Language of document : ECLI:EU:C:2018:90

CONCLUSIONI INTEGRATIVE DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 22 febbraio 2018 (1)

Causa C181/16

Sadikou Gnandi

contro

État belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2008/115/CE – Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ordine di lasciare il territorio – Emissione sin dal momento del rigetto della domanda di asilo da parte dell’autorità amministrativa competente – Riapertura della fase orale»






1.        Con sentenza dell’8 marzo 2016, il Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio) ha proposto una demanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») nonché dell’articolo 5 e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (2).

2.        Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra il sig. Sadikou Gnandi, cittadino togolese, e lo Stato belga, in ordine alla legittimità di un ordine di lasciare il territorio adottato sul fondamento dell’articolo 52/3, paragrafo 1, primo comma, della loi du 15 décembre 1980 sur l’accès au territoire, l’établissement, le séjour et l’éloignement des étrangers (legge del 15 dicembre 1980 sull’accesso al territorio, sul soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri; in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980») e notificato al sig. Gnandi il 3 giugno 2014, a seguito del rigetto, intervenuto il 23 maggio 2014, della sua domanda di asilo da parte del Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Commissario generale per i rifugiati e gli apolidi; in prosieguo: il «CGRA»).

3.        Ricordo che l’articolo 52/3, paragrafo 1, primo comma, della legge del 15 dicembre 1980 prevede che un ordine motivato di lasciare il territorio debba essere emesso senza indugio nei confronti di qualunque cittadino di paesi terzi che soggiorni in modo irregolare nel territorio belga, qualora la sua domanda di asilo sia stata respinta dal CGRA e lo status di protezione sussidiaria sia stato negato. Tuttavia, conformemente all’articolo 39/70, primo comma, della stessa legge, un siffatto ordine non può essere eseguito in maniera forzata in pendenza del termine di ricorso contro la decisione del CGRA con cui è stata respinta la domanda di asilo in primo grado e sino all’esito di tale ricorso (3). Il 23 giugno 2014, il sig. Gnandi ha proposto, presso il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri; in prosieguo: il «CCE»), un ricorso contro la decisione del 23 maggio 2014 del CGRA di respingere la sua domanda di asilo. In pari data, egli ha chiesto presso lo stesso giudice l’annullamento e la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di lasciare il territorio del 3 giugno 2014. L’11 luglio 2014, le autorità belghe hanno rilasciato al sig. Gnandi il documento speciale di soggiorno figurante all’allegato 35 dell’arrêté royal du 8 octobre 1981 concernant l’accès au territoire, le séjour, l’établissement et l’éloignement des étrangers (regio decreto dell’8 ottobre 1981 in materia di accesso al territorio, soggiorno, stabilimento e allontanamento degli stranieri), in applicazione dell’articolo 111 del detto decreto, in quanto egli aveva proposto un ricorso di piena giurisdizione dinanzi al CCE. Tale documento, inizialmente valido sino al 10 ottobre 2014, è stato successivamente prorogato sino al 10 dicembre 2014. Inoltre, indipendentemente dalla sua domanda di asilo, il sig. Gnandi è stato autorizzato, con decisione dell’8 febbraio 2016, al soggiorno temporaneo sul territorio belga sino al 1o marzo 2017.

4.        Con la sua questione pregiudiziale, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) chiede in sostanza alla Corte se il principio di non-refoulement e il diritto ad un ricorso effettivo ostino a che una decisione di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115, quale l’ordine di lasciare il territorio rivolto al sig. Gnandi, sia adottata nei confronti di un richiedente asilo sin dal momento del rigetto della sua domanda di protezione internazionale ad opera dell’organo di esame di primo grado e prima dell’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale a sua disposizione contro tale rigetto.

5.        Nel corso della fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte, conclusasi il 18 luglio 2016, il sig. Gnandi, i governi belga e ceco, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte ai sensi dell’articolo 23, secondo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

6.        Il 10 gennaio 2017, la Corte ha deciso di rinviare la causa alla Quarta Sezione.

7.        Il 1o marzo 2017 si è tenuta un’udienza dinanzi a tale collegio giudicante. Nel corso di tale udienza, sono state sentite le difese orali del sig. Gnandi, del governo belga e della Commissione. La fase orale del procedimento è stata chiusa il 15 giugno 2017, data in cui ho presentato le mie prime conclusioni nella presente causa (4) (in prosieguo: le «mie conclusioni del 15 giugno 2017»). In queste ultime ho proposto alla Corte di rispondere al Conseil d’État (Consiglio di Stato) nel senso che la direttiva 2008/115, e, in particolare, il suo articolo 2, paragrafo 1, e il suo articolo 5, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva, sanciti rispettivamente all’articolo 19, paragrafo 2, e all’articolo 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ostano all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva nei confronti di un cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (5), e che, in applicazione del diritto dell’Unione e/o del diritto nazionale, è autorizzato a rimanere nello Stato membro nel quale ha presentato la sua domanda di protezione internazionale, in pendenza del termine di ricorso previsto all’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 contro il rigetto di tale domanda e, qualora tale ricorso sia stato proposto entro i termini, nel corso dell’esame di quest’ultimo. Ho altresì proposto alla Corte di precisare che la direttiva 2008/115, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva non ostano invece a che una siffatta decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti di un siffatto cittadino dopo il rigetto del detto ricorso, a meno che, in forza del diritto nazionale, tale cittadino non sia autorizzato a rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito definitivo della procedura di asilo.

8.        Ritenendo che la causa sollevasse un problema relativo al collegamento tra la sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343) e l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115, il 5 ottobre 2017 la Quarta Sezione ha deciso di rinviare la causa dinanzi alla Corte ai fini della sua riassegnazione ad un collegio giudicante più ampio, in applicazione dell’articolo 60, paragrafo 3, del suo regolamento di procedura. Successivamente, la causa è stata assegnata alla Grande Sezione.

