Language of document : ECLI:EU:T:2018:926

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

13 dicembre 2018 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Procedimento di decadenza – Registrazione internazionale che designa l’Unione europea – Marchio figurativo C=commodore – Domanda di declaratoria di inefficacia della registrazione internazionale – Articolo 158, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 198, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001] – Articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001] – Mancanza di uso effettivo per una parte dei prodotti e dei servizi coperti dalla registrazione internazionale – Esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione»

Nella causa T‑672/16,

C=Holdings BV, con sede a Oldenzaal (Paesi Bassi), rappresentata inizialmente da P. Maeyaert e K. Neefs, successivamente da P. Maeyaert e J. Muyldermans, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da D. Gája, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinnanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO

Trademarkers NV, con sede ad Anversa (Belgio),

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della quarta commissione di ricorso dell’EUIPO del 13 luglio 2016 (procedimento R 2585/2015-4), relativa a un procedimento di decadenza tra la Trademarkers e la C=Holdings,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da V. Tomljenović, presidente, A. Marcoulli e A. Kornezov (relatore), giudici,

cancelliere: I. Dragan, amministratore

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 settembre 2016;

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 dicembre 2016;

in seguito all’udienza del 4 maggio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        Il 26 aprile 2006 la Commodore International BV, alla quale è subentrata la C=Holdings BV, ricorrente, ha ottenuto dall’Ufficio internazionale dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), la registrazione internazionale n. 907082, che designa, in particolare, l’Unione europea (in prosieguo: la «registrazione internazionale»).

2        Il marchio al quale è stata concessa la registrazione internazionale è il segno figurativo di seguito riprodotto:

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3        La registrazione internazionale riguarda alcuni prodotti e servizi rientranti nelle classi 9, 25, 38, e 41 ai sensi dell’Accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei beni e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come rivisto e modificato.

4        La registrazione internazionale è giunta all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) il 21 dicembre 2006, è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 52/2006 del 25 dicembre 2006 e le è stata riconosciuta una protezione identica a quella concessa a un marchio dell’Unione europea il 25 ottobre 2007 (Bollettino dei marchi comunitari n. 60/2007, del 29 ottobre 2007).

5        Il 26 settembre 2014 la Trademarkers NV ha presentato dinanzi all’EUIPO una domanda di declaratoria di inefficacia della registrazione internazionale, ai sensi dell’articolo 158, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [divenuto articolo 198, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)], in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 [divenuto articolo 58, paragrafo 1, lettera a), del regolamento 2017/1001].

6        La Trademarkers ha chiesto la decadenza della ricorrente dai diritti sulla registrazione internazionale per il mancato uso effettivo di quest’ultima come marchio nell’Unione europea per un periodo ininterrotto di cinque anni.

7        Mentre, con decisione del 3 novembre 2015, la divisione di annullamento ha accolto la domanda di decadenza per tutti i prodotti e i servizi contemplati dalla registrazione internazionale, la quarta commissione di ricorso dell’EUIPO, con decisione del 13 luglio 2016 (procedimento R 2585/2015-4), relativa a un procedimento di decadenza tra la Trademarkers e la C=Holdings (in prosieguo: la «decisione impugnata»), ha parzialmente annullato la decisione del 3 novembre 2015, ritenendo che la ricorrente avesse dimostrato l’uso effettivo della registrazione internazionale durante il periodo di riferimento, ossia dal 26 settembre 2009 al 25 settembre 2014, come marchio dell’Unione europea per i programmi per giochi elettronici da utilizzare con computer, televisori e monitor, e software per console di videogiochi, rientranti nella classe 9.

8        Per contro, la commissione di ricorso ha ritenuto, al pari della divisione di annullamento, che la ricorrente, da un lato, non avesse dimostrato l’uso effettivo degli altri prodotti e servizi e, dall’altro, che le ragioni dedotte per la mancata utilizzazione non potessero essere considerate come ragioni legittime ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009. Di conseguenza, la commissione di ricorso ha annullato la decisione del 3 novembre 2015 relativa ai prodotti menzionati al precedente punto 7, per i quali la registrazione internazionale rimane valida, respinto il ricorso quanto al resto e condannato ciascuna parte a farsi carico delle proprie spese.

 Procedimento e conclusioni delle parti

9        Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 settembre 2016, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

10      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata nella parte in cui la commissione di ricorso ha respinto la sua domanda e rinviare la causa dinanzi alla stessa;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

11      L’EUIPO chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sull’oggetto della controversia

12      Si deve precisare, in limine, come risulta espressamente dai punti 15 e 46 dell’atto introduttivo del ricorso, che esso non è diretto contro la parte della decisione impugnata che riconosce l’esistenza di un uso effettivo della registrazione internazionale come marchio dell’Unione europea per i prodotti elencati al punto 7 supra, rientranti nella classe 9. La ricorrente non contesta neppure i punti da 18 a 26 della decisione impugnata, relativi al fatto che, secondo la commissione di ricorso, essa non ha dimostrato l’uso effettivo per quanto riguarda, da un lato, i servizi e dall’altro, i prodotti diversi da quelli elencati al punto 7 supra (in prosieguo: i «prodotti e servizi controversi»). Essa concentra quindi la propria argomentazione sull’esistenza, a suo avviso, di ragioni legittime per la mancata utilizzazione della registrazione internazionale come marchio dell’Unione europea per i prodotti e i servizi controversi.

