Language of document : ECLI:EU:T:2012:504

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

27 settembre 2012(*)

«Aiuti di Stato – Insediamento di un’impresa in taluni paesi terzi – Prestiti a tasso agevolato – Decisione che dichiara gli aiuti in parte incompatibili col mercato comune e ordina il loro recupero – Decisione adottata in seguito all’annullamento da parte del Tribunale della decisione iniziale riguardante lo stesso procedimento – Autorità del giudicato – Obbligo di motivazione»

Nella causa T‑257/10,

Repubblica italiana, rappresentata da P. Gentili e M. Fiorilli, avvocati dello Stato,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da V. Di Bucci e D. Grespan, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione 2011/134/UE della Commissione, del 24 marzo 2010, relativa all’aiuto di Stato C 4/03 (ex NN 102/02) al quale l’Italia ha dato esecuzione in favore di Wam SpA (GU 2011, L 57, pag. 29),

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto dai sigg. S. Papasavvas (relatore), presidente, V. Vadapalas e K. O’Higgins, giudici,

cancelliere: sig. J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 marzo 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        La Wam Industriale SpA (in prosieguo: la «Wam»), già Wam SpA, è una società italiana che progetta, produce e vende mescolatrici industriali usate principalmente nell’industria alimentare, chimica, farmaceutica e ambientale.

 Le misure in questione

2        L’articolo 2 della legge n. 394, del 29 luglio 1981 (GURI n. 206, del 29 luglio 1981; in prosieguo: la «legge n. 394»), concernente misure a sostegno delle esportazioni italiane, costituisce il fondamento normativo in virtù del quale le autorità italiane possono concedere finanziamenti agevolati a favore delle imprese esportatrici nel contesto di programmi di penetrazione commerciale negli Stati terzi.

3        Il 24 novembre 1995 le autorità italiane hanno deciso di concedere alla Wam un primo aiuto consistente in un prestito a tasso agevolato di ITL 2 281 485 000 (circa EUR 1,18 milioni) ai fini dell’attuazione di programmi di penetrazione commerciale in Giappone, in Corea del Sud e a Taiwan (in prosieguo: il «primo prestito»). A causa della crisi economica che ha colpito la Corea e Taiwan, i progetti non sono stati attuati in tali paesi. La Wam ha effettivamente ricevuto soltanto un prestito di ITL 1 358 505 421 (circa EUR 700 000) per sostenere i costi relativi alle strutture permanenti e le spese per la promozione commerciale in Estremo Oriente.

4        Il 9 novembre 2000 le stesse autorità hanno deciso di concedere alla Wam un secondo aiuto consistente in un altro prestito a tasso agevolato di ITL 3 603 574 689 (circa EUR 1,8 milioni) (in prosieguo: il «secondo prestito»). Il programma finanziato da tale prestito doveva essere attuato in Cina congiuntamente dalla Wam e dalla Wam Bulk Handling Machinery Shangai Co. Ltd, un’impresa locale controllata al 100% dalla Wam.

 La decisione del 2004

5        A seguito di una denuncia pervenuta nel 1999, relativa a presunti aiuti a favore della Wam, e di scambi di corrispondenza in proposito con le autorità italiane, la Commissione delle Comunità europee ha deciso, il 21 gennaio 2003, di avviare il procedimento d’indagine formale previsto dall’articolo 88, paragrafo 2, CE.

6        All’esito di tale procedimento, il 19 maggio 2004, la Commissione ha adottato la decisione 2006/177/CE, relativa all’aiuto di Stato C 4/03 (ex NN 102/02), al quale l’Italia ha dato esecuzione in favore di Wam SpA (GU 2006, L 63, pag. 11; in prosieguo: la «decisione del 2004»). In tale decisione, la Commissione ha ritenuto che il primo prestito ed il secondo prestito (in prosieguo, congiuntamente: i «prestiti in questione» o gli «aiuti in questione») costituissero aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, e che, non essendo stati previamente notificati, tali aiuti fossero illegittimi. La decisione del 2004 ordinava il recupero della parte di detti aiuti considerata incompatibile con il mercato comune.

 Le sentenze Wam I e Wam II

7        Con atti introduttivi depositati nella cancelleria del Tribunale rispettivamente il 22 luglio ed il 2 agosto 2004, la Repubblica italiana e la Wam hanno proposto ricorsi diretti, segnatamente, all’annullamento della decisione del 2004.

8        Con la sentenza del 6 settembre 2006, Italia e Wam/Commissione (T‑304/04 e T‑316/04, non pubblicata nella Raccolta; in prosieguo: la sentenza «Wam I»), il Tribunale ha accolto la censura, sollevata in entrambi i ricorsi, attinente all’insufficienza di motivazione della decisione impugnata con riferimento alle condizioni di applicazione dell’articolo 87, paragrafo 1, CE e, per l’effetto, ha annullato la decisione del 2004. Quanto al resto, i ricorsi sono stati invece respinti.

9        Con ricorso depositato nella cancelleria della Corte il 30 novembre 2006, la Commissione ha proposto impugnazione, diretta, segnatamente, all’annullamento della sentenza Wam I.

10      Con la sentenza del 30 aprile 2009, Commissione/Italia e Wam (C‑494/06 P, Racc. pag. I‑3639; in prosieguo: la sentenza «Wam II»), la Corte ha respinto l’impugnazione della Commissione.

 La decisione impugnata

11      Il 24 marzo 2010 la Commissione ha adottato la decisione 2011/134/UE, relativa all’aiuto di Stato C 4/03 (ex NN 102/02) al quale l’Italia ha dato esecuzione in favore di Wam SpA (GU 2011, L 57, pag. 29; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

12      Gli articoli 1 e 2 della decisione impugnata hanno il seguente tenore:

«Articolo 1

Gli aiuti concessi a Wam (…) a norma della legge [n. 394] rientrano nel campo d’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, del TFUE.

Detti aiuti non sono stati preventivamente notificati alla Commissione, in violazione dell’articolo (…) 108, paragrafo 3, [TFUE] e costituiscono pertanto aiuti illegittimi, fatta eccezione per la parte di aiuto esentato in base ad un’esenzione per categoria.

Articolo 2

1. L’aiuto di importo pari a 108 165,10 EUR che l[a Repubblica italiana] ha concesso a Wam (…) il 24 novembre 1995 sotto forma di misura di aiuto sui tassi d’interesse costituisce un aiuto di Stato. La parte di tale aiuto corrispondente ai costi ammissibili relativi a servizi di consulenza, partecipazione a fiere ed esposizioni e studi di mercato, equivalente a 6 489,906 EUR costituisce un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno.

L[a Repubblica italiana] adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare dal beneficiario, Wam (…), l’importo di aiuto incompatibile, equivalente a 101 675,194 EUR.

2. L’aiuto di importo pari a 176 329 EUR che l[a Repubblica italiana] ha concesso a Wam (…) il 9 novembre 2000 sotto forma di misura di aiuto sui tassi di interesse costituisce un aiuto di Stato. La parte di tale aiuto corrispondente ai costi ammissibili relativi a misure di formazione, equivalente a 2 380,44 EUR, costituisce un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno.

L[a Repubblica italiana] adotta tutti i provvedimenti necessari per recuperare dal beneficiario, Wam (…), l’importo di aiuto incompatibile, equivalente a 173 948,56 EUR.

3. Gli interessi sugli importi da recuperare in base alla presente decisione sono calcolati dalla data in cui gli aiuti di Stato incompatibili sono stati messi a disposizione del beneficiario, Wam (…), fino all’effettivo recupero.

(…)».

 Procedimento e conclusioni delle parti

13      Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 giugno 2010, la Repubblica italiana ha proposto il presente ricorso.

14      Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’articolo 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto per iscritto un quesito alle parti, al quale queste ultime hanno risposto nel termine impartito.

15      All’udienza del 28 marzo 2012, le parti sono state ascoltate nelle loro difese e nelle loro risposte ai quesiti posti dal Tribunale.

16      La Repubblica italiana chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

17      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la Repubblica italiana alle spese.

 In diritto

18      A sostegno del proprio ricorso, la Repubblica italiana deduce nove motivi, vertenti:

–        su una violazione dell’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento (CE) n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [108 TFUE] (GU L 83, pag. 1) e del principio del ne bis in idem;

–        su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE e degli articoli 4, 6, 7, 10, 13 e 20 del regolamento n. 659/1999;

–        su una violazione dell’autorità del giudicato;

–        su una violazione dell’articolo 296, paragrafo 2, TFUE;

–        su una violazione del principio del contraddittorio, dell’articolo 20 del regolamento n. 659/1999, e su un difetto di istruttoria;

–        su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE, dell’articolo 7, paragrafo 5, e dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999, e del principio della tutela del legittimo affidamento;

–        su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), e dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione, del 15 dicembre 2006, relativo all’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] agli aiuti d’importanza minore (de minimis) (GU L 379, pag. 5), dell’autorità del giudicato, e sulla contraddittorietà della decisione impugnata;

–        su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 3, lettere c) ed e), TFUE e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento (CE) n. 70/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001, relativo all’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] agli aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese (GU L 10, pag. 33);

–        su una violazione dell’articolo 14 del regolamento n. 659/1999 e del principio di proporzionalità.

19      Il Tribunale ritiene sia opportuno, nel caso di specie, esaminare, nell’ordine, il sesto, il primo, il secondo, il quinto, il quarto, il terzo, il settimo, l’ottavo ed il nono motivo.

 Sul sesto motivo, vertente su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE, dell’articolo 7, paragrafo 5, e dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999, e del principio della tutela del legittimo affidamento

20      Con tale motivo, la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ammette, al punto 101 della decisione impugnata, che le autorità italiane le avevano notificato il fondamento normativo degli aiuti in questione, nella fattispecie la legge n. 394, e che era stata informata dell’esistenza di quest’ultima, ma che tuttavia essa non chiarisce perché queste comunicazioni non si possono ritenere conformi all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. La Commissione non avrebbe dunque precisato perché gli aiuti dovessero essere considerati illegittimi e da recuperare, né ha chiarito perché non sussistesse un legittimo affidamento della Repubblica italiana sull’eseguibilità del regime in questione. A suo dire, le informazioni erano complete e consentivano alla Commissione di chiedere chiarimenti integrativi.

21      Al riguardo, si deve rilevare, in limine, che con il suo argomento la Repubblica italiana censura, in sostanza, sia la motivazione della decisione impugnata sia la fondatezza dei suoi motivi per quanto attiene alla valutazione della Commissione relativa all’assenza di notificazione conforme all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, della legge n. 394.

22      In primo luogo, per quanto riguarda la motivazione della decisione impugnata quanto alla valutazione della Commissione relativa all’assenza di notificazione conforme all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, della legge n. 394, si deve sottolineare che, contrariamente a quanto asserito dalla Repubblica italiana, la Commissione ha indicato in tale decisione i motivi per i quali essa riteneva che il regime istituito dalla legge n. 394 dovesse essere dichiarato illegittimo per omessa notificazione. Nella decisione impugnata, infatti, la Commissione ha rilevato, al punto 101, che le autorità italiane avevano dichiarato che la legge n. 394 le era stata notificata così come all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Essa ha precisato, al punto 102, che le autorità italiane si riferivano, a tal proposito, alla comunicazione di alcuni dati, estremamente sintetici, relativi al regime di aiuti in questione, in una tabella che le era stata trasmessa, indirizzati al comitato sovvenzioni dell’OMC o nel quadro della relazione annuale sugli aiuti di Stato nell’Unione europea, a partire almeno dalla sesta relazione, nel 1996. Detto regime, secondo il medesimo punto, è stato portato a conoscenza della Commissione nell’ambito della sua indagine sui regimi nazionali di sostegno agli investimenti diretti all’estero in vigore negli Stati membri. La Commissione ha considerato, peraltro, al punto 103, che tali tipi di comunicazione non potevano essere ritenuti conformi all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. Essa ha concluso, al punto 104, che, non essendole stato notificato preventivamente affinché essa potesse valutarne la compatibilità con le regole in materia di aiuti di Stato, il regime di aiuti in questione era entrato in vigore in violazione di tale articolo ed era di conseguenza illegittimo.