9.        Con ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non pubblicata, EU:C:2017:830), la Corte ha riaperto la trattazione orale del procedimento e ha invitato gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto ad esprimersi, per iscritto, sui tre quesiti che figuravano in allegato a tale ordinanza. Il primo quesito verteva sulla natura giuridica e sulla finalità dell’autorizzazione a restare nel territorio dello Stato membro interessato, considerata all’articolo 7, paragrafo 1, e all’articolo 39, paragrafo 3, della direttiva 2005/85. Il secondo quesito riguardava, da una parte, la portata dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 e, dall’altra, l’idoneità di tale disposizione ad essere sussunta nella «logica binaria» della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), secondo la quale un cittadino di un paese terzo si trova, ai fini dell’applicazione della detta direttiva, o in posizione di soggiorno regolare, o in posizione di soggiorno irregolare. Il terzo quesito riguardava, dal canto suo, l’eventuale incidenza, sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115, dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32/UE (6) e, in particolare, del suo articolo 46, che, al paragrafo 5, impone agli Stati membri di consentire ai richiedenti protezione internazionale la cui domanda sia stata respinta di restare nel territorio dello Stato membro interessato in pendenza del termine per la proposizione di un ricorso contro tale decisione e, ove il ricorso sia proposto, sino all’esito di quest’ultimo. Il sig. Gnandi, i governi belga, ceco, francese e dei Paesi Bassi nonché la Commissione hanno risposto ai detti quesiti. Le difese orali di tali interessati, nonché del governo della Repubblica federale di Germania, sono state sentite all’udienza tenutasi dinanzi alla Grande Sezione della Corte l’11 dicembre 2017.

10.      Nelle presenti conclusioni affronterò unicamente la problematica sollevata dai quesiti formulati dalla Corte in allegato all’ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non pubblicata, EU:C:2017:830), che riguarda, come si vedrà in prosieguo, essenzialmente la portata dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115. Le presenti conclusioni debbono quindi essere considerate integrative rispetto a quelle da me presentate il 15 giugno 2017, alle quali rinvio sia per una più ampia esposizione dei fatti di causa sia per ogni aspetto non direttamente trattato nelle presenti conclusioni.

I.      Contesto normativo

11.      L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 precisa che quest’ultima si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

12.      Ai sensi dell’articolo 3, punto 2, di tale direttiva:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

2)      “soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

(…)».

13.      L’articolo 6 di tale direttiva, intitolato «Decisione di rimpatrio», dispone, ai paragrafi 1 e 6:

«1.      Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

(…)

6.      La presente direttiva non osta a che gli Stati membri decidano di porre fine al soggiorno regolare e dispongano contestualmente il rimpatrio [...] in un’unica decisione o atto amministrativo o giudiziario in conformità della legislazione nazionale, fatte salve le garanzie procedurali previste dal capo III e da altre pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale».

II.    Analisi

14.      I quesiti rivolti dalla Corte, che figurano in allegato all’ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non pubblicata, EU:C:2017:830) che ha riaperto la fase orale del procedimento, nonché la discussione svoltasi tra gli interessati nel corso dell’udienza dell’11 dicembre 2017, sollevano, in sostanza, la questione se la facoltà, che l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 riconosce agli Stati membri, di adottare, nell’ambito di uno stesso atto, una decisione di porre fine al soggiorno regolare contemporaneamente ad una decisione di rimpatrio possa essere esercitata nei confronti di un richiedente protezione internazionale che, come il sig. Gnandi, abbia visto respinta la sua domanda dinanzi all’autorità amministrativa competente per il suo esame, ma che disponga di un’autorizzazione a restare nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale da lui proposto contro la decisione di rigetto di tale autorità.

15.      Come ho già esposto ai paragrafi da 83 a 88 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, la risposta a tale questione deve, a mio parere, essere negativa. Gli elementi addotti dai governi che hanno risposto ai quesiti rivolti dalla Corte nell’ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non pubblicata, EU:C:2017:830) e da quelli che si sono espressi all’udienza dell’11 dicembre 2017 non sono, a mio modo di vedere, tali da rimettere in discussione tale conclusione.

16.      Nel prosieguo delle presenti conclusioni suddividerò la mia analisi in due parti. Nella prima esaminerò, alla luce del testo e dei lavori preparatori della direttiva 2008/115, la questione se un richiedente protezione internazionale che, come il sig. Gnandi nel procedimento principale, disponga di un’autorizzazione a restare nel territorio dello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso contro la decisione di rigetto della sua domanda in primo grado rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115. La seconda parte sarà dedicata all’esame della portata dell’articolo 6, paragrafo 6, di tale direttiva.

 Sull’applicazione della direttiva 2008/115 ai richiedenti protezione internazionale aventi diritto a restare nel territorio dello Stato membro interessato ai fini della procedura

17.      Come ho ricordato ai paragrafi 50 e seguenti delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, quest’ultima si applica ai cittadini di paesi terzi in posizione di soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro. La nozione di «soggiorno irregolare» da prendere in considerazione ai fini dell’applicazione della direttiva 2008/115 è definita all’articolo 3, punto 2, di quest’ultima, ai sensi del quale tale nozione va intesa come «la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro».

18.      In mancanza di un rinvio espresso al diritto nazionale, la detta nozione dev’essere interpretata, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte per quanto riguarda l’interpretazione delle nozioni che figurano nelle norme di diritto dell’Unione (7), sulla base del solo diritto dell’Unione, e ciò benché la valutazione concreta del carattere regolare o irregolare del soggiorno di un cittadino di un paese terzo sul territorio di uno Stato membro possa, a seconda dei casi, dipendere anche dall’applicazione di norme interne di tale Stato membro (8).

19.      Risulta dalla definizione data dall’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115 che è irregolare il soggiorno di qualsiasi cittadino di un paese terzo che sia presente nel territorio di uno Stato membro senza ivi soddisfare le condizioni di ingresso, di soggiorno o di residenza (9). Perché il soggiorno di un cittadino di un paese terzo possa essere considerato irregolare ai fini della direttiva 2008/115 devono quindi ricorrere due condizioni, e cioè la presenza fisica della persona interessata nel territorio di uno Stato membro, anche per un periodo limitato e senza l’intenzione di restarvi (10), e la mancanza di un titolo legale che giustifichi tale presenza.

20.      La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, del 1o settembre 2005 (11) (in prosieguo: la «proposta di direttiva sul rimpatrio»), che ha condotto, dopo lunghe trattative, all’adozione della direttiva 2008/115, è stata preceduta dalla pubblicazione, il 10 aprile 2002, di un libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri (in prosieguo: il «libro verde») (12), nonché da una comunicazione della Commissione che dava seguito a tale libro verde, presentata il 14 ottobre 2002 (in prosieguo: la «comunicazione del 14 ottobre 2002») (13) e ripresa in un programma d’azione del Consiglio in materia di rimpatrio del 28 novembre 2002 (14). Tali atti, nonché i documenti relativi all’iter legislativo della direttiva 2008/115, ci forniscono alcune indicazioni sulla portata della nozione di «soggiorno irregolare» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, e dell’articolo 3, punto 2, della medesima direttiva.

