Language of document : ECLI:EU:T:2010:528

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

16 dicembre 2010 (*)


«Marchio comunitario – Domanda di marchio comunitario denominativo Hallux – Impedimento assoluto alla registrazione – Art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento (CE) n. 207/2009]»

Nella causa T‑286/08,

Fidelio KG, con sede in Linz (Austria), rappresentata dall’avv. M. Gail,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. S. Schäffner, in qualità di agente,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’UAMI 21 maggio 2008 (procedimento R 632/2007‑4), riguardante la registrazione del segno denominativo Hallux come marchio comunitario,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione),

composto dal sig. J. Azizi, presidente, dalla sig.ra E. Cremona e dal sig. S. Frimodt Nielsen (relatore), giudici,

cancelliere: sig. J. Plingers, amministratore

visto il ricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 21 luglio 2008,

visto il controricorso depositato nella cancelleria del Tribunale il 16 ottobre 2008,

vista la replica depositata nella cancelleria del Tribunale il 7 gennaio 2009,

in seguito all’udienza del 15 settembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La ricorrente, Fidelio KG, è un’impresa di diritto austriaco che a norma del suo statuto ha come oggetto sociale il commercio all’ingrosso di calzature ed è specializzata nel settore delle scarpe comode.

2        Il 19 luglio 2006 la ricorrente, allora denominata Kasperek KG, presentava all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) una domanda di registrazione di marchio comunitario ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

3        Il marchio di cui veniva chiesta la registrazione è il segno denominativo Hallux.

4        I prodotti per i quali veniva chiesta la registrazione rientravano nelle classi 10, 18 e 25, ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondevano, per ciascuna di tali classi, alla descrizione seguente:

–        classe 10: «Articoli ortopedici»;

–        classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie (compresi nella classe 18); bauli e valigie; ombrelli, ombrelloni e bastoni da passeggio»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria».

5        Con decisione 28 febbraio 2007 (in prosieguo: la «decisione dell’esaminatore»), l’esaminatore respingeva, ai sensi dell’art. 38 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 37 del regolamento n. 207/2009), la domanda di marchio per i seguenti prodotti:

–        classe 10: «Articoli ortopedici»;

–        classe 18: «Cuoio e sue imitazioni, articoli in queste materie (compresi nella classe 18)»;

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe».

6        Il 24 aprile 2007 la ricorrente proponeva ricorso contro la decisione dell’esaminatore, ai sensi degli artt. 57-62 del regolamento n. 40/94 (divenuti artt. 58-64 del regolamento n. 207/2009).

7        Con decisione 21 maggio 2008 (procedimento R 632/2007‑4) (in prosieguo: la «decisione impugnata») la quarta commissione di ricorso accoglieva tale ricorso in merito, da un lato, all’insieme dei prodotti controversi rientranti nella classe 18 e, dall’altro, agli articoli di abbigliamento rientranti nella classe 25. Essa respingeva invece il resto del ricorso relativamente ai seguenti prodotti:

–        classe 10: «Articoli ortopedici»;

–        classe 25: «Scarpe».

8        Nella decisione impugnata, la commissione di ricorso ha considerato che il termine «hallux» è una parola latina che significa «alluce». Tale parola sarebbe utilizzata nella terminologia medica per designare diverse deformità del piede, congenite o acquisite. Una di esse, l’alluce valgo, consisterebbe in una deformità dell’articolazione alla base dell’alluce, caratterizzata dalla deviazione di quest’ultimo verso l’interno del piede. Il termine «alluce» sarebbe utilizzato dal pubblico germanofono non specializzato per designare tale patologia, di gran lunga la più frequente (punti 10-12 della decisione impugnata).

9        Il consumatore medio germanofono assocerebbe direttamente il termine «hallux» agli articoli ortopedici e alle scarpe, in quanto esso richiamerebbe la destinazione di tali prodotti, che sarebbero percepiti come adatti a pazienti affetti da alluce valgo.

10      Per quanto riguarda più precisamente gli articoli ortopedici, essi sarebbero in libera vendita, ma di norma vengono acquistati su consiglio di un medico. Al momento del consulto, il medico, che conosce i termini tecnici latini, avrebbe l’occasione di spiegare il significato del termine «hallux» ai pazienti cui è raccomandato l’uso di scarpe adatte all’alluce valgo. Peraltro, la commissione di ricorso ha considerato, senza trarne conseguenze, che tale termine potrebbe presentare carattere descrittivo anche nelle zone non germanofone dell’Unione europea (punto 13 della decisione impugnata).

