Language of document : ECLI:EU:C:2016:179

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 17 marzo 2016 (1)

Causa C‑592/14

European Federation for Cosmetic Ingredients

contro

Secretary of State for Business, Innovation and Skills

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice of England & Wales, Queen’s Bench Division (Tribunale amministrativo) (Regno Unito)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Mercato interno – Regolamento n. 1223/2009 – Articolo 18, paragrafo 1), lettera b) – Prodotti cosmetici – Ingredienti cosmetici – Divieto di commercializzazione di ingredienti cosmetici testati su animali»






Indice


I – Introduzione

II – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

B – Il diritto nazionale

C – La normativa dell’OMC

III – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

IV – Valutazione

A – Considerazioni preliminari

B – Analisi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)

1. Introduzione

2. Valutazione degli elementi chiave delle posizioni delle parti

a) La EFfCI e la Repubblica francese

b) La Commissione e il Regno Unito

c) Le intervenienti e la Repubblica ellenica

d) Conclusioni sulle interpretazioni proposte dalle parti

3. Analisi testuale, sistematica e teleologica dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)

a) Interpretazione testuale

b) Contesto e scopo

i) Obiettivi del regolamento sui cosmetici

ii) Altre disposizioni del regolamento sui cosmetici

iii) I lavori preparatori

– La direttiva 93/35

– La direttiva 2003/15

– Conclusioni sui lavori preparatori

iv) Coerenza con altra normativa dell’Unione

c) Sulla rilevanza della normativa dell’OMC

d) Conclusioni sull’analisi testuale, sistematica e teleologica e sulla interpretazione proposta del divieto di commercializzazione

V – Conclusione

I –    Introduzione

1.        Il regolamento (CE) n. 1223/2009 (in prosieguo: il «regolamento sui cosmetici») (2) stabilisce le condizioni per la commercializzazione dei prodotti e degli ingredienti cosmetici nell’ambito dell’Unione. L’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici vieta l’immissione sul mercato dell’Unione di cosmetici contenenti ingredienti testati su animali «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del (…) regolamento [in esame]» (in prosieguo: il «divieto di commercializzazione»).

2.        Come si può stabilire quando sono state eseguite sperimentazioni sugli animali «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del [regolamento sui cosmetici]»? Quali elementi di fatto sono rilevanti ai fini di tale indagine? Sono queste, in sostanza, le questioni sollevate nel caso di specie.

II – Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

3.        L’atto fondamentale della normativa dell’Unione in materia è il regolamento sui cosmetici. Tale regolamento consiste in una rifusione dell’originaria direttiva 76/768/CEE del Consiglio sui prodotti cosmetici, e successive modifiche (3). Il regolamento sui cosmetici mira a «[garantire] un mercato interno dei prodotti cosmetici [e] un livello elevato di tutela della salute umana» (v. articolo 1, nonché considerando 4). La sua base giuridica è costituita dall’articolo 95 TCE (ora articolo 114 TFUE).

4.        Il considerando 38 del regolamento sui cosmetici fa riferimento al protocollo 33 sulla protezione e il benessere degli animali allegato al TCE (ora sanciti all’articolo 13 TFUE). Il considerando 39 del regolamento sui cosmetici fa riferimento alla direttiva 86/609/CEE del Consiglio (4), ora abrogata e sostituita dalla direttiva 2010/63/UE (5) sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (in prosieguo: la «direttiva sulla sperimentazione animale»).

5.        Per garantire la sicurezza di prodotti rientranti nel suo ambito di applicazione, l’articolo 10 del regolamento sui cosmetici richiede che sia eseguita una valutazione della sicurezza (in prosieguo: la «valutazione della sicurezza») e che sia elaborata una relazione sulla sicurezza (in prosieguo: la «relazione sulla sicurezza») (6). L’articolo 11 richiede una documentazione informativa sul prodotto (in prosieguo: la «DIP») da tenere su ogni prodotto cosmetico commercializzato nell’Unione. La DIP deve includere, tra l’altro, la relazione sulla sicurezza nonché «i dati concernenti le sperimentazioni animali effettuate dal fabbricante, dai suoi agenti o dai suoi fornitori (…)». Questi ultimi includono espressamente «gli esperimenti sugli animali effettuati per soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari di paesi terzi».

6.        Il capo V del regolamento sui cosmetici è intitolato «Sperimentazione animale». Il suo unico articolo, ossia l’articolo 18, prevede quanto segue:

«1. Fatti salvi gli obblighi generali derivanti dall’articolo 3, è vietato quanto segue:

a)      l’immissione sul mercato dei prodotti cosmetici la cui formulazione finale sia stata oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale con un metodo diverso da un metodo alternativo dopo che un tale metodo alternativo sia stato convalidato e adottato a livello comunitario, tenendo debitamente conto dello sviluppo della convalida in seno all’OCSE;

b)      l’immissione sul mercato dei prodotti cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti che siano stati oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale con un metodo diverso da un metodo alternativo dopo che un tale metodo alternativo sia stato convalidato e adottato a livello comunitario, tenendo debitamente conto dello sviluppo della convalida in seno all’OCSE;

c)      la realizzazione, all’interno della Comunità, di sperimentazioni animali relative a prodotti cosmetici finiti, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento;

d)      la realizzazione, all’interno della Comunità, di sperimentazioni animali relative a ingredienti o combinazioni di ingredienti allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, dopo la data in cui dette sperimentazioni vanno sostituite da uno o più metodi alternativi convalidati che figurano nel regolamento (CE) n. 440/2008 della Commissione, del 30 maggio 2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), o nell’allegato VIII del presente regolamento.

(…)» (7).

7.        L’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento sui cosmetici prevede che l’articolo 18, paragrafo 1, lettere a), b), e d) debba essere attuato entro l’11 marzo 2009. Fanno eccezione particolari tipi di sperimentazione, per i quali la scadenza viene fissata all’11 marzo 2013. Tali scadenze sono di seguito indicate come «date limite». Il sesto comma dell’articolo 18, paragrafo 2, consente inoltre di derogare ai divieti contenuti nell’articolo 18, paragrafo 1, in «circostanze eccezionali» e a condizioni fissate in termini rigorosi.

8.        L’articolo 20, paragrafo 3, del regolamento sui cosmetici stabilisce le condizioni alle quali è possibile dichiarare sulla confezione o sull’etichetta che non sono state condotte sperimentazioni animali su un prodotto cosmetico o sui suoi ingredienti. Ciò avviene. in particolare, nel caso in cui «il fabbricante e i suoi fornitori non abbiano effettuato o commissionato sperimentazioni animali (…) e (…) non abbiano usato ingredienti sottoposti da terzi a sperimentazioni animali al fine di ottenere nuovi prodotti cosmetici».

9.        L’articolo 37 del regolamento sui cosmetici impone agli Stati membri di definire le norme concernenti sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive» da applicare in caso di violazione del regolamento sui cosmetici.

B –    Il diritto nazionale

10.      Il regolamento sui cosmetici è stato attuato nel Regno Unito tramite il Cosmetics Products Enforcement Regulations (in prosieguo: il «regolamento nazionale») (8). L’articolo 12 del regolamento nazionale stabilisce che la violazione, in particolare, dell’articolo 18 del regolamento sui cosmetici costituisce un reato. L’articolo 13 del regolamento nazionale (riguardante le sanzioni) prevede che tra le possibili sanzioni siano comprese le ammende e la reclusione.

C –    La normativa dell’OMC

11.      L’articolo III.4 dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (in prosieguo: il «GATT 1994») (9) vieta la discriminazione contro le merci importate. In particolare, esso impone alle parti contraenti di accordare ai prodotti importati «un trattamento meno favorevole di quello accordato ai prodotti analoghi di origine nazionale (…)».

12.      L’articolo XX del GATT 1994 stabilisce varie eccezioni alla regola di non discriminazione sancita all’articolo III.4. Tali eccezioni includono misure necessarie per proteggere la morale pubblica [articolo XX, lettera a)] e la salute degli animali [articolo XX, lettera b)]. Dette misure non devono essere applicate, tuttavia, in modo da costituire un mezzo di discriminazione arbitraria o ingiustificata tra paesi, o una restrizione dissimulata al commercio internazionale.

III – Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

13.      Il ricorso dinanzi al giudice nazionale è stato proposto da un’associazione di categoria, la European Federation for Cosmetic Ingredients (in prosieguo: la «EFfCI»). Secondo la domanda di pronuncia pregiudiziale, tre società, membri della EFfCI, hanno sottoposto alcuni ingredienti a sperimentazione animale al di fuori dell’Unione e hanno prodotto dati a seguito di tale sperimentazione. I dati ottenuti da dette sperimentazioni erano necessari per consentire l’uso di tali ingredienti in prodotti cosmetici destinati alla vendita in Giappone o in Cina.

14.      La EFfCI nutriva dubbi riguardo alla questione se l’importazione di tali prodotti nel Regno Unito costituisse una violazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici, che poteva dar luogo a responsabilità penale e alla conseguente irrogazione di sanzioni penali nel Regno Unito. Per tale motivo, essa ha avviato un procedimento di controllo giurisdizionale al fine di determinare la portata del divieto imposto da tale disposizione.

15.      Il convenuto nel procedimento principale è l’autorità nazionale competente – il Secretary of State for Business, Innovation and Skills. Altri due enti sono stati autorizzati a intervenire nel procedimento principale: la British Union for the Abolition of Vivisection, ora Cruelty Free International (in prosieguo: la «CFI») e la European Coalition to End Animal Experiments (in prosieguo: la «ECEAE»), (in prosieguo, congiuntamente: le «intervenienti»).

16.      Con ordinanza del 12 dicembre 2014, pervenuta nella cancelleria della Corte il 22 dicembre 2014, la High Court of Justice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 18, paragrafo l, lettera b), del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici debba essere interpretato nel senso che vieta l’immissione sul mercato comunitario dei prodotti cosmetici contenenti ingredienti o combinazioni di ingredienti che siano stati oggetto di una sperimentazione animale, nel caso in cui detta sperimentazione sia stata effettuata al di fuori dell’Unione europea allo scopo di soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari di paesi terzi, al fine di commercializzare in tali paesi prodotti cosmetici contenenti detti ingredienti.

2)      Se la risposta alla prima questione dipenda:

a)      dal fatto che la valutazione della sicurezza svolta a norma dell’articolo 10 del regolamento in parola per dimostrare la sicurezza del prodotto cosmetico per la salute umana prima di renderlo disponibile sul mercato comunitario comporti l’uso di dati risultanti dalla sperimentazione animale effettuata al di fuori dell’Unione europea;

b)      dal fatto che i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi si riferiscano alla sicurezza dei prodotti cosmetici;

c)      dal fatto che fosse ragionevolmente prevedibile, al momento della realizzazione al di fuori dell’Unione della sperimentazione su animali di un (omissis) ingrediente, che chiunque potesse tentare di immettere prima o poi sul mercato comunitario un prodotto cosmetico contenente tale ingrediente; e/o

d)      da un altro fattore, e, in caso affermativo, quale» (10).