21.      Quanto alla definizione dell’ambito di applicazione ratione materiae delle future norme comuni, il libro verde precisava, al punto 2.1, che l’azione comunitaria in materia di rimpatrio doveva innanzitutto essere diretta nei confronti di persone «che non hanno esigenze specifiche di protezione» e il cui soggiorno nell’Unione è irregolare, e cioè che «non soddisfano, o non soddisfano più, le condizioni per l’ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio degli Stati membri». Tali persone, come spiegato al punto 2.2 del libro verde, erano «i cittadini di paesi terzi privi di uno statuts giuridico che li autorizzi a restare, in via permanente o temporanea, e di cui uno Stato membro non è giuridicamente tenuto ad accettare la presenza» (15). Nel libro verde, l’applicazione delle procedure di rimpatrio ai richiedenti protezione internazionale era prevista solo qualora la loro domanda fosse stata definitivamente respinta. In questo senso, nel punto 2.3, dal titolo: «Asilo e rimpatrio», si precisava che «quando una persona in cerca di protezione ha beneficiato di un procedimento equo, di qualità e completo, quando sono state esaminate tutte le esigenze di protezione e non esistono altri motivi per una permanenza legale nello Stato membro, la persona in questione deve lasciare il territorio e tornare nel proprio paese di origine o, eventualmente, di transito» (16).

22.      Nella sua comunicazione del 14 ottobre 2002, la Commissione precisava che l’espressione «persona soggiornante illegalmente» non doveva essere intesa nel senso che qualifichi tali persone come irregolari, ma nel senso che evidenzia il fatto che il loro status «non è conforme alle leggi sull’ingresso e/o sul soggiorno». La posizione di soggiorno irregolare era descritta negli stessi termini impiegati al punto 2.1 del libro verde in precedenza ricordato (17). Rispetto al libro verde, la Commissione estendeva l’oggetto della comunicazione anche ad «alcuni gruppi di residenti legali che hanno uno status temporaneo o il cui allontanamento è stato momentaneamente sospeso», in particolare le «persone che si trovano sotto una qualche forma di protezione internazionale e che è principalmente di carattere temporaneo» (18). Tale estensione era tuttavia prevista ai soli fini dell’attuazione di programmi di rimpatrio volontario(19).

23.      Nella motivazione della proposta di direttiva sul rimpatrio, in coerenza con le sue posizioni precedenti, la Commissione confermava l’intenzione di delimitare l’ambito di applicazione della direttiva da adottare con riferimento alla nozione di «soggiorno irregolare». Le nuove norme erano così destinate ad applicarsi «qualunque sia la ragione dell’irregolarità della (…) presenza» della persona interessata, «visto scaduto, permesso di soggiorno scaduto, ritiro o revoca del permesso di soggiorno (…), revoca dello status di rifugiato, ingresso illegale». Per quanto riguarda la situazione dei richiedenti asilo, l’illegalità del soggiorno era espressamente legata ad «una decisione finale» di rigetto della domanda (20). Per quanto riguarda la definizione della nozione di «soggiorno irregolare», la proposta della Commissione riportava quasi alla lettera la definizione, assai ampia, data nel libro verde e nella sua comunicazione del 14 ottobre 2002. Tale definizione è stata riprodotta, con qualche modifica formale richiesta dal Consiglio, nel testo finale della direttiva 2008/115 (21).

24.      Risulta dai precedenti paragrafi da 21 a 23 che né nelle riflessioni che hanno preceduto l’avvio dell’iter legislativo che ha portato all’adozione della direttiva 2008/115, né nel corso di quest’ultimo si è mai parlato di applicare le future norme comuni sul rimpatrio forzato dei cittadini di paesi terzi a richiedenti asilo la cui domanda non fosse stata definitivamente respinta o la cui presenza nel territorio dello Stato membro interessato fosse tollerata in forza di obblighi di legge gravanti su tale Stato. Ciò si rispecchia chiaramente nel considerando 9 della direttiva 2008/115, ai sensi del quale il soggiorno di un cittadino di un paese terzo che abbia chiesto asilo in uno Stato membro non dovrebbe essere considerato irregolare nel territorio di tale Stato membro «finché non sia entrata in vigore una decisione negativa in merito alla sua domanda d’asilo o una decisioneche pone fine al suo diritto di soggiorno quale richiedente asilo» (22).

25.      Tale esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 è del resto coerente con le disposizioni del diritto dell’Unione che disciplinano la situazione giuridica dei richiedenti asilo (e più in generale dei richiedenti protezione internazionale), che, al pari dei rifugiati riconosciuti, beneficiano di uno status particolare, fissato dal diritto internazionale (23), e si distinguono, pertanto, dai migranti ordinari.

26.      Pertanto, il diritto dell’Unione impone agli Stati membri il rispetto di norme minime di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, segnatamente in materia di soggiorno e di libertà di circolazione, di accesso al sistema educativo pubblico, al mercato del lavoro, alle cure sanitarie e a condizioni materiali di accoglienza che consentano un livello di vita adeguato, tale da garantire il loro sostentamento e proteggere la loro salute psico-fisica (24). L’insieme dei vantaggi derivanti dall’applicazione delle dette norme va a beneficio dei richiedenti protezione internazionale finché essi sono autorizzati a restare in tale qualità nel territorio di uno Stato membro.

27.      Il diritto dell’Unione riconosce, inoltre, ai richiedenti asilo (e, più in generale, ai richiedenti protezione internazionale) il diritto di restare nel territorio dello Stato membro interessato durante l’esame della loro domanda. Anche se, in vigenza della direttiva 2005/85, applicabile ai fatti del procedimento principale, tale diritto era previsto solo finché la domanda di asilo non fosse stata respinta in primo grado (25), la direttiva 2013/32, che ha sostituito la direttiva 2005/85, lo ha esteso alla fase del ricorso contro la decisione emessa in primo grado (26).

