Language of document : ECLI:EU:C:2024:562

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 27 giugno 2024 (1)

Causa C726/22 P

Commissione europea

contro

Pollinis France

«Impugnazione – Accesso ai documenti – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Diniego di accesso – Documento di orientamento relativo alla valutazione dei rischi dei prodotti fitosanitari per le api – Comitatologia – Questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione – Processo decisionale – Posizione individuale degli Stati membri – Rischio di pregiudizio grave al processo decisionale»






I.      Introduzione

1.        La collaborazione permea tutti gli ambiti della vita e delle specie, dagli esseri umani ai bombi.

2.        Viste sotto questa ottica, le complesse dinamiche delle procedure di comitatologia nell’Unione europea assomigliano in modo impressionante a quelle che si verificano all’interno di un alveare. La Commissione europea (che potrebbe essere equiparata all’ape regina in questa specifica analogia) ha il compito di esercitare le sue competenze esecutive per adottare nuovi atti di esecuzione. Da parte loro, i comitati di comitatologia (le api) si impegnano in uno sforzo collettivo per contribuire a «impollinare» il processo decisionale. Sebbene tale sinergia aiuti solitamente la Commissione a raggiungere il suo obiettivo, i disegni meglio studiati (di api e uomini) non sempre portano alla conclusione attesa (2).

3.        La presente causa si ispira a tali riflessioni. Con la sua impugnazione, la Commissione chiede alla Corte di giustizia di annullare la sentenza del Tribunale nella causa Pollinis France/Commissione (3), con la quale quest’ultimo ha annullato due decisioni della Commissione che negavano alla Pollinis France (4) l’accesso ai documenti relativi a un documento di orientamento elaborato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) relativo alla valutazione dei rischi dei prodotti fitosanitari per le api (in prosieguo: il «documento di orientamento del 2013»). In particolare, la Commissione contesta la conclusione del Tribunale, nel caso di specie, secondo cui i documenti richiesti dalla Pollinis France si riferivano a una questione sulla quale la decisione era stata presa, sostenendo che il processo decisionale in questione era ancora in corso quando tali decisioni sono state adottate.

4.        Pertanto, la presente impugnazione offre l’opportunità di chiarire la portata dell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento (CE) n. 1049/2001 in materia di accesso ai documenti (5).

II.    Quadro normativo

A.      Regolamento n. 1049/2001

5.        L’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 (riguardante le «Eccezioni») stabilisce quanto segue:

«L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

B.      Regolamento interno tipo per i comitati

6.        L’articolo 9 del regolamento (UE) n. 182/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011, che stabilisce le regole e i principi generali relativi alle modalità di controllo da parte degli Stati membri dell’esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione (6), così recita:

«1.      Ogni comitato adotta a maggioranza semplice dei suoi membri il proprio regolamento interno su proposta del presidente, basandosi su un regolamento di procedura tipo da redigersi ad opera della Commissione previa consultazione con gli Stati membri. (...)

(...)

2.      Ai comitati si applicano i principi e le condizioni riguardanti l’accesso del pubblico ai documenti e le norme sulla protezione dei dati applicabili alla Commissione».

7.        L’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento interno tipo per i comitati - Regolamento interno del comitato [nome del comitato] (7), prevede:

«(...) il presidente è responsabile della redazione di un resoconto sommario che riassume ciascun punto iscritto all’ordine del giorno e il risultato delle votazioni su ogni progetto di atto di esecuzione sottoposto al comitato. Questo resoconto sommario non reca menzione della posizione individuale dei membri nel corso delle deliberazioni del comitato».

8.        L’articolo 13 del regolamento interno tipo così recita:

«1.      Le domande di accesso ai documenti del comitato sono trattate in conformità del [regolamento n. 1049/2001] (...)

2.      Le deliberazioni del comitato hanno carattere riservato.

3.      I documenti trasmessi ai membri del comitato, agli esperti e ai rappresentanti di terzi sono riservati, tranne qualora sia stato concesso l’accesso a tali documenti a norma del paragrafo 1 o la Commissione li abbia resi pubblici in altro modo.

(...)».

III. Fatti

9.        I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 2 a 14 e da 48 a 52 della sentenza impugnata. Le circostanze rilevanti ai fini delle presenti conclusioni possono essere riassunte come segue.

10.      Nel 2013 l’EFSA ha redatto il documento di orientamento del 2013. Il documento è stato successivamente presentato dalla Commissione al Comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feeds) (in prosieguo: lo «Scopaff»), che è un comitato di comitatologia presieduto dalla Commissione, in vista della sua adozione. Tuttavia, la mancanza di consenso, tra gli Stati membri, sul testo del documento ne ha ostacolato l’adozione.

11.      Nel 2018 la Commissione ha proposto di attuare alcune parti del documento di orientamento del 2013 modificando i principi uniformi stabiliti nel regolamento (UE) n. 546/2011 della Commissione (8). Di conseguenza, ha presentato un progetto di regolamento di modifica il regolamento n. 546/2011 allo Scopaff per parere, in vista della sua adozione. Sebbene lo Scopaff abbia espresso parere positivo, la Commissione non ha potuto adottare tale atto dal momento che il Parlamento europeo si è opposto alla sua adozione nel 2019.

12.      Nel marzo 2019 la Commissione ha chiesto all’EFSA di rivedere il documento di orientamento del 2013 per tenere conto degli sviluppi scientifici intervenuti a partire dal 2013.

13.      Il 27 gennaio 2020, sulla base del regolamento n. 1049/2001 e del regolamento (CE) n. 1367/2006 (9), la Pollinis France ha presentato alla Commissione una domanda di accesso a taluni documenti relativi al documento di orientamento del 2013. Con la decisione C(2020) 4231 final della Commissione, del 19 giugno 2020 (in prosieguo: la «prima decisione controversa»), la Commissione ha concesso l’accesso parziale a un documento, ma ha negato l’accesso a tutti gli altri menzionati in tale domanda, invocando l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

14.      In data 8 aprile 2020, la Pollinis France ha presentato una seconda domanda di accesso a determinati documenti riguardanti lo stesso documento di orientamento. Con la decisione C(2020) 5120 final della Commissione, del 21 luglio 2020 (in prosieguo: la «seconda decisione impugnata»), la Commissione ha concesso l’accesso parziale a quattro documenti, ma ha negato l’accesso a tutti gli altri menzionati in tale domanda in virtù della stessa eccezione prevista dal regolamento n. 1049/2001.

15.      In tali decisioni controverse, la Commissione ha dichiarato che, nelle more del completamento della revisione del documento di orientamento del 2013 da parte dell’EFSA, il suo esame nell’ambito dello Scopaff era «interrotto». Essa ha inoltre chiarito che il piano di adozione del documento di orientamento del 2013 sarebbe ripreso una volta che l’EFSA avesse completato la sua revisione.

IV.    Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

16.      La Pollinis France ha proposto un ricorso ai sensi dell’articolo 263 TFUE dinanzi al Tribunale, chiedendo l’annullamento delle decisioni controverse. Nel suo ricorso ha sollevato quattro motivi. Nei motivi primo e secondo, essa lamenta la violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Nel terzo motivo, la Pollinis France lamenta la violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006. Nel quarto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e dell’articolo 6 del regolamento n. 1049/2001.

17.      Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto il primo motivo della Pollinis France, ritenendo superfluo esaminare i motivi secondo e terzo. Il Tribunale ha esaminato brevemente anche il quarto motivo, ma lo ha respinto in quanto inoperante. Conseguentemente, il Tribunale ha annullato le decisioni controverse e ha condannato la Commissione alle spese.

V.      Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

18.      Con la sua impugnazione, la Commissione chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata e di condannare la Pollinis France alle spese.

19.      Dal canto suo, la Pollinis France chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la Commissione alle spese.

20.      Il 26 giugno 2023 la Commissione ha depositato una replica e, il 27 luglio 2023, la Pollinis France ha depositato una controreplica.