13      Nel controricorso l’EUIPO concorda con tale delimitazione dell’oggetto della controversia.

 Nel merito

14      La ricorrente deduce, a sostegno del suo ricorso, un «motivo in diritto unico», vertente sulla violazione delle disposizioni dell’articolo 15, paragrafi 1 e 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 18, paragrafi 1 e 2, del regolamento 2017/1001) e all’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009. Essa deduce inoltre la violazione dell’articolo 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché degli articoli 75 e 76 del regolamento n. 207/2009 (divenuti articoli 94 e 95 del regolamento 2017/1001).

15      Occorre anzitutto esaminare il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 15, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

16      Secondo l’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, «[s]e entro cinque anni dalla registrazione il marchio dell’Unione europea non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio dell’Unione europea è sottoposto alle sanzioni previste nel presente regolamento, salvo motivo legittimo per il mancato uso».

17      Ai sensi dell’articolo. 51, paragrafo 1, lettera a), del medesimo regolamento, «[i]l titolare del marchio dell’Unione europea è dichiarato decaduto dai suoi diritti se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione (…)».

18      Secondo la giurisprudenza, solo ostacoli aventi un legame sufficientemente diretto con il marchio da rendere l’uso impossibile o irragionevole e che siano indipendenti dalla volontà del titolare del detto marchio possono essere qualificati come «ragioni legittime» per la sua mancata utilizzazione. Occorre accertare, caso per caso, se un mutamento della strategia imprenditoriale, volto al superamento dell’ostacolo in questione, renda irragionevole l’uso di detto marchio [sentenze del 17 marzo 2016, Naazneen Investments/UAMI, C‑252/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:178, punto 96, e del 29 giugno 2017, Martín Osete/EUIPO – Rey (AN IDEAL WIFE e a.), da T‑427/16 a T‑429/16, non pubblicata, EU:T:2017:455, punto 50; v., altresì, per analogia, sentenza del 14 giugno 2007, Häupl, C‑246/05, EU:C:2007:340, punto 54].

19      La Corte precisa, per quanto riguarda la nozione di uso irragionevole, che, qualora l’ostacolo sia tale da compromettere seriamente un uso appropriato del marchio, non si può ragionevolmente chiedere al suo titolare di utilizzarlo nonostante tutto. Così, a titolo di esempio, non si potrebbe ragionevolmente chiedere al titolare di un marchio di commercializzare i propri prodotti presso i punti vendita dei suoi concorrenti. In simili casi, non appare ragionevole esigere che il titolare del marchio modifichi la sua strategia imprenditoriale per rendere comunque possibile l’uso di detto marchio (sentenza del 14 giugno 2007, Häupl, C‑246/05, EU:C:2007:340, punto 53).

20      Risulta altresì dalla giurisprudenza che la nozione di «ragioni legittime», fa riferimento a circostanze indipendenti dalla volontà del titolare del marchio anziché a circostanze collegate alle sue difficoltà commerciali [v, sentenza del 18 marzo 2015, Naazneen Investments/UAMI (SMART WATER), T‑250/13, non pubblicata, EU:T:2015:160, punto 66 e giurisprudenza ivi citata].

21      Inoltre, si deve ricordare che gli articoli 42, paragrafo 2, e 57, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 (divenuti, rispettivamente, articolo 47, paragrafo 2, e articolo 64, paragrafo 2, del regolamento 2017/1001), precisano esplicitamente che la prova dell’uso effettivo o dell’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione spetta al titolare del marchio di cui trattasi, pena il rigetto dell’opposizione o della domanda d’annullamento. Secondo la giurisprudenza, la circostanza che, diversamente dagli articoli 42, paragrafo 2, e 57, paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009, l’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento in parola non specifichi che la prova dell’uso effettivo o dell’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione incombe a detto titolare, non può essere interpretata nel senso che il legislatore dell’Unione avrebbe inteso escludere tale principio relativo all’onere della prova dall’ambito della procedura di decadenza. La mancanza, all’articolo 51, paragrafo 1, del regolamento n. 207/2009, di precisazioni sull’onere della prova si spiega, del resto, senza difficoltà tenuto conto della circostanza che l’oggetto del paragrafo 1, del summenzionato articolo 51, intitolato «Motivi di decadenza», consiste nell’enunciazione dei motivi di decadenza del marchio, il che non esige la presenza di precisazioni relative alla questione dell’onere della prova (v., in tal senso, sentenza del 26 settembre 2013, Centrotherm Systemtechnik/UAMI e centrotherm Clean Solutions, C‑610/11 P, EU:C:2013:593, punti da 55 a 57). Pertanto, spettava alla ricorrente fornire all’EUIPO elementi di prova sufficienti dell’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione della registrazione internazionale come marchio dell’Unione europea.

22      Nella specie, la commissione di ricorso ha ritenuto che gli elementi di prova forniti dalla ricorrente non fossero sufficienti a dimostrare l’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione del marchio C=commodore per i prodotti e servizi controversi. A tale riguardo, l’EUIPO sostiene che alcune delle circostanze di fatto dedotte dalla ricorrente non sono state dimostrate. Occorre, quindi, rilevare le circostanze di fatto che non sono contestate o che devono essere considerate come dimostrate sulla base dei documenti versati al fascicolo.

23      In primo luogo, non è contestato che l’attività della ricorrente consiste nella concessione di licenze di marchi. È pacifico, a tale proposito, che la ricorrente non dispone di risorse proprie per la fabbricazione o la ricerca.

