Language of document : ECLI:EU:T:2019:619

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

19 settembre 2019 (*)

«Dumping – Importazioni di determinati accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Cina e di Taiwan – Applicazione di dazi antidumping definitivi – Valore normale – Adeguamenti – Errore manifesto di valutazione – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑228/17,

Zhejiang Jndia Pipeline Industry Co. Ltd, con sede a Wenzhou (Cina), rappresentata da S. Hirsbrunner, avvocato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da T. Maxian Rusche, N. Kuplewatzky e E. Schmidt, in qualità di agenti,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da B. Driessen e H. Marcos Fraile, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e volta all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2017/141 della Commissione, del 26 gennaio 2017, che istituisce dazi antidumping definitivi sulle importazioni di determinati accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2017, L 22, pag. 14),

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, L. Calvo‑Sotelo Ibáñez‑Martín (relatore) e I. Reine, giudici,

cancelliere: F. Oller, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 gennaio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I.      Fatti

1        La Zhejiang Jndia Pipeline Industry Co. Ltd, ricorrente, è una società con sede in Cina che produce ed esporta nell’Unione europea accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa (in prosieguo: gli «accessori per tubi»).

2        In seguito a una denuncia depositata il 14 settembre 2015 dal comitato di difesa dell’industria degli accessori in acciaio inossidabile da saldare testa a testa dell’Unione europea, la Commissione europea ha pubblicato, il 29 ottobre 2015, un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di determinati accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2015, C 357, pag. 5), a norma del regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51; rettifica GU 2010, L 7, pag. 22) [sostituito dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21)]. Occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante, le norme procedurali si considerano generalmente applicabili al momento in cui entrano in vigore (v. sentenza dell’11 dicembre 2012, Commissione/Spagna, C‑610/10, EU:C:2012:781, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Per contro, le norme di diritto sostanziale devono essere interpretate nel senso che non riguardano situazioni consolidatesi anteriormente alla loro entrata in vigore, salvo che emerga chiaramente dalla loro formulazione, dalla loro finalità o dal loro impianto sistematico che si deve ad esse attribuire tale effetto (sentenze del 12 novembre 1981, Meridionale Industria Salumi e a., da 212/80 a 217/80, EU:C:1981:270, punto 9, e dell’11 dicembre 2008, Commissione/Freistaat Sachsen, C‑334/07 P, EU:C:2008:709, punto 44). Pertanto, occorre di seguito fare riferimento, per le norme sostanziali, al regolamento n. 1225/2009 e, per le norme procedurali, al regolamento n. 1225/2009 o al regolamento 2016/1036, secondo la data di svolgimento del procedimento di cui trattasi.

3        L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o ottobre 2014 e il 30 settembre 2015 (in prosieguo: il «periodo dell’inchiesta»). L’esame delle tendenze utili per la valutazione del pregiudizio concerneva il periodo tra il 1o gennaio 2012 e il 30 settembre 2015 (in prosieguo: il «periodo in esame»).

4        Taluni produttori cinesi di accessori per tubi sono stati rappresentati nel procedimento dinanzi alla Commissione dalla camera di commercio cinese degli importatori e degli esportatori di metalli, minerali e prodotti chimici (in prosieguo: la «CCCMC»).

5        Nei locali della ricorrente è stata svolta una visita conformemente all’articolo 16 del regolamento n. 1225/2009 (sostituito dall’articolo 16 del regolamento 2016/1036).

6        La ricorrente non ha chiesto di ottenere lo status di società operante in un’economia di mercato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento n. 1225/2009 [sostituito dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento 2016/1036].

7        Il 25 luglio 2016 la CCCMC ha presentato osservazioni sulle conclusioni provvisorie. Essa ha chiesto alla Commissione di divulgare tutte le informazioni relative all’industria dell’Unione di cui disponeva nella fase delle conclusioni provvisorie.

8        Il 27 ottobre 2016 la Commissione ha comunicato le sue conclusioni definitive, che fissavano al 16 novembre 2016 il termine per presentare osservazioni. In tali conclusioni la Commissione ha comunicato la sua decisione di utilizzare Taiwan come paese di riferimento per determinare il valore normale relativo ai produttori esportatori della Repubblica popolare cinese.

9        Il 16 novembre 2016 la CCCMC e la ricorrente hanno presentato osservazioni sulle conclusioni definitive. La ricorrente ha fatto valere che il termine fissato per la presentazione delle sue osservazioni era insufficiente tenuto conto della rilevanza di taluni dati comunicati per la prima volta nelle conclusioni definitive. La CCCMC ha chiesto un’audizione alla Commissione. La Commissione ha proposto una data per l’organizzazione dell’audizione che, da avviso della CCCMC, era troppo ravvicinata tenuto conto delle formalità necessarie affinché le persone interessate arrivassero a Bruxelles (Belgio), sicché l’audizione non ha avuto luogo.

10      Il 25 novembre 2016, in seguito alle osservazioni di talune parti nel procedimento, la Commissione ha comunicato le sue conclusioni definitive rivedute, contenenti ulteriori dati e informazioni e che fissavano al 29 novembre 2016 il termine per la presentazione di osservazioni. La CCCMC ha chiesto una proroga di detto termine. Poiché tale domanda è stata respinta, la CCCMC ha presentato osservazioni entro il termine impartito.

11      Il 26 gennaio 2017 la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) 2017/141, che istituisce dazi antidumping definitivi sulle importazioni di determinati accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2017, L 22, pag. 14; in prosieguo: il «regolamento impugnato»).

12      Ai sensi dell’articolo 1 del regolamento impugnato, l’aliquota del dazio antidumping applicata nei confronti della ricorrente è del 48,9%.

II.    Procedimento e conclusioni delle parti

13      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 19 aprile 2017, la ricorrente ha proposto il ricorso in esame.

14      Alla luce delle domande presentate dalla ricorrente il 27 aprile e il 13 ottobre 2017, a norma dell’articolo 66 del regolamento di procedura del Tribunale, il nome di taluni produttori che hanno collaborato nel procedimento di cui trattasi dinanzi alla Commissione nonché l’indicazione di un elemento di prova presentato dalla ricorrente sono stati omessi nella presente sentenza.

15      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 giugno 2017, il Consiglio dell’Unione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione, con riferimento soltanto al quinto motivo dedotto dalla ricorrente.

16      Con decisione del 27 luglio 2017, il Tribunale ha ammesso l’intervento del Consiglio.

17      Su proposta del giudice relatore, il 6 novembre 2018 il Tribunale (Quarta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, a titolo di misura di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 89 del regolamento di procedura, di invitare la ricorrente a fornire prove del fatto che era rappresentata dalla CCCMC dinanzi alla Commissione. La ricorrente ha risposto alla richiesta del Tribunale entro il termine impartito.

18      Rispondendo agli argomenti e agli elementi di prova presentati dalla ricorrente in risposta alla misura di organizzazione del procedimento citata al precedente punto 17, la Commissione ha fornito, in udienza, elementi di prova diretti a dimostrare che la ricorrente non era rappresentata dalla CCCMC dinanzi alla Commissione.

19      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare il regolamento impugnato nella parte in cui la riguarda;

–        condannare la Commissione e il Consiglio alle spese.

20      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto irricevibile;

–        in subordine, respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

21      Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso in quanto infondato;

–        condannare la ricorrente alle spese.

III. In diritto

22      In risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, la Commissione ha dichiarato di rinunciare al capo delle conclusioni diretto a che il ricorso sia dichiarato irricevibile, di cui occorre prendere atto.

23      A sostegno del ricorso la ricorrente deduce cinque motivi. Il primo motivo verte su un errore manifesto di valutazione, su un difetto di imparzialità nella valutazione degli elementi di prova, su un eccessivo onere della prova imposto alla ricorrente, su una violazione del diritto della ricorrente di essere ascoltata e su una insufficiente motivazione, da parte della Commissione, in merito alla determinazione dell’intercambiabilità. Il secondo motivo concerne un errore manifesto di valutazione e una insufficiente motivazione riguardo all’adeguamento del valore normale. Il terzo motivo verte su un errore manifesto di valutazione e su un abuso di potere in merito alla determinazione del periodo in esame. Il quarto motivo verte su violazioni dei principi di corretta amministrazione e di trasparenza, nonché dei diritti della difesa. Il quinto motivo concerne un errore manifesto di valutazione nell’applicazione del trattamento riservato ai paesi non retti da un’economia di mercato. Per motivi di coerenza, il Tribunale analizzerà il quinto motivo prima del secondo motivo. Infatti, è opportuno esaminare la legittimità dell’utilizzo, da parte della Commissione, del metodo di calcolo del valore normale riservato ai paesi non retti da un’economia di mercato prima di analizzare la questione di cui trattasi nell’ambito del secondo motivo, legata al rifiuto, da parte della Commissione, di utilizzare dati provenienti dal mercato cinese per calcolare detto valore normale.

A.      Nel merito

1.      Sul primo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione, un difetto di imparzialità nella valutazione degli elementi di prova, un eccessivo onere della prova imposto alla ricorrente, una violazione del diritto della ricorrente di essere ascoltata e una motivazione insufficiente in merito alla determinazione dellintercambiabilità degli accessori per tubi fabbricati secondo le norme ASME/ANSI ed EN/DIN

24      Nell’ambito del presente motivo si deve esaminare anzitutto la seconda censura, vertente sulla violazione del diritto della ricorrente di essere ascoltata, poi devono essere congiuntamente esaminate le censure prima, terza e quarta, vertenti su un errore manifesto, un difetto di imparzialità nella valutazione degli elementi di prova e un eccessivo onere della prova imposto alla ricorrente e, infine, dev’essere esaminata la quinta censura, vertente su una motivazione insufficiente.

a)      Sulloggetto del primo motivo

25      Dal considerando 47 del regolamento impugnato risulta che il prodotto oggetto dell’inchiesta di cui trattasi era costituito «dagli accessori per tubi da saldare testa a testa, di acciaio inossidabile austenitico corrispondenti ai tipi AISI 304, 304L, 316, 316L, 316Ti, 321 e 321H e agli equivalenti nelle altre norme, con un diametro esterno massimo inferiore o uguale a 406,4 mm e uno spessore delle pareti inferiore o uguale a 16 mm, con una rugosità non inferiore a 0,8 micrometri, non flangiati, finiti o non finiti, originari della [Cina] e di Taiwan» e che «[il] prodotto è classificato ai codici NC ex 7307 23 10 ed ex 7307 23 90». Dal considerando 48 del regolamento impugnato emerge che «il prodotto in esame viene fabbricato essenzialmente mediante il taglio e la formatura di tubi», che «[è] utilizzato per raccordare tubi in acciaio inossidabile» e che «esiste in forme diverse», quali «gomiti, riduttori, raccordi a T e tappi».

26      L’argomento della ricorrente nell’ambito del primo motivo può essere suddiviso in cinque censure. La prima censura riguarda l’errore manifesto in cui sarebbe incorsa la Commissione nell’affermare che gli accessori per tubi prodotti conformemente alla norma ASME/ANSI e quelli prodotti conformemente alla norma EN/DIN sono intercambiabili. La seconda censura concerne l’asserita violazione, da parte della Commissione, dei diritti della difesa della ricorrente per quanto riguarda le osservazioni che quest’ultima avrebbe inteso presentare nel corso del procedimento antidumping in merito all’intercambiabilità degli accessori fabbricati secondo le due norme summenzionate. La terza censura riguarda l’asserito difetto di imparzialità della Commissione nella valutazione degli elementi di prova relativi all’intercambiabilità degli accessori fabbricati secondo le due norme summenzionate. La quarta censura concerne l’eccessivo onere della prova che la Commissione avrebbe imposto alla ricorrente in merito all’intercambiabilità. La quinta censura riguarda l’asserita motivazione insufficiente, da parte della Commissione, in merito alla determinazione della suddetta intercambiabilità.