VI.    Valutazione

21.      La Commissione deduce due motivi d’impugnazione, vertenti su vari errori di diritto nell’interpretazione e nell’applicazione, da parte del Tribunale, dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, che stabilisce una delle eccezioni al diritto di accesso dei cittadini dell’Unione e dei residenti ai documenti delle istituzioni dell’Unione (in prosieguo: l’«eccezione di cui trattasi»). Esso enuncia che «[l]’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione (…), relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione».

22.      Con il primo motivo, diretto contro i punti da 54 a 61 della sentenza impugnata, si fa valere un errore nell’interpretazione della nozione di «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione». Con il secondo motivo, diretto contro i punti da 85 a 138 di detta sentenza, si sostiene che il Tribunale sarebbe incorso in errore nel valutare se la divulgazione dei documenti richiesti «pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione».

A.      Sul primo motivo d’impugnazione

1.      Argomenti delle parti

23.      Con il primo motivo, la Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto applicando un’interpretazione restrittiva della nozione di «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione», di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, alle questioni in procinto di essere sottoposte a deliberazione, e alle situazioni in cui l’istituzione di cui trattasi è immediatamente chiamata ad adottare un progetto di atto identificabile.

24.      Inoltre, la Commissione sostiene che il Tribunale ha erroneamente considerato il contenuto definito del documento di orientamento in corso di revisione da parte dell’EFSA e le forme della sua possibile adozione come rilevanti per tale nozione, ma non ha apprezzato l’importanza dell’obiettivo perseguito dall’istituzione interessata.

25.      A suo avviso, la nozione di «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione» deve essere intesa come riferita all’esercizio da parte dell’istituzione della propria competenza e al risultato previsto della sua azione. Tale interpretazione comprende quindi le modifiche del contenuto o della strategia adottata per raggiungere il suo obiettivo, compresi i cambiamenti nella procedura di adozione. Al riguardo, la decisione di chiedere all’EFSA di rivedere il documento di orientamento del 2013 manifesta l’obiettivo di realizzare un documento di orientamento sulle api e rappresenta l’esercizio della sua autorità in materia.

26.      La Commissione sostiene, quindi, che tale azione costituiva una fase dello stesso processo decisionale in corso, finalizzato al perfezionamento di un testo su cui lo Scopaff potesse trovare un accordo nell’ambito della procedura di comitatologia ai fini dell’adozione di tale documento. Ciò dimostra la sussistenza di una «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione» al momento dell’adozione delle decisioni controverse. Di conseguenza, la Commissione ritiene che le conclusioni del Tribunale siano giuridicamente errate e contraddittorie.

27.      Da parte sua, la Pollinis France concorda con il ragionamento seguito dal Tribunale e con le conclusioni di quest’ultimo. Essa sostiene che l’interpretazione di tale nozione da parte di detto giudice, così come la sua comprensione della nozione di «processo decisionale», è correttamente intesa alla luce dell’obbligo di interpretare in modo restrittivo l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

2.      Analisi

28.      Il punto cruciale del primo motivo d’impugnazione riguarda l’interpretazione da parte del Tribunale delle espressioni «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione» e «processo decisionale».

a)      «Questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione»

29.      Il termine «questione» non è definito nell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001. Detto termine non è neppure espressamente definito dall’articolo 3 di detto regolamento, che contiene le definizioni. Tuttavia, considerando il significato comune di tale termine e i termini corrispondenti inclusi nelle varie versioni linguistiche di detto regolamento (10), sembra che il termine «matter» della versione inglese si riferisca a un problema, questione o situazione all’esame di un’istituzione dell’Unione.

30.      Il termine «matter» della versione inglese dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 denota una certa specificità che potrebbe non essere immediatamente evidente leggendo detta versione linguistica del citato regolamento. In realtà, nella versione inglese il termine «matter» è utilizzato anche nell’articolo 3 che, ai fini del regolamento, definisce il termine «documento» come «any content whatever its medium … concerning a matter relating to the policies, activities and decisions falling within the institution’s sphere of responsibility» («qualsiasi contenuto informativo, a prescindere dal suo supporto (...) che verta su aspetti relativi alle politiche, iniziative e decisioni di competenza dell’istituzione») (11). Tuttavia, la maggior parte delle versioni linguistiche del regolamento utilizza due termini diversi negli articoli 3 e 4 del regolamento stesso: mentre il primo utilizza un termine con un significato leggermente più ampio (come argomento, soggetto o tema) (12), il secondo utilizza un termine avente un ambito più ristretto e una connotazione più specifica (13).

31.      Pertanto, non mi convince l’affermazione della Commissione, che è alla base di molti dei suoi argomenti, secondo cui il termine «questione» di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 dovrebbe essere interpretato in senso ampio.

32.      Al riguardo, aggiungo altresì che, come risulta dai considerando da 1 a 4 del regolamento n. 1049/2001, tale strumento incarna il principio di trasparenza rispetto all’attività delle istituzioni dell’Unione (14) e mira a garantire al pubblico il più ampio diritto di accesso ai documenti in possesso delle istituzioni dell’Unione (15). Per tale motivo, le limitazioni poste al suddetto diritto devono essere interpretate e applicate in senso restrittivo (16). Ne consegue che – come in sostanza affermato dal Tribunale nei punti da 35 a 38 della sentenza impugnata – i termini utilizzati nell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, devono essere oggetto di interpretazione restrittiva.

33.      Inoltre, nella sentenza Saint-Gobain, la Corte ha respinto l’affermazione della Commissione secondo cui il termine «questione» potrebbe essere interpretato in senso ampio, in modo da garantire la riservatezza non solo ai documenti prodotti nell’ambito di un processo decisionale, ma anche a quelli «direttamente connessi alle questioni trattate in detto processo» (17). Da tale sentenza si evince anche che, per comprendere correttamente il significato del termine «questione», è utile interpretarlo nel suo contesto e alla luce dell’obiettivo perseguito dalla disposizione di cui trattasi (18).

34.      A norma dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, perché si applichi l’eccezione non è sufficiente che la questione sia in esame per un qualsiasi motivo o finalità (19). Infatti, tale disposizione si riferisce espressamente a questioni esaminate nel contesto di una serie di azioni correlate («il processo decisionale dell’istituzione»), condotte al fine di raggiungere a tale riguardo una risoluzione definitiva (l’adozione di una «decisione»).

35.      Il legame inscindibile tra i termini «questione», «processo decisionale» e «decisione» è di estrema importanza nell’individuare la portata dell’eccezione di cui trattasi. Infatti, esso rispecchia l’obiettivo fondamentale di detta eccezione: preservare l’efficacia del processo decisionale delle istituzioni, e quindi la loro capacità di espletare le loro funzioni (20).

36.      Per detto motivo, mi soffermerò ora sul significato dei termini «processo decisionale» e «decisione» ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

b)      «Processo decisionale» e «decisione»

37.      Innanzitutto, vorrei sottolineare che queste due espressioni devono essere intese in modo generico e non tecnico. L’espressione «processo decisionale dell’istituzione» comprende tutte le procedure formali e informali attraverso le quali un’istituzione giunge a una decisione in merito a una determinata questione. Analogamente, una «decisione» ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 non si limita alle «decisioni» nell’accezione di cui all’articolo 288 TFUE, ma comprende qualsiasi decisione di intraprendere un’azione specifica.

38.      Ciò non toglie il fatto che tali espressioni non possono ricevere un’interpretazione eccessivamente ampia, come suggerisce la Commissione.

39.      Al riguardo, vorrei sottolineare che lo status di un determinato processo decisionale (in corso o terminato) sembra logicamente dipendere dalla circostanza che l’attività che viene svolta sia ancora in corso o che l’istituzione dell’Unione abbia adottato una risoluzione specifica in merito a una determinata «questione». In tale contesto, appaiono immediatamente pertinenti due domande. In primo luogo, cosa fa legittimamente parte di un «processo decisionale»? In secondo luogo, cosa costituisce una situazione in cui una «decisione» è stata o non è stata adottata, determinando così se il processo decisionale è terminato?