28.      Lo Stato membro interessato è tenuto a rilasciare ai richiedenti asilo, entro un termine molto breve, un documento che attesti il loro diritto a restare nel suo territorio «nel periodo in cui la domanda è pendente o in esame» (27).

29.      Tale documento – che dev’essere valido per tutto il periodo in cui il richiedente è autorizzato a soggiornare nel territorio dello Stato membro interessato (28) ‐ pur non essendo un permesso di soggiorno (29) ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1030/2002 (30), costituisce tuttavia, come ha sottolineato la Commissione nella sua risposta al primo dei quesiti scritti allegati all’ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non pubblicata, EU:C:2017:830), un’ autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente nel suo territorio (31), anche se temporaneamente e ai soli fini della procedura.

30.      Orbene, purché soggiorni legalmente, ossia in maniera non irregolare, nel territorio dello Stato membro interessato, e fintantoché dura tale soggiorno legale, un richiedente asilo che sia stato autorizzato a rimanere su tale territorio in attesa dell’esito della sua domanda (in primo grado o in seguito alla proposizione di un ricorso contro la decisione dell’autorità che si pronuncia in primo grado) è escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, quale definito agli articoli 2, paragrafo 1, e 3, punto 2, di tale direttiva. È indifferente, al riguardo, che la detta autorizzazione sia stata rilasciata in applicazione del diritto dell’Unione o del solo diritto nazionale: quello che conta è il carattere legale del soggiorno della persona interessata.

31.      Come ho osservato nei paragrafi 54 e 55 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, tale conclusione si trova confermata dalla sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), nella quale la Corte ha dichiarato che «l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, in combinato disposto con il considerando 9 di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione» (32).

32.      Il ragionamento che ha condotto la Corte a tale conclusione è limpido. Qualora goda di un diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato, sia egli in possesso o meno di un permesso di soggiorno, un richiedente protezione internazionale non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 poiché non si trova in posizione di «soggiorno irregolare» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva (33).

33.      Vero è che una «logica binaria» – secondo cui un cittadino di un paese terzo si trova, alla luce della direttiva 2008/115, o in posizione di soggiorno «regolare» (rectius «non irregolare») o in posizione di soggiorno «irregolare» ‐ sottende la sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343). Tuttavia, occorre sottolineare che non è su una logica del genere che la Corte si è basata nel suo ragionamento, ma sulla constatazione diretta del carattere legale del soggiorno del richiedente protezione internazionale autorizzato a rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito della procedura relativa alla sua domanda.

34.      Tale constatazione, e la pronuncia della Corte al punto 1 del dispositivo della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343) hanno del resto una portata generale, che prescinde dalle circostanze del procedimento principale nella causa in cui è stata pronunciata tale sentenza. Ne consegue che solo capovolgendo la detta sentenza la Corte potrebbe giungere ad affermare che la direttiva 2008/115 si applica ad un richiedente protezione internazionale autorizzato a rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito della procedura relativa alla sua domanda.

35.      Inoltre, come ho sostenuto nei paragrafi da 55 a 57 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, la soluzione adottata dalla Corte nella sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343) per quanto riguarda la situazione di un richiedente asilo autorizzato a rimanere nel territoiro dello Stato membro interessato ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 è immediatamente trasponibile a quella di un richiedente la cui domanda sia stata respinta in primo grado e che goda, in applicazione del diritto nazionale, di un diritto di rimanere in tale Stato in attesa dell’esito del ricorso contro la decisione di rigetto.

36.      Infatti, da un lato, contrariamente a quanto sostiene il governo belga, non esite alcuna differenza «qualitativa» tra il «diritto di rimanere» previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 e quello considerato dall’articolo 39 di tale direttiva, la cui concessione è rimessa alla discrezionalità dello Stato membro interessato. In entrambi i casi, si tratta di un diritto riconosciuto solo in via temporanea e ai soli fini della procedura. In entrambi i casi, tale diritto mira essenzialmente a proteggere il richiedente dalle conseguenze di un eventuale respingimento che potrebbe intervenire prima che la sua domanda sia esaminata o prima che egli abbia potuto esercitare il suo diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo. In entrambi i casi, grazie a tale diritto, il richiedente beneficia dei vantaggi previsti dalle norme minime in materia di accoglienza. La sola differenza che esisteva in vigenza della direttiva 2005/85 e che riguardava il carattere imperativo o facoltativo della concessione di tale diritto è stata cancellata dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 che, come ho già ricordato, prevede ormai, salvo alcune eccezioni, l’obbligo per gli Stati membri di consentire il soggiorno nel loro territorio dei richiedenti protezione internazionale in pendenza del termine per proporre ricorso contro la decisione di rigetto della domanda e durante l’esame di tale ricorso.

37.      Dall’altro lato, ai fini dell’applicazione della direttiva 2008/115, quel che conta è il carattere legale del soggiorno del richiedente protezione internazionale e non la motivazione che ha giustificato la concessione di un diritto di soggiorno o la prevista durata di quest’ultimo.

38.      Occorre precisare, come ho fatto ai paragrafi da 72 a 82 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, e come risulta dalle sentenze del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343, punto 60), e del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punti 75 e 76), che l’inapplicabilità della direttiva 2008/115 ai richiedenti protezione internazionale autorizzati a rimanere nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito della procedura relativa alla loro domanda e, più in generale, ai cittadini di paesi terzi che non siano in posizione di soggiorno irregolare ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, dev’essere intesa nel senso che una procedura di rimpatrio ai sensi della detta direttiva non può essere validamente avviata nei confronti di un siffatto richiedente o di un siffatto cittadino, e non nel senso che una procedura già avviata debba necessariamente essere annullata se, nel corso della procedura, la persona interessata presenta una domanda di protezione internazionale o acquisisce, per altre ragioni, un diritto di soggiorno temporaneo (34). Infatti, in tali casi, la procedura potrà essere unicamente sospesa, se del caso, per la durata di validità del titolo che conferisce un siffatto diritto di soggiorno (35).

39.      A mo’ di conclusione su questa prima parte della mia analisi, vorrei ricordare, su un piano più generale, che solo quando il riconoscimento dello status di rifugiato (o di persona che necessita di una protezione sussidiaria) è definitivamente escluso da una decisione che conclude la procedura la persona interessata perde la qualifica di richiedente asilo (o, più in generale, di richiedente protezione internazionale) (36). A mio modo di vedere, solo in tale momento tale persona diventa idonea a rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 (37), a condizione che il suo soggiorno nello Stato membro interessato sia irregolare.

