Language of document : ECLI:EU:C:2017:324

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 27 aprile 2017 (1)

Causa C184/16

Ovidiu-Mihaita Petrea

contro

Ypourgos Esoterikon kai Dioikitikis Anasygrotisis

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Dioikitiko Protodikeio Thessalonikis (Tribunale amministrativo di primo grado di Salonicco, Grecia)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Soggiorno di un cittadino di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro nonostante un provvedimento anteriore di allontanamento dal territorio – Legittimità di un provvedimento di ritiro dell’attestato di iscrizione e di un secondo provvedimento di allontanamento dal territorio»






I.      Introduzione

1.        Viene sollevata la questione se un cittadino di uno Stato membro che entra nel territorio di un altro Stato membro, ove ottiene un attestato di iscrizione quale cittadino dell’Unione nonostante il fatto che nei suoi confronti sia stato adottato un divieto d’ingresso nel territorio da parte di tale Stato membro ospitante, possa essere allontanato da detto territorio senza che la sua situazione venga riesaminata in conformità alle disposizioni della direttiva 2004/38/CE (2).

2.        Con il presente rinvio pregiudiziale, la Corte dovrà precisare la portata delle garanzie procedurali e delle misure protettive previste dalla direttiva 2004/38 nella fase dell’adozione di un secondo provvedimento di allontanamento di un cittadino dell’Unione, allorché nei confronti di quest’ultimo è già stato emesso un provvedimento definitivo di divieto d’ingresso nel territorio.

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

3.        La direttiva 2004/38 fissa, ai suoi articoli 4, 5 e da 6 a 13, le condizioni di esercizio di taluni diritti che discendono dalla cittadinanza dell’Unione, ossia i diritti di uscita, d’ingresso e di soggiorno.

4.        Tale direttiva, al suo articolo 8, intitolato «Formalità amministrative per i cittadini dell’Unione», paragrafo 1, dispone quanto segue:

«Senza pregiudizio dell’articolo 5, paragrafo 5, per soggiorni di durata superiore a tre mesi lo Stato membro ospitante può richiedere ai cittadini dell’Unione l’iscrizione presso le autorità competenti».

5.        Per contro, gli articoli 27, 28 e da 30 a 32 di tale direttiva, compresi nel capo VI, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», prevedono quanto segue:

«Articolo 27

Principi generali

1.      Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione e di soggiorno di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.      I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione.

(…)

Articolo 28

Protezione contro l’allontanamento

1.      Prima di adottare un provvedimento di allontanamento dal territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, lo Stato membro ospitante tiene conto di elementi quali la durata del soggiorno dell’interessato nel suo territorio, la sua età, il suo stato di salute, la sua situazione familiare e economica, la sua integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante e [l’]importanza dei suoi legami con il paese d’origine.

(…)

Articolo 30

Notificazione dei provvedimenti

1.      Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

(…)

Articolo 31

Garanzie procedurali

1.      L’interessato può accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali e, all’occorrenza, amministrativi nello Stato membro ospitante, al fine di presentare ricorso o chiedere la revisione di ogni provvedimento adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica.

(…)

3.      I mezzi di impugnazione comprendono l’esame della legittimità del provvedimento nonché dei fatti e delle circostanze che ne giustificano l’adozione. Essi garantiscono che il provvedimento non sia sproporzionato, in particolare rispetto ai requisiti posti dall’articolo 28.

4.      Gli Stati membri possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso, ma non possono vietare che presenti di persona la sua difesa, tranne qualora la sua presenza possa provocare gravi turbative dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza o quando il ricorso o la revisione riguardano il divieto d’ingresso nel territorio.

Articolo 32

Effetti nel tempo del divieto di ingresso nel territorio

1.      La persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio per motivi d’ordine pubblico o pubblica sicurezza può presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso nel territorio nazionale dopo il decorso di un congruo periodo, determinato in funzione delle circostanze e in ogni modo dopo tre anni a decorrere dall’esecuzione del provvedimento definitivo di divieto validamente adottato ai sensi del diritto comunitario, nella quale essa deve addurre argomenti intesi a dimostrare l’avvenuto oggettivo mutamento delle circostanze che hanno motivato la decisione di vietarne l’ingresso nel territorio.

