Language of document : ECLI:EU:C:2023:893

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 16 novembre 2023(1)

Causa C-606/22

Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Bydgoszczy

contro

B. sp. z o.o., già B. sp.j.,

Interveniente:

Rzecznik Małych i Średnich Przedsiębiorców

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Base imponibile – Principio della neutralità fiscale – Errore sul corretto livello dell’aliquota – Rettifica dell’imposta dovuta a causa di una modifica della base imponibile – Prassi nazionale che nega un diritto al rimborso a causa di una modifica della base imponibile, poiché non sono state emesse fatture che dovrebbero essere previamente rettificate – Superfluità di una rettifica della fattura in mancanza di fatture rilasciate ai consumatori finali – Esclusione del rischio di perdita di gettito fiscale – Eccezione di arricchimento senza causa – Principio nemo auditur propriam turpitudinem allegans»






I.      Introduzione

1.        La normativa in materia di IVA è un settore giuridico insidioso per le imprese. Qualora il soggetto passivo applichi erroneamente un’aliquota troppo bassa, egli dovrà nondimeno versare allo Stato l’importo corretto (più elevato) dell’imposta. L’IVA, infatti, è contenuta sempre nel prezzo pattuito nell’ammontare corretto previsto dalla legge. Che le parti lo sapessero o meno è irrilevante per il creditore d’imposta. Ciò vale anche nel caso in cui l’impresa, per motivi di diritto o di fatto, non possa successivamente trasferire ai propri clienti l’IVA più elevata.

2.        Nel presente procedimento pregiudiziale, la Corte è chiamata nuovamente (2) a decidere il caso inverso, in cui il soggetto passivo ha erroneamente calcolato un’aliquota troppo elevata e l’ha versata. È interessante notare che l’errore sembra essere stato indotto, nella fattispecie, dall’amministrazione finanziaria. L’amministrazione finanziaria reputa ormai corretta un’aliquota ridotta. Il soggetto passivo desidera adesso che gli venga restituita l’imposta pagata in eccesso ma non dovuta.

3.        La questione decisiva è adesso stabilire se, in un caso del genere, lo Stato possa trattenere l’IVA pagata in eccesso o se debba restituirla al soggetto passivo. In fondo, l’imposta non è sostanzialmente sorta nella misura dell’importo versato. Dal momento che non sono state emesse fatture con indicazione dell’IVA, non si pone peraltro la questione di una rettifica della fattura. Sembra tuttavia che la normativa polacca non consenta un rimborso del debito d’imposta eccessivo (erroneo) senza una previa rettifica della fattura.

4.        In realtà, dovrebbe essere il cliente ad esigere dal fornitore il rimborso dell’IVA pagata in eccesso. Tuttavia, ove ciò non sia possibile sotto il profilo giuridico (ad esempio, qualora sia stato convenuto un prezzo fisso) oppure dal punto di vista materiale (ad esempio, perché i clienti non sono nominativamente identificati o ignorano l’IVA corretta), si pone la questione riguardo a chi possa risultare definitivamente «arricchito» a seguito dell’errore nella determinazione dell’importo corretto dell’imposta: lo Stato oppure il soggetto passivo.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

5.        Il contesto normativo dell’Unione è costituito dalla direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «direttiva IVA») (3). L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva IVA così recita:

«Il principio del sistema comune d'IVA consiste nell’applicare ai beni ed ai servizi un’imposta generale sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi, qualunque sia il numero delle operazioni intervenute nel processo di produzione e di distribuzione antecedente alla fase d’imposizione.

A ciascuna operazione, l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all'aliquota applicabile al bene o servizio in questione, è esigibile previa detrazione dell’ammontare dell’imposta che ha gravato direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo (…)».

6.        L’articolo 73 della direttiva IVA riguarda la base imponibile e recita come segue:

«Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli articoli da 74 a 77, la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al fornitore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni».

7.        L’articolo 78 della direttiva IVA specifica gli elementi che devono essere compresi nella base imponibile o da essa esclusi:

«Nella base imponibile devono essere compresi gli elementi seguenti:

a)      le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA; (…)».

8.        L’articolo 90, paragrafo 1, della direttiva IVA chiarisce gli effetti di determinati eventi successivi sulla base imponibile:

«In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri».

9.        L’articolo 203 della direttiva IVA prevede l’indicazione in fattura dell’imposta dovuta:

«L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

B.      Normativa polacca

10.      La Polonia ha recepito la direttiva IVA con la legge dell’11 marzo 2004, in materia di imposta sul valore aggiunto (Ustawa o podatku od towarów i usług, Dz. U. 2006, posizione 710, come modificata – in prosieguo: la «legge sull’IVA»).

11.      L’articolo 29, paragrafi 4a e 4c, della legge sull’IVA, nella versione in vigore fino al 31 dicembre 2013, così recitava:

«(4a) Nell'ipotesi in cui la base imponibile subisca diminuzioni rispetto alla base indicata nella fattura emessa, la riduzione della base imponibile è effettuata dal soggetto passivo a condizione che, prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione tributaria relativa al periodo d’imposta in cui l’acquirente dei beni o dei servizi ha ricevuto la rettifica della fattura, egli ottenga conferma della ricezione della rettifica della fattura da parte dell’acquirente dei beni o dei servizi nei confronti del quale è stata emessa la fattura. La consegna della conferma della ricezione della rettifica della fattura da parte dell’acquirente dei beni o dei servizi solo dopo la scadenza del termine di presentazione della dichiarazione tributaria per il periodo d’imposta considerato autorizza il soggetto passivo a tener conto della rettifica della fattura nel periodo d’imposta in cui è stata ricevuta la conferma».

«(4c) Le disposizioni del paragrafo 4a si applicano per analogia nell’ipotesi in cui venga riscontrato un errore relativo all’importo dell'imposta indicato in fattura e sia emessa una rettifica della fattura che riportava un importo dell’imposta superiore a quanto dovuto».

12.      L’articolo 29a, paragrafi 10, 13 e 14, della legge sull’IVA, nella versione in vigore a partire dal 1° gennaio 2014, così recita:

«(10) La base imponibile – fatto salvo il paragrafo 13 – è ridotta per:

1)      l’ammontare degli sconti e delle riduzioni del prezzo concessi dopo la vendita;

2)      il valore della merce e degli imballaggi restituiti, fatto salvo quanto previsto dai paragrafi 11 e 12;

3)      il corrispettivo restituito all’acquirente, in tutto o in parte, prima della conclusione della vendita, se questa non ha avuto luogo;

4)      il valore delle sovvenzioni, sussidi e altri contributi di natura analoga di cui al paragrafo 1, che siano stati restituiti».

