007 la Diviril – Distribuidora de Viveres do Ribatejo, Lda ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 42 del regolamento n. 40/94 (divenuto articolo 41 del regolamento n. 207/2009), contro la registrazione del marchio richiesto per i prodotti di cui al precedente punto 3.

6        L’opposizione era fondata sul marchio portoghese figurativo anteriore n. 297 697 qui di seguito riprodotto, depositato il 27 gennaio 1994, registrato l’11 aprile 1995 e rinnovato il 9 agosto 2005, per «Succhi, succhi di lime – esclusivamente per l’esportazione», rientranti nella classe 32 ai sensi dell’Accordo di Nizza:

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7        I motivi dedotti a sostegno dell’opposizione erano quelli attinenti all’articolo 8, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009] e all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 40/94 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009].

8        Il 19 ottobre 2007 il marchio anteriore è stato trasferito all’interveniente, Detimos – Gestão Imobiliária, SA, la quale è subentrata nei diritti della Diviril.

9        Il 20 aprile 2009 la ricorrente ha chiesto che l’interveniente fornisse la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore.

10      Con lettera del 19 maggio 2009 l’UAMI ha invitato l’interveniente a fornire la prova suddetta entro due mesi, vale a dire al più tardi il 20 luglio 2009.

11      In risposta a tale lettera, il 12 giugno 2009 l’interveniente ha prodotto una serie di fatture.

12      Con decisione del 22 aprile 2010 la divisione di opposizione ha accolto l’opposizione e ha respinto la domanda di registrazione del marchio comunitario.

13      Il 30 aprile 2010 la ricorrente ha proposto ricorso all’UAMI contro la decisione della divisione di opposizione, ai sensi degli articoli da 58 a 62 del regolamento n. 207/2009.

14      Con decisione dell’8 agosto 2011 (in prosieguo: la «decisione impugnata») la quarta commissione di ricorso dell’UAMI ha respinto il ricorso. In primo luogo, essa ha constatato che il pubblico di riferimento era costituito dal consumatore medio portoghese. In secondo luogo, ha ritenuto che l’interveniente avesse sufficientemente provato che il marchio anteriore era stato effettivamente utilizzato in Portogallo per il periodo rilevante di cinque anni. In terzo luogo, ha affermato che i prodotti di cui trattasi erano in parte identici e in parte simili. In quarto luogo, ha rilevato che esisteva un tenue grado di somiglianza visiva tra i marchi in conflitto e che gli stessi erano identici dal punto di vista fonetico per la parte del pubblico di riferimento che disponeva di una certa conoscenza della lingua inglese e mediamente simili per il resto del pubblico di riferimento. Per quanto attiene al confronto concettuale, ha ritenuto che i marchi in conflitto fossero identici per la parte del pubblico di riferimento che aveva familiarità con la lingua inglese e neutri per il resto del pubblico di riferimento. In quinto luogo, nell’ambito della valutazione globale, dopo aver rilevato in particolare che il marchio anteriore aveva un carattere distintivo normale, ha concluso nel senso dell’esistenza di un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009.

 Conclusioni delle parti

15      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI e l’interveniente alle spese.

16      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

17      L’interveniente chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese che essa ha sostenuto nel corso di tutti i procedimenti.

 Nel merito

18      A sostegno del ricorso la ricorrente deduce due motivi, il primo vertente sulla violazione dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009 e il secondo attinente alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento.

 Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009

19      La ricorrente afferma che, contrariamente alla valutazione della commissione di ricorso, le fatture depositate dall’interveniente nell’ambito del procedimento amministrativo erano insufficienti a fornire la prova dell’uso effettivo del marchio anteriore ai sensi dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009.

20      L’UAMI e l’interveniente aderiscono alla valutazione effettuata dalla commissione di ricorso.

21      Va ricordato che, ai sensi dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, l’autore di una domanda di registrazione di un marchio comunitario oggetto di un’opposizione può richiedere la prova che il marchio nazionale anteriore, su cui si fonda detta opposizione, sia stato effettivamente utilizzato nei cinque anni che precedono la pubblicazione della domanda.

22      Inoltre, ai sensi della regola 22, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2868/95 della Commissione, del 13 dicembre 1995, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/94 (GU L 303, pag. 1), come modificato, la prova dell’uso deve riguardare il luogo, il tempo, la rilevanza e la natura dell’uso che è stato fatto del marchio anteriore.