Lo Stato membro interessato si pronuncia in merito a tale nuova domanda entro sei mesi dalla data di presentazione della stessa.

2.      La persona di cui al paragrafo 1 non ha diritto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l’esame della sua domanda».

B.      Diritto greco

6.        Il decreto presidenziale n. 106/2007, relativo alla libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio greco dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari (FEK A’ 135/2007), ha recepito nel diritto greco la direttiva 2004/38. Il suo articolo 8, paragrafo 1, prevede quanto segue:

«I cittadini dell’Unione che intendano soggiornare in Grecia per un periodo superiore a tre mesi a decorrere dalla data del loro ingresso hanno l’obbligo, alla scadenza del termine dei tre mesi, di recarsi personalmente presso le autorità di polizia competenti per gli stranieri ai fini della loro iscrizione. Tali autorità procedono all’iscrizione e rilasciano senza indugio un attestato di iscrizione (…)».

7.        Gli articoli 22, 23 e 24 del decreto presidenziale n. 106/2007 traspongono, rispettivamente, gli articoli 28, 33, 30 e 31 della direttiva 2004/38, mentre l’articolo 21, paragrafo 6, di tale decreto traspone l’articolo 32, paragrafo 2, di tale direttiva.

8.        La legge n. 3907/2011 (FEK A’ 7/26.1.2011) recepisce la direttiva 2008/115/CE (3), la quale si applica unicamente ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sul territorio di uno Stato membro è irregolare. Cionondimeno, tale legge, al suo articolo 40, paragrafi 1 e 2, prevede quanto segue:

«1.      Per quanto concerne il rimpatrio delle persone che godono del diritto alla libera circolazione, conformemente all’articolo 2, punto 5, del codice delle frontiere Schengen e al decreto presidenziale n. 106/2007, si applicano le disposizioni del capo C della presente legge relative alle autorità, alle procedure, alle garanzie procedurali e alla tutela giurisdizionale degli stranieri sul rimpatrio, salvo che gli articoli da 22 a 24 del decreto presidenziale n. 106/2007 non contengano disposizioni più favorevoli.

2.      Per quanto concerne le condizioni materiali e le modalità di adozione delle decisioni di rimpatrio nei confronti delle persone di cui al precedente paragrafo, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli da 22 a 24 del decreto presidenziale n. 106/2007».

III. Fatti

9.        Nell’ottobre 2011, il sig. Ovidiu-Mihaita Petrea, cittadino rumeno, è stato condannato da un tribunale greco a una pena detentiva di otto mesi, con il beneficio della sospensione condizionale per tre anni, per il reato di concorso in furto.

10.      Successivamente, in forza di una decisione del 30 ottobre 2011 (in prosieguo: la «decisione del 2011»), veniva disposto il rimpatrio del sig. Petrea nel paese d’origine per ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza. Con questa stessa decisione, il sig. Petrea è stato iscritto nel registro nazionale degli stranieri indesiderabili e nel sistema informativo Schengen fino al 30 ottobre 2018.

11.      Il sig. Petrea è stato informato dalle autorità greche dei propri diritti e dei mezzi di ricorso disponibili nonché della possibilità di chiedere la traduzione dei passaggi essenziali della decisione del 2011.

12.      Il sig. Petrea ha rilasciato una dichiarazione con la quale rinunciava a qualsiasi mezzo di ricorso, confermando l’intenzione di rientrare nel proprio paese d’origine. Il suo allontanamento ha effettivamente avuto luogo il 5 novembre 2011.

13.      Il 1o settembre 2013, il sig. Petrea è tornato in Grecia ove, il 25 settembre 2013, ha richiesto un attestato d’iscrizione quale cittadino dell’Unione. Le autorità greche hanno accolto tale richiesta e hanno rilasciato il giorno stesso l’attestato in questione al sig. Petrea.

14.      Tale attestato d’iscrizione – come riconosciuto dal governo greco nel corso del procedimento dinanzi alla Corte – è stato rilasciato per errore.

