Language of document : ECLI:EU:T:2001:166

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

20 giugno 2001 (1)

«Dumping - Decisione che chiude il riesame di misure giunte a scadenza - Ricorso di annullamento»

Nella causa T-188/99,

Euroalliages, con sede in Bruxelles (Belgio), rappresentata dagli avv.ti D. Voillemot e O. Prost, avocats, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. N. Khan, quindi dal sig. V. Kreuschitz, in qualità di agenti, assistiti dal sig. A.P. Bentley, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto,

avente ad oggetto il ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione 4 giugno 1999, 99/426/CE, che chiude il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originario dell'Egitto e della Polonia (GU L 166, pag. 91),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO

DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),

composto dai sigg. A.W.H. Meij, presidente, K. Lenaerts, A. Potocki, M. Jaeger e J. Pirrung, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 dicembre 2000,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti e procedimento

1.
    Il 30 giugno 1992, a seguito di una denuncia depositata nel dicembre 1990 dalla ricorrente, la Commissione ha adottato il regolamento (CEE), n. 1808, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di ferrosilicio originario della Polonia e dell'Egitto (GU L 183, pag. 8).

2.
    Il dazio sul prodotto in questione è stato fissato al 32% dal regolamento (CEE) del Consiglio 14 dicembre 1992, n. 3642, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario della Polonia e dell'Egitto e riscuote definitivamente il dazio antidumping provvisorio (GU L 369, pag. 1).

3.
    La Commissione ha accettato gli impegni di prezzo offerti da un produttore-esportatore egiziano ed da un produttore-esportatore polacco (decisione della Commissione 30 giugno 1992, n. 92/331/CEE, e decisione della Commissione 14 dicembre 1992, n. 92/572/CEE, recanti accettazione dell'impegno, rispettivamente di un produttore egiziano e di un produttore polacco nell'ambito della procedura antidumping relativa alle importazioni di ferrosilicio originario della Polonia e dell'Egitto, rispettivamente GU L 183, pag. 40 e GU L 369, pag. 32)

4.
    Misure antidumping definitive sono state ugualmente istituite sulle importazioni di ferrosilicio originarie di altri paesi, da un lato, dal regolamento (CE) del Consiglio 2 dicembre 1993, n. 3359, che istituisce misure antidumping modificate sulle importazioni di ferrosilicio originario della Russia, del Kazakistan, dell'Ucraina, dell'Islanda, della Norvegia, della Svezia, del Venezuela e del Brasile (GU L 302, pag. 1) e dall'altro dal regolamento (CE) del Consiglio 17 marzo 1994, n. 621, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario del Sudafrica e della Repubblica popolare cinese (GU L 77, pag. 48)

5.
    Il 21 dicembre 1996, la Commissione pubblicava un avviso concernente l'imminente scadenza dei dazi antidumping relativi alle importazioni di provenienza dall'Egitto e dalla Polonia (GU C 387, pag. 3), in base al quale, da un lato, l'impegno del produttore-esportatore egiziano veniva a scadere il 5 luglio 1997 e, dall'altro, l'impegno del produttore-esportatore polacco, così come i dazi antidumping istituiti dal regolamento (CEE) del Consiglio 14 dicembre 1992, n. 3642, scadevano il 20 dicembre 1997.

6.
    Il 28 marzo 1997, a seguito della pubblicazione di tale avviso, la ricorrente ha depositato una richiesta di riesame delle misure giunte a scadenza ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 384/96, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 56, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»).

7.
    La Commissione avendo concluso, dopo aver sentito il comitato consultivo, che esistevano elementi di prova sufficienti per giustificare l'avvio di un riesame ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base, pubblicava un avviso di apertura di tale procedura sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee (GU 1997, C 204, pag. 2) ed avviava un'inchiesta. L'inchiesta relativa alle pratiche dumping riguardava il periodo compreso fra il 1° luglio 1996 ed il 30 giugno 1997 (in prosieguo: il «periodo d'inchiesta»). L'esame del pregiudizio riguardava il periodo dal 1993 alla fine del periodo di inchiesta.

8.
    In conformità all'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, le misure istituite dal regolamento n. 3642/92 sono rimaste in vigore in attesa del risultato del riesame.

9.
    Il 1° febbraio 1999 la Commissione informava la ricorrente dei fatti e delle considerazioni essenziali sulla cui base essa intendeva raccomandare la chiusura del procedimento senza l'istituzione di misure.

10.
    Poiché la ricorrente si era opposta alla chiusura la Commissione confermava la propria posizione con lettera 25 marzo 1999.

11.
    Il 4 giugno 1999 la Commissione adottava la decisione 1999/426/CE, che chiudeva il procedimento antidumping relativo alle importazioni di ferrosilicio originario dell'Egitto e della Polonia (GU L 166, pag. 91; in prosieguo: la «decisione impugnata»).

12.
    Al quattordicesimo 'considerando‘ di tale decisione, la Commissione indica che «l'aspetto del dumping non è stato approfondito», alla luce dei risultati relativi alla situazione dell'industria comunitaria ed alla reiterazione del pregiudizio.

13.
    Per quanto riguarda la situazione del mercato comunitario del ferrosilicio, la Commissione ritiene che l'industria comunitaria ha beneficiato delle misure antidumping in vigore, le quali hanno raggiunto il loro scopo, eliminando il pregiudizio causato dalle importazioni di provenienza dall'Egitto e dalla Polonia. Per quanto attiene alla probabilità di una continuazione o di una reiterazione del pregiudizio, essa indica che la scadenza delle misure che colpiscono le importazioni in provenienza da questi due paesi non è praticamente atta a causare una continuazione ovvero una reiterazione del pregiudizio.

14.
    La decisione impugnata è stata notificata alla ricorrente il 1° luglio 1999.

15.
    Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 20 agosto 1999 la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

16.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento. Le parti hanno presentato le loro difese ed hanno risposto alle domande del Tribunale all'udienza del 13 dicembre 2000.

Conclusioni delle parti

17.
    La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

-    annullare la decisione impugnata;

-    condannare la Commissione alle spese.

18.
    La Commissione conclude che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare la ricorrente alle spese.

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

19.
    La Commissione pur riconoscendo che la decisione impugnata riguarda direttamente ed individualmente la ricorrente, considera, senza sollevare formalmente un'eccezione di irricevibilità, che il ricorso è irricevibile perché la ricorrente non ha interesse ad agire.

20.
    La Commissione espone, innanzi tutto, che nella decisione impugnata essa ha indicato che la ricorrente avrebbe potuto presentare una nuova denuncia se la sua situazione fosse venuta a deteriorarsi in seguito alle importazioni oggetto di dumping ed osserva che una simile denuncia non è stata depositata.

21.
    Essa sostiene inoltre che, se il Tribunale pronunciasse l'annullamento della decisione impugnata, la ricorrente, che invoca elementi intervenuti successivamente al periodo dell'inchiesta, avrebbe interesse a depositare una nuova denuncia per ottenerne la presa in considerazione.

22.
    La Commissione fa valere, infine che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l'annullamento della decisione impugnata non avrebbe come conseguenza né il ripristino delle misure applicabili al 1° luglio 1999, né la trasmissione al Consiglio di una proposta di mantenimento di tali misure. Essa si riferisce, a tal proposito, alle disposizioni dell'art. 1 dell'accordo relativo alla messa in opera dell'art. IV dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GU L 336, pag. 103; in prosieguo: l'«accordo antidumping dell'OMC»), in base al quale una misura antidumping non può entrare in vigore se non in seguito ad un'inchiesta condotta in conformità all'accordo citato.

23.
    La ricorrente non contesta di avere la possibilità di depositare una nuova denuncia. Essa ritiene tuttavia, che il regolamento di base contenga, nel suo art. 11, n. 2, una disposizione specifica che dà diritto all'industria comunitaria, alla scadenza del periodo di applicazione di misure antidumping, di beneficiare del loro mantenimento quando sia dimostrato che è probabile la reiterazione del dumping pregiudizievole. Essa ritiene che la Commissione avrebbe dovuto effettuare una piena e completa applicazione di tale disposizione.

24.
    Secondo la ricorrente, le conseguenze dell'annullamento della decisione impugnata non sarebbero identiche a quelle della presentazione di una nuova denuncia.