24      In secondo luogo, emerge dal fascicolo che, sino al 7 novembre 2011, la ricorrente era posseduta al 100% dalla Asiarim Corporation (in prosieguo, la «Asiarim»), tramite la sua controllata Commodore Licensing BV. Il 7 novembre 2011 la totalità del capitale della ricorrente è stato trasferito, con atto notarile, a due persone fisiche, che sono gli attuali proprietari della ricorrente (in prosieguo: il «trasferimento di proprietà»). Orbene, risulta che, dal 26 settembre 2009, inizio del periodo di riferimento, al 7 novembre 2011, data del trasferimento di proprietà, la ricorrente ha potuto esercitare la propria attività. È così che essa ha potuto dimostrare l’uso effettivo della registrazione internazionale per i prodotti elencati al punto 7 supra.

25      In terzo luogo, tuttavia, a far data dal trasferimento di proprietà, la ricorrente ha dovuto far fronte a varie manovre di diversa natura, da parte, segnatamente, dell’Asiarim, intese a rivendicare la proprietà dei marchi Commodore.

26      Invero, in primo luogo, risulta dal fascicolo che l’Asiarim ha prodotto diverse false dichiarazioni dinanzi alle autorità degli Stati Uniti d’America, nelle quali essa affermava essere la proprietaria dei marchi Commodore. Infatti, nei moduli 8K del 20 dicembre 2011 e del 5 e 16 gennaio 2012 che l’Asiarim ha presentato dinanzi alla Securities and Exchange Commission (commissione delle operazioni di borsa; in prosieguo: la «SEC») (allegati da 6 a 8 all’atto introduttivo d’istanza) essa ha dichiarato, in particolare, che «la Commodore Asia Electronics [Ltd] [era] una delle società responsabili per le licenze del marchio all’interno del gruppo, come la Commodore Licensing (…) in Europa, che ha ottenuto licenze dal[la ricorrente] dal 2008» e che, «dopo la ristrutturazione del gruppo all’inizio [del mese] di novembre 2011, la Commodore Brand IP [Ltd] era la titolare delle denominazioni commerciali e della proprietà intellettuale del marchio Commodore» (allegato 6 all’atto introduttivo d’istanza, pag. 68). Nel modulo 8K del 16 gennaio 2012, l’Asiarim ha affermato, in particolare, che la ricorrente «[aveva] fatto una dichiarazione (…) per rivendicare la proprietà e l’uso legittimo del nome commerciale e delle rappresentazioni del marchio Commodore», al che l’Asiarim aveva risposto dichiarando che essa «avrebbe difeso energicamente i suoi diritti di proprietà sul nome commerciale e sulle rappresentazioni del marchio Commodore». A tale proposito, nella sentenza del 16 dicembre 2013, il District Court of New York (tribunale distrettuale di New York, New York, Stati Uniti), ha condannato l’Asiarim a modificare le proprie dichiarazioni presso la SEC, qualificandole come «false e probabilmente prodotte in malafede» (allegato 14 all’atto introduttivo del ricorso, pag. 129).

27      Va osservato, inoltre, che tali moduli 8K sono pubblicati e direttamente accessibili online, cosicché i partner effettivi o potenziali della ricorrente potevano effettivamente venirne a conoscenza.

28      In secondo luogo, risulta dal fascicolo che l’Asiarim e le sue controllate hanno contattato diverse volte i partner effettivi o potenziali della ricorrente presentandosi come i legittimi titolari dei marchi Commodore. Infatti, l’Asiarim si è rivolta in più occasioni alla Manomio LLC, detentrice di una licenza della ricorrente, dichiarando, in particolare in un messaggio di posta elettronica del 23 settembre 2012 quanto segue:

«Non vi è alcuna controversia riguardo [alla questione] di chi sia abilitato a riscuotere le tariffe relative a diritti di proprietà intellettuale della Commodore: l’Asiarim, in quanto proprietaria della Commodore Licensing, (…) fino al fallimento del 28 dicembre 2011. Dopo il 1o gennaio 2012, l’Asiarim ha trasferito (o rinnovato) il suo contratto direttamente con la Commodore Brand IP (…) a Hong Kong, in qualità di titolare dei diritti di proprietà intellettuale del marchio dal 2 novembre 2011 (…). Ci aspettiamo che Lei confermi la sua posizione nei confronti della Commodore Brand IP (…) che è il legittimo titolare dei diritti di proprietà intellettuale della Commodore e il suo contraente legittimo. La pregiamo di pagare i canoni conformemente ai termini e alle condizioni previste nel nostro contratto (…) La riterremo responsabile per tutte le pretese avanzate da terzi a tale proposito».

29      A causa di tali manovre e trovandosi nell’impossibilità di determinare il titolare legittimo della registrazione internazionale, la Manomio aveva deciso di congelare il versamento dei canoni alla ricorrente nell’attesa di una decisione giurisdizionale sulla proprietà di tale registrazione, come risulta da un messaggio di posta elettronica del 26 aprile 2012 indirizzato dalla Manomio alla ricorrente.

30      L’Asiarim si è altresì rivolta in diverse occasioni alla Leveraged Marketing Corporation of America (in prosieguo: la «LMCA»), società che intendeva ottenere una licenza esclusiva a livello mondiale sui marchi Commodore, rivendicando, come risulta dallo scambio di corrispondenza tra le stesse e segnatamente da un messaggio di posta elettronica del 19 dicembre 2011, il fatto che «la Commodore Licensing (…) [aveva] la licenza completa, conferita dalla [ricorrente] in esclusiva» (allegato 12 all’atto introduttivo d’istanza, pag. 97).