17.      Le parti e le intervenienti nel procedimento principale – la EFfCI, il Secretary of State for Business Innovation and Skills del Regno Unito, la CFI e la ECEAE – nonché la Repubblica ellenica e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte nella causa in esame e difese orali all’udienza del 9 dicembre 2015. La Repubblica francese ha chiesto anch’essa l’autorizzazione a intervenire all’udienza e ha presentato difese orali all’udienza.

IV – Valutazione

A –    Considerazioni preliminari

18.      Le questioni formulate dal giudice nazionale mirano a chiarire l’ambito di applicazione del divieto di commercializzazione sui prodotti cosmetici contenenti ingredienti testati su animali.

19.      Tali quesiti sollevano una serie di questioni delicate. Ad emergere sono due questioni in particolare: la politica dell’Unione sulla sperimentazione animale e il requisito della certezza del diritto nel senso della chiarezza e della comprensibilità della legge. Tali questioni costituiscono un aspetto importante del contesto delle presenti conclusioni. Per tale motivo, commenterò brevemente ciascuna questione prima di iniziare a svolgere una dettagliata valutazione sostanziale.

20.      In primo luogo, riguardo alla politica dell’Unione in materia di sperimentazione animale, l’Unione riconosce l’importanza del benessere degli animali. La sperimentazione animale dovrebbe essere limitata. Tale posizione trova espressamente riscontro nello stesso Trattato (articolo 13 TFUE) e nel diritto derivato (ad esempio, la direttiva sulla sperimentazione animale e il regolamento sui cosmetici).

21.      Pertanto, nel diritto dell’Unione, sia a livello di diritto primario che di diritto derivato, è presente una manifesta dichiarazione di valore da parte dell’Unione, che può essere intesa nel senso che fornisce un orientamento interpretativo. Tuttavia, come avviene per altri valori, il benessere degli animali non è assoluto. Il legislatore non ha scelto di imporre un divieto assoluto sulla sperimentazione animale nell’Unione. Al contrario, esso pondera il benessere degli animali con altri obiettivi, in particolare la tutela della salute umana. Il divieto di commercializzazione è solo un esempio di tale equilibrio, raggiunto nel settore dei cosmetici.

22.      In secondo luogo, esiste il requisito della certezza del diritto. A livello di redazione legislativa, tale principio equivale al requisito di un grado minimo di chiarezza e di comprensibilità della legge (11). Un aspetto della certezza del diritto è la prevedibilità: operatori e singoli accorti devono essere in grado di comprendere e di prevedere in misura ragionevole ciò che è consentito e ciò che non è consentito dalla legge (12).

23.      Il requisito della certezza del diritto acquista maggiore rilevanza, qualora sia prevista l’applicazione di sanzioni e, in particolare, di sanzioni penali. Considerato congiuntamente al principio di legalità, tale requisito si traduce nella massima nullum crimen, nulla poena sine lege (certa), sancita (tra gli altri) dall’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nonché dall’articolo 7 della Convenzione europea sui diritti umani. Tale massima impone un approccio interpretativo assai cauto e alquanto restrittivo nei casi in cui siano previste sanzioni o ammende per violazioni di disposizioni dal significato o dall’ambito di applicazione non chiaramente definito (13). In altri termini, il legislatore ha ampia facoltà di prevedere divieti o sanzioni. Tuttavia, deve farlo in modo chiaro ed esplicito.

24.      Per quanto riguarda l’interpretazione del regolamento sui cosmetici, è evidente che l’adozione del divieto di commercializzazione è stato un processo lungo e controverso. Il testo che ne deriva non è un esempio di chiarezza.

25.      Ciò è particolarmente spiacevole in quanto la violazione del divieto di commercializzazione comporta gravi conseguenze. L’articolo 37 del regolamento sui cosmetici esige dagli Stati membri l’imposizione di sanzioni nel caso in cui si verifichi una violazione di tal genere. Il Regno Unito ha scelto di imporre sanzioni penali, che possono includere la reclusione (v. supra, paragrafo 10). Sebbene, in altri Stati membri, il particolare regime di esecuzione nazionale possa essere diverso, esso deve comunque includere almeno sanzioni amministrative e ammende. In definitiva, l’articolo 37 esige che le sanzioni siano «effettive, proporzionate e dissuasive».

26.      La compatibilità del divieto di commercializzazione sancito dall’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), con il principio della certezza del diritto è già stata due volte oggetto di controversia dinanzi alla Corte (14). Tuttavia, entrambi i ricorsi sono stati respinti in quanto inammissibili senza che sia stata pronunciata alcuna sentenza nel merito (15).

27.      Nella fattispecie, il giudice nazionale non ha formulato questioni in ordine alla validità dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b). Tuttavia, i principi della certezza del diritto e di legalità non sono soltanto criteri per l’esercizio del controllo giurisdizionale. Essi svolgono anche un ruolo nell’interpretazione di tale disposizione. Detto ruolo è ancor più rilevante alla luce della possibile irrogazione di sanzioni in caso di violazione.

28.      Dopo aver introdotto tali questioni più generali, esporrò una valutazione giuridica più dettagliata nelle seguenti sezioni.

B –    Analisi dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)

1.      Introduzione

29.      L’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici vieta l’immissione sul mercato di ingredienti cosmetici che «siano stati oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento, di una sperimentazione animale (…)».

30.      In base a una lettura meramente testuale e isolata, le parole pertinenti dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), potrebbero essere ragionevolmente interpretate nel senso che occorre esaminare il fine soggettivo specifico sotteso allo svolgimento delle sperimentazioni animali.

31.      Non condivido tale analisi. Il problema di fondo consiste nel fatto che essa dà luogo a incongruenze inconciliabili con altri settori del diritto dell’Unione (questioni intersettoriali) nonché con altri ordinamenti e giurisdizioni (questioni intergiurisdizionali). Essa comporta inoltre problemi irrisolvibili in materia di prove. È vero che spetta alle autorità e ai giudici nazionali che trattano casi concreti risolvere tali questioni probatorie, conformemente al principio dell’autonomia procedurale nazionale. Tuttavia, il compito di interpretare il diritto dell’Unione spetta, in definitiva, alla Corte. A mio avviso, non imporre agli Stati membri interpretazioni concretamente inapplicabili rientra in tale compito.

32.      Per questo motivo propongo alla Corte di adottare un approccio più sfumato. In sostanza, il disposto dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), dovrebbe essere interpretato nel senso di vietare l’accesso al mercato dell’Unione per prodotti cosmetici che intendono affidarsi alle sperimentazioni animali per dimostrare la loro conformità al regolamento sui cosmetici. Il divieto di commercializzazione dovrebbe essere inteso nel senso che per un determinato ingrediente cosmetico i) l’accesso al mercato dell’Unione richiede la dimostrazione della sicurezza di tale ingrediente conformemente alla procedura stabilita dal regolamento sui cosmetici e ii) tale dimostrazione non può basarsi sui risultati delle sperimentazioni animali svoltesi dopo le date limite pertinenti imposte dal regolamento sui cosmetici (v. supra, paragrafo 7).

33.      Il fattore determinante è quindi l’affidamento ai risultati delle sperimentazioni animali per ottenere l’accesso al mercato dell’Unione. È pertanto irrilevante:

–        il luogo in cui la sperimentazione viene condotta;

–        la questione se la sperimentazione sia stata svolta dalla società interessata avendo «in mente» o meno altre normative (dell’Unione o non dell’Unione), nonché la questione se tale altra normativa riguardi o meno i cosmetici; o

–        il momento in cui è stata prevista la commercializzazione dei cosmetici (nell’Unione).

34.      Esporrò di seguito i motivi per cui ritengo che gli elementi chiave delle varie interpretazioni proposte dalle parti presentino gravi problemi e quindi non possano essere confermati (sezione 2). Proseguirò svolgendo un’analisi testuale, sistematica e teleologica del divieto di commercializzazione (sezione 3).

2.      Valutazione degli elementi chiave delle posizioni delle parti

a)      La EFfCI e la Repubblica francese

35.      La EFfCI ritiene, in sostanza, che il divieto di commercializzazione sia applicato quando il fine specifico sotteso alla sperimentazione animale è consistito nell’intento di conformarsi al regolamento sui cosmetici. Quando il fine è diverso, come nel caso della conformità alla normativa di un paese terzo o a un’altra normativa dell’Unione (quale una normativa che disciplina il settore chimico o farmaceutico), il divieto di commercializzazione non sarebbe applicato. Un’interpretazione analoga è stata sostenuta anche dalla Repubblica francese durante l’udienza.

36.      L’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione si basa innanzi tutto sul testo. Qual è il significato letterale delle parole impresse sulla pagina? Tale approccio è espressione dei principi fondamentali della prevedibilità e della certezza del diritto – principi, che, in definitiva, contribuiscono a rafforzare lo Stato di diritto nell’ordinamento giuridico dell’Unione (16). Quel che si vede dovrebbe essere ciò che si ottiene.

37.      Tuttavia, se il testo è ambiguo (17), o il significato letterale dovesse portare a un risultato irragionevole (18), tale significato può essere oggetto di una nuova valutazione dopo essere stato «ricollocat[o] nel proprio contesto e interpretat[o] alla luce dell’insieme delle disposizioni del (…) diritto [dell’Unione], delle sue finalità, nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione alla disposizione di cui trattasi» (19).

38.      In base a una lettura meramente testuale e isolata dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), l’interpretazione proposta dalla EFfCI e dalla Repubblica francese sembra prima facie ragionevole.

39.      A mio avviso, tuttavia, tale interpretazione porrebbe sfide importanti per le autorità amministrative e per i giudici nazionali, sia in termini di individuazione dello scopo nonché dal punto di vista della prova di tale scopo. Infatti, per le ragioni che esporrò di seguito, ritengo che siffatto approccio dia luogo a incongruenze sostanziali e che sia irrealizzabile nella prassi.

40.      Per quanto riguarda l’individuazione dello scopo, stabilire quale sia lo scopo o l’intento di una società pone a sua volta delle sfide. Tuttavia, ammesso che tali sfide possano essere superate, non è neppure chiaro quale sia l’entità il cui scopo o intento sia rilevante. Possibili scelte includono non solo lo stesso produttore del prodotto cosmetico, ma anche il laboratorio che esegue l’esperimento, l’entità che lo commissiona inizialmente e qualsiasi entità alla quale i dati siano successivamente concessi in licenza o ceduti, indipendentemente dalla circostanza che ciò avvenga all’interno o al di fuori del medesimo gruppo societario.