25.
    La ricorrente è, inoltre dell'opinione che la tesi della Commissione conduca a privare l'industria comunitaria di qualsiasi tutela giurisdizionale in caso di chiusura di un procedimento di riesame.

Giudizio del Tribunale

26.
    In base ad una giurisprudenza costante, il ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove il ricorrente abbia un interesse all'annullamento dell'atto in questione. Un tale interesse presuppone chel'annullamento dell'atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche (sentenza del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-483/93, Antillean Rice Mills/Commissione, Racc. pag. II-2305, punti 59 e 60, e la citata giurisprudenza).

27.
    Nel presente caso, l'annullamento della decisione impugnata produrrebbe effetti giuridici sotto molteplici aspetti. Innanzi tutto, l'art. 231 CE prevede che, se un ricorso di annullamento è fondato, l'atto impugnato viene dichiarato nullo e non avvenuto. L'annullamento della decisione con cui si è chiuso il procedimento di riesame avviato su richiesta della ricorrente avrebbe, quindi, come conseguenza, ai sensi dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, che le misure oggetto di riesame resterebbero in vigore fino alla conclusione dello stesso. Un risultato di questo tipo non sarebbe contrario all'art. 1 dell'accordo antidumping dell'OMC. L'annullamento della decisione impugnata, infatti, renderebbe nuovamente applicabili misure che, originariamente, erano state adottate a seguito di una regolare inchiesta, il che non equivarrebbe all'applicazione di misure antidumping senza inchiesta preliminare, vietata dall'art. 1 del suddetto accordo.

28.
    In secondo luogo, l'art. 233 CE stabilisce che l'istituzione da cui emana l'atto annullato è tenuta a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza comporta. A tal proposito, nella sentenza del Tribunale 15 ottobre 1998, causa T-2/95, Industrie des poudres sphériques/Consiglio ( Racc. pag. II-3939, punti 87-95) si è statuito che l'art. 233 CE lascia alla Commissione la scelta sia di riprendere la procedura basandosi su tutti gli atti della stessa che non sono stati colpiti dalla nullità pronunciata dal Tribunale, sia di condurre una nuova inchiesta che riguardi un altro periodo di riferimento, alla condizione di rispettare le condizioni derivanti dal regolamento di base. In entrambe le ipotesi, tuttavia, si tratterebbe di un'inchiesta relativa al riesame di provvedimenti giunti a scadenza ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base e non quindi un'inchiesta aperta, in conformità all'art. 5, n. 1, del citato regolamento, a seguito di una nuova denuncia.

29.
    Nella fattispecie, infine, l'argomentazione della Commissione condurrebbe, come essa stessa riconosce, ad escludere qualsiasi diritto di ricorso dei denuncianti contro le decisioni di chiusura di un riesame ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base ed inoltre limiterebbe seriamente la possibilità di sindacare la legittimità di queste decisioni. Una simile concezione dell'interesse ad agire, è incompatibile con i diritti procedurali conferiti ai produttori comunitari dall'art. 11, n. 2, del regolamento di base che implicano un diritto di ricorso contro la decisione adottata a conclusione del procedimento di riesame.

30.
    Ne deriva che, nella fattispecie, l'interesse ad agire della ricorrente non può essere negato.

Nel merito

31.
    La ricorrente invoca un unico motivo, dedotto dalla violazione dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base e più specificatamente, da un errore manifesto di valutazioneriguardo alla probabilità di reiterazione del pregiudizio. La prima branca di tale motivo è riguarda la pretesa violazione delle regole applicabili ai riesami avviati ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base, mentre nella seconda la ricorrente avanza censure specifiche concernenti la valutazione dei fatti da parte della Commissione nell'ambito della decisione impugnata.

Sulla violazione delle regole applicabili ai riesami avviati ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base.

32.
    La ricorrente rimprovera alla Commissione, in primo luogo, d'aver commesso un errore di diritto nell'applicare criteri di valutazione della probabilità di una reiterazione del pregiudizio e, in secondo luogo, d'avere considerato a torto che elementi relativi ad un periodo posteriore al periodo impugnato non potessero essere presi in considerazione.

Sui criteri di valutazione della probabilità di reiterazione del pregiudizio:

- Argomenti delle parti

33.
    La ricorrente ritiene che l'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base permetta di identificare dei criteri pertinenti per sostenere la probabilità di una reiterazione del pregiudizio, consistenti nella prova, in primo luogo, della continuazione del dumping, in secondo luogo di come l'eliminazione del pregiudizio sia totalmente o parzialmente imputabile all'esistenza di provvedimenti ed in terzo luogo di come la situazione degli esportatori o le condizioni del mercato siano tali da implicare la probabilità di nuove pratiche di dumping pregiudizievoli. Essa sottolinea che questi tre criteri sono alternativi e non cumulativi ed inoltre che gli stessi non sono gli unici elementi che permettono di valutare la probabilità di una reiterazione del pregiudizio. Essa precisa che i criteri considerati ai fini dell'avvio del riesame, ai sensi dell'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base, non possono essere diversi da quelli cui si ricorre per decidere il mantenimento in vigore dei dazi, in conformità all'art. 11, n. 2, primo comma, del medesimo regolamento.

34.
    La ricorrente è dell'opinione che i primi due dei tre criteri presenti all'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base, siano soddisfatti nella fattispecie, poiché la Commissione avrebbe riconosciuto la persistenza del dumping e l'eliminazione del pregiudizio grazie ai provvedimenti in questione.

35.
    Secondo la ricorrente ne consegue che il potere discrezionale della Commissione nell'attuazione dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base, sarebbe nella fattispecie «determinato». Avendo la ricorrente fornito, a suo dire, un principio di prova relativo al terzo criterio, che riguarda la situazione degli esportatori e le condizioni del mercato, la Commissione per poter suggerire la soppressione dei provvedimentiavrebbe dovuto produrre elementi che giustificassero di non tener conto di tale principio di prova.

36.
    Con riferimento a questo terzo criterio, la ricorrente ritiene che le disposizioni dell'art. 3, n. 9, del regolamento di base relative al concetto di «minaccia di pregiudizio», possano essere utili per meglio comprendere la nozione di «probabile reiterazione del pregiudizio». Essa sostiene che la pertinenza di tale disposizione sia confermata dalle sentenze del Tribunale 2 maggio 1995, cause riunite T-163/94 e T-165/94, NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio (Racc. pag. II-1381), e della Corte 10 febbraio 1998, causa C-245/95, Commissione/NTN Corporation e Koyo Seiko (Racc. pag. I-401), rese in base al regolamento (CEE) del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità economica europea (GU L 209, pag.1), il cui art. 15 avrebbe già riguardato, senza utilizzare gli stessi termini, i concetti menzionati all'art. 11, n. 2, del regolamento di base. Inoltre, la legislazione americana, sul riesame di provvedimenti in scadenza costituirebbe un elemento utile per valutare la «situazione degli esportatori e le condizioni del mercato», nella misura in cui essa fa riferimento ad un «fascio di indizi» per determinare se, a conclusione di tale riesame, risultino sussistere i presupposti per il mantenimento in vigore. Essa sostiene che gli indizi menzionati nella normativa americana potrebbero utilmente completare i concetti invocati, a titolo di esempio, all'art. 11, n. 2, del regolamento di base.

37.
    La Commissione riconosce di aver confermato, con lettera 25 marzo 1999, la persistenza di pratiche di dumping durante il periodo d'inchiesta, ma sottolinea di non aver esaminato tale questione nella decisione impugnata. Essa contesta la tesi della ricorrente secondo cui, nella fattispecie, la continuazione delle pratiche di dumping renderebbe probabile una reiterazione del pregiudizio.

38.
    Per quanto attiene alla prova che la situazione degli esportatori o le condizioni del mercato siano tali da comportare la probabilità di nuove pratiche di dumping pregiudizievoli, la Commissione ritiene che occorra distinguere fra l'ipotesi in base alla quale il pregiudizio sarebbe continuato malgrado i provvedimenti e quella secondo cui lo stesso sarebbe stato eliminato dai provvedimenti stessi. Se le pratiche di dumping hanno continuato a causare un pregiudizio malgrado i provvedimenti antidumping non si potrebbe pensare di lasciare che questi ultimi vengano a scadenza. In compenso se i provvedimenti antidumping hanno eliminato il pregiudizio mentre erano in vigore, la Commissione si ritiene obbligata a valutare se il loro mantenimento sia comunque necessario al fine di evitare la reiterazione di un dumping pregiudizievole per l'industria comunitaria. Essa è dell'opinione di dover considerare qualsiasi miglioramento nella situazione dell'industria comunitaria che sia riconducibile all'istituzione dei provvedimenti antidumping.