11      Per quanto riguarda le scarpe in genere, la commissione di ricorso ha ritenuto che il pubblico di riferimento comprenderebbe il termine «hallux» come diretto a designare scarpe adatte a persone affette da un lieve alluce valgo e che non hanno bisogno di scarpe ortopediche, alle quali, tuttavia, tali scarpe possono apportare benefici perché sono particolarmente comode, non stringono e si adattano facilmente alla deformità, oppure perché hanno un effetto stabilizzante quando tale deformità è in fase iniziale (punto 14 della decisione impugnata).

12      Il termine «hallux», a motivo del suo carattere descrittivo di queste due categorie di prodotti, sarebbe altresì privo di carattere distintivo, poiché il pubblico di riferimento lo intenderebbe soltanto nel senso che esso designa una caratteristica dei prodotti in questione e non già come marchio che indica l’origine commerciale degli stessi (punto 17 della decisione impugnata).

 Conclusioni delle parti

13      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

14      L’UAMI chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

15      In udienza, la ricorrente ha dichiarato che il primo capo delle sue conclusioni era diretto all’annullamento della decisione impugnata soltanto nella parte in cui quest’ultima ha respinto il suo ricorso per quanto riguarda gli articoli ortopedici, rientranti nella classe 10, e le scarpe, rientranti nella classe 25, cosa di cui si è preso atto nel verbale d’udienza.

 In diritto

16      A sostegno del presente ricorso, la ricorrente fa valere due motivi relativi, rispettivamente, alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 207/2009] e alla violazione dell’art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 7, n. 1, lett. b), del regolamento n. 207/2009].

 Argomenti delle parti

17      Nell’ambito del suo primo motivo, la ricorrente sostiene che il pubblico di riferimento non è in grado di stabilire, immediatamente e direttamente, un rapporto concreto tra il termine «hallux» e le caratteristiche dei prodotti controversi.

18      In primo luogo, come dimostrerebbe un estratto di un dizionario latino‑tedesco prodotto in allegato alla replica, il termine «hallux» sarebbe una parola latina che significa «alluce». Esso pertanto non designerebbe una caratteristica dei prodotti controversi.

19      La ricorrente sostiene che le scarpe, ma anche gli articoli ortopedici, sono in libera vendita e possono quindi essere acquistati senza prescrizione medica, di modo che, per l’insieme di tali prodotti, il pubblico di riferimento è costituito dal consumatore medio, normalmente informato, attento e avveduto.

20      La ricorrente fa riferimento alla giurisprudenza del Bundespatentgericht (Tribunale federale dei brevetti, Germania) secondo cui i termini derivanti dalle lingue morte sono generalmente idonei ad essere registrati, poiché, in linea di principio, presentano agli occhi del pubblico di riferimento una certa originalità che consente loro di assolvere alla funzione di indicatore di origine propria del marchio, a meno che non descrivano direttamente i prodotti oggetto della domanda di registrazione e non costituiscano oggetto di un impiego usuale per la formazione di espressioni specifiche di un ambito determinato.

21      Orbene, secondo la ricorrente, il termine «hallux» non è entrato a far parte del vocabolario tedesco, non descrive direttamente i prodotti oggetto della domanda di registrazione e non è utilizzato come indicazione tecnica specifica. Il significato di questo termine sarebbe quindi sconosciuto alla popolazione germanofona dell’Unione, compresi consumatori aventi conoscenze di latino, considerato che il termine di cui trattasi non fa parte del vocabolario letterario che viene generalmente studiato. Di conseguenza, il termine «hallux» non rivestirebbe alcun significato particolare per il pubblico di riferimento, il quale vi ravviserebbe, invece, una denominazione di fantasia, idonea a fungere da indicatore di origine dei prodotti controversi e ad assolvere, in tal modo, la funzione di identificazione affidata ai marchi.

22      Anche ammettendo che il significato del termine latino «hallux» sia conosciuto, si dovrebbe affermare che tale termine non descrive direttamente i prodotti controversi.