23      Si deve necessariamente constatare, pertanto, che i motivi che hanno indotto la Commissione a dichiarare illegittimo il regime istituito dalla legge n. 394 risultano chiaramente dai punti 101‑104 della decisione impugnata. In particolare, il combinato disposto di tali punti consente di comprendere che, proprio a motivo del carattere sintetico dei dati che le erano stati trasmessi, la Commissione ha ritenuto che le comunicazioni che aveva ricevuto della legge n. 394 non potessero essere considerate come valida notifica e che, dal momento che non era stato preventivamente notificato, il regime istituito da tale legge fosse illegittimo.

24      In secondo luogo, per quanto riguarda la fondatezza dei motivi della decisione impugnata quanto alla valutazione della Commissione relativa all’assenza di notificazione conforme all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, della legge n. 394, si deve ricordare che l’oggetto di tale disposizione non costituisce un semplice obbligo di notifica, bensì un obbligo di previa notifica che, in quanto tale, comporta ed implica l’effetto sospensivo sancito dall’ultima frase di tale paragrafo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 22 giugno 2000, Francia/Commissione, C‑332/98, Racc. pag. I‑4833, punto 32). Orbene, nel caso di specie, nessun elemento consente di ritenere che la legge n. 394 sia stata oggetto di una comunicazione previa alla sua attuazione, come prescritto dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. In udienza, peraltro, la Repubblica italiana ha confermato, in risposta ad un quesito del Tribunale, che ciò non era avventuo. Ciò premesso, si deve considerare che la Commissione ha correttamente ritenuto che il regime istituito dalla legge n. 394 fosse entrato in vigore in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE e fosse conseguentemente illegittimo, senza che sia necessario esaminare se il contenuto delle successive comunicazioni di tale legge di cui la Commissione aveva potuto venire a conoscenza permettesse di qualificarle come notifiche. Infatti, anche ammettendo che tali comunicazioni possano essere considerate sufficientemente precise e conformi ai requisiti formali imposti dalla giurisprudenza [v., a tal proposito, sentenze del Tribunale del 15 settembre 1998, BMF e EFIM/Commissione, T‑126/96 e T‑127/96, Racc. pag. II‑3437, punto 47, e del 5 agosto 2003, P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione, T‑116/01 e T‑118/01, Racc. pag. II‑2957, punto 64], il che è contestato nel caso di specie, resta comunque il fatto che esse sono successive all’entrata in vigore della legge n. 394 e che esse non soddisfano quindi il requisito della previa notifica derivante dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. A tal proposito, si deve constatare che una presa di conoscenza da parte della Commissione successiva all’entrata in vigore di tale legge non può ovviare all’assenza di previa notifica, dal momento che quest’ultima è l’unica in grado di assicurare il rispetto dell’effetto sospensivo derivante dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

25      Quanto alla circostanza, invocata dalla Repubblica italiana nella replica, secondo la quale le comunicazioni della legge n. 394 avvennero in epoca anteriore all’erogazione degli aiuti in questione, essa è ininfluente nel caso di specie. Tale circostanza, infatti, non consente di confutare il fatto che né tale legge (v. punto 24 supra), né detti aiuti (v. punto 27 infra) sono stati oggetto di notifica previa alla loro entrata in vigore, conformemente all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

26      Si deve infine rilevare che, anche ammettendo che, come sostenuto dalla Repubblica italiana nella replica, le comunicazioni in questione possano essere considerate inquadrabili in quelle previste dall’articolo 21 del regolamento n. 659/1999, cioé in quelle relative alle relazioni annuali sui regimi di aiuti esistenti, nulla consente di ritenere che esse fossero equivalenti ad una notifica conforme all’articolo 2 di detto regolamento e all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. Al contrario, non avendo il medesimo oggetto né il medesimo obiettivo, la trasmissione delle relazioni annuali non può valere come notifica di misure di aiuto preventiva alla loro esecuzione conformemente all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

27      Ne consegue che il regime istituito dalla legge n. 394 non è stato validamente notificato alla Commissione ed è pertanto illegittimo. Gli aiuti in questione, che sono stati concessi sulla base di tale legge e che non sono stati oggetto di notifica preventiva alla loro entrata in vigore, come dichiarato dalla Commissione al punto 132 della decisione impugnata e come riconosciuto dalla Repubblica italiana in udienza in risposta ad un quesito del Tribunale, devono di conseguenza essere del pari considerati illegittimi, come risulta dal punto 104 di detta decisione. La Commissione poteva pertanto legittimamente ordinarne il recupero, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999, nella parte in cui essi erano incompatibili con il mercato comune.

28      Quanto all’asserita violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, si deve ricordare che, in forza dell’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, applicabile al procedimento dinanzi al Tribunale ai sensi dell’articolo 53, primo comma, del medesimo Statuto, nonché dell’articolo 44, paragrafo 1, lettera c), del regolamento di procedura, ogni ricorso deve contenere l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Secondo una costante giurisprudenza, affinché un ricorso sia ricevibile, occorre che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si fonda emergano, per lo meno sommariamente, ma in modo coerente e comprensibile, dal testo dell’atto di ricorso stesso (v. sentenza del Tribunale del 17 settembre 2007, Microsoft/Commissione, T‑201/04, Racc. pag. II‑3601, punto 94 e giurisprudenza ivi citata). Nel caso di specie, si deve dichiarare che la violazione del principio della tutela del legittimo affidamento è eccepita unicamente nel titolo del motivo in esame e che, nel ricorso, la Repubblica italiana non invoca alcun argomento diretto a suffragarla in modo specifico. L’allegazione in questione deve pertanto essere respinta in quanto irricevibile.

29      In ogni caso, anche ammettendo che, con il suo argomento, la Repubblica italiana intenda invocare il legittimo affidamento del beneficiario dell’aiuto o il proprio, la violazione dedotta dovrebbe essere respinta. Si deve, infatti, ricordare che uno Stato membro le cui autorità abbiano concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all’articolo 108 TFUE non può, in linea di principio, invocare il legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all’obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell’esecuzione di una decisione della Commissione con cui quest’ultima gli ordini di recuperare l’aiuto. Ammettere una possibilità siffatta significherebbe, infatti, privare di effetto utile le disposizioni di cui agli articoli 107 TFUE e 108 TFUE, in quanto le autorità nazionali potrebbero far valere in tal modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l’efficacia delle decisioni emanate dalla Commissione in virtù di tali disposizioni del Trattato FUE (v. sentenza della Corte del 9 giugno 2011, Diputacion Foral de Vizcaya e a./Commissione, da C‑465/09 P a C‑470/09 P, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 150 e giurisprudenza ivi citata). Lo stesso dicasi, a fortiori, per uno Stato membro che invochi un proprio legittimo affidamento allorché non abbia rispettato l’obbligo di notifica previsto dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE (v., in tal senso, sentenza Diputacion Foral de Vizcaya e a./Commissione, cit., punto 151). Si deve aggiungere, infine, che nell’ambito dell’esame di un argomento vertente sul principio della tutela del legittimo affidamento, la Corte ha statuito che, qualora un aiuto di Stato non sia stato notificato alla Commissione, l’inerzia di quest’ultima rispetto a tale aiuto è irrilevante (sentenza Diputacion Foral de Vizcaya e a./Commissione, cit., punto 102), sicché la Repubblica italiana sostiene a torto, nella replica, che il legittimo affidamento possa sorgere dall’asserita inerzia della Commissione.

30      Dal complesso delle considerazioni che precedono discende che il motivo in esame dev’essere respinto.

 Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento n. 659/1999 e del principio del ne bis in idem

31      Con il motivo ora in esame, la Repubblica italiana sostiene che, anche ammettendo che gli aiuti in questione non siano stati notificati alla Commissione, quest’ultima ne era comunque pienamente a conoscenza dal momento in cui aveva avviato il procedimento d’indagine formale. Di conseguenza, dopo l’annullamento della decisione del 2004, la Commissione non avrebbe potuto adottare una nuova decisione relativa a detti aiuti, in quanto era decorso il termine di due mesi di cui all’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento n. 659/1999, entro il quale essa avrebbe dovuto agire. Gli aiuti dovrebbero quindi essere considerati notificati e tacitamente autorizzati. In subordine, la Commissione avrebbe dovuto quantomeno aprire un nuovo procedimento d’indagine formale entro due mesi dalla sentenza Wam II.

32      A tal proposito, si deve ricordare che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 659/1999, le decisioni di cui ai paragrafi 2, 3 e 4 di detto articolo devono essere adottate entro due mesi. Tale termine inizia a decorrere dal giorno successivo a quello di ricezione di una notifica completa. La notifica è ritenuta completa se entro due mesi dalla sua ricezione, o dalla ricezione di ogni informazione supplementare richiesta, la Commissione non richiede ulteriori informazioni. Il termine può essere prorogato con il consenso della Commissione e dello Stato membro interessato. Se opportuno, la Commissione può fissare scadenze più ravvicinate.

33      In forza dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 659/1999, se la Commissione non provvede ad adottare una decisione ai sensi dei paragrafi 2, 3 o 4 di detto articolo entro il termine stabilito al paragrafo 5, si ritiene che l’aiuto sia stato da essa autorizzato. Lo Stato membro interessato, dopo averne informato la Commissione, può quindi attuare le misure in questione, a meno che la Commissione non adotti una decisione a norma di tale articolo entro quindici giorni lavorativi dalla ricezione di tale notifica.

34      Nel caso di specie, si deve innanzitutto ricordare che, come dichiarato nell’ambito dell’esame del sesto motivo (v. punto 27 supra), gli aiuti in questione non sono stati notificati alla Commissione conformemente all’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

35      Orbene, il principio sancito dall’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 659/1999, secondo il quale l’aiuto deve considerarsi autorizzato dalla Commissione qualora quest’ultima non abbia preso posizione entro il termine impartito dal paragrafo 5 del medesimo articolo, può essere invocato solo con riferimento a un aiuto notificato in conformità al procedimento previsto dall’articolo 108, paragrafo 3, TFUE. Esso non trova applicazione nell’ambito di un procedimento avviato dalla Commissione con riferimento a un aiuto non notificato [v., in tal senso, sentenza P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione, punto 24 supra, punto 217].

36      La circostanza invocata dalla Repubblica italiana che la Commissione fosse pienamente a conoscenza dal momento in cui ha avviato il procedimento d’indagine formale è inconferente a tal proposito, dato che essa non può compensare il fatto che gli aiuti in questione non erano stati notificati previamente alla loro attuazione e che tale notifica è un requisito per l’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 6, del regolamento n. 659/1999.

37      Si deve infine ricordare che, secondo costante giurisprudenza, qualora un aiuto di Stato non sia stato notificato alla Commissione, l’inerzia di quest’ultima rispetto a tale aiuto è irrilevante (v. sentenza Diputacion Foral de Vizcaya e a./Commissione, punto 29 supra, punto 102 e giurisprudenza ivi citata).

38      Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana fondato sull’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento n. 659/1999, secondo il quale la Commissione era pienamente a conoscenza degli aiuti in questione dal momento in cui ha avviato il procedimento d’indagine formale e, non avendo preso posizione in merito entro il termine di due mesi a partire da tale data, detti aiuti dovrebbero essere considerati tacitamente autorizzati.

39      Quanto all’argomento, sollevato in subordine dalla Repubblica italiana, secondo il quale la Commissione avrebbe dovuto quantomeno aprire un nuovo procedimento entro due mesi dalla sentenza Wam II, esso dev’essere del pari respinto, dal momento che gli aiuti in questione non sono stati notificati [v., in tal senso, sentenza P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione, punto 24 supra, punto 218]. Del resto, come sarà dichiarato nell’ambito dell’esame del secondo motivo (v. punti 44‑61 infra), l’esecuzione delle sentenze Wam I e Wam II non imponeva alla Commissione di riassumere integralmente il procedimento previsto all’articolo 108 TFUE.

40      Infine, per quanto riguarda la censura vertente sulla violazione del principio del ne bis in idem, si deve dichiarare che, nel ricorso, la Repubblica italiana non sviluppa a suo sostegno alcun argomento autonomo rispetto agli argomenti relativi alla violazione dell’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento n. 659/1999, i quali sono stati respinti al punto 38 supra. Essa dev’essere pertanto del pari respinta.