27      Nella replica la ricorrente ha specificato, in risposta a taluni argomenti contenuti nel controricorso, che il suo primo motivo non era diretto a contestare la definizione del prodotto in esame data ai considerando 47 e 48 del regolamento impugnato. Essa afferma che il suo primo motivo si riferisce alla validità dell’analisi svolta dalla Commissione in merito agli effetti dei prodotti oggetto di dumping nell’Unione ai fini della determinazione del pregiudizio e del nesso di causalità. Essa fa valere che le sue censure relative all’esistenza di un errore manifesto di valutazione, di un difetto di imparzialità nella valutazione degli elementi di prova, di una violazione del diritto della ricorrente di essere ascoltata e di una motivazione insufficiente in merito alla determinazione dell’intercambiabilità, concernono la validità del modo in cui la Commissione ha valutato gli effetti che le importazioni oggetto di dumping hanno sulla produzione dell’industria dell’Unione, al fine di dimostrare il pregiudizio e il nesso di causalità. Essa afferma che i produttori dell’Unione producono quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma EN/DIN e che i produttori cinesi producono quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma ASME/ANSI. Pertanto, non essendo le importazioni provenienti dalla Cina degli accessori per tubi soggetti alla norma ASME/ANSI sostanzialmente intercambiabili con i prodotti soggetti alla norma EN/DIN fabbricati principalmente dai produttori dell’Unione, la Commissione non potrebbe affermare in modo obiettivo e argomentato che le importazioni causano un pregiudizio notevole all’industria dell’Unione.

28      In udienza, nell’ambito di una risposta a un quesito del Tribunale, la Commissione ha sostenuto che l’argomento della ricorrente esposto al precedente punto 27 doveva essere considerato come un motivo nuovo dato che quest’ultima, nel suo ragionamento nel contesto del primo motivo del ricorso, non aveva rimesso in discussione la valutazione del pregiudizio effettuata dalla Commissione.

29      A tal riguardo si deve sottolineare che l’argomento della ricorrente citato al precedente punto 27 costituisce lo sviluppo dell’argomento contenuto nel ricorso in risposta agli argomenti dedotti dalla Commissione nell’ambito del controricorso relativi alle condizioni cui essa è soggetta nel definire il prodotto in esame. In effetti, nel ricorso la ricorrente contesta la valutazione effettuata dalla Commissione in merito all’intercambiabilità delle due norme EN/DIN e ASME/ANSI. Nella replica la ricorrente ha precisato che tale argomento era volto a rimettere in discussione la valutazione svolta dalla Commissione in merito al pregiudizio. Pertanto, non occorre considerare detto sviluppo come un motivo nuovo.

b)      Sulla seconda censura, vertente sulla violazione del diritto della ricorrente di essere ascoltata in merito alla determinazione dellintercambiabilità dei due tipi di norme

30      Con la sua seconda censura la ricorrente sostiene che la Commissione ha violato i suoi diritti della difesa in quanto ha tenuto conto delle osservazioni della CCCMC relative all’assenza di intercambiabilità soltanto al momento della divulgazione delle conclusioni aggiuntive del 25 novembre 2016, ma non nelle fasi anteriori del procedimento. La ricorrente aggiunge che la Commissione ha fissato un termine di due giorni lavorativi e mezzo per la presentazione delle osservazioni sulle conclusioni finali rivedute e che tale termine breve le ha impedito di presentare osservazioni approfondite sulle conclusioni aggiuntive. La ricorrente fa valere che, sebbene l’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento 2016/1036 consenta di fissare un termine inferiore a dieci giorni per presentare osservazioni, la Commissione avrebbe dovuto fissare un termine più lungo. Inoltre, la ricorrente sostiene che l’audizione del denunciante si è svolta il giorno successivo alla data limite fissata dalla Commissione per la presentazione delle osservazioni sulle conclusioni definitive rivedute del 25 novembre 2016. A tal riguardo, la ricorrente fa valere che la CCCMC ha chiesto una proroga del termine per rispondere alle conclusioni definitive rivedute e che la Commissione ha rifiutato tale richiesta. La ricorrente ritiene di essere stata oggetto di un trattamento discriminatorio in proposito, essendo stata rappresentata dalla CCCMC nel corso del procedimento dinanzi alla Commissione.

31      La Commissione rileva che nel corso del procedimento di cui trattasi ha agito dinanzi ad essa la CCCMC, e non la ricorrente stessa. Pertanto, la Commissione considera che la ricorrente non può far valere una violazione dei propri diritti della difesa. In proposito la Commissione ricorda che, secondo giurisprudenza costante del Tribunale, la violazione di un diritto soggettivo può essere invocata solo dalla persona titolare del diritto asseritamente leso, ma non da terzi (sentenze del 1o luglio 2010, ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni/Commissione, T‑62/08, EU:T:2010:268, punto 186; del 26 ottobre 2010, CNOP e CCG/Commissione, T‑23/09, EU:T:2010:452, punto 45, e del 12 maggio 2011, Région Nord-Pas-de-Calais e Communauté d’agglomération du Douaisis/Commissione, T‑267/08 e T‑279/08, EU:T:2011:209, punto 77).

32      In risposta al quesito posto dal Tribunale per mezzo di una misura di organizzazione del procedimento di cui al precedente punto 17, la ricorrente ha presentato argomenti ed elementi di prova volti a dimostrare che dinanzi alla Commissione essa era rappresentata dalla CCCMC.

33      In primo luogo, la ricorrente rileva che la CCCMC ha indicato, nelle sue osservazioni preliminari presentate dinanzi alla Commissione, che essa rappresentava taluni produttori esportatori del prodotto in esame. In secondo luogo, la ricorrente sostiene che dinanzi alla Commissione la CCCMC ha presentato informazioni riservate riguardanti la ricorrente, che la CCCMC non avrebbe potuto ottenere senza il consenso della ricorrente. In terzo luogo, la ricorrente ha presentato dinanzi al Tribunale un comunicato che il 28 ottobre 2015 la CCCMC ha inviato a tutte le imprese interessate dall’apertura di un procedimento antidumping relativo ai tubi saldati di acciaio inossidabile originari della Cina. Sebbene non siano accertati i destinatari del comunicato, da quest’ultimo risulta che la CCCMC ha informato «tutte le imprese interessate» dall’apertura di un procedimento antidumping in merito al fatto che tre imprese, inclusa la ricorrente, avevano manifestato la loro intenzione di partecipare al procedimento antidumping, designando uno studio legale affinché le rappresentasse dinanzi alla Commissione. Da tale comunicato risulta altresì che il contratto di mandato doveva essere concluso separatamente tra ciascuna impresa e lo studio legale.

34      A tal riguardo, anzitutto occorre segnalare che la CCCMC, nelle sue osservazioni preliminari, non ha specificato quali fossero le imprese da essa rappresentate. Inoltre, è opportuno rilevare che la ricorrente non ha precisato quali fossero le informazioni riservate relative ad essa che aveva presentato la CCCMC. Infine, si deve osservare che il comunicato della CCCMC del 28 ottobre 2015 non indica che la CCCMC aveva deciso essa stessa di rappresentare talune imprese dinanzi alla Commissione, ma che tre imprese avevano deciso di partecipare al procedimento antidumping e di essere rappresentate dinanzi alla Commissione da un determinato studio legale. Da detto comunicato non si evince, quindi, che la CCCMC agirebbe in nome delle tre imprese nel procedimento dinanzi alla Commissione. Pertanto, tale documento non è tale da dimostrare che la CCCMC ha rappresentato la ricorrente nel corso del procedimento di cui trattasi.

35      Inoltre, si deve osservare che, come rilevato al precedente punto 18, la Commissione, in risposta agli argomenti e ai documenti addotti dalla ricorrente, ha presentato in udienza argomenti e documenti volti a provare che la ricorrente non è stata rappresentata dalla CCCMC dinanzi alla Commissione. In primo luogo, la Commissione ha prodotto un estratto del questionario antidumping che aveva inviato alla ricorrente, nel quale quest’ultima doveva rispondere se era membro della CCCMC. Orbene, la ricorrente ha risposto di essere membro della Wenzhou Pipe Fittings Association. La Commissione fa valere che da tale risposta si evince che la ricorrente non è membro della CCCMC. In secondo luogo, la Commissione ha prodotto il mandato conferito dalla CCCMC a un avvocato affinché agisse dinanzi alla Commissione. La Commissione sostiene che tale mandato menziona soltanto la CCCMC e non può essere considerato come prova del fatto che fosse rappresentata la ricorrente.

36      Dalle suesposte considerazioni risulta che, come sostiene la Commissione, la ricorrente non ha dimostrato che la CCMC ha agito in suo nome dinanzi alla Commissione durante il procedimento in esame nel caso di specie. Pertanto, la ricorrente non può invocare dinanzi al Tribunale i diritti della difesa della CCCMC (v., in tal senso, sentenze del 1o luglio 2010, ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni/Commissione, T‑62/08, EU:T:2010:268, punto 186; del 26 ottobre 2010, CNOP e CCG/Commissione, T‑23/09, EU:T:2010:452, punto 45, e del 12 maggio 2011, Région Nord-Pas-de-Calais e Communauté d’agglomération du Douaisis/Commissione, T‑267/08 e T‑279/08, EU:T:2011:209, punto 77).

37      Per contro, la ricorrente è legittimata a invocare il rispetto del suo diritto di essere ascoltata a titolo della sua partecipazione al procedimento amministrativo. Essa contesta in sostanza alla Commissione di aver presentato le sue conclusioni in merito all’intercambiabilità dei due tipi di norme soltanto nella fase delle conclusioni definitive rivedute e di averle concesso solo due giorni lavorativi e mezzo per formulare le sue osservazioni.

38      A tal riguardo occorre rilevare che la ricorrente non ha né presentato osservazioni sulle conclusioni definitive rivedute, né chiesto una proroga del termine per presentarle. Le osservazioni e la domanda di proroga fatte valere dalla ricorrente dinanzi al Tribunale sono entrambe imputabili alla CCCMC, che non è dimostrato abbia agito in nome della ricorrente, come emerge dal precedente punto 36.

39      Inoltre, si deve osservare che la Commissione ha fissato il termine per la presentazione di osservazioni a norma del regolamento 2016/1036, in vigore al momento in cui sono state notificate, il 25 novembre 2016, le conclusioni definitive rivedute. L’articolo 20, paragrafo 5, di detto regolamento dispone che al fine di presentare osservazioni «[p]uò essere fissato un termine più breve [di dieci giorni] ogniqualvolta debbano essere presentate ulteriori informazioni finali». Riconoscendo alla ricorrente la facoltà di presentare osservazioni sino al 29 novembre 2016, la Commissione non ha violato le disposizioni che disciplinano il modo in cui le parti sono ascoltate in merito alle conclusioni definitive rivedute.

40      Infine, la ricorrente non ha fornito elementi che attestino che essa non sarebbe stata in grado di far conoscere utilmente il proprio punto di vista sui nuovi elementi contenuti nelle conclusioni definitive rivedute.

41      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che il diritto della ricorrente di essere ascoltata non è stato violato.

42      Pertanto, la seconda censura della ricorrente dev’essere respinta in quanto, nel contempo, irricevibile e infondata.

c)      Sulle censure prima, terza e quarta, vertenti su un errore manifesto, un difetto di imparzialità nella valutazione degli elementi di prova e un eccessivo onere della prova imposto alla ricorrente in merito alla determinazione dellintercambiabilità degli accessori per tubi prodotti conformemente alle norme ASME/ANSI ed EN/DIN

1)      Sulla ricevibilità di taluni allegati alla replica

43      La ricorrente ha accluso alla replica vari allegati volti a corroborare il suo argomento in base al quale gli accessori per tubi fabbricati conformemente alle norme ASME/ANSI ed EN/DIN erano sottoposti a trattamenti termici differenti, cosicché sarebbe giustificata la sua tesi secondo cui gli accessori prodotti conformemente a tali norme non sono intercambiabili.

44      Nella replica, poi rispondendo a un quesito posto dal Tribunale in udienza, la ricorrente ha affermato di aver presentato detti allegati in fase di replica per rispondere a taluni argomenti addotti dalla Commissione nel controricorso.

45      A tal riguardo si deve ricordare che la decadenza prevista all’articolo 85, paragrafo 1, del regolamento di procedura non concerne la prova contraria né l’ampliamento delle deduzioni istruttorie a seguito di una prova contraria della controparte (sentenza del 13 dicembre 2018, Post Bank Iran/Consiglio, T‑559/15, EU:T:2018:948, punto 75).

46      Nel caso di specie, si deve anzitutto constatare che nell’atto introduttivo del ricorso la ricorrente ha affrontato la questione del trattamento termico dei diversi accessori per tubi in funzione del fatto che essi fossero fabbricati conformemente alla norma ASME/ANSI o alla norma EN/DIN. Si deve poi rilevare che nel controricorso la Commissione non ha addotto prove contrarie in merito a tale questione. Peraltro quest’ultima, con l’argomento sviluppato nel suo controricorso, non contesta che le norme ASME/ANSI ed EN/DIN comportino differenze in materia di trattamento termico, ma mira, in sostanza, a relativizzare la rilevanza pratica di tale questione.