41.      La situazione diviene ancor più complessa se si considera un’eventuale commistione di scopi sotto entrambi i profili: geografico e settoriale.

42.      Ad esempio, la sperimentazione potrebbe essere effettuata avendo in mente, soprattutto, il mercato cinese, ma anche l’Europa come potenziale mercato futuro. Siffatti scenari sembrano possibili e sono, in effetti, assai probabili. È improbabile che, nell’elaborazione e nella sperimentazione di un nuovo ingrediente cosmetico, le società produttrici di cosmetici che operano a livello mondiale ignorino completamente l’Europa, che costituisce un mercato importante. Tali aspetti rientrano implicitamente nella seconda questione, sub c), sollevata dal giudice nazionale.

43.      Analogamente, le sostanze sono spesso soggette a un «doppio uso». Possono essere utilizzate sia nei cosmetici sia nei prodotti non cosmetici. Esempi della seconda categoria includono prodotti farmaceutici o chimici. I risultati della sperimentazione animale potrebbero essere utili per dimostrare la sicurezza per la salute umana delle sostanze destinate a usi cosmetici e non cosmetici. Ciò prova, ancora una volta, la possibilità di scopi misti o multipli nella creazione di dati relativi alle sperimentazioni animali. Tali aspetti rientrano implicitamente nella seconda questione, sub b), sollevata dal giudice nazionale.

44.      Data tale possibilità di scopi misti, collegare la determinazione della legittimità dell’uso di tali dati allo specifico intento delle società nel momento in cui tali dati sono stati inizialmente creati risulta alquanto artificioso. Con ciò non si tiene conto del fatto che serie di dati simili possano circolare, essere oggetto di vendita o di rivendita tra le società, varcando i confini sia geografici che settoriali.

45.      Inoltre, la conseguenza logica dell’interpretazione proposta dalla EFfCI e dalla Repubblica francese consisterebbe nel fatto i dati «liberi dal peccato originale» (nel senso che, anche se sottoposti a sperimentazione animale, i dati non sono specificamente creati avendo in mente il mercato dei cosmetici dell’Unione), potrebbero successivamente circolare in modo completamente libero e potrebbero essere venduti a fini di inserimento nelle valutazioni della sicurezza e nelle relazioni sulla sicurezza concernenti i prodotti cosmetici. È ovvio che il potenziale di elusione determinata da siffatta lettura del disposto dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), è significativo.

46.      In quale momento la possibilità riconosciuta di commercializzare nell’Unione si cristallizza nell’intento specifico di svolgere sperimentazioni «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del (…) regolamento [sui cosmetici]»? Tale quesito presenta, a sua volta, un’altra forma di complessità. Ad esempio, la società che crea i dati può aver avuto inizialmente come specifico obiettivo un mercato, di prodotti non cosmetici in Cina, ma potrebbe anche aver fatto qualche riflessione sull’uso successivo di tali dati, nell’Unione, per i cosmetici. Quale grado di serietà deve avere la prospettiva di una futura commercializzazione nell’Unione prima di trasformarsi in un intento specifico e di «inquinare» i dati? Una breve discussione nell’ufficio marketing? Un documento del consiglio di amministrazione?

47.      Supponiamo tuttavia che si possa stabilire a chi si riferisca l’intento in questione e il grado di considerazione del mercato dell’Unione necessario per individuare lo scopo specifico. Un’ulteriore difficoltà è posta dalla questione della prova dello scopo. Ciò richiede una prova che soddisfi un determinato onere e livello probatorio. In udienza, sono state avanzate varie proposte al riguardo. Si è fatto accenno, tra l’altro, alle autocertificazioni, ai termini di riferimento per i laboratori che eseguono le sperimentazioni, all’obbligatorietà delle sperimentazioni animali all’estero, e alla considerazione della cronologia degli eventi.

48.      È indubbio che i giudici nazionali, in particolare i giudici nazionali di primo grado, siano abituati a trattare quotidianamente questioni inerenti a fatti e prove e che dispongano della competenza necessaria al riguardo. Pertanto, il timore che sia, in concreto, irrealistico attendersi che le autorità amministrative e/o i giudici nazionali si impegnino in tale attività non è una questione di competenza, bensì una questione di fattibilità e di adeguatezza. La richiesta alle autorità nazionali di accertare l’intento soggettivo comune di un numero potenzialmente elevato di imprese attive in vari settori e/o ordinamenti, nel recente o nel lontano passato, potrebbe essere forse presentata in procedimenti penali, ma difficilmente potrebbe esserlo nell’ambito di un sistema di registrazione essenzialmente amministrativa di prodotti che intendano accedere al mercato interno dell’Unione.

49.      Alla luce di tali osservazioni, non ritengo applicabile l’interpretazione proposta dalla EFfCI. I termini «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento» non possono essere interpretati nel senso che si riferiscono allo scopo o all’intento specifico al momento dell’esecuzione della sperimentazione animale.

b)      La Commissione e il Regno Unito

50.      La Commissione e il Regno Unito ritengono anch’essi che lo scopo della sperimentazione sia decisivo. Tuttavia, essi intendono il divieto di commercializzazione in senso più ampio. A loro avviso, il divieto sarebbe applicato se la sperimentazione fosse condotta allo scopo di conformarsi al regolamento sui cosmetici o ad analoga normativa di paesi terzi.

51.      Individuo due problemi fondamentali in tale approccio.

52.      In primo luogo, l’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), fa esplicito e preciso riferimento ai requisiti fissati dal regolamento sui cosmetici dell’Unione, non già ai requisiti previsti da un’altra normativa dell’Unione o da una normativa non dell’Unione. Qualsiasi altra interpretazione di tale norma, a mio avviso, estende chiaramente, in modo piuttosto selettivo, il significato naturale delle parole.

53.      Un argomento di natura sistematica suffraga le mie riserve. L’articolo 11, paragrafo 2, lettera e) del regolamento sui cosmetici, in contrasto con l’articolo 18, paragrafo 1, fa espressamente riferimento alle sperimentazioni effettuate «per soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari di paesi terzi». È evidente che l’articolo 18, paragrafo 1, non fa tale riferimento. Siffatta formulazione sarebbe stata comunque facile da aggiungere anche al divieto di commercializzazione, se tale fosse mai stata l’intenzione del legislatore (20).

54.      Pertanto, contrariamente alla posizione sostenuta dalla Commissione e dal Regno Unito, le «disposizioni del presente regolamento» non possono essere naturalmente interpretate come «le disposizioni del presente regolamento e di analoghi regolamenti sui cosmetici vigenti in Stati non membri». Tali espressioni hanno significato e portata assai diversi.

55.      In secondo luogo, l’approccio della Commissione e del Regno Unito si basa inoltre sull’individuazione dello scopo della sperimentazione. Esso presenta quindi lo stesso tipo di problemi dell’approccio della EFfCI individuati in precedenza (v. supra, paragrafo 40 e seguenti), riguardanti sia gli usi polivalenti sia le prove. A parte ciò, la proposta della Commissione e del Regno Unito aggiunge potenzialmente un ulteriore livello di complessità a un approccio già problematico. Le autorità nazionali non dovrebbero limitarsi a scrutare nella mente della società per dimostrarne l’intento. Oltre a ciò, dovrebbero poi svolgere un’analisi delle leggi e dei regolamenti stranieri per stabilire se siano «analoghi» al regolamento sui cosmetici.

56.      Pertanto, per le stesse ragioni, non concordo neppure con l’interpretazione del divieto di commercializzazione proposto dalla Commissione e dal Regno Unito.

c)      Le intervenienti e la Repubblica ellenica

57.      Le intervenienti e la Repubblica ellenica affermano, in sostanza, che il divieto di commercializzazione è applicato ogni qual volta la sperimentazione animale sia effettuata per dimostrare che un ingrediente è sicuro per la salute umana. Ciò avviene indipendentemente dal luogo in cui la sperimentazione viene effettuata o dal motivo della stessa, purché l’ingrediente testato sia utilizzato nei prodotti cosmetici (21).

58.      Tale interpretazione non può essere corretta.

59.      In via preliminare, per interpretare il diritto dell’Unione occorre spesso guardare al di là del significato naturale delle parole impresse sulla pagina (v. supra, paragrafo 37). Tuttavia, l’interpretazione proposta dalle intervenienti risulta assolutamente difficile da ricollegare a tali parole. Essa sembra ignorare le parole «allo scopo di», quando afferma, infatti, che sia lo scopo della sperimentazione che l’uso dei risultati sono irrilevanti. È invece l’evento della sperimentazione ad essere di per sé decisivo. Analogamente, le parole «disposizioni del presente regolamento» sono quasi del tutto ignorate quando le si interpreta come riferite all’obiettivo generale della tutela della salute umana. Come è stato osservato in udienza dalla Repubblica francese, la sperimentazione animale viene effettuata, nella maggior parte dei casi, per perseguire tale obiettivo, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga nell’ambito dei cosmetici, dei prodotti farmaceutici, chimici, fitosanitari, ecc.

60.      Cosa ancora più importante, l’approccio proposto dalle intervenienti porterebbe a risultati assai peculiari e, a mio avviso, estremi.

61.      Consideriamo, ad esempio, una sostanza che viene testata sugli animali a) al di fuori dell’Unione, b) allo scopo di dimostrare che è sicura per gli esseri umani quando è utilizzata nei detergenti e c) quando la sperimentazione sugli animali è necessaria secondo la normativa di un paese terzo.

62.      Secondo le intervenienti, dato che tale sperimentazione è stata condotta per dimostrare la sicurezza di tale sostanza per la salute umana, sarebbe applicato il divieto di marketing. La sostanza testata non potrebbe essere utilizzata come ingrediente cosmetico nell’Unione. Qualora l’ingrediente sia già utilizzato nei cosmetici nell’ambito dell’Unione, dovrebbe essere logicamente ritirato dal mercato.

63.      In altri termini, secondo l’interpretazione delle intervenienti, il divieto di commercializzazione potrebbe essere applicato per effetto di eventi apparentemente scollegati (in senso temporale, territoriale e settoriale). Tali eventi potrebbero essere completamente al fuori del controllo della persona che commercializza gli ingredienti cosmetici pertinenti (22). Non vedo alcuna giustificazione plausibile per un’interpretazione così estensiva del divieto di commercializzazione (23).

64.      Un altro problema con l’interpretazione estensiva del divieto di commercializzazione, proposta dalle intervenienti, emerge da un’interpretazione sistematica dell’articolo 18, paragrafo 1.