41      In ogni caso, tale principio, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione di cui il giudice garantisce il rispetto e che vieta di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico (sentenza della Corte del 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./Commissione, C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Racc. pag. I‑123, punto 338), dev’essere applicato in presenza di sanzioni ad un comportamento illegittimo. Orbene, nel caso di specie, non si può ritenere che la decisione impugnata infligga una sanzione, nemmeno nella parte in cui impone il recupero della parte degli aiuti in questione considerata incompatibile con il mercato comune. Poiché il recupero mira, infatti, solo al ripristino della situazione precedente legittima, esso non può in via di principio essere considerato una sanzione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 17 giugno 1999, Belgio/Commissione, C‑75/97, Racc. pag. I‑3671, punto 65). Quanto all’argomento, sollevato in sede di replica, secondo il quale la violazione del principio del ne bis in idem si baserebbe non sul presupposto che la decisione impugnata impone una sanzione, bensì sul fatto che essa esamina nuovamente l’intera vicenda e non si limita ad integrare il difetto di motivazione della decisione del 2004, esso dev’essere respinto. Anche ammettendo, infatti, che detto principio debba essere applicato nel caso di specie, è sufficiente ricordare che, poiché il Tribunale, nella sua sentenza Wam I, ha annullato la decisione del 2004, per difetto di motivazione, la Commissione, adottando la decisione impugnata al fine di correggere tale difetto di motivazione, non ha né sanzionato né perseguito due volte i medesimi fatti (v., in tal senso, sentenza della Corte del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Racc. pag. I‑8375, punti 61‑63). Il fatto che la decisione impugnata esamini l’intera vicenda e non si limiti ad integrare la motivazione della decisione del 2004 è, a tal proposito, irrilevante, come sarà dichiarato nell’ambito del secondo motivo (v. punti 44‑61 infra).

42      Alla luce di quanto precede, il motivo in esame dev’essere respinto in quanto infondato.

 Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE e degli articoli 4, 6, 7, 10, 13 e 20 del regolamento n. 659/1999

43      Con il secondo motivo, la Repubblica italiana afferma che la decisione impugnata avrebbe dovuto essere adottata previo esperimento di un procedimento d’indagine formale che consentisse il contraddittorio con lo Stato membro e con i soggetti interessati. A suo avviso, il procedimento avrebbe dovuto essere riaperto, in quanto i punti rispetto ai quali le sentenze Wam I e Wam II avevano rilevato l’insufficienza o, addirittura, l’inesistenza della motivazione, presentavano un carattere sostanziale, implicando il riesame dell’incidenza sugli scambi tra Stati membri e della possibile distorsione della concorrenza, nonché delle questioni correlate, fra le quali, in particolare, quelle dell’interdipendenza e della struttura concorrenziale dei mercati dell’Unione e dei paesi terzi. Il procedimento avrebbe dovuto essere riaperto anche perché la decisione impugnata non costituiva una mera integrazione della decisione del 2004 nelle parti in cui questa era stata ritenuta carente dalle sentenze Wam I e Wam II, ma, al contrario, una decisione integralmente nuova, che riesamina, nel merito, i provvedimenti in questione, sostituendosi alla decisione del 2004. Ciò sarebbe dimostrato, in particolare, dalla motivazione della decisione impugnata e dal fatto che la Commissione ha valutato nuovi elementi istruttori, inesistenti all’epoca della decisione del 2004 e, segnatamente, uno studio del 2009 (in prosieguo: lo «studio del 2009»).

44      A tal proposito, si deve ricordare che il procedimento diretto a sostituire un atto illegittimo che è stato annullato può essere ricominciato dal punto preciso in cui l’illegittimità si è verificata (v. sentenza della Corte del 3 ottobre 2000, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, C‑458/98 P, Racc. pag. I‑8147, punto 82 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del Tribunale del 9 luglio 2008, Alitalia/Commissione, T‑301/01, Racc. pag. II‑1753, punti 99 e 142).

45      Secondo costante giurisprudenza, l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente sugli atti preparatori (sentenza della Corte del 12 novembre 1998, Spagna/Commissione, C‑415/96, Racc. pag. I‑6993, punto 32; v. parimenti, in tal senso, sentenza della Corte del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, Racc. pag. I‑4023, punto 34). In particolare, l’annullamento di un atto che pone fine ad un procedimento amministrativo comprendente varie fasi non comporta necessariamente l’annullamento di tutto il procedimento precedente l’adozione dell’atto impugnato indipendentemente dai motivi, di merito o procedurali, della sentenza di annullamento (sentenze del Tribunale del 15 ottobre 1998, Industrie des poudres sphériques/Consiglio, T‑2/95, Racc. pag. II‑3939, punto 91, e Alitalia/Commissione, punto 44 supra, punto 100).

46      Pertanto, qualora, pur in presenza di atti istruttori che consentano un’analisi esauriente della compatibilità dell’aiuto, l’analisi operata dalla Commissione si riveli incompleta e comporti quindi l’illegittimità della decisione, il procedimento diretto a sostituire tale decisione può essere riassunto a questo punto procedendo a una nuova analisi degli atti istruttori (v., in tal senso, sentenza Spagna/Commissione, punto 45 supra, punto 34).

47      Nel caso di specie, l’illegittimità della decisione del 2004, dichiarata dal Tribunale nella sentenza Wam I e comportante l’annullamento di detta decisione, riguardava l’insufficienza di motivazione della medesima. In tale sentenza, il Tribunale si è, infatti, limitato a dichiarare che tale decisione non conteneva sufficienti elementi che consentissero di concludere nel senso che erano soddisfatti tutti i requisiti per l’applicazione dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, il che è stato confermato dalla Corte nella sua sentenza Wam II.

48      L’illegittimità della decisione del 2004 è pertanto intervenuta al momento dell’adozione di quest’ultima e non riguarda il procedimento ad essa precedente, in relazione al quale nessun elemento consente di concludere che esso sia stato, di per sé, inficiato da una qualsiasi illegittimità.

49      L’esecuzione delle sentenze Wam I e Wam II non imponeva pertanto alla Commissione di riassumere integralmente il procedimento previsto all’articolo 108 TFUE (v., in tal senso e per analogia, sentenza Spagna/Commissione, punto 45 supra, punto 34).

50      In tali condizioni la Commissione non ha errato, a seguito delle sentenze Wam I e Wam II, nel non avviare un nuovo procedimento d’indagine formale.

51      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione da alcuno degli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana.

52      Anzitutto, si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana vertente sul fatto che i punti rispetto ai quali le sentenze Wam I e Wam II avevano rilevato l’insufficienza della motivazione presentavano un carattere «sostanziale», implicando il riesame dell’incidenza sugli scambi tra Stati membri e della distorsione della concorrenza, nonché delle questioni correlate, fra le quali, in particolare, quelle dell’interdipendenza e della struttura concorrenziale dei mercati dell’Unione e dei paesi terzi, nonché l’argomento secondo il quale l’annullamento di un atto per difetto di motivazione evidenzia una «carenza sostanziale» del procedimento, ovvero l’insufficiente esame degli elementi di fatto e di diritto che la Commissione avrebbe dovuto tenere presenti.

53      L’obbligo di motivazione costituisce, infatti, una forma sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, attinente alla legittimità nel merito dell’atto controverso (sentenze della Corte del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, Racc. pag. I‑1719, punto 67; del 22 marzo 2001, Francia/Commissione, C‑17/99, Racc. pag. I‑2481, punto 35, e del 29 aprile 2004, Paesi Bassi/Commissione, C‑159/01, Racc. pag. I‑4461, punto 65; sentenza del Tribunale del 13 gennaio 2004, Thermenhotel Stoiser Franz e a./Commissione, T‑158/99, Racc. pag. II‑1, punto 97). Per verificare il rispetto dell’obbligo di motivazione non occorre pertanto che il Tribunale o la Corte esamini la legittimità nel merito dei motivi dedotti dalla Commissione per giustificare la sua decisione (sentenza del 22 marzo 2001, Francia/Commissione, cit., punto 38). Orbene, come si è già ricordato, la decisione del 2004 è stata annullata dalla sentenza Wam I, confermata dalla sentenza Wam II, unicamente a motivo dell’insufficienza della sua motivazione, dal momento che non consentiva di comprendere in quale misura gli aiuti controversi potevano incidere sugli scambi tra Stati membri e falsare o minacciare di falsare la concorrenza. In tali sentenze il giudice dell’Unione non si è pertanto pronunciato sulla legittimità nel merito dei motivi dedotti dalla Commissione per giustificare la sua decisione. Esso si è limitato a dichiarare che la Commissione non aveva rispettato l’obbligo di indicare nella decisione del 2004 gli elementi di fatto e di diritto sottesi alla giustificazione giuridica di tale decisione e le considerazioni che avevano condotto l’istituzione ad adottarla, senza per ciò stesso considerare che gli elementi presi in considerazione in tale decisione fossero erronei o che gli elementi di prova figuranti nel fascicolo della Commissione fossero insufficienti.

54      Si deve poi respingere l’argomento della Repubblica italiana secondo il quale avrebbe dovuto essere avviato un procedimento d’indagine formale, dal momento che la struttura della decisione impugnata dimostra che quest’ultima non costituiva una mera integrazione della decisione del 2004 nelle parti in cui questa era stata ritenuta carente dalle sentenze Wam I e Wam II, ma una decisione integralmente nuova. Da un lato, infatti, come rilevato al punto 49 supra, l’esecuzione delle sentenze Wam I e Wam II non imponeva alla Commissione di riassumere integralmente il procedimento previsto all’articolo 108 TFUE. Dall’altro, a motivo del suo annullamento da parte della sentenza Wam I, la decisione del 2004 è stata espunta retroattivamente dall’ordinamento giuridico dell’Unione e dev’essere considerata nulla e non avvenuta (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 13 dicembre 1995, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, T‑481/93 e T‑484/93, Racc. pag. II‑2941, punto 46). La Commissione non poteva quindi limitarsi ad integrare la motivazione contenuta nella decisione del 2004, ma doveva, al contrario, adottare una decisione integralmente nuova rispetto a quella del 2004, cosa che ha fatto adottando la decisione impugnata. Ne consegue che gli argomenti della Repubblica italiana volti a dimostrare che la decisione impugnata è una decisione totalmente nuova sono inconferenti.

55      Peraltro, gli elementi della decisione impugnata invocati dalla Repubblica italiana a sostegno di tale argomento non appaiono pertinenti in tale contesto.

56      In primo luogo, infatti, la circostanza per cui la decisione impugnata ripercorre i fatti ed analizza minutamente gli aiuti in questione, valuta nuovamente i medesimi e prende in considerazione aspetti che sono pertinenti nell’ambito di una decisione sugli aiuti di Stato, già presenti nella decisione del 2004, rappresenta soltanto l’adeguata esecuzione delle sentenze Wam I e Wam II, le quali imponevano alla Commissione di adottare una decisione sufficientemente motivata.

57      Lo stesso dicasi, in secondo luogo, quanto al fatto che la Commissione ha menzionato, nella decisione impugnata (punti 87‑91), circostanze richiamate nelle sentenze Wam I (punto 73) e Wam II (punti 16 e 17), relative al rafforzamento della posizione della Wam ed alla liberazione di risorse. La decisione impugnata, infatti, colma le lacune accertate nelle sentenze Wam I e Wam II relative a tali circostanze. In ogni caso, non si tratta di circostanze nuove, ma di considerazioni derivanti dall’analisi della Commissione, basate su elementi rispetto ai quali nulla consente di ritenere che non fossero noti nel momento in cui è stata adottata la decisione del 2004.

58      Per quanto riguarda, in terzo luogo, il fatto che la Commissione si sia riferita, nella decisione impugnata, al regolamento n. 1998/2006, è sufficiente rilevare che tale regolamento si fonda su princìpi sostanzialmente identici a quelli del regolamento (CE) n. 69/2001 della Commissione, del 12 gennaio 2001, relativo all’applicazione degli articoli [107 TFUE] e [108 TFUE] agli aiuti d’importanza minore («de minimis») (GU L 10, pag. 30), e del regolamento (CE) n. 70/2001, in relazione alla cui applicabilità la Repubblica italiana ha potuto presentare le sue osservazioni nel corso del procedimento d’indagine formale, segnatamente nella parte in cui escludono dal loro ambito di applicazione gli aiuti a favore delle attività di esportazione. Conseguentemente, non vi era necessità di procedere nuovamente ad una consultazione degli interessati o dello Stato membro (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 18 novembre 2004, Ferriere Nord/Commissione, T‑176/01, Racc. pag. II‑3931, punto 80, confermata dalla sentenza della Corte dell’8 maggio 2008, Ferriere Nord/Commissione, C‑49/05 P, non pubblicata nella Raccolta, punti 66‑84).