«(13) Nelle ipotesi di cui al paragrafo 10, punti da 1 a 3, la riduzione della base imponibile rispetto a quella indicata in una fattura emessa con l’indicazione dell’imposta è effettuata a condizione che il soggetto passivo abbia ottenuto, prima della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione tributaria relativa al periodo d’imposta in cui l’acquirente dei beni o dei servizi ha ricevuto la rettifica della fattura, la conferma della ricezione della rettifica della fattura da parte dell’acquirente dei beni o del destinatario dei servizi nei confronti del quale è stata emessa la fattura. La consegna della conferma della ricezione della rettifica della fattura da parte dell’acquirente dei beni o del destinatario dei servizi solo dopo la scadenza del termine di presentazione della dichiarazione tributaria per il periodo d’imposta considerato autorizza il soggetto passivo a tenere conto della rettifica della fattura nel periodo d’imposta in cui è stata ricevuta la conferma».

«(14) Le disposizioni del paragrafo 13 si applicano per analogia nell’ipotesi in cui venga riscontrato un errore relativo all’importo dell’imposta indicato in fattura e sia emessa una rettifica della fattura che riportava un importo dell’imposta superiore a quanto dovuto».

13.      L’articolo 72, § 1, del codice tributario polacco (Ordynacja podatkowa) del 29 agosto 1997 (Dz. U. 2017, posizione 201 come modificato; in prosieguo: il «codice tributario»), disciplina il pagamento in eccesso di imposte:

«È considerato pagamento in eccesso l’importo

1)      dell’imposta pagata in eccesso o indebitamente; (...)».

14.      L’articolo 81, paragrafi 1 e 2, del codice tributario disciplina la rettifica delle dichiarazioni tributarie:

Ǥ 1. Salvo disposizione contraria, i soggetti passivi, i soggetti pagatori e percettori possono rettificare una dichiarazione presentata in precedenza.

§ 2. La dichiarazione viene rettificata presentando una dichiarazione di rettifica».

15.      Nel regolamento del Ministro delle Finanze, relativo ai registratori di cassa (Rozporządzenie Ministra Finansów w sprawie kas rejestrujących), del 14 marzo 2013 (Dz. U. 2013, posizione 363; in prosieguo: il «regolamento sui registratori di cassa»), figura la seguente disposizione all’articolo 3, paragrafi 5 e 6:

(5)  Nell’ipotesi di un errore evidente nei registri, il soggetto passivo deve immediatamente correggerlo indicando distintamente i seguenti dati:

1)      la vendita registrata erroneamente (valore lordo della vendita e valore dell’imposta dovuta);

2)      breve descrizione del motivo e delle circostanze in cui è stato commesso l’errore, allegando l’originale della ricevuta fiscale che documenta la vendita in cui si è verificato l’errore evidente.

(6) Nell’ipotesi di cui al paragrafo 5, il soggetto passivo registra, mediante il registratore di cassa, l’importo corretto della vendita».

III. Fatti e procedimento principale

16.      Il 27 gennaio 2016, la B. sp. j. (in prosieguo: «B») ha presentato talune dichiarazioni IVA rettificate in relazione a determinati periodi di imposta compresi tra il 2012 e il 2014. Alla fornitura di servizi inerenti ad attività ricreative (accesso ai locali di un club e uso illimitato della sua infrastruttura) si applicherebbe un’aliquota di imposta pari all’8 % anziché l’aliquota ordinaria del 23 % applicata fino a quel momento.

17.      B ha fatto valere, nella controversia in oggetto, di avere applicato l’aliquota ordinaria (23%) ai servizi forniti in quanto le autorità fiscali, nelle loro interpretazioni del diritto tributario, avrebbero precisato che tali servizi dovessero essere tassati con detta aliquota IVA. Solo quando le autorità fiscali avrebbero modificato la loro posizione, affermando che siffatti servizi dovessero essere tassati all’aliquota ridotta (8 %), B avrebbe deciso di rettificare le operazioni indicate nelle dichiarazioni tributarie.

18.      Con decisione del 22 giugno 2017, il Naczelnik Drugiego Urzędu Skarbowego (capo del Secondo ufficio delle imposte) ha negato il riconoscimento di un avvenuto pagamento in eccesso dell’IVA in relazione ai suddetti periodi d’imposta. Il Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Bydgoszczy (direttore dell’amministrazione finanziaria di Bydgoszcz, Polonia) ha confermato la suddetta decisione, con decisione del 24 novembre 2017.

19.      Egli ha rilevato che nelle rettifiche delle dichiarazioni IVA il valore delle vendite al dettaglio, documentate da ricevute fiscali riguardanti la vendita delle tessere di ingresso agli impianti destinati all’esercizio di attività fisica, fino a quel momento assoggettati all’aliquota d’imposta del 23 %, sarebbe stato ridotto all’8 %; ciò avrebbe comportato una riduzione dell’imposta dovuta. Egli ha sottolineato che le disposizioni della legge sull’IVA prevederebbero la possibilità di rettificare la base imponibile solo qualora l’operazione sia stata attestata da una fattura IVA. Non esisterebbero norme giuridiche che disciplinino la possibilità di rettificare la base imponibile e l’imposta dovuta nel caso di una vendita per la quale non sia stata emessa una fattura.

20.      Inoltre, le disposizioni del regolamento sui registratori di cassa prevederebbero la possibilità di effettuare una rettifica solo in casi rigorosamente circoscritti. Per contro, non esisterebbe alcuna norma relativa alla possibilità per il soggetto passivo, che effettui vendite destinate a persone fisiche che non svolgono un’attività economica e che registra tali vendite mediante registratori di cassa, di effettuare una rettifica in caso di applicazione di un’aliquota IVA errata.

21.      Ciò premesso, in considerazione del fatto che B ha riscosso dai consumatori finali un’imposta del 23 % anziché dell’8%, la stessa sarebbe di conseguenza stata anche tenuta a versare all’Erario l’intero importo riscosso, quale imposta dovuta. L’onere dell’IVA sui servizi forniti sarebbe stato sopportato dai consumatori finali. Qualora l’Erario rimborsasse a B l’IVA pagata, esso le concederebbe un vantaggio ingiustificato.