 Sull’interpretazione e sulla portata dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115

40.      Nella prima parte della mia analisi, così come nelle mie conclusioni del 15 giugno 2017, ho sostenuto che deve ritenersi che un richiedente asilo (e, più in generale, un richiedente protezione internazionale), come il ricorrente nel procedimento principale, che ha visto respinta la sua domanda in primo grado, ma che, in applicazione del diritto dello Stato membro interessato, è autorizzato a rimanere nel territorio di tale Stato in attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale da lui proposto contro la decisione di rigetto della sua domanda, si trovi, grazie a tale autorizzazione, legalmente nel detto territorio e che, pertanto, sia escluso dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, quale definito dall’articolo 2, paragrafo 1, di quest’ultima, il che impedisce agli Stati membri di avviare una procedura di rimpatrio nei suoi confronti.

41.      Per i motivi già esposti nelle mie conclusioni del 15 giugno 2017 e che illustrerò più in dettaglio nel prosieguo, sono del parere che l’articolo 6, paragrfo 6, della direttiva 2008/115 non fornisca argomenti tali da rimettere in discussione tale posizione e che, contrariamente a quanto hanno sostenuto gli Stati membri interveniuti all’udienza dell’11 dicembre 2017, tale disposizione non conferisca alle autorità nazionali il potere di adottare una decisione di rimpatrio ai sensi della detta direttiva in fattispecie come quella del procedimento principale.

42.      Infatti, solo riconoscendo all’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 una portata derogatoria nei confronti dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva sarebbe possibile pervenire ad una conclusione diversa. Tuttavia, nessun elemento, né testuale né sistematico, né, ancora, fondato sull’interpretazione della volontà del legislatore dell’Unione, permette di concludere in tale senso.

43.      In primo luogo, l’articolo 2 della direttiva 2008/115 non prevede alcuna eccezione all’ambito di applicazione di quast’ultima quale definito al suo paragrafo 1. L’articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva elenca i casi in cui gli Stati membri sono autorizzati a non seguire le procedure da essa previste nei confronti di cittadini di paesi terzi in posizione di soggiorno irregolare ai sensi del paragrafo 1 di tale articolo. Per contro, nessuna deroga è prevista, nello stesso articolo, alla regola, enunciata al paragafo 1, secondo la quale la direttiva 2008/115 si applica solo ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare.

44.      In secondo luogo, risulta chiaramente dalla formulazione letterale dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 (38), nonché dalla sua collocazione nel capo II di tale direttiva, dal titolo: «Fine del soggiorno irregolare», che tale disposizione si limita ad autorizzare gli Stati membri a cumulare più atti al fine di avviare la procedura di rimpatrio senza indugio non appena sia adottata una decisione che ponga fine al soggiorno regolare della persona interessata, segnando l’inizio del suo soggiorno irregolare (39). Tale formulazione letterale non autorizza invece un’interpretazione secondo la quale gli Stati membri siano autorizzati ad adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di cittadini di paesi terzi che non rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva quale definito al suo articolo 2, paragrafo 1, e cioè di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno non sia irregolare. Una siffatta interpretazione non soltanto urterebbe contro la formulazione letterale dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 e contro quella dell’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, ma contrasterebbe altresì con la definizione stessa della nozione di «decisione di rimpatrio», che, ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della detta direttiva, corrisponde ad una «decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio» (40).

45.      In terzo luogo, rilevo, come avevo già fatto al paragarafo 87 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017, che, conformemente alla sua formulazione letterale, l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 si applica «fatte salve le (…) pertinenti disposizioni del diritto [dell’Unione] e nazionale». Orbene, come ha sottolineato la Commissione nelle sue difese orali all’udienza del 1o marzo 2017, tra tali disposizioni figurano anche gli articoli 7, paragrafo 1, e 39, paragrafo 3, della direttiva 2005/85 e, attualmente, gli articoli 9, paragrafo 1, e 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, nonché le normative degli Stati membri che conferiscono al richiedente protezione internazionale il diritto di rimanere nei loro territori durante la procedura di esame della sua domanda. Il margine di manovra riconosciuto agli Stati membri dall’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 non può pertanto esercitarsi in violazione delle dette disposizioni e delle dette normative.

46.      In quarto luogo, risulta dai lavori preparatori della direttiva 2008/115 che la prima redazione dell’articolo 6, paragrafo 6, di quest’ultima, contenuta nell’articolo 6, paragafo 3, della proposta di direttiva sul rimpatrio, si limitava a prevedere che «[l]a decisione di rimpatrio è presa come atto o decisione distinta ovvero contestualmente al provvedimento di allontanamento». Nella motivazione di tale proposta veniva spiegato che tale precisazione era stata introdotta per rispondere alle preoccupazioni espresse, nel corso delle consultazioni preliminari, da numerosi Stati membri che temevano che la procedura in due fasi (decisione di rimpatrio e decisione di allontanamento) prospettata dalla Commissione comportasse ritardi (41). È a seguito di un emendamento proposto dal Consiglio – emendamento diretto a riconoscere espressamente agli Stati membri, oltre alla facoltà di cumulare la decisione di rimpatrio e la decisione di allontanamento, quella di cumulare tali atti con una decisione che ponga fine al soggiorno regolare della persona interessata – che il legislatore dell’Unione è giunto alla fine alla redazione attuale dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 (42). Malgrado tale modifica testuale, l’obiettivo di tale disposizione è rimasto lo stesso, e cioè quello di riconoscere agli Stati membri un certo margine di manovra quanto alla procedura da seguire per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi in posizione di soggiorno irregolare. Nulla consente invece di ritenere che, in una qualunque fase dell’iter di adozione della direttiva 2008/115, essa abbia acquisito l’attitudine a conferire agli Stati membri la possibilità di derogare alla cornice chiaramente delimitata dagli articoli 1 e 2, paragrafo 1, di tale direttiva, che fissano l’oggetto e l’ambito di applicazione di quest’ultima, e a consentire agli Stati membri di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno non sia irregolare (43). Se tale fosse stata l’intenzione del legislatore, essa sarebbe certamente stata più chiaramente espressa e disciplinata, senza essere dissimulata dietro una disposizione di carattere procedurale.