31      Nella decisione del 16 dicembre 2013, il District Court of New York (tribunale distrettuale di New York) ha descritto le manovre dell’Asiarim nel seguente modo:

«[L]a violazione commessa dall’Asiarim era volontaria, come risulta dai suoi flagranti tentativi di rivendicare in modo fraudolento la proprietà del marchio. (…) [I]l tribunale è pienamente consapevole che il comportamento notevolmente scorretto dell’Asiarim debba essere al contempo punito e dissuaso (…) Tuttavia, il fatto che [la ricorrente] non possa identificare con precisione i danni subiti non significa che due anni di pratiche illecite intenzionali e di frode da parte dell’Asiarim non le abbiano arrecano danno. Il comportamento dell’Asiarim ha certamente provocato un danno pecuniario considerevole al[la ricorrente] al di là dei redditi non percepiti dalla Manomio».

32      In terzo luogo, risulta dal fascicolo che la ricorrente ha dovuto affrontare una serie di controversie, talune di natura vessatoria, che si sono estese su un lungo periodo, in seguito al trasferimento di proprietà del 7 novembre 2011 fino al 2015, ossia al di la del termine del periodo di riferimento. Infatti, innanzitutto, l’Asiarim ha presentato, da un lato, un ricorso per risarcimento danni negli Stati Uniti contro i proprietari della ricorrente richiedendo un importo di 32 milioni di dollari americani (USD) (circa EUR 27 700 000) a titolo di risarcimento del danno causato dalla presunta illecita acquisizione dei marchi Commodore – tale controversia è stata definitivamente risolta soltanto il 28 settembre 2015 – e, dall’altro, un’azione dinanzi al giudice cautelare del Rechtbank Amsterdam (Tribunale di Amsterdam, Paesi Bassi) per il sequestro dei loro beni. Poi, anche un’altra società, la Leadgate SA, che, secondo la ricorrente, sarebbe connessa al direttore dell’Asiarim, ha avviato un’azione contro la ricorrente negli Stati Uniti, richiedendole un importo pari a USD 22 milioni (circa EUR 19 000 000) a titolo di debito non rimborsato, che avrebbe avuto come garanzia i marchi Commodore, la quale è stata respinta in via definitiva il 18 maggio 2015. Tale società avrebbe anche avviato un’altra azione in giustizia contro la ricorrente dinanzi al rechtbank Amsterdam (tribunale di Amsterdam) chiedendo il sequestro prima dell’esecuzione forzata dei marchi della ricorrente. Orbene, è stato constatato che detta società, che si era inizialmente presentata come una società svizzera, prima di affermare di essere una società disciplinata dal diritto uruguaiano, non era mai esistita, come l’ha constatato il rechtbank Amsterdam (tribunale di Amsterdam) con sentenza del 17 luglio 2014 (allegato 16 all’atto introduttivo d’istanza, pag. 155). Infine, la ricorrente ha dovuto intentare un’azione legale negli Stati Uniti contro l’Asiarim, che ha sede in Nevada (Stati Uniti), al fine di difendere il proprio diritto di proprietà sulla registrazione internazionale ed essere risarcita del danno subito a causa di quella.

33      Alla luce di tali elementi di fatto, la commissione di ricorso ha riconosciuto l’esistenza di «difficoltà» che «[avevano] potuto ostacolare lo sviluppo del marchio» (punto 29 della decisione impugnata), ritenendo che «strategie processuali fraudolente e intimidatorie» utilizzate contro la ricorrente potevano «indubbiamente costituire un serio ostacolo al normale corso degli affari» (punto 31 della decisione impugnata).

34      Risulta, quindi, dal fascicolo che la ricorrente ha effettivamente affrontato, per molti anni nel corso di gran parte del periodo di riferimento e al di là dello stesso, una serie di manovre descritte dal District Court di New York (tribunale distrettuale di New York) e dalla commissione di ricorso stessa come «fraudolente», «ingannevoli» e «intimidatorie» e consistenti in false dichiarazioni presentate alle autorità degli Stati Uniti, in ripetuti contatti con i clienti effettivi o potenziali della ricorrente nonché in contenziosi qualificati dalla commissione di ricorso come «vessatori».

35      È alla luce di tali circostanze che occorre esaminare se la commissione di ricorso sia incorsa in errore per aver concluso, sulla base dei motivi esposti ai punti da 28 a 33 della decisione impugnata, nel senso dell’insussistenza di ragioni legittime per il mancato uso effettivo ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a) del regolamento n. 207/2009.

36      La ricorrente contesta la fondatezza di ciascuno dei cinque motivi accolti dalla commissione di ricorso ai punti da 28 a 33 della decisione impugnata. Durante l’udienza, l’EUIPO ha precisato, in risposta a un quesito posto dal Tribunale, che il primo, terzo (punti da 28 a 30 della decisione impugnata) e quinto (punto 32 della decisione impugnata) motivo della decisione impugnata dovevano essere considerati accessori al quarto motivo della stessa (punto 31 della decisione impugnata).