15.      Con atto amministrativo del 14 ottobre 2014 del comandante delegato del Tmima Allodapon Dytikis Thessalonikis (servizio di polizia degli stranieri per Salonicco-ovest), detto attestato è stato revocato. In forza di questo stesso atto, nei confronti del sig. Petrea è stata emessa una decisione di rimpatrio. Tale decisione è stata adottata con la motivazione che questi aveva soggiornato nel territorio greco sebbene fosse ancora iscritto nel registro nazionale degli stranieri indesiderabili sulla base della decisione del 2011.

16.      Il ricorrente ha proposto un ricorso avverso l’atto amministrativo del 2014, facendo valere che la decisione del 2011 concernente il divieto d’ingresso nel territorio non gli era stata notificata in una lingua che egli comprendesse. Il sig. Petrea ha sostenuto che, non avendo più commesso reati successivamente alla condanna nel 2011, non rappresentava, al momento, un pericolo per l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza.

17.      Il ricorso proposto dal sig. Petrea è stato respinto con la decisione del 10 novembre 2014 del direttore della Diefthynsi Allodapon Thessalonikis (Direzione stranieri di Salonicco). Tale decisione è stata motivata con il fatto che il ricorrente rappresentava una minaccia per l’ordine pubblico e per la pubblica sicurezza, avendo violato il divieto d’ingresso nel territorio. Per quanto riguarda l’argomento relativo al difetto di notificazione della decisione del 2011, la medesima autorità greca ha indicato che le omissioni nella fase della notificazione di tale decisione avrebbero potuto teoricamente costituire un motivo di annullamento se detta decisione fosse stata contestata. Per contro, esse non potevano valere per contestare l’atto amministrativo del 2014.

18.      Il sig. Petrea ha proposto un ricorso di annullamento della decisione del 2014 dinanzi al giudice del rinvio.

IV.    Questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

19.      È in tale contesto che il Dioikitiko Protodikeio Thessalonikis (Tribunale amministrativo di primo grado di Salonicco) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se gli articoli 27 e 32 della [direttiva 2004/38], in combinato disposto con gli articoli 45 TFUE e 49 TFUE  e alla luce dell’autonomia procedurale degli Stati membri nonché dei principi [di tutela] del legittimo affidamento e del buon andamento dell’amministrazione, debbano essere interpretati nel senso che impongono – o nel senso che consentono – la revoca dell’attestato di iscrizione quale cittadino dell’Unione europea già rilasciato, a norma dell’articolo 8, paragrafo 1, del decreto presidenziale n. 106/2007, al cittadino di un altro Stato membro e l’adozione da parte dello Stato ospitante, nei confronti del medesimo, di un provvedimento di rimpatrio, allorché tale cittadino, pur essendo stato iscritto nel registro nazionale degli stranieri indesiderati a seguito di un [precedente] provvedimento di divieto d’ingresso per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, ha fatto nuovamente ingresso nello Stato membro in questione e ivi avviato attività d’impresa senza chiedere la revoca del divieto d’ingresso conformemente alla procedura di cui all’articolo 32 della [direttiva 2004/38], considerando quest’ultimo (il divieto d’ingresso) come un autonomo motivo di ordine pubblico che giustifica la revoca dell’attestato di iscrizione di un cittadino di uno Stato membro.

2)      In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se detta fattispecie possa essere equiparata a un soggiorno irregolare di un cittadino dell’Unione europea sul territorio dello Stato ospitante, così da permettere l’adozione, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della [direttiva 2008/115], di un provvedimento di rimpatrio da parte dell’autorità competente per la revoca dell’attestato di iscrizione quale cittadino dell’Unione, e ciò benché, da un lato, l’attestato di iscrizione non costituisca, come comunemente ammesso, titolo per un soggiorno regolare nel paese e, dall’altro, la [direttiva 2008/115] si applichi ratione personae unicamente ai cittadini di paesi terzi.