47      Tenuto conto delle suesposte considerazioni, si deve considerare che gli allegati alla replica C.3, C.4 e C.5 sono volti solo a suffragare un argomento già esposto dalla ricorrente nel ricorso e che essi non mirano a confutare elementi di prova contrari che sarebbero stati prodotti dalla Commissione in fase di controricorso, e neanche un argomento contrario che sarebbe sviluppato in quest’ultimo. Inoltre, il Tribunale rileva che la ricorrente non ha specificato, né nelle sue memorie né in udienza, a quali argomenti della Commissione miravano a rispondere gli allegati acclusi.

48      Poiché la ricorrente non ha addotto ulteriori giustificazioni in merito alla presentazione, in fase di replica, degli allegati C.3, C.4 e C.5, ne consegue che la presentazione di questi ultimi dev’essere ritenuta tardiva e priva di giustificazione, sicché essi devono essere dichiarati irricevibili.

2)      Sulla ricevibilità degli argomenti della ricorrente relativi al considerando 54 del regolamento impugnato

49      Nell’ambito del primo motivo, la ricorrente contesta il considerando 54 del regolamento impugnato, secondo il quale «l’inchiesta e l’audizione con il produttore dell’Unione che aveva concordato anche a un regime di perfezionamento passivo hanno dimostrato che le caratteristiche fisiche, tecniche e chimiche dei prodotti approvati secondo le norme EN/DIN e ASME/ANSI [erano] comparabili». A tal riguardo essa sottolinea che le dichiarazioni del produttore dell’Unione citato in tale punto non vertevano sull’intercambiabilità delle due norme e che detto produttore ha cessato di collaborare a partire dal 27 gennaio 2017, sicché le informazioni presentate da quest’ultimo non sono state verificate. Per contro, la ricorrente rileva che le informazioni del produttore dell’Unione che ha affermato che non vi era intercambiabilità sono state verificate tramite visite in loco.

50      In proposito la Commissione fa valere che gli argomenti della ricorrente riguardanti l’importatore che ha dichiarato che non vi era intercambiabilità sono «inammissibili», non essendo stati inclusi dalla ricorrente nel ricorso, ma solo negli allegati.

51      La Commissione osserva che dalla giurisprudenza della Corte si evince che la ricorrente non può riferirsi soltanto agli allegati per sollevare argomenti dinanzi al Tribunale, ma che tali argomenti devono essere riprodotti nel ricorso [sentenza dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punti 40 e 41, e ordinanza del 14 aprile 2016, Best-Lock (Europe)/EUIPO, C‑452/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:270, punto 14]. È vero che, secondo la giurisprudenza, un rinvio globale ad altri scritti, anche allegati al ricorso, non può supplire all’assenza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che, ai sensi delle disposizioni dell’articolo 76 del regolamento di procedura, devono figurare nel ricorso [v. ordinanza del 14 aprile 2016, Best-Lock (Europe)/EUIPO, C‑452/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:270, punto 14 e giurisprudenza ivi citata]. Tuttavia, nel caso di specie si deve constatare che la parte essenziale degli argomenti della ricorrente relativa alle dichiarazioni dell’importatore europeo che ha affermato che le due norme non erano intercambiabili si trova al punto 37 del ricorso. Tali argomenti devono quindi essere ritenuti ricevibili.

3)      Sul merito delle censure prima, terza e quarta

52      Nell’ambito della sua prima censura, la ricorrente fa valere che la Commissione è incorsa in un errore manifesto ritenendo che gli accessori per tubi prodotti conformemente alla norma ASME/ANSI e quelli prodotti conformemente alla norma EN/DIN fossero intercambiabili sul mercato dell’Unione. La Commissione non avrebbe tenuto sufficientemente conto di tutte le circostanze rilevanti, né avrebbe valutato gli elementi del fascicolo con tutta la diligenza richiesta.

53      La Commissione contesta gli argomenti della ricorrente.

54      A tal riguardo, è giocoforza constatare che la prima censura della ricorrente è carente in fatto. Dal considerando 52 del regolamento impugnato risulta invero che, in seguito alla divulgazione delle conclusioni definitive, diverse parti hanno sostenuto dinanzi alla Commissione che gli accessori per tubi prodotti conformemente alla norma ASME/ANSI e quelli prodotti conformemente alla norma EN/DIN non erano tecnicamente intercambiabili o che gli accessori fabbricati secondo le norme EN/DIN dovevano essere esclusi dalla definizione del prodotto in esame. In seguito a tali osservazioni, la Commissione ha rilevato, ai considerando da 53 a 58 del regolamento impugnato, che tanto l’industria dell’Unione quanto i produttori cinesi fabbricavano accessori secondo i due tipi di norme, che le caratteristiche fisiche, tecniche e chimiche degli accessori prodotti conformemente alle due norme erano comparabili, benché possano esservi lievi differenze e, infine, che entrambi i tipi di norme si facevano concorrenza nel momento della scelta della norma e addirittura, una volta effettuata la scelta della norma, quando le norme erano totalmente equivalenti.

55      Per contro, dal regolamento impugnato non risulta in alcun modo che la Commissione abbia affermato che gli accessori per tubi prodotti conformemente alle due norme fossero intercambiabili. La Commissione si è limitata a constatare che esistevano somiglianze spesso sostanziali tra gli accessori prodotti secondo le due norme e che essi erano concorrenza tra loro, sicché non sarebbe giustificata l’esclusione di uno di tali tipi di norme dalla definizione del prodotto in esame.

56      Di conseguenza, si deve respingere la prima censura dedotta dalla ricorrente nell’ambito del primo motivo.

57      Ad abundantiam, nella misura in cui fosse opportuno interpretare la suddetta prima censura della ricorrente come riferita non all’intercambiabilità stricto sensu, ma alla constatazione fatta dalla Commissione secondo cui gli accessori per tubi prodotti secondo le due norme sono simili o comparabili e sono in concorrenza tra loro, il Tribunale formula le seguenti considerazioni.

58      In primo luogo, la ricorrente fa valere che i produttori dell’Unione forniscono quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma EN/DIN e che i produttori cinesi forniscono quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma ASME/ANSI.

59      In secondo luogo, la ricorrente rileva che un importatore indipendente che ha collaborato all’inchiesta antidumping dinanzi alla Commissione ha presentato osservazioni dinanzi alla Commissione, nelle quali ha affermato che le norme ASME/ANSI ed EN/DIN non erano intercambiabili. A suo avviso, detto importatore sembra aver corroborato le proprie dichiarazioni producendo copie di ordini per gli accessori per tubi che egli aveva fornito a uno dei denuncianti dell’Unione. La ricorrente ha presentato le suddette osservazioni dinanzi al Tribunale.

60      In terzo luogo, la ricorrente contesta il considerando 55 del regolamento impugnato, in base al quale le due norme si fanno concorrenza. Essa sostiene che tale affermazione è contraddetta dagli elementi di prova presentati alla Commissione e verificati. Per quanto riguarda l’affermazione contenuta in tale considerando, secondo cui «[è] vero che, per taluni progetti, le specifiche impongono il rispetto delle norme EN/DIN o ASME/ANSI», la ricorrente fa valere che, se le norme fossero intercambiabili, non sarebbe tracciata alcuna distinzione nei progetti. La ricorrente contesta altresì il considerando 54 del regolamento impugnato, sottolineando che le dichiarazioni del produttore dell’Unione ivi citate non vertevano sull’intercambiabilità delle due norme e che tale produttore ha cessato di collaborare a partire dal 27 gennaio 2017, sicché le informazioni da egli presentate non sono state verificate. Per contro, la ricorrente rileva che le informazioni del produttore dell’Unione che ha affermato che non vi era intercambiabilità sono state verificate tramite visite in loco.

61      In quarto luogo, per quanto concerne il considerando 57 del regolamento impugnato, secondo il quale «nonostante le specifiche richieste rivolte all’importatore che ha collaborato, la Commissione non ha ricevuto alcun elemento di prova a dimostrazione del fatto che il prodotto simile e il prodotto in esame non sono in concorrenza», la ricorrente afferma che l’unico importatore che ha collaborato ha presentato elementi di prova e osservazioni scritte per dimostrare che non vi era alcuna concorrenza. La ricorrente fa valere che dal considerando 39 del regolamento impugnato emerge che l’importatore ha collaborato e ha presentato ulteriori elementi di prova in merito all’intercambiabilità.

62      In quinto luogo, per quanto riguarda il considerando 59 del regolamento impugnato, secondo il quale «[i]n seguito alla divulgazione delle conclusioni aggiuntive diverse parti interessate, tra cui un importatore indipendente, hanno confermato le suddette conclusioni dell’inchiesta», e che «[t]ali parti interessate hanno ribadito che le norme EN/DIN e ASME/ANSI [erano] in ampia misura intercambiabili», inoltre che «[u]na delle parti interessate ha (…) affermato che i fornitori di tubi dell’Unione [fornivano] prodotti con doppio certificato e che qualunque fabbricante del prodotto in esame [poteva] anch’egli acquisire la doppia certificazione» e «[t]ale parte interessata ha inoltre affermato che la maggior parte delle scorte degli operatori commerciali del prodotto in esame e del prodotto simile [aveva] una doppia certificazione», la ricorrente sostiene che tutte tali dichiarazioni sono contraddette da elementi di prova. Essa sostiene che l’unico importatore indipendente che ha presentato osservazioni dinanzi alla Commissione ha confermato l’assenza di intercambiabilità.

63      In sesto luogo, per quanto riguarda il considerando 40 del regolamento impugnato, la ricorrente afferma che «fonti affidabili nonché esperti» hanno negato l’esistenza di una doppia certificazione secondo le due norme di cui trattasi. Tale assenza di doppia certificazione sarebbe segnatamente spiegata dal fatto che gli accessori per tubi fabbricati secondo la norma ASME/ANSI sono necessariamente sottoposti a un trattamento termico per renderli resistenti alla corrosione e sono, perciò, largamente privilegiati nelle fabbriche e nelle altre applicazioni nelle quali i tubi e gli accessori sono esposti agli elementi, non essendo imposto tale trattamento termico dalla norma EN/DIN.

64      In settimo luogo, la ricorrente fa valere che l’assenza di intercambiabilità e di doppia certificazione secondo le due norme è altresì spiegata dal fatto che, sebbene le dimensioni esterne possano essere simili o identiche, la parete degli accessori per tubi soggetti al rispetto della norma ASME/ANSI è più spessa, sicché l’accessorio soggetto a tale norma sarebbe preferibile per le applicazioni che richiedono pressioni più elevate, come le applicazioni che si trovano in numerose industrie in Europa.

65      A tal riguardo, si deve ricordare che secondo giurisprudenza costante, la determinazione della sussistenza di un pregiudizio per l’industria dell’Unione presuppone la valutazione di situazioni economiche complesse, sicché le istituzioni godono di ampio potere discrezionale e che il controllo giurisdizionale di tale valutazione discrezionale dev’essere quindi limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati, dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell’assenza di sviamento di potere (v. sentenza del 19 dicembre 2013, Transnational Company «Kazchrome» e ENRC Marketing/Consiglio, C‑10/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:865, punto 22 e giurisprudenza ivi citata).

66      Occorre ricordare che incombe alla ricorrente l’onere della prova in merito all’errore manifesto di valutazione in cui sarebbe incorsa la Commissione nel constatare la somiglianza tra gli accessori per tubi prodotti secondo le due norme e il fatto che essi sarebbero in concorrenza (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 9 settembre 2010, Carpent Languages/Commissione, T‑582/08, non pubblicata, EU:T:2010:379, punto 57, e del 17 gennaio 2017, Cofely Solelec e a./Parlamento, T‑419/15, non pubblicata, EU:T:2017:8, punto 96).

67      Si deve quindi accertare nel caso di specie se la ricorrente abbia presentato elementi di prova atti a provare l’errore manifesto da essa fatto valere.

68      In primo luogo, si deve constatare che la ricorrente non ha in alcun modo corroborato il suo argomento in base al quale i produttori dell’Unione producevano quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma EN/DIN e i produttori cinesi producevano quasi esclusivamente accessori per tubi conformemente alla norma ASME/ANSI. In ogni caso, si deve rilevare che la ricorrente, utilizzando i termini «quasi esclusivamente», non esclude che, in una certa misura, i produttori cinesi e l’industria dell’Unione producano accessori per tubi conformemente alle due norme.