23      Secondo una costante giurisprudenza, risulta dalle succitate disposizioni, tenendo conto altresì del considerando 10 del regolamento n. 207/2009, che la ratio legis del requisito secondo cui il marchio anteriore deve essere stato effettivamente utilizzato per essere opponibile a una domanda di marchio comunitario consiste nel limitare i conflitti fra due marchi, purché non vi sia un legittimo motivo economico derivante da una funzione effettiva del marchio sul mercato. Per contro, dette disposizioni non sono dirette a valutare il successo commerciale, né a controllare la strategia economica di un’impresa, né a riservare la tutela dei marchi solamente a loro sfruttamenti commerciali rilevanti sotto il profilo quantitativo [v., in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, Sunrider/UAMI – Espadafor Caba (VITAFRUIT), T‑203/02, Racc. pag. II‑2811, punti da 36 a 38 e giurisprudenza ivi citata].

24      Un marchio è oggetto di un uso effettivo allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è quella di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o di mantenere per essi uno sbocco, ad esclusione degli usi simbolici che sono tesi soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio (v., per analogia, sentenza della Corte dell’11 marzo 2003, Ansul, C‑40/01, Racc. pag. I‑2439, punto 43). Inoltre, la condizione relativa all’uso effettivo del marchio esige che questo, come tutelato nel territorio pertinente, venga utilizzato pubblicamente e verso l’esterno (sentenza VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 39; v. altresì, in tal senso e per analogia, sentenza Ansul, cit., punto 37).

25      La valutazione dell’effettività dell’uso del marchio deve basarsi sull’insieme dei fatti e delle circostanze atti a provare che esso è oggetto di uno sfruttamento commerciale reale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o trovare quote di mercato per i prodotti o per i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali prodotti o servizi, le caratteristiche del mercato, nonché l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio (sentenza VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 40; v. altresì, per analogia, sentenza Ansul, cit. supra al punto 24, punto 43).

26      Per quanto riguarda la rilevanza dell’uso del marchio anteriore, occorre tener conto, in particolare, da un lato, del volume commerciale di tutti gli atti d’uso e, dall’altro, della durata del periodo nel corso del quale sono stati compiuti atti d’uso nonché della frequenza di tali atti [sentenze del Tribunale VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 41, e dell’8 luglio 2004, MFE Marienfelde/UAMI – Vétoquinol (HIPOVITON), T‑334/01, Racc. pag. II‑2787, punto 35].

27      Per esaminare, in un caso concreto, l’effettività dell’uso di un marchio anteriore, occorre compiere una valutazione complessiva tenendo conto di tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Tale valutazione implica una certa interdipendenza dei fattori considerati. Pertanto, uno scarso volume di prodotti commercializzati con detto marchio può essere compensato da una notevole intensità o da una grande costanza nel tempo dell’uso di tale marchio e viceversa (sentenze VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 42, e HIPOVITON, cit. supra al punto 26, punto 36).

28      Il fatturato realizzato nonché il numero di vendite di prodotti con il marchio anteriore non possono essere giudicati in assoluto, ma devono essere valutati rispetto ad altri fattori pertinenti, quali il volume dell’attività commerciale, le capacità di produzione o di commercializzazione o il grado di diversificazione dell’impresa che sfrutta il marchio nonché le caratteristiche dei prodotti o dei servizi nel mercato interessato. Non occorre perciò che l’uso del marchio anteriore sia sempre quantitativamente rilevante per poter essere qualificato come effettivo (sentenze VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 42, e HIPOVITON, cit. supra al punto 26, punto 36). Un uso anche minimo può quindi essere sufficiente per essere ritenuto effettivo, purché sia considerato giustificato, nel settore economico interessato, al fine di conservare o creare quote di mercato a favore dei prodotti o dei servizi protetti dal marchio. Pertanto, non è possibile stabilire a priori, astrattamente, la soglia quantitativa in base alla quale stabilire se l’uso sia stato effettivo oppure no, sicché non può essere fissata una regola de minimis, che non consenta all’UAMI, o su ricorso, al Tribunale di valutare tutte le circostanze della controversia di cui devono conoscere (sentenza della Corte dell’11 maggio 2006, Sunrider/UAMI, C‑416/04 P, Racc. pag. I‑4237, punto 72).

29      Del resto, l’uso effettivo di un marchio non può essere dimostrato da probabilità o da presunzioni, ma deve basarsi su elementi concreti e oggettivi che provino un uso effettivo e sufficiente del marchio sul mercato di riferimento [sentenze del Tribunale del 12 dicembre 2002, Kabushiki Kaisha Fernandes/UAMI – Harrison (HIWATT), T‑39/01, Racc. pag. II‑5233, punto 47, e del 6 ottobre 2004, Vitakraft-Werke Wührmann/UAMI – Krafft (VITAKRAFT), T‑356/02, Racc. pag. II‑3445, punto 28].