59      Per quanto riguarda, in quarto luogo, la menzione, nella decisione impugnata, dello studio del 2009, si deve rilevare che la Repubblica italiana sviluppa i relativi argomenti più in particolare nell’ambito del quinto motivo, al quale pertanto si rinvia.

60      Infine, per quanto riguarda gli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana nella replica, relativi al contenuto delle sentenze Wam I e Wam II, si deve rilevare che essi sono diretti sostanzialmente a reiterare l’argomento in base al quale il vizio di motivazione accertato nelle sentenze Wam I e Wam II aveva natura sostanziale. Orbene, tale argomento dev’essere respinto, come risulta dai punti 52 e 53 supra.

61      Riservandosi l’esame di cui al punto 59 supra, si deve respingere il secondo motivo.

 Sul quinto motivo, vertente su una violazione del principio del contraddittorio, dell’articolo 20 del regolamento n. 659/1999, e su un difetto di istruttoria

62      Con tale motivo, la Repubblica italiana deduce che la Commissione ha utilizzato nuovi elementi di prova inesistenti all’epoca in cui è stato condotto il procedimento d’indagine formale, nella fattispecie lo studio del 2009, dal quale essa ha tratto notizie sulla storia e sulla struttura del gruppo Wam nonché sulla concorrenza nei mercati rilevanti, di cui essa si è avvalsa nella decisione impugnata. La Commissione avrebbe dovuto quindi avviare un procedimento in contraddittorio con le autorità italiane e le parti interessate.

63      A tal proposito si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione. Tale principio esige che la persona a carico della quale la Commissione ha avviato un procedimento amministrativo sia stata messa in grado, durante detto procedimento, di far conoscere in modo efficace il suo punto di vista sulla realtà e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze addebitatile e sui documenti di cui si è servita la Commissione per suffragare le proprie asserzioni circa l’esistenza di una trasgressione del diritto dell’Unione (sentenza della Corte del 10 luglio 1986, Belgio/Commissione, 40/85, Racc. pag. 2321, punto 28; sentenze del Tribunale del 30 marzo 2000, Kish Glass/Commissione, T‑65/96, Racc. pag. II‑1885, punto 32, e del 6 marzo 2003, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein‑Westfalen/Commissione, T‑228/99 e T‑233/99, Racc. pag. II‑435, punto 121).

64      Nel caso di specie si deve necessariamente constatare che la Commissione si è riferita allo studio del 2009, in particolare ai punti 35, 36, 37, 85 e 86 della decisione impugnata, ma non ha chiesto alla Repubblica italiana di presentare le sue osservazioni sul medesimo.

65      Orbene, anche supponendo che, non consentendole di presentare le sue osservazioni sullo studio del 2009, la Commissione abbia violato i diritti della difesa della Repubblica italiana, una simile violazione non può comportare, nel caso di specie, un annullamento della decisione impugnata.

66      Affinché siffatta violazione comporti un annullamento, infatti, è necessario che, in mancanza di tale irregolarità, il procedimento possa sfociare in un risultato diverso (v., in tal senso, sentenza della Corte del 5 ottobre 2000, Germania/Commissione, C‑288/96, Racc. pag. I‑8237, punto 101 e giurisprudenza ivi citata).

67      Si deve ricordare che l’onere della prova a tal proposito grava sullo Stato membro interessato, dal momento che qualunque violazione dei diritti della difesa costituisce un vizio di forma, il quale richiede che l’interessato eccepisca l’effetto negativo specifico di tale omissione sui propri diritti soggettivi (v., in tal senso, sentenza del Tribunale dell’8 luglio 2004, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, T‑198/01, Racc. pag. II‑2717, punto 203).

68      Orbene, in primo luogo, si deve necessariamente constatare che gli argomenti della decisione impugnata che si riferiscono allo studio del 2009 non rappresentano il necessario fondamento della medesima e che le conclusioni della Commissione sono sufficientemente suffragate dagli altri argomenti contenuti nella medesima decisione. Da quest’ultima risulta infatti che la Commissione menziona tale studio soltanto al fine di apportare precisazioni ed esempi alle considerazioni relative alla presenza della Wam ed alla sua posizione sul piano della concorrenza, in particolare nel settore dei trasportatori a coclea per cemento e dei filtri depolveratori, sui mercati italiano, tedesco, del Regno Unito e francese, nonché rispetto alle sue filiali cinesi e giapponesi.

69      In secondo luogo si deve ricordare che gli argomenti addotti dalla Repubblica italiana nel ricorso e nella replica non consentono di dimostrare che, qualora quest’ultima avesse presentato le sue osservazioni sullo studio del 2009, la decisione impugnata sarebbe stata diversa. Innanzitutto, infatti, tali argomenti apportano precisazioni riguardanti, in sostanza, la struttura del mercato delle mescolatrici industriali, le differenze esistenti in funzione della tipologia di mescolatrice e la posizione della Wam su tale mercato. Orbene, si deve necessariamente constatare che, per dimostrare che la Wam si trovava in concorrenza, a livello nazionale, europeo e mondiale, con altre imprese dell’Unione, la Commissione si è altresì riferita al fatto che la Wam era del pari operante sui mercati dei trasportatori a coclea, delle coclee, dei filtri depolveratori e delle valvole per impianti industriali. Essa si è riferita in particolare alla situazione esistente nei mercati dei trasportatori a coclea per cemento e dei filtri depolveratori, come risulta dai punti 35 e 36 della decisione impugnata. In tale contesto, si deve rilevare che l’affermazione della Repubblica italiana secondo la quale, basandosi sullo studio del 2009, la Commissione ha affermato che la Wam deteneva una cospicua quota dei mercati italiano ed europeo dei filtri depolveratori e che la concorrenza in tali mercati era limitata a tre importanti produttori dell’Unione è irrilevante. Da un lato, infatti, la Repubblica italiana non ha dedotto alcun elemento che consenta di contrastare i dati apportati dalla Commissione in relazione alle quote di mercato della Wam sui mercati italiano ed europeo dei filtri depolveratori o dei trasportatori a coclea per cemento, di cui ai punti 35 e 36 della decisione impugnata. Alla luce di tali dati, la Commissione non ha errato nell’indicare, al punto 86, che la Wam deteneva «una cospicua quota di mercato sul mercato nazionale ed europeo». Dall’altro, la Commissione non ha dichiarato che il mercato dei filtri depolveratori contava unicamente tre importanti produttori, ma si è limitata ad indicare che nell’Unione vi erano «almeno» tre altri importanti produttori di filtri depolveratori. In tale contesto si deve in particolare rilevare che l’affermazione secondo la quale la Wam non è il produttore principale di mescolatrici in Europa non consente di contraddire l’affermazione, di cui al punto 86 della decisione impugnata, secondo la quale la Wam detiene una cospicua quota del mercato nazionale e di quello europeo. Detta affermazione, infatti, come risulta dai punti 35 e 36 della decisione impugnata, ai quali rinvia il punto 86 della stessa, si riferisce ai mercati dei trasportatori a coclea per cemento e dei filtri depolveratori.

70      Inoltre, il fatto che la situazione di concorrenza esistente sul mercato delle mescolatrici industriali fosse diversa da quella esistente in quelli, in particolare, dei trasportatori a coclea per cemento e dei filtri depolveratori, non permette di contraddire quanto accertato dalla Commissione in relazione al fatto che la Wam era, a livello europeo e mondiale, in situazione concorrenziale con imprese dell’Unione ed ha beneficiato di un vantaggio rispetto a queste ultime a motivo dell’erogazione di un aiuto. Gli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana confermano al contrario che, anche sul mercato delle mescolatrici industriali, la Wam si trovava in concorrenza con altre imprese dell’Unione, nonostante il fatto che, su tale mercato, la struttura concorrenziale e la posizione della Wam fossero diverse. Ne consegue che gli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana non consentono di confutare le valutazioni della Commissione di cui ai punti 85 e 86 della decisione impugnata, secondo le quali la Wam operava effettivamente o potenzialmente in concorrenza con altre imprese dell’Unione e deteneva una cospicua quota di mercato sul suo mercato nazionale e sul mercato europeo.

71      Ne consegue che nessuno degli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana avrebbe consentito di contraddire le conclusioni della Commissione quanto all’esistenza di un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

72      Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il quinto motivo dev’essere respinto.

 Sul quarto motivo, vertente su una violazione dell’articolo 296, paragrafo 2, TFUE

73      Con tale motivo, la Repubblica italiana sostiene che gli argomenti sviluppati nella decisione impugnata sono insufficienti per pervenire alla conclusione che i provvedimenti in questione costituiscono aiuti di Stato e, in particolare, sono idonei ad incidere sugli scambi tra Stati membri e a minacciare di falsare la concorrenza sul mercato dell’Unione.

74      A tale riguardo, si deve ricordare, in limine, che come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 53 supra, la questione dell’obbligo di motivazione va tenuta distinta da quella della fondatezza della motivazione. Di conseguenza, non occorre che il Tribunale esamini, per verificare il rispetto dell’obbligo di motivazione, la legittimità nel merito dei motivi dedotti dalla Commissione per giustificare la sua decisione. Ne consegue che, nell’ambito di un motivo vertente su un difetto o su un’insufficienza di motivazione, le censure e gli argomenti diretti a contestare la fondatezza della decisione impugnata sono ininfluenti e non pertinenti (v. sentenza del Tribunale del 15 giugno 2005, Corsica Ferries France/Commissione, T‑349/03, Racc. pag. II‑2197, punti 58 e 59 e giurisprudenza ivi citata). La Repubblica italiana sostiene pertanto a torto, nella replica, che non aveva «senso» distinguere tra bontà e presenza della motivazione. Dall’altro, nella parte in cui l’argomento dedotto a sostegno del motivo ora in esame si riferisce alla fondatezza della motivazione della decisione impugnata, esso dev’essere respinto in quanto inconferente.

75      Si deve inoltre sottolineare che, secondo costante giurisprudenza, la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE dev’essere adeguata alla natura dell’atto in questione e far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui l’atto controverso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (v. sentenza Wam II, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

76      Applicato alla qualificazione di una misura come aiuto, tale principio richiede che siano indicate le ragioni in base alle quali la Commissione ritiene che la misura di cui trattasi rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. A tal riguardo, anche qualora emerga dalle circostanze in cui l’aiuto è stato concesso che esso è atto ad incidere sugli scambi fra Stati membri e a falsare o a minacciare di falsare la concorrenza, la Commissione è tenuta quanto meno ad indicare tali circostanze nella motivazione della propria decisione (v. sentenza Wam II, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

77      In tale contesto, occorre precisare che, secondo giurisprudenza parimenti costante, per qualificare una misura nazionale come aiuto di Stato non è necessario dimostrare una reale incidenza dell’aiuto sugli scambi tra gli Stati membri e un’effettiva distorsione della concorrenza, ma basta esaminare se l’aiuto sia idoneo a incidere su tali scambi e a falsare la concorrenza (v. sentenza Wam II, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

78      Per quanto riguarda, più precisamente, il requisito dell’influenza sugli scambi tra Stati membri, dalla giurisprudenza risulta che quando l’aiuto concesso da uno Stato membro rafforza la posizione di un’impresa rispetto ad altre imprese concorrenti nell’ambito degli scambi tra Stati membri, questi ultimi devono ritenersi influenzati dall’aiuto (v. sentenza Wam II, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

79      Quanto al requisito della distorsione della concorrenza, occorre ricordare che gli aiuti diretti a sgravare un’impresa dai costi cui avrebbe dovuto normalmente far fronte nell’ambito della propria gestione corrente o delle proprie normali attività falsano in linea di principio le condizioni di concorrenza (v. sentenza Wam II, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

80      Nel caso di specie, si deve osservare che la Commissione ha esposto, ai punti 75‑100 della decisione impugnata, i motivi per cui ha ritenuto che i provvedimenti in questione costituissero aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

81      Nella decisione impugnata, infatti, dopo aver richiamato il testo di tale articolo e i requisiti che devono essere soddisfatti, ai sensi del medesimo, per qualificare una misura come aiuto di Stato (punti 75 e 76), la Commissione ha esaminato i requisiti relativi alle risorse pubbliche e all’imputabilità allo Stato (punti 77‑80), quello relativo alla sussistenza di un vantaggio selettivo (punti 81‑83) e, infine, quelli relativi agli effetti sugli scambi tra Stati membri e alla distorsione della concorrenza (punti 84‑100).