3)      In caso di risposta negativa alla medesima questione, se la revoca, per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, dell’attestato di iscrizione del cittadino di un altro Stato membro, attestato che non costituisce titolo per un soggiorno regolare nel paese, e l’adozione, nei confronti di tale cittadino, di un provvedimento di rimpatrio – disposte contestualmente dalle autorità nazionali competenti nell’esercizio dell’autonomia procedurale dello Stato membro ospitante – possano essere considerate, secondo una corretta interpretazione del diritto, come un solo e unico atto amministrativo di allontanamento amministrativo ai sensi degli articoli 27 e 28 della [direttiva 2004/38], soggetto a sindacato giurisdizionale alle condizioni previste da tali ultime disposizioni, che stabiliscono un modo solo, all’occorrenza, di allontanamento amministrativo dei cittadini dell’Unione europea dal territorio dello Stato membro ospitante.

4)      Tanto in caso di risposta affermativa quanto in caso di risposta negativa alla prima e alla seconda questione, se sia in contrasto con il principio di effettività una prassi giurisprudenziale nazionale consistente nel vietare alle autorità amministrative e, di seguito, agli organi giurisdizionali competenti aditi di controllare, nel contesto della revoca di un attestato di iscrizione quale cittadino dell’Unione europea o dell’adozione di un provvedimento di allontanamento da parte dello Stato membro ospitante, per il fatto che nei confronti del cittadino di un altro Stato membro vige un provvedimento di divieto d’ingresso in detto (primo) Stato membro, se, in sede di adozione della stessa decisione di divieto d’ingresso, siano state rispettate le garanzie procedurali sancite agli articoli 30 e 31 della [direttiva 2004/38].

5)      In caso di risposta affermativa alla questione precedente, se dall’articolo 32 della [direttiva 2004/38] discenda per le autorità amministrative competenti dello Stato membro l’obbligo di notificare comunque al cittadino interessato di un altro Stato membro la decisione di allontanarlo in una lingua che egli comprenda, affinché tale cittadino possa esercitare efficacemente i diritti procedurali che gli derivano dalle predette disposizioni della direttiva, quand’anche il medesimo non abbia avanzato una richiesta in tal senso».

20.      Osservazioni scritte sono state presentate dal ricorrente nel procedimento principale, dai governi greco, belga e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord nonché dalla Commissione. Il sig. Petrea, i governi greco, danese, del Regno Unito e la Commissione hanno partecipato all’udienza tenutasi il 2 febbraio 2017.

V.      Analisi

A.      Sulla prima questione pregiudiziale

21.      Con la prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se un cittadino dell’Unione che è entrato nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui è cittadino e nel quale ha ottenuto un attestato di iscrizione nonostante nei suoi confronti fosse stato emesso in precedenza un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio di tale Stato membro – e che non si è avvalso del mezzo di ricorso previsto all’articolo 32 della direttiva 2004/38 – dovesse (o potesse) vedersi revocare tale attestato di iscrizione ed essere interessato da un altro provvedimento di rimpatrio.

1.      Se la direttiva 2004/38 imponga la revoca dell’attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio

22.      Per quanto attiene alla questione se la direttiva 2004/38 imponga a uno Stato membro l’obbligo di revocare un attestato di iscrizione e di adottare un provvedimento di rimpatrio, ne esaminerò i due aspetti separatamente, iniziando dall’analisi relativa all’adozione di un provvedimento di rimpatrio. Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si interroga in merito alla possibilità di considerare la revoca di un attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio come un unico atto amministrativo. Tuttavia, dal momento che la direttiva 2004/38 non riconosce un atto unico avente ad oggetto, da un lato, la revoca di un attestato e, dall’altro, l’adozione di un provvedimento di rimpatrio, una siffatta analisi separata mi consentirà di individuare, nell’ambito di tale direttiva, una possibile fonte per un obbligo di adottare questi due tipi di provvedimenti.

23.      Osservo che solo la Commissione ha esaminato in maniera esplicita tale problematica nelle sue osservazioni scritte, proponendo di fornire una risposta negativa in quanto tale obbligo non risulta dalla direttiva 2004/38.