23      Inoltre, la maggior parte del pubblico di riferimento non sarebbe interessata dalla patologia denominata «hallux valgus» (deviazione verso l’esterno dell’articolazione dell’alluce) e le scarpe normalmente messe in vendita non sarebbero specificamente destinate ad un pubblico che soffre di tale patologia. Anche la parte del pubblico di riferimento che conosce il termine «hallux» non percepirebbe il segno richiesto come una descrizione dei prodotti controversi, poiché non sussisterebbe alcuna relazione diretta tra l’alluce e la destinazione – o qualsivoglia altra caratteristica – delle scarpe e degli articoli ortopedici.

24      In secondo luogo, la commissione di ricorso avrebbe ritenuto a torto che il termine «hallux» costituisca un’abbreviazione conosciuta dei termini «hallux valgus». Esisterebbero, infatti, altre patologie dell’alluce il cui nome latino include il termine «hallux» (ad esempio, hallux rigidus o hallux malleus) e non vi sarebbe ragione di ritenere che il termine «hallux», utilizzato da solo, costituisca l’abbreviazione di una di esse in particolare. Gli estratti di siti Internet cui la commissione di ricorso ha fatto riferimento non sarebbero atti a dimostrare il carattere usuale dell’impiego del termine «hallux». Essi non dimostrerebbero che il termine «hallux» costituisca l’abbreviazione usuale dei termini «hallux valgus». Inoltre, la presenza in uno dei siti menzionati nella decisione impugnata dell’espressione «Hallux Schuhe» (scarpe Hallux) sarebbe il risultato della strategia commerciale di un’impresa e non risulterebbe sufficiente a provare che tale espressione contenga un’abbreviazione usuale.

25      Peraltro, non esisterebbero scarpe specifiche destinate a curare l’alluce valgo. Tuttavia, il fatto di indossare qualsivoglia scarpa comoda, priva di caratteristiche specifiche, servirebbe a prevenire ovvero ad impedire l’aggravarsi di tale patologia. Non esisterebbero, quindi, scarpe le cui caratteristiche specifiche consentano di fornire sollievo ad una persona affetta da alluce valgo. Così stando le cose, l’eventuale collegamento che il pubblico di riferimento potrebbe stabilire tra il termine «hallux» e le scarpe sarebbe troppo vago e insufficientemente determinato per conferire a detto termine un carattere descrittivo.

26      In terzo luogo, la ricorrente sostiene che l’associazione del termine «hallux» alle scarpe destinate al grande pubblico rientra in una strategia commerciale e mira tutt’al più a determinare un effetto di suggestione. Orbene, secondo la giurisprudenza, un marchio denominativo che si limita a suggerire una destinazione dei prodotti non sarebbe necessariamente descrittivo e privo di carattere distintivo.

27      Per giungere alla conclusione che sussiste un rapporto tra il marchio richiesto e la patologia denominata «hallux valgus», il consumatore medio, categoria comprendente la persona affetta da alluce valgo, dovrebbe sostenere un notevole sforzo di riflessione, impossibile da ipotizzare. Infatti, considerato che esisterebbero diverse patologie dell’alluce, ognuna delle quali designata con il termine «hallux», e in mancanza di informazioni specifiche, dirette e immediate rispetto ad una qualità o ad una determinata caratteristica dei prodotti controversi, il pubblico di riferimento, compresa la parte di tale pubblico affetta da alluce valgo e a conoscenza del nome di questa patologia, potrebbe percepire come descrittivo il segno di cui è stata chiesta la registrazione soltanto in esito ad una valutazione analitica che richiede necessariamente uno sforzo interpretativo. Orbene, nello stabilire una qualsiasi relazione tra l’alluce, da un lato, e le scarpe e gli articoli ortopedici, dall’altro, sussisterebbe un ampio margine di interpretazione.

28      In quarto luogo, nessun lessico tecnico impiegherebbe il termine «hallux» per designare scarpe o articoli ortopedici.

29      In quinto luogo, la ricorrente fa valere che l’UAMI non ha dimostrato che i prevedibili sviluppi demografici comporteranno una maggiore conoscenza dei termini «hallux» o «hallux valgus» da parte del grande pubblico. Secondo la ricorrente, il numero dei consumatori che desidereranno indossare scarpe comode, anche senza soffrire di alluce valgo, potrebbe aumentare per effetto dell’invecchiamento della popolazione. Orbene, niente consentirebbe di dare per scontato che tale pubblico, interessato ai prodotti della ricorrente, verrà a conoscenza dell’esistenza dell’alluce valgo o si confronterà, in un modo o in un altro, con il termine «hallux».