69      In secondo luogo, si deve rilevare che la ricorrente, per corroborare la sua tesi secondo cui gli accessori per tubi prodotti conformemente alle due norme non sono intercambiabili, ha depositato dinanzi al Tribunale osservazioni presentate dinanzi alla Commissione da due importatori europei.  Tali osservazioni sono contenute in messaggi di posta elettronica inviati alla Commissione da due produttori aventi sede nell’Unione. In detti messaggi di posta elettronica i produttori chiariscono talune differenze esistenti tra gli accessori per tubi prodotti secondo ciascuno dei due tipi di norme in esame e affermano che gli accessori per tubi fabbricati conformemente alle norme EN/DIN e quelli fabbricati conformemente alle norme ASME/ANSI non sono né intercambiabili né in concorrenza. La ricorrente non ha proposto ulteriori elementi di prova a sostegno delle affermazioni contenute nei suddetti messaggi di posta elettronica.

70      Orbene, si deve rilevare che detti messaggi di posta elettronica non sono tali da dimostrare che i produttori dell’Unione e i produttori cinesi producono quasi esclusivamente, rispettivamente, secondo la norma EN/DIN e secondo la norma ASME/ANSI. Del pari, essi non sono idonei a dimostrare né che gli accessori prodotti conformemente a tali due norme non si fanno concorrenza né che non esiste una doppia certificazione secondo tali norme. Infatti, non si può ritenere che mere affermazioni non suffragate da elementi di prova siano idonee a dimostrare che la Commissione è incorsa nell’errore manifesto fatto valere dalla ricorrente.

71      Pertanto, la prima censura dev’essere in ogni caso respinta in quanto infondata.

72      Nell’ambito della sua terza censura, da un lato, la ricorrente contesta il considerando 54 del regolamento impugnato, in base al quale «l’inchiesta e l’audizione con il produttore dell’Unione che aveva concordato anche a un regime di perfezionamento passivo hanno dimostrato che le caratteristiche fisiche, tecniche e chimiche dei prodotti approvati secondo le norme EN/DIN e ASME/ANSI sono comparabili». A tal riguardo essa considera che le dichiarazioni del produttore dell’Unione citate in tale considerando non vertevano sull’intercambiabilità delle due norme e che detto produttore ha cessato di collaborare a partire dal 27 gennaio 2017, sicché le informazioni da egli presentate non sono state verificate. Tuttavia, la ricorrente rileva che le informazioni del produttore dell’Unione che ha affermato che non vi era intercambiabilità sono state verificate tramite visite in loco.

73      Dall’altro lato, la ricorrente contesta il considerando 57 del regolamento impugnato, in base al quale «nonostante le specifiche richieste rivolte all’importatore che ha collaborato, la Commissione non ha ricevuto alcun elemento di prova a dimostrazione del fatto che il prodotto simile e il prodotto in esame non [erano] in concorrenza». Essa afferma che l’unico importatore che ha collaborato ha presentato elementi di prova e osservazioni scritte per dimostrare che non vi era concorrenza. La ricorrente fa valere che dal considerando 39 del regolamento impugnato, in base al quale, dopo la notifica delle conclusioni definitive rivedute il 25 novembre 2016, «[u]lteriori osservazioni sono pervenute da due produttori esportatori cinesi, dalla CCCMC, dal denunciante e da tre importatori dell’Unione», risulta che l’importatore ha collaborato e ha presentato ulteriori elementi di prova sull’intercambiabilità.

74      A tal riguardo si deve constatare che le contestazioni della ricorrente non sono idonee a suffragare il difetto di imparzialità della Commissione nella valutazione degli elementi di prova. Infatti, l’audizione del produttore dell’Unione citata al considerando 54 del regolamento impugnato verteva sull’intercambiabilità. Inoltre, si deve rilevare che la Commissione non ha affermato di non aver ricevuto osservazioni ed elementi di prova volti a suffragare l’assenza di intercambiabilità, ma che essa si è limitata a constatare che le osservazioni e gli elementi di prova da essa ricevuti in proposito non erano idonei a dimostrare l’asserita mancata somiglianza tra le due norme.

75      La terza censura dev’essere quindi respinta in quanto infondata.

76      Nell’ambito della sua quarta censura, la ricorrente sostiene che l’affermazione di cui al considerando 57 del regolamento impugnato, in base alla quale l’importatore non ha fornito alcun elemento di prova negativo, equivale a far gravare sulle parti un onere della prova irragionevole.

77      In proposito si deve sottolineare che, come fatto valere dalla Commissione, il considerando 57 del regolamento impugnato non si riferisce né alla CCCMC né alla ricorrente, bensì a un «importatore [europeo] che ha collaborato [all’inchiesta]». Pertanto, il Tribunale non può dichiarare che il riferimento fatto dalla Commissione, nell’ambito della ricerca della prova, all’attività di un terzo equivale a imporre un qualsivoglia onere della prova a carico della ricorrente.

78      La quarta censura dev’essere quindi respinta in quanto infondata.

d)      Sulla quinta censura, vertente su una motivazione insufficiente in merito alla determinazione dellintercambiabilità delle norme EN/DIN e ASME/ANSI

79      Nel titolo del suo primo motivo la ricorrente ha menzionato l’asserita insufficiente motivazione, da parte della Commissione, in merito alla determinazione dell’intercambiabilità.

80      A tal riguardo è sufficiente constatare che i considerando da 52 a 60, 73 e 74 del regolamento impugnato, che enunciano le ragioni per le quali la Commissione ha ritenuto comparabili gli accessori per tubi fabbricati secondo le norme ASME/ANSI ed EN/DIN, hanno consentito alla ricorrente di contestare in modo dettagliato la suddetta motivazione esposta dalla Commissione.

81      Si deve quindi respingere il primo motivo in parte in quanto infondato e in parte in quanto irricevibile.

2.      Sul quinto motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione nellapplicazione del trattamento riservato ai paesi retti da uneconomia di mercato

82      In via preliminare, come ricordato al precedente punto 2, nel caso di specie occorre far riferimento, per quanto riguarda le norme sostanziali, al regolamento n. 1225/2009. Si deve pertanto ritenere che la ricorrente invochi segnatamente il considerando 3 e l’articolo 2, paragrafi da 1 a 7, del regolamento n. 1225/2009, le cui disposizioni sono simili, quanto al loro contenuto, a quelle del considerando 3 e dell’articolo 2, paragrafi da 1 a 7, del regolamento 2016/1036, al momento in cui è stato adottato il regolamento impugnato.

83      Dal considerando 99 del regolamento impugnato risulta che, «[c]onformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento [n. 1225/2009] il valore normale per i produttori esportatori ai quali non è stato concesso il [trattamento riservato alle società operanti in condizioni di economia di mercato] deve essere determinato in base ai prezzi o al valore costruito di un paese terzo ad economia di mercato» e che «[n]essuno dei produttori esportatori che hanno collaborato ha chiesto il [trattamento riservato alle società operanti in condizioni di economia di mercato]». In tali circostanze, la Commissione ha calcolato il valore normale per gli accessori per tubi originari della Cina conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009 [sostituito dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento 2016/1036].

84      Nel suo quinto motivo, la ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore manifesto nell’utilizzare il metodo di calcolo del valore normale di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009. Essa fa valere che l’articolo 2 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: l’«accordo antidumping»), di cui all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), autorizzava l’Unione e gli altri membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) a derogare al metodo abituale di calcolo del valore normale. Tuttavia, essa sostiene che, in forza del punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Repubblica popolare cinese all’OMC (in prosieguo: il «protocollo di adesione della Cina all’OMC»), tale deroga è scaduta quindici anni dopo la data di adesione della Cina all’OMC, ossia l’11 dicembre 2016. Pertanto, la ricorrente fa valere che la Commissione avrebbe dovuto calcolare il valore normale in base al metodo stabilito nell’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento n. 1225/2009 [sostituito dall’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento 2016/1036].

85      L’argomento della ricorrente nell’ambito del motivo in esame può essere suddiviso in quattro censure.

86      Nella prima censura, la ricorrente sostiene che il punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC può essere invocato dinanzi al Tribunale per contestare la legittimità del regolamento impugnato.

87      Nella seconda censura, la ricorrente afferma che la Commissione avrebbe dovuto interpretare il regolamento n. 1225/2009 conformemente al diritto dell’OMC.

88      Nella terza censura, rispondendo all’argomento della Commissione nel controricorso, in base al quale il diritto da applicare a un’inchiesta antidumping è quello in vigore al momento in cui l’inchiesta ha inizio, la ricorrente sostiene che l’articolo 18, paragrafo 3, dell’accordo antidumping non è applicabile nel caso di specie. Essa rileva che tale accordo è entrato in vigore per la Cina al momento della sua adesione all’OMC e che il punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC prevedeva una semplice deroga temporale parziale all’accordo antidumping. La ricorrente aggiunge che l’applicazione, successivamente all’11 dicembre 2016, del trattamento applicabile ai paesi non retti da un’economia di mercato creerebbe disparità tra i membri dell’OMC che applicano un metodo di calcolo di dumping retrospettivo, come gli Stati Uniti, e quelli che applicano un metodo di calcolo del dumping prospettico, come l’Unione. Pertanto, la scadenza della deroga prevista al punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC dovrebbe essere applicabile a tutte le cause relative a un calcolo definitivo del valore normale e del dumping successivamente all’11 dicembre 2016. Il contrario equivarrebbe a violare il principio sancito dall’articolo 49, paragrafo 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ai sensi del quale se, successivamente alla commissione di un reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.

89      Nella quarta censura, la ricorrente sostiene che l’organo di appello dell’OMC, nella sua relazione relativa alla controversia «Comunità europee – Misure antidumping definitive relative a determinati elementi di fissaggio in ferro o in acciaio originari della Cina», adottata il 15 luglio 2011 (WT/DS 397/AB/R, punto 289), ha affermato che la deroga che autorizzava i membri dell’OMC a calcolare il valore normale dei prodotti cinesi conformemente al punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC scadeva dopo quindici anni dalla data di adesione della Cina, vale a dire l’11 dicembre 2016. La ricorrente osserva che la Commissione ha riconosciuto in più occasioni che la deroga prevista al punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC scadeva l’11 dicembre 2016, come risulta da taluni articoli di stampa. Inoltre, essa rileva che i servizi della Commissione hanno più volte affermato che il diritto dell’Unione doveva essere modificato al fine di adeguarsi agli obblighi dell’Unione nei confronti dell’OMC. La ricorrente sostiene che anche taluni documenti di lavoro della Commissione si riferiscono alla scadenza della deroga nel dicembre 2016. Nella replica, la ricorrente rileva che la Commissione non ha contestato tali argomenti relativi all’accettazione, da parte della Commissione, della scadenza di cui trattasi.

a)      Sulla possibilità di invocare dinanzi al Tribunale il punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina allOMC per controllare la legittimità del regolamento impugnato

90      Occorre anzitutto rispondere agli argomenti sollevati dalla ricorrente nell’ambito della sua prima censura, in base ai quali il punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC può essere invocato dinanzi al Tribunale al fine di contestare la legittimità del regolamento impugnato nella parte in cui ha applicato il metodo previsto dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009.

91      A tal riguardo, in primo luogo, la ricorrente sostiene che, sebbene, secondo giurisprudenza costante, gli accordi dell’OMC e gli accordi come l’accordo antidumping a essi allegati non figurino in linea di principio tra le normative alla luce delle quali il Tribunale controlla la legittimità degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, come il regolamento impugnato (sentenza del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 47), il Tribunale può effettuare tale controllo qualora l’Unione intenda eseguire uno specifico obbligo assunto nell’ambito dell’OMC.

92      La ricorrente sostiene che dal considerando 3 del regolamento 2016/1036 risulta che, con l’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, di tale regolamento, il legislatore europeo ha voluto attuare i propri obblighi derivanti dall’accordo antidumping.

93      In secondo luogo, la ricorrente sostiene che, secondo giurisprudenza consolidata, gli accordi dell’OMC e, per estensione, l’accordo antidumping, sono vincolanti per l’Unione (sentenza del 12 dicembre 1972, International Fruit Company e a., da 21/72 a 24/72, EU:C:1972:115, punti da 16 a 18).