24.      Per quanto attiene alla questione se, in forza del diritto dell’Unione, uno Stato membro sia tenuto ad adottare un provvedimento di rimpatrio in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale, ritengo che la direttiva 2004/38 non imponga un siffatto obbligo. Osservo che il testo dell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 riguarda unicamente la «possibilità» di limitare la libertà di circolazione e di soggiorno e, in ogni caso, non è formulato in termini che potrebbero indicare la sussistenza di un siffatto obbligo.

25.      Se gli Stati membri non sono tenuti ad allontanare un individuo che ha violato un divieto d’ingresso nel territorio, si pone la questione se lo stesso debba valere nel caso della revoca di un attestato di iscrizione quale cittadino dell’Unione.

26.      Osservo che la direttiva 2004/38 non contiene disposizioni che impongono l’obbligo di annullare un siffatto attestato. Spetta dunque al singolo Stato membro regolamentare l’obbligo di revocare un attestato rilasciato per errore.

27.      Tutto ciò considerato, dalla direttiva 2004/38 non discende alcun obbligo relativo alla revoca di un attestato di iscrizione e all’adozione di un provvedimento di rimpatrio.

2.      Se la direttiva 2004/38 consenta la revoca dell’attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio

28.      Occorre verificare se, nella situazione in cui una persona sia entrata nel territorio di uno Stato membro nonostante che fosse destinataria di un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio adottato dalle autorità di tale Stato membro, la revoca di un attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio siano consentite in forza degli articoli 45 e 49 TFUE, degli articoli 27 e 32 della direttiva 2004/38 nonché dei principi di tutela del legittimo affidamento e del buon andamento dell’amministrazione.

29.      Mi sembra che, con tale questione, il giudice del rinvio intenda accertare se nei confronti di una siffatta persona possa essere adottato un provvedimento di rimpatrio senza un riesame delle condizioni previste agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38, quand’anche quest’ultima disposizione non sia menzionata nella prima questione pregiudiziale (4).

30.      A tal riguardo i governi greco, belga e del Regno Unito nonché la Commissione hanno affermato che, siccome è stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio in conformità agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38, solo una domanda di revoca del divieto d’ingresso, validamente proposta in applicazione dell’articolo 32 di tale direttiva, comporta l’obbligo, per lo Stato membro ospitante, di effettuare un nuovo esame a titolo dei medesimi articoli 27 e 28. Il sig. Petrea contesta una siffatta interpretazione del diritto dell’Unione.

a)      Libertà conferite ai cittadini dell’Unione in applicazione degli articoli 45 e 49 TFUE

31.      In via preliminare, osservo che, con l’adozione della direttiva 2004/38, il legislatore dell’Unione – abbandonando un approccio settoriale (5) – ha fissato un quadro generale per quanto attiene all’esercizio del diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, conferito ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE. Tale direttiva è stata adottata, in particolare, sul fondamento degli articoli 40 e 44 del Trattato CE, i quali riguardavano, rispettivamente, le misure intese a realizzare la libera circolazione dei lavoratori (articolo 39 TCE e articolo 45 TFUE) e la libertà di stabilimento (articolo 43 TCE e articolo 49 TFUE).

32.      La direttiva 2004/38 mira ad agevolare l’esercizio del diritto di circolazione e di soggiorno e a rafforzare tale diritto (6). Tuttavia, tale diritto non è incondizionato e può essere subordinato alle limitazioni e alle condizioni previste dal Trattato FUE nonché dalle relative disposizioni di attuazione (7), in particolare quelle di attuazione degli articoli 45 e 49 TFUE (8) e dell’articolo 21 TFUE, ossia la direttiva 2004/38 (9).

33.      Il diritto di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione, i quali beneficiano delle libertà di cui agli articoli 45 e 49 TFUE, può dunque essere limitato nella misura prevista dalla direttiva 2004/38.

b)      Valutazione degli effetti del divieto d’ingresso nel territorio nell’ambito della direttiva 2004/38

34.      Anzitutto, occorre sottolineare che il divieto d’ingresso nel territorio è una misura restrittiva riconosciuta dalla direttiva 2004/38.