30      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

31      Ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, sono esclusi dalla registrazione i marchi composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire per designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio. Inoltre, l’art. 7, n. 2, del medesimo regolamento (divenuto art. 7, n. 2, del regolamento n. 207/2009) stabilisce che il n. 1 si applica anche se le cause d’impedimento esistono soltanto per una parte della Comunità.

32      Infatti, ai sensi del regolamento n. 40/94, segni o indicazioni che, nel commercio, possono servire per designare caratteristiche dei prodotti o dei servizi di cui sia chiesta la registrazione sono considerati inidonei, per loro stessa natura, ad assolvere alla funzione di indicatore di origine esercitata dal marchio, fatta salva la possibilità di acquisizione di carattere distintivo per effetto dell’uso, prevista dall’art. 7, n. 3, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 7, n. 3, del regolamento n. 207/2009) (sentenza della Corte 23 ottobre 2003, causa C‑191/01 P, UAMI/Wrigley, Racc. pag. I‑12447, punto 30).

33      Secondo costante giurisprudenza, l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi per i quali si chiede la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti [sentenza UAMI/Wrigley, punto 32 supra, punto 31, e sentenza del Tribunale 7 giugno 2005, causa T‑316/03, Münchener Rückversicherungs-Gesellschaft/UAMI (MunichFinancialServices), Racc. pag. II‑1951, punto 25].

34      Perché un diniego di registrazione fondato sull’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 sia giustificato non è necessario che i segni e le indicazioni componenti il marchio in questione siano effettivamente utilizzati, al momento della domanda di registrazione, a fini descrittivi di prodotti o servizi come quelli oggetto della domanda ovvero delle caratteristiche dei medesimi. È sufficiente, come emerge dal tenore letterale di detta disposizione, che questi segni e indicazioni possano essere utilizzati a tali fini. Un segno denominativo dev’essere quindi escluso dalla registrazione qualora designi, quantomeno in uno dei suoi significati potenziali, una caratteristica dei prodotti o servizi di cui trattasi (sentenza UAMI/Wrigley, punto 32 supra, punto 32).

35      La valutazione del carattere descrittivo di un segno può essere effettuata soltanto, da un lato, in relazione alla percezione del pubblico di riferimento e, dall’altro, in relazione ai prodotti o servizi interessati [v. sentenza del Tribunale 9 giugno 2010, causa T‑315/09, Hoelzer/UAMI (SAFELOAD), non pubblicata nella Raccolta, punto 17 e giurisprudenza ivi citata].

36      L’UAMI pertanto, ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, deve valutare se un marchio di cui si chiede la registrazione costituisca attualmente, per gli ambienti interessati, una descrizione delle caratteristiche dei prodotti o dei servizi in questione, ovvero se si possa ragionevolmente presumere che questo si verificherà in futuro. Se, in esito a tale verifica, la commissione di ricorso perviene alla conclusione che è effettivamente così, essa deve rifiutarsi di procedere alla registrazione del marchio sulla base della citata disposizione (v., per analogia, sentenza della Corte 12 febbraio 2004, causa C‑363/99, Koninklijke KPN Nederland, Racc. pag. I‑1619, punto 56).

37      Peraltro, quando la registrazione di un segno come marchio comunitario è chiesta senza distinzione per una categoria di prodotti complessivamente intesa e tale segno è descrittivo soltanto per una parte dei prodotti ricompresi nella categoria medesima, l’impedimento alla registrazione, previsto all’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, si applica nondimeno a tale segno per tutta la categoria interessata [v., in tal senso, sentenze del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑106/00, Streamserve/UAMI (STREAMSERVE), Racc. pag. II‑723, punto 46, e 20 novembre 2007, causa T‑458/05, Tegometall International/UAMI - Wuppermann (TEK), Racc. pag. II‑4721, punto 94 e giurisprudenza ivi citata].

38      È alla luce di tali rilievi che occorre valutare la fondatezza del primo motivo dedotto dalla ricorrente, per quanto riguarda sia gli articoli ortopedici, rientranti nella classe 10, sia le scarpe, rientranti nella classe 25.

 Per quanto riguarda gli articoli ortopedici

39      La ricorrente contesta la valutazione della commissione di ricorso secondo la quale, per quanto riguarda gli articoli ortopedici, il pubblico di riferimento è costituito da persone dotate di un particolare grado di attenzione, vale a dire da persone affette da malformazioni o disfunzioni dell’apparato di sostegno, nonché da medici e professionisti specializzati in materiale ortopedico (punto 13 della decisione impugnata).