65.      Mentre l’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), contiene un divieto di commercializzazione, l’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), vieta tutte le sperimentazioni animali di ingredienti nell’Unione «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento» (in prosieguo: il «divieto di sperimentazione»). Se fosse privilegiata l’interpretazione delle intervenienti, l’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), vieterebbe logicamente tutte le sperimentazioni animali nell’Unione di tutte le sostanze a partire dal momento in cui vengono utilizzate nei prodotti cosmetici, a meno che siffatte sperimentazioni non tentino di dimostrare la sicurezza per la salute umana (in relazione, ad esempio, agli indicatori ambientali endpoint).

66.      Ciò si verificherebbe anche se la sperimentazione nell’Unione fosse proposta nel contesto di un altro atto legislativo dell’Unione (non riguardante i cosmetici) e i risultati non fossero mai utilizzati nel contesto del regolamento sui cosmetici. Ad esempio, tutte le sperimentazioni animali relative alla salute umana, ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 (in prosieguo: il «REACH») (24), sarebbero vietate per il semplice fatto che la sostanza rilevante viene anche utilizzata nei prodotti cosmetici (25). Niente indica che un divieto così ampio e intersettoriale sulle sperimentazioni animali fosse previsto nel regolamento sui cosmetici, relativo a un settore specifico (26).

67.      Le intervenienti tentano, in realtà, di esaminare alcune delle questioni in parola riconoscendo che la sperimentazione animale potrebbe essere svolta, nell’Unione, ai sensi del REACH, al fine di dimostrare che una sostanza è sicura per la salute umana. Ciò sarebbe consentito nel caso in cui l’uso prevalente della sostanza non riguardasse i prodotti cosmetici («eccezione dell’uso secondario»).

68.      L’eccezione dell’uso secondario, ipotizzata dalle intervenienti, eliminerebbe alcuni effetti inattesi e di ampia portata cui è stato fatto riferimento nei paragrafi precedenti. Tale eccezione, però, non li eliminerebbe tutti.

69.      In particolare, gli effetti intersettoriali del divieto sussisterebbero anche in relazione a sostanze utilizzate prevalentemente nei cosmetici ma aventi altresì rilevanti applicazioni nei prodotti non cosmetici.

70.      Anche l’ambito di applicazione dell’eccezione dell’uso secondario è assai poco chiaro. Ad esempio, è prevalente l’uso identificato in termini di volume dell’ingrediente utilizzato per i prodotti cosmetici? Detto uso è collegato al valore monetario di tale ingrediente? Presumendo che il volume sia stato l’elemento chiave, uso prevalente significa che più del 50% del volume (27) di tale ingrediente è utilizzato in prodotti cosmetici, oppure significa semplicemente il più importante tra vari usi (anche se l’uso a fini cosmetici rimane secondario in termini di volume)? La valutazione dell’uso prevalente deve essere effettuata a livello globale, nell’ambito dell’Unione o facendo riferimento a qualche altro territorio?

71.      Forse, è ancor più rilevante il fatto che sia poco chiaro il fondamento dell’eccezione dell’uso secondario. Qual è la sua fonte? Non viene proposto alcun fondamento per tale eccezione diverso dalla circostanza che la normativa pertinente riguarda i cosmetici e che presumibilmente l’eccezione «concorderebbe con il modo in cui i divieti vengono percepiti dal pubblico». Non dubito dell’inventiva dei fabbricanti e delle autorità incaricate dell’applicazione delle leggi per individuare soluzioni pratiche ad alcuni dei problemi esposti nel paragrafo precedente. Ritengo, tuttavia, che se ci si attenesse più strettamente al testo del regolamento sui cosmetici, questo genere di problemi potrebbe essere completamente evitato. Sottolineo inoltre che sono previste sanzioni per la violazione di tali norme «scoperte di recente» e assai dettagliate. Nel caso del Regno Unito, la reclusione rappresenta un’opzione. In tali circostanze, ritengo che sia impossibile conciliare l’approccio proposto dalle intervenienti con la massima nullum crimen, nulla poena sine lege certa.

72.      Infine, si dichiara che in alcuni ordinamenti esterni all’Unione la sperimentazione animale di ingredienti cosmetici è obbligatoria. Qualora ciò avvenga, l’interpretazione proposta dalle intervenienti richiederebbe, in pratica, ai produttori di scegliere tra la commercializzazione di un ingrediente nell’Unione o in tale altro ordinamento che impone sperimentazioni animali. In altri termini, essa creerebbe de facto divieti all’esportazione o all’importazione.

73.      Non ritengo necessario esaminare nei dettagli il diritto commerciale internazionale per respingere l’interpretazione proposta dalle intervenienti. Tuttavia, è ovvio che i divieti all’esportazione e all’importazione costituiscono gravi impedimenti al commercio internazionale. A prescindere dalla questione se essi possano essere o meno difesi in base alla normativa dell’OMC (28), se il legislatore avesse effettivamente voluto ottenere tali effetti, sarebbe stato legittimo attendersi dal legislatore la scelta di una formulazione più chiara per esprimere tale intento.

d)      Conclusioni sulle interpretazioni proposte dalle parti

74.      Comprendo la difficile situazione di chiunque cerchi di dare un senso all’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici. Non è ben formulato. Inoltre, i dubbi legittimi espressi nelle questioni sollevate dal giudice nazionale, a quanto pare, erano stati previsti dal legislatore più di 20 anni fa durante l’iter legislativo iniziale (29). Ciò rende ancor più spiacevole il fatto che tali questioni debbano essere esaminate in una fase così avanzata.

75.      Ciò detto, non mi convincono ancora gli aspetti fondamentali delle interpretazioni proposte dalle parti.

76.      Esporrò nella sezione seguente la mia personale analisi del divieto di commercializzazione alla luce della sua formulazione letterale, del suo contesto e del suo scopo. La principale conclusione derivante da tale analisi è che l’espressione «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento» dovrebbe essere interpretata nel senso che osta all’utilizzo dei risultati delle sperimentazioni animali ai fini della commercializzazione di prodotti cosmetici nell’Unione.

3.      Analisi testuale, sistematica e teleologica dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)

a)      Interpretazione testuale

77.      Il primo approdo in ogni esercizio interpretativo è il testo della norma (30). Il significato naturale più ovvio dell’espressione «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del [regolamento sui cosmetici]» è che la sperimentazione è stata effettuata con l’obiettivo (principale) di conformarsi a tale normativa. Per le suesposte ragioni, ritengo che tale interpretazione ponga problemi insolubili in termini di individuazione e di prova dello scopo, nonché di coerenza sistematica del regolamento sui cosmetici con altri settori del diritto dell’Unione.

78.      Ciò non significa, tuttavia, che si possa semplicemente ignorare il testo e salpare verso il mare nebuloso dell’effet utile. Ciò è ancor più vero in quanto tale nozione sembra essere intesa in modo assai diverso dai vari operatori, come è emerso dalle osservazioni scritte e orali presentate dalle parti nella causa in esame. Anche se, per le suesposte ragioni, risulta impossibile affidarsi solo al testo, l’interpretazione dovrebbe attenersi quanto più strettamente possibile al testo e alle nozioni in esso contenute, rispettando, al contempo, l’intento del legislatore e le scelte di valore espresse dallo stesso, purché questi possano essere facilmente individuati.

79.      A mio avviso, la formulazione letterale del divieto di commercializzazione implica un necessario collegamento tra a) la sperimentazione animale e b) la conformità alle specifiche disposizioni del regolamento sui cosmetici. Siffatto collegamento è fondamentale alla luce termini dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b): «[un ingrediente,] che [sia stato] oggetto, allo scopo di conformarsi alle disposizioni del [regolamento sui cosmetici], di una sperimentazione animale» (31).

80.      Nell’articolo 1 del regolamento sui cosmetici si afferma chiaramente che detto regolamento stabilisce le norme che devono essere rispettate da ogni prodotto cosmetico da immettere sul mercato interno. Per quale motivo, se non quello di ottenere l’accesso al mercato interno, un’impresa intenderebbe conformarsi alle disposizioni del regolamento sui cosmetici?

81.      Dato tale necessario collegamento, ritengo che l’utilizzo dei risultati della sperimentazione animale per ottenere l’accesso al mercato dell’Unione con un prodotto cosmetico sia una condicio sine qua non per l’applicazione del divieto di marketing. È questo il problema sollevato dal giudice nazionale nella seconda questione, sub a).

82.      Per le ragioni che esporrò di seguito, tale conclusione è confermata da un’analisi sistematica e teleologica. Inoltre, da tale analisi non emergono, a mio avviso, condizioni aggiuntive, necessarie per l’applicazione del divieto di commercializzazione.

b)      Contesto e scopo

83.      Esistono vari elementi del contesto e dello scopo del divieto di commercializzazione che ritengo opportuno esaminare nella fattispecie, vale a dire:

–        gli obiettivi del regolamento sui cosmetici;

–        altre disposizioni del regolamento sui cosmetici;

–        i lavori preparatori del regolamento sui cosmetici;

–        la coerenza con altra normativa dell’Unione.

i)      Obiettivi del regolamento sui cosmetici

84.      Come previsto all’articolo 1 del regolamento sui cosmetici, i suoi principali obiettivi sono «garantire il corretto funzionamento del mercato interno [dei prodotti cosmetici] ed un livello elevato di tutela della salute umana» (32) Nel perseguimento di tali obiettivi, i considerando 38 e seguenti del regolamento sui cosmetici sottolineano altresì l’importanza del benessere degli animali. Tali considerando e obiettivi si traducono nei divieti di commercializzazione e di sperimentazione rinvenibili nell’articolo 18, paragrafo 1.

85.      È evidente, tuttavia, che il regolamento sui cosmetici è innanzi tutto una misura del mercato interno specifica di un settore. Il regolamento sui cosmetici stabilisce le condizioni in base alle quali l’Unione consentirà ai prodotti e agli ingredienti cosmetici di accedere al mercato interno. La condizione principale è che essi debbano essere sicuri per gli esseri umani. Ciò è confermato dalla scelta della base giuridica, ossia l’articolo 95 TCE (ora articolo 114 TFUE).

86.      Il benessere degli animali è una considerazione particolarmente rilevante. Tuttavia, non costituisce l’obiettivo principale della normativa. Inoltre, a prescindere dai precisi limiti imposti dal benessere degli animali, è evidente che la normativa non impone un divieto assoluto sulla sperimentazione animale o sulla commercializzazione di (ingredienti) cosmetici testati sugli animali (33).

87.      Pertanto, considerato nel contesto dell’intero regolamento sui cosmetici, un produttore intenderà «conformarsi alle disposizioni del presente regolamento» al fine di ottenere l’accesso al mercato interno. Il significato dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b) sarebbe quindi colto con maggiore precisione se formulato nei seguenti termini: «la sperimentazione animale non dovrebbe essere utilizzata per ottenere l’accesso al mercato interno dei cosmetici».