40.      Per quanto riguarda la prima domanda, i giudici dell’Unione hanno indicato che i lavori preparatori – a prescindere dal carattere preliminare delle informazioni preparate nei documenti istituzionali o dalla natura preliminare delle discussioni volte a raggiungere un consenso – possono far parte di un determinato processo decisionale (21). Ciò è dovuto al fatto che l’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001 non opera alcuna distinzione a seconda dello stato di avanzamento dell’attività di cui trattasi (22).

41.      Ciò detto, i giudici dell’Unione hanno anche segnalato che l’espressione «processo decisionale» non deve essere interpretata in modo eccessivamente ampio, tanto da ricomprendere un intero procedimento amministrativo o ogni documento relativo a una determinata questione. Essi hanno piuttosto stabilito che un processo decisionale dev’essere inteso come riferito all’«adozione della decisione» (23), quando l’istituzione interessata dispone di un margine di manovra per, tra l’altro, decidere sulle scelte da operare e, a seconda del tipo di processo, sulle proposte eventualmente da presentare (24).

42.      Pertanto, mentre la fase in cui l’adozione della decisione si inserisce nell’ambito del procedimento specifico di cui trattasi non sembra essere determinante, appare come tale il carattere sostanziale dell’adozione della decisione stessa. Di conseguenza, non tutto ciò che è associato all’adozione di una «decisione» può essere ricompreso nell’espressione «processo decisionale». Importante è l’esistenza di un vero e proprio «processo decisionale» nel contesto del quale sono stati elaborati o ricevuti i documenti di cui trattasi.

43.      Certamente, cosa sia annoverabile come attività decisionale deve essere stabilito caso per caso alla luce del contesto e delle fasi procedurali coinvolte. Dopo tutto, non è possibile stabilire una regola unica che sia applicabile a tutti i processi decisionali a tutti i livelli e che ricomprenda tutti gli interventi o le attività.

44.      Tuttavia, l’esistenza un siffatto margine di manovra sottolinea intrinsecamente il fatto che devono svolgersi discussioni, valutazioni o altre attività per consentire all’istituzione competente di arrivare a un punto in cui sia possibile prendere una decisione (25). Senza queste attività orientate al risultato, un processo decisionale difficilmente potrebbe essere considerato tale in qualsiasi forma significativa.

45.      Allo stesso tempo, tale attività decisionale presuppone una questione specifica dotata di un qualche tipo di contenuto identificabile e un’indicazione dei metodi attraversi i quali la relativa decisione può essere presa. Altrimenti, su quale base dovrebbe espletarsi l’«adozione di una decisione» e in relazione a cosa esattamente dovrebbe essere presa una «decisione»? Sarebbe come cercare di risolvere un problema senza prima sapere quale sia il problema.

46.      A mio avviso, quindi, per identificare un effettivo processo decisionale, le relative attività devono riguardare una questione concreta e dimostrare un tentativo di realizzare lo scopo del relativo processo.

47.      Naturalmente, ciò non implica che il contenuto della questione di cui trattasi, o il metodo e i tempi per l’adozione della relativa decisione, debbano rimanere invariati durante l’intero processo decisionale. Come ho appena sottolineato, l’istituzione competente deve avere un margine di manovra all’interno di un processo decisionale per modificare la sostanza della misura originariamente prevista, cambiare il processo o i tempi di adozione, o intraprendere altre azioni che ritiene necessarie, a propria discrezione o in risposta alle azioni delle altre istituzioni e organi coinvolti nel processo. In effetti, tale flessibilità è spesso vitale per raggiungere il consenso, in particolare quando sono coinvolti comitati di comitatologia, ed è essenziale per raggiungere la fase in cui può essere presa una decisione finale.

48.      Il margine di manovra dell’istituzione non deve tuttavia alterare in modo sostanziale la natura della questione di cui trattasi. Infatti, la questione originaria, anche se discussa e rivista in più fasi nel corso di un determinato processo, dovrebbe possedere, all’inizio e per tutto il processo, un elemento centrale a fondamento del processo decisionale. In altre parole, deve esistere un ragionevole rapporto di prossimità – in termini non solo di contenuto, ma eventualmente anche di modalità di adozione e di obiettivo perseguito – tra la questione, come originariamente prevista, e quella successivamente all’esame delle istituzioni e degli organi dell’Unione coinvolti.

49.      Al riguardo, qualsiasi manovra che costituisca un allontanamento significativo dalla questione originaria può essere considerata come il segnale della chiusura di un processo decisionale e dell’inizio di uno nuovo.

50.      Ciò mi porta alla seconda domanda, strettamente connessa alla prima: quando si conclude un processo decisionale a seguito dell’adozione di una decisione sulla questione pertinente?

51.      Diverse sentenze dei giudici dell’Unione risultano pertinenti al fine di rispondere a tale domanda. In primo luogo, le sentenze del Tribunale nelle cause Toland/Parlamento (26) e PAN Europe/Commissione (27) chiariscono che una «decisione» non è presa finché l’oggetto specifico del processo decisionale – spesso sotto forma di un atto o di un provvedimento – non è definitivamente affrontato, anziché essere ancora parte di discussioni, valutazioni, revisioni o altre forme di attività che sono componenti del processo.

52.      Inoltre, i processi decisionali esistenti in taluni contesti procedurali offrono ulteriori spunti per identificare la fase in cui una «decisione» è stata presa e il relativo processo si considera concluso. Un esempio rimarchevole è il processo decisionale della Commissione nel contesto della proposta di iniziative legislative.

53.      La Commissione gode del potere di iniziativa legislativa, il che significa che decide se presentare o meno una proposta legislativa, tranne nei casi in cui è obbligata a farlo dal diritto dell’Unione. Al riguardo, essa può effettuare una serie di passi nel corso della preparazione di una proposta legislativa.

54.      In tale contesto, la Corte ha osservato che attività come la preparazione delle relazioni di valutazione d’impatto fanno parte del processo decisionale della Commissione, che si svolge a monte della procedura legislativa in senso stretto (28). Infatti, tali azioni, che mirano a plasmare un consenso per finalizzare una proposta ufficiale, costituiscono proprio l’elemento «decisionale» di tale processo. Una volta approvata la proposta, la Commissione può decidere di sottoporla al legislatore dell’Unione, ponendo così fine alla fase di iniziativa e dando inizio alla fase legislativa. È in questa fase, quindi, che si può considerare «la decisione» come adottata, portando di fatto a conclusione il processo decisionale relativo a una particolare iniziativa legislativa (29).

55.      Analogamente, la Corte ha osservato che la decisione della Commissione di abbandonare l’iniziativa legislativa prevista pone un termine definitivo all’azione legislativa programmata, la quale può riprendere soltanto se detta istituzione ritorna sulla propria decisione. Di conseguenza, anche la decisione di non presentare una proposta denota chiaramente uno snodo decisivo: indica che è stata presa una decisione negativa che, come risultato, porta alla conclusione del processo decisionale (30).

56.      Al riguardo, il passaggio dal processo decisionale all’adozione delle decisioni è delineato dal momento in cui la Commissione decide di presentare la sua proposta legislativa al legislatore dell’Unione o decide di ritirare completamente un’iniziativa legislativa (31).

57.      A mio avviso, le conclusioni di cui sopra sono particolarmente rilevanti nel contesto dell’esercizio delle competenze di esecuzione della Commissione, in relazione alle quali le norme procedurali pertinenti richiedono generalmente che la Commissione avvii consultazioni con un comitato di comitatologia. Tali azioni possono spesso comportare la revisione di progetti di testo al fine di ottenere un parere favorevole da parte di tale comitato. Anche nel presente caso, queste stesse fasi sono svolte in vista dell’adozione di una misura e costituiscono l’elemento «decisionale» del processo di cui trattasi.

58.      Pertanto, si può ragionevolmente concludere che il processo decisionale della Commissione termina quando la Commissione prende posizione in modo definitivo, in un senso o nell’altro, sulla questione specifica in oggetto, adottando la misura prevista (come originariamente proposta o come successivamente modificata) o abbandonandola. Una volta effettuata una scelta definitiva in merito a una determinata questione, il fatto che in futuro possano essere avviati procedimenti amministrativi analoghi in cui i documenti di cui trattasi possano essere riutilizzati non preclude che il processo decisionale relativo a tali documenti sia concluso (32).