82      La Repubblica italiana lamenta, più in particolare, un’insufficienza di motivazione della decisione impugnata rispetto a questi due ultimi requisiti.

83      Al riguardo si deve rilevare che, nella decisione impugnata, dopo aver ricordato alcuni principi giurisprudenziali richiamati nella sentenza Wam II (punto 84), la Commissione ha in sostanza affermato che la Wam operava sui mercati europei ed internazionali, ne deteneva una quota cospicua e si trovava, effettivamente o potenzialmente, in concorrenza con altre società dell’Unione su tali mercati (punti 85 e 86). Essa ha quindi considerato che, grazie agli aiuti ricevuti, la Wam aveva rafforzato o era stata in grado di rafforzare la propria posizione complessiva sul mercato rispetto alle imprese di altri Stati membri che erano sue concorrenti, non soltanto effettive, ma anche potenziali (punto 87). A tal proposito, la Commissione si è richiamata alla giurisprudenza secondo la quale gli aiuti diretti ad alleviare a un’impresa le spese ch’essa stessa avrebbe dovuto normalmente sostenere nell’ambito della sua gestione corrente o delle sue normali attività falsano in linea di principio le condizioni di concorrenza.

84      La Commissione ha inoltre affermato che tre argomenti ulteriori suffragavano del pari la medesima conclusione (punto 88). In primo luogo essa ha sottolineato che era prevedibile che i prestiti in questione alterassero la normale situazione della concorrenza sul mercato, agevolando la Wam nell’esportazione dei propri prodotti verso i mercati esteri, in quanto i suoi concorrenti dell’Unione, effettivi o potenziali, avrebbero dovuto finanziare con fondi propri il loro programma di penetrazione su tali mercati (punto 89). In secondo luogo, essa ha rilevato che la Wam aveva ricevuto un aiuto per la realizzazione di un programma di penetrazione commerciale, aiuto che le aveva permesso di risparmiare risorse. Poiché la Wam ha investito nella penetrazione dei mercati esteri nell’intento di esportarvi la propria produzione, la Commissione ha considerato che tali risparmi potevano consentirle di esportare prodotti fabbricati nell’Unione verso i paesi terzi ad un prezzo inferiore o realizzando un margine maggiore (punto 90). In terzo luogo, essa ha indicato che, poiché il denaro è fungibile, i ricavi di tale attività potevano essere reinvestiti nell’Unione. Essa ha del pari rilevato che l’aiuto sgravava la Wam dall’onere delle spese legate alla penetrazione dei mercati esteri, consentendole di utilizzare le risorse così risparmiate per consolidare la propria posizione sul mercato dell’Unione per altri scopi. Inoltre, essa ha sottolineato che, una volta avvenuta l’esportazione verso mercati terzi, i ricavi di tali esportazioni potevano essere reinvestiti nell’Unione (punto 91).

85      La Commissione ha quindi ritenuto che l’aiuto in questione aveva avuto un impatto sul mercato dell’Unione e un effetto distorsivo rispetto ai concorrenti della Wam nell’Unione (punto 92).

86      Per quanto attiene all’influenza sugli scambi, la Commissione ha rammentato che, secondo la giurisprudenza, allorché un aiuto finanziario concesso da uno Stato membro rafforza la posizione di un’impresa nei confronti di altre imprese concorrenti negli scambi tra Stati membri, questi sono da considerarsi influenzati dall’aiuto. Essa ha ritenuto che, nel caso di specie, dal momento che l’aiuto aveva rafforzato la posizione della Wam rispetto a quella dei suoi concorrenti dell’Unione, sia effettivi che potenziali, detto aiuto aveva avuto del pari un’incidenza sugli scambi all’interno dell’Unione (punto 93).

87      Riguardo all’ammontare dell’aiuto, dopo aver richiamato la giurisprudenza pertinente in materia (punto 94), la Commissione ha rilevato che, nel caso di specie, l’entità relativamente esigua degli aiuti non contraddiceva la sua conclusione secondo la quale essi avevano potuto incidere sugli scambi e sulla concorrenza. Secondo la Commissione, infatti, per quanto l’importo dell’aiuto sia piuttosto esiguo, in considerazione dell’intensa concorrenza sia effettiva che potenziale presente nel settore di attività della Wam, era perlomeno probabile che tali aiuti rischiassero di falsare la concorrenza e di alterare gli scambi all’interno dell’Unione (punti 94 e 95).

88      La Commissione ha pertanto concluso che era quantomeno probabile che l’aiuto concesso alla Wam dalla Repubblica italiana incidesse sugli scambi e provocasse una distorsione della concorrenza nel mercato interno (punto 96).

89      È giocoforza constatare, alla luce delle considerazioni che precedono, che la Commissione ha adeguatamente motivato la sua conclusione secondo la quale i provvedimenti in questione costituivano un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Essa ha infatti sufficientemente indicato le ragioni per le quali riteneva che tali misure rientrassero nell’ambito di applicazione di tale disposizione. In particolare, risulta che la Commissione ha addotto i motivi necessari per suffragare la sua posizione secondo la quale gli aiuti in questione incidevano sugli scambi tra Stati membri e falsavano o rischiavano di falsare la concorrenza.

90      Tale conclusione non può essere rimessa in discussione da alcuno degli argomenti dedotti dalla Repubblica italiana.

91      Sotto un primo profilo, per quanto riguarda la motivazione relativa al rafforzamento della posizione del beneficiario dell’aiuto, si deve in primo luogo rilevare che i motivi indicati ai punti 85‑87 della decisione impugnata consentono di suffragare sufficientemente la conclusione della Commissione secondo la quale, grazie agli aiuti che ha ricevuto, la Wam ha rafforzato, o è stata in grado di rafforzare, la propria posizione complessiva sul mercato rispetto alle imprese di altri Stati membri, che sono sue concorrenti non soltanto effettive ma anche potenziali. Detta conclusione è, inoltre, ulteriormente corroborata dai motivi indicati ai punti 89‑91 della decisione impugnata.

92      In secondo luogo si deve sottolineare che, diversamente da quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, la Commissione non ha affermato che il fatto che la Wam si trovasse in concorrenza con altre imprese dell’Unione prova che l’aiuto era in grado di avere un’incidenza sugli scambi, né tale affermazione risulta dal punto 85 della decisione impugnata.

93      In terzo luogo, la Repubblica italiana suggerisce, a torto, che sarebbe stato necessario un esame delle caratteristiche della concorrenza tra Stati membri potenzialmente interessati dagli aiuti in questione. È sufficiente, infatti, che la Commissione dimostri che gli aiuti considerati siano idonei ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri e minaccino di falsare la concorrenza, senza che sia necessario delimitare il mercato di cui trattasi e analizzare la sua struttura nonché i rapporti di concorrenza che ne discendono (v. sentenza del Tribunale del 9 settembre 2009, Holland Malt/Commissione, T‑369/06, Racc. pag. II‑3313, punto 63 e giurisprudenza ivi citata) o senza che sia necessario, come sembrerebbe invece sostenere la Repubblica italiana nella replica, procedere ad un’analisi economica della situazione effettiva dei mercati di cui trattasi o delle quote di mercato delle imprese interessate nei diversi mercati (v., in tal senso, sentenza Wam I, punto 64). In ogni caso, si deve necessariamente constatare, ad abundantiam, che la Commissione ha apportato elementi pertinenti al riguardo ai punti 34‑39 della decisione impugnata.

94      In quarto luogo, nessun argomento consente di ritenere, come sostiene invece la Repubblica italiana, che la Commissione fosse tenuta ad individuare i costi normali dell’impresa che sarebbero sgravati e a rapportarli all’oggetto dell’aiuto, dal momento che tale obbligo non può essere dedotto, in particolare, dalla sentenza della Corte del 29 aprile 2004, Italia/Commissione (C‑372/97, Racc. pag. I‑3679). In ogni caso, le spiegazioni riportate segnatamente al punto 91 della decisione impugnata consentono di comprendere che lo sgravio ha riguardato le spese sostenute dalla Wam legate alla penetrazione dei mercati esteri e che dette risorse risparmiate hanno potuto essere utilizzate per consolidare la sua posizione sul mercato dell’Unione. Contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, nulla consente di ritenere che la Commissione dovesse esporre i motivi per i quali spese siffatte costituivano costi normali per la Wam. Tale argomento deriva, in ogni caso, dalla constatazione che la Wam operava sul mercato internazionale, il che lascia supporre che essa sostenesse spese legate alla sua internazionalizzazione.

95      In quinto luogo, si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana vertente sull’assenza di un esame dell’orientamento dell’attività della Wam e delle sue conseguenze sulle correnti di scambio. Infatti, dal momento che, come risulta da quanto precede, la Commissione ha correttamente esposto in quale misura gli aiuti controversi erano in grado di incidere sugli scambi tra Stati membri e falsavano o minacciavano di falsare la concorrenza, essa non era tenuta a procedere ad un esame delle correnti di scambio tra Stati membri (v., in tal senso, sentenza Wam I, punto 64) o tra questi ultimi ed i paesi terzi.

96      In sesto luogo, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale la struttura del mercato dell’Unione appariva immune dagli effetti di aiuti di modesta entità ed era necessaria una specifica motivazione al riguardo, si deve rilevare che una motivazione siffatta è fornita ai punti 94 e 95 della decisione impugnata. Tale motivazione, la cui sostanza è richiamata al punto 87 supra, dev’essere considerata come sufficientemente concreta ed idonea a suffragare il ragionamento della Commissione a tal riguardo.

97      Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda l’asserito difetto di motivazione in relazione all’interdipendenza tra il mercato europeo e il mercato dell’estremo oriente, risulta dal punto 74 della sentenza Wam I che la Commissione non deve necessariamente procedere ad un esame di tale interdipendenza tra il mercato europeo e quello dell’estremo oriente, ai fini dell’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. Tuttavia, da detto punto di tale sentenza risulta anche che la mera constatazione della partecipazione della Wam agli scambi all’interno dell’Unione non basta a dimostrare un’incidenza sugli scambi medesimi o una distorsione della concorrenza e, pertanto, richiede un’analisi approfondita degli effetti degli aiuti, tenendo conto, segnatamente, della circostanza che essi finanziano spese sul mercato dell’estremo oriente nonché, eventualmente, dell’interdipendenza tra tale mercato e quello europeo. Orbene, nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che i punti 85 e 90‑92 della decisione impugnata consentono di comprendere i motivi per i quali la Commissione ha ritenuto che, benché gli aiuti in questione fossero diretti a finanziare spese di penetrazione commerciale in paesi terzi, essi fossero in grado di avere effetti sugli scambi e la concorrenza in seno all’Unione. Alla luce di quanto precede, non era necessario che la Commissione apportasse precisazioni supplementari quanto all’interdipendenza tra il mercato europeo ed il mercato dell’estremo oriente.