94      In terzo luogo, la ricorrente fa valere che il protocollo di adesione della Cina all’OMC ha natura giuridica e si può ritenere che esso rientri nell’ambito dell’accordo antidumping. Essa osserva che la sua natura giuridica è stata verificata dall’organo di appello dell’OMC nella sua relazione relativa alla controversia «Cina — misure relative all’esportazione di terreni rari, tungsteno e molibdeno», adottata il 7 agosto 2014 (WT/DS 431/AB/R).

95      In quarto luogo, la ricorrente fa valere che, in attesa dell’adozione, da parte delle altre istituzioni europee, delle modifiche proposte dalla Commissione volte a rendere il regolamento n. 1225/2009 conforme agli impegni assunti nei confronti dell’OMC, la Commissione era giuridicamente tenuta ad applicare, nei confronti della ricorrente, il metodo di cui all’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento n. 1225/2009. Essa considera che la Commissione, in quanto istituzione dell’Unione, ha l’obbligo di esercitare il suo potere nel rispetto del diritto internazionale e cita, in tal senso, la sentenza del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C‑286/90, EU:C:1992:453, punto 9). Nell’interpretare e applicare il regolamento antidumping di base, la Commissione sarebbe tenuta a osservare le norme derivanti dal diritto consuetudinario internazionale, in particolare il principio fondamentale secondo cui i trattati o gli accordi internazionali vincolano le parti (principio pacta sunt servanda), come codificato nell’articolo 26 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, del 23 maggio 1969 (in prosieguo: la «convenzione di Vienna») (sentenza del 16 giugno 1998, Racke, C‑162/96, EU:C:1998:293, punto 49). Essa sostiene che l’articolo 27 della convenzione di Vienna dispone altresì che una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione del trattato.

96      Infine, in risposta alla memoria di intervento del Consiglio, la ricorrente precisa anzitutto che la sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494), invocata dal Consiglio, riguardava il caso di un esportatore armeno. La ricorrente rileva che il protocollo di adesione dell’Armenia all’OMC non prevede modalità né condizioni che limitino, nel tempo o in altro modo, la capacità dell’Unione di applicare nei confronti degli esportatori armeni norme antidumping che deroghino all’accordo antidumping sulla base del regime speciale e unilaterale dell’Unione di cui all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009. La ricorrente considera che la ricorrente nella suddetta causa non poteva invocare un protocollo di adesione che prevedeva limiti all’applicazione del trattamento dei paesi non retti da un’economia di mercato. La ricorrente fa poi valere che la sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74), del pari invocata dal Consiglio, è stata pronunciata prima della scadenza della deroga contenuta nel punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC. Pertanto, le questioni di diritto internazionale sollevate dai giudici del rinvio nei rispettivi procedimenti non possono rimettere in discussione le implicazioni dell’intenzione, manifestata dall’Unione, di rispettare i suoi obblighi derivanti dal protocollo di adesione della Cina all’OMC.

97      In primo luogo, occorre precisare che, come peraltro indicato dall’organo di appello dell’OMC nella sua relazione relativa alla controversia «Cina — misure relative all’esportazione di terre rare, tungsteno e molibdeno», adottata il 7 agosto 2014 (WT/DS 431/AB/R), il protocollo di adesione della Cina all’OMC costituisce una parte dell’insieme di accordi conclusi nell’ambito dell’OMC (in prosieguo: gli «accordi OMC»), senza che ciò sia contestato dalle parti.

98      In secondo luogo, occorre tuttavia ricordare che dalla giurisprudenza risulta che le disposizioni di un accordo internazionale di cui l’Unione sia parte possono essere invocate a sostegno di un ricorso di annullamento di un atto di diritto derivato dell’Unione o di un’eccezione di illegittimità di detto atto solo qualora, da una parte, la natura e l’economia generale dell’accordo in questione non vi ostino e, dall’altra parte, tali disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (v. sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht, da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 54 e giurisprudenza ivi citata; sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal, C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 37). Pertanto, dette disposizioni potranno essere fatte valere dinanzi al giudice dell’Unione come criterio di valutazione della legittimità di un atto dell’Unione solo qualora entrambe tali condizioni siano cumulativamente soddisfatte.

99      Per quanto riguarda gli accordi OMC, si deve ricordare che, come sottolineato dalla ricorrente, secondo giurisprudenza costante gli accordi OMC, tenuto conto della loro natura e della loro economia generale, non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione (sentenze del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio, C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 47; del 1o marzo 2005, Van Parys, C‑377/02, EU:C:2005:121, punto 39, e del 18 dicembre 2014, LVP, C‑306/13, EU:C:2014:2465, punto 44).

100    Tuttavia, in due situazioni la Corte ha riconosciuto, eccezionalmente, che al giudice dell’Unione spettava, se del caso, controllare la legittimità di un atto dell’Unione e degli atti adottati per la sua applicazione alla luce degli accordi OMC (v. sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 87 e giurisprudenza ivi citata). Si tratta dell’ipotesi, rilevata dalla ricorrente, in cui l’Unione abbia inteso dare esecuzione a uno specifico obbligo assunto nell’ambito di tali accordi (sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C‑69/89, EU:C:1991:186) e del caso in cui l’atto dell’Unione di cui trattasi rinvii in modo esplicito a precise disposizioni di detti accordi (sentenza del 22 giugno 1989, Fediol/Commissione, 70/87, EU:C:1989:254).

101    Per quanto riguarda la seconda eccezione menzionata al precedente punto 100, fissata dalla sentenza del 22 giugno 1989, Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254, punto 19), si deve ricordare che nessun articolo del regolamento n. 1225/2009 rinvia a una qualsiasi precisa disposizione degli accordi antidumping (v., in tal senso, sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 89, pronunciata in merito al regolamento n. 1225/2009, non comportando il regolamento 2016/1036 una differenza tale da giustificare una soluzione diversa).

102    Per quanto riguarda la prima eccezione menzionata al precedente punto 100, fissata dalla sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punto 31), si deve precisare che, secondo la Corte, sebbene il considerando 3 del regolamento n. 1225/2009 affermi che occorre trasporre per quanto possibile le norme dell’accordo antidumping dell’OMC nel diritto dell’Unione, tale espressione deve essere intesa nel senso che il legislatore dell’Unione, pur intendendo tener conto delle norme di detto accordo al momento dell’adozione del regolamento n. 1225/2009, non ha tuttavia manifestato la volontà di trasporre ciascuna di tali norme in detto regolamento (v., in tal senso, sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 90).

103    In terzo luogo, e per quanto concerne in particolare l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009, si deve rilevare che la Corte ha dichiarato che esso esprimeva la volontà del legislatore dell’Unione di adottare in tale ambito un approccio proprio dell’ordinamento giuridico dell’Unione, introducendo un regime speciale di norme dettagliate in materia di calcolo del valore normale per le importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato (v., in tal senso, sentenza del 4 febbario 2016, C & J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 91 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, non si può ritenere che detta disposizione del regolamento n. 1225/2009 costituisca una misura diretta a garantire, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, l’esecuzione di uno specifico obbligo assunto nell’ambito dell’OMC (sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal, C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punto 50).

104    Peraltro, la ricorrente, non avendo dimostrato che sono soddisfatte le condizioni di applicazione della giurisprudenza stabilite dalla sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punto 31), non può quindi neppure invocare il principio pacta sunt servanda, codificato all’articolo 26 della convenzione di Vienna, tenuto conto del mancato effetto diretto dell’accordo internazionale di cui essa contesta l’esecuzione in buona fede (sentenza del 3 febbraio 2005, Chiquita Brands e a./Commissione, T‑19/01, EU:T:2005:31, punti 247 e 248; v., del pari, sentenza del 14 dicembre 2005, Laboratoire du Bain/Consiglio e Commissione, T‑151/00, non pubblicata, EU:T:2005:450, punto 102 e giurisprudenza ivi citata).

105    Nel caso di specie, dall’insieme delle suesposte considerazioni discende che il Tribunale non può controllare la legittimità del regolamento impugnato alla luce del protocollo di adesione della Cina all’OMC.

106    Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dagli altri argomenti della ricorrente.

107    L’argomento della ricorrente secondo cui la sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494), concerneva un produttore con sede in Armenia, la cui situazione era diversa da quella della ricorrente a causa dell’assenza, nel protocollo di adesione dell’Armenia, di una disposizione simile al punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC, non può inficiare la conclusione di cui al precedente punto 105. Infatti, come ricordato al precedente punto 103, la Corte ha dichiarato che non si può ritenere che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009 costituisca una misura diretta a garantire nell’ordinamento giuridico dell’Unione l’esecuzione di uno specifico obbligo assunto nell’ambito dell’OMC. Tale constatazione è applicabile per quanto riguarda il protocollo di adesione della Cina all’OMC. In parallelo, la circostanza, invocata dalla ricorrente, secondo cui il Tribunale non può basarsi sulla sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74), in quanto essa sarebbe stata pronunciata prima della scadenza del termine previsto dal punto 15, lettera d), della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC, è irrilevante. Infatti, anche supponendo che gli obblighi assunti dall’Unione nell’ambito degli accordi OMC siano evoluti dalla data di pronuncia della sentenza di cui trattasi, ciò non può incidere sull’intenzione manifestata dal legislatore europeo al momento dell’adozione dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009.

108    La conclusione di cui al precedente punto 105 non può essere rimessa in discussione neanche dall’argomento della ricorrente secondo cui l’Unione si è formalmente impegnata a rispettare le specifiche norme del protocollo di adesione della Cina all’OMC, posto che è stato necessario che l’Unione approvasse in modo esplicito, sotto forma di decisione, tale protocollo. Infatti, come sostiene la Commissione, è sufficiente rilevare che la partecipazione della Commissione all’approvazione del protocollo di adesione della Cina all’OMC non può essere interpretata come una volontà del legislatore dell’Unione di eseguire uno specifico obbligo assunto nell’ambito delle norme dell’OMC. Un’interpretazione di tal genere priverebbe di contenuto l’eccezione fissata dalla sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punto 31).

b)      Sullinterpretazione conforme al diritto dellOMC dellarticolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009

109    Per quanto concerne l’interpretazione conforme al diritto dell’OMC dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009, in primis, la ricorrente sostiene che il diritto dell’Unione dev’essere interpretato, per quanto possibile, alla luce del diritto internazionale, in particolare allorché le disposizioni sono intese ad attuare un accordo internazionale concluso dall’Unione. Pertanto, la ricorrente afferma che la Commissione avrebbe dovuto interpretare l’espressione «su qualsiasi altra base equa» di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009 nel senso che le attribuisce potere discrezionale per calcolare il valore normale conformemente al metodo applicabile ai paesi a economia di mercato e, in tal modo, conformemente al diritto dell’OMC. Essa ritiene che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009 strutturi una gerarchia dei metodi di calcolo del valore normale per i paesi non retti da un’economia di mercato e sostiene che occorre anzitutto determinare il valore normale in base al prezzo o al valore costruito in un paese terzo a economia di mercato, poi in base al prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi, compresa l’Unione. Tuttavia, essa considera che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009 legittima la Commissione, qualora essa ritenga, in seguito a una riflessione, che tali metodi non siano possibili, a determinare il valore normale, nell’esercizio del potere discrezionale molto ampio di cui dispone, su qualsiasi altra base equa. Essa fa valere che, in forza di detta espressione, la Commissione avrebbe potuto considerare, tenuto conto degli obblighi giuridici internazionali dell’Unione e in particolare dei suoi obblighi nei confronti dell’OMC, che era impossibile determinare il valore normale basandosi sul metodo del paese di riferimento e che occorreva calcolare il valore normale in base ai costi e ai prezzi nazionali della ricorrente. A tal riguardo la ricorrente sostiene che il calcolo del valore normale in base ai costi di produzione o ai suoi prezzi nazionali era in pratica possibile.

110    In proposito, in primo luogo, occorre sottolineare che, invero, in applicazione di una giurisprudenza costante, le norme dell’Unione devono essere interpretate, per quanto possibile, alla luce del diritto internazionale, in particolare quando siffatte norme mirano proprio ad attuare un accordo internazionale concluso dall’Unione (sentenze del 14 luglio 1998, Bettati, C‑341/95, EU:C:1998:353, punto 20, e del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio, C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 57).