37      Si deve precisare a tale proposito, innanzitutto, che la commissione di ricorso non ha affermato nella decisione impugnata che le circostanze dedotte dalla ricorrente non presentavano un legame sufficientemente diretto con il marchio contestato. Occorre tuttavia precisare, in risposta ad un’osservazione dell’EUIPO, che, se è vero che l’argomento presentato dalla ricorrente si fonda su circostanze riguardanti i marchi Commodore nel loro insieme, e non specificamente la registrazione internazionale in esame, tali circostanze rappresentano indubbiamente un legame sufficientemente diretto con quest’ultima, conformemente al criterio accolto dalla giurisprudenza [v., in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2017, Kaane American International Tobacco/EUIPO – Global Tobacco (GOLD MOUNT), T‑294/16, non pubblicata, EU:T:2017:382, punto 41]. Infatti, tutte le manovre descritte ai punti da 25 a 32 supra avevano un legame sufficientemente diretto con i marchi Commodore nel loro complesso, quindi anche con la registrazione internazionale per i prodotti e i servizi controversi.

38      Inoltre, è pacifico che tali manovre si sono svolte non solo indipendentemente dalla volontà della ricorrente, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 18 supra, ma anche contro la sua volontà.

39      Per quanto riguarda, poi, i motivi sulla base dei quali la commissione di ricorso ha fondato la parte contestata della decisione impugnata, si deve osservare, in primo luogo, che essa ha ritenuto, al punto 28 di detta decisione, che, «a prescindere da[l] procedimento contenzioso (…) in corso», la ricorrente avesse dimostrato che era stato possibile un uso effettivo durante il periodo di riferimento per i prodotti menzionati al punto 7 supra. Orbene, la ricorrente non avrebbe fornito alcuna spiegazione sul motivo per cui l’uso di tale registrazione come marchio dell’Unione europea sarebbe stato possibile per i suddetti prodotti e non per i prodotti o i servizi controversi. Di conseguenza, essa stessa avrebbe dimostrato che, in realtà, il presunto motivo per la mancata utilizzazione della registrazione internazionale non ne impediva l’uso effettivo.

40      Va osservato, a tale proposito, che l’EUIPO stesso ha ammesso, durante l’udienza, che il mero fatto che fosse possibile un uso effettivo del marchio controverso per taluni prodotti non escludeva l’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione di tale marchio per altri prodotti o servizi, ma che, a suo avviso, la ricorrente non aveva spiegato il motivo per cui vi era, nel caso di specie, tale differenza per quanto riguarda l’uso per gli altri prodotti e servizi.

41      Si deve sottolineare, a tale riguardo, circostanza sulla quale le parti hanno, peraltro, convenuto in udienza, che l’esistenza di un uso effettivo, per taluni prodotti e servizi coperti dal marchio contestato, non impedisce, né in diritto né in fatto, la presenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione del marchio in relazione ad altri prodotti o servizi coperti dallo stesso. A tale proposito, risulta dalla giurisprudenza che l’uso effettivo ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 deve essere dimostrato per ciascun tipo di prodotti o servizi coperti dal marchio contestato che possono essere considerati in modo autonomo [v., in tal senso, sentenza dell’8 ottobre 2014, Lidl Stiftung/UAMI – A Colmeia do Minho (FAIRGLOBE), T‑300/12, non pubblicata, EU:T:2014:864, punto 47, e del 28 giugno 2017, Tayto Group/EUIPO – MIP Metro (real), T‑287/15, non pubblicata, EU:T:2017:443, punto 67]. Orbene, nulla nel testo di tale disposizione, né nessun’altra disposizione del diritto dell’Unione, osta a che l’uso effettivo di un marchio possa essere dimostrato in relazione a taluni prodotti o servizi coperti dallo stesso, e giustificare al contempo la mancanza di un tale uso rispetto ad altri prodotti o servizi con l’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione.

42      In aggiunta, la commissione di ricorso non ha tenuto conto della cronologia delle circostanze esposte ai punti da 23 a 31 supra. Infatti, come confermato in udienza dalla ricorrente, il contratto di licenza stipulato con la Manomio, che ha consentito di dimostrare l’uso effettivo della registrazione internazionale per i prodotti elencati al punto 7 supra, era stato stipulato prima del trasferimento di proprietà, che ha provocato tutte le manovre descritte ai punti da 25 a 31 supra. Di conseguenza, l’aver dedotto queste ultime quali ragioni legittime per la mancata utilizzazione, dal 7 novembre 2011, non era in contraddizione con l’esistenza di contratti precedenti tale data. Ancor più, risulta dal fascicolo che la Manomio stessa ha deciso di non pagare più canoni alla ricorrente proprio a causa di tali manovre, come è stato ricordato al punto 28 supra. Non sussisteva, pertanto, alcuna antinomia, nelle circostanze del caso di specie, tra il fatto che la ricorrente avesse dimostrato l’uso effettivo della registrazione internazionale per alcuni prodotti all’inizio del periodo di riferimento, e la contestuale affermazione dell’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione di altri prodotti e servizi nella rimanente parte del periodo di riferimento. Il primo motivo della decisione impugnata è, quindi, viziato sia da un errore di diritto sia da un errore di valutazione.

43      In secondo luogo, la commissione di ricorso, pur riconoscendo che le «difficoltà nella negoziazione di contratti con terzi (…) [avevano] potuto ostacolare lo sviluppo del marchio mediante la conclusione di accordi di licenza», ha considerato che la ricorrente non aveva prodotto alcun elemento di prova o argomento convincente idoneo a dimostrare che tali difficoltà le avevano impedito di utilizzare essa stessa la registrazione internazionale in esame, «per esempio fabbricando e vendendo essa stessa prodotti registrati o fornendo essa stessa servizi registrati anziché lasciarne il compito a terzi» (punto 29 della decisione impugnata).