39.
    La Commissione sostiene l'esistenza di una netta differenza fra l'ipotesi considerata dall'art. 3, n. 9, del regolamento di base (minaccia di pregiudizio), e quella considerata dall'art. 11, n. 2, del medesimo regolamento (reiterazione delpregiudizio). La ricorrente non potrebbe quindi invocare un'analogia fra le due disposizioni, tanto più che la prova di una minaccia di pregiudizio è molto difficile e che soltanto in pochissimi casi le istituzioni hanno adottato provvedimenti antidumping sulla base di una minaccia di questo tipo.

40.
    Alla trattazione orale, essa ha precisato che la nozione di pregiudizio ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base include l'ipotesi di una minaccia di pregiudizio. Essa sostiene tuttavia che l'ipotesi secondo cui la scadenza dei provvedimenti antidumping che favorirebbe il riapparire di una minaccia abbia carattere teorico. Nella pratica l'esame riguarderebbe sempre la probabilità di una reiterazione del pregiudizio.

- Giudizio del Tribunale

41.
    Ai sensi dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, un provvedimento antidumping scade cinque anni dopo la data di istituzione «salvo che nel corso di un riesame non sia stabilito che la scadenza di dette misure implica il rischio del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio».

42.
    Si evince da questo testo, da un lato, che il mantenimento in vigore della misura dipende dal risultato di una valutazione delle conseguenze della sua scadenza, quindi da un pronostico basato su ipotesi riferite agli sviluppi futuri della situazione del mercato in questione. Dall'altro lato si evince che una semplice possibilità di continuazione o di reiterazione del pregiudizio non basta per giustificare il mantenimento in vigore di una misura, richiedendosi a tal fine che sia stata accertata la probabilità di una continuazione o di una reiterazione del pregiudizio.

43.
    A tal proposito non incide il fatto che il testo francese dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, a differenza di altre versioni linguistiche, non utilizzi il termine «probabile» o «probabilità».

44.
    Il regolamento di base, infatti, deve essere interpretato ai sensi dell'accordo antidumping dell'OMC (v. sentenza del Tribunale 27 gennaio 2000, causa T-256/97, BEUC/Commissione, Racc. pag. II-101, punti 66 e 67), il cui art. 11, n. 3, prevede che ogni dazio antidumping definitivo sarà soppresso cinque anni al più tardi a partire dalla data in cui lo stesso sarà stato imposto «salvo che le autorità non determinino, nel corso di un riesame (...) che sia probabile che il dumping ed il danno sussisteranno o si riprodurranno se il dazio è soppresso». A tal riguardo l'uso dei verbi «établir» (stabilire) et «favoriser» (favorire) nella versione francese del regolamento di base implica che le misure non possono essere mantenute solo se il riesame ha permesso di dimostrare che la loro scadenza creerebbe condizioni favorevoli alla continuazione o alla reiterazione del pregiudizio. Non si esige, quindi, che la continuazione o la reiterazione del pregiudizio siano provate ma unicamente che esista una probabilità in tal senso. Un'esigenza di probabilità figura dunque, in modo implicito, anche nel testo francese del regolamento di base.

45.
    Nella fattispecie, le parti riconoscono che il pregiudizio è stato eliminato mentre le misure in questione erano in vigore. Per la Commissione, si trattava quindi, di esaminare la probabilità di reiterazione del pregiudizio.

46.
    Un tale esame presuppone la valutazione di questioni economiche complesse per la quale le istituzioni dispongono di un ampio potere discrezionale. Il sindacato giurisdizionale di tale valutazione deve pertanto limitarsi all'accertamento del rispetto delle norme procedurali, dell'esattezza materiale dei fatti considerati nell'operare la scelta contestata e dell'assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere (sentenza del Tribunale 30 marzo 2000, causa T-51/96, Miwon/Consiglio, Racc. pag. II-1841, punto 94).

47.
    E' necessario rilevare, inoltre, che l'art. 11, n. 2, primo comma, primo capoverso del regolamento di base, che regola le condizioni in cui le misure antidumping possono essere mantenute in vigore, enuncia l'esigenza della probabilità della continuazione o della reiterazione del pregiudizio, ma non precisa espressamente i fattori che le autorità comunitarie dovrebbero prendere in considerazione per valutare tale probabilità.

48.
    Per contro, l'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base dispone:

«Il riesame in previsione della scadenza viene avviato se la domanda contiene sufficienti elementi di prova del rischio del persistere o della reiterazione del dumping o del pregiudizio, in assenza di misure. Tali elementi di prova possono riguardare, tra l'altro, il persistere del dumping o del pregiudizio oppure il fatto che l'eliminazione del pregiudizio sia dovuta in parte o integralmente all'applicazione delle misure oppure la probabilità che, alla luce della situazione degli esportatori o delle condizioni del mercato, vengano attuate nuove pratiche di dumping arrecanti pregiudizio».

49.
    Come risulta dalla lettera di tale disposizione essa ha per oggetto di precisare non le condizioni del mantenimento delle misure, ma le condizioni nelle quali si da luogo a procedere a seguito di una richiesta presentata a nome dell'industria comunitaria, di un riesame di misure che giungono a scadenza. L'esame di tali condizioni ha luogo sulla base degli elementi prodotti a sostegno della domanda. A tal proposito i tre criteri presenti a titolo di esempio nel secondo capoverso di tale disposizione hanno un carattere alternativo e non cumulativo.

50.
    Occorre esaminare alla luce di tali considerazioni, la tesi della ricorrente in base alla quale questi tre criteri sono pertinenti per valutare se, ai sensi dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, si debba disporre il mantenimento in vigore delle misure.

51.
    A titolo preliminare, è necessario precisare che, malgrado le ambiguità contenute in proposito nel testo francese, l'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base non deve essere inteso nel senso che «la prova» di uno dei tre casi tipicimenzionati nel suo secondo capoverso risulti necessaria per comprovare, ai fini dell'avvio di un riesame, la probabilità della continuazione o della reiterazione del pregiudizio. I tre casi tipici descritti in tale frase, in effetti, dovrebbero essere interpretati alla luce del primo capoverso dello stesso comma, in base al quale il riesame è avviato quando la richiesta contiene «sufficienti elementi di prova» della probabilità della continuazione o della reiterazione del pregiudizio. Il secondo capoverso intende fornire esempi di elementi di prova pertinenti. Si desume quindi dal sistema dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base che è sufficiente, ai fini dell'avvio del riesame che la richiesta presentata a nome dell'industria comunitaria venga sostenuta da elementi di prova, segnatamente, dall'esistenza di uno dei tre casi tipici descritti nel secondo capoverso del suo secondo comma.

52.
    Si evince da ciò che precede, per quanto attiene alla prima fattispecie, che un riesame deve essere avviato sulla base di elementi di prova sufficienti riguardanti la continuazione del dumping e del pregiudizio, senza che la suddetta continuazione debba essere fin da ora provata. L'esistenza di tali elementi di prova, tuttavia, non dovrebbe pregiudicare il risultato del riesame. Per contro, per il caso in cui la continuazione del dumping e del pregiudizio sia accertata già prima dell'avvio del riesame, la Commissione ha indicato, a giusto titolo, che non può lasciar scadere le misure. Ciò non avviene tuttavia nel presente caso, giacché il pregiudizio è stato eliminato dalle misure in questione.

53.
    Quanto alla seconda fattispecie, è certamente il caso di procedere ad un riesame quando la domanda contenga degli elementi di prova sufficienti a stabilire che l'eliminazione del pregiudizio è in parte o integralmente imputabile all'esistenza di misure. Tuttavia tale eliminazione non permetterebbe, di per sé, di concludere che la reiterazione del pregiudizio sia probabile in caso di scadenza delle misure. Se così non fosse, infatti, le misure antidumping che hanno ottenuto il loro scopo eliminando il pregiudizio non potrebbero mai arrivare a scadenza.