59.      Alla luce delle considerazioni che precedono, esaminerò ora gli argomenti dedotti dalla Commissione per stabilire se il Tribunale sia incorso in un errore di diritto.

c)      Valutazione da parte del Tribunale nella sentenza impugnata

60.      La valutazione dell’eventuale conclusione del processo decisionale di cui trattasi da parte del Tribunale si è incentrata sulla circostanza che, al momento dell’adozione delle decisioni controverse, fosse ancora in corso un’attività decisionale relativa all’adozione del documento di orientamento del 2013 o che fosse stata presa una decisione in merito alla sua adozione (o alla sua mancata adozione).

61.      Prestando particolare attenzione alle deliberazioni relative al documento di orientamento del 2013 in seno allo Scopaff e al successivo tentativo della Commissione di attuare parti di tale documento introducendo modifiche ai principi uniformi del regolamento n. 546/2011, il Tribunale ha stabilito che il processo decisionale relativo a tale documento di orientamento poteva essere considerato in corso tra il 2013 e il 2019.

62.      Tuttavia, la sentenza impugnata, in particolare nei punti da 53 a 57, indica che la revisione di tale documento da parte dell’EFSA non rientrava nel medesimo processo decisionale. Il Tribunale ha osservato che gli esami in seno allo Scopaff erano stati interrotti e si è soffermato sul fatto che sia il contenuto del documento in revisione sia il metodo della sua potenziale adozione, compresa la relativa procedura, erano altamente incerti. Poiché la revisione si trovava in una siffatta fase preparatoria, essa non rifletteva un vero e proprio processo decisionale, ma piuttosto i preparativi di un processo ancora da avviare.

63.      In tale contesto, il Tribunale non solo ha indicato che, a suo avviso, il processo decisionale relativo al documento di orientamento del 2013 era cessato, ma, soprattutto, che la Commissione non aveva più l’obiettivo di attuare tale documento di orientamento e aveva preso una decisione implicita contraria alla sua attuazione quando ha chiesto all’EFSA di rivederne il contenuto. Su tale base, il Tribunale ha ritenuto che il processo decisionale non fosse più in corso perché «la decisione» era stata presa.

64.      La Commissione contesta tale valutazione. Tuttavia, ritengo che le sue argomentazioni non siano convincenti.

65.      In primo luogo, per le ragioni illustrate al paragrafo 32 supra, ritengo che la critica generica della Commissione relativa all’interpretazione restrittiva, da parte del Tribunale, dei termini inclusi nel primo comma dell’articolo 4, paragrafo 3, del regolamento n. 1049/2001, sia infondata. L’approccio del Tribunale è altresì in linea con il principio di interpretazione saldamente consolidato, secondo il quale le eccezioni e le deroghe all’impianto generale o alle regole generali di uno strumento giuridico devono essere interpretate restrittivamente (33).

66.      In secondo luogo, non concordo con la tesi secondo cui il Tribunale avrebbe limitato la nozione di «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione» a questioni in procinto di essere sottoposte a deliberazione e a situazioni in cui l’istituzione in di cui trattasi è immediatamente chiamata ad adottare un progetto di atto identificabile.

67.      Nulla nei punti da 54 a 61 della sentenza impugnata suggerisce che l’assenza di un’imminente deliberazione in merito a un determinato progetto di provvedimento escluda l’esistenza di un’effettiva attività decisionale. In particolare, al punto 56 della sentenza impugnata, il Tribunale ha chiaramente riconosciuto che un processo decisionale può protrarsi per un periodo prolungato, durante il quale un’istituzione può agire attivamente per raggiungere il consenso, pur rimanendo relativamente lontana dal completare ciò che alla fine emergerà come atto o provvedimento definitivo.

68.      Detti passaggi della sentenza impugnata si limitano a riaffermare il principio secondo cui un processo decisionale richiede l’esistenza di una questione specifica rispetto alla quale si svolgono le attività decisionali. La parte finale del punto 56 della sentenza impugnata è particolarmente significativa al riguardo. In tale punto, il Tribunale ha statuito che, data la notevole incertezza circa il possibile contenuto, la forma e la tempistica del provvedimento rivisto, detta revisione implicava «la mancanza stessa dell’oggetto di un processo decisionale della Commissione al momento dell’adozione delle decisioni impugnate» (34).

69.      In terzo luogo, non condivido l’opinione della Commissione secondo cui, nella sentenza impugnata, il Tribunale sarebbe giunto alle sue conclusioni in merito alla «questione» e al relativo «processo decisionale» sulla base di criteri errati.

70.      Come indicato al paragrafo 45 supra, l’esistenza di un processo decisionale presuppone un contenuto minimo identificabile della decisione da adottare e le possibili modalità di adozione. La mancanza di alcuni elementi fondamentali del processo decisionale è, a mio avviso, particolarmente problematica laddove era stata proposta l’adozione di misure molto specifiche ma, nonostante molteplici tentativi nell’arco di un lungo periodo, essa ha finito con l’essere abbandonata.

71.      Alla luce di quanto precede, a differenza della Commissione, ritengo che il Tribunale abbia correttamente considerato il possibile contenuto e la forma della misura proposta (o delle misure proposte) per l’adozione come elementi pertinenti per dimostrare la presenza, nel caso di specie, di una «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione».

72.      Inoltre, non concordo con la tesi secondo cui il Tribunale non avrebbe apprezzato l’importanza dell’obiettivo perseguito dall’istituzione interessata. Il punto 57 della sentenza impugnata non esclude la rilevanza di tale elemento, ma solo il suo carattere dirimente (35).

73.      È vero che lo scopo di un determinato processo – la sua ragion d’essere, per così dire – può essere un indicatore affidabile del suo status quo: una volta raggiunto lo scopo, il processo è presumibilmente concluso. In caso contrario, è possibile che il processo sia ancora in corso. Tuttavia, tale approccio di buon senso ha i suoi limiti logici. Non tiene conto, infatti, della circostanza che un processo decisionale può concludersi sebbene il suo obiettivo non sia stato raggiunto, ad esempio quando una determinata questione viene abbandonata e non viene portata avanti. Come accennato nell’introduzione, alcuni piani semplicemente vanno per storto e possono essere sostituiti da nuovi piani o, eventualmente, da nessun piano.

74.      Ciò è a maggior ragione vero per quanto riguarda le questioni in relazione alle quali possono, ma non devono, essere adottati provvedimenti. In effetti, tale è in particolare il caso dei documenti di orientamento di cui all’articolo 77 del regolamento n. 1107/2009. Tale disposizione così recita: «[l]a Commissione può, secondo la procedura consultiva (...), adottare o modificare documenti d’orientamento tecnico, o di altra natura, per l’attuazione del presente regolamento (…). Può chiedere all’[EFSA] di preparare o di contribuire all’elaborazione di tali documenti d’orientamento» (36).

75.      Al riguardo, lungi dal non considerare l’obiettivo perseguito dalla Commissione, il Tribunale è giunto a tale conclusione distinguendo tra l’ampio obiettivo di detta istituzione di adottare un documento di orientamento sulle api e l’obiettivo più specifico e mirato di adottare o attuare (in tutto o in parte) il documento di orientamento del 2013 che era stato presentato allo Scopaff.

76.      Ciò sembra essere in linea con la definizione di «questione» data dal Tribunale nel caso di specie che, per i motivi sopra esposti, ritengo ragionevole.

77.      In quarto e ultimo luogo, non rilevo alcun altro errore di diritto per quanto riguarda l’interpretazione o l’applicazione da parte del Tribunale della nozione di «questione su cui [un’istituzione] non abbia ancora adottato una decisione».

78.      Devo dichiarare fin da subito che ritengo il criterio proposto dalla Commissione per definire tale nozione – vale a dire l’esercizio effettivo da parte dell’istituzione della sua competenza e il corrispondente scopo della sua azione – eccessivamente ampio ed eccessivamente vago.