88.      Ciò conferma l’interpretazione suggerita supra secondo la quale l’utilizzo dei risultati delle sperimentazioni animali è il presupposto fondamentale dell’applicazione del divieto di commercializzazione.

ii)    Altre disposizioni del regolamento sui cosmetici

89.      Sebbene di per sé non decisive, talune altre disposizioni del regolamento sui cosmetici sono anch’esse degne di nota in relazione agli argomenti sistematico‑contestuali. In particolare, tali disposizioni fanno luce su alcune situazioni ritenute dal legislatore compatibili con i divieti di sperimentazione e di commercializzazione. Come tali, esse sono di aiuto quando si cerca di comprendere l’ambito di applicazione di tali divieti.

90.      L’articolo 11, paragrafo 2, lettera e), del regolamento sui cosmetici richiede l’inserimento nella DIP di qualsiasi dato relativo a sperimentazioni animali creato per conformarsi a requisiti stabiliti al di fuori nell’Unione. Pertanto, la sperimentazione animale di un ingrediente cosmetico in paesi terzi può essere naturalmente compatibile con la commercializzazione di tale ingrediente nell’Unione (34).

91.      È anche interessante osservare che il riferimento esplicito ai requisiti stabiliti da paesi terzi, contenuto nell’articolo 11, paragrafo 2, lettera e), è in contrasto con l’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), che non fa tale riferimento. Ciò potrebbe essere interpretato nel senso di implicare che gli esperimenti effettuati per soddisfare i requisiti legislativi di paesi terzi sono stati deliberatamente esclusi quale fattore determinante l’applicazione del divieto di commercializzazione.

92.      Come affermato in precedenza (35), il considerando 40 del regolamento sui cosmetici sembra altresì prevedere situazioni in cui la sperimentazione animale potrebbe essere condotta nell’Unione ai sensi, ad esempio, del REACH e gli ingredienti testati possono anche essere utilizzati nei prodotti cosmetici.

93.      Le disposizioni e i considerando summenzionati confermano la tesi, già da me formulata, secondo la quale la sperimentazione animale di ingredienti usati nei cosmetici non è di per sé in discussione. Con tale tesi si sottolinea che deve sussistere un collegamento tra la sperimentazione e la commercializzazione nel mercato interno. Come ho già dichiarato, ritengo che tale collegamento debba essere stabilito facendo riferimento all’utilizzo dei dati relativi alle sperimentazioni animali al fine di dimostrare la sicurezza per la salute umana, nel contesto del regolamento sui cosmetici.

94.      Inoltre, la formulazione letterale e la struttura delle summenzionate disposizioni evidenziano anche una particolare distinzione ai sensi del regolamento sui cosmetici, essenziale ai fini della causa in esame e meritevole di discussione in questa sede. Tale distinzione si pone tra, da un lato, l’utilizzo dei dati relativi alle sperimentazioni animali per dimostrare la sicurezza e, dall’altro, la «mera» inclusione di tali dati nella DIP.

95.      L’articolo 10 del regolamento sui cosmetici richiede che la sicurezza di un ingrediente cosmetico sia dimostrata da una valutazione della sicurezza e registrata in una relazione sulla sicurezza. Per dimostrare la sicurezza, l’utilizzo deve essere basato su prove scientifiche. L’articolo 11 del regolamento sui cosmetici indica le informazioni che devono essere incluse nella DIP.

96.      Nelle sue osservazioni scritte e in udienza le intervenienti hanno affermato, in sostanza, che a partire dal momento in cui i risultati della sperimentazione vengono inclusi nella DIP, essi formano necessariamente parte integrante degli elementi di prova utilizzati per dimostrare la sicurezza. A riprova di ciò, esse citano l’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici, che prevede, in relazione alla valutazione della sicurezza, che «nella valutazione della sicurezza sia utilizzato un approccio adeguato basato sulla forza probante per rivedere i dati provenienti da tutte le fonti esistenti» (36) Tali fonti devono includere qualsiasi risultato relativo a sperimentazioni animali. Ciò fa sorgere la possibilità che la sperimentazione animale continui ad essere utilizzata per contribuire a confermare le conclusioni sulla sicurezza dei prodotti cosmetici. Per evitare tale prospettiva, l’unica soluzione, secondo le intervenienti, è vietare l’immissione sul mercato dell’Unione di ingredienti cosmetici a partire dal momento in cui siano state effettuate sperimentazioni animali sugli stessi (ovunque e per qualunque ragione) (37).

97.      Non sono d’accordo con tale interpretazione, in particolare per i seguenti motivi.

98.      In primo luogo, l’articolo 11, paragrafo 2, lettera e), riconosce l’esistenza di situazioni in cui la sperimentazione animale sugli ingredienti cosmetici sia stata effettuata per soddisfare requisiti stabiliti da paesi terzi. Tali dati devono essere inclusi nella DIP se si riferiscono «allo sviluppo o alla valutazione della sicurezza» dell’ingrediente. Tale espressione implica che non tutti i dati relativi a sperimentazioni animali, inclusi nella DIP, devono essere necessariamente utilizzati per confermare le conclusioni contenute nella valutazione della sicurezza.

99.      In secondo luogo, il regolamento sui cosmetici richiede che la sicurezza degli ingredienti e dei prodotti cosmetici sia validamente dimostrata mediante l’impiego di metodi di sperimentazione alternativi. Come confermato in udienza, tra gli altri, dal Regno Unito e dalla Commissione, è semplicemente insufficiente fare riferimento alla mancanza di prove di nocività per giustificare la conclusione che un ingrediente è sicuro.

100. In terzo luogo, come osservato supra al paragrafo 60, l’interpretazione delle intervenienti porta a risultati assai peculiari ed estremi. Se tali risultati corrispondessero realmente all’intenzione del legislatore, ci si potrebbe legittimamente attendere che detti risultati siano precisati in modo più chiaro nella normativa. Ciò non si verifica nel caso in esame. Infatti, molti altri elementi, come esposto nella presente sezione, confermano il contrario.

101. Infine, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici non può essere considerato isolatamente. Nei limiti in cui l’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), riduce l’ambito della prova che può essere utilizzata per conformarsi alle disposizioni del regolamento sui cosmetici, tale norma deve essere anche intesa nel senso che essa limita il tipo di risultati delle sperimentazioni che possono formare parte integrante della valutazione basata sulla forza probante di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettera b).

102. Per concludere su tale punto, ritengo che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici non rimetta in discussione l’interpretazione proposta supra secondo la quale il fattore determinante l’applicazione del divieto di commercializzazione è costituito dall’utilizzo dei dati relativi alle sperimentazioni animali, non già dall’evento della sperimentazione in quanto tale. Inoltre, occorre operare un’importante distinzione tra l’utilizzo dei dati relativi alle sperimentazioni e la mera inclusione degli stessi nella DIP.

iii) I lavori preparatori

103. Nel corso dei lavori preparatori si è svolto un dibattito significativo riguardo al divieto di commercializzazione. Purtroppo, tale dibattito genera più calore che luce. Tuttavia, è opportuno esporne gli aspetti principali.

–       La direttiva 93/35

104. L’originaria direttiva 76/768 sui cosmetici non conteneva alcun divieto di commercializzazione o riferimento alla sperimentazione animale. Il divieto di commercializzazione è stato introdotto, per la prima volta, dalla direttiva 93/35/CEE (38), che usa essenzialmente la stessa formulazione rilevante rinvenibile attualmente nel regolamento sui cosmetici («onde soddisfare le esigenze della presente direttiva») (39).

105. L’inserimento di questa espressione era controverso. La proposta iniziale della Commissione non conteneva alcun divieto di commercializzazione (40). Questo è stato inserito dal Parlamento europeo in prima lettura. Il divieto di commercializzazione proposto dal Parlamento era esteso inizialmente, in modo esplicito, a «ingredienti o loro combinazioni sperimentati su animali dopo il 1° gennaio 1998 per stabilirne la sicurezza o l’efficacia in vista della loro utilizzazione nei prodotti cosmetici o per conformarsi ai requisiti della presente direttiva» (41).

106. A mio avviso, tale formulazione ha tentato di distinguere la sperimentazione animale effettuata per conformarsi i) alla direttiva e ii) ad altre norme riguardanti i cosmetici (dell’Unione o non dell’Unione) (42). Il Parlamento ha tentato di assoggettare entrambi gli scenari al divieto di commercializzazione (in prosieguo: la «formula ampia») (43).

107. La Commissione ha ridotto l’ambito di applicazione del divieto di commercializzazione proposto dal Parlamento affinché la sperimentazione vi fosse inclusa «in ottemperanza alle prescrizioni della presente direttiva», ossia il primo degli scenari delineati al paragrafo 106 delle presenti conclusioni (in prosieguo: la «formula ridotta») (44). Il Parlamento ha insistito e ha tentato nuovamente di far introdurre la formula ampia in seconda lettura (45). La Commissione ha accettato tale proposta al secondo tentativo. Per citare le sue parole, esso mirava a «proibire in modo esplicito le sperimentazioni su animali per ragioni diverse dal rispetto delle esigenze della direttiva» (46). Tuttavia, il Consiglio ha ridotto ancora una volta l’ambito di applicazione del divieto di commercializzazione, riportandolo alla formula ridotta (47), adottata infine nella direttiva 93/35.

108. Deduco da questo ping pong istituzionale che la differenza tra l’ambito ampio e quello ridotto del divieto di commercializzazione è stata chiaramente riconosciuta e considerata essenziale da tutte e tre le istituzioni.

109. La piena entrata in vigore del divieto di commercializzazione è stata successivamente rinviata in due occasioni (48).

–       La direttiva 2003/15

110. Nel 2003 la direttiva 2003/15/CE (49) ha inserito la formulazione dei divieti di commercializzazione e di sperimentazione che compaiono attualmente all’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento sui cosmetici (50). Tale formulazione ha incluso, immodificata, la formula ridotta «allo scopo di conformarsi alle disposizioni della presente direttiva».

111. L’iter legislativo sfociato nell’adozione della direttiva 2003/15 ha comportato rilevanti discussioni riguardo al divieto di commercializzazione. Gran parte della discussione è stata dedicata ai timori circa la compatibilità del divieto di commercializzazione con la normativa dell’OMC (51). In risposta a tali timori, il Consiglio e la Commissione avevano tentato inizialmente di collegare qualsiasi introduzione del divieto di commercializzazione all’introduzione di metodi di sperimentazione alternativi a livello di OCSE (52). Il Parlamento ha opposto forti resistenze a tale proposta, insistendo affinché venisse fissata una data limite definitiva per l’introduzione dei divieti (53). Le date limite sono state infine incluse nel testo finale (v. supra, paragrafo 7).