98      Quanto all’argomento secondo il quale, in sostanza, la teoria della liberazione di risorse, richiamata al punto 91 della decisione impugnata, non costituisce una motivazione sufficiente in difetto di altre precisazioni, esso dev’essere respinto. Infatti, nella decisione impugnata, la Commissione ha precisato in tale punto che, poiché il denaro è fungibile, i ricavi dell’attività di cui trattasi potevano essere reinvestiti nell’Unione. Essa ha del pari indicato, richiamandosi alla giurisprudenza, che l’aiuto sgravava la WAM dall’onere delle spese legate alla penetrazione dei mercati esteri, consentendole di utilizzare le risorse così risparmiate per consolidare la propria posizione sul mercato dell’Unione. Infine, essa ha sottolineato che i ricavi delle attività di esportazione di prodotti verso mercati terzi potevano essere reinvestiti nell’Unione. Si deve necessariamente constatare che tali argomenti sono pertinenti e contribuiscono a suffragare il ragionamento della Commissione relativo agli effetti degli aiuti di cui trattasi sugli scambi e sulla concorrenza. Il fatto che, in tale contesto, possano formularsi ulteriori ipotesi rispetto a quelle richiamate dalla Commissione non influisce sulla sufficienza della motivazione di detta decisione al riguardo, ma rientra nell’esame della fondatezza delle valutazioni della Commissione. A tal proposito si deve peraltro ricordare che la Commissione non è tenuta a dimostrare l’incidenza effettiva degli aiuti in questione (v. sentenza Wam I, punto 64).

99      Per quanto riguarda, infine, l’argomento vertente sul difetto di motivazione in relazione ad un’eventuale concorrenza tra le imprese dell’Unione sul mercato dell’estremo oriente, si deve constatare che la motivazione di cui al punto 85 della decisione impugnata è, a tal proposito, sufficiente, ove letta unitamente agli altri elementi di tale decisione. Risulta infatti in sostanza che la Wam era in concorrenza, sia sul mercato europeo sia sul mercato internazionale, con altre imprese, del pari presenti su tali mercati. In ogni caso, si deve ricordare, nuovamente, che è sufficiente che la Commissione accerti che gli aiuti considerati sono idonei a incidere sugli scambi tra gli Stati membri e falsano ovvero minacciano di falsare la concorrenza, senza che sia necessario delimitare il mercato rilevante ed esaminare la sua struttura nonché i rapporti di concorrenza che ne discendono.

100    Sotto un terzo profilo, per quanto riguarda l’asserita carenza di motivazione specifica rispetto alla distorsione della concorrenza, è sufficiente constatare che i punti 84‑92 della decisione impugnata sono dedicati più in particolare all’esame di tale requisito per l’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, e che tale motivazione è idonea a far comprendere il ragionamento della Commissione relativo alla distorsione della concorrenza. In ogni caso, la condizione dell’incidenza sugli scambi tra Stati membri e quella della distorsione della concorrenza sono strettamente connesse (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Capotorti in relazione alla sentenza della Corte del 17 settembre 1980, Philip Morris/Commissione, 730/79, Racc. pag. 2671, 2693) e non richiedono necessariamente analisi distinte, purché la motivazione della Commissione faccia apparire in modo chiaro ed intelligibile in quale misura queste due condizioni sono soddisfatte, come avviene nel caso di specie.

101    Da ultimo, si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana basato sull’esame condotto nelle cause che hanno avuto esito nelle sentenze della Corte Philip Morris/Commissione, punto 100 supra, del 21 marzo 1990, Belgio/Commissione (C‑142/87, Racc. pag. I‑959), e Italia/Commissione, punto 94 supra. Infatti, se è vero che tali sentenze sono state richiamate nella decisione impugnata, tuttavia ciò è avvenuto a mero scopo illustrativo dei princìpi accolti dalla Commissione. Inoltre il requisito della motivazione dev’essere valutato alla luce delle circostanze del caso di specie e nulla consente di ritenere che gli elementi contenuti nelle decisioni controverse oggetto delle cause che hanno avuto esito in tali sentenze e che la Corte ha ritenuto sufficienti per suffragare le medesime decisioni avrebbero dovuto essere necessariamente riportati nella decisione impugnata affinché quest’ultima rispondesse ai requisiti posti dall’articolo 296 TFUE.

102    Da tutte le suesposte considerazioni emerge che il quarto motivo dev’essere respinto.

 Sul terzo motivo, vertente su una violazione dell’autorità del giudicato

103    Con tale motivo, la Repubblica italiana afferma che la Commissione si è sottratta agli obblighi che derivavano dalle sentenze Wam I e Wam II e vi ha ottemperato in modo soltanto apparente, riprendendo nella decisione impugnata argomenti già esposti nella decisione del 2004, ritenuti insufficienti. In particolare, la Commissione avrebbe considerato, nella decisione impugnata, che i provvedimenti in questione costituivano aiuti all’esportazione, mentre risulta dalle sentenze Wam I e Wam II che non si sarebbe trattato di aiuti finalizzati al sostegno delle esportazioni (i quali costituiscono aiuti al funzionamento), bensì di aiuti destinati al finanziamento delle spese di penetrazione commerciale in paesi terzi (che costituiscono spese di investimento). Inoltre, le particolarità connesse al fatto che i provvedimenti in questione erano destinati ai mercati di paesi terzi e che la loro entità era modesta avrebbero dovuto essere oggetto di un’analisi specifica, richiedente, ai sensi della sentenza Wam II, una motivazione approfondita, con riferimento, in particolare, all’interdipendenza tra il mercato terzo ed il mercato dell’Unione. Orbene, la decisione impugnata ricalcherebbe gli argomenti astratti e teorici esposti nella decisione del 2004, ritenuti insufficienti dalle sentenze Wam I e Wam II. Argomenti siffatti, così come la decisione impugnata, sarebbero dunque destituiti di fondamento, per contrasto con l’autorità del giudicato.

104    A tal proposito, si deve ricordare che l’autorità di cosa giudicata riguarda unicamente i punti di fatto e di diritto che sono stati effettivamente o necessariamente decisi dalla pronuncia giudiziale (sentenza del 19 febbraio 1991, Italia/Commissione, C‑281/89, Racc. pag. I‑347, punto 14, e ordinanza del 28 novembre 1996, Lenz/Commissione, C‑277/95 P, Racc. pag. I‑6109, punto 50). Tale autorità non riguarda solo il dispositivo di detta pronuncia. Essa si estende alla motivazione che costituisce il necessario fondamento del suo dispositivo e ne è di conseguenza inscindibile [v., in tal senso, sentenza della Corte del 1° giugno 2006, P & O European Ferries (Vizcaya) e Diputación Foral de Vizcaya/Commissione, C‑442/03 P e C‑471/03 P, Racc. pag. I‑4845, punto 44].

105    Nel caso di specie, si deve constatare, anzitutto, che è in ragione di una lettura manifestamente artificiosa della decisione impugnata che la Repubblica italiana sostiene che la Commissione ha ritenuto che gli aiuti in questione costituissero meri aiuti all’esportazione o ha affermato che si trattava soltanto di aiuti al funzionamento nell’ambito di aiuti diretti all’esportazione.

106    Infatti si deve ricordare che la Commissione ha sottolineato, al punto 109 della decisione impugnata, che, tenuto conto del fatto che il primo prestito aveva l’obiettivo di sovvenzionare un programma di penetrazione commerciale da realizzare al di fuori dell’Unione, esso doveva essere classificato come aiuto all’esportazione, cioè come un aiuto a favore di attività connesse all’esportazione, nel senso che esso era direttamente legato alla costituzione e al funzionamento di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse all’attività di esportazione. Lo stesso dicasi per il secondo prestito, giacché la Commissione ha considerato, come emerge dal punto 121 della decisione impugnata, che esso perseguiva lo stesso obiettivo del primo prestito ed era stato inoltre contratto per penetrare i mercati esteri ed esportare su tali mercati.

107    Ne consegue che la Commissione non ha ritenuto che i prestiti in questione costituissero aiuti diretti all’esportazione né, del resto, nessun elemento della decisione impugnata induce a ritenere che così sia. Essa ha per contro considerato si trattasse di aiuti in favore di attività connesse all’esportazione. Per pervenire a tale conclusione, la cui fondatezza sarà esaminata ai punti 119‑122 infra, risulta dalla decisione impugnata che la Commissione si è fondata sulla circostanza che si trattava di aiuti a favore di un programma di penetrazione commerciale nei paesi terzi. Orbene, si deve necessariamente constatare che tale valutazione è conforme a quelle contenute ai punti 63 della sentenza Wam I e 56 della sentenza Wam II, a tenore delle quali gli aiuti in questione nel caso di specie sono volti a finanziare, mediante prestiti a tasso agevolato, spese di penetrazione commerciale in paesi terzi relative all’installazione di strutture permanenti ovvero al supporto promozionale.

108    Si deve inoltre aggiungere che nessun elemento menzionato nelle sentenze Wam I e Wam II consente di considerare che il giudice dell’Unione abbia ritenuto che gli aiuti in questione costituissero «spese di investimento», come sostenuto dalla Repubblica italiana, oppure abbia escluso che tali aiuti possano costituire aiuti al funzionamento. A tal proposito la Repubblica italiana non può basarsi sull’indicazione di cui al punto 63 della sentenza Wam II, secondo la quale, in sostanza, gli aiuti in questione non sono diretti a sgravare la Wam dei costi cui avrebbe dovuto normalmente far fronte nell’ambito della propria gestione corrente o delle proprie normali attività. Questa indicazione, infatti, dev’essere letta nel contesto di tale sentenza, diretta esclusivamente ad esaminare se la sentenza Wam I fosse inficiata da un errore di diritto nella parte in cui dichiarava la presenza di un difetto di motivazione della decisione del 2004, e non a valutare nel merito la natura degli aiuti in questione. Non può pertanto dedursi da tale indicazione che la Corte abbia escluso, in modo assoluto e definitivo, che gli aiuti in questione potessero costituire aiuti al funzionamento. In ogni caso, risulta dai punti 84‑97 della decisione impugnata che la Commissione non si è basata sul mero fatto che gli aiuti in questione fossero diretti a sgravare la Wam dei costi cui avrebbe dovuto normalmente far fronte nell’ambito della propria gestione corrente o delle proprie normali attività per sostenere che essi falsavano le condizioni di concorrenza. Come risulta da tali punti, infatti, la Commissione ha effettuato un esame esaustivo degli effetti degli aiuti in questione sugli scambi tra gli Stati membri nonché sulla concorrenza.

109    In tali condizioni si deve respingere l’argomento della Repubblica italiana fondato sulla circostanza secondo la quale la Commissione ha ritenuto che la Wam avesse ricevuto aiuti al funzionamento in forma di aiuti all’esportazione, mentre le sentenze Wam I e Wam II avrebbero accertato che non si trattava di aiuti all’esportazione, ma di spese legate alla penetrazione commerciale.

110    La Repubblica italiana, poi, sostiene a torto che gli argomenti ritenuti insufficiente nelle sentenze Wam I e Wam II sono stati ripresi in modo identico nella decisione impugnata. Infatti, è pur vero che taluni dei motivi indicati nella decisione impugnata erano già presenti, in sostanza, nella decisione del 2004, che il Tribunale, nella sentenza Wam I, ha ritenuto non contenesse elementi sufficienti per concludere che tutti i requisiti per l’applicazione dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, erano soddisfatti.

111    Tuttavia, in primo luogo, si deve rilevare che, come risulta in sostanza dal punto 53 supra, il fatto che tali elementi dei motivi dedotti nella decisione del 2004 siano stati considerati insufficienti per suffragare detta decisione non implica che essi siano, in sé, «destituiti di fondamento» come sostiene la Repubblica italiana.

112    In secondo luogo, si deve sottolineare che, come risulta dall’esame del quarto motivo, detti elementi sono stati, da un lato, precisati e corroborati da considerazioni specifiche e concrete e, dall’altro, sono stati integrati da altri argomenti, riportati, in particolare, ai punti 88‑92, 94 e 95 della decisione impugnata.

113    In terzo luogo, laddove la Repubblica italiana afferma, in sostanza, che le particolarità legate al fatto che le misure in questione erano destinate ai mercati terzi e che il loro ammontare era esiguo avrebbero dovuto essere oggetto di un esame specifico che richiedeva, conformemente alla sentenza Wam II, una motivazione approfondita, in particolare con riferimento all’interdipendenza tra il mercato terzo e il mercato dell’Unione, si deve necessariamente constatare che tale argomento riguarda la sufficienza della motivazione della decisione impugnata per quanto attiene all’incidenza degli aiuti in questione sugli scambi tra Stati membri e sulla concorrenza. Orbene, come risulta dall’esame del quarto motivo, la decisione impugnata è sufficientemente motivata a tal proposito, sicché l’argomento della Repubblica italiana dev’essere respinto.