79.      Si prenda ad esempio il presente caso. Se la Commissione avesse ragione, finché non viene adottato un documento di orientamento (in realtà, qualsiasi documento di orientamento) sulle api ai sensi dell’articolo 77 del regolamento n. 1107/2009, il processo decisionale sarebbe considerato in corso. Ciò significherebbe che esiste un unico processo decisionale, indipendentemente dal tempo trascorso, dal numero e dalla natura delle fasi procedurali seguite lungo il percorso, dai periodi di assenza di attività e, soprattutto, dal contenuto stesso dei due documenti.

80.      Data la sua importanza, mi soffermerò brevemente su quest’ultimo elemento (il contenuto del provvedimento previsto). A mio avviso, è evidente che due documenti di orientamento sullo stesso argomento possono essere, dal punto di vista del contenuto, molto diversi. Orbene, un documento di orientamento dovrebbe riflettere il quadro normativo più recente e basarsi sulle conoscenze scientifiche e tecniche attuali (37). Data la lunga durata del processo fino al momento in cui sono state adottate le decisioni controverse e il fatto che il metodo di elaborazione del documento rivisto è diverso (38), non sembra irragionevole supporre che il documento la cui revisione è stata commissionata all’EFSA nel 2019 possa essere diverso (anche in modo significativo) da quello che la stessa autorità aveva prodotto nel 2013.

81.      Tale elemento deve essere considerato in linea di principio irrilevante ai fini della presente analisi giuridica?

82.      Ritengo di no. La Commissione stessa riconosce nella sua replica che «il contenuto di una proposta è di solito il punto cruciale del dibattito». Invero, trovo molto artificioso ritenere che un determinato processo decisionale possa rimanere identico anche quando l’oggetto, la procedura e il calendario risultano profondamente modificati. Ciò è particolarmente vero quando, come ho detto, un’istituzione decide di accantonare una proposta e ripartire con una nuova.

83.      Alla luce di quanto sopra, l’interrogativo centrale in questo contesto è il seguente: qual era la questione (intesa come domanda, problema o situazione specifica) che la Commissione stava considerando e rispetto alla quale intendeva prendere una «decisione», concludendo in tal modo l’effettivo «processo decisionale»?

84.      Il Tribunale, sulla base delle «particolari circostanze delle presenti cause» (39), è giunto alla conclusione che l’oggetto delle discussioni e dei negoziati, per tutto il periodo dal 2013 al 2019, era l’adozione o l’attuazione parziale del documento di orientamento del 2013. Infatti, sulla base delle informazioni fornite o, quanto meno, non contestate dalla Commissione, il Tribunale ha constatato che, al termine di un processo particolarmente lungo, i) l’esame della misura proposta per l’adozione in seno al Scopaff era stato (definitivamente) «interrotto»; ii) l’attuazione parziale di tale misura attraverso l’adozione di una misura alternativa era anch’essa fallita; iii) era in corso la preparazione di una nuova misura; e iv) in tale fase, qualsiasi considerazione relativa al possibile contenuto, alla natura, alla forma dell’adozione e alla procedura che poteva essere seguita a tal fine era «ipotetica».

85.      Sono pronto ad accettare che, come sottolinea la Commissione, la mera «revisione» di un documento presentato per l’adozione costituisce, in genere, una fase aggiuntiva che rientra nello stesso processo decisionale. Tuttavia, non si può escludere che ciò che viene qualificato come «revisione» possa, in alcune circostanze insolite, andare ben oltre il semplice adattamento, miglioramento o aggiornamento del documento originale.

86.      Ciò è quanto, secondo il Tribunale, è avvenuto nel caso di specie, alla luce delle «particolari circostanze» sopra menzionate. In tale contesto, non ritengo che le conclusioni del Tribunale in merito a ciò che effettivamente costituisse la «questione», il «processo decisionale» e la «decisione» nel caso di specie siano viziate da un errore di diritto. In particolare, nella misura in cui il Tribunale i) non ha commesso errori nell’interpretazione delle nozioni di cui trattasi, ii) ha considerato gli elementi di diritto e di fatto che sono, in linea di principio, pertinenti per la valutazione, e (iii) ha effettuato una valutazione complessiva di tali elementi che appare plausibile, mi chiedo se sia opportuno che la Corte effettui una nuova valutazione globale a tale riguardo nella presente impugnazione.

87.      Farlo significherebbe spostare il ruolo della Corte dalla verifica della corretta interpretazione del diritto e della qualificazione giuridica dei fatti a una forma di controllo più orientata ai fatti. Ad esempio, la Corte dovrebbe esaminare, inter alia, i seguenti aspetti: la Commissione ha implicitamente ma necessariamente rinunciato in modo certo all’eventuale adozione del documento come inizialmente previsto? È probabile che il documento rivisto possa avere un ragionevole rapporto di prossimità con quello inizialmente proposto per l’adozione?

88.      Alla luce di quanto precede, concludo che il primo motivo d’impugnazione andrebbe respinto in quanto infondato.

89.      Se la Corte di giustizia dovesse condividere la mia valutazione, non avrebbe bisogno di esaminare il secondo motivo per respingere l’impugnazione della Commissione, in quanto tale motivo sarebbe inoperante. Infatti, se i documenti in discorso non riguardassero un processo decisionale in corso, l’eccezione di cui trattasi non sarebbe affatto applicabile. Di conseguenza, l’eventualità che il Tribunale abbia erroneamente interpretato la nozione di «pregiudic[are] seriamente il processo decisionale dell’istituzione», come sostiene la Commissione nel suo secondo motivo, sarebbe irrilevante e non potrebbe condurre all’annullamento della sentenza impugnata. Tuttavia, nell’eventualità che la Corte non concordi con la mia valutazione del primo motivo d’impugnazione, spiegherò brevemente perché ritengo che anche il secondo motivo sia da respingere in quanto infondato.

B.      Sul secondo motivo d’impugnazione

90.      Con il secondo motivo, la Commissione sostiene che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel valutare se la divulgazione dei documenti richiesti pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale di tale istituzione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001.

91.      Tale motivo si articola in due parti. La seconda parte si compone di tre censure.

1.      Sulla prima parte

92.      La prima parte del secondo motivo di impugnazione solleva una questione di interpretazione delle decisioni controverse.

93.      La Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto sostituendo la motivazione di detta istituzione nelle decisioni controverse con la propria interpretazione. Essa sostiene che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che detta istituzione non si sia basata sul regolamento n. 1049/2001 per negare l’accesso ai documenti richiesti, ma solo sul regolamento interno tipo. A suo avviso, tale constatazione equivarrebbe a uno snaturamento dei fatti, in quanto modificherebbe significativamente gli argomenti dedotti nelle decisioni controverse e condurrebbe a un ragionamento contraddittorio nella sentenza impugnata.

94.      Al pari della Pollinis France, anch’io ritengo che l’argomentazione della Commissione derivi da un’errata comprensione della sentenza impugnata.

95.      In più occasioni, in particolare ai punti 62 e 63 della sentenza impugnata, il Tribunale ha chiarito che, nelle decisioni controverse, la Commissione aveva fatto valere l’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. A loro volta, i punti da 85 a 90 della sentenza impugnata riguardano il modo in cui la Commissione ha invocato la necessità di tutelare la riservatezza della posizione individuale degli Stati membri, facendo riferimento alle disposizioni del regolamento interno tipo, senza tuttavia stabilire un chiaro collegamento tra tali disposizioni e quelle del regolamento n. 1049/2001.

96.      Su tale fondamento, il punto 90 della sentenza impugnata, in cui si afferma, tra l’altro, che «la Commissione non si è basata (...) su disposizioni del regolamento n. 1049/2001», deve essere inteso come un riferimento ai punti precedenti in cui il Tribunale ha chiarito il ragionamento della Commissione nelle decisioni controverse. Ciò non deve essere frainteso nel senso di un’affermazione secondo cui la Commissione si è totalmente astenuta dall’invocare il regolamento n. 1049/2001.