30      Infine, va precisato che, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 15, paragrafo 1, secondo comma, lettera a), del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del medesimo regolamento, la prova dell’uso effettivo di un marchio anteriore, nazionale o comunitario, su cui si fonda un’opposizione avverso una domanda di marchio comunitario, comprende altresì la prova dell’utilizzo del marchio anteriore in una forma che si differenzia per taluni elementi che non alterano il carattere distintivo del marchio nella forma in cui esso è stato registrato [v. sentenza del Tribunale dell’8 dicembre 2005, Castellblanch/UAMI – Champagne Roederer (CRISTAL CASTELLBLANCH), T‑29/04, Racc. pag. II‑5309, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].

31      È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la commissione di ricorso abbia correttamente concluso, ai punti da 18 a 25 della decisione impugnata, che l’interveniente aveva sufficientemente provato l’effettivo utilizzo del marchio anteriore in Portogallo per il periodo rilevante di cinque anni previsto dall’articolo 42, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 207/2009, periodo questo che, nella fattispecie, andava dal 2 luglio 2002 al 1° luglio 2007 (in prosieguo: il «periodo rilevante»).

32      In risposta alla lettera dell’UAMI del 19 maggio 2009 (v. punto 10 supra), l’interveniente ha prodotto dinanzi alla divisione di opposizione 27 fatture emesse dalla Diviril Comercio – Comercialização de produtos alimentares, Lda, una società portoghese collegata alla Diviril.

33      È opportuno constatare che di queste 27 fatture 12 si riferiscono al periodo rilevante e dimostrano che il marchio anteriore era stato oggetto di atti d’uso tra il 30 marzo 2005 e l’8 giugno 2007, ossia per un periodo di 26 mesi circa (in prosieguo: le «12 fatture»).

34      I prodotti cui fanno riferimento le 12 fatture sono segnatamente denominati «4Ever Lima Limão», «4Ever Laranja» o «4Ever Ananás» e sono venduti in bottiglie da 1,5 litri, circostanza che consente di concludere che si tratta di succhi di frutta, ossia di prodotti per i quali è registrato il marchio anteriore e sui quali era fondata l’opposizione. Tali fatture fanno altresì riferimento alla vendita, in bottiglie da 1,5 litri, di bevande denominate «4Ever Gasosa» e «4Ever Cola».

35      È certamente vero che, come giustamente rileva la ricorrente, sulle 12 fatture, l’elemento «4ever» è redatto in caratteri standard e non riproduce dunque esattamente il marchio anteriore. Tuttavia, le differenze rispetto a tale marchio sono solo molto lievi, dato che l’aspetto figurativo di quest’ultimo è alquanto banale dal momento che la cifra 4 e il termine «ever» appaiono in caratteri molto standard, ad eccezione della lettera «r», che è leggermente stilizzata e non presenta né un colore, né un logo e neppure un elemento grafico che catturi l’attenzione. Come correttamente dichiarato al punto 24 della decisione impugnata, le differenze succitate non alterano dunque minimamente il carattere distintivo del marchio anteriore, come registrato, e non pregiudicano la funzione di identificazione esercitata dallo stesso. Pertanto, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, non si può contestare all’interveniente di non aver fornito ulteriori elementi di prova contenenti l’«esatta rappresentazione» del marchio anteriore.

36      Risulta parimenti dalle 12 fatture, redatte in portoghese, che le cessioni di bottiglie di succhi di frutta erano destinate a 7 clienti situati in diverse località del Portogallo. È dunque innegabile che tali prodotti fossero destinati al mercato portoghese, che è il mercato rilevante.

37      Inoltre, tali fatture dimostrano che il valore dei succhi di frutta commercializzati con il marchio anteriore, tra il 30 marzo 2005 e l’8 giugno 2007, destinato ai clienti in Portogallo, era di EUR 2 604, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, corrispondente alla vendita di 4 968 bottiglie. Includendo le bevande denominate «4Ever Gasosa» e «4Ever Cola», il numero di bottiglie vendute passa a 8 628 e il fatturato, al netto dell’imposta sul valore aggiunto, raggiunge il valore di EUR 3 856.

38      Come osserva giustamente l’UAMI al punto 22 della decisione impugnata, benché tale fatturato sia abbastanza esiguo, le fatture presentate consentono di concludere che i prodotti cui esse si riferiscono sono stati commercializzati in modo relativamente costante per un periodo di circa 26 mesi, periodo questo non particolarmente breve né particolarmente vicino alla pubblicazione della domanda di marchio comunitario presentata dalla ricorrente (v., in tal senso, sentenza VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 48).