114    Da quanto precede risulta che la Commissione non ha leso l’autorità del giudicato delle sentenze Wam I e Wam II adducendo nella decisione impugnata elementi menzionati nella decisione del 2004, a prescindere dalla circostanza che siano essi stati accompagnati da precisazioni complementari o meno.

115    Di conseguenza, il terzo motivo dev’essere respinto.

 Sul settimo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), e dell’articolo 2 del regolamento n. 1998/2006, dell’autorità del giudicato, e sulla contraddittorietà della decisione impugnata

116    Con tale motivo la Repubblica italiana asserisce che l’importo degli aiuti era inferiore alla somma di EUR 200 000 nell’arco di tre anni, sicché, conformemente all’articolo 2 del regolamento n. 1998/2006, essi non costituivano aiuti di Stato e non dovevano pertanto essere notificati. A sua detta, la Commissione non poteva escludere l’applicazione di tale regolamento asserendo che si trattava di aiuti all’esportazione, in quanto nelle sentenze Wam I e Wam II era stato accertato che gli aiuti in questione non erano direttamente collegati a quantitativi di merci esportate o alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione, ma erano finalizzati a consentire lo studio del mercato cinese.

117    A tal proposito, si deve rilevare che l’articolo 1, lettera d), del regolamento n. 1998/2006 esclude dall’ambito di applicazione di quest’ultimo gli aiuti a favore di attività connesse all’esportazione verso paesi terzi o Stati membri, ossia aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione.

118    Orbene, è pacifico, come è stato rilevato e come sostenuto dalla Repubblica italiana, che gli aiuti in questione non sono direttamente collegati ai quantitativi esportati, né finanziano direttamente le esportazioni.

119    Tuttavia, il finanziamento di spese quali quelle di cui trattasi nel caso di specie, ovvero spese di penetrazione commerciale in paesi terzi, relative alla realizzazione di strutture permanenti o al supporto promozionale, dà luogo ad aiuti a favore della costituzione e gestione di una rete di distribuzione e di altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione, ai sensi dell’articolo 1, lettera d), del regolamento n. 1998/2006.

120    Infatti, tenuto conto della loro natura, spese di penetrazione commerciale in paesi terzi quali quelle di cui trattasi nel caso di specie, che non riguardano attività produttive come sottolineato dalla Repubblica italiana, devono essere considerate come spese correnti connesse all’attività di esportazione, vale a dire, per talune, quali quelle connesse all’ufficio di direttore delle vendite, come recanti un contributo alla costituzione di una rete di distribuzione.

121    Tale circostanza è peraltro confermata dal titolo della legge n. 394, sulla base della quale gli aiuti in questione sono stati erogati, nel quale si legge che essa concerne «misure a sostegno delle esportazioni italiane». Del pari risulta dal fascicolo, segnatamente dalle comunicazioni inviate dalla Repubblica italiana alla Commissione, che il regime istituito da tale legge si proponeva di facilitare l’internazionalizzazione delle imprese italiane, aiutandole nella creazione di «[strutture] commerciali permanenti all’estero (uffici, magazzini, sale di esposizione, ecc.)», il che conferma l’oggetto commerciale degli aiuti in questione. La stessa Wam ha indicato alla Commissione, come risulta da un allegato del ricorso, che il primo prestito riguardava gli investimenti effettuati in relazione alle attività promozionali di vendita. Inoltre, nessun elemento consente di dimostrare che le spese di cui trattasi riguardavano soltanto lo studio preliminare dei mercati interessati onde valutare l’opportunità di stabilirvisi o di una penetrazione commerciale, come asserisce la Repubblica italiana. Al contrario, spese quali quelle relative, segnatamente, all’assunzione di un direttore vendite, ai modelli da esposizione, alla pubblicità, alla formazione o a viaggi di clienti in Italia, hanno direttamente una finalità commerciale e non possono essere considerate effettuate per acquisire la conoscenza di un mercato. Inoltre, come risulta dalla decisione impugnata, senza che ciò sia contestato dalla Repubblica italiana, la Wam disponeva di una filiale giapponese prima dell’erogazione del primo prestito, il quale mirava a sostenere talune spese in tale paese, sicché questo aiuto non poteva avere ad oggetto la realizzazione di un studio preliminare del mercato di quel paese. Del pari, dal momento che la Wam disponeva già di un’impresa locale in Cina che controllava al 100%, il secondo prestito non può essere considerato come diretto ad effettuare uno studio del mercato di tale paese.

122    Ne consegue che gli aiuti in questione erano esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento n. 1998/2006.

123    Peraltro, dato che nessun elemento indicato nelle sentenze Wam I e Wam II consente di confutare le considerazioni di cui al punto 120 supra, la Commissione non ha violato l’autorità del giudicato nel ritenere che detti aiuti costituissero aiuti a favore di attività connesse all’esportazione verso paesi terzi e sempre correttamente essa ha escluso l’applicabilità del regolamento n. 1998/2006.

124    Quanto alla censura, sollevata in subordine, secondo la quale l’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1998/2006, dovrebbe essere interpretato restrittivamente dal momento che esprime un’autolimitazione che l’Unione ha accettato in forza degli accordi con l’OMC, esso dev’essere del pari respinto. Infatti, qualsiasi deroga al principio generale d’incompatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, enunciato nell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, dev’essere oggetto di stretta interpretazione (v., in tal senso e per analogia, sentenze della Corte del 29 aprile 2004, Germania/Commissione, C‑277/00, Racc. pag. I‑3925, punto 20, e del 23 febbraio 2006, Atzeni e a., C‑346/03 e C‑529/03, Racc. pag. I‑1875, punto 79). Inoltre, l’argomento secondo il quale l’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), di detto regolamento esprime un’autolimitazione che l’Unione ha accettato in forza degli accordi con l’OMC e, pertanto, dovrebbe essere interpretato restrittivamente, non è affatto suffragato. In ogni caso, anche ammettendo che tale disposizione debba essere interpretata restrittivamente, gli aiuti in questione dovrebbero essere considerati, tenuto conto della loro natura, come aiuti a favore di attività connesse all’esportazione verso paesi terzi ai sensi di detta disposizione.

125    Quanto alla censura, dedotta in ulteriore subordine, secondo la quale la decisione impugnata sarebbe contraddittoria, poiché la Commissione, nella decisione del 2004, ha riconosciuto l’applicabilità delle regole de minimis nell’importo allora vigente, pari a EUR 50 000, mentre, nella decisione impugnata, tale possibilità è esclusa, in ossequio ad una prassi consolidata, essa dev’essere del pari respinta. Infatti, la motivazione delle decisioni adottate dalla Commissione dev’essere logica per cui, in particolare, non deve presentare contraddizioni interne (sentenza della Corte del 10 luglio 2008, Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala, C‑413/06 P, Racc. pag. I‑4951, punto 169). Orbene, nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che la contraddizione dedotta non è interna alla decisione impugnata, ma deriva da una differenza tra la valutazione effettuata nella decisione del 2004 e quella di cui alla decisione impugnata, sicché essa non può influenzare la legittimità di quest’ultima. Inoltre, dal momento che la decisione del 2004 è stata annullata dalla sentenza Wam I e che tale annullamento ha l’effetto di eliminare retroattivamente l’atto annullato dall’ordinamento giuridico ed è considerata nulla e non avvenuta, non può essere addebitato alla Commissione di aver compiuto nella decisione impugnata una diversa valutazione, in ossequio ad una prassi anteriore, rispetto a quella compiuta nella decisione del 2004. La Repubblica italiana, peraltro, non apporta alcun elemento volto a contraddire la valutazione della Commissione, contenuta al punto 112 e nella nota a piè di pagina n. 39 della decisione impugnata, dalla quale risulta che, poiché una parte di aiuto supera la soglia de minimis, l’intero aiuto è ritenuto non rientrante nell’esenzione de minimis e per questo motivo considerato aiuto di Stato, conformemente alla prassi della Commissione. La Repubblica italiana si limita di fatto a censurare la differenza esistente tra la decisione del 2004 e la decisione impugnata.

126    In ogni caso, la valutazione della Commissione dev’essere condivisa.

127    Si deve ricordare, infatti, che l’istituzione, da parte della comunicazione relativa alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese (GU 1992, C 213, pag. 2), di una regola, detta de minimis, era diretta, come risulta dal punto 3.2 di tale comunicazione, a semplificare i procedimenti amministrativi a favore delle piccole e medie imprese, considerando che un aiuto che raggiunge un certo importo assoluto, al di sotto del quale l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE può essere ritenuto inapplicabile, non è più assoggettato all’obbligo della previa notifica alla Commissione in virtù dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE.

128    L’obiettivo perseguito mediante la predisposizione di tale regola era pertanto quello di semplificare i procedimenti amministrativi sia nell’interesse dei beneficiari degli aiuti di importanza relativamente esigua e quindi non idonei a falsare la concorrenza, sia di quello della Commissione, la quale deve poter concentrare le sue risorse sui casi di effettiva importanza a livello dell’Unione (v., in tal senso, sentenza della Corte del 7 marzo 2002, Italia/Commissione, C‑310/99, Racc. pag. I‑2289, punto 94).

129    Non si trattava, invece, di stabilire, per le misure che superano tale soglia, un importo da considerare come non rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE e da dedurre dall’importo dell’aiuto di Stato di cui trattasi. In altre parole, l’istituzione della regola de minimis non intendeva stabilire una «franchigia» o una «deduzione» di EUR 50 000 per gli aiuti di Stato di importo superiore. Tale circostanza è peraltro confermata dal punto 3.2 della comunicazione relativa alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato a favore delle piccole e medie imprese, che prevede che la soglia de minimis di EUR 50 000 prevista da tale disposizione si applichi a condizione che, in sostanza, l’importo totale dell’aiuto di cui l’impresa beneficia non sia superiore a tale somma.

130    Si deve del pari rilevare che il fatto di ammettere il frazionamento di un aiuto al fine di far beneficiare della regola de minimis una parte di esso non contribuirebbe al perseguimento dell’obiettivo di cui al punto 128 supra. Infatti, il semplice fatto di dedurre dall’importo di un aiuto previsto a favore di un’impresa l’importo corrispondente alla soglia de minimis non esime né la Commissione dal compito di dover esaminare la compatibilità con il mercato comune dell’aiuto in questione per l’importo che supera tale soglia, né l’impresa di cui è causa dall’onere di attendere l’esito di tale esame prima di poterne beneficiare o, nell’ipotesi di un aiuto illegittimo, di doverlo, eventualmente, restituire.

131    Da tutte le suesposte considerazioni emerge che il settimo motivo dev’essere respinto.

 Sull’ottavo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 3, lettere c) ed e), TFUE e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 70/2001

132    Con tale motivo, la Repubblica italiana deduce, con riferimento sia al primo sia al secondo prestito, che la Commissione ha omesso di verificare se l’esenzione generale di cui all’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE potesse applicarsi. Inoltre, poiché a suo avviso gli aiuti all’internazionalizzazione delle imprese dell’Unione costituiscono aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività, come previsto da tale disposizione, sussistevano le condizioni per l’applicazione di quest’ultima. Infine, la Commissione avrebbe dovuto applicare il regolamento n. 70/2001, del quale poteva applicarsi l’esenzione prevista all’articolo 4, paragrafo 2.

133    In primo luogo, nella parte in cui il motivo ora in esame riguarda una violazione dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE, si deve rilevare che, in virtù di tale articolo, la Commissione dispone di un potere discrezionale il cui esercizio implica valutazioni di ordine economico e sociale (v. sentenza del Tribunale del 20 settembre 2007, Fachvereinigung Mineralfaserindustrie/Commissione, T‑375/03, non pubblicata nella Raccolta, punto 138 e giurisprudenza ivi citata).

134    Anche se la Commissione può stabilire norme generali di esecuzione che disciplinino l’esercizio di tale potere, essa non può totalmente privarsi, nel valutare un caso specifico, di detto potere discrezionale, in particolare quanto ai casi che non ha espressamente considerato, o addirittura ha omesso di considerare, nelle dette norme generali di esecuzione. Tale potere discrezionale, pertanto, non si esaurisce con l’adozione di siffatte norme generali e non esiste, in linea di principio, alcun ostacolo ad un’eventuale valutazione individuale al di fuori dell’ambito di dette norme, a condizione, tuttavia, che la Commissione rispetti le regole superiori di diritto, come le norme del Trattato nonché i principi generali di diritto dell’Unione (sentenza Fachvereinigung Mineralfaserindustrie/Commissione, punto 133 supra, punto 141).