112. Per contro, il dibattito sul divieto di commercializzazione non comprendeva discussioni dettagliate circa la distinzione tra la sperimentazione animale effettuata per conformarsi i) alla direttiva e ii) ad altre norme riguardanti i cosmetici (dell’Unione o non dell’Unione) (v. supra, paragrafi da 106 a 108). La formula più restrittiva approvata nella versione del 1993 del divieto di commercializzazione – «onde soddisfare le esigenze della presente direttiva» – è stata riutilizzata senza subire modifiche. Il Parlamento ha accennato brevemente al fatto di perso la battaglia per far introdurre la sua formula ampia, che avrebbe incluso altre norme riguardanti i cosmetici (dell’Unione o non dell’Unione). Il Parlamento non ha esposto nei dettagli gli effetti della formula ridotta. Ha tuttavia concluso che, come conseguenza, il divieto di commercializzazione conteneva una «sostanziale lacuna, in particolare per quanto riguarda i cosmetici importati da paesi terzi» (54). Ciò sembra riflettere una preoccupazione, espressa anche altrove (55), secondo la quale un divieto di commercializzazione non esaustivo comporterebbe semplicemente la sua elusione mediante il trasferimento della sperimentazione animale al di fuori dell’Unione.

–       Conclusioni sui lavori preparatori

113. Nonostante la notevole ambiguità, ritengo che dai lavori preparatori sia possibile trarre almeno qualche conclusione.

114. In primo luogo, non esistono dichiarazioni chiare ed esplicite, confermate da tutte e le tre le istituzioni, secondo le quali il divieto di commercializzazione era inteso come assoluto, nel senso che la sua applicazione sarebbe stata determinata dal mero evento della sperimentazione (a prescindere dal luogo, dalle ragioni o dagli autori degli esperimenti). Per contro, durante l’adozione della direttiva 93/35 è stata più volte confermata, a mio avviso, l’importanza di un collegamento tra la sperimentazione e la direttiva o il regolamento sui cosmetici in particolare (non semplicemente il settore dei cosmetici in generale). Ciò costituisce un ulteriore fattore a sostegno del rigetto dell’interpretazione estensiva del divieto di commercializzazione, proposta dalle intervenienti e dalla Repubblica ellenica, secondo le quali l’applicazione di tale divieto è determinata dall’evento della sperimentazione in quanto tale (56).

115. In secondo luogo, tutte e tre le istituzioni sembrano aver considerato le date limite come uno spartiacque. Il Parlamento era restio a posticipare il divieto di commercializzazione all’infinito in attesa dell’introduzione di metodi alternativi. Dopo le date limite, i divieti di commercializzazione e di sperimentazione sarebbero stati applicati indipendentemente dall’esistenza di metodi alternativi. Nonostante questa ferma posizione, nessuna istituzione ha avanzato proposte per espungere l’espressione qualificante, contenuta nel testo, – «onde soddisfare le esigenze della presente direttiva».

116. In terzo luogo, il rischio di elusione è stato menzionato in diverse occasioni durante l’iter legislativo. Il punto centrale era costituito dal timore della delocalizzazione (57). È stata anche espressa preoccupazione per l’elusione attraverso sperimentazioni asseritamente effettuate in particolari settori non cosmetici per essere poi applicate al settore cosmetico (58).

117. A mio avviso, la presentazione delle date limite come spartiacque e i timori riguardo ad attività elusive avvalorano la conclusione secondo la quale, ovunque sia effettuata, la sperimentazione animale non dovrebbe essere utilizzata per ottenere l’accesso al mercato dell’Unione. Tali elementi forniscono anche ulteriore sostegno all’idea che l’utilizzo dei dati relativi alle sperimentazioni animali costituiscano il fattore determinante l’applicazione del divieto di commercializzazione.

iv)    Coerenza con altra normativa dell’Unione

118. L’atto legislativo dell’Unione di più vasta portata, diretto a garantire la sicurezza delle sostanze è il REACH (59). Tale atto esige che sostanze importate o fabbricate nell’Unione in quantità superiori a una tonnellata siano registrate. La registrazione comporta la presentazione di una documentazione scientifica, che deve dimostrare, tra l’altro, che la sostanza è sicura per la salute umana. Gli ingredienti cosmetici sono anch’essi soggetti al REACH.

119. Ciò fa sorgere la questione relativa al modo in cui sostanze «a duplice uso», impiegate sia in prodotti cosmetici che in prodotti non cosmetici, debbano essere trattate ai sensi del REACH. La risposta contribuirà a far luce sull’ambito di applicazione del divieto di commercializzazione ai sensi del regolamento sui cosmetici.

120. Il considerando 13 del REACH prevede che quest’ultimo sia applicato «fatt[o] salv[o]» il regolamento sui cosmetici. Il REACH contiene inoltre varie deroghe espresse per le sostanze, nella misura in cui le medesime siano utilizzate in prodotti cosmetici. In particolare, il REACH si applica «fatt[o] salv[o]» il regolamento sui cosmetici «per quanto riguarda la sperimentazione eseguita su animali vertebrati nell’ambito del campo di applicazione di tale [regolamento]» (60).

121. A mio avviso, l’obiettivo qui è chiaro. Il REACH istituisce un contesto normativo generale per la registrazione, la valutazione e l’autorizzazione delle sostanze. Quando una sostanza è impiegata in un settore specifico ed esiste una normativa di settore, il REACH può essere applicato facendo salva tale normativa specifica di settore e può rinviare (in parte) alla stessa. Così è avvenuto nel caso dei cosmetici, e anche in diversi altri settori, quali i medicinali, i dispositivi medici, gli alimenti e i mangimi, ecc. (61).

122. Tuttavia, contrariamente alla posizione sostenuta dalle intervenienti in particolare, ciò non significa che, quando una sostanza è impiegata nei cosmetici, le norme contenute nel regolamento sui cosmetici possano essere estese a tale sostanza per tutti gli usi (cosmetici e non cosmetici). Non significa, ad esempio, che una sostanza contenuta in un detergente non possa essere testata sugli animali nell’Unione per il semplice fatto che è anche contenuta nei cosmetici (62). Né significa che non appena siano effettuate sperimentazioni animali da parte del fabbricante del detergente al di fuori dell’Europa, ciò impedisca qualsiasi (ulteriore) commercializzazione della sostanza contenuta nei cosmetici nell’ambito dell’Unione.

123. Come sottolineato dalla EFfCI, il divieto quasi assoluto di sperimentazioni animali esistente nel settore dei cosmetici è assai specifico. La situazione più comune, secondo la normativa dell’Unione, è che la sperimentazione animale, ove possibile, debba essere evitata, ma tollerata, sia pure con riluttanza, ogni qual volta non siano disponibili altre alternative (63).

124. Ciò premesso, il legislatore non può aver voluto il tipo di effetti intersettoriali del regolamento sui cosmetici asserito dalle intervenienti. Inoltre, ricordo che proprio la formulazione del divieto di commercializzazione, contenuto nel regolamento sui cosmetici, è manifestamente specifico del settore («allo scopo di conformarsi alle disposizioni del presente regolamento»).

125. Ancora una volta, quanto precede conferma la necessità di un collegamento tra la sperimentazione animale e il regolamento sui cosmetici specificamente anteriore all’applicazione del divieto di commercializzazione. L’evento della sperimentazione di per sé non è sufficiente.

126. Tuttavia, comprendo le preoccupazioni espresse dalle intervenienti relativamente all’efficacia dei divieti previsti dal regolamento sui cosmetici e al rischio di elusione. Al riguardo, le intervenienti affermano, in sostanza, che una società potrebbe facilmente eseguire gli esperimenti per registrare un ingrediente cosmetico ai sensi del REACH e, successivamente, utilizzare tali risultati in una valutazione della sicurezza ai sensi del regolamento sui cosmetici. Ciò sarebbe possibile in quanto i risultati non sono stati creati «allo scopo di conformarsi alle disposizioni del (…) regolamento [sui cosmetici]», ma piuttosto «per procedere alla registrazione ai sensi del REACH».

127. Quale interpretazione del divieto di commercializzazione consentirebbe di evitare tale rischio di elusione, rispettando la formulazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)?

128. Una risposta a tale interrogativo potrebbe essere nel senso che l’elusione sarebbe evitata considerando qual era il «vero» scopo della sperimentazione. Era «in realtà» finalizzata all’inserimento nel registro del REACH? Oppure, a ben vedere, era «in realtà» finalizzata a garantire l’osservanza del regolamento sui cosmetici? È questa, in sostanza, la proposta formulata dalla EFfCI e dalla Repubblica francese. Ho esposto in precedenza (64) la mia seria preoccupazione riguardo alla praticabilità di siffatto approccio.

129. Un’altra risposta, proposta dalla Commissione (e dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche), è, fondamentalmente, che le sostanze non possono essere sottoposte a sperimentazione animale ai sensi del REACH quando vengono utilizzate esclusivamente nei cosmetici (65).

130. Siffatto approccio è interessante. Se non è previsto un uso non cosmetico di una sostanza, perché sarebbe sottoposta a sperimentazione ai sensi del REACH se non per la sua commercializzazione in un prodotto cosmetico? E se, tuttavia, la sperimentazione fosse condotta per un potenziale futuro uso non cosmetico? Su quali basi la sperimentazione sarebbe impedita? Il divieto si applicherebbe, quindi, soltanto alle sostanze destinate a un uso esclusivamente nei cosmetici, effettivo o potenziale. Le intervenienti affermano che le sostanze, solo in rarissimi casi, sono usate esclusivamente nei cosmetici. Tale interpretazione avrebbe quindi scarso effetto pratico. Condivido tali preoccupazioni.

131. Pertanto, come far fronte al problema dell’elusione, rispettando la formulazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), e interpretando in modo coerente il regolamento sui cosmetici e il REACH? A mio avviso, esiste solo una soluzione plausibile in tal senso. Ancora una volta, il fattore chiave è l’utilizzo dei risultati delle sperimentazioni animali.

132. La sperimentazione animale può essere effettuata in caso di assoluta necessità ai sensi del REACH. Non esistono norme speciali applicabili qualora capiti che una sostanza sia anche utilizzata nei cosmetici. Tuttavia, non dovrebbe essere possibile l’utilizzo dei risultati di tali sperimentazioni nel contesto del regolamento sui cosmetici. Essi dovranno essere certamente riportati nella DIP (66). Tuttavia, non possono essere utilizzati per dimostrare la sicurezza dell’ingrediente.