44      È, invece, pacifico, come già sottolineato al precedente punto 23, che l’attività della ricorrente consisteva esclusivamente nel concedere diritti di proprietà intellettuale mediante la conclusione di accordi di licenza e che essa non disponeva di risorse proprie per la fabbricazione o la ricerca. Orbene, pur riconoscendo esplicitamente che le ragioni dedotte dalla ricorrente avevano potuto ostacolare la conclusione di contratti di licenza, la commissione di ricorso le ha contestato di non aver fornito alcun elemento di prova idoneo a dimostrare che essa non avrebbe potuto utilizzare essa stessa la registrazione internazionale di cui trattasi. Così facendo, la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto che l’unica attività della ricorrente consisteva proprio nella conclusione di accordi di licenza. Il secondo motivo della decisione impugnata equivale, quindi, a chiedere alla ricorrente di modificare considerevolmente la sua strategia d’impresa al fine di rendere possibile l’uso della registrazione internazionale, trasformandosi in produttore o fornitore dei prodotti o servizi di cui trattasi. Tuttavia, come giustamente sostenuto dalla ricorrente, un cambiamento nella strategia d’impresa di una tale portata non è ragionevole ai sensi della giurisprudenza citata al punto 19 supra.

45      In terzo luogo, la commissione di ricorso ha ritenuto che, «a prescindere dal fatto che [la] controversia [tra la ricorrente e l’Asiarim e le sue controllate] [abbia] potuto impedire la conclusione di un contratto di licenza» molto redditizio con la LCMA, la ricorrente non aveva dimostrato che «tale azione legale avrebbe reso impossibile qualsiasi negoziato con altri potenziali titolari di licenze, in particolare nell’Unione europea anziché negli Stati Uniti» (punto 30 della decisione impugnata).

46      A tal riguardo, si deve sottolineare, da un lato, alla stregua della ricorrente, che la commissione di ricorso ha erroneamente richiesto alla ricorrente di dimostrare che le circostanze che essa deduceva rendevano «impossibili» eventuali negoziati con altri potenziali titolari di licenze, poiché, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 18, l’uso del marchio contestato deve essere reso «impossibile o irragionevole». Orbene, la commissione di ricorso non ha esaminato se gli elementi prodotti dalla ricorrente avessero sufficientemente dimostrato che era irragionevole, dal punto di vista dei potenziali partner della ricorrente e tenuto conto delle circostanze del caso di specie, che tali negoziati fossero condotti, nonostante dette circostanze, per stipulare un contratto di licenza.

47      Dall’altro lato, la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto che le manovre, descritte supra ai punti da 25 a 32, avevano impedito non solo la conclusione di un contratto di licenza con la LMCA, ma avevano anche fatto sì che un cliente esistente, la Manomio, avesse deciso di congelare il pagamento dei canoni proprio a causa di tali manovre. Di conseguenza, la commissione di ricorso non poteva, senza incorrere in un errore di valutazione, contestare alla ricorrente di non aver fornito elementi di prova relativi ad altri titolari di licenza, quando aveva dimostrato che persino un partner commerciale esistente, cioè la Manomio, aveva interrotto il pagamento dei suoi canoni e s’interrogava sul proseguimento del suo partenariato con la ricorrente a causa di tali manovre.

48      Per quanto riguarda l’affermazione di cui al punto 30 della decisione impugnata secondo la quale la ricorrente non ha dimostrato l’impossibilità di condurre negoziati con potenziali titolari di licenze «in particolare nell’Unione europea anziché che negli Stati Uniti», è sufficiente osservare, da un lato, che la commissione di ricorso non ha esaminato sufficientemente se le circostanze dedotte dalla ricorrente e sopravvenute negli Stati Uniti avessero prodotto effetti anche nel territorio dell’Unione. Infatti, la commissione di ricorso non ha tenuto conto del fatto, non contestato, che la LMCA intendeva ottenere una licenza esclusiva a livello mondiale sui marchi Commodore e quindi, potenzialmente, anche nell’Unione, né del fatto che le false dichiarazioni dell’Asiarim presso la SEC erano pubblicate e direttamente accessibili online. Dall’altro lato, la commissione di ricorso non ha nemmeno preso in considerazione il fatto, anch’esso non contestato, che una parte di tali circostanze si era verificata nel territorio dell’Unione. In effetti, le manovre descritte ai punti da 25 a 32 supra riguardavano l’insieme dei marchi Commodore, compresa la registrazione internazionale di cui trattasi nella presente controversia, e hanno dato luogo a controversie anche nell’Unione dirette, in particolare, al sequestro di tali marchi (punto 32 supra).

49      Pertanto, il terzo motivo dedotto dalla commissione di ricorso è viziato sia da un errore di diritto sia da un errore di valutazione.

50      In quarto luogo, secondo la commissione di ricorso, sebbene «strategie procedurali fraudolente e intimidatorie», come quelle che ha dovuto affrontare la ricorrente, possano «indubbiamente costituire un serio ostacolo al corso della normale attività commerciale», esse non possono «essere considerate di per sé valide ragioni per essere intimiditi e cessare le proprie attività commerciali, in particolare quando i legittimi proprietari di un marchio non hanno alcun dubbio sulla legittimità dei loro diritti» (punto 31 della decisione impugnata). Orbene, emergerebbe dai documenti giudiziari prodotti che la ricorrente non poteva nutrire seri dubbi sui suoi diritti di proprietà sui marchi Commodore, considerato il carattere vessatorio di tali procedure.