111    Si deve ciononostante specificare che, come sottolineato al precedente punto 103, non si può ritenere che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009 costituisca una disposizione diretta ad attuare specifici obblighi nell’ambito degli accordi OMC. Infatti, tale disposizione fissa regole per il calcolo del valore normale che non trovano corrispondenza negli accordi OMC, i quali non contengono regole per il calcolo del valore normale per i paesi non retti da un’economia di mercato.

112    In secondo luogo, si deve rilevare che le istituzioni godono di un potere discrezionale riguardo alla determinazione del valore normale in paesi non aventi un’economia di mercato (sentenza del 27 ottobre 2011, Dongguan Nanzha Leco Stationery/Consiglio, C‑511/09 P, EU:C:2011:696, punto 33). Dalla giurisprudenza risulta che il metodo previsto all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009, consistente nel determinare il valore normale del prodotto in esame «su qualsiasi altra base equa», è un metodo sussidiario, applicabile quando le imprese sollecitate con sede in paesi di riferimento non sono disposte a collaborare all’inchiesta (sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland, C‑687/13, EU:C:2015:573, punto 56).

113    Dalle suesposte considerazioni discende, da un lato, che la Commissione non era tenuta a interpretare l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009 conformemente agli obblighi dell’Unione nell’ambito dell’OMC e, dall’altro lato, che l’interpretazione proposta dalla ricorrente priverebbe di contenuto il potere discrezionale che il legislatore ha inteso accordare alla Commissione con l’espressione «su qualsiasi altra base equa» contenuta all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento n. 1225/2009.

114    Considerato quanto precede, si deve dichiarare che la Commissione non era tenuta a interpretare l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009 alla luce del punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC.

115    Dalle conclusioni di cui ai precedenti punti 105 e 114 discende che la Commissione non è incorsa in un errore manifesto nell’applicare il metodo previsto dall’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009 per calcolare il valore normale nel caso di specie.

116    Le altre censure della ricorrente concernenti l’applicazione ratione temporis del punto 15 della parte I del protocollo di adesione della Cina all’OMC e le conseguenze derivanti dalla scadenza della deroga prevista al punto 15 della parte I di detto protocollo conformemente al diritto dell’OMC non possono inficiare la conclusione esposta al precedente punto 114.

117    Infatti, non costituendo il diritto dell’OMC né un parametro per il controllo della legittimità del regolamento impugnato né una norma alla luce della quale la Commissione deve interpretare l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009, le censure della ricorrente ad esso relative devono essere respinte in quanto inoperanti.

3.      Sul secondo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e su una motivazione insufficiente in merito alladeguamento del valore normale

118    Dal considerando 111 del regolamento impugnato si evince che «(…) a causa della mancanza di vendite del prodotto simile sul mercato interno di Taiwan il valore normale è stato calcolato conformemente all’articolo 2, paragrafi 3 e 6, del regolamento [n. 1225/2009]», «aggiungendo al costo medio di fabbricazione del prodotto pertinente le [spese generali, amministrative e di vendita] sostenute e il profitto realizzato sul mercato taiwanese durante il periodo dell’inchiesta».

119    Dal considerando 117 del regolamento impugnato risulta quanto segue:

«Tenendo conto del fatto che a Taiwan è stato possibile individuare solo un numero limitato di tipi di prodotto esportati nell’Unione dai produttori esportatori cinesi inclusi nel campione, la Commissione ha costruito il valore normale dei rimanenti tipi di prodotto basandosi sui costi di fabbricazione dei tipi di prodotto più somiglianti fabbricati a Taiwan in modo da garantire un confronto generale ed equo, fondato sui costi di fabbricazione adeguati per tenere conto:

a)      delle differenze a livello di materie prime utilizzate — in base a dati verificati sui costi dell’industria dell’Unione, secondo cui il costo degli accessori prodotti da tubi senza saldatura è da 2,12 a 2,97 volte maggiore del costo degli accessori prodotti da tubi saldati;

b)      delle differenze nel grado dell’acciaio — in base a dati verificati dell’industria dell’Unione, secondo cui viene effettuato un adeguamento del costo in funzione del grado di acciaio per i gradi di acciaio meno costosi utilizzati per fabbricare accessori da tubi saldati; tale adeguamento oscilla tra 1,49 e 3,60 volte, a seconda del grado d’acciaio impiegato;

c)      delle differenze [nella forma] — in base alle differenze di prezzo osservate nelle vendite degli esportatori cinesi, secondo cui la forma a gomito è considerata la più basilare e le altre forme (raccordi a T, riduttori, tappi e forme speciali) sono tra 1,08 e 1,74 volte più costose».

120    Dal considerando 118 del regolamento impugnato risulta che:

«Nelle osservazioni presentate dopo la divulgazione delle conclusioni provvisorie la CCCMC ha proposto una base alternativa per gli adeguamenti di cui alle lettere a) e b) e ha fornito al riguardo dati relativi ai mercati cinesi. Innanzi tutto, però, tali dati non sono verificati e in secondo luogo provengono da un paese non retto da un’economia di mercato. Il loro utilizzo sarebbe quindi contrario al metodo del paese di riferimento ai fini del calcolo del valore normale. L’argomentazione della CCCMC è stata pertanto respinta».

121    Nel suo secondo motivo, la ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione riguardante l’adeguamento del valore normale. Essa invoca altresì una motivazione insufficiente per quanto concerne l’adeguamento del valore normale. Tali due censure saranno di seguito esaminate in successione.

a)      Sulla ricevibilità di taluni argomenti della ricorrente

122    La Commissione sostiene che sia irricevibile l’argomento della ricorrente secondo cui l’utilizzo, da parte della Commissione, di dati cinesi al fine degli adeguamenti dei costi di produzione degli accessori per tubi per tener conto delle differenze nella forma [al considerando 117, lettera c), del regolamento impugnato] rimette in discussione il rigetto (al considerando 118 di detto regolamento) dei dati, relativi ai mercati cinesi, presentati dalla CCCMC per contestare gli adeguamenti dei costi di produzione di cui al considerando 117, lettere a) e b), del regolamento impugnato. Tale argomento sarebbe irricevibile ai sensi dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura. La Commissione specifica che la ricorrente non ha chiarito quale parte del regolamento impugnato era contestata da tale argomento e che pertanto esso non consentiva alla Commissione di difendersi.

123    In risposta a un quesito posto dal Tribunale in udienza, la Commissione ha tuttavia riconosciuto che la ricorrente, con il suo argomento citato al precedente punto 122, sosteneva in sostanza che la Commissione avrebbe dovuto utilizzare i dati provenienti dal mercato cinese e si è rimessa al prudente apprezzamento del Tribunale per quanto riguarda la decisione sulla ricevibilità di detto argomento.

124    A tal riguardo si deve constatare che, in effetti, l’argomento della ricorrente citato al precedente punto 122 può essere inteso così come proposto dalla Commissione, sicché esso dev’essere dichiarato ricevibile.

b)      Nel merito

1)      Sull’errore manifesto di valutazione riguardante l’adeguamento del valore normale

125    La ricorrente contesta il rifiuto, da parte della Commissione, al considerando 118 del regolamento impugnato, di tener conto degli elenchi dei prezzi dei tubi saldati e di quelli senza saldatura, applicati da alcuni produttori cinesi, presentati dalla CCCMC al fine di effettuare gli adeguamenti del costo di fabbricazione di taluni prodotti fabbricati a Taiwan per tenere conto delle differenze a livello di materie prime utilizzate [considerando 117, lettera a)] e delle differenze nel grado dell’acciaio [considerando 117, lettera b)] rispetto ai prodotti esportati verso l’Unione dai produttori cinesi. La ricorrente sostiene che l’utilizzo, da parte della Commissione, di dati relativi al costo di fabbricazione dell’industria dell’Unione per adeguare i costi di fabbricazione dei prodotti di Taiwan ha avuto l’effetto di moltiplicare il livello del margine di dumping attribuito alla ricorrente. Nella replica, la ricorrente ha rilevato che i dati relativi al mercato cinese presentati dalla CCCMC non miravano a stabilire i prezzi da utilizzare per la determinazione del valore normale a Taiwan, ma a fornire alla Commissione indicazioni in merito alla differenza relativa tra i costi dei tubi saldati e di quelli senza saldatura in quanto materie prime e a dimostrare che la differenza fatta valere dai produttori dell’Unione era eccessiva.  La ricorrente sostiene che i dati presentati dalla CCCMC concernevano prezzi delle materie prime utilizzate per la produzione di accessori per tubi, ossia tubi forniti ai produttori cinesi di accessori per tubi come materiale di produzione. Essa rileva che i produttori dell’Unione e la maggior parte dei produttori cinesi non fabbricano essi stessi il tubo madre ai fini della produzione dei loro accessori per tubi, e devono quindi acquistare tali materie prime come materiale di produzione. Pertanto, i dati presentati dalla CCCMC sarebbero direttamente rilevanti ai fini del calcolo dei costi di produzione dei produttori degli accessori per tubi nei mercati dell’Unione e della Cina. La ricorrente osserva che i dati presentati dalla CCCMC indicavano che il costo dei tubi senza saldatura era pari a 1,3 volte il costo dei tubi saldati, mentre la Commissione ha infine stabilito che il costo dei tubi senza saldatura era da 2,12 a 2,97 volte superiore al costo dei tubi saldati.

126    Si deve ricordare che, come risulta dal precedente punto 112, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale riguardo alla determinazione del valore normale per paesi non aventi un’economia di mercato (sentenza del 27 ottobre 2011, Dongguan Nanzha Leco Stationery/Consiglio, C‑511/09 P, EU:C:2011:696, punto 33).

127    Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’onere della prova dell’errore manifesto incombe alla parte ricorrente, che deve proporre elementi di prova concludenti a sostegno di quanto da essa affermato (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 1991, Nölle, C‑16/90, EU:C:1991:402, punto 17; v. del pari, in tal senso e per analogia, sentenze del 9 settembre 2010, Carpent Languages/Commissione, T‑582/08, non pubblicata, EU:T:2010:379, punto 57, e del 17 gennaio 2017, Cofely Solelec e a./Parlamento, T‑419/15, non pubblicata, EU:T:2017:8, punto 96).

128    Nel caso di specie, si deve quindi verificare se la ricorrente abbia proposto elementi di prova idonei a dimostrare che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nel calcolare il valore normale.

129    In primo luogo, la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione, di cui ai considerando 118 e 123 del regolamento impugnato, in base alla quale i dati presentati dalla CCCMC non erano verificati. La ricorrente rileva che tali dati, costituiti da tabelle contenenti i prezzi applicati da alcune imprese cinesi per diversi tubi saldati e senza saldatura, erano ricavati da listini ufficiali dei prezzi alla produzione, la cui autenticità poteva essere controllata. La ricorrente considera che la Commissione ha deciso di non verificare tali dati, sicché essa non può rigettarli facendo valere che essi non sono stati verificati. La ricorrente aggiunge che la CCCMC, nelle sue osservazioni sulle conclusioni definitive, ha fornito elementi di prova contenenti fatture verificate della ricorrente e di un altro produttore che ha collaborato.

130    Per quanto riguarda il secondo motivo di rigetto dei dati presentati dalla CCCMC, di cui al considerando 118 del regolamento impugnato, ossia il fatto che essi provenivano da un paese non retto da un’economia di mercato, la ricorrente ritiene che tale considerazione non possa giustificare un rigetto sistematico. La ricorrente sostiene che, nella sua relazione relativa alla controversia «Comunità europee – Misure antidumping definitive relative a determinati elementi di fissaggio in ferro o in acciaio originari della Cina», adottata il 15 luglio 2011 (WT/DS 397/AB/R, punto 289), l’organo di appello dell’OMC ha considerato che la Commissione non può rigettare elementi di prova cinesi presentati ai fini dell’adeguamento del valore normale, limitandosi a invocare il fatto che la Cina non ha lo status di paese a economia di mercato. La ricorrente aggiunge che, sebbene la relazione dell’organo di appello dell’OMC relativa alla controversia «Comunità europee – Misure antidumping definitive relative a determinati elementi di fissaggio in ferro o in acciaio originari della Cina», adottata il 15 luglio 2011 (WT/DS 397/AB/R, punto 289), riguardasse il confronto equo tra il valore normale e il prezzo all’esportazione ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 1225/2009 [sostituito dall’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento n. 2016/1036], e non gli adeguamenti del valore normale, le conclusioni contenute in tale relazione sono applicabili nel caso di specie, poiché l’unica ragione per cui la Commissione non ha preso in considerazione i dati presentati dalla CCCMC è la mancata provenienza di quest’ultimi da un’economia di mercato. La ricorrente fa altresì valere che, nella causa da cui ha avuto origine la sentenza del 1o giugno 2017, Changmao Biochemical Engineering/Consiglio (T‑442/12, EU:T:2017:372), la Commissione ha utilizzato prezzi cinesi per calcolare il valore normale di uno dei prodotti di cui trattavasi che non era fabbricato nel paese di riferimento, come avverrebbe nel caso di specie.