47.      In quinto luogo, relativamente agli argomenti di ordine teleologico sui quali si sono basati taluni Stati membri nelle loro risposte ai quesiti rivolti dalla Corte nell’ordinanza del 25 ottobre 2017, Gnandi (C‑181/16, non publicata, EU:C:2017:830), e all’udienza dell’11 dicembre 2017, è certamente vero che l’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 persegue un obiettivo di celerità delle procedure di rimpatrio. Infatti, l’adozione contestuale della decisione che pone fine al soggiorno regolare e della decisione di rimpatrio facilita, trattandosi di atti connessi e interdipendenti, una motivazione di quest’ultima per relationem e, soprattutto, permette lo svolgimento parallelo, ed eventualmente cumulato, delle procedure di ricorso contro tali atti. Più in generale, come risulta dal considerando 4 della direttiva 2008/115, e come la Corte ha più volte riconosciuto, l’instaurazione di un’efficace politica di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi in posizione di soggiorno irregolare figura tra gli obiettivi perseguiti da tale direttiva 2008/115 (44).

48.      Tuttavia, si deve sottolineare che la direttiva 2008/115 mira ad instaurare un sistema fondato su norme chiare, trasparenti ed eque (45), allo scopo di promuovere, in una materia sensibile come quella del rimpatrio forzato dei cittadini di paesi terzi, la certezza del diritto e di garantire, nel contempo, l’efficacia delle procedure di rimpatrio e il rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate (46).

49.      Per ottenere tale risultato, la direttiva 2008/115 si ispira alla stessa «logica binaria» che sta alla base della sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343), la quale si rivela quindi coerente con lo spirito di tale direttiva. Al fine di limitare per quanto possibile le incertezze nell’applicazione delle norme che essa prevede, quest’ultima sancisce, all’articolo 6, paragrafo 1, un obbligo per gli Stati membri di procedere al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel loro territoiro sia irregolare e prevede, nel contempo, all’articolo 6, paragrafi da 2 a 5, eccezioni chiare a tale obbligo. Al di fuori di tali eccezioni, ogni cittadino di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio dello Stato membro in questione sia irregolare ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 deve essere oggetto di una decisione di rimpatrio (47). Al contrario, i cittadini di paesi terzi che non sono in posizione di soggiorno irregolare o che rientrano nelle suddette eccezioni saranno, in linea di principio, esclusi, finché perdurano i motivi di tale esclusione, dalle procedure previste dalla detta direttiva.

50.      Orbene, l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 proposta dagli Stati membri intervenuti all’udienza dell’11 dicembre 2017, in quanto mira a consentire di avviare una procedura di rimpatrio nei confronti di una categoria di cittadini di paesi terzi che non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva (48), non soltanto, come ho detto in precedenza, è contraria alla lettera e allo spirito di quest’ultima, ma mina altresì l’obiettivo di certezza del diritto che essa persegue, favorendo la creazione di zone grigie e alimentando la diffusione di pratiche diverse tra gli Stati membri (49), il che, del resto, è in contrasto con la funzione stessa della detta direttiva, che è quella di creare un corpus di norme e pratiche comuni.

51.      Il fatto che un richiedente protezione internazionale che beneficia di un diritto di soggiorno nel territoiro di uno Stato membro sia contemporaneamente colpito da una decisione di rimpatrio che, pur non essendo immediatamente passibile di esecuzione forzata, gli impone tuttavia un obbligo di lasciare il territorio di tale Stato, finisce per creare una situazione di incertezza, se non, talora, di opacità giuridica in grado di nuocere non soltanto alla trasparenza, ma anche all’efficacia (50) delle procedure di rimpatrio, nonché di interferire con il rispetto, da parte delle autorità competenti dello Stato membro interessato, delle norme in materia di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ricordate in precedenza (51). Tutto ciò per un vantaggio, in termini di celerità della procedura, in fin dei conti non sempre evidente. Infatti, vero è che l’adozione contestuale della decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale in primo grado e della decisione di rimpatrio permette, in linea di principio, lo svolgimento parallelo delle eventuali procedure di ricorso contro tali due atti. Tuttavia, occorre sottolineare che, poiché la decisione di rimpatrio è motivata dall’adozione della decisione di rigetto, un ricorso contro la prima, proposto dopo che il ricorso contro la seconda è stato respinto, potrà essere, a sua volta, rapidamente respinto. Inoltre, un ordine di rimpatrio potrebbe eventualmente essere emesso, in applicazione dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 e quando la legge nazionale lo ammette, dal giudice investito del ricorso contro la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale in primo grado, contemporaneamente alla sentenza che respinge tale ricorso. Orbene, poiché, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2008/115, il ricorso contro una decisione di rimpatrio non ha necessariamente un effetto sospensivo (così avviene ad esempio nel diritto belga), ad un siffatto ordine potrebbe, se del caso, essere data esecuzione malgrado il fatto che contro di esso sia stato proposto un ricorso.

III. Conclusione

52.      Alla luce delle considerazioni che precedono, nonché dell’analisi svolta nelle mie conclusioni del 15 giugno 2017, confermo la mia proposta iniziale di risposta alla questione pregiudiziale sollevata dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), che è stata formulata, nelle dette conclusioni, nei seguenti termini:

«La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, e segnatamente il suo articolo 2, paragrafo 1, e il suo articolo 5, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva, sanciti rispettivamente all’articolo 19, paragrafo 2, e all’articolo 47, primo comma, della Carta dei diritti fondamantali dell’Unione europea, ostano all’adozione di una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva nei confronti di un cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e che, in applicazione del diritto dell’Unione e/o del diritto nazionale, è autorizzato a rimanere nello Stato membro nel quale ha presentato la sua domanda di protezione internazionale, in pendenza del termine di ricorso previsto all’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 contro il rigetto di tale domanda e, qualora tale ricorso sia stato proposto entro i termini, nel corso dell’esame di quest’ultimo. La direttiva 2008/115, nonché i principi di non-refoulement e di tutela giurisdizionale effettiva non ostano invece a che una siffatta decisione di rimpatrio sia adottata nei confronti di un siffatto cittadino dopo il rigetto del detto ricorso, a meno che, in forza del diritto nazionale, tale cittadino non sia autorizzato a rimanere nello Stato membro interessato in attesa dell’esito definitivo della procedura di asilo.