39      Le vendite effettuate costituiscono atti d’uso oggettivamente idonei a creare o a mantenere uno sbocco per i prodotti di cui trattasi, il cui volume commerciale, rispetto alla durata e alla frequenza dell’uso, non è così scarso da poter dichiarare che si tratta di un uso puramente simbolico, minimo o fittizio al solo scopo di conservare la tutela del diritto al marchio (v., in tal senso, sentenza VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 49). A tal riguardo si deve in particolare considerare il fatto che il territorio del Portogallo ha una dimensione e una popolazione relativamente ridotte.

40      Lo stesso dicasi per il fatto che le 12 fatture sono state indirizzate soltanto a 7 clienti. Infatti, è sufficiente che l’uso del marchio sia fatto pubblicamente e verso l’esterno e non unicamente all’interno dell’impresa titolare del marchio anteriore o in una rete di distribuzione di proprietà o controllata da quest’ultima (sentenza VITAFRUIT, cit. supra al punto 23, punto 50).

41      Pertanto, benché l’importanza dell’uso che è stato fatto del marchio anteriore sia relativamente limitata, la commissione di ricorso non è incorsa in errore quando ha concluso, nella decisione impugnata, che le prove presentate dall’interveniente erano sufficienti ad accertare un uso effettivo.

42      Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la commissione di ricorso non si è fondata su «mere supposizioni e probabilità» per giungere a tale conclusione. A tal riguardo, infatti, la divisione di opposizione e la commissione di ricorso si sono basate sulle 12 fatture e su considerazioni pienamente conformi alla giurisprudenza, in particolare alla sentenza VITAFRUIT, citata supra al punto 23, confermata dalla sentenza Sunrider/UAMI, citata supra al punto 28. Nella sentenza VITAFRUIT, citata supra al punto 23, il Tribunale ha dichiarato che la cessione, attestata da una decina di fatture, a un solo cliente in Spagna di 3 516 bottiglie di succo di frutta concentrato, equivalente a un fatturato di circa EUR 4 800, per un periodo di 11 mesi e mezzo, costituiva un uso effettivo del corrispondente marchio anteriore.

43      In tale contesto, la ricorrente non può utilizzare l’argomento che, al punto 22 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha dichiarato che «non [era] possibile presumere che le fatture fornite [fossero] tutte fatture di vendita emesse nel periodo rilevante di cinque anni» e che, «[n]el caso della prova dell’uso consistente in fatture, gli opponenti producono di norma soltanto dei campioni delle fatture emesse». Come rilevato molto opportunamente dall’UAMI, in tal caso si tratta solo di considerazioni di buon senso, giacché non si può richiedere che il titolare di un marchio anteriore fornisca la prova di ciascuna delle transazioni effettuate con tale marchio nel corso del periodo rilevante di cinque anni previsto all’articolo 42, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009. Se esso produce fatture a titolo di elemento di prova, è importante che presenti una quantità di esemplari che consenta di escludere ogni possibilità di uso puramente simbolico di detto marchio e che, di conseguenza, sia sufficiente a provarne l’uso effettivo. Occorre inoltre osservare che, nel caso di specie, nelle osservazioni che essa ha presentato alla commissione di ricorso il 17 marzo 2011, l’interveniente ha espressamente affermato che le 12 fatture costituivano dei campioni.

44      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre respingere il primo motivo in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009

45      La ricorrente afferma, in sostanza, che la commissione di ricorso non poteva legittimamente prendere in considerazione la pronuncia dei marchi in conflitto da parte dei consumatori anglofoni ai fini del raffronto fonetico e che essa non ha correttamente individuato le differenze concettuali e visive tra tali marchi. Pertanto, la commissione di ricorso avrebbe erroneamente concluso per l’esistenza di un rischio di confusione nel caso di specie.

46      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con un marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

47      Inoltre, a norma dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 207/2009, si devono intendere per marchi anteriori i marchi registrati in uno Stato membro la cui data di deposito sia anteriore a quella della domanda di marchio comunitario.

48      Secondo una costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi controversi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. In base a questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione dev’essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi, prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi designati [v. sentenza del Tribunale del 9 luglio 2003, Laboratories RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑l62/01, Racc. pag. II‑2821, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

49      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto sia un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del Tribunale del 22 gennaio 2009, Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, Racc. pag. II‑43, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

50      Alla luce di tali considerazioni si deve esaminare se la commissione di ricorso abbia correttamente ritenuto che esistesse un rischio di confusione tra il marchio anteriore e il marchio richiesto.