131    In secondo luogo, la ricorrente contesta alla Commissione, per quanto riguarda il considerando 124 del regolamento impugnato, di aver respinto i dati presentati dalla CCCMC in base al fatto che tali dati riguardavano prezzi e non costi di produzione. La ricorrente ritiene che la Commissione non abbia chiarito la differenza tra il costo di acquisto del produttore e il prezzo di vendita del fornitore.

132    In terzo luogo, la ricorrente sostiene che la stessa Commissione ha utilizzato dati cinesi ai fini dell’adeguamento del valore normale per tener conto delle differenze nella forma, in base alle differenze di prezzo osservate nelle vendite degli esportatori cinesi al considerando 117, lettera c), del regolamento impugnato. Essa fa valere che se i dati relativi ai prezzi di vendita in un paese non retto da un’economia di mercato sono attendibili ai fini degli adeguamenti al valore normale per quanto concerne le diverse forme di accessori per tubi, essi dovrebbero essere sufficientemente attendibili per calcolare differenze a livello di materie prime e nel grado di acciaio rilevanti nel considerando 117, lettere a) e b), del regolamento impugnato.

133    In quarto luogo, la ricorrente contesta alla Commissione di aver considerato, al punto 124 delle conclusioni definitive rivedute, che i produttori cinesi non avevano presentato alcun dato relativo al costo di produzione. La ricorrente ritiene che il termine di 22 giorni fissato per presentare osservazioni sulle conclusioni definitive non fosse sufficiente per fornire dati ulteriori a quelli in precedenza presentati dalla CCCMC, avendo essa appreso per la prima volta al momento della divulgazione di tali conclusioni che i dati presentati erano stati respinti dalla Commissione.

134    A tal riguardo si deve ricordare che, come rilevato nell’ambito dell’analisi del quinto motivo della ricorrente, la Commissione ha correttamente applicato, nel caso di specie, il metodo applicabile ai paesi non retti da un’economia di mercato. Nel contesto di tale metodo, nel quale la Commissione gode di ampio potere discrezionale, la Commissione non è tenuta a prendere in considerazione dati di paesi non retti da un’economia di mercato, ma deve basarsi sul «prezzo o [sul] valore costruito in un paese terzo ad economia di mercato oppure [sul] prezzo per l’esportazione da tale paese terzo ad altri paesi compresa [l’Unione], oppure, qualora ciò non sia possibile, su qualsiasi altra base equa, compreso il prezzo realmente pagato o pagabile nell’[Unione] per un prodotto simile».

135    Inoltre, occorre sottolineare che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 1225/2009 autorizza del pari la Commissione a utilizzare dati dell’industria dell’Unione, allorché dispone che la Commissione può basarsi sul «prezzo realmente pagato o pagabile nell’[Unione] per un prodotto simile».

136    Peraltro, si deve rilevare che dal considerando 118 del regolamento impugnato risulta che la provenienza dei dati presentati dalla CCCMC da un paese non retto da un’economia di mercato non ha costituito l’unico motivo di rigetto di tali dati. Tale rigetto si è altresì basato, come affermato al considerando 124 del regolamento impugnato, sulla circostanza che i dati presentati dalla CCCMC erano costituiti da prezzi di vendita di tubi, che non si possono ritenere adeguati ai fini del calcolo dei costi di produzione degli accessori per tubi.

137    Infine, si deve ricordare che la ricorrente non ha presentato alcuna richiesta volta a dimostrare che essa operava in condizioni di mercato in forza dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento n. 1225/2009.

138    I summenzionati elementi sono sufficienti per dichiarare che la Commissione non è incorsa in un errore manifesto di valutazione allorché ha rigettato i dati relativi al mercato cinese presentati dalla CCCMC ai fini degli adeguamenti ai costi di produzione chiariti al punto 117, lettere a) e b), del regolamento impugnato.

2)      Sulla motivazione insufficiente in merito all’adeguamento del valore normale

139    La ricorrente fa valere l’assenza di motivazione in merito agli adeguamenti dei costi di produzione contestati.

140    A tal riguardo occorre ricordare che, dal momento che un regolamento che istituisce dazi antidumping definitivi si inserisce nell’impianto sistematico di un complesso di misure, non si può esigere che la sua motivazione specifichi i diversi elementi di fatto e di diritto, talvolta molto numerosi e complessi, che ne sono oggetto, né che le istituzioni prendano posizione rispetto a tutti gli argomenti fatti valere dagli interessati. Al contrario, è sufficiente che l’autore dell’atto esponga i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia del regolamento contestato. Le istituzioni non sono tenute a motivare specificamente il fatto che non siano stati presi in considerazione i vari argomenti addotti dagli interessati. È sufficiente che il regolamento contenga una chiara giustificazione dei principali elementi intervenuti nella loro analisi, sempreché tale giustificazione sia idonea a chiarire i motivi per cui esse non hanno tenuto conto degli argomenti pertinenti fatti valere dalle parti nel corso del procedimento amministrativo. Inoltre, un regolamento che istituisce dazi antidumping a seguito di un procedimento d’inchiesta dev’essere motivato soltanto rispetto al complesso degli elementi di fatto e di diritto pertinenti ai fini della valutazione in esso svolta. La motivazione di tale atto non ha lo scopo di illustrare l’evoluzione della posizione delle istituzioni nel corso del procedimento amministrativo e non è dunque intesa a giustificare le divergenze tra la soluzione accolta nell’atto finale e la posizione provvisoria espressa nei documenti comunicati alle parti interessate durante questo procedimento al fine di consentire loro di comunicare le proprie osservazioni. Pertanto, tale obbligo non impone neppure alle istituzioni di spiegare sotto che profilo una posizione prospettata in una certa fase del procedimento amministrativo fosse eventualmente infondata (sentenza del 13 settembre 2010, Whirlpool Europe/Consiglio, T‑314/06, EU:T:2010:390, punti da 114 a 116).

141    Nel caso di specie, è sufficiente rilevare che dai considerando da 118 a 129 del regolamento impugnato risulta che la Commissione ha fatto apparire in modo chiaro e inequivocabile la motivazione del rigetto dei dati presentati dalla CCCMC.

142    Si deve dichiarare che la Commissione non è venuta meno all’obbligo di motivazione ad essa incombente per quanto riguarda l’adeguamento del valore normale.

143    Tenuto conto delle suesposte considerazioni, il secondo motivo dev’essere respinto.

4.      Sul terzo motivo, vertente su un errore manifesto di valutazione e su un abuso di potere in merito alla determinazione del periodo in esame

144    In via preliminare, è opportuno rilevare che il 10 novembre 2012, in seguito a una denuncia presentata dal comitato di difesa dell’industria degli accessori in acciaio inossidabile da saldare testa a testa dell’Unione europea, la Commissione ha avviato un’inchiesta antidumping distinta da quella di cui trattasi nel caso di specie (in prosieguo: la «precedente inchiesta»). Tale inchiesta è stata avviata mediante l’apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2012, C 342, pag. 2). Detta inchiesta è stata chiusa, in seguito al ritiro della denuncia, con la decisione 2013/440/UE della Commissione, del 20 agosto 2013, che chiude il procedimento antidumping riguardante le importazioni di accessori per tubi di acciaio inossidabile da saldare testa a testa, finiti o non finiti, originari della Repubblica popolare cinese e di Taiwan (GU 2013, L 223, pag. 75).

145    Si rammenta che dal considerando 43 del regolamento impugnato risulta che l’inchiesta in esame nel caso di specie «ha riguardato il periodo compreso tra il 1o ottobre 2014 e il 30 settembre 2015». Dal considerando 44 del regolamento impugnato emerge che «l’esame delle tendenze utili per la valutazione del pregiudizio ha riguardato il periodo tra il 1o gennaio 2012 e la fine del periodo dell’inchiesta».

146    Con il suo terzo motivo, la ricorrente sostiene che la Commissione avrebbe dovuto esaminare le tendenze utili per la valutazione del pregiudizio su un periodo che ha avuto inizio nel 2010, anziché nel 2012.

147    In primo luogo, la ricorrente riconosce che la prassi abituale della Commissione in materia di inchieste antidumping consiste nell’esaminare un periodo di quattro anni. Tuttavia, essa rileva che, durante l’inchiesta in esame nel caso di specie, la CCCMC ha cercato di convincere la Commissione a considerare un’estensione del periodo sottoposto ad esame affinché fosse incluso il periodo della precedente inchiesta. Essa fa valere in proposto che l’ampio potere discrezionale della Commissione in materia antidumping include anche la possibilità di discostarsi dalla prassi abituale quando ciò sia giustificato dalle circostanze dell’inchiesta in corso. Essa considera che le circostanze dell’inchiesta in esame giustificavano che la Commissione si discostasse dalla sua prassi abituale, poiché la Commissione aveva già svolto una parte rilevante della precedente inchiesta, la quale riguardava in larga misura il medesimo denunciante, il medesimo prodotto in esame, i medesimi produttori esportatori e i medesimi importatori, e disponeva senza dubbio già di tutti i dati di Eurostat raccolti e analizzati nel corso della precedente inchiesta. La ricorrente fa valere che, anche se l’inchiesta precedente è stata chiusa con la decisione 2013/440, in seguito al ritiro della denuncia, la Commissione ha in realtà chiuso detta inchiesta a motivo dell’insufficienza di elementi che provassero l’esistenza di un pregiudizio per l’industria dell’Unione. La ricorrente afferma che il rigetto della richiesta della CCCMC di estendere il periodo in esame costituisce un «abuso dell’ampio potere discrezionale» della Commissione e chiede al Tribunale di qualificare come insufficientemente motivate e illegittime le conclusioni della Commissione relative al periodo in esame e, di conseguenza, la sua determinazione definitiva del pregiudizio.

148    In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la CCCMC ha presentato, nel corso dell’inchiesta in esame, dati contenenti elementi di prova (basati su dati aggiornati di Eurostat) relativi alla fissazione dei prezzi e ai volumi di scambi dei due paesi interessati dall’inchiesta in esame nel caso di specie, riguardante un periodo iniziato nel 2010. Tali dati dimostrerebbero la stabilità complessiva dell’evoluzione dei prezzi e dei volumi delle importazioni durante il periodo iniziato nel 2010. Essa afferma che tali elementi sono stati presentati per dimostrare che i prezzi e i volumi delle importazioni non avevano subito alcun calo significativo rispetto al periodo oggetto della precedente inchiesta. Ciononostante, essa riconosce che, in effetti, se si esamina l’evoluzione degli scambi soltanto dal 2012, i prezzi all’importazione sembrano aver conosciuto un calo. Invece, se si esamina il periodo più lungo, la ricorrente afferma che è evidente che i prezzi all’importazione su tutto tale periodo sono rimasti molto stabili, dovendo costituire tale stabilità, a suo avviso, un elemento determinante nella valutazione del pregiudizio attuale e del nesso di causalità.

a)      Sulla ricevibilità del motivo

149    La Commissione fa valere che il terzo motivo della ricorrente è irricevibile in virtù dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura. La ricorrente non avrebbe esposto in modo coerente e comprensibile, nel ricorso, gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali l’azione è fondata per consentire alla parte convenuta di difendersi e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza il supporto di altre informazioni. La Commissione ricorda che l’atto introduttivo deve esporre esplicitamente il motivo sul quale il ricorso si basa e che la sua semplice enunciazione astratta non risponde alle prescrizioni del regolamento di procedura (sentenza dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T‑443/11, EU:T:2014:774, punto 66). Essa ricorda che, quando un motivo o una parte di un motivo è incomprensibile, dev’esserne dichiarata l’irricevibilità (sentenza dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T‑443/11, EU:T:2014:774, punto 135). La Commissione sostiene che la ricorrente non ha chiarito in cosa consistesse l’errore manifesto di valutazione o l’abuso di potere invocati nel titolo del terzo motivo. Essa rileva che la ricorrente non produce alcun elemento di prova a sostegno delle affermazioni formulate nell’ambito del terzo motivo, salvo per quanto riguarda la sua affermazione secondo cui è evidente che i prezzi all’importazione a partire dal 2010 sono rimasti molto stabili, rinviando a un allegato.