22.      B ha proposto ricorso avverso tale decisione. Con sentenza del 7 marzo 2018, il Wojewódzki Sąd Administracyjny w Bydgoszczy (Tribunale amministrativo del voivodato di Bydgoszcz, Polonia) ha annullato la decisione.

23.      A suo avviso, B ha il diritto di rettificare l’importo della base imponibile e dell’imposta dovuta su una vendita documentata da ricevute fiscali. Le disposizioni del regolamento non esaurirebbero tutte le fattispecie che autorizzano a procedere ad una rettifica. La possibilità, o piuttosto la necessità, di effettuare tale rettifica deriverebbe direttamente dalle disposizioni della legge sull’IVA che disciplinano la base imponibile e l’importo dell’imposta. A ciò non osterebbe neanche la mancanza di una ricevuta fiscale originale rilasciata all’acquirente, richiesta in caso di rettifiche di «errori evidenti», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento sui registratori di cassa. In caso di errori e sviste, per poter effettuare una rettifica legittima non sarebbe necessario disporre di una prova sotto forma di ricevuta fiscale originale. La dimostrazione dell’esistenza di un errore sulla base di altri documenti non violerebbe quindi le disposizioni in vigore.

24.      L’amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza. Il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia), oggi chiamato a pronunciarsi sulla causa, il 4 maggio 2022 ha sottoposto la seguente questione pregiudiziale:

Se l’articolo 1, paragrafo 2, e l’articolo 73 della direttiva IVA e i principi di neutralità, proporzionalità nonché parità di trattamento debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una prassi delle autorità fiscali nazionali nei limiti in cui detta prassi non consente, invocando l’assenza di un fondamento normativo nazionale e l’arricchimento senza causa, di rettificare l’importo della base imponibile e dell’imposta dovuta nell’ipotesi in cui la vendita di beni e servizi ai consumatori con un’aliquota IVA eccessiva sia stata registrata mediante un registratore di cassa e documentata da ricevute fiscali anziché da fatture IVA, e a seguito di tale rettifica non intervenga alcuna modifica del prezzo (del valore lordo della vendita).

25.      Su tale questione hanno presentato osservazioni scritte nel corso del procedimento dinanzi alla Corte, oltre a B, anche l’amministrazione finanziaria polacca, il mediatore polacco per le piccole e medie imprese, la Repubblica di Polonia e la Commissione europea. Ai sensi dell’articolo 76, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la Corte ha deciso di non tenere un’udienza di discussione.

IV.    Analisi giuridica

A.      Sulla questione pregiudiziale e sul metodo dell’analisi

26.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un soggetto passivo possa modificare la base imponibile e far valere un diritto al rimborso anche laddove abbia pagato un’IVA non dovuta (al riguardo, sub B.), in quanto ha erroneamente calcolato i propri prezzi applicando un’aliquota troppo elevata.

27.      Nella sua questione, il giudice del rinvio sottolinea che, nel caso di specie, il diritto polacco non conterrebbe un fondamento giuridico per una rettifica della base imponibile. Occorre pertanto chiarire se un siffatto fondamento sia necessario oppure se sussista un diritto al rimborso a favore del soggetto passivo previsto dal diritto dell’Unione, qualora quest’ultimo abbia versato (erroneamente) un’IVA non dovuta (sub C.). Qualora il diritto dell’Unione dovesse prevedere un siffatto diritto al rimborso, si pone la questione di stabilire se tale diritto sia eventualmente escluso a causa dell’impossibilità di rettificare una fattura in assenza della fattura stessa. A tal fine potrebbe essere utile l’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva IVA (sub D.). Inoltre, al diritto al rimborso potrebbe anche ostare l’eccezione di arricchimento senza causa, poiché i clienti hanno pagato integralmente il prezzo, vale a dire inclusa l’IVA troppo elevata (sub E.). Ciò presupporrebbe, tuttavia, che il creditore d’imposta possa in generale sollevare siffatta eccezione, il che, nel caso di specie, pare dubbio. A quanto risulta, il soggetto passivo è stato «incoraggiato» ad applicare l’aliquota d’imposta errata dall’amministrazione finanziaria (sub F.).

B.      Sull’IVA maturata e dovuta nel caso di un’aliquota calcolata erroneamente

28.      Occorre anzitutto risolvere la questione dell’IVA effettivamente maturata e dovuta nel caso di un’aliquota calcolata erroneamente. La risposta si evince dall’articolo 73 in combinato disposto con l’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA, e viene confermata dal suo articolo 1, paragrafo 2.

29.      Ai sensi dell’articolo 73 della direttiva IVA, la base imponibile comprende «tutto ciò che costituisce il corrispettivo» versato o da versare al fornitore. Il valore del corrispettivo corrisponde al prezzo pattuito pagato dal destinatario della prestazione. L’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA, chiarisce poi che devono essere parimenti comprese nella base imponibile tutte le imposte, ad eccezione della stessa IVA. A tale base imponibile deve quindi essere applicata la rispettiva aliquota (articolo 93 della direttiva IVA). L’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva spiega ancor più chiaramente che a ciascuna operazione l’IVA, calcolata sul prezzo del bene o del servizio all’aliquota applicabile, è esigibile previa detrazione dell'ammontare dell'imposta.

30.      Ne consegue che, al fine di determinare la base imponibile, da ogni corrispettivo ai sensi dell’articolo 73 della direttiva IVA deve essere sottratta l’IVA ai sensi dell’articolo 78, lettera a), di tale direttiva. L’articolo 78, lettera a) (e anche l’articolo 1, paragrafo 2) non parla tuttavia, al riguardo, dell’IVA presunta, dell’IVA pattuita o dell’IVA calcolata, bensì dell’«IVA». Pertanto, tale espressione può significare unicamente l’IVA dovuta per legge.

31.      Nel caso di un’aliquota dell’8 %, l’IVA che, ai sensi dell’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA, deve essere sottratta dal corrispettivo, è pari esattamente a 8/108. Se, nella fattispecie, il prezzo pattuito per le prestazioni (e dunque il corrispettivo) era pari a 123, l’IVA ivi contenuta è in tal caso uguale a 8/108 di 123, e dunque a 9,11. Quest’ultima cifra deve essere sottratta da 123, cosicché ne risulta una base imponibile ai sensi dell’articolo 73 della direttiva IVA pari a 113,89. Ad essa verrà poi applicata l’aliquota dell’8 % prevista dalla legge, il che comporta un debito IVA di 9,11.