133. Questa è l’unica interpretazione ragionevole individuabile, che concilia i due atti legislativi in parola ed evita l’elusione, pur consentendo, al contempo, a) di rispettare la natura settoriale del regolamento sui cosmetici, b) mantenere il collegamento tra la sperimentazione animale e la vendita dell’ingrediente testato nei cosmetici come richiesto dalla formulazione letterale della normativa e c) evitare impossibili indagini sullo scopo specifico/intento soggettivo.

c)      Sulla rilevanza della normativa dell’OMC

134. Sia la EFfCI che la Repubblica francese hanno sottolineato l’importanza di un’interpretazione in conformità all’articolo III.4 del GATT 1994. Inoltre, la Commissione ha espresso serie preoccupazioni riguardo alla compatibilità del divieto di commercializzazione con tale disposizione durante l’iter legislativo sfociato nell’adozione della direttiva 2003/15.

135. Pertanto, è necessario spendere alcune parole sulla normativa dell’OMC prima di trarre le conclusioni sull’interpretazione da me fornita dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento sui cosmetici.

136. La valutazione del divieto di commercializzazione, alla luce della normativa dell’OMC, fa sorgere naturalmente questioni delicate e impone la risoluzione di problemi giuridici complessi. In ultima analisi, tali questioni dovrebbero essere valutate dagli organi competenti all’interno del sistema di composizione delle controversie dell’OMC.

137. Come già osservato in precedenza (v. paragrafo 73), le interpretazioni proposte dalle intervenienti e dalla Repubblica ellenica pongono effettivamente notevoli barriere al commercio internazionale. Come tali, possono presumibilmente far sorgere questioni (più significative) ai sensi della normativa dell’OMC. Tuttavia, poiché le interpretazioni proposte da tutte le parti sono state respinte per altri motivi, non è necessario, in questa sede, esaminare in ogni dettaglio la loro interpretazione in conformità alla normativa dell’OMC.

138. Per le suesposte ragioni, ho proposto l’interpretazione del divieto di commercializzazione che ritengo la più aderente possibile al testo del regolamento sui cosmetici, rispettandone il contesto e lo scopo. A mio avviso, tale interpretazione del divieto di commercializzazione garantisce altresì, per quanto possibile, la conformità alle disposizioni pertinenti del GATT.

d)      Conclusioni sull’analisi testuale, sistematica e teleologica e sulla interpretazione proposta del divieto di commercializzazione

139. Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che il divieto di commercializzazione debba essere inteso nel senso che esso impedisce l’utilizzo dei risultati delle sperimentazioni animali per conformarsi alle disposizioni del regolamento sui cosmetici (fatte salve le date limite pertinenti). L’utilizzo dei risultati delle sperimentazioni animali deve essere, inoltre, distinto dalla mera inclusione di tali risultati nella DIP.

140. Da questo suggerimento chiave derivano le risposte alle questioni specifiche sollevate dal giudice del rinvio. Tali questioni evidenziano correttamente diversi punti potenzialmente problematici ai quali potrebbe condurre il fatto di basarsi sull’intento soggettivo della società in un mondo caratterizzato da una complessità transettoriale e transgiurisdizionale, in cui le serie di dati circolano liberamente. Qualora la Corte dovesse decidere di seguire l’approccio interpretativo delineato nelle presenti conclusioni, le risposte a tali questioni diverrebbero relativamente semplici. Esse possono essere illustrate nei seguenti termini:

141. È irrilevante ai fini dell’applicazione del divieto di commercializzazione il luogo in cui la sperimentazione è stata eseguita. Tale sperimentazione può essere stata condotta nell’Unione (ad esempio, per conformarsi al REACH) oppure al di fuori dell’Unione (ad esempio, in quanto ciò è richiesto da una normativa estera pertinente).

142. L’intento soggettivo o lo scopo specifico sotteso alla sperimentazione è anch’esso irrilevante (che si tratti dello scopo specifico del laboratorio che esegue gli esperimenti, dell’entità che li commissiona o di qualche altra entità). In particolare, non rileva se lo scopo esclusivo, lo scopo principale o solo uno dei molteplici scopi fosse di eseguire l’esperimento al fine di soddisfare i requisiti fissati da un determinato atto legislativo (dell’Unione o non dell’Unione).

143. È parimenti irrilevante se tale atto legislativo riguardi o meno i cosmetici.

144. È irrilevante se e in quale momento sia stata prevista la commercializzazione dei cosmetici (nell’Unione).

145. Infine, conformemente all’esplicita formulazione dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento sui cosmetici, il divieto di commercializzazione può essere determinato soltanto da una sperimentazione animale effettuata dopo le date limite pertinenti.

146. È questa l’interpretazione che, a mio avviso, meglio si concilia con la formulazione del regolamento sui cosmetici, mantenendo la coerenza con le restanti disposizioni di tale regolamento e con altre disposizioni del diritto dell’Unione, confermando l’intento del legislatore e garantendo l’applicabilità. Al contempo, essa mantiene un ragionevole equilibrio tra i vari interessi coinvolti, rispettando i principi fondamentali dello Stato di diritto: la certezza del diritto e la legalità.

V –    Conclusione

147. In base alla suesposta analisi, propongo alla Corte di rispondere alle questioni ad essa sottoposte dalla High Court of Justice of England & Wales, Queen’s Bench Division (Tribunale amministrativo), nei seguenti termini:

Prima questione: l’articolo 18, paragrafo l, lettera b), del regolamento (CE) n. 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici, non dovrebbe essere interpretato nel senso che vieta l’immissione sul mercato dell’Unione di prodotti cosmetici contenenti ingredienti, o combinazioni di ingredienti, per il semplice fatto che tali ingredienti siano stati oggetto di una sperimentazione animale, nel caso in cui detta sperimentazione sia stata effettuata al di fuori dell’Unione europea allo scopo di soddisfare i requisiti legislativi o regolamentari di paesi terzi, al fine di commercializzare in tali paesi prodotti cosmetici contenenti detti ingredienti. La stessa disposizione, tuttavia, impedisce l’utilizzo dei risultati di sperimentazioni animali allo scopo di conformarsi alle disposizioni del regolamento sui cosmetici, fatte salve le date limite pertinenti.

Seconda questione, sub a): l’applicazione del divieto di commercializzazione contenuto nell’articolo 18, paragrafo l, lettera b), del regolamento sui cosmetici può essere determinata dal fatto che la valutazione della sicurezza, svolta a norma dell’articolo 10 del regolamento sui cosmetici per dimostrare la sicurezza di tale prodotto cosmetico per la salute umana prima di renderlo disponibile sul mercato dell’Unione, presuppone l’utilizzo di dati risultanti dalla sperimentazione animale effettuata al di fuori dell’Unione europea. Ciò dipende dagli altri presupposti del divieto di commercializzazione, in particolare la circostanza che la sperimentazione sia effettuata dopo la data limite rilevante. L’utilizzo dei dati nella valutazione della sicurezza deve essere, inoltre, distinta dalla mera inclusione nella documentazione informativa sul prodotto.

Seconda questione, sub b): non rileva se i requisiti legislativi o regolamentari dei paesi terzi si riferiscano o meno alla sicurezza dei prodotti cosmetici.

Seconda questione, sub c): non rileva se fosse o meno ragionevolmente prevedibile, al momento della realizzazione al di fuori dell’Unione della sperimentazione su animali, che chiunque potesse tentare di immettere prima o poi sul mercato dell’Unione un prodotto cosmetico contenente tale ingrediente.

Seconda questione, sub d): la data in cui la sperimentazione animale è stata effettuata è rilevante alla luce dell’entrata in vigore del divieto di commercializzazione. L’applicazione del divieto sarà determinata solo dall’utilizzo dei risultati della sperimentazione animale condotta dopo le date limite pertinenti.


1 –      Lingua originale: l’inglese.


2 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2009, sui prodotti cosmetici (rifusione) (GU L 342, pag. 59).


3 –      Direttiva del Consiglio, del 27 luglio 1976, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169).


4 –      Direttiva del Consiglio, del 24 novembre 1986, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici (GU L 358, pag. 1).


5 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici (GU L 276, pag. 33).


6 –      Tali obblighi sono imposti alla «persona responsabile» come definita all’articolo 4 del regolamento sui cosmetici (essenzialmente, il fabbricante, l’importatore o il distributore a seconda della situazione concreta).


7 –      Il corsivo è mio.


8 – 2013 SI 2013/1478.


9 – GU 1994, L 336, p. 103.


10 –      Esiste una lieve differenza tra la formulazione della seconda questione, sub b) e c), contenuta nella domanda di pronuncia pregiudiziale e quella contenuta nell’ordinanza di rinvio. In questa sede è stata utilizzata la versione contenuta nella domanda. Tuttavia, queste lievi differenze di formulazione non modificano l’analisi svolta nelle presenti conclusioni.


11 –      V., ad esempio, sentenze Afton Chemical, C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 79; IATA e ELFAA, C‑344/04, EU:C:2006:10, punto 68, e Gondrand e Garancini, 169/80, EU:C:1981:171, punti 17 e 18. V., in generale, ad esempio, Schwarze, J., Droit administratif européen, seconda edizione, Bruylant, Bruxelles, 2009, pag. 996; Tridimas, T., The General Principles of EU Law, seconda edizione, Oxford University Press, Oxford, 2007, pag. 244.


12 –      Una preoccupazione condivisa da diversi ordinamenti giuridici nazionali; v., ad esempio, i vari contributi alla seconda parte di Conseil d’État, Rapport public 2006. Jurisprudence et avis de 2005. Sécurité juridique et complexité du droit. Études & documents No 57. La documentation française, 2006, pag. 229 e segg.


13 –      Almeno fino a quando l’ambito di applicazione del divieto non sia stato chiarito. V., ad esempio, sentenze X, C‑74/95 e C‑129/95, EU:C:1996:491, punto 25; Dansk Rørindustri e a./Commissione, C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti da 215 a 219; Advocaten voor de Wereld, C‑303/05, EU:C:2007:261, punto 49, e The International Association of Independent Tanker Owners e a., C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 70.


14 –      Più precisamente, l’articolo 4 bis della direttiva 76/768, la norma che ha preceduto l’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento sui cosmetici e sostanzialmente identica a quest’ultima disposizione (v. infra, paragrafo 110).


15 –      Un ricorso di annullamento è stato proposto dalla EFfCI (il ricorrente dinanzi al giudice nazionale nella causa in esame), che è stato respinto per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente (ordinanza EFfCI/Parlamento e Consiglio, T‑196/03, EU:T:2004:355, confermata in sede di impugnazione dalla sentenza EFfCI/Parlamento e Consiglio, C‑113/05 P, EU:C:2006:222). Anche la Repubblica francese ha proposto un ricorso di annullamento contro la norma equivalente all’articolo 18, paragrafo 1, che è stato respinto per indissociabilità di tale disposizione (sentenza Francia/Parlamento e Consiglio, C‑244/03, EU:C:2005:299). Gli argomenti sostanziali non sono stati quindi esaminati nella sentenza. Tuttavia, nelle conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed sono stati considerati alcuni punti sollevati dalla causa in esame.