54.
    La terza fattispecie si riferisce esplicitamente alla probabilità di nuove pratiche di dumping pregiudizievole. Non è tuttavia necessario, per avviare un riesame, che la situazione degli esportatori e le condizioni del mercato, che rendono probabile una reiterazione del dumping e del pregiudizio, siano effettivamente accertate. La richiesta di riesame deve contenere solo degli elementi di prova giustificativi di un'istruzione a tal riguardo. Per contro, ai fini del mantenimento delle misure ai sensi dell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, le circostanze dalle quali scaturisce tale probabilità dovrebbero essere stabilite sulla base dei risultati di un'inchiesta.

55.
    Da tale analisi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base risulta che le tre fattispecie enunciate nel suo secondo comma non costituiscono , in quanto tali, dei criteri di valutazione della probabilità di una reiterazione del pregiudizio ai sensi del primo comma di tale disposizione.

56.
    L'interpretazione in base alla quale i presupposti di avvio di un riesame non debbano essere confusi con quelli che giustificano il mantenimento in vigore delle misure è confermata dalle sentenze NTN Corporation e Koyo Seiko/Consiglio, citata sopra al punto 36 (punti 58-60), e Commissione/NTN Corporation e Koyo Seiko, citata sopra al punto 36 (punti 41 e 42), pronunciate ai sensi dell'art. 14 e 15 del regolamento n. 2423/88. A tal proposito è necessario ricordare che l'art. 15 del regolamento n. 2423/88, che regola il riesame di misure in scadenza, si distingueva dall'art. 11 del regolamento di base in quanto fissava espressamente soltanto le condizioni di apertura di un riesame, mentre non indicava esplicitamente le condizioni alle quali le misure potevano essere mantenute in vigore. In una situazione di questo tipo, sia la Corte che il Tribunale hanno considerato che i criteri cui era subordinato l'avvio del riesame non si potevano prendere in considerazione, per decidere se occorresse mantenere in vigore i provvedimenti. Tale ragionamento si impone a maggior ragione nell'ambito del regolamento di base, il quale enuncia esplicitamente le condizioni alle quali il mantenimento delle misure è subordinato.

57.
    Occorre aggiungere che tanto il regolamento di base quanto l'accordo antidumping dell'OMC subordinano il mantenimento in vigore delle misure a condizioni precise, esigendo che la probabilità di una reiterazione del dumping e del pregiudizio sia stata accertata positivamente, sulla base di un'inchiesta effettuata da autorità competenti.

58.
    Ne consegue che la ricorrente non può sostenere che la Commissione, una volta accertata l'esistenza dei primi due criteri menzionati all'art. 11, n. 2, secondo comma, del regolamento di base, fosse tenuta, in presenza di un inizio di prova riguardante il terzo criterio, a proporre il mantenimento in vigore delle misure, qualora il detto inizio di prova non fosse confutato.

59.
    Per quanto riguarda poi le disposizioni dell'art. 3, n. 9, del regolamento di base e della normativa antidumping degli Stati Uniti, che la ricorrente considera pertinenti per precisare i criteri di valutazione di una probabilità di reiterazione del pregiudizio, occorre rilevare che la Commissione, nel momento in cui esamina l'esistenza di una probabilità, deve valutare la situazione sul mercato nel suo insieme. La scelta dei criteri da considerare ai fini di tale valutazione esula, in ogni singolo caso, dal potere discrezionale della Commissione. Non può quindi, essere censurato dal Tribunale se non in caso di errore manifesto.

60.
    Ora, l'unica contestazione precisa a tal proposito è stata sollevata dalla ricorrente nella replica e riguarda la presa in considerazione del livello di dumping rilevato durante il periodo dell'inchiesta. Tale censura sarà esaminata qui di seguito dal punto 115 al 118.

61.
    A parte questo punto specifico, la ricorrente non ha invocato errori manifesti riguardanti la scelta dei criteri che la Commissione ha preso in considerazione nella decisione impugnata. Essa non ha nemmeno indicato in che cosa il risultato dellavalutazione della reiterazione del pregiudizio sarebbe potuto essere differente se la Commissione avesse fatto ricorso ai criteri indicati all'art. 3, n. 9, del regolamento di base o nella normativa degli Stati Uniti.

62.
    Di conseguenza, gli argomenti sviluppati dalla ricorrente con riferimento, in generale, ai criteri di valutazione suscettibili d'essere presi in considerazione per determinare se la reiterazione di un pregiudizio sia probabile non sono di per sé capaci, nella fattispecie, di inficiare la validità della decisione impugnata.

Sulla considerazione di elementi relativi ad un periodo posteriore al periodo d'inchiesta

- Argomenti delle parti

63.
    La ricorrente contesta alla Commissione di non aver preso in esame quando ha analizzato la probabilità di una reiterazione del dumping e del pregiudizio, elementi posteriori al periodo d'inchiesta che è durato fino al 30 giugno 1997. Trattandosi di un avvenimento futuro, la presa in considerazione di tali elementi sarebbe giustificata. La Commissione si sarebbe, inoltre, allontanata dalla sua prassi in altri affari. Il prendere in considerazione elementi posteriori sarebbe tanto più necessario nella fattispecie visto che il riesame ha superato il termine di un anno previsto dall'art. 11, n. 5, del regolamento di base.

64.
    Ai sensi dell'art. 11, n. 2, terzo comma, del regolamento di base, la Commissione sarebbe obbligata a tenere in considerazione tutti gli elementi di prova pertinenti e debitamente documentati presentati al momento dell'inchiesta, ciò significa, nella fattispecie dal 1° luglio 1996 al 1° luglio 1999.

65.
    A titolo sussidiario, la ricorrente fa valere che, nella fattispecie, la fine del periodo d'inchiesta non corrisponde alla fine del periodo di cinque anni successivi all'istituzione delle misure, menzionate nell'art. 11, n. 2, primo comma, del regolamento di base, ma corrisponde al 20 dicembre 1997. Essa ritiene pertanto che sia comunque necessario tener conto degli elementi relativi ad un periodo che scade il 20 dicembre 1997 e non il 30 giugno 1997.

66.
    La ricorrente sottolinea infine che le sue censure sono fondate, essenzialmente, su degli elementi che rientrano nel periodo d'inchiesta, ma che gli stessi sono completati e confermati da elementi posteriori a tale periodo. Questi ultimi sarebbero stati portati a conoscenza della Commissione nell'ambito della procedura amministrativa e l'istituzione avrebbe potuto facilmente controllarli.

67.
    Secondo la Commissione, la probabilità di una continuazione o di una reiterazione del dumping e del pregiudizio dovrebbe essere valutata tenendo conto unicamente di elementi relativi ad un periodo di riferimento che non supera l'ultimo giorno delperiodo di cinque anni. Pertanto solo questi elementi potrebbero giustificare la continuazione delle misure.

68.
    La Commissione sostiene che tale regola non impedisce che il periodo di inchiesta termini qualche mese prima della fine del periodo di cinque anni.

69.
    La Commissione sottolinea che, infine, se i rappresentanti dell'industria comunitaria sostengono l'esistenza di elementi relativi al periodo posteriore al periodo d'inchiesta che giustificano l'adozione delle misure antidumping, farebbero meglio a depositare una nuova denuncia piuttosto che presentare gli elementi descritti nell'ambito dell'inchiesta avviata ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base.

- Giudizio del Tribunale

70.
    In conformità all'art. 11, n. 5, del regolamento di base che corrisponde all'art. 11, n. 4, dell'accordo antidumping dell'OMC, il riesame delle misure in scadenza deve essere condotto in base alle regole riguardanti le procedure e la condotta delle inchieste, segnatamente menzionate all'art. 6 del regolamento di base. Ne segue che il mantenimento in vigore di misure successive alla scadenza di un periodo di cinque anni è subordinato alle stesse garanzie procedurali riguardanti lo svolgimento dell'inchiesta, cui è subordinata la prima istituzione di tali misure.

71.
    L'art. 6, n. 1, del regolamento di base prevede che «le informazioni relative ad un periodo successivo al periodo dell'inchiesta non sono di norma prese in considerazione».