 Sul pubblico di riferimento e sul suo livello di attenzione

51      Giustamente, ai punti 17 e 32 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha constatato, rispettivamente, che il pubblico di riferimento era costituito dal consumatore medio portoghese e che il livello di attenzione di tale pubblico era medio. La ricorrente condivide peraltro espressamente tali constatazioni nelle sue memorie.

 Sul confronto dei prodotti

52      Ai punti da 26 a 28 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha giustamente constatato, e senza peraltro essere contraddetta dalla ricorrente, che i prodotti di cui trattasi erano in parte identici e in parte simili.

 Sul confronto dei segni

53      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in conflitto, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi, in considerazione, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi che ha il consumatore medio dei prodotti o servizi in questione svolge un ruolo determinante nella valutazione complessiva di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non ne esamina i vari dettagli (v. sentenza della Corte del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, Racc. pag. I‑4529, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

54      La valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e a paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi di cui trattasi considerati ciascuno nel suo insieme, il che non esclude che l’impressione globale prodotta nella memoria del pubblico di riferimento da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti (v. sentenza UAMI/Shaker, cit. supra al punto 53, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Solamente quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili si può valutare la somiglianza sulla sola base dell’elemento dominante (sentenze della Corte UAMI/Shaker, cit. supra al punto 53, punto 42, e del 20 settembre 2007, Nestlé/UAMI, C‑193/06 P, non pubblicata nella Raccolta, punto 42). Ciò potrebbe verificarsi segnatamente quando tale componente può, da sola, dominare l’immagine di tale marchio che il pubblico di riferimento conserva nella memoria, cosicché tutte le altre componenti del marchio risultino trascurabili nell’impressione complessiva da questo prodotta (sentenza Nestlé/UAMI, cit., punto 43).

–       Sul confronto visivo

55      La commissione di ricorso ha dichiarato, al punto 29 della decisione impugnata, che esisteva un tenue grado di somiglianza visiva tra i marchi in conflitto.

56      La ricorrente sostiene che i marchi in conflitto non presentano alcuna somiglianza sul piano visivo. Infatti, in primo luogo, esisterebbe soltanto un tenue grado di somiglianza visiva tra il marchio anteriore e l’elemento denominativo del marchio richiesto. In secondo luogo, l’elemento figurativo del marchio richiesto sarebbe particolare e originale. In terzo luogo, il carattere distintivo del suddetto elemento figurativo del marchio richiesto, raffigurante un uccello rapace, sarebbe elevato al pari di quello dell’elemento denominativo del medesimo marchio, sicché quest’ultimo elemento non può essere considerato dominante.

57      L’UAMI e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

58      Occorre constatare che i marchi in conflitto hanno in comune le lettere «e», «v», «e» ed «r», che appaiono in tale ordine, le quali costituiscono la quasi totalità del marchio anteriore e la seconda parte dell’elemento denominativo del marchio richiesto. Esistono dunque taluni elementi di somiglianza sul piano visivo tra tali marchi, come riconosce peraltro espressamente la ricorrente.

59      I marchi in conflitto si differenziano per il tipo di carattere utilizzato per rappresentare il loro rispettivo elemento denominativo, per la forma leggermente stilizzata della lettera «r» nel marchio anteriore, per la presenza della cifra «4» all’inizio del marchio anteriore, per la raffigurazione di un uccello rapace nella parte superiore del marchio richiesto e per la presenza, all’inizio dell’elemento denominativo di quest’ultimo marchio, delle lettere «f», «o» ed «r», che formano così con le altre lettere dell’elemento denominativo la parola inglese «forever» (per sempre).

60      Tali differenze, se è vero che non sono chiaramente accessorie, tuttavia non sono talmente rilevanti da eliminare la leggera somiglianza visiva tra i marchi in conflitto risultante dagli elementi rilevati al punto 58 supra.