32.      Da siffatta affermazione di fondo contenuta all’articolo 1, paragrafo 2, e all’articolo 73 in combinato disposto con l’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA, consegue che in ogni prezzo pattuito (lordo), l’IVA è contenuta sempre nell’ammontare (corretto) previsto dalla legge. Che le parti contraenti di diritto civile ne siano state o meno a conoscenza è irrilevante per l’imposta spettante al creditore d’imposta (nel caso di specie, lo Stato polacco).

33.      Qualora il fornitore proceda ad un calcolo errato applicando un’aliquota troppo bassa (il prezzo sarebbe in tal caso 108), egli sarà nondimeno debitore dell’importo corretto dell’imposta (23/123 di 108). L’eventuale facoltà del medesimo di aumentare a posteriori il corrispettivo, al fine di traslare siffatta imposta più elevata sul destinatario della prestazione, è una questione di diritto civile e costituisce un rischio del fornitore. Qualora il fornitore proceda ad un calcolo errato applicando un’aliquota troppo elevata (il prezzo sarebbe in tal caso 123), lo stesso è parimenti debitore dell’imposta (solo) per l’ammontare corretto (8/108 di 123). L’eventuale facoltà del medesimo di ridurre a posteriori il corrispettivo è parimenti una questione di diritto civile e, in questo caso, costituisce piuttosto un rischio del destinatario della prestazione.

34.      In tutti i casi, il destinatario viene gravato dell’IVA prevista dalla legge, che il fornitore deve versare per siffatto importo al creditore d’imposta. Ciò conferma il carattere dell’IVA quale imposta generale sui consumi, che mira a tassare la spesa sostenuta dal destinatario per una cessione di beni o una prestazione di servizi (4). In tal senso va inteso anche l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva IVA, quando parla di un’«imposta (…) sui consumi esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi». Eventuali errori di calcolo delle parti contrattuali in sede di determinazione del prezzo non incidono in alcun modo sul gettito fiscale corretto, il quale risulta unicamente dalla spesa sostenuta dal destinatario della prestazione (ossia il prezzo dovuto o pagato) e dall’aliquota (corretta) prevista ai sensi di legge.

35.      La Corte ha pertanto già affermato, correttamente, che, qualora le parti abbiano stabilito il prezzo di un bene senza menzionare nulla riguardo all’IVA, il prezzo pattuito è già comprensivo dell’IVA (5). Ciò vale persino qualora le parti, con un intento fraudolento, non abbiano pattuito consapevolmente l’IVA e abbiano tenuto nascosta l’operazione all’amministrazione tributaria (6). Anche in tal caso l’IVA è già contenuta nel corrispettivo pattuito e viene dovuta per siffatto importo.

36.      Di conseguenza – contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione – non può sostenersi che il destinatario della prestazione (la Commissione parla al riguardo di consumatore finale) abbia pagato un’IVA eccessiva nella fattispecie, come sottolineato correttamente anche da B. Nel caso di un corrispettivo di 123 e un’aliquota dell’8 %, il destinatario della prestazione ha sopportato l’IVA corretta di 9,11. Ciò è garantito già dalla direttiva.

37.      Pertanto, anche l’argomento dell’amministrazione finanziaria sulla necessità di una modifica della base imponibile è inconferente. La base imponibile (ossia il corrispettivo) per l’IVA non è appunto mutata. L’importo pagato dal destinatario della prestazione e ricevuto dal fornitore è sempre lo stesso. Soltanto sull’IVA ivi contenuta è stato commesso un errore in sede di calcolo del prezzo. Una modifica della base imponibile ai sensi dell’articolo 90 della direttiva IVA non viene finora in considerazione nella fattispecie.

38.      Solo laddove abbia successivamente luogo in via civilistica un adeguamento del corrispettivo (ad es., da 123 a 108), si perviene ad una modifica della base imponibile. Per un caso del genere la direttiva IVA prevede, al suo articolo 90, paragrafo 1, la corrispondente rettifica. Solo questa modifica a posteriori del prezzo comporta una modifica a posteriori della base imponibile.

39.      Siffatte considerazioni – contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione – non vengono messe in discussione neanche dalle decisioni della Corte (7) in materia di azioni dirette del destinatario della prestazione nei confronti dello Stato membro. La Corte ha infatti ivi dichiarato che i principi di effettività e neutralità dell’IVA sono soddisfatti in presenza di un sistema nel quale il fornitore del bene, che ha versato erroneamente alle autorità tributarie l’IVA, può chiederne il rimborso e l’acquirente di tale bene può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale fornitore (8). Una simile possibilità continua a sussistere per il destinatario della prestazione di B.

40.      Solo se il rimborso dell’IVA risulta impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza del fornitore, il principio di effettività potrebbe imporre che l’acquirente del bene di cui trattasi (nel caso di specie, si tratterebbe dei clienti di B) sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (9). Una siffatta azione diretta intesa ad attuare il principio di neutralità può tuttavia venire in considerazione solo a favore di un soggetto passivo, il quale si sia inoltre già rivolto in precedenza senza successo alla propria controparte contrattuale.

41.      Il singolo consumatore finale – la Commissione sembra non tenere conto di siffatta circostanza – non intrattiene tuttavia, nella fattispecie, un rapporto giuridico con il creditore d’imposta, nel cui ambito egli potrebbe esigere un rimborso dell’IVA pagata in eccesso.

42.      Nel caso in esame, i destinatari della prestazione non sono neanche soggetti passivi, cosicché siffatta giurisprudenza già per questo motivo è irrilevante. A mio avviso, essa si limita a mostrare che uno Stato membro non può arricchirsi grazie agli errori di due soggetti passivi, qualora questi ultimi si siano sbagliati ad es. per quanto riguarda il luogo della prestazione o l’ammontare dell’aliquota d’imposta, e una correzione dell’errore per via civilistica fallisca. Ciò vale a maggior ragione se l’errore, come nel caso di specie, è stato favorito dall’amministrazione finanziaria.

43.      In sostanza, pertanto, l’IVA effettivamente maturata e dovuta risulta soltanto, anche nel caso di un’aliquota calcolata erroneamente, dall’articolo 1, paragrafo 2, e dall’articolo 73 in combinato disposto con l’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA. Determinante è il corrispettivo pattuito o ricevuto (ossia il prezzo), il quale è di per sé comprensivo dell’IVA nel corretto ammontare. Essa risulta dall’ammontare del corrispettivo e deve essere sottratta dal medesimo. Eventuali errori di calcolo delle parti sono in tal senso irrilevanti, in un primo momento, per l’imposta dovuta dal soggetto passivo. Solo una modifica del corrispettivo (ad es., tramite adeguamento del contratto con adeguamento del prezzo) dà luogo, ex articolo 90 della direttiva IVA, ad una base imponibile modificata e quindi ad un debito d’imposta modificato.