16 –      V., ad esempio, sentenze Belgio/Commissione, C‑110/03, EU:C:2005:223, punto 30, e Glaxosmithkline e Laboratoires Glaxosmithkline, C‑462/06, EU:C:2008:299, punto 33.


17–      Sentenze BCE/Germania, C‑220/03, EU:C:2005:748, punto 31, e Carboni e derivati, C‑263/06, EU:C:2008:128, punto 48.


18–      Conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen, presentate nella causa Commissione/Regno Unito, C‑582/08, EU:C:2010:286, paragrafo 27, in cui vengono citate le conclusioni dell’avvocato generale Mayras nella causa Fellinger, 67/79, EU:C:1980:23, pag. 550.


19–      Sentenza Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punto 20.


20 –      È interessante osservare che l’aggiunta di espressioni aventi effetti analoghi è stata proposta dal Parlamento europeo nel 1993, ma respinta dal Consiglio – v. infra, paragrafi da 105 a 108.


21 –      Le intervenienti propongono in effetti una riserva per tale condizione. Il divieto di commercializzazione non si applicherebbe, se l’uso prevalente dell’ingrediente non fosse nei prodotti cosmetici (in prosieguo: l’«eccezione dell’uso secondario»). Discuterò tale argomento in modo più dettagliato di seguito, al paragrafo 67 e segg.


22 –      Durante l’iter legislativo il Parlamento ha chiesto, in genere, una formulazione ampia del divieto di commercializzazione. Tuttavia, anche il Parlamento ha riconosciuto che il divieto non dovrebbe essere applicato in casi di sperimentazione al fuori del controllo dei fabbricanti (o almeno della catena di fornitura). V. Relazione del Parlamento del 21 marzo 2001, A5‑0095/2001, definitivo, giustificazioni sugli emendamenti 14 e 25, pagg. 12 e 21.


23 –      V. anche infra, paragrafi da 90 a 92 sull’articolo 11, paragrafo 2, lettera e) e considerando 45 del regolamento sui cosmetici.


24 –      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’Agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU L 396, pag. 1).


25 –      V. anche infra, paragrafi da 118 a 120 sull’interazione tra il REACH e il regolamento sui cosmetici.


26–      Inoltre, il considerando 40 del regolamento sui cosmetici prevede anche espressamente situazioni in cui la sicurezza di un determinato ingrediente è dimostrata con l’impiego di metodi alternativi per l’uso nei cosmetici e con l’impiego della sperimentazione animale per altri usi. Non viene fatto alcun accenno al divieto automatico di sperimentazione sull’ingrediente per usi non cosmetici a seguito dell’uso parallelo dello stesso nei cosmetici [o a un divieto automatico di commercializzazione dell’ingrediente contenuto nei cosmetici, a seguito della sua sperimentazione sugli animali, in applicazione dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b)].


27 –      Inoltre, si tratterebbe di volume prodotto, importato o utilizzato (o di qualche altra cifra)?


28 –      Sull’interpretazione del divieto di commercializzazione alla luce della normativa dell’OMC, v. infra, paragrafo 134 e segg.


29–      V. infra, paragrafi da 105 a 108.


30–      V. supra, paragrafi 36 e 37.


31 –      Il corsivo è mio.


32 –      Articolo 1 del regolamento sui cosmetici. V. anche considerando 4.


33–      L’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento sui cosmetici prevede, in effetti, potenziali deroghe ai divieti di sperimentazione e di commercializzazione. Il regolamento sui cosmetici non cerca neppure di imporre un divieto di commercializzazione sui prodotti o sugli ingredienti cosmetici relativamente ai quali si sia verificata una sperimentazione in passato (prima delle date limite). E soprattutto, se vi fosse stata l’intenzione di imporre divieti assoluti, la formulazione letterale della normativa avrebbe potuto essere assai più diretta.


34 –      Le intervenienti sostengono che ciò si riferisce «principalmente» a dati relativi a sperimentazioni creati prima delle date limite pertinenti. Tuttavia, nella disposizione non compare una restrizione di tal genere. Inoltre, il considerando 45 del regolamento sui cosmetici prevede espressamente situazioni in cui la sicurezza di un determinato ingrediente è dimostrata nell’Unione con l’impiego di metodi alternativi e successivamente testata sugli animali al di fuori dell’Unione per usi cosmetici. Per quanto non conclusiva, tale previsione tende a confermare l’interpretazione secondo la quale ingredienti non testati su animali e ingredienti testati su animali possono essere commercializzati parallelamente, rispettivamente, all’interno e al di fuori dell’Unione.


35 –      Nota a piè di pagina 26.


36 –      Il corsivo è mio.


37 –      Fatta salva l’«eccezione dell’uso secondario».


38 –      Direttiva del Consiglio, del 14 giugno 1993, recante sesta modifica della direttiva 76/768/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 151, pag. 32).


39–      Articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 93/35, che inserisce nella direttiva sui cosmetici l’articolo 4, paragrafo 1, lettera i).


40–      Proposta di direttiva del Consiglio recante sesta modifica della direttiva 76/768/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, COM(90) 488 def. (GU 1991, C 52, pag. 6).


41 –      GU 1992, C 176, pag. 91. Il corsivo è mio.


42 –      «[P]er stabilirne la sicurezza o l’efficacia in vista della loro utilizzazione nei prodotti cosmetici».


43 –      L’esistenza e la rilevanza di tali distinzioni sono, a mio avviso, confermate da altri due emendamenti al progetto di testo della direttiva 93/35, proposti dal Parlamento «Gli ingredienti che sono stati sperimentati su animali esclusivamente per scopi diversi dall’impiego nei prodotti cosmetici possono essere ammessi purché non venga eseguito alcun test aggiuntivo sugli animali al fine di soddisfare i requisiti della presente direttiva» e, riguardo all’etichettatura, «(…) ogni riferimento concernente la sperimentazione su animali deve indicare chiaramente in quale misura i test eseguiti riguardano il prodotto finito o i suoi ingredienti, precisando in quest’ultimo caso se essi sono usati esclusivamente in cosmetica ovvero se in precedenza sono stati utilizzati per altre categorie di prodotti» (GU 1992, C 176/91 e 92). Tali aggiunte proposte non sono state incluse nel testo definitivo.


44 –      Proposta modificata di direttiva del Consiglio recante sesta modifica della direttiva 76/768/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, COM(92) 364 def. (GU 1992, C 249, pag. 5).


45 –      GU 1993, C 150, p. 124.


46 –      COM(93) 293 def., pag. 1.


47 –      Posizione comune 9816/92.


48 –      Dapprima, sino al 30 giugno 2000, dalla direttiva 97/18/CE della Commissione, del 17 aprile 1997, che rinvia la data a partire dalla quale sono vietate le sperimentazioni su animali di ingredienti o combinazioni di ingredienti di prodotti cosmetici (GU L 114, pag. 43). Successivamente, sino al 30 giugno 2002, dalla Direttiva 2000/41/CE della Commissione, del 19 giugno 2000, che rinvia per la seconda volta il termine per il divieto della sperimentazione animale di ingredienti o miscele di ingredienti per prodotti cosmetici (GU L 145, pag. 25).


49 –      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 febbraio 2003, che modifica la direttiva 76/768/CEE del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 66, pag. 26).


50 –      «[L]a presente direttiva» è ora sostituita da «il presente regolamento».


51 –      La Commissione, in particolare, ha più volte espresso i suoi timori. V., in primo luogo, la proposta della Commissione [proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la settima volta la direttiva 76/768 del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, COM(2000) 189 definitivo, punto 1.2.3 (GU C 311 E, pag. 134)]; in secondo luogo, la proposta della Commissione [proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la settima volta la direttiva 76/768 del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, COM(2001) 697 definitivo, (GU 2002, C 51 E, pagg. da 385 a 388)]; comunicazione della Commissione al Parlamento europeo ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 251 del trattato CE relativa alla posizione comune del Consiglio sull’approvazione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la settima volta la direttiva 76/768 del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, SEC(2002) 225 definitivo, punti 3.2 e 3.4 (in prosieguo: la «comunicazione della Commissione).


52 –      V., ad esempio, posizione comune (CE) n. 29/2002, del 14 febbraio 2002 (GU C 113 E, pag. 109), punto III.1 della motivazione; comunicazione della Commissione, punto 3.3.


53 –      V., ad esempio, raccomandazione del 24 maggio 2002 per la seconda lettura relativa alla posizione comune del Consiglio in vista dell’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/768 del Consiglio, PE 232.072/DEF, emendamento 13 (in prosieguo: la «relazione sulla seconda lettura»).


54–      Relazione sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la settima volta la direttiva 76/768 del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, PE 297.227, pag. 28.


55 –      Ibid., pag. 31; relazione sulla seconda lettura, pag. 34; relazione sul progetto comune, approvato dal comitato di conciliazione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la settima volta la direttiva 76/768 del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, PE 287.617, pag. 7.


56 –      Fatta salva l’«eccezione dell’uso secondario».


57–      V. supra, paragrafo 112.


58–      V. posizione comune del Consiglio del 17 dicembre 1992, pagg. 3 e 4.


59 –      Nota a piè di pagina 24.


60 –      Gli articoli 2, paragrafo 6, lettera b), 14, paragrafo 5, lettera b) e 56, paragrafo 5, lettera a) del REACH contengono inoltre varie deroghe espresse ai requisiti specifici stabiliti dal REACH nella misura in cui la sostanza pertinente sia utilizzata in prodotti cosmetici. Il corsivo è mio.


61 –      V. articolo 2, paragrafi 4, 5 e 6 del REACH.


62 –      In relazione all’«eccezione dell’uso secondario», ipotizzata dalle intervenienti, v. supra paragrafi da 67 a 71.


63 –      V., ad esempio, articolo 25, paragrafo 1, del REACH, la sperimentazione animale è un «caso di assoluta necessità», articolo 7, paragrafo 1, del regolamento CLP, «soltanto se non esistono alternative» [regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele che modifica e abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e che reca modifica al regolamento (CE) n. 1907/2006 (GU L 353, pag. 1)].


64 –      V. paragrafo 35 e segg.


65 –      ECHA/NA/14/14/46, «Clarity on interface between REACH and the Cosmetics Regulation», disponibile sul sito Internet http://echa.europa.eu/view-article/-/journal_content/title/clarity-on-interface-between-reach-and-the-cosmetics-regulation.


66–      Nei limiti in cui le sperimentazioni siano effettuate dal fabbricante, dai suoi agenti o dai suoi fornitori in conformità all’articolo 11, paragrafo 2, lettera e), del regolamento sui cosmetici.