61      Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dagli argomenti della ricorrente fondati sull’elemento figurativo del marchio richiesto (v. punto 56 supra). Infatti, da un lato, come giustamente afferma l’interveniente, tale elemento figurativo, ossia la raffigurazione relativamente banale di un uccello rapace, non è originale e non cattura l’attenzione così come lascia intendere la ricorrente. Dall’altro, nel caso di un marchio composto da elementi tanto denominativi quanto figurativi, gli elementi denominativi sono da considerarsi generalmente più distintivi rispetto a quelli figurativi, o persino dominanti, dal momento che, in particolare, il pubblico di riferimento conserverà nella memoria l’elemento denominativo per identificare il marchio di cui trattasi, mentre gli elementi figurativi sono percepiti piuttosto come elementi decorativi [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 15 novembre 2011, Hrbek/UAMI – Outdoor Group (ALPINE PRO SPORTSWEAR & EQUIPMENT), T‑434/10, non pubblicata nella Raccolta, punti 55 e 56; del 31 gennaio 2012, Cervecería Modelo/UAMI – Plataforma Continental (LA VICTORIA DE MEXICO), T‑205/10, non pubblicata nella Raccolta, punti 38 e 46, e del 2 febbraio 2012, Almunia Textil/UAMI – FIBA-Europe (EuroBasket), T‑596/10, non pubblicata nella Raccolta, punto 36].

62      Alla luce di tali considerazioni e dato che il consumatore medio, di norma, deve fare affidamento sull’immagine imperfetta dei marchi che ha conservato nella memoria (v., in tal senso, sentenza della Corte del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, Racc. pag. I‑3819, punto 26), occorre confermare la valutazione della commissione di ricorso relativamente all’esistenza di un tenue grado di somiglianza visiva tra i marchi in conflitto.

–       Sul confronto fonetico

63      Al punto 30 della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato quanto segue:

«Una parte del pubblico, quella che dispone di una certa conoscenza dell’inglese, pronuncerà i due marchi in modo identico. È solo la parte del pubblico portoghese che non ha familiarità con l’inglese che pronuncerà i due marchi in modo diverso, ossia CU/A/TRO/E/VER e FO/RE/VER. Nel primo caso i marchi sono foneticamente identici; nel secondo caso, hanno semplicemente un grado medio di somiglianza».

64      La ricorrente contesta tale analisi osservando che, se un’opposizione è fondata unicamente su un marchio nazionale, il rischio di confusione deve essere valutato con riferimento alle regole linguistiche e di pronuncia della lingua del pubblico preso in considerazione, ossia quella dello Stato membro in cui tale marchio è tutelato. Essa considera che, nel caso di specie, solo la comprensione dei marchi da parte dei consumatori che parlano portoghese può dunque essere presa in considerazione. Essa osserva che non è affatto certo che il consumatore medio portoghese riconosca la combinazione della cifra 4 e del termine «ever» come derivata dall’inglese e non piuttosto come una parola di fantasia. In ogni caso, tale consumatore non pronuncerà necessariamente il marchio anteriore secondo le regole inglesi di pronuncia. Inoltre, occorrerebbe anche accertare che gran parte del pubblico di riferimento sia capace di pronunciare la parola in questione con il giusto accento. La ricorrente contesta inoltre che i marchi in conflitto abbiano «un grado medio di somiglianza» per la parte del pubblico di riferimento che non ha familiarità con la lingua inglese e che pronuncerà, pertanto, il marchio anteriore «quatroever».

65      L’UAMI e l’interveniente respingono gli argomenti della ricorrente.

66      Occorre osservare che, sebbene sia vero che il rischio di confusione deve essere valutato con riferimento al pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è stato registrato, nel caso di specie il territorio portoghese, cionondimeno, nell’ambito di tale valutazione, devono essere prese in considerazione le caratteristiche e le conoscenze proprie di detto pubblico.

67      A tal proposito, riguardo al caso di specie, come afferma giustamente l’interveniente, non si può ritenere in particolare che il consumatore medio portoghese comprenderà soltanto i marchi scritti in portoghese o presumerà automaticamente che i marchi composti di cifre e di parole scritti in inglese devono essere compresi e pronunciati in portoghese.

68      Più in generale, è erroneo sostenere, come fa la ricorrente, che «l’inglese non è generalmente né parlato né compreso dai consumatori portoghesi». Infatti, la conoscenza di tale lingua, ovviamente a livelli diversi, è relativamente diffusa in Portogallo. Se non si può affermare che la maggioranza del pubblico portoghese parla correntemente l’inglese, si può tuttavia ragionevolmente presumere che una parte considerevole di detto pubblico disponga quanto meno di una conoscenza di base di tale lingua che gli consente di comprendere e di pronunciare termini inglesi così basilari e diffusi come «forever» o di pronunciare in inglese le cifre fino a dieci [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 28 ottobre 2009, X‑Technology R & D Swiss/UAMI – Ipko-Amcor (First-On-Skin), T‑273/08, non pubblicata nella Raccolta, punto 37; del 5 ottobre 2011, La Sonrisa de Carmen e Bloom Clothes/UAMI – Heldmann (BLOOMCLOTHES), T‑118/09, non pubblicata nella Raccolta, punto 38, e del 6 giugno 2013, Celtipharm/UAMI – Alliance Healthcare France (PHARMASTREET), T‑411/12, non pubblicata nella Raccolta, punto 34].