97.      In realtà, al punto 107 della sentenza impugnata, il Tribunale ha concluso la sua valutazione sulla questione se il regolamento interno tipo consenta di rifiutare l’accesso ai documenti che mostrano la posizione individuale degli Stati membri ai sensi del regolamento n. 1049/2001. Tale conclusione non si basa sulla mancata invocazione da parte della Commissione delle disposizioni di detto regolamento, ma piuttosto sulla lettura combinata dei due insiemi di norme.

98.      Pertanto, non vedo alcuna sostituzione del ragionamento, né rilevo alcuna contraddizione al riguardo. La prima parte del secondo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

2.      Seconda parte, prima censura

99.      Nella sua impugnazione, la Commissione sostiene che il Tribunale ha erroneamente dichiarato, ai punti 91 e 92 della sentenza impugnata, che il regolamento interno tipo non si applicava allo Scopaff, in quanto quest’ultimo non aveva formalmente adottato un proprio regolamento di procedura.

100. A mio avviso, tale argomentazione è inconferente. La circostanza che il regolamento interno tipo fosse o meno applicabile alla procedura svolta in seno allo Scopaff è irrilevante.

101. Come ha correttamente statuito il Tribunale – riprendendo le analoghe considerazioni sviluppate dal Mediatore europeo nella sua decisione del 3 dicembre 2019 in risposta alla denuncia presentata dalla Pollinis France (40) – il regolamento interno tipo non può essere interpretato nel senso di concedere ai documenti una tutela che va al di là di quella prevista dal regolamento n. 1049/2001 (41).

3.      Seconda parte, seconda censura

102. In primo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto in quanto ha respinto la pertinenza delle norme sulla comitatologia alla luce del regolamento n. 1049/2001. Essa afferma che le norme sulla comitatologia sono pertinenti per la valutazione del rischio che la divulgazione di un documento potrebbe presentare ai fini dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. Per tale motivo, il Tribunale non poteva discostarsi dalla giurisprudenza esistente, che sottolinea l’applicabilità di tale quadro normativo, né trascurare il fatto che le norme sulla riservatezza del regolamento interno tipo riflettono l’importanza attribuita alla riservatezza delle informazioni in seno a comitati come lo Scopaff (42).

103. In secondo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto in quanto ha erroneamente interpretato le norme sulla comitatologia da essa invocate nelle decisioni controverse. Più specificamente, essa sostiene che la valutazione del Tribunale ai punti da 101 a 107 della sentenza impugnata non ha riconosciuto che le posizioni individuali degli Stati membri nelle procedure di comitatologia e le informazioni scambiate all’interno dei comitati sono considerate sensibili ai sensi di tali norme. Al riguardo, la Commissione sottolinea che l’importanza della riservatezza in tali norme non dovrebbe essere limitata da un’interpretazione restrittiva dell’espressione «deliberazioni del comitato» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento interno tipo. L’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento interno tipo conferma tale tesi – sostiene la Commissione – in quanto indica che i documenti presentati ai membri di un determinato comitato nel corso dell’intera procedura hanno carattere riservato.

104. In terzo luogo, la Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto interpretando erroneamente il fondamento del ragionamento della Commissione nelle decisioni controverse per quanto riguarda il principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4 TUE.

105. La Pollinis France contesta tutte le suddette conclusioni.

106. Gli argomenti dedotti della Commissione non mi persuadono.

107. In primo luogo, il Tribunale non ha trascurato la pertinenza delle norme in materia di comitatologia ai fini del regolamento n. 1049/2001. In realtà, ai punti da 100 a 105 della sentenza impugnata, esso ha esaminato espressamente il regolamento interno tipo invocato dalla Commissione nelle decisioni controverse per determinarne la natura e l’incidenza sull’accesso ai documenti ai sensi di detto regolamento. Su tale base, esso ha ritenuto che le suddette disposizioni non riguardassero l’accesso del pubblico ai documenti dei comitati e non prescrivessero di per sé il rifiuto di tale accesso ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001. Di conseguenza, esso non ha omesso di considerare il quadro normativo che disciplina le procedure di comitatologia o di motivare la sua decisione.

108. In secondo luogo, il Tribunale non ha erroneamente interpretato il regolamento di procedura tipo invocato dalla Commissione nelle decisioni controverse. In realtà, le argomentazioni della Commissione sembrano implicare che alcuni documenti, come quelli relativi alle posizioni individuali degli Stati membri espresse nel corso dei procedimenti di comitato, di cui all’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento interno tipo, dovrebbero, in sostanza, beneficiare di una presunzione generale di non divulgazione, tenuto conto della riservatezza prevista dalle disposizioni menzionate.

109. Al riguardo, va ricordato che, se un’istituzione dell’Unione decide di negare l’accesso a un documento sulla base di una delle eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 – come risulta nel presente caso – essa deve spiegare in che modo l’accesso a tale documento potrebbe ledere concretamente ed effettivamente l’interesse tutelato da tale eccezione. Inoltre, il rischio di un siffatto pregiudizio deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico (43). Tuttavia, in alcuni casi, le istituzioni dell’Unione hanno potuto basarsi su una presunzione generale di non divulgazione per negare tale accesso (44).

110. Ciononostante, il riconoscimento di una presunzione generale a beneficio di una categoria di documenti presuppone che sia previamente dimostrato che la divulgazione del tipo di documenti rientranti in tale categoria sarebbe, in modo ragionevolmente prevedibile, idonea a pregiudicare effettivamente l’interesse tutelato dall’eccezione in questione. Inoltre, posto che le presunzioni generali costituiscono un’eccezione alla norma relativa all’obbligo di esame concreto ed individuale, da parte dell’istituzione dell’Unione interessata, di ciascun documento oggetto di una domanda di accesso, e, per di più, un’eccezione al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti detenuti dalle istituzioni dell’Unione, esse devono essere oggetto di un’interpretazione e di un’applicazione in senso restrittivo (45).

111. Conseguentemente, le posizioni individuali degli Stati membri nelle procedure di comitatologia non rientrano nelle categorie di documenti che beneficiano di presunzioni generali di riservatezza. Di fatto, come sottolineato dal Tribunale ai paragrafi 104 e 105 della sentenza impugnata, l’articolo 13 del regolamento interno tipo, se considerato nella sua interezza, stabilisce che le richieste di accesso ai documenti dei comitati devono essere trattate conformemente al regolamento n. 1049/2001 e che permane il carattere riservato delle deliberazioni del comitato o dei documenti trasmessi, tra l’altro, ai membri del comitato, a meno che l’accesso a tali documenti sia concesso dalla Commissione. Ciò è ulteriormente confermato dal testo dell’articolo 9 del regolamento n. 182/2011 che, dopo aver stabilito i principi in base ai quali i comitati adottano il proprio regolamento interno, aggiunge che «ai comitati si applicano i principi e le condizioni riguardanti l’accesso del pubblico ai documenti (...) applicabili alla Commissione».

112. Sono pertanto dell’avviso che il Tribunale abbia giustamente ritenuto che il regolamento interno tipo invocato dalla Commissione nelle decisioni controverse non escludesse i documenti richiesti dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001. Per tale motivo, l’istituzione era tenuta a spiegare in che modo la divulgazione dei documenti richiesti avrebbe pregiudicato l’interesse tutelato dall’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, di detto regolamento. Tale constatazione rimarrebbe invariata anche se l’espressione «deliberazioni del comitato», di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento interno tipo, fosse interpretata in modo ampio, tale da includere fasi di una procedura di comitatologia diverse dalla fase finale in cui hanno luogo le deliberazioni.

113. In terzo luogo, emerge dai punti da 111 a 113 della sentenza impugnata che il Tribunale non ha trascurato il fatto che il riferimento alla cooperazione e alla fiducia reciproca nelle decisioni controverse riguardava gli Stati membri e la Commissione. In realtà, esso ha espressamente considerato questo aspetto nella sua valutazione. In ogni caso, le osservazioni contenute in tali punti si fondano sull’assenza di spiegazioni da parte della Commissione in grado di dimostrare come tali principi sarebbero lesi dalla divulgazione dei documenti richiesti. Il Tribunale non è giunto alle sue conclusioni sulla base di un’interpretazione errata del principio di leale cooperazione (46).