C.      Diritto al rimborso ai sensi del diritto dell’Unione nel caso di IVA pagata in eccesso

44.      Il giudice del rinvio chiede se la circostanza che nel diritto polacco difetti un fondamento giuridico per una modifica della base imponibile sia compatibile con l’articolo 1, paragrafo 2, e con l’articolo 73 della direttiva IVA nonché con i principi di neutralità, proporzionalità e parità di trattamento. Tale questione si pone in quanto una modifica della base imponibile presuppone, nel diritto polacco, una rettifica delle fatture. Ciò è impossibile, nel caso di specie, già per il fatto che B non ha emesso alcuna fattura. Per contro, la rettifica delle ricevute fiscali non sarebbe prevista.

45.      Al riguardo, occorre tuttavia distinguere tra modifica della base imponibile (articolo 90 della direttiva IVA) e modifica della dichiarazione tributaria del fornitore.

46.      La prima sarebbe rilevante, ad es., qualora si verifichi una modifica del corrispettivo a causa dell’errore di calcolo (ad es., tramite adeguamento civilistico del contratto). Ciò non è avvenuto nel caso in oggetto. Finora, il corrispettivo (ossia il prezzo pattuito e pagato) è rimasto invariato. Non ricorre di conseguenza una modifica della base imponibile (al riguardo supra, paragrafo 37). Soltanto la dichiarazione tributaria del soggetto passivo non era corretta, a causa dell’aliquota IVA erroneamente assunta.

47.      Come nel caso di una rettifica delle fatture, la direttiva IVA non contiene alcuna disposizione sulla rettifica delle dichiarazioni tributarie da parte del soggetto passivo nel caso di un’imposta calcolata erroneamente dal medesimo. In assenza di una siffatta disciplina, la configurazione della rettifica delle dichiarazioni tributarie ricade nella competenza degli Stati membri (principio dell’autonomia procedurale) (10). Siffatta autonomia incontra tuttavia i suoi limiti nei principi di effettività ed equivalenza (11).

48.      Se intendo correttamente il diritto polacco, il codice tributario polacco (articolo 81 del codice tributario) prevede la rettifica di una dichiarazione tributaria presentata; ciò deve tuttavia essere verificato in ultima analisi dal giudice del rinvio. Nella normativa in materia di IVA, l’imprenditore agisce unicamente come collettore d’imposta nell’interesse dello Stato (12) ed è pertanto tenuto a versare soltanto l’imposta dovuta per legge (e non quella calcolata erroneamente dal medesimo). Essa ammonta, nel caso di specie, a 8/108 e non a 23/123 della base imponibile. Il principio di effettività esige pertanto – diversamente da quanto sostenuto dal governo polacco –, in linea di principio, la possibilità di una rettifica del debito IVA erroneamente dichiarato per ricavare l’IVA effettivamente dovuta. Diversamente da quanto ritenuto dal governo polacco, il rimborso delle imposte non dovute e pagate in eccesso non comporta neanche un vantaggio indebito per il soggetto passivo a scapito del bilancio dello Stato.

49.      Un corrispondente diritto al rimborso in relazione ad un’IVA pagata in eccesso sembra esistere anche nel diritto nazionale (in tal senso, probabilmente, si vedano l’articolo 81, paragrafo 1, e l’articolo 72 del codice tributario). Se così non fosse, la Corte ha già riconosciuto, secondo una costante giurisprudenza, che i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione – come sottolineato correttamente anche dalla Commissione – devono essere rimborsati (13). Qualora, pertanto, il diritto nazionale non dovesse effettivamente prevedere la possibilità di rettificare la dichiarazione tributaria e di far valere un corrispondente diritto al rimborso, un siffatto diritto risulta dal diritto dell’Unione.

D.      Debito d’imposta ai sensi dell’articolo 203 della direttiva IVA

50.      Ad un siffatto diritto al rimborso potrebbe tuttavia ostare l’articolo 203 della direttiva IVA, come affermato, in sostanza, dal governo polacco e dall’amministrazione finanziaria. In conformità al medesimo, sarebbe necessaria una rettifica – probabilmente delle ricevute fiscali – per consentire un rimborso dell’imposta.

51.      L’articolo 203 della direttiva IVA prevede che colui che ha emesso una fattura sia debitore dell’imposta indicata in tale fattura. Come già chiarito dalla Corte, l’articolo 203 della direttiva IVA riguarda pertanto unicamente le situazioni in cui sia stata erroneamente indicata un’imposta eccessiva (14). In un caso del genere, sarà dovuta non solo l’IVA applicabile per legge, ma anche l’IVA indicata in eccesso.

52.      L’obiettivo di tale disposizione consiste nel prevenire un’eventuale detrazione indebita (15) da parte del titolare di una fattura scorretta e il conseguente danno tributario, qualora l’imposta effettivamente dovuta e versata fosse inferiore. L’articolo 203 della direttiva IVA crea per questo motivo una fattispecie di rischio astratto (16). Ciò a condizione, pertanto, che esista una fattura e che in essa sia stata indicata un’IVA eccessiva, con conseguente rischio di detrazione indebita da parte del destinatario della prestazione.

53.      Come tuttavia già esposto dal giudice del rinvio nella questione pregiudiziale, le prestazioni sono state «documentat[e] da ricevute fiscali anziché da fatture IVA». Qualora non esistano però fatture (e dunque neanche fatture semplificate ai sensi dell’articolo 226 ter della direttiva IVA), la fattispecie di cui all’articolo 203 della direttiva IVA non ricorre. In assenza di fattura non si pone pertanto neanche la questione della rettifica di una fattura al fine di prevenire le conseguenze giuridiche di cui all’articolo 203 della direttiva IVA.

54.      Persino se le ricevute fiscali di cui trattasi dovessero costituire fatture, la Corte ha già dichiarato che l’articolo 203 della direttiva IVA non si applica neanche qualora non vi sia alcun rischio di perdita di gettito fiscale, in quanto i destinatari di tale servizio sono esclusivamente consumatori finali non legittimati alla detrazione dell’IVA pagata a monte (17). Una situazione del genere sembrerebbe ricorrere anche nella fattispecie (18), alla luce del tipo dei servizi prestati (attività ricreative e servizi in relazione all’esercizio fisico), cosa che spetterebbe al giudice del rinvio verificare.