40      Secondo la ricorrente, visto che gli articoli ortopedici sono in libera vendita e possono essere acquistati senza prescrizione medica, occorre considerare che il pubblico di riferimento, per quanto riguarda questi articoli, sia costituito dal grande pubblico.

41      Se è vero che le condizioni di commercializzazione di un prodotto possono incidere sulla composizione del pubblico di riferimento, non si può invece sostenere che tutti i prodotti in libera vendita posti in commercio e che possono essere acquistati senza prescrizione medica siano rivolti, per solo questo motivo, al grande pubblico. Occorre piuttosto tenere principalmente conto della natura dei prodotti considerati e del segmento di popolazione cui sono destinati.

42      A tale proposito si può concordare con l’affermazione della commissione di ricorso secondo cui il pubblico pertinente, per quanto riguarda gli articoli ortopedici, è costituito da professionisti del settore e da pazienti affetti da malformazioni o disfunzioni da correggere mediante l’uso di tali articoli. Ne consegue che le conoscenze tecniche del pubblico di riferimento devono essere considerate di livello elevato.

43      Occorre pertanto esaminare se, nella percezione del pubblico di riferimento, il termine «hallux» possa essere inteso nel senso che designa una caratteristica degli articoli ortopedici, come la loro destinazione.

44      È pacifico che alcuni articoli ortopedici inclusi nella categoria di cui alla domanda di registrazione sono specificamente concepiti per le malformazioni dell’alluce. Peraltro, dalla giurisprudenza citata supra al punto 37 risulta che per basare un diniego di registrazione sull’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 è sufficiente che l’impedimento assoluto che esso prevede sia applicabile ad una parte dei prodotti inclusi nella categoria per la quale la registrazione del segno Hallux è richiesta.

45      Nella decisione impugnata, la commissione di ricorso ha formulato tre constatazioni, che ha suffragato mediante un rinvio a siti Internet. In primo luogo, il termine «hallux» significherebbe «alluce» in latino. In secondo luogo, il medesimo termine, combinato con altre parole latine, designerebbe malformazioni del piede che caratterizzano diverse patologie. In terzo luogo, il termine «hallux» sarebbe utilizzato da solo per designare la più frequente di tali malformazioni, vale a dire una deviazione verso l’esterno dell’articolazione alla base dell’alluce, la quale sarebbe denominata «alluce valgo».

46      La ricorrente, da parte sua, ammette che il termine «hallux» significa «alluce» in latino e che il termine «hallux», se combinato con altri termini, può designare diverse malformazioni del piede. Essa contesta, per contro, che il termine «hallux» venga inteso come un’abbreviazione dei termini «hallux valgus» e che il significato del termine «hallux» sia conosciuto nelle zone germanofone dell’Unione.

47      La ricorrente ha certamente ragione nel sostenere che la produzione di estratti di siti Internet non è sufficiente a dimostrare che il pubblico di riferimento sia in grado di percepire il termine «hallux» come un’abbreviazione comunemente utilizzata in luogo dell’espressione «hallux valgus», al punto che detto termine designi unicamente questa patologia. L’impiego di un termine su siti Internet, infatti, non è sufficiente a dimostrare la frequenza dell’uso dello stesso, anche da parte di un pubblico specializzato.

48      Tuttavia, la stessa ricorrente ammette che il termine «hallux» significa «alluce» in latino e che esso è utilizzato, nel linguaggio scientifico, per designare diverse patologie e malformazioni del piede. Orbene, la ricorrente non adduce alcun elemento atto a mettere in dubbio la fondatezza dell’argomento dedotto dalla commissione di ricorso secondo cui il nome scientifico delle patologie del piede è conosciuto dal pubblico di riferimento, vale a dire non soltanto dai professionisti – medici e venditori di articoli ortopedici – ma anche da quella parte dei consumatori finali affetta da patologie dell’alluce e che necessita di apparecchi ortopedici adatti a tali patologie. È infatti possibile, in via generale, che le persone che intendono acquistare articoli ortopedici adatti alla loro patologia si siano informate autonomamente oppure siano state informate della denominazione scientifica delle patologie da cui sono affette, o che eventualmente lo siano state in occasione dell’acquisto degli articoli ortopedici adatti alla loro patologia. È quindi probabile che le persone che soffrono di una malformazione dell’alluce sappiano di essere affette da una patologia il cui nome include il termine «hallux» ed è ragionevole presumere che la parte del pubblico interessato agli articoli ortopedici adatti alle malformazioni dell’alluce, e che tuttavia non abbia ancora familiarizzato con il termine «hallux», possa essere informata del significato di tale termine al momento dell’acquisto di detti articoli [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2010, causa T‑85/08, Exalation/UAMI (Vektor-Lycopin), non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 42 e 43, e giurisprudenza ivi citata].