69      Del resto, si può ragionevolmente presumere, tenuto conto in particolare dell’uso molto diffuso del cosiddetto «linguaggio SMS» nella messaggistica istantanea su Internet o nella posta elettronica, nei forum su Internet e nei blog, o ancora nei giochi in rete, che la cifra 4, quando è associata a una parola inglese, sarà letta generalmente anch’essa in inglese e sarà compresa nel senso che essa rinvia alla preposizione inglese «for» (per) [v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 7 maggio 2009, NHL Enterprises/UAMI – Glory & Pompea (LA KINGS), T‑414/05, non pubblicata nella Raccolta, punto 31]. Come osserva giustamente l’interveniente, di norma un marchio portoghese che contiene una cifra sarà letto in portoghese solo qualora tale cifra sia accompagnata da una o più parole portoghesi, come nel caso del marchio portoghese Companhia das 4 Patas. Orbene, il termine «ever» del marchio anteriore non rientra nel vocabolario portoghese.

70      Ne consegue che giustamente la commissione di ricorso ha considerato che la parte del pubblico di riferimento in possesso di una certa conoscenza della lingua inglese, conoscenza questa che, per i motivi esposti supra ai punti 68 e 69, non deve essere necessariamente ampia, leggerà e pronuncerà il marchio anteriore allo stesso modo del marchio richiesto in quanto quest’ultimo utilizza la parola inglese «forever» (per sempre).

71      È certamente possibile che il termine «forever» non sia pronunciato dalla parte del pubblico di riferimento cui si è fatto precedentemente riferimento allo stesso modo in cui lo pronunciano le persone di madre lingua inglese. Tuttavia, la ricorrente non può trarre argomenti da una tale constatazione, dal momento che non si può ritenere che tale termine necessiti di una conoscenza approfondita dell’inglese o di un’attitudine particolare per poter essere pronunciato in modo comprensibile.

72      Infine, occorre constatare che, tenuto conto del fatto che i marchi in conflitto hanno in comune la stessa terminazione «ever», la commissione di ricorso non è incorsa in errore nel considerare che tali marchi erano mediamente simili dal punto di vista fonetico per la parte del pubblico di riferimento che non aveva alcuna conoscenza della lingua inglese.

–       Sul confronto concettuale

73      Al punto 31 della decisione impugnata, la Commissione ha dichiarato quanto segue:

«(…) il confronto concettuale dipende dalla parte del pubblico preso in considerazione: la parte del pubblico che ha familiarità con l’inglese percepirà la stessa idea di “senza fine, eterno” nei due marchi (i quali sono, pertanto, concettualmente identici), mentre la parte che non ha familiarità con l’inglese non assocerà i marchi sul piano concettuale».

74      La ricorrente afferma che il consumatore medio portoghese non percepirà alcuna somiglianza concettuale tra i marchi in conflitto. Infatti, in primo luogo, per i consumatori portoghesi che non parlano inglese, nessuno di tali marchi avrebbe significato. In secondo luogo, anche i consumatori portoghesi che hanno una conoscenza sufficiente dell’inglese considererebbero i marchi in conflitto completamente diversi, dal momento che essi non percepiranno alcun nesso tra il termine «forever» del marchio richiesto e la cifra 4. In terzo luogo, si dovrebbe tenere conto del fatto che l’elemento figurativo del marchio richiesto, che raffigura un uccello rapace, per le sue dimensioni e l’evidente messaggio che trasmette, fa parte del significato concettuale di tale marchio e non ha equivalenti nel marchio anteriore.

75      L’UAMI e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

76      Per quanto riguarda anzitutto la parte del pubblico di riferimento che non ha alcuna conoscenza della lingua inglese, è sufficiente constatare che la ricorrente condivide la valutazione, del resto fondata, compiuta dalla commissione di ricorso secondo la quale i marchi in conflitto sono neutri sul piano concettuale.

77      Per quanto riguarda poi la parte del pubblico di riferimento che ha una conoscenza sufficiente della lingua inglese, essa percepirà chiaramente l’esistenza di una correlazione tra, da un lato, il termine inglese «forever» (per sempre) e, dall’altro, la combinazione della cifra 4, che, per le ragioni esposte supra ai punti 68 e 69, essa assocerà alla preposizione inglese «for» (per), con la parola inglese «ever» (sempre), combinazione questa che rinvia alla stessa parola «forever».