51      Il quarto motivo dedotto dalla commissione di ricorso, considerato dall’EUIPO come il motivo centrale della decisione impugnata (v. punto 36 supra) è anch’esso erroneo sotto diversi aspetti.

52      Infatti, contrariamente a quanto affermato dalla commissione di ricorso, non si trattava della questione se la ricorrente avesse o no dubbi circa l’esito finale dei procedimenti giudiziari di cui trattasi, ma di determinare se terzi, vale a dire i clienti effettivi e potenziali della ricorrente, potessero nutrirne, con la conseguenza di astenersi da ogni rapporto commerciale con la ricorrente. Orbene, la commissione di ricorso ha omesso di esaminare se il complesso delle manovre in questione, che essa stessa ha qualificato come «fraudolente» e «intimidatorie», potesse far nascere nei terzi un dubbio sulla legittima proprietà della registrazione internazionale idoneo a costituire un ostacolo tale da renderne irragionevole l’uso, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 18 supra. In particolare, la commissione di ricorso non ha tenuto conto a tale proposito di tutte le circostanze del caso di specie e in particolare delle false dichiarazioni rese dall’Asiarim alla SEC nonché del fatto che esse erano pubbliche e direttamente accessibili online a terzi, né dei ripetuti contatti dell’Asiarim con la Manomio e la LMCA, diretti a impedire o a far cessare le relazioni contrattuali tra queste ultime e la ricorrente.

53      L’EUIPO fa, tuttavia, valere che i problemi e le controversie commerciali tra concorrenti sono intrinsechi alla gestione di un’impresa e non possono di per sé costituire un ostacolo tale da rendere, nella specie, irragionevole la concessione di licenze. A sostegno di tale argomento esso richiama la sentenza del 18 marzo 2015, SMART WATER (T‑250/13, non pubblicata, EU:T:2015:160).

54      Tuttavia, gli ostacoli che ha dovuto affrontare la ricorrente, estranei al comportamento di quest’ultima, non possono essere qualificati come mere difficoltà commerciali. Infatti, da un lato, gli stratagemmi utilizzati dall’Asiarim e dalle sue controllate sono stati qualificati come «fraudolenti», «ingannevoli» e «intimidatori» sia dal District Court of New York (tribunale distrettuale di New York) sia dalla commissione di ricorso stessa, il che suggerisce che essi superano di molto le difficoltà commerciali incontrate da un’impresa nell’esercizio normale delle sue attività.

55      Infatti, al punto 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha espressamente ammesso che dette strategie potevano «indubbiamente costituire un serio ostacolo» al corso della normale attività della ricorrente. Orbene, secondo la giurisprudenza rammentata al punto 19 supra, un ostacolo che è di natura tale da «compromettere seriamente» un uso appropriato del marchio contestato costituisce una ragione legittima per la mancata utilizzazione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009. Tuttavia, la commissione di ricorso non spiega come un ostacolo qualificato da essa stessa come indubbiamente «serio» al corso della normale attività commerciale possa non compromettere seriamente l’uso appropriato del marchio contestato ai sensi di tale giurisprudenza.

56      L’argomento che l’EUIPO deriva dalla sentenza del 18 marzo 2015, SMART WATER (T‑250/13, non pubblicata, EU:T:2015:160), non può essere accolto. Infatti, da un lato, nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, si trattava di problemi tecnici relativi alla fabbricazione di bevande che costituivano i prodotti di cui era questione e, pertanto, di una difficoltà commerciale incontrata nell’esercizio delle normali attività dell’impresa. Dall’altro lato, vero è, come ricorda il Tribunale al punto 74 di tale sentenza, che la circostanza che sia avviato un procedimento di decadenza contro un marchio non può, di per sé, essere sufficiente a constatare l’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009. Tuttavia, si deve valutare l’esistenza di tali ragioni caso per caso tenendo conto dell’insieme delle circostanze del caso di specie, come richiesto dalla giurisprudenza rammentata al punto 18 supra. Orbene, come rilevato ai punti da 25 a 34 supra, la ricorrente non ha affrontato una sola controversia che potesse essere considerata rientrare nel corso normale degli affari, bensì una strategia fraudolenta e ingannevole fatta di varie manovre di diversa natura che la commissione di ricorso ha omesso di prendere in considerazione nel loro complesso.

57      Ne deriva che il quarto motivo è, anch’esso, viziato da errori di diritto e da errori di valutazione.

58      In quinto luogo, la commissione di ricorso ha considerato che la ricorrente non aveva indicato «come la controversia negli Stati Uniti avrebbe potuto influenzare l’uso [della registrazione internazionale] da parte del FC Bayern München in Germania» per i prodotti rientranti nella classe 25.

59      È sufficiente rilevare, a tale riguardo, che le manovre descritte ai punti da 25 a 32 supra, alcune delle quali hanno avuto luogo, peraltro, nel territorio dell’Unione (v. punto 32 supra) erano tali da compromettere l’uso della registrazione internazionale nei confronti di tutti i prodotti e i servizi di cui trattasi.