135    Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, quando la Commissione decide di avviare il procedimento previsto dall’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, spetta allo Stato membro e al potenziale beneficiario dell’aiuto di Stato far valere i propri argomenti per dimostrare che il progetto di aiuto corrisponde alle eccezioni previste in applicazione del Trattato, in quanto lo scopo del procedimento d’indagine formale è proprio quello di informare la Commissione su tutti gli elementi del caso di specie. Anche se è la Commissione a dover formulare chiaramente i propri dubbi sulla compatibilità dell’aiuto nel momento in cui dà avvio a un procedimento formale al fine di consentire allo Stato membro e agli interessati di replicarvi nel migliore dei modi, resta il fatto che spetta in particolare a chi richiede l’aiuto fugare tali dubbi e dimostrare che il suo progetto di aiuto soddisfa le condizioni per la concessione (v. sentenza del Tribunale del 3 febbraio 2011, Italia/Commissione, T‑3/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

136    Sempre secondo tale giurisprudenza, l’articolo 108, paragrafo 2, TFUE, pur imponendo alla Commissione di raccogliere i pareri degli interessati prima di adottare la propria decisione, non le vieta di concludere, in mancanza di tali osservazioni, che un aiuto è incompatibile con il mercato comune. In particolare, non può essere addebitato alla Commissione di non aver tenuto conto di eventuali elementi di fatto o di diritto che potevano esserle presentati nel corso del procedimento amministrativo, ma che non lo sono stati, non avendo la Commissione l’obbligo di esaminare d’ufficio o in via presuntiva quali elementi avrebbero potuto esserle sottoposti (v. sentenza del 3 febbraio 2011, Italia/Commissione, punto 135 supra, punto 84 e giurisprudenza ivi citata).

137    Poiché la legittimità di una decisione in materia di aiuti di Stato dev’essere valutata alla luce delle informazioni di cui la Commissione poteva disporre quando l’ha adottata, nessuno può valersi dinanzi al giudice dell’Unione di elementi che non sono stati dedotti durante il procedimento precontenzioso previsto dall’articolo 108 TFUE (v. sentenza del 3 febbraio 2011, Italia/Commissione, punto 135 supra, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

138    Nel caso di specie, nessun elemento consente di ritenere che, nel corso del procedimento d’indagine formale, le autorità italiane od anche la Wam abbiano sostenuto che le misure di cui trattasi dovessero essere considerate compatibili con il mercato comune in virtù dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), CE, né che esse abbiano apportato alla Commissione gli elementi necessari al riguardo. In particolare, nessun elemento indica che sia stato sostenuto o dimostrato che tali aiuti erano necessari per conseguire l’obiettivo di cui all’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), CE, come richiesto per l’applicazione di tale disposizione (v., in tal senso, sentenze del Tribunale del 7 giugno 2001, Agrana Zucker e Stärke/Commissione, T‑187/99, Racc. pag. II‑1587, punto 74, e dell’8 luglio 2010, Freistaat Sachsen e Land Sachsen Anhalt/Commissione, T‑396/08, non pubblicata nella Raccolta, punto 46).

139    L’asserzione della Repubblica italiana secondo la quale tutti i requisiti per l’applicazione di tale disposizione sarebbero stati invocati durante il procedimento amministrativo non è infatti suffragata da alcun elemento pertinente. A tal proposito la Repubblica italiana si è riferita, nella replica e in udienza, alla nota inviata alla Commissione il 17 ottobre 2002. Tuttavia non risulta da tale nota che la Repubblica italiana abbia sostenuto che gli aiuti in questione erano compatibili con il mercato comune ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), CE, né tale disposizione è stata invero invocata. Infatti, in tale nota, la Repubblica italiana ha comunicato, segnatamente, informazioni sulla legge n. 394, in particolare sulle sue finalità e sulle spese ammissibili, e ne ha fornito il testo. Essa ha precisato quindi che queste ultime non erano connesse ai quantitativi esportati. Ha inoltre precisato che detta legge riguardava il finanziamento per la realizzazione di strutture permanenti non produttive all’estero e che non esisteva alcuna relazione tra la legge in parola e gli aiuti alla produzione o allo sviluppo dei prodotti. Peraltro essa indicava che gli aiuti concessi sulla base di tale legge erano compatibili con gli accordi vincolanti per l’Unione, in particolare nell’ambito dell’OMC e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Al contrario non è stata invocata alcuna compatibilità ai sensi del Trattato CE.

140    Peraltro, risulta dal punto 74 della decisione impugnata che le autorità italiane hanno dedotto, nel corso del procedimento d’indagine formale, che esse ritenevano che gli incentivi destinati al finanziamento di programmi da attuarsi al di fuori dell’Unione non rientrassero nel campo di applicazione dell’articolo 87, paragrafo 3, CE. Interrogata al riguardo in udienza, la Repubblica italiana ha affermato di avere del pari sostenuto che, nell’ipotesi in cui la Commissione avesse considerato che i prestiti in questione costituivano aiuti, questi ultimi avrebbero dovuto essere esaminati rispetto all’articolo 87, paragrafo 3, CE. Essa ha basato la sua affermazione sulla nota inviata alla Commissione il 17 ottobre 2002. Orbene, come risulta dal punto 139 supra, tale nota non è in grado di corroborare tale affermazione e nessun altro elemento del fascicolo è stato invocato dalla Repubblica italiana a sostegno della medesima.

141    Ciò considerato, la Commissione non ha errato nel non esaminare la compatibilità del primo prestito direttamente alla luce dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera c), TFUE.

142    In secondo luogo, nella parte in cui il motivo in esame verte su una violazione dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 70/2001, si deve innanzitutto rilevare che l’articolo 1, paragrafo 2, lettera b), di tale regolamento esclude dall’ambito di applicazione di quest’ultimo gli aiuti a favore di attività connesse all’esportazione, ossia gli aiuti direttamente collegati ai quantitativi esportati, alla costituzione e gestione di una rete di distribuzione o ad altre spese correnti connesse con l’attività d’esportazione.

143    Nel caso di specie risulta dai punti 120‑122 supra che, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica italiana, gli aiuti in questione costituivano aiuti a favore di attività connesse all’esportazione verso paesi terzi ai sensi del regolamento n. 70/2001.

144    Ne consegue che gli aiuti in questione erano esclusi dall’ambito di applicazione di detto regolamento.

145    Da tutte le suesposte considerazioni emerge che l’ottavo motivo dev’essere respinto.

 Sul nono motivo, vertente su una violazione dell’articolo 14 del regolamento n. 659/1999 e del principio di proporzionalità

146    Con tale motivo, la Repubblica italiana afferma che l’importo dell’aiuto da recuperare, che non può essere superiore al beneficio effettivamente ottenuto dal destinatario, è, nella fattispecie, eccessivo. Invero, il beneficio effettivamente ottenuto dal beneficiario sarebbe pari non tanto alla differenza tra il tasso di mercato vigente nel momento della concessione dei prestiti in questione e quello stabilito da questi ultimi, quanto piuttosto alla differenza tra il tasso di mercato vigente al momento dell’erogazione delle singole rate di detti prestiti ed il tasso stabilito da questi ultimi. Applicando questo criterio, l’importo degli aiuti in questione sarebbe inferiore alle varie soglie de minimis e non avrebbe dovuto quindi essere recuperato.

147    A tal proposito occorre ricordare che la soppressione di un aiuto illegittimo mediante recupero è la logica conseguenza dell’accertamento della sua illegittimità. Il recupero onde ripristinare lo status quo ante non può, in linea di principio, ritenersi un provvedimento sproporzionato rispetto alle finalità delle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato. Per effetto della restituzione dell’aiuto, il beneficiario è privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti e la situazione esistente prima della corresponsione dell’aiuto è ripristinata (sentenza del 29 aprile 2004, Italia/Commissione, punto 94 supra, punti 103 e 104 e giurisprudenza ivi citata).

148    Nel caso di specie, si deve rilevare che, come risulta dai punti 134 e 139 della decisione impugnata, la Commissione ha calcolato l’equivalente sovvenzione dei prestiti in questione sulla base della differenza tra il tasso d’interesse stabilito nei contratti di prestito e il tasso di riferimento in vigore alla data di concessione dei prestiti in questione, detraendo le parti di aiuti considerate compatibili con il mercato comune.

149    Tale metodo di valutazione dev’essere condiviso.

150    Infatti, in presenza di aiuto di Stato che rivesta la forma di prestito senza interesse o di prestito a tasso agevolato, l’aiuto è costituito dalla differenza tra gli interessi che sarebbero stati pagati se il tasso d’interesse corrispondente alle condizioni normali di mercato fosse stato applicato e quelli che sono stati effettivamente versati (v., in tal senso, sentenza del Tribunale del 30 aprile 1998, Cityflyer Express/Commissione, T‑16/96, Racc. pag. II‑757, punto 53). Qualora, quindi, come nel caso di specie, il vantaggio concorrenziale risieda nel tasso preferenziale accordato, la Commissione può legittimamente imporre l’applicazione del tasso che sarebbe stato pattuito in condizioni normali di mercato e la restituzione della differenza tra gli interessi che sarebbero stati pagati in tali condizioni e quelli effettivamente versati in base al tasso preferenziale accordato (v., in tal senso, sentenza Cityflyer Express/Commissione, cit., punto 56).

151    Dal momento che, in un’economia di mercato, i tassi sono idonei a fluttuare sia al rialzo sia al ribasso, in modo largamente imprevedibile per gli operatori interessati, in base al principio dell’investitore privato operante in un’economia di mercato un prestito dev’essere valutato dal punto di vista del creditore nel momento in cui tale prestito è stato accordato (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa che ha dato luogo alla sentenza della Corte del 3 luglio 2003, Belgio/Commissione, C‑457/00, Racc. pag. I‑6931, 6934, punto 91).

152    Sulla scorta di quanto precede risulta che, per calcolare il vantaggio effettivamente concesso al beneficiario di un aiuto di Stato in forma di prestito a tasso fisso agevolato, la Commissione può legittimamente comparare il tasso d’interesse praticato sul mercato al momento della concessione di detto prestito e quello effettivamente applicato nell’ambito del medesimo.

153    La Repubblica italiana sostiene pertanto a torto che l’importo dell’aiuto da recuperare sarebbe pari alla differenza tra il tasso di mercato vigente al momento dell’erogazione delle singole rate di detti prestiti ed il tasso stabilito da questi ultimi.

154    Si deve pertanto respingere il nono motivo, così come, per l’effetto, il ricorso nel suo complesso.

 Sulle spese

155    Ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica italiana, essendo rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda formulata in tal senso dalla Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Papasavvas

Vadapalas

O’Higgins

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 27 settembre 2012.

Firme

Indice


Fatti

Le misure in questione

La decisione del 2004

Le sentenze Wam I e Wam II

La decisione impugnata

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sul sesto motivo, vertente su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE, dell’articolo 7, paragrafo 5, e dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 659/1999, e del principio della tutela del legittimo affidamento

Sul primo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 4, paragrafi 5 e 6, del regolamento n. 659/1999 e del principio del ne bis in idem

Sul secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 108, paragrafi 2 e 3, TFUE e degli articoli 4, 6, 7, 10, 13 e 20 del regolamento n. 659/1999

Sul quinto motivo, vertente su una violazione del principio del contraddittorio, dell’articolo 20 del regolamento n. 659/1999, e su un difetto di istruttoria

Sul quarto motivo, vertente su una violazione dell’articolo 296, paragrafo 2, TFUE

Sul terzo motivo, vertente su una violazione dell’autorità del giudicato

Sul settimo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera d), e dell’articolo 2 del regolamento n. 1998/2006, dell’autorità del giudicato, e sulla contraddittorietà della decisione impugnata

Sull’ottavo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 107, paragrafo 3, lettere c) ed e), TFUE e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 70/2001

Sul nono motivo, vertente su una violazione dell’articolo 14 del regolamento n. 659/1999 e del principio di proporzionalità

Sulle spese


* Lingua processuale: l’italiano.