72.
    L'art. 11, n. 2, terzo comma, del regolamento di base dispone:

«Nello svolgimento delle inchieste a norma del presente paragrafo gli esportatori, gli importatori, i rappresentanti del paese esportatore ed i produttori comunitari hanno la possibilità di sviluppare o di confutare le questioni esposte nella domanda di riesame e le conclusioni tengono debitamente conto di tutti gli elementi di prova pertinenti e debitamente documentati presentati in merito al rischi del persistere o della reiterazione del dumping e del pregiudizio, in assenza di misure».

73.
    Contrariamente a ciò che sembra pensare la ricorrente, tale disposizione non deroga, per quanto attiene ai riesami di misure in scadenza, alla regola enunciata dall'art. 6, n. 1, del regolamento di base. In effetti l'obbligo di considerare «tutti gli elementi di prova pertinenti» che essa impone alla Commissione riguarda gli elementi di prova risultanti dall'inchiesta condotta in conformità alle disposizioni dell'art. 6 del regolamento di base.

74.
    La determinazione di un periodo di inchiesta ed il divieto di tener conto di elementi posteriori alla stessa mirano a garantire che i risultati dell'inchiesta siano rappresentativi ed affidabili. Ciò vale tanto per le inchieste condotte nell'ambito di un riesame quanto per quelle avviate conformemente all'art. 5 del regolamento dibase. Di conseguenza, la regola in base alla quale le informazioni relative ad un periodo posteriore al periodo d'inchiesta non sono, normalmente prese in considerazione si applica ugualmente alle inchieste di riesame di misure in scadenza.

75.
    Usando il termine «normalmente» l'art. 6, n. 1, del regolamento di base consente tuttavia delle eccezioni a tale regola. A tale proposito è stato giudicato che non compete alle istituzioni comunitarie incorporare nei loro calcoli dati che si riferiscono ad un periodo successivo a quello dell'indagine, a meno che questi dati non rivelino nuovi sviluppi che rendono manifestamente inadeguata la prevista istituzione del dazio antidumping (sentenza Tribunale 11 luglio 1996, causa T-161/94, Sinochem/Consiglio, Racc. pag. II-695, punto 88).

76.
    Occorre dunque chiedersi se tale eccezione riguardi unicamente l'ipotesi esaminata dal Tribunale nella sentenza Sinochem/Consiglio, citata al punto 75, qui sopra, quindi quella in base alla quale gli sviluppi posteriori al periodo d'inchiesta si oppongono all'istituzione di misure, o meglio se tali elementi possano essere considerati ugualmente a favore delle misure, segnatamente nel caso di un riesame di misure in scadenza per giustificare il mantenimento delle misure in questione. A tal proposito si deve rilevare che il regolamento di base e l'accordo antidumping dell'OMC subordinano a rigorose condizioni sia l'imposizione che il mantenimento delle misure. L'art. 11, n. 2, del regolamento di base subordina, segnatamente, il mantenimento di misure di protezione dopo la scadenza di un periodo di cinque anni alla condizione che gli elementi di fatto dai quali può essere dedotta una probabilità di reiterazione del pregiudizio siano stati accertati grazie ad un'inchiesta condotta in conformità al regolamento di base.

77.
    Per contro, quando i risultati di un'inchiesta di questo tipo non sono sufficienti per giustificare il mantenimento in vigore dei dazi antidumping il regolamento di base prevede la loro scadenza. Ciò implica che degli elementi posteriori al periodo d'inchiesta non possono essere presi in considerazione per giustificare il mantenimento in vigore dei dazi. Di conseguenza, la sentenza Sinochem/Consiglio, citata al punto 75, qui sopra, riguarda solo l'ipotesi in cui elementi posteriori al periodo d'inchiesta, constatati al di fuori di un'inchiesta conforme alle garanzie procedurali imposte dal regolamento di base e dall'accordo antidumping dell'OMC, sono considerati per rinunciare all'istituzione od al mantenimento dei diritti antidumping.

78.
    L'obbligo di fondare il mantenimento dei dazi antidumping unicamente su elementi raccolti nell'ambito di un'inchiesta conforme al regolamento di base ad all'accordo antidumping dell'OMC non sarebbe toccato dal fatto che il procedimento di riesame sia durato, nel caso di specie, più di dodici mesi contrariamente a ciò che normalmente dovrebbe accadere ai sensi dell'art. 11, n. 5, del regolamento di base.

79.
    Per quanto attiene all'argomento secondo cui la Commissione avrebbe dovuto tenere in considerazione tutti gli elementi appartenenti al periodo anteriore al 20 dicembre 1997, data in cui è terminato il periodo di cinque anni dopo l'instaurazione delle misure, è necessario rilevare, innanzi tutto, che la Commissione dispone di un potere discrezionale riferito alla scelta del periodo d'inchiesta (sentenza Corte 7 maggio 1991, causa C-69/89, Nakajima/Consiglio, Racc. pag. I-2069, punto 86). Dato che la procedura di riesame richiede un certo tempo, è legittimo che il periodo d'inchiesta termini qualche mese prima della scadenza del periodo di cinque anni. Inoltre, le considerazioni relative al rispetto delle garanzie procedurali nell'ambito dell'inchiesta, esposte sopra, ostano alla possibilità che la Commissione consideri degli elementi che si sono prodotti fra la fine del periodo d'inchiesta e la scadenza del periodo di cinque anni.

80.
    Con la tesi da essa sostenuta la ricorrente contraddice infine gli stessi argomenti che ha svolto per sostenere la ricevibilità del ricorso. Non può, infatti, da un lato, ottenere il sindacato giurisdizionale del riesame delle misure scadute effettuato dalla Commissione ai sensi dell'art. 11, n. 2, del regolamento di base senza che le venga apposta la possibilità di depositare una nuova denuncia, e dall'altro lato, esigere che siano presi in considerazione, nell'ambito di tale sindacato giurisdizionale, elementi suscettibili d'essere oggetto di una nuova denuncia.

81.
    Ne consegue che l'argomento della ricorrente, in base al quale la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione elementi posteriori al periodo di inchiesta, non è fondato.

Sulla denuncia riguardante la valutazione dei fatti

Argomenti della ricorrente

82.
    La ricorrente ritiene che l'insieme degli elementi di cui disponeva la Commissione durante la procedura di riesame avrebbero dovuto necessariamente condurla a concludere che fosse probabile una reiterazione del pregiudizio. Essa afferma che la Commissione ha commesso errori manifesti di valutazione riguardanti sette aspetti specifici della decisione impugnata.

83.
    In primo luogo, la Commissione avrebbe commesso errori circa il volume delle importazioni. Per prima cosa, avrebbe ignorato che lo sviluppo del volume delle importazioni, segnatamente alla fine del periodo d'inchiesta e posteriormente a questo, costituiva un serio indice della reiterazione del pregiudizio. Nella replica essa rimprovera alla Commissione d'aver omesso di cumulare le importazioni provenienti dall'Egitto e dalla Polonia. Per quanto attiene più in particolare alle importazioni di provenienza dalla Polonia, la ricorrente invoca un errore della Commissione riguardante il loro sviluppo durante e dopo il periodo di inchiesta. Riguardo alle importazioni provenienti dall'Egitto, la Commissione, da un lato avrebbe ignorato il carattere temporaneo della loro diminuzione durante il periodo d'inchiesta e, dall'altro, avrebbe erroneamente stimato il loro volume durante lostesso periodo, poiché le cifre indicate in proposito divergono da quelle indicate dal produttore-esportatore egiziano nella sua risposta al questionario.

84.
    In secondo luogo, la Commissione avrebbe trascurato le conseguenze che avrebbe dovuto dedurre dall'aumento della quota di mercato comunitario corrispondente alle importazioni provenienti dalla Polonia e dall'Egitto.

85.
    In terzo luogo, la Commissione avrebbe compiuto un errore manifesto di valutazione con riferimento alle sottoquotazioni dei prezzi delle importazioni. Innanzi tutto la Commissione avrebbe ignorato la probabilità che, in caso di scadenza delle misure, un livello di quotazione inferiore al livello reale, a confronto dei prezzi applicati dall'industria comunitaria, giungendo fino al 30% sarebbe nuovamente riapparso. Malgrado l'esistenza delle misure, una sottoquotazione del 4,5% per le esportazioni dall'Egitto e del 4,6% per quelle dalla Polonia figurerebbe nella decisione impugnata, permettendo l'aumento dei volumi e delle quote di mercato degli esportatori di questi due paesi.