49      Pertanto, nella mente del pubblico interessato agli articoli ortopedici destinati alla cura delle patologie dell’alluce, il termine «hallux» richiamerà la patologia stessa. Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il pubblico di riferimento interessato a tali articoli è in grado, senza particolari sforzi di riflessione, di stabilire un rapporto concreto tra il termine «hallux» e la destinazione di questi prodotti.

50      Tale valutazione, peraltro, non è rimessa in discussione dal fatto, invocato dalle parti in udienza, che non tutti gli articoli ortopedici sono destinati alla cura delle patologie dell’alluce. Infatti, sebbene la domanda di registrazione includa articoli ortopedici destinati a curare altre patologie e il pubblico interessato a questi ultimi articoli possa, di conseguenza, non conoscere il significato del termine «hallux», che designa una patologia dalla quale esso non è affetto, occorre osservare che questa parte del pubblico non rappresenta il pubblico interessato agli articoli ortopedici destinati alla cura delle patologie dell’alluce. Orbene, per i motivi esposti supra ai punti 48 e 49, la commissione di ricorso non ha commesso errori considerando che il termine «hallux» designava, dal punto di vista del pubblico interessato a tali prodotti, una delle caratteristiche dei prodotti stessi. Pertanto, poiché la categoria di prodotti di cui alla domanda di registrazione include prodotti per i quali il segno Hallux presenta carattere descrittivo, tale motivo è sufficiente a giustificare un diniego di registrazione per l’intera categoria nella quale questi prodotti sono inclusi (v., in tal senso, sentenze STREAMSERVE, punto 37 supra, punto 46, e TEK, punto 37 supra, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

51      Si deve inoltre rilevare che la ricorrente non può utilmente far valere, a sostegno del suo motivo volto a dimostrare che l’UAMI ha applicato l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 in modo erroneo, la giurisprudenza del Bundespatentgericht in materia di registrazione dei segni costituiti da una parola appartenente a una lingua morta. Infatti l’UAMI, in materia di marchio comunitario, esercita una competenza vincolata, nel senso che può applicare soltanto le disposizioni della normativa comunitaria pertinente, quale interpretata dal giudice comunitario [v., in tal senso, sentenze del Tribunale 31 gennaio 2001, causa T‑24/00, Sunrider/UAMI (VITALITE), Racc. pag. II‑449, punto 33, e giurisprudenza ivi citata, e 3 dicembre 2003, causa T‑16/02, Audi/UAMI (TDI), Racc. pag. II‑5167, punto 40 e giurisprudenza ivi citata].

52      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha correttamente applicato l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 ritenendo che l’impedimento assoluto alla registrazione previsto da tale disposizione ostasse alla registrazione del segno Hallux per gli articoli ortopedici rientranti nella classe 10.

 Per quanto riguarda le scarpe

53      La ricorrente e l’UAMI concordano con la commissione di ricorso, la quale, nella decisione impugnata, ha rilevato che, essendo le scarpe un bene di consumo corrente, il pubblico di riferimento era il grande pubblico. Tale constatazione deve essere approvata. Ne consegue che occorre esaminare la percezione del termine «hallux» da parte del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto [sentenza del Tribunale 27 febbraio 2002, causa T‑219/00, Ellos/UAMI (ELLOS), Racc. pag. II‑753, punto 30; v. altresì, per analogia, sentenza della Corte 22 giugno 1999, causa C‑342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, Racc. pag. I‑3819, punto 26].