55.      In sostanza, B non è debitore dell’IVA a causa di un’esposizione indebita in una fattura. Per questo motivo, non è necessaria neanche una rettifica delle ricevute fiscali.

E.      Sull’eccezione di arricchimento senza causa

56.      Con la questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede inoltre se un eventuale diritto al rimborso di B sia precluso dal fatto che i consumatori finali abbiano sostenuto l’eccedenza dell’IVA con il pagamento del prezzo cosicché, in ultima analisi, nel caso di un rimborso dell’IVA, si arricchirebbe indebitamente il soggetto passivo che ha effettuato la prestazione (nel caso di specie, B).

57.      Il diritto dell’Unione non osta a che un regime giuridico nazionale neghi la restituzione di tasse indebitamente percepite in presenza di condizioni tali da comportare un arricchimento senza causa degli aventi diritto (19). Come già stabilito dalla Corte, tuttavia, l’arricchimento non esiste per il solo fatto che l’imposta contraria al diritto dell’Unione sia stata traslata sul consumatore finale attraverso il prezzo, e abbia dunque gravato su quest’ultimo. Ciò è dovuto al fatto che il soggetto passivo può aver subito un danno economico dalla diminuzione del volume delle vendite anche se l’imposta è stata completamente incorporata nel prezzo (20).

58.      Nel caso in esame, un’impresa in competizione con B e che avesse applicato l’aliquota d’imposta corretta si sarebbe trovata in una posizione considerevolmente più vantaggiosa sul mercato, poiché il concorrente avrebbe potuto offrire un prezzo più basso. A parità di prezzo, per contro, la concorrenza avrebbe un margine di profitto significativamente più elevato rispetto a B. Già tutte siffatte considerazioni depongono nella fattispecie contro un arricchimento senza causa di B.

59.      Come sottolineato inoltre dalla Corte, affinché possa essere accolta un’eccezione dello Stato membro basata sull’arricchimento, è necessario che sia stato integralmente neutralizzato l’onere economico che abbia gravato il soggetto passivo a causa dell’imposta indebitamente riscossa (21).

60.      L’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa, che il rimborso di un tributo indebitamente riscosso riguardo al diritto comunitario comporterebbe per un soggetto passivo, potranno pertanto essere stabilite, secondo la giurisprudenza della Corte, soltanto al termine di un’analisi che tenga conto di tutte le circostanze rilevanti, come correttamente sottolineato anche dall’amministrazione finanziaria (22). In tal caso, l’onere della prova dell’arricchimento senza causa incombe allo Stato membro (23). Non si potrebbe ammettere che, nel caso delle imposte indirette (lo stesso vale, nella fattispecie in esame, per l’IVA prelevata indirettamente), esista una presunzione secondo cui vi sia stata traslazione (24). Non sembra che la Polonia abbia fornito siffatta prova.

61.      Al riguardo, resta da prendere in considerazione il fatto che in una fattispecie come quella in esame, in cui i consumatori finali, quali effettivi contribuenti dell’IVA, non sono noti, l’IVA indebitamente riscossa in eccesso resta o allo Stato, o all’imprenditore che effettua la prestazione. La legge tributaria polacca consente nel caso di specie allo Stato di esigere unicamente un’imposta ridotta (ossia pari ad 8/108 del corrispettivo) riguardo alle prestazioni effettuate da B. L’importo in eccesso determina pertanto un «arricchimento senza causa» dello Stato ai sensi del diritto sostanziale. Per converso, B, come già sottolineato in precedenza (paragrafi 28 e segg.), aveva un diritto fondato sulla normativa civilistica ad ottenere l’intero importo del prezzo negoziato con i consumatori finali. Fino ad un adeguamento del contratto – siffatto aspetto sembra ignorato anche dalla Commissione – essa non si è in ogni caso arricchita indebitamente. La controparte contrattuale aveva infatti accettato siffatto prezzo.

62.      A tal proposito, la Corte ha già affermato che, ai fini della necessaria valutazione globale, può rilevare la questione se i contratti conclusi tra le parti contemplino prezzi fissi per la remunerazione dei servizi effettuati oppure prezzi di base aumentati, se del caso, delle imposte applicabili. Nel primo caso – ossia ove sia stato convenuto un prezzo fisso – potrebbe non sussistere un arricchimento senza giusta causa del fornitore (25).

63.      Stando alla domanda di pronuncia pregiudiziale, nel caso di una rettifica della base imponibile e dell’imposta dovuta i prezzi non cambierebbero. In tal senso, nella fattispecie, siamo in presenza di prezzi fissi (cc.dd. prezzi lordi), il cui adeguamento a posteriori – segnatamente sia a vantaggio che a discapito del consumatore finale (26) – sembra escluso. Escluderei pertanto, nel caso di un prezzo fisso convenuto nei confronti di un consumatore finale, la sussistenza di per sé di un arricchimento senza causa del soggetto passivo. Quest’ultimo ha dovuto accettare, al momento dell’operazione, un margine di profitto inferiore o una minore competitività rispetto ai suoi concorrenti.

64.      A un diverso risultato potrebbe giungersi qualora sia stato espressamente convenuto per contratto un prezzo di base «maggiorato dell’IVA dovuta per legge». Una fattispecie del genere – la quale riguarderebbe tuttavia, principalmente, il rapporto tra fornitore e destinatario della prestazione (e dunque il diritto civile) e non il rapporto tra debitore d’imposta e creditore d’imposta – non sussiste tuttavia nel caso in esame.

65.      Contrariamente a quanto ritenuto dallo Stato polacco, nella restituzione non può essere ravvisata neanche una disparità di trattamento rispetto a fornitori che emettano fatture. Neppure questi ultimi modificherebbero, in linea di principio, il prezzo della prestazione (ad es., 123), ma si limiterebbero ad adeguare l’IVA da indicare (da 23 all’imposta ridotta – nella fattispecie, 9,11). Solo laddove (ad es., in forza del diritto civile) risulti anche una modifica del prezzo si perviene ad una rettifica della base imponibile. A tal fine non rileva, peraltro, che il fornitore abbia emesso o meno una fattura. Anche sotto questo profilo difetta una disparità di trattamento.