1      Lingua originale: il francese.


2      GU 2008, L 348, pag. 98.


3      L’articolo 39/70, primo comma, della legge del 15 dicembre 1980 stabilisce che: «[S]alvo che l’interessato presti il suo consenso, nessuna misura di allontanamento dal territorio o di respingimento può essere eseguita in maniera forzata nei confronti dello straniero durante il termine previsto per la presentazione del ricorso e durante l’esame dello stesso».


4      EU:C:2017:467.


5      GU 2005, L 326, pag. 13.


6      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).


7      V., in particolare, sentenza del 21 ottobre 2010, Padawan (C‑467/08, EU:C:2010:620, punto 32).


8      La direttiva 2008/115, il cui fondamento giuridico è il solo articolo 63, paragrafo 3, lettera b), CE, non mira infatti a un’armonizzazione delle cause che pongono fine al soggiorno legale dei cittadini di paesi terzi.


9      V. sentenza del 7 giugno 2016, Affum (C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).


10      V. sentenza del 7 giugno 2016, Affum (C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).


11      COM(2005) 391 definitivo.


12      COM(2002) 175 definitivo.


13      Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente, COM(2002) 564 definitivo.


14      Doc. 14673/02 del 25 novembre 2002. Infine, il programma dell’Aia, adottato il 4 e 5 novembre 2004 in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles, ha espressamente raccomandato la definizione di norme comuni affinché le persone interessate fossero rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità, invitando la Commissione a presentare una proposta all’inizio dell’anno 2005.


15      Il corsivo è mio.


16      Il corsivo è mio.


17      V. punto 1.2.2 della comunicazione del 14 ottobre 2002. Al punto 2.3.4 di tale comunicazione, dal titolo «Fine del soggiorno legale», la Commissione proponeva «che una persona possa essere obbligata a lasciare il territorio di uno Stato membro a partire dal momento in cui il suo soggiorno legale prende fine. Ciò include i casi di rifiuto di una richiesta di residenza (…) o di scadenza o ritiro/revoca del permesso di soggiorno (…)». Essa precisava che «[u]n soggiorno regolare si considera come terminato anche quando il ricorso avverso una decisione relativa a[l] diritto di restare sul territorio dello Stato membro in questione non ha effetto sospensivo» (il corsivo è mio). Rilevo, inoltre, che in allegato alla comunicazione del 14 ottobre 2002 figura un elenco di definizioni, tra cui quella di «soggiorno irregolare», formulata in termini praticamente identici a quelli impiegati all’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115.


18      V. punto 1.2.1 della comunicazione del 14 ottobre 2002.


19      Al punto 2.4 della comunicazione del 14 ottobre 2002, la Commissione afferma che esistono «fondamentalmente due tipi di processi di rimpatrio: un rimpatrio rigorosamente volontario – nell’ambito del quale una persona decide spontaneamente di tornare nel proprio paese ed è aiutata a farlo – e situazioni in cui le pubbliche autorità obbligano una persona al rimpatrio, conformandosi debitamente al diritto internazionale e ai diritti umani dell’interessato». Essa precisa che «esiste anche una situazione ibrida in cui una persona accetta l’obbligo di rimpatrio e anche l’assistenza delle autorità».


20      V. punto 4 della motivazione (il corsivo è mio). V. anche il Commission staff working document del 1º settembre 2005, SEC(2005) 1057, punto 1, e il Commission staff working document del 4 ottobre 2005, SEC(2005) 1175, articolo 3.


21      Ai sensi dell’articolo 3, lettera b), di tale proposta, per «soggiorno irregolare» si doveva intendere «la presenza sul territorio di uno Stato membro di un cittadino di paesi terzi che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni di presenza o soggiorno in quello Stato membro». L’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della stessa proposta prevedeva che la futura direttiva doveva applicarsi ai cittadini di paesi terzi soggiornanti irregolarmente nel territorio di uno Stato membro, vale a dire «che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso (…) della convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen» ovvero «il cui soggiorno irregolare (…) è dovuto ad altri motivi». A seguito di un emendamento proposto dal Consiglio i due articoli sono stati fusi, dando luogo all’attuale redazione dell’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115. V. Lutz, F., The Negotiations on the Return Directive, Comments and Materials, Nijmegen, Wolf Legal Publishers, 2010, Council position before the triligue (documento del Consiglio 15566/07), riprodotto all’allegato 5, pag. 179.


22      Il corsivo è mio.


23      Il principio di non-refoulement sancito dall’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] si applica anche ai rifugiati non ancora riconosciuti come tali.


24      V. direttiva 2003/9/CE del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (GU 2003, L 31, pag. 18), applicabile ratione materiae ai fatti della causa principale, e direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, p. 96), che ha sostituito la direttiva 2003/9.


25      V. articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/85. Conformemente all’articolo 39, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, gli Stati membri restavano invece liberi di decidere, conformemente ai loro obblighi internazionali, se autorizzare o meno i richiedenti asilo a restare nel loro territorio anche in attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale contro la decisione di rigetto emessa in primo grado.


26      V. articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, ai sensi del quale, fatti salvi i casi previsti al paragrafo 6 dello stesso articolo, «gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso». Il diritto del richiedente asilo di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato sino a che non sia adottata una decisione in primo grado è attualmente previsto dall’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva.


27      V. l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/9 e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/33.


28      V. l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2003/9 e l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2013/33. Come si è visto in precedenza, quando la direttiva 2005/85 era in vigore, il diritto dell’Unione imponeva agli Stati membri di concedere un diritto di soggiorno ai richiedenti asilo solo nel corso della prima fase di esame della loro domanda. Al fine di garantire l’esercizio di un diritto di ricorso effettivo, l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 ha esteso tale diritto alla fase di riesame della domanda.


29      V. in questo senso, l’articolo 7, paragrafo 1, ultima frase, della direttiva 2005/85 e l’articolo 9, paragrafo 1, ultima frase, della direttiva 2013/32.


30      Regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (GU 2002, L 157, pag. 1);


31      Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), ii), del regolamento n. 1030/2002, per «permesso di soggiorno» si intende un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di uno Stato membro che consente ad un cittadino di un paese terzo di soggiornare legalmente sul proprio territorio, fatta eccezione per «permessi rilasciati in attesa dell’esame di una domanda (…) di asilo».