150    In alternativa, la Commissione fa valere che l’argomento della ricorrente menzionato al punto 80 del ricorso, relativo alla stabilità dei prezzi all’esportazione a partire dal 2010, è irricevibile in forza dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura. La Commissione rileva che la ricorrente, al fine di suffragare la sua affermazione secondo cui i prezzi all’importazione a partire dal 2010 sono rimasti molto stabili, rinvia in maniera generale a un allegato, ossia a un documento di 28 pagine, ma non specifica in alcun modo dove si trovino gli argomenti a sostegno della sua affermazione. A tal riguardo, essa richiama la giurisprudenza della Corte secondo cui non spetta al Tribunale ricercare e individuare, negli allegati e nelle memorie, i motivi sui quali, a suo parere, il ricorso dovrebbe essere fondato (sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 97 e 100, e dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 41). Requisiti analoghi vanno rispettati quando viene formulato un argomento a sostegno di un motivo sollevato dinanzi al Tribunale (sentenza del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione, C‑511/11 P, EU:C:2013:386, punto 115). Essa fa valere che un rinvio globale ad altri scritti, anche se allegati al ricorso, non può supplire alla mancanza degli elementi essenziali dell’argomentazione in diritto che devono figurare nel ricorso (v., in tal senso, sentenze del 28 giugno 2005, Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti da 94 a 100; del 13 giugno 2013, Versalis/Commissione, C‑511/11 P, EU:C:2013:386, punto 115, e dell’11 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 40).

151    Nel caso di specie, si deve anzitutto rilevare che, come risulta dai precedenti punti 147 e 148, la ricorrente ha esposto in modo sufficientemente chiaro, nell’atto introduttivo, gli argomenti sui quali si fonda il suo terzo motivo, sicché tale motivo non dev’essere dichiarato irricevibile sotto tale profilo.

152    Si deve poi rilevare che la ricorrente, al punto 80 del ricorso, rinvia effettivamente in maniera generale all’allegato A.11, come da essa peraltro confermato nella replica. Il fatto che essa indichi in fase di replica gli specifici elementi di detto allegato che sarebbero idonei, a suo parere, a corroborare le sue affermazioni non può supplire all’inadempimento, intervenuto in fase di presentazione del ricorso, dei requisiti di cui all’articolo 76 del regolamento di procedura (v. ordinanza del 9 gennaio 2015, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, T‑482/12, non pubblicata, EU:T:2015:19, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, il rinvio generale operato dalla ricorrente all’allegato A.11 dev’essere considerato irricevibile [v., in tal senso, sentenze del 22 giugno 2017, Biogena Naturprodukte/EUIPO (ZUM wohl), T‑236/16, EU:T:2017:416, punto 12, e del 9 marzo 2018, NORMOSANG, T‑103/17, non pubblicata, EU:T:2018:126, punto 25].

b)      Nel merito

153    In primo luogo, l’argomento della ricorrente secondo cui, anche se la precedente inchiesta è stata chiusa con la decisione 2013/440 in seguito al ritiro della denuncia, la Commissione ha in realtà chiuso detta inchiesta a motivo dell’insufficienza di elementi che provassero l’esistenza di un pregiudizio per l’industria dell’Unione, dev’essere dichiarato inoperante. Infatti, occorre rilevare che, come fatto valere dalla Commissione, non spetta al Tribunale analizzare, nell’ambito del ricorso in esame, argomenti riguardanti la precedente inchiesta, poiché le questioni relative alla determinazione o meno di un pregiudizio nell’ambito di detta inchiesta sono indipendenti dall’inchiesta in esame nel caso di specie e non sono idonee a determinare l’annullamento del regolamento impugnato.

154    In secondo luogo, per quanto riguarda l’errore manifesto fatto valere dalla ricorrente, si deve ricordare che spetta a quest’ultima proporre elementi di prova concludenti a sostegno di quanto da essa fatto valere (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 1991, Nölle, C‑16/90, EU:C:1991:402, punto 17; v. del pari, in tal senso e per analogia, sentenze del 9 settembre 2010, Carpent Languages/Commissione, T‑582/08, non pubblicata, EU:T:2010:379, punto 57, e del 17 gennaio 2017, Cofely Solelec e a./Parlamento, T‑419/15, non pubblicata, EU:T:2017:8, punto 96).

155    Dalla giurisprudenza risulta che l’inchiesta dev’essere condotta sulla base di informazioni il più possibile attuali, allo scopo di fissare dazi antidumping idonei a proteggere l’industria dell’Unione dalle pratiche di dumping (sentenze del 3 ottobre 2000, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, C‑458/98 P, EU:C:2000:531, punto 92; del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 66, e del 25 gennaio 2017, Rusal Armenal/Consiglio, T‑512/09 RENV, EU:T:2017:26, punto 119).

156    Orbene, nel caso di specie, la ricorrente non ha proposto alcun elemento di prova idoneo a giustificare che la Commissione si discosti dalla sua prassi abituale, consistente nel prendere in considerazione un periodo di quattro anni, e tenga conto di dati relativi a scambi a partire dal 2010.

157    Pertanto, si deve dichiarare che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione.

158    In terzo luogo, per quanto riguarda l’abuso di potere fatto valere dalla ricorrente, si deve rammentare che un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base a indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenza del 14 ottobre 2009, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑390/08, EU:T:2009:401, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

159    Nel caso di specie, la ricorrente non ha fornito elementi idonei a dimostrare che la Commissione, adottando il regolamento impugnato, perseguisse uno scopo diverso da quello di adottare misure antidumping nell’ambito del diritto dell’Unione. Pertanto, si deve respingere l’argomento vertente su un asserito abuso di potere da parte della Commissione.

160    In quarto luogo, per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui le affermazioni della Commissione relative al periodo in esame dovrebbero essere qualificate come insufficientemente motivate, occorre rinviare alla giurisprudenza citata al precedente punto 140.

161    Nel caso di specie, è sufficiente rilevare che la Commissione, al considerando 46 del regolamento impugnato, ha motivato il rigetto della richiesta di estendere il periodo in esame formulata da talune parti durante l’inchiesta antidumping.

162    L’argomento della ricorrente secondo cui le affermazioni dovrebbero essere qualificate come insufficientemente motivate dev’essere dichiarato infondato.

163    Dalle suesposte considerazioni risulta che il terzo motivo dev’essere respinto quanto alla sua fondatezza, senza che sia necessario pronunciarsi sulla sua operatività, del pari contestata dalla Commissione.

5.      Sul quarto motivo, vertente su una violazione dei principi di corretta amministrazione e di trasparenza, nonché dei diritti della difesa

164    Nel suo quarto motivo, la ricorrente fa valere che la Commissione non ha rispettato i principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di corretta amministrazione, il principio di trasparenza e i diritti della difesa. La ricorrente considera che la Commissione non ha rispettato i suoi diritti della difesa, in primo luogo, rifiutando di divulgare i dati relativi all’industria dell’Unione disponibili nella fase delle conclusioni provvisorie, in secondo luogo, stabilendo un termine di 22 giorni per la presentazione delle osservazioni sulle conclusioni definitive e, in terzo luogo, fissando un termine di due giorni lavorativi e mezzo per presentare osservazioni sulle conclusioni definitive rivedute del 25 novembre 2016, che contenevano informazioni rilevanti comunicate per la prima volta.

a)      Sullinosservanza dei principi di corretta amministrazione e di trasparenza invocati dalla ricorrente

165    La Commissione fa valere che l’argomento della ricorrente secondo cui la Commissione non ha rispettato i principi generali del diritto dell’Unione, quali il principio di corretta amministrazione e il principio di trasparenza, dev’essere dichiarato irricevibile in quanto la ricorrente non ha approfondito nel ricorso in cosa consistesse la violazione di tali principi. La Commissione rileva che, a norma dell’articolo 21, paragrafo 1, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’istanza deve contenere l’oggetto della controversia e i motivi della parte ricorrente. Essa indica che il Tribunale ha dichiarato che, affinché un ricorso sia ricevibile, la parte ricorrente doveva esporre in modo coerente e comprensibile, nell’atto introduttivo, gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali l’azione era fondata per consentire alla parte convenuta di difendersi e al Tribunale di pronunciarsi sul ricorso, eventualmente senza il supporto di altre informazioni. L’atto introduttivo deve, pertanto, chiarire esplicitamente il motivo sul quale il ricorso si basa e la semplice enunciazione astratta del motivo non risponde alle prescrizioni del regolamento di procedura. Secondo la Commissione, se un motivo o una parte di un motivo è incomprensibile, dev’essere respinto (v., in tal senso, sentenze dell’11 settembre 2014, Gold East Paper e Gold Huasheng Paper/Consiglio, T‑443/11, EU:T:2014:774, punto 66 e 135, e del 24 settembre 2015, Italia e Spagna/Commissione, T‑124/13 e T‑191/13, EU:T:2015:690, punto 33).

166    Ai sensi dell’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura, il ricorso deve contenere l’oggetto della controversia e un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Dalla giurisprudenza si evince che detta esposizione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la propria difesa e al giudice competente di pronunciarsi sul ricorso (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 1991, Grifoni/CEEA, C‑330/88, EU:C:1991:95, punto 18).

167    Nel caso di specie, occorre rilevare che, come sostenuto dalla Commissione, la ricorrente non ha sviluppato né chiarito in che cosa consistesse la violazione dei principi di corretta amministrazione e di trasparenza da essa invocata nel titolo del quarto motivo, di modo che tale argomento dev’essere respinto in quanto irricevibile.

b)      Sulla violazione dei diritti della difesa della ricorrente

168    Per quanto riguarda la violazione dei diritti della difesa dedotta dalla ricorrente, si deve anzitutto sottolineare che, come dichiarato al precedente punto 36, la ricorrente non può invocare dinanzi al Tribunale i diritti della difesa della CCCMC.

169    Occorre poi respingere la censura vertente sull’insufficiente termine concesso per presentare osservazioni sulle conclusioni definitive rivedute, in base alla motivazione esposta ai precedenti punti da 37 a 41.

170    Inoltre, per quanto riguarda la censura relativa alla mancata divulgazione dei dati concernenti l’industria dell’Unione disponibili nella fase delle conclusioni provvisorie, si deve rilevare, in primo luogo, che la ricorrente non ha dimostrato di aver essa stessa richiesto, nelle sue osservazioni sulle conclusioni provvisorie, che tali dati fossero divulgati, non essendo rilevante il riferimento fatto alle osservazioni della CCCMC alla luce della motivazione richiamata al precedente punto 169. In secondo luogo, la ricorrente non ha dimostrato che il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso se essa avesse potuto conoscere tali dati dalla fase delle conclusioni provvisorie anziché da quella delle conclusioni definitive. In considerazione della suesposta motivazione, si deve quindi respingere la censura in esame.

171    Infine, per quanto concerne la censura vertente sull’insufficiente termine concesso per la presentazione di osservazioni sulle conclusioni definitive, è sufficiente rilevare che il termine di ventidue giorni concesso dalla Commissione è ben superiore al termine minimo di dieci giorni prescritto, in tale contesto, dall’articolo 20, paragrafo 5, del regolamento 2016/1036, senza che le circostanze specifiche fatte valere dalla ricorrente siano in grado di rimettere in discussione la correttezza del procedimento a tal riguardo. Pertanto, la censura in esame dev’essere respinta.

172    Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve quindi respingere il quarto motivo in toto.

173    Ne discende che il ricorso dev’essere respinto.

IV.    Sulle spese

174    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

175    Conformemente all’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dagli Stati membri e dalle istituzioni che sono intervenuti nella causa restano a loro carico.

176    Nel caso di specie la Commissione ha chiesto la condanna della ricorrente alle spese. Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, occorre quindi accogliere le conclusioni della Commissione e condannarla alle spese. Inoltre, in quanto istituzione interveniente, il Consiglio sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Zhejiang Jndia Pipeline Industry Co. Ltd è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      Il Consiglio dell’unione europea sopporterà le proprie spese.

Kanninen

Calvo-Sotelo Ibáñez-Martín

Reine

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 19 settembre 2019.

Firme


Indice



*      Lingua processuale: l’inglese.