114. Alla luce di quanto suesposto, la seconda censura della seconda parte deve essere respinta in quanto infondata.

4.      Seconda parte, terza censura

115. La Commissione sostiene inoltre che il Tribunale, nella sua valutazione, ha esaminato isolatamente i vari motivi su cui detta istituzione si era basata nelle decisioni controverse. Tale distinzione sarebbe artificiosa e avrebbe comportato una distorsione degli argomenti della Commissione. In particolare, la suddivisione della valutazione in tre sezioni distinte avrebbe fatto sì che gli argomenti interconnessi a sostegno delle deduzioni della Commissione in merito ai rischi della divulgazione non siano stati debitamente considerati.

116. Inoltre, la Commissione sostiene che il Tribunale ha effettuato una distinzione errata tra le pressioni esterne esercitate sulla Commissione e quelle esercitate sugli Stati membri. Secondo la Commissione, tale distinzione era errata perché il Tribunale ha omesso di riconoscere che tanto la Commissione che gli Stati membri partecipano a un unico processo decisionale nell’ambito delle procedure di comitatologia. Allo stesso modo, il Tribunale avrebbe tenuto conto del fatto che nelle decisioni controverse l’espressione «comitati permanenti» includeva lo Scopaff. Pertanto, esso ha erroneamente ritenuto che il riferimento a pressioni esterne nella decisione impugnata non riguardasse il processo decisionale in seno allo Scopaff.

117. Infine, la Commissione sostiene che il Tribunale, ai punti 119 e 130 della sentenza impugnata, ha applicato un criterio giuridico non corretto, in base al quale, nelle decisioni controverse, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare, in primo luogo, che il mancato raggiungimento dello scopo del processo decisionale era dovuto a pressioni esterne e, in secondo luogo, che negare l’accesso ai documenti richiesti avrebbe consentito a tale processo di raggiungere il suo obiettivo. La Commissione sostiene che il criterio applicabile le impone solo di dimostrare un rischio ragionevolmente prevedibile di incidenza sostanziale sulla decisione da adottare a causa di tale pressione esterna.

118. Gli argomenti della Commissione non sono convincenti.

119. Al punto 63 della sentenza impugnata, il Tribunale ha sottolineato che, nelle decisioni controverse, la Commissione si era basata, «in sostanza, su una serie di tre motivi connessi al fine di negare l’accesso ai documenti richiesti sulla base dell’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001» (47). Tali motivi sono descritti come segue:

«Secondo la Commissione, in primo luogo, le procedure di comitatologia preserverebbero la riservatezza delle posizioni individuali degli Stati membri. In secondo luogo, la divulgazione delle posizioni degli Stati membri scambiate in un contesto di riservatezza comprometterebbe la cooperazione tra gli Stati membri nonché la fiducia reciproca tra gli Stati membri e la Commissione. (…) In terzo luogo, la Commissione sarebbe stata, e sarebbe tuttora, oggetto di pressioni esterne provenienti da diverse parti interessate portatrici di interessi contraddittori, cosicché la divulgazione dei documenti richiesti esporrebbe un processo decisionale lungo e complesso a maggiori pressioni esterne. La divulgazione dei documenti richiesti ridurrebbe il margine di manovra e la flessibilità degli Stati membri, che dovrebbero essere liberi di esplorare, senza pressioni esterne, tutte le opzioni in seno ai comitati permanenti».

120. Per di più, al punto 110 della sentenza, il Tribunale ha osservato che, nella sua replica, la Commissione ha sottolineato che «gli elementi dedotti nelle decisioni impugnate devono essere considerati non individualmente, bensì nel loro insieme».

121. Inoltre, a mio avviso, è chiaro che, nella sentenza impugnata, il Tribunale non valuta detti motivi in modo del tutto avulso l’uno dall’altro (48). L’esame distinto di tali motivi connessi sembra rispondere semplicemente a una logica di valutazione ordinata degli argomenti dedotti dalla Commissione. Di conseguenza, mi sembra infondata l’affermazione della Commissione secondo cui, nella sentenza impugnata, i suoi argomenti sarebbero stati distorti.

122. In tale contesto, vorrei anche aggiungere che, a mio avviso, la Commissione non ha spiegato adeguatamente in che modo il metodo di esame del Tribunale, se avesse considerato congiuntamente i tre motivi connessi, avrebbe portato a un risultato diverso. L’analisi del Tribunale, in ogni fase, si concentra sull’esame dell’adempimento o meno, da parte della Commissione, dell’obbligo di dimostrare adeguatamente – nelle decisioni controverse e alla luce delle spiegazioni fornite nel corso del procedimento di primo grado – il rischio di pregiudizio grave al processo decisionale di cui trattasi, tenuto conto delle ragioni specifiche addotte e degli elementi di prova pertinenti (49).

123. Inoltre, non è parimenti convincente l’argomento secondo cui la sentenza impugnata avrebbe trascurato elementi pertinenti in tale contesto.

124. In primo luogo, nella sua giurisprudenza, il Tribunale ha costantemente riconosciuto che le pressioni esterne possono costituire un motivo legittimo di limitazione dell’accesso ai documenti (50).

125. Concordo. Tuttavia, devono essere forniti elementi di prova per dimostrare che il rischio di incidere sostanzialmente sul processo decisionale in corso era ragionevolmente prevedibile, a causa di tali pressioni esterne. Le osservazioni del Tribunale ai punti 129 e 134 della sentenza impugnata riguardano la mancanza di elementi di prova a sostegno dell’affermazione che le pressioni esterne avrebbero influenzato il processo decisionale. Le sue conclusioni non si sono basate sulla questione se la pressione esterna di cui trattasi fosse indirizzata alla Commissione o agli Stati membri separatamente. Piuttosto, esse si basano sull’assenza di elementi di prova che consentano di stabilire un legame tra la pressione esterna e l’eventuale pregiudizio causato dalla divulgazione. In tale contesto, non ravviso neppure altri elementi pertinenti che il Tribunale possa aver trascurato nella sua analisi e che, se presi in considerazione, avrebbero rimesso in discussione la conclusione raggiunta al punto 136 della sentenza impugnata.

126. Analogamente, il Tribunale non ha basato la sua valutazione sul fatto che le decisioni controverse facessero specificamente riferimento al processo decisionale in seno allo Scopaff o, più in generale, ai «comitati permanenti», al fine di concludere che tali decisioni mancavano dei necessari elementi di prova dei rischi invocati dalla Commissione. A prescindere dalla questione se l’espressione «comitati permanenti» ricomprenda o meno lo Scopaff, le decisioni controverse non contenevano alcun elemento di prova concreto specificamente legato al processo decisionale di cui trattasi.

127. Infine, il Tribunale non ha applicato il/un criterio giuridico non corretto in relazione all’eccezione di cui trattasi. Mi sembra che la Commissione estrapoli i punti 119 e 130 della sentenza impugnata dal loro contesto. Tali passaggi si riferiscono al fatto che il processo decisionale in esame, durato diversi anni, non aveva raggiunto il suo presunto obiettivo, nonostante il trattamento di riservatezza accordato ai documenti di cui trattasi. In sostanza, il Tribunale non ha stabilito alcun criterio in base all’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1049/2001, ma si è limitato a valutare il valore probatorio di taluni elementi di fatto addotti dalla Commissione.

128. In conclusione, in detti punti, il Tribunale non si è discostato dal requisito consolidato, secondo cui devono essere forniti elementi di prova per dimostrare che il rischio di incidere sostanzialmente sulla decisione da adottare è ragionevolmente prevedibile, a causa della pressione esterna. In effetti, come risulta dal punto 136 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che la Commissione non aveva soddisfatto tale criterio giuridico.

129. Pertanto, anche la terza censura della seconda parte deve essere respinta in quanto infondata e, con essa, l’intera impugnazione.