86.
    In quarto luogo, la Commissione avrebbe commesso errori manifesti riguardo alla probabilità di un riorientamento delle esportazioni dalla Polonia e dall'Egitto verso il mercato comunitario. La Commissione avrebbe, innanzitutto trascurato la probabile evoluzione dei prezzi del ferrosilicio sul mercato mondiale, i quali presenterebbero una fluttuazione importante. In seguito, per quanto attiene più in particolare al produttore-esportatore egiziano, la Commissione, da un lato, avrebbe commesso un errore manifesto quanto alle conclusioni dedotte dall'utilizzo delle capacità di produzione e dall'importanza degli stock dello stesso e dall'altro lato, quanto alla ripartizione delle sue vendite. Per ciò che attiene, più in particolare al produttore-esportatore polacco, la Commissione avrebbe ignorato le previsioni dello stesso quanto all'utilizzo delle sue capacità di produzione.

87.
    In quinto luogo, la Commissione avrebbe commesso un errore manifesto riguardante le conseguenze che dovevano essere tratte dall'eliminazione del pregiudizio causato all'industria comunitaria dalle misure antidumping.

88.
    In sesto luogo, la ricorrente è dell'opinione che la Commissione abbia ignorato le conseguenze che avrebbe dovuto dedurre dalla sua constatazione in base alla quale il dumping sarebbe continuato, durante il periodo d'inchiesta. Essa sostiene a tal proposito che il livello di dumping constatato durante tale periodo sia importante. La normativa antidumping degli Stati Uniti farebbe espresso riferimento a tale criterio. Essa chiede al Tribunale di disporre che la Commissione indichi il livello di dumping constatato. All'udienza essa ha precisato che il margine di dumping considerato rilevato nel corso dell'inchiesta originale era del 61% per le importazioni provenienti dall'Egitto e del 44% per quelle provenienti dalla Polonia, ed era quindi particolarmente elevato. Il fatto che il dumping fosse persistito durante l'applicazione delle misure e che queste ultime avessero soppresso il pregiudizio costituirebbe un elemento di prova molto importante della necessità delloro mantenimento. La ricorrente è, inoltre, dell'opinione, che la prova del non rispetto dell'impegno dei produttori esportatori egiziano e polacco durante il periodo di applicazione delle misure, costituirebbe un indice supplementare della probabilità di una reiterazione del pregiudizio. Essa chiede quindi al Tribunale di invitare la Commissione a fornire i rapporti stabiliti dai suoi produttori esportatori relativi all'esecuzione dei loro impegni.

89.
    In settimo luogo, la ricorrente rimprovera alla Commissione di avere trascurato che la situazione dell'industria comunitaria rendeva probabile una reiterazione del pregiudizio.

Giudizio del Tribunale

90.
    Occorre osservare, in via preliminare che, come si evince dai precedenti punti 70-81, gli elementi di fatto posteriori al periodo d'inchiesta non possono essere invocati dalla ricorrente per mettere un dubbio la legalità della decisione impugnata.

91.
    Va, in seguito ricordato, che la Commissione per giustificare una proposta di mantenimento in vigore delle misure, deve provare l'esistenza di circostanze concrete da cui si possa dedurre che un ritorno a pratiche di prezzo pregiudizievoli non è solo possibile ma, anche probabile.

92.
    In tale contesto la Commissione doveva tener conto della fluttuazione dei prezzi del ferrosilicio sul mercato mondiale. Le due parti hanno indicato che l'evoluzione dei prezzi e di altre condizioni di tale mercato sono difficilmente prevedibili. Ne consegue che i prezzi e le altre condizioni del mercato mondiale avrebbero potuto evolvere in modo da indurre gli esportatori polacchi ed egiziani a fissare i loro prezzi sia ad un livello che poteva recare pregiudizio all'industria comunitaria sia ad un livello non dannoso. Ora, quando il carattere instabile di un mercato non permette di fare delle previsioni fondate riguardo al suo andamento, non si può concludere che un ritorno a pratiche di prezzo pregiudizievoli all'industria comunitaria sia nell'interesse degli esportatori.

93.
    La Commissione doveva altresì tener presente il fatto che, nel caso specifico, gli impegni di prezzo degli esportatori coinvolti erano stati accettati. Tali esportatori hanno, dunque, beneficiato dei prezzi di un livello non pregiudizievole ai quali i loro prodotti sono stati venduti nella Comunità, ciò che non si sarebbe verificato se fossero stati loro imposti dei diritti antidumping.

94.
    In tale contesto la Commissione ha constatato segnatamente, al diciottesimo 'considerando‘ della decisione impugnata, che i prezzi delle esportazioni verso la Comunità dei produttori-esportatori egiziani e polacchi sono rimasti, nel periodo dell'inchiesta, superiori alla soglia di pregiudizio che era stata calcolata per accettare i loro impegni di prezzo. Tale constatazione non è stata validamente messa in discussione dalla ricorrente che ha esplicitamente indicato, al punto 42della sua replica, che essa non negava che i produttori-esportatori egiziano e polacco avessero rispettato il loro impegno durante il periodo d'inchiesta. Certo, essa ha ugualmente sollevato nella sua replica la questione di un'eventuale inosservanza degli impegni prima e dopo il periodo d'inchiesta ed ha chiesto al Tribunale di disporre un mezzo istruttorio a tal riguardo. Tale argomentazione non può tuttavia invalidare quanto si constata in relazione al periodo d'inchiesta nel diciottesimo 'considerando‘ della decisione impugnata.

95.
    La circostanza che i produttori-esportatori polacco ed egiziano, di loro propria iniziativa, abbiano praticato dei prezzi più elevati di quelli derivanti ed imposti dai loro impegni di prezzo costituisce un indizio che permette di concludere che tali imprese non hanno cercato di vendere i loro prodotti a prezzi meno elevati possibili al fine di poter aumentare il volume delle loro vendite e le loro quote di mercato. L'atteggiamento dei produttori-esportatori durante il periodo d'inchiesta non permette dunque di concludere che gli stessi avrebbero automaticamente fatto ricorso a nuove pratiche di prezzo pregiudizievoli per il solo fatto della scadenza delle misure.

96.
    E' necessario analizzare, alla luce delle precedenti considerazioni, le censure specifiche mosse dalla ricorrente.

97.
    Per quanto attiene, in primo luogo, alla censura attinente lo sviluppo del volume delle importazioni, è utile rilevare, innanzi tutto, che la ricorrente non contesta l'esattezza delle cifre indicate tratte dalle statistiche dell'Ufficio statistico delle Comunità europee (Eurostat) e relative ai volumi delle importazioni provenienti dai due paesi in questione, quali figurano al sedicesimo 'considerando‘ della decisione impugnata. E' necessario ricordare, in seguito, che l'evoluzione delle importazioni posteriore al periodo d'inchiesta non potevate essere considerato dalla Commissione come giustificativo del mantenimento delle misure in questione (v. i punti 70-80).

98.
    L'addebito in base al quale la Commissione avrebbe omesso di cumulare le importazioni di provenienza dall'Egitto e dalla Polonia per valutare la probabilità di una reiterazione del pregiudizio non è fondato in punto di fatto e quindi va respinto senza che occorra decidere, come chiede la Commissione, se esso potesse essere invocato per la prima volta nella replica. Al trentaquattresimo 'considerando‘ della decisione impugnata, la Commissione indica che «le importazioni dall'Egitto e dalla Polonia erano complessivamente rimaste significative». Benché la Commissione non abbia indicato nella decisione impugnata le cifre corrispondenti alla somma di queste importazioni, la ricorrente non ha sostenuto che l'istituzione abbia omesso di tener conto dell'insieme delle importazioni provenienti dai due paesi in questione.