66.      Pertanto, il fatto che i consumatori finali abbiano pagato un prezzo finale calcolato in modo errato (perché conteneva una componente IVA troppo elevata e dunque un margine di profitto troppo basso) non osta ad un rimborso dell’imposta. Non ne deriva tuttavia un arricchimento senza causa del soggetto passivo qualora sia stato convenuto un cosiddetto importo fisso (prezzo fisso).

F.      In subordine: contributo causale rilevante all’evento

67.      Anche presumendo che, nella fattispecie in esame, B si sia arricchita indebitamente, resterebbe da chiarire se lo Stato polacco possa, da parte sua, trattenere l’imposta non dovuta per legge sebbene sia stato lui stesso a causare il calcolo errato. In quest’ultimo caso sembra contraddittorio – quantomeno per uno Stato di diritto – il fatto che colui che ha causato il calcolo errato dell’IVA del soggetto passivo contesti a quest’ultimo un arricchimento indebito al fine di trattenere, per parte sua, un’imposta mai dovuta per legge.

68.      Solo di recente la Corte ha applicato in una decisione il principio nemo auditur propriam turpitudinem allegans (nessuno può trarre vantaggio dal proprio comportamento illecito), rilevando che non si può ammettere che una parte tragga vantaggi economici dal suo comportamento illecito (27). Le precedenti affermazioni della Polonia nei confronti di B, secondo cui sarebbe stata applicabile l’aliquota ordinaria, erano errate e quindi illecite. Il diniego di restituzione dell’imposta ottenuta quindi indebitamente lascerebbe alla Polonia i vantaggi economici causati dal suo stesso comportamento illecito.

69.      A ciò si aggiunga che B, quale soggetto passivo, versa l’imposta dovuta per conto e nell’interesse dello Stato (28). In tal senso, essa assume una posizione di intermediario. Essa sopporta al riguardo soprattutto il rischio di un calcolo esatto dell’imposta dovuta dal momento che, qualora si assuma erroneamente un’aliquota troppo bassa, il suo margine di profitto diminuisce (v. al riguardo supra, paragrafo 58). Per contro, il creditore d’imposta riceve sempre l’imposta nell’ammontare corretto.

70.      Se, tuttavia, lo Stato riceve sempre l’imposta corretta e non sopporta pertanto alcun rischio, sembrerebbe ingiusto, se non addirittura contraddittorio, negare un rimborso dell’IVA pagata indebitamente, dovuta solo in quanto lo Stato stesso ha inizialmente insistito per l’aliquota erronea. L’arricchimento si verifica infatti necessariamente in capo allo Stato o al soggetto passivo. Di queste due parti era tuttavia lo Stato polacco ad avere causato, nel caso di specie, tramite la «prescrizione» di un’aliquota errata, la riscossione di un’imposta eccessiva e quindi l’arricchimento.

71.      Come riconosciuto dalla Commissione stessa e come sottolineato correttamente dal mediatore, il soggetto passivo (ossia B) ha agito, nella fattispecie, in buona fede. A causa di siffatto contributo causale all’evento da parte dello Stato polacco sarebbe tuttavia contraddittorio, adesso, contestare proprio a B, la quale aveva diritto a fare affidamento sulle indicazioni dell’amministrazione finanziaria e lo ha fatto, l’«arricchimento» che ne è conseguito, e consentire a colui che ha causato l’errore (nel caso di specie, lo Stato polacco) di trattenere un’imposta non dovuta affatto per legge per siffatto ammontare.

72.      Pertanto, anche nel caso in cui si ipotizzi in subordine un arricchimento indebito, lo Stato polacco non può invocare, nella fattispecie, siffatta circostanza, poiché è stato esso stesso a causarla.

V.      Conclusione

73.      Propongo pertanto alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla questione pregiudiziale proposta dal Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia):

L’articolo 1, paragrafo 2, e l’articolo 73 in combinato disposto con l’articolo 78, lettera a), della direttiva IVA ostano a una prassi delle autorità fiscali nazionali, nei limiti in cui detta prassi non consente di rettificare l’imposta dovuta nella dichiarazione tributaria nell’ipotesi in cui beni e servizi vengano forniti ai consumatori con un’aliquota IVA eccessiva e siano state emesse unicamente ricevute fiscali anziché fatture IVA. In ogni caso, non si verifica un arricchimento indebito del soggetto passivo qualora sia stato pattuito un importo fisso con un consumatore finale.


1      Lingua originale: il tedesco.


2      Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968).


3      Direttiva del Consiglio del 28 novembre 2006 (GU 2006, L 347, pag. 1), nella versione vigente negli anni controversi (dal 2012 al 2014); come da ultimo modificata dalla direttiva 2013/42 del Consiglio, del 22 luglio 2013 (GU 2013, L 201, pag. 1), dalla direttiva 2013/43 del Consiglio, del 22 luglio 2013 (GU 2013, L 201, pag. 4), e dalla direttiva 2013/61 del Consiglio, del 17 dicembre 2013 (GU 2013, L 353, pag. 5).


4      V., a titolo esemplificativo, sentenze del 3 maggio 2012, Lebara (C‑520/10, EU:C:2012:264, punto 23); dell’11 ottobre 2007, KÖGÁZ e a. (C‑283/06 e C‑312/06, EU:C:2007:598, punto 37 – «[l’IVA] è proporzionale al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti»), e del 18 dicembre 1997, Landboden-Agrardienste (C‑384/95, EU:C:1997:627, punti 20 e 23 – «Si deve tener conto unicamente della natura dell’impegno assunto: per rientrare nel sistema comune dell’IVA, detto impegno deve implicare un consumo»).


5      Sentenza del 7 novembre 2013, Tulică e Plavoşin (C‑249/12 e C‑250/12, EU:C:2013:722, punti 34 e segg., 43).


6      Sentenza del 1° luglio 2021, Tribunal Económico Administrativo Regional de Galicia (C‑521/19, EU:C:2021:527, punti 34 e 39).


7      Sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167), e del 26 aprile 2017, Farkas (C‑564/15, EU:C:2017:302), confermate da ultimo dalla sentenza del 7 settembre 2023, Schütte (C‑453/22, EU:C:2023:639).


8      Sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167, punti 38 e 39), e del 26 aprile 2017, Farkas (C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 51), confermate da ultimo dalla sentenza del 7 settembre 2023, Schütte (C‑453/22, EU:C:2023:639, punto 22).