VII. Sulle spese

130. Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, dello stesso, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

131. Poiché la Pollinis France ha presentato domanda di condanna alle spese e la Commissione è rimasta soccombente, quest’ultima deve essere condannata a farsi carico delle spese del presente procedimento di impugnazione.

VIII. Conclusione

132. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di giustizia di:

–        respingere l’impugnazione;

–        condannare la Commissione europea alle spese.


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Come scrisse Robert Burns nella sua poesia «To a Mouse» del 1785: «The best laid schemes o’ Mice an’ Men / Gang aft agley» («I meglio studiati disegni di topi e uomini / Vanno spesso per storto», Poesie, Robert Burns, traduzione di Masolino D’Amico, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1972, pag. 103).


3      Sentenza del 14 settembre 2022 (T‑371/20 e T‑554/20, 99; in prosieguo: la «sentenza impugnata»).


4      Un’organizzazione non governativa francese le cui attività riguardano la protezione dell’ambiente e, più in particolare, la protezione delle api.


5      Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).


6      GU 2011, L 55, pag. 13.


7      GU 2011 C 206, pag. 11 (in prosieguo: il «regolamento interno tipo»).


8      Regolamento della Commissione, del 10 giugno 2011, recante disposizioni di attuazione del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i principi uniformi per la valutazione e l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari (GU 2011, L 155, pag. 127).


9      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13).


10      V., ad esempio, Sager (danese), Angelegenheit (tedesco), θέμα (greco), asunto (spagnolo), question (francese), pitanje (croato), questione (italiano), klausimas (lituano), kwistjoni (maltese), spraw (polacco), chestiune (rumeno), zadevo (sloveno) e fråga (svedese).


11      Il corsivo è mio. Alcune altre versioni linguistiche, come quella ceca, ungherese e maltese, utilizzano lo stesso termine in entrambe le disposizioni.


12      V., tra l’altro, articolo 3 nelle versioni danese (Emner), tedesca (Sachverhalt), spagnola (temas), francese (matière), italiana (aspetti), polacca (kwestii), rumena (subiect) e slovena (vprašanju) del regolamento. Va anche detto che in alcune altre versioni linguistiche, come il greco, il finlandese, il lituano e lo svedese, non compare alcun termine corrispondente a «matter».


13      V. nota 10 supra.


14      Tale principio è altresì affermato all’articolo 10, paragrafo 3, TUE e all’articolo 298, paragrafo 1, TFUE.


15      Un diritto sancito anche dall’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


16      V. in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, Breyer/REA (C‑135/22 P, EU:C:2023:640, punto 70 e giurisprudenza ivi citata). Con specifico riferimento all’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, primo comma, del regolamento, v., tra l’altro, sentenza dell’8 giugno 2023, Consiglio/Pech (C‑408/21 P, EU:C:2023:461, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).


17      Sentenza del 13 luglio 2017, Saint‑Gobain Glass Deutschland/Commissione (C‑60/15 P, EU:C:2017:540, punti da 73 a 77).


18      Ibidem, punti da 75 a 77.


19      V., per analogia, conclusioni presentate dall’avvocato generale Pikamäe nella causa De Masi e Varoufakis/BCE (C‑342/19 P, EU:C:2020:549, paragrafi da 81 a 84).


20      V., in tal senso, considerando 6 e 11 del regolamento n. 1049/2001. Nel presente contesto, v. altresì punto 60 della sentenza impugnata.


21      V., ad esempio, sentenza del 7 febbraio 2018, Access Info Europe/Commissione (T‑851/16, EU:T:2018:69, punti da 90 a 94).


22      V., in particolare, sentenze del 25 gennaio 2023, De Capitani/Consiglio (T‑163/21, EU:T:2023:15, punto 78 e giurisprudenza ivi citata), e del 18 dicembre 2008, Muñiz/Commissione (T‑144/05, EU:T:2008:596, punto 80).


23      Sentenza del 13 luglio 2017, Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione (C‑60/15 P, EU:C:2016:540, punti da 75 a 77).


24      V., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Land Baden‑Württemberg (comunicazioni interne) (C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 46 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Szpunar nella causa Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione (C‑60/15 P, EU:C:2016:778, paragrafi 60 e 76).


25      V., per analogia, conclusioni presentate dall’avvocato generale Pikamäe nella causa De Masi e Varoufakis/BCE (C‑342/19 P, EU:C:2020:549, paragrafi 85 e 86).


26      Sentenza del 7 giugno 2011 (T‑471/08, EU:T:2011:252, punti da 3 a 12 e da 73 a 76).


27      Sentenza del 20 settembre 2016 (T‑51/15, EU:T:2016:519, punti 26 e 27).


28      V., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2018, ClientEarth/Commissione (C‑57/16 P, EU:C:2018:660, punto 86). V. altresì, nel contesto delle procedure amministrative e giurisdizionali, sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione (C‑612/13 P, EU:C:2015:486, punti 77 e 78).


29      V., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2018, ClientEarth/Commissione (C‑57/16 P, EU:C:2018:660, punti da 92 a 112). V. altresì conclusioni presentate dall’avvocato generale Bot nella causa ClientEarth/Commissione (C‑57/16 P, EU:C:2017:909, paragrafo 68).


30      V. sentenza del 4 settembre 2018, ClientEarth/Commissione (C‑57/16 P, EU:C:2018:660, punto 87).


31      V. sentenza del 14 aprile 2015, Consiglio/Commissione (C‑409/13, EU:C:2015:217, punti da 74 a 77).


32      V., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2020, MSD Animal Health Innovation e Intervet International/EMA (C‑178/18 P, EU:C:2020:24, punti 126 e 127).


33      V., ad esempio, sentenza del 28 ottobre 2022, Generalstaatsanwaltschaft München (Estradizione e ne bis in idem) (C‑435/22 PPU, EU:C:2022:852, punti 119 e 120 e giurisprudenza ivi citata).


34      Il corsivo è mio.


35      Tale punto così recita: «(...) anche supponendo dimostrato un siffatto obiettivo, esso non implica affatto, di per sé, che un processo decisionale avente ad oggetto un siffatto documento fosse in corso al momento dell’adozione delle decisioni impugnate». Il corsivo è mio.


36      Il corsivo è mio.


37      V., al riguardo, articolo 12, paragrafo 2, e articolo 36, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009. Al riguardo, v. altresì punto 57 della sentenza impugnata.


38      V. punto 53 della sentenza impugnata: «la Commissione ha (...) indicato di [avere chiesto all’EFSA] di coinvolgere gli esperti degli Stati membri e le parti interessate, affinché fossero presi in considerazione tutti i punti di vista, il che avrebbe dovuto consentire un’accettazione rapida del documento d’orientamento sulle api rivisto».


39      V. punto 59 della sentenza impugnata.


40      Decisione nel caso 2142/2018/EWM sul rifiuto della Commissione europea di concedere l’accesso alle posizioni degli Stati membri su un documento di orientamento relativo alla valutazione del rischio dei pesticidi per le api. V. in particolare punti 13, 14, 21, 34 e 35, della suddetta decisione.


41      V. in particolare punti 96 e 97 della sentenza impugnata.


42      Sentenza del 28 maggio 2020, ViaSat/Commissione (T‑649/17, EU:T:2020:235).


43      V., ex multis, sentenza dell’8 giugno 2023, Consiglio/Pech (C‑408/21 P, EU:C:2023:461, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).


44      V., per una panoramica di tali casi, sentenza del 4 settembre 2018, ClientEarth/Commissione (C‑57/16 P, EU:C:2018:660, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).


45      Ibidem, punto 80.


46      V., in particolare, punto 113 della sentenza impugnata.


47      Il corsivo è mio.


48      V., ad esempio, punto 111 di tale sentenza.


49      V., in particolare, punti 91, 106, 111, 114, 119, 126 e 129 della sentenza impugnata.


50      V., ad esempio, sentenza del 25 gennaio 2023, De Capitani/Consiglio (T‑163/21, EU:T:2023:15, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).