99.
    Più in particolare con riferimento alle importazioni provenienti dalla Polonia, la ricorrente contesta segnatamente l'affermazione, presente nella lettera dellaCommissione 25 marzo 1999, in base alla quale il tasso di incremento delle importazioni provenienti da tale Stato sarebbe diminuito durante il periodo d'inchiesta ed il livello delle importazioni sarebbe rimasto stabile nel 1997 e nel 1998. Quest'ultima affermazione non è stata ripresa nella decisione impugnata, il cui trentaquattresimo 'considerando‘ indica che, con riferimento al periodo considerato per l'esame del pregiudizio, le importazioni di provenienza dalla Polonia sono «aumentate sia pure partendo da una base modesta». A queste condizioni, non si può dedurre dalle affermazioni contenute nella lettera 25 marzo 1999, relative al periodo posteriore al periodo d'inchiesta, che la decisione impugnata sia inficiata da un errore manifesto riguardo all'evoluzione del volume delle importazioni.

100.
    L'argomentazione della ricorrente non permette nemmeno di stabilire che la Commissione abbia manifestamente ignorato l'evoluzione delle importazioni provenienti dalla Polonia durante il periodo d'inchiesta. A tal proposito, non occorre che il Tribunale si pronunci sulla validità dei differenti calcoli effettuati dalle parti, sulla base delle cifre prodotte dalla ricorrente, quanto all'evoluzione della media trimestrale delle importazioni provenienti da tale paese, calcoli riferiti al periodo posteriore a quello dell'inchiesta. Per contro, le cifre presenti nella decisione impugnata per il periodo preso in considerazione rispetto al pregiudizio mostrano un forte aumento delle importazioni di provenienza polacca fra il 1993 ed il 1995, una leggera diminuzione nel 1995 ed un aumento significativo durante il periodo d'inchiesta, segnatamente durante gli ultimi due trimestri di quest'ultimo. La decisione impugnata non mostra che la Commissione avrebbe ignorato tale evoluzione.

101.
    Tuttavia, poiché le importazioni corrispondenti a tale aumento hanno avuto luogo a prezzi non pregiudizievoli, la Commissione non ha commesso errore manifesto nel considerare che il suddetto aumento non permetteva di concludere che fosse probabile una reiterazione del pregiudizio.

102.
    Con riguardo, più in particolare, alle importazioni provenienti dall'Egitto, la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione avrebbe ignorato, nella decisione impugnata, il carattere temporaneo della loro diminuzione. Come è stato constatato, in effetti, al precedente punto 92, le fluttuazioni dei prezzi sul mercato mondiale del ferrosilicio non permettevano alla Commissione di prevedere che le esportazioni di provenienza dall'Egitto verso la Comunità sarebbero aumentate e che il loro prezzo sarebbe stato pregiudizievole per l'industria comunitaria. La ricorrente non avanza, del resto, alcun elemento concreto da cui la Commissione avrebbe dovuto dedurre che uno sviluppo dei prezzi sarebbe stato probabile.

103.
    La censura dedotta, infine, dalla divergenza fra le cifre contenute nella decisione impugnata riferita alle importazioni provenienti dall'Egitto durante il periodo dell'inchiesta (11 098 tonnellate) e la cifra di 18 564 tonnellate fornita dal produttore esportatore egiziano per lo stesso periodo, deve essere rigettata. La Commissione ha, in effetti, spiegato tale differenza nel suo controricorso, in quantosembra, in base alle statistiche, che gran parte della quantità indicata dal produttore-esportatore sia entrata nella Comunità successivamente al periodo d'inchiesta ovvero sia stata rivenduta all'esterno della Comunità. Tale plausibile spiegazione non è stata contestata dalla ricorrente.

104.
    Per quanto attiene, in secondo luogo, alla censura in base alla quale la Commissione avrebbe ignorato le conseguenze da dedurre rispetto all'aumento della quota di mercato comunitario corrispondente alle importazioni dall'Egitto e dalla Polonia, è da rilevare che la ricorrente non contesta per nulla le costatazioni di fatto presenti, a tal proposito, nella decisione impugnata. Si evince dalla decisione impugnata che le quote di mercato corrispondenti a tali importazioni erano certamente aumentate ma erano poco elevate rispetto al periodo d'inchiesta (1,8% per le prime e 4,8% per le seconde) e durante le annate precedenti. Ora, in una situazione ove il livello dei prezzi nella Comunità permette ai produttori comunitari di realizzare benefici non trascurabili, l'aumento delle quote di mercato corrispondenti a tali importazioni non è sufficiente da solo a rendere probabile una reiterazione del pregiudizio in caso di scadenza delle misure.

105.
    Per quanto attiene, in terzo luogo, alla censura riguardante la sottoquotazione dei prezzi delle importazioni, la ricorrente formula un triplice ordine di contestazioni. Con riferimento alla prima, la ricorrente non ha dimostrato la probabilità che la sottoquotazione delle importazioni di origine egiziana e polacca raggiunga il 30% in caso di abrogazione delle misure in questione. Infatti, così com'è stato esposto qui sopra al punto 93, i produttori-esportatori coinvolti hanno sottoscritto degli impegni di prezzo, cosicché beneficiano dei prezzi più elevati che praticano ora. A tali condizioni la sola scadenza delle misure non è può portare con sé, automaticamente, un ribasso così rilevante dei loro prezzi.

106.
    Per quanto attiene alla seconda contestazione, si deve rilevare che la persistenza di un livello di sottoquotazione constatata nella decisione impugnata durante il periodo d'inchiesta, vale a dire 4,6% e 4,5% per le importazioni di origine, rispettivamente, polacca ed egiziana, non permette di concludere che la reiterazione del pregiudizio sia probabile. La Commissione, infatti, nella decisione impugnata, constata che le misure adottate nel 1992 hanno eliminato il pregiudizio malgrado il persistere di tale sotto quotazione che non viene contestata dalla ricorrente.

107.
    Infine, con riferimento alla terza contestazione, dedotta dal ribasso dei prezzi delle importazioni provenienti dall'Egitto e dalla Polonia, posteriore al periodo di inchiesta, è sufficiente ricordare così come esposto dai punti 70-81 qui sopra, che il mantenimento in vigore dei dazi non può essere basato su elementi di questo tipo.

108.
    Per quanto riguarda, in quarto luogo, la censura dedotta dalla pretesa ignoranza della probabilità di un riorientamento delle esportazioni della Polonia e dell'Egittoverso la Comunità, è opportuno rilevare che, innanzi tutto, le fluttuazioni dei prezzi sul mercato in questione implicano certamente il rischio di un riorientamento di questo tipo. L'esistenza di tale rischio non è sufficiente, però a stabilire che un riorientamento sia probabile ed ancor meno a dimostrare che esso avverrebbe sulla base di prezzi dannosi.

109.
    Per le stesse ragioni, va respinto l'argomento secondo cui la Commissione avrebbe sottostimato le possibilità di riorientamento delle esportazioni del produttore-esportatore egiziano verso il mercato comunitario. Certamente, l'utilizzo del 94% delle sue capacità di produzione durante il periodo d'inchiesta non impedisce che tale produttore-esportatore decida di riorientare una parte delle sue vendite verso il mercato comunitario, visto che le sue esportazioni verso tale mercato non costituivano a quell'epoca, che una parte minore del totale delle sue esportazioni. Parimenti, il livello degli stock dichiarati dal produttore esportatore egiziano permette di concludere che un aumento delle sue esportazioni verso la Comunità sia possibile. Tali elementi, tuttavia, non sono sufficienti per dichiarare che esso sia probabile.

110.
    Con riferimento alla ripartizione delle vendite del produttore esportatore egiziano, la Commissione riconosce di aver commesso, al trentasettesimo 'considerando‘ della decisione impugnata, un errore nel constatare che la percentuale delle vendite di tale produttore destinate al mercato comunitario sarebbe diminuito dal 68% del 1995 al 45% durante il periodo d'inchiesta. Tale errore non è comunque tale da inficiare il risultato della valutazione della Commissione sulla probabilità di una reiterazione del pregiudizio. Infatti, il produttore-esportatore egiziano avrebbe certo potuto riorientare una parte importante delle sue vendite verso il mercato comunitario, ma non si poteva dedurre da ciò, tenuto conto delle fluttuazioni dei prezzi del mercato mondiale, che tale riorientamento fosse probabile.