78      Tale constatazione non può essere rimessa in discussione dall’argomento della ricorrente relativo alla raffigurazione di un uccello rapace contenuta nel marchio richiesto. Infatti, come afferma giustamente l’UAMI, tale raffigurazione non introduce alcun concetto particolarmente concreto o che cattura l’attenzione, né completa, rende più evidente o modifica il significato del termine inglese «forever».

79      Dalle considerazioni sin qui svolte risulta che la commissione di ricorso non ha commesso alcun errore nel valutare le somiglianze tra il marchio richiesto e il marchio anteriore.

 Sul rischio di confusione

80      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori presi in considerazione e, in particolare, tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Un leggero grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può, infatti, essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenza della Corte del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, Racc. pag. I‑5507, punto 17, e sentenza del Tribunale del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, Racc. pag. II‑5409, punto 74].

81      Al punto 32 della decisione impugnata, la commissione di ricorso, dopo aver osservato che il marchio anteriore possedeva un carattere distintivo normale, ribadito le conclusioni a cui era giunta riguardo al confronto tra i marchi in conflitto (v. punti 55, 63 e 73 supra), affermato che il livello di attenzione del pubblico di riferimento era medio e ricordato che i prodotti di cui trattasi erano in parte identici e in parte simili, ha ritenuto che, valutati nel loro insieme, tali marchi presentassero un rischio di confusione.

82      La ricorrente contesta tale conclusione sulla base delle presunte differenze che essa ha riscontrato tra i marchi in conflitto.

83      L’UAMI e l’interveniente condividono l’analisi della commissione di ricorso.

84      Occorre ricordare che la commissione di ricorso ha giustamente osservato che i prodotti in questione erano in parte identici e in parte simili, che esisteva un leggero grado di somiglianza visiva tra i marchi in conflitto, che, dal punto di vista fonetico, tali marchi erano identici per la parte del pubblico di riferimento che aveva una certa conoscenza della lingua inglese e mediamente simili per la parte del pubblico di riferimento che non disponeva di una siffatta conoscenza e che, sul piano concettuale, i suddetti marchi erano identici per la parte del pubblico di riferimento che aveva una certa conoscenza della lingua inglese e neutri per la parte del pubblico di riferimento che non disponeva di una siffatta conoscenza. Per quanto riguarda il fatto, del resto non contestato dalla ricorrente, che il marchio anteriore ha un carattere distintivo normale, il livello di attenzione medio del pubblico di riferimento e il carattere cumulativo delle condizioni relative alla somiglianza dei prodotti e dei servizi e alla somiglianza dei marchi, occorre considerare, nell’ambito di una valutazione complessiva, che correttamente la commissione di ricorso ha concluso che esisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

85      Alla luce di quanto sopra, il secondo motivo deve essere respinto, così come il ricorso nella sua integralità.

 Sulle spese

86      Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

87      La ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese, conformemente alla domanda dell’UAMI e dell’interveniente.

88      Quest’ultima ha inoltre chiesto la condanna della ricorrente alle spese da essa sostenute nel corso del procedimento dinanzi all’UAMI.

89      Si deve ricordare in proposito che, ai sensi dell’articolo 136, paragrafo 2, del regolamento di procedura, «[l]e spese indispensabili sostenute dalle parti per il procedimento dinanzi alla commissione di ricorso (…) sono considerate spese ripetibili». Ne discende che le spese sostenute per il procedimento di opposizione dinanzi alla divisione di opposizione non possono essere considerate spese ripetibili [v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 12 gennaio 2006, Devinlec/UAMI – TIME ART (QUANTUM), T‑147/03, Racc. pag. II‑11, punto 115, e del 16 gennaio 2008, Inter-Ikea/UAMI – Waibel (idea), T‑112/06, non pubblicata nella Raccolta, punto 88].

90      Pertanto, la domanda dell’interveniente diretta ad ottenere la condanna della ricorrente alle spese sostenute dinanzi alla divisione di opposizione deve essere respinta.

91      Di conseguenza, la ricorrente dev’essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese e alle spese dell’UAMI, quelle dell’interveniente, ad esclusione delle spese sostenute da quest’ultima nel corso del procedimento dinanzi alla divisione di opposizione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Aloe Vera of America, Inc., è condannata alle spese, ivi comprese quelle sostenute dalla Detimos – Gestão Imobiliária, SA, nel corso del procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI).

Frimodt Nielsen

Dehousse

Collins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 gennaio 2014.

Firme


* Lingua processuale: l’inglese.