32      V. sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343, punto 49 e punto 1 del dispositivo).


33      V. sentenza del 30 maggio 2013, Arslan (C‑534/11, EU:C:2013:343, punto 48).


34      Per esempio, perché, dopo essere stata colpita da un ordine di rimpatrio quando si trovava in posizione di soggiorno irregolare, la persona interessata si vede concedere dallo Stato membro interessato un’autorizzazione che le conferisce un diritto di soggiorno per motivi umanitari o caritatevoli, conformemente all’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115.


35      V., in questo senso, l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, ai sensi del quale, quando uno Stato membro decide di concedere un diritto di soggiorno al cittadino di un paese terzo, esso non adotta alcuna decisione di rimpatrio nei confronti di tale cittadino ma, se una siffatta decisione è già stata adottata,essa può essere semplicemnte sospesa per la durata di tale diritto.


36      Ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2005/85, e attualmente dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2013/32, dev’essere considerato come «richiedente asilo» «qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di asilo sulla quale non sia stata ancora presa una decisione definitiva» (il corsivo è mio). La stessa definizione figurava all’articolo 2, lettera c), della direttiva 2003/09 e figura attualmente all’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33. La nozione di «decisione definitiva» è a sua volta definita dall’articolo 2, lettera d), della direttiva 2005/85, come «una decisione […] che non è più impugnabile nell’ambito del capo V [della detta direttiva], indipendentemnte dal fatto che il mezzo di impugnazione produca l’effetto di autorizzare i richiedenti a rimanere negli Stati membri interessati». V. altresì l’articolo 2, lettera e) della direttiva 2013/32.


37      Nei suoi commenti al libro verde, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) – dopo aver riconosciuto l’importanza, ai fini del mantenimento dell’integrità del sistema di asilo, di una politica efficace di rimpatrio delle persone la cui domanda di asilo sia stata «regolarmente rifiutata» – precisa che «[b]y “properly rejected asylum-seekers”, UNHCR means those who, after due consideration of their claims in fair procedures, have been found not to qualify for refugee status on the basis of the 1951 Convention, nor to be in need of protection on other grounds, including, but not exclusively, obligations under international human rights instruments, and who are not authorised to stay in the country concerned for other compelling reasons. For UNHCR, the key consideration is that the rejection has taken place in accordance with international protection standards […]». ([p]er richiedenti asilo regolarmente respinti, l’UNHCR intende coloro che, dopo un debito esame dei rispettivi ricorsi in regolari procedure, siano risultati privi dei requisiti per lo status di rifugiato sulla base della Convenzione del 1951, né necessitano di una protezione per altri motivi, ivi compresi, ma non esclusivamente, gli obblighi a norma di trattati internazionali sui diritti umani, e che non siano autorizzati a rimanere nel territorio dello Stato interessato per altri motivi imperativi. Per l’UNHCR, la considerazione principale è che il rigetto sia intervenuto in conformità con i criteri di protezione internazionale […]) (traduzione libera).


38      Si ricorda che conformemente a tale disposizione una decisione di rimpatrio ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, eventualmente cumulata con una decisione di allontanamento, può essere adottata contestualmente ad una decisione «di porre fine al soggiorno regolare».


39      Mentre la formulazione letterale in lingua francese dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 («décision portant sur la fin du séjour régulier») non è priva di qualche ambiguità, altre versioni linguisitche, come, ad esempio, quella italiana («decidano di porre fine al soggiorno regolare») o inglese («decision on the ending of a legal stay») sono estremamente chiare riguardo alla necessità che sia adottata una decisione che ponga fine al soggiorno regolare.


40      Il corsivo è mio.


41      Punto 4 della proposta di direttiva sul rimpatrio, sotto la sezione dal titolo «Capitolo II». V. altresì le SCIFA Guidelines (documento del Consiglio 6624/07), riportate all’allegato 4 di Lutz, F., op. cit., pag. 175.


42      V. Council position before trilogue (documento del Consiglio 15566/07) riportato all’allegato 5 di Lutz, F., op. cit., pag. 197.


43      D’altronde, rilevo che l’ultimo inciso dell’articolo 6, paragrafo 6, della direttiva 2008/115 in cui si precisa che tale disposizione non pregiudica le «pertinenti disposizioni del diritto comunitario e nazionale» – tra le quali, come ho ricordato al paragrafo 44 delle presenti conclusioni, figurano quelle che conferiscono ai richiedenti protezione internazionale il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro in questione in attesa dell’esito della procedura relativa alla loro domanda – non figurava nel testo dell’emendamento proposto dal Consiglio, ma è stato aggiunto successivamente.


44      V., in questo senso, sentenza El Dridi, (C‑61/11 PPU, EU:C:2011:268, punto 59) e sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 75).


45      V. il considerando 4 di tale direttiva.


46      V. in particolare i considerando 2, 17, 24 e l’articolo 1 di tale direttiva.


47      Il che significa che gli Stati membri non sono più liberi di tollerare la presenza di tali cittadini di paesi terzi nel loro territorio.


48      E cioè i richiedenti protezione internazionale che beneficiano, in applicazione del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, di un’autorizzazione di soggiorno nel territorio di uno Stato membro, benché temporanea e ai soli fini della procedura.


49      A questo proposito, rilevo che, all’udienza dell’11 dicembre 2017, la Commissione ha precisato che, secondo le informazioni a sua disposizione, la prassi di notificare ad un richiedente protezione internazionale una decisione di rimpatrio sin dall’adozione della decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale in primo grado riguarda solo un numero limitato di Stati membri, e cioè la Repubblica federale di Germania, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia.


50      In linea di principio, una volta avviata, una procedura di rimpatrio dev’essere portata a termine. Sin dall’accertamento dell’irregolarità del soggiorno, l’obiettivo dell’allontanamento nei termini più brevi è fissato e, in linea di massima, dev’essere rispettato [v. sentenza del 15 febbraio 2016, N. (C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 76)]. Sarebbe pertanto auspicabile che tale procedura sia avviata solo quando il rigetto della domanda di protezione internazionale è divenuto definitivo, anziché restare in sospeso o dover essere riavviata quando la decisione di rigetto di tale domanda in primo grado è annullata.


51      Per quanto riguarda l’ordine di lasciare il territorio notificato al sig. Gnandi, rinvio alle considerazioni svolte ai paragrafi da 84 a 99 delle mie conclusioni del 15 giugno 2017.