111.
    Per quanto attiene più particolarmente alle possibilità di riorientamento delle esportazioni del produttore-esportatore polacco, la ricorrente non ha provato, a tal proposito, che la Commissione abbia commesso un errore manifesto. In quanto all'argomento secondo cui la Commissione avrebbe ignorato le previsioni di tale produttore-esportatore riferite all'utilizzo delle sue capacità produttive, occorre rilevare, in via preliminare che, la ricorrente non contesta la constatazione della Commissione in base alla quale il tasso di utilizzo delle stesse era del 93% durante il periodo di inchiesta. Certamente, nel valutare la probabilità di una reiterazione del pregiudizio, la Commissione doveva tenere presente non solo il tasso di utilizzo durante il periodo d'inchiesta, ma anche le previsioni del produttore esportatore riguardanti l'utilizzo futuro delle sue capacità che le erano state trasmesse nell'ambito dell'inchiesta. Tuttavia, il fatto che il produttore-esportatore polacco avesse previsto, per gli anni 1997 e 1998, un tasso di utilizzo dell'84,7% e quindi una capacità di produzione disponibile più consistente rispetto al periodo d'inchiesta, non è sufficiente da solo, per dimostrare che tale capacità disponibile sarebbe utilizzata per aumentare le esportazioni verso la Comunità, e che quest'ultime sarebbero state effettuate a prezzi pregiudizievoli.

112.
    In tale ambito la ricorrente contesta, inoltre, isolandola dal suo contesto, l'affermazione presente al quarantunesimo 'considerando‘ della decisione impugnata, in base alla quale «un aumento delle esportazioni verso la Comunità potrebbe essere ottenuto solo a spese delle vendite sul mercato interno o delle esportazioni verso altri paesi terzi, ciò che rende tale strategia ancora più improbabile». Tale affermazione si inserisce in un ragionamento che mira a spiegare la non razionalità economica per il produttore esportatore polacco di cercare, in caso di scadenza delle misure antidumping, di abbassare i propri prezzi in vista di aumentare la sua quota di mercato comunitario, visto che avrebbe potuto consolidare la sua posizione in tale mercato pur applicando dei prezzi non pregiudizievoli.

113.
    Tale valutazione non è contraddetta dalle cifre fornite dal produttore-esportatore polacco e citate dalla ricorrente, in base alle quali le esportazioni di quest'ultimo verso la Comunità sono aumentate, durante il periodo d'inchiesta, in confronto all'anno 1996, quando invece le sue vendite sul mercato nazionale e verso altri stati terzi sono diminuite. Infatti, l'aumento delle vendite nella Comunità durante il periodo d'inchiesta è avvenuto a prezzi non pregiudizievoli.

114.
    Per quanto attiene, in quinto luogo, alla censura basata sull'eliminazione del pregiudizio, è sufficiente ricordare, com'è stato esposto al precedente punto 53, che il solo fatto che il pregiudizio sia stato eliminato da misure antidumping non basta per stabilire la probabilità della sua reiterazione in caso di scadenza delle citate misure.

115.
    Per quanto attiene, in sesto luogo, alla censura dedotta della pretesa ignoranza delle conseguenze che la Commissione avrebbe dovuto dedurre dalla continuazione del dumping durante il periodo d'inchiesta è opportuno ricordare, innanzi tutto, che la Commissione non si è pronunciata, nella decisione impugnata, sulla questione se il dumping fosse continuato durante il periodo d'inchiesta né sui suoi margini eventuali. A tal proposito era legittimo per la Commissione, di esaminare solo la questione della probabilità di una reiterazione del pregiudizio, dato che le misure non potevano essere mantenute in mancanza di tale probabilità.

116.
    Va aggiunto che, contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, la continuazione ed il margine del dumping allegati non sono pertinenti, nella fattispecie, per la valutazione della probabilità di una reiterazione del pregiudizio. Infatti, il pregiudizio che l'industria comunitaria potrebbe eventualmente subire a seguito della scadenza degli impegni di prezzo, dipende essenzialmente dal livello di sottoquotazione delle importazioni. L'importanza del margine di dumping che può essere esistito durante l'applicazione delle misure non può esercitare, a tal riguardo, un'influenza diretta. Certamente, nell'ipotesi di scadenza di un diritto antidumping il cui ammontare corrisponde al margine di dumping, quest'ultimo potrebbe avere un'incidenza sul livello di sottoquotazione delle importazioni che potrebbe prodursi dopo la scadenza di un tale diritto. Nella fattispecie, occorre tuttavia ricordare daun lato che i produttori esportatori egiziano e polacco avevano sottoscritto degli impegni di prezzo e, dall'altro lato, che il livello del dazio antidumping istituito dal regolamento n. 3642/92 era stato fissato in funzione della soglia del pregiudizio e non del margine di dumping rilevato all'epoca.

117.
    Ne consegue che la ricorrente non può dedurre dal fatto che la normativa antidumping degli Stati Uniti prenda in considerazione l'importanza del margine di dumping ai fini della determinazione della probabilità della continuazione o della reiterazione del pregiudizio nell'ambito di una procedura di riesame di misure in scadenza, che la Commissione sia obbligata, nella fattispecie, a tenere in considerazione tale fattore.

118.
    Ne consegue che la censura in base alla quale la Commissione avrebbe ignorato le conseguenze che avrebbe dovuto dedurre dalla continuazione e dal livello del dumping durante il periodo d'inchiesta, non è fondata. Quanto all'argomento dedotto, in tale contesto, della pretesa inosservanza degli impegni di prezzo, è opportuno ricordare che la ricorrente riconosce, da un lato, che tali impegni sono stati rispettati durante il periodo d'inchiesta e, dall'altro lato che le misure in questione hanno eliminato il pregiudizio. A tali condizioni, non sembra che il non rispetto, seppur accertato, degli impegni di prezzo anteriori al periodo d'inchiesta, avrebbe dovuto condurre la Commissione ad una valutazione diversa rispetto alla probabilità di una reiterazione del pregiudizio. Pertanto, non vi è luogo di disporre le misure di istruzione richieste dalla ricorrente relative al livello del dumping ed al rispetto degli impegni di prezzo, senza che sia necessario pronunciarsi sulla ricevibilità di tali richieste, contenute nella replica.

119.
    Per quanto attiene, in settimo luogo, alla censura in base alla quale la Commissione avrebbe ignorato che la situazione dell'industria comunitaria rendeva probabile una reiterazione del pregiudizio è opportuno rilevare che la ricorrente invoca principalmente, una diminuzione della quota del mercato comunitario detenuta da tale industria. A tal proposito, la Commissione ha constatato, senza essere contraddetta dalla ricorrente che, malgrado tale diminuzione della quota di mercato, l'industria comunitaria ha potuto realizzare maggiori benefici. In base alle dichiarazioni della ricorrente, tale beneficio era addirittura più elevato durante il periodo d'inchiesta che durante gli anni precedenti. In tali condizioni la Commissione poteva stimare, senza commettere errore manifesto, che una reiterazione del pregiudizio non fosse probabile malgrado la riduzione della quota di mercato dell'industria comunitaria.

120.
    E' necessario aggiungere che neppure la tesi della ricorrente in base alla quale l'insieme degli elementi a disposizione della Commissione doveva necessariamente condurre la stessa a constatare che una reiterazione del pregiudizio era probabile in caso di scadenza delle misure risulta fondata. L'insieme degli elementi esposti dalla ricorrente fa apparire, infatti, che la possibilità di un reiterazione del pregiudizio non poteva essere esclusa. Quest'unica possibilità non basta , tuttavia, a giustificare il mantenimento in vigore delle misure.

121.
    Da ciò che precede risulta che la ricorrente non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore manifesto di valutazione concludendo che la probabilità di una reiterazione del pregiudizio ai sensi dell'art. 11, per. 2, del regolamento di base non era accertata. Di conseguenza, il ricorso non è fondato.

Sulle spese

122.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, primo comma, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda. La ricorrente è risultata soccombente, per cui va condannata alle spese in conformità delle conclusioni della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è irricevibile.

2)    La ricorrente sopporterà le spese.

Meij
Lenaerts
Potocki

            Jaeger                        Pirrung

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 20 giugno 2001.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

A.W.H. Meij


1: Lingua processuale: il francese.

Racc.