60      In ogni caso, le parti concordano, nell’ambito della presente controversia, sul fatto che tale motivo della decisione impugnata sia, considerata la struttura generale della stessa, del tutto secondario, in quanto non consente di determinare se le altre ragioni dedotte dalla ricorrente per giustificare la mancata utilizzazione della registrazione internazionale costituissero ragioni legittime ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

61      Risulta da quanto precede che nessuno dei motivi della decisione impugnata, considerati separatamente o nel loro insieme, consente di fondarla tanto in diritto quanto in fatto.

62      Infine, va osservato che, in termini di tempo, i motivi per la mancata utilizzazione dedotti dalla ricorrente si estendono su una parte rilevante del periodo di riferimento, vale a dire dal trasferimento della proprietà, il 7 novembre 2011, fino al termine del periodo di riferimento, il 26 settembre 2014, e anche oltre. Le parti convengono sul fatto che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 [divenuti articolo 58, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 2, del regolamento 2017/1001], è sufficiente che tali ragioni coprano una parte del periodo in questione affinché il titolare del marchio si sottragga alla decadenza dai sui diritti sullo stesso.

63      Tanto la formulazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, quanto l’obiettivo ad esso sottostante confermano tale interpretazione. Infatti, in primo luogo, risulta dal testo stesso di tale disposizione che il titolare del marchio è dichiarato decaduto dai suoi diritti se il marchio, «per un periodo ininterrotto di cinque anni», non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e «non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione». In altre parole, se, per un periodo «ininterrotto» di cinque anni, non vi è né l’uso effettivo del marchio in questione né ragioni legittime per la mancata utilizzazione dello stesso, il titolare à dichiarato decaduto dai suoi diritti. Per contro, se il marchio in questione ha formato oggetto di un uso effettivo o se un tale uso è stato impedito per il sopravvenire di ragioni legittime nel corso di una parte del periodo di cinque anni, quest’ultimo non è più «ininterrotto» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009.

64      Infatti, il Tribunale ha già avuto occasione di rilevare che è sufficiente che un marchio abbia formato oggetto di un uso effettivo durante una parte del periodo di cinque anni per sottrarsi alle sanzioni previste dall’articolo 51, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 2, del regolamento n. 207/2009 [sentenza del 13 gennaio 2011, Park/UAMI – Bae (PINE TREE), T‑28/09, non pubblicata, EU:T:2011:7, punto 88].

65      Analogamente, è sufficiente che vi siano ragioni legittime per la mancata utilizzazione di un marchio durante una parte del periodo di riferimento affinché il suo titolare si sottragga alla decadenza dai diritti su detto marchio. Un’interpretazione contraria sarebbe in contrasto con la formulazione dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009, il quale non fa distinzione tra i titolari di un marchio dell’Unione europea che hanno fatto un uso effettivo del loro marchio e quelli che sono stati ostacolati da ragioni legittime.

66      In secondo luogo, l’obiettivo sottostante all’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 conferma tale interpretazione. Infatti, prevedendo la possibilità di giustificare la mancata utilizzazione di un marchio dell’Unione europea per ragioni legittime, il legislatore dell’Unione ha cercato di evitare che il titolare del marchio sia dichiarato decaduto dai diritti sullo stesso ove sia stato oggettivamente ostacolato dal farne un uso effettivo per ragioni indipendenti dalla sua volontà e quindi estranei a detto titolare.

67      Orbene, esigere che ragioni del genere coprano l’intero periodo quinquennale rilevante rischierebbe di mettere in discussione tale obiettivo. Infatti, il sopravvenire di tali ragioni, anche qualora fossero durate solo per una parte del periodo di riferimento, ha potuto ostacolare o quantomeno ritardare l’uso effettivo del marchio al di là del periodo durante il quale si sono verificate tali ragioni. Infatti, la circostanza che gli eventi che possono essere qualificati come «ragioni legittime» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 207/2009 siano terminati in un dato momento nel corso del periodo di riferimento non significa che il titolare del marchio abbia ragionevolmente potuto riprendere subito l’uso effettivo dello stesso.

68      Parimenti, il fatto che tali eventi si siano verificati non all’inizio del periodo di riferimento, ma successivamente nel corso dello stesso, non consente di dichiarare il titolare del marchio decaduto dai suoi diritti. Infatti, secondo la giurisprudenza citata al punto 64 supra, se, successivamente, egli ne fa un uso effettivo nel corso del periodo di riferimento, non può essere dichiarato decaduto dai suoi diritti sul marchio. La medesima conclusione si applica se, indipendentemente dalla sua volontà, egli non abbia potuto fare un tale uso per ragioni legittime sopravvenute successivamente nel corso di tale periodo.

69      Deriva da tutto quanto precede che si deve accogliere il «motivo unico di diritto» e, senza che sia necessario esaminare gli altri motivi dedotti dalla ricorrente, annullare per tale motivo la decisione impugnata nella parte in cui la commissione di ricorso ha respinto il ricorso della ricorrente relativamente all’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione della registrazione internazionale.

 Sulle spese

70      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’EUIPO, essendo rimasto soccombente, deve essere condannato alle spese, conformemente alla domanda della ricorrente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      La decisione della quarta commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 13 luglio 2016 (procedimento R 2585/2015-4), relativa a un procedimento di decadenza tra la Trademarkers NV e la C=Holdings BV, è annullata nella parte in cui la commissione di ricorso ha respinto il ricorso della C=Holdings relativamente all’esistenza di ragioni legittime per la mancata utilizzazione della registrazione internazionale di cui è titolare.

2)      L’EUIPO è condannato alle spese.

Tomljenović

Marcoulli

Kornezov

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 13 dicembre 2018.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.