9      Sentenze del 15 marzo 2007, Reemtsma Cigarettenfabriken (C‑35/05, EU:C:2007:167, punto 41), e del 26 aprile 2017, Farkas (C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 53), confermate da ultimo dalla sentenza del 7 settembre 2023, Schütte (C‑453/22, EU:C:2023:639, punto 23).


10      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 35); del 6 novembre 2003, Karageorgou e a. (da C‑78/02 a C‑80/02, EU:C:2003:604, punto 49); del 19 settembre 2000, Schmeink & Cofreth e Strobel (C‑454/98, EU:C:2000:469, punto 49), e del 13 dicembre 1989, Genius (C‑342/87, EU:C:1989:635, punto 18), in relazione ad una fattispecie analoga nel caso di rettifica delle fatture.


11      Sentenze del 16 luglio 2020, UR (Assoggettamento degli avvocati all’IVA) (C‑424/19, EU:C:2020:581, punto 25); del 4 marzo 2020, Telecom Italia (C‑34/19, EU:C:2020:148, punto 37); del 24 ottobre 2013, Rafinăria Steaua Română (C‑431/12, EU:C:2013:686, punto 20); del 21 gennaio 2010, Alstom Power Hydro (C‑472/08, EU:C:2010:32, punto 17), e del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punto 24).


12      In tal senso, una costante giurisprudenza della Corte: sentenze del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C‑271/06, EU:C:2008:105, punto 21); dell’11 novembre 2021, ELVOSPOL (C‑398/20, EU:C:2021:911, punto 31); del 15 ottobre 2020, E. (IVA – Riduzione della base imponibile) (C‑335/19, EU:C:2020:829, punto 31), e dell’8 maggio 2019, A-PACK CZ (C‑127/18, EU:C:2019:377, punto 22).


13      V., tra le altre, sentenze dell’8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a. (C‑397/98 e C‑410/98, EU:C:2001:134, punto 84); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C‑309/06, EU:C:2008:21, punto 35), e del 6 ottobre 2015, Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 24).


14      Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punti 21 e segg.).


15      Quando la Corte si esprime sovente nel senso che l’articolo 203 della direttiva IVA dovrebbe eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale «che può derivare dal diritto a detrazione» – v. sentenze dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punto 20); del 29 settembre 2022, Raiffeisen Leasing (C‑235/21, EU:C:2022:739, punto 36); dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 32); dell’11 aprile 2013, Rusedespred (C‑138/12, EU:C:2013:233, punto 24), e del 31 gennaio 2013, Stroy trans (C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 32) – ciò è detto in modo impreciso e non è quel che si vuole intendere, poiché una detrazione giustificata non può costituire un rischio di perdita di gettito fiscale.


16      In tal senso, espressamente, inter alia, sentenze del 18 marzo 2021, P (Carte carburante) (C‑48/20, EU:C:2021:215, punto 27), e dell’8 maggio 2019, EN.SA. (C‑712/17, EU:C:2019:374, punto 32), confermate da ultimo nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punto 20).


17      Sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968, punto 25).


18      V. la fattispecie analoga nella sentenza dell’8 dicembre 2022, Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:968), e le mie conclusioni nella causa Finanzamt Österreich (IVA fatturata erroneamente ai consumatori finali) (C‑378/21, EU:C:2022:657, paragrafi 38 e segg.).


19      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 48); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C‑309/06, EU:C:2008:211, punto 41); del 21 settembre 2000, Michaïlidis (C‑441/98 e C‑442/98, EU:C:2000:479, punto 31), e del 24 marzo 1988, Commissione/Italia (104/86, EU:C:1988:171, punto 6).


20      Sentenze del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C‑398/09, EU:C:2011:540, punto 21); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C‑309/06, EU:C:2008:211, punti 42 e 56), e del 14 gennaio 1997, Comateb e a. (da C‑192/95 a C‑218/95, EU:C:1997:12, punti 29 e segg.).


21      Sentenza del 16 maggio 2013, Alakor Gabonatermelő és Forgalmazó Kft. (C‑191/12, EU:C:2013:315, punto 28). Ad esempio, ciò è ipotizzabile nel caso in cui lo Stato membro abbia nel contempo sovvenzionato il prezzo indebitamente troppo elevato. Tuttavia, nel caso in esame non sussiste una fattispecie del genere.


22      Sentenze del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 49); del 10 aprile 2008, Marks & Spencer (C‑309/06, EU:C:2008:211, punto 43), e del 2 ottobre 2003, Weber's Wine World e a. (C‑147/01, EU:C:2003:53, punto 100).


23      In tal senso potrebbero essere intese le considerazioni di cui alla sentenza del 24 marzo 1988, Commissione/Italia (104/86, EU:C:1988:171, punto 11). Nello stesso senso si muove la sentenza del 6 settembre 2011, Lady & Kid e a. (C‑398/09, EU:C:2011:540, punto 20), che nel caso di mancato rimborso di imposte non dovute fa riferimento ad una deroga suscettibile di interpretazione restrittiva. V. pure sentenza del 21 settembre 2000, Michaïlidis (C‑441/98 e C‑442/98, EU:C:2000:479, punto 33).


24      In tal senso, espressamente, sentenza del 14 gennaio 1997, Comateb e a. (da C‑192/95 a C‑218/95, EU:C:1997:12, punto 25 alla fine).


25      Analogamente, v. già sentenza del 18 giugno 2009, Stadeco (C‑566/07, EU:C:2009:380, punto 50).


26      Ciò tutela il consumatore finale, ad es., dall’eventualità che l’imprenditore, nel caso di un’aliquota erroneamente sottostimata, esiga ancora successivamente, entro il termine di prescrizione fissato dal diritto civile, un prezzo più alto, ma non consenta in cambio una riduzione del prezzo nel caso di errore inverso.


27      Sentenza del 15 giugno 2023, Bank M. (Conseguenze dell’annullamento del contratto) (C‑520/21, EU:C:2023:478, punto 81).


28      In tal senso la costante giurisprudenza della Corte: sentenze del 21 febbraio 2008, Netto Supermarkt (C‑271/06, EU:C:2008:105, punto 21); dell’11 novembre 2021, ELVOSPOL (C‑398/20, EU:C:2021:911, punto 31); del 15 ottobre 2020, E. (IVA – Riduzione della base imponibile) (C-335/19, EU:C:2020:829, punto 31), e dell’8 maggio 2019, A-PACK CZ (C‑127/18, EU:C:2019:377, punto 22).