54      In primo luogo, occorre osservare che la parola «hallux», sebbene figuri nei dizionari, appartiene ad una lingua morta che non è comunemente oggetto di studio. Inoltre, come ha rilevato la ricorrente, questo termine non rientra nel vocabolario letterario, che è quello cui si fa comunemente ricorso nello studio del latino. Peraltro, non può presumersi che il grande pubblico conosca il nome scientifico di diverse malformazioni dell’alluce. Al riguardo, la commissione di ricorso si è limitata a rinviare ad estratti di siti Internet. Orbene, tali elementi di prova non sono sufficienti a dimostrare la frequenza dell’uso di un termine tecnico e, di conseguenza, la conoscenza di tale termine da parte del grande pubblico (v. punto 47 supra). Infatti, il Tribunale ha già avuto modo di dichiarare che non era sufficiente provare che l’impiego di un termine tecnico fosse attestato da dizionari specialistici per dimostrare la conoscenza di tale termine da parte del pubblico di riferimento, quando quest’ultimo è costituito dal consumatore medio [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 marzo 2008, causa T‑341/06, Compagnie générale de diététique/UAMI (GARUM), non pubblicata nella Raccolta, punto 39].

55      In secondo luogo, tuttavia, occorre osservare che nell’ambito generale della categoria delle scarpe si distingue la sotto-categoria delle scarpe comode. Al riguardo, il Tribunale rileva del resto che la ricorrente ha fatto valere, nelle sue memorie e in udienza, che essa commercializzava scarpe comode. Questa particolare sotto-categoria di scarpe, come sostenuto dalla ricorrente nelle sue memorie (v. punto 25, supra), sebbene non sia specificamente destinata a pazienti affetti da alluce valgo, sarebbe nondimeno adatta alle loro esigenze e limiterebbe l’evolversi della loro patologia.

56      Orbene, occorre osservare che il pubblico interessato a tale particolare sotto-categoria di scarpe coincide, in parte, con il pubblico interessato agli articoli ortopedici adatti alle patologie dell’alluce, riguardo al quale è stato dimostrato che conosceva il significato del termine «hallux» o che poteva esserne informato (v. punto 48, supra). Inoltre, come sostiene l’UAMI, il pubblico interessato alle scarpe comode include anche le persone che, sebbene non abbiano bisogno di usare articoli ortopedici, sono nondimeno direttamente affette da patologie del piede oppure sensibili a tali questioni, e pongono particolare attenzione in merito. Orbene, se è vero che le scarpe comode si acquistano senza prescrizione medica, tuttavia, i venditori di tali scarpe possono fornire spiegazioni e consigli alle persone affette da patologie dell’alluce e, in particolare, informarle riguardo alla denominazione delle patologie per le quali le scarpe comode sono indicate. Così stando le cose, occorre considerare che i consumatori di scarpe comode che sarebbero commercializzate con il marchio Hallux percepirebbero questo segno come atto a indicare che i prodotti di cui trattasi sono particolarmente adatti alle persone affette da patologie dell’alluce.

57      È dunque corretta la conclusione della commissione di ricorso secondo cui, quanto meno per la sotto-categoria delle scarpe comode, il segno «hallux» descriveva la destinazione dei prodotti oggetto della domanda di registrazione. Pertanto, la commissione di ricorso ha a buon diritto dichiarato che il segno in questione non poteva essere registrato per l’intera categoria (v., in tal senso, sentenze STREAMSERVE, punto 37 supra, punto 46, e TEK, punto 37 supra, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

58      Da quanto precede risulta che la commissione di ricorso ha correttamente applicato l’art. 7, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94 ritenendo che l’impedimento assoluto alla registrazione previsto da tale disposizione ostasse alla registrazione del segno Hallux per le scarpe, rientranti nella classe 25.

59      Pertanto, il primo motivo del ricorso deve essere respinto per l’insieme dei prodotti controversi.

60      Come risulta dall’art. 7, n. 1, del regolamento n. 40/94, è sufficiente che uno degli impedimenti assoluti alla registrazione enumerati in detta disposizione sia applicabile perché un segno non possa essere registrato come marchio comunitario [v. sentenza del Tribunale 26 ottobre 2000, causa T‑360/99, Community Concepts/UAMI (Investorworld), Racc. pag. II‑3545, punto 26 e giurisprudenza ivi citata].

61      Ne consegue, da un lato, che la commissione di ricorso ha considerato a giusto titolo che il segno Hallux non potesse essere registrato come marchio comunitario per quanto riguarda l’insieme dei prodotti controversi e, dall’altro, che le conclusioni della ricorrente dirette all’annullamento parziale della decisione impugnata devono essere respinte, senza che occorra pronunciarsi sul secondo motivo di ricorso.

 Sulle spese

62      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ne ha fatto domanda, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Fidelio KG è condannata alle spese.

Azizi

Cremona

Frimodt Nielsen

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 16 dicembre 2010.

Firme


* Lingua processuale: il tedesco.