35.      Si evince dall’articolo 27 della direttiva 2004/38, in combinato disposto con l’articolo 32 di tale direttiva, che i provvedimenti di divieto d’ingresso nel territorio non sono, in linea di principio, contrari al diritto dell’Unione, a condizione che essi vengano adottati unicamente per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, che non abbiano carattere illimitato e che possano essere revocati in conformità all’articolo 32 della direttiva 2004/38.

36.      Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 31, paragrafo 4, della direttiva 2004/38, gli Stati membri possono vietare la presenza dell’interessato nel loro territorio per tutta la durata della procedura di ricorso avverso una misura restrittiva dei suoi diritti in forza di tale direttiva. Tuttavia, una persona interessata da una siffatta misura può chiedere di essere sentita personalmente dal giudice competente. Si potrebbe sostenere che, durante la procedura di ricorso, la presenza dell’individuo debba pertanto essere tollerata, al fine di consentirgli di beneficiare di un processo equo e di far valere tutti i suoi mezzi di difesa (10).

37.      Per contro, secondo l’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la persona nei cui confronti sia stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio non ha diritto d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato durante l’esame della sua domanda di revoca di tale divieto.

38.      Occorre osservare che nello spazio Schengen – in assenza di controlli sistematici all’interno dell’Unione – è difficile controllare il rispetto dei provvedimenti di divieto d’ingresso nel territorio da parte dei cittadini dell’Unione. Una persona cui sia indirizzato questo tipo di provvedimento può dunque tentare di entrare nel territorio dello Stato membro interessato. Nel caso in cui le autorità di tale Stato membro fossero tenute a valutare nuovamente se l’individuo possa essere allontanato per ragioni di ordine pubblico, la situazione di una persona interessata da un divieto d’ingresso nel territorio sarebbe identica a quella di un cittadino dell’Unione non interessato da questo tipo di provvedimento. Al fine di sbarrare la strada a un siffatto «abuso» (11) eventuale, nell’ambito della direttiva 2004/38, un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio mira a restringere totalmente il diritto d’ingresso (12) nonché il diritto di soggiorno per un periodo determinato.

39.      Al fine di ottenere la soppressione degli effetti di un tale divieto, il ripristino dei suoi diritti d’ingresso nel territorio dello Stato membro interessato nonché la regolarizzazione del suo soggiorno, l’interessato, in conformità all’articolo 32, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, deve presentare una domanda di revoca del divieto d’ingresso.

c)      Portata dell’articolo 27 della direttiva 2004/38

1)      Revoca di un attestato di iscrizione

i)      Effetti giuridici di un attestato di iscrizione

40.      Si pone la questione se il rilascio dell’attestato di iscrizione nel 2013 abbia soppresso gli effetti giuridici del provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio adottato nel 2011 e, pertanto, se fosse necessario verificare il soddisfacimento delle condizioni previste all’articolo 27, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2004/38 al fine di limitare nuovamente i diritti del sig. Petrea.

41.      Secondo una giurisprudenza costante che discende dalla sentenza Royer, i diritti dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro e di soggiornarvi discendono dal diritto primario dell’Unione e si acquistano indipendentemente da qualsiasi formalità amministrativa (13). Tale approccio è stato recentemente riaffermato nella sentenza Dias (14).

42.      È vero che tale posizione è stata adottata facendo riferimento a un contesto giuridico anteriore, nel quale tali diritti erano concessi unicamente ai cittadini degli Stati membri che esercitavano un’attività economica in un ambito transfrontaliero. Tuttavia, ritengo che lo stesso approccio debba essere seguito dopo l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, in forza del quale è stato introdotto in seno al Trattato CE il concetto di cittadinanza europea.

43.      Adottando la direttiva 2004/38, il legislatore europeo non ha inteso instaurare un nuovo sistema. Esso mirava, al contrario, a consolidare e a codificare principi esistenti che discendono dai testi e dalla giurisprudenza della Corte (15).

44.      Il progetto iniziale della direttiva 2004/38 indicava che il «diritto di soggiorno è comprovato dal rilascio immediato di un attestato d’iscrizione» (16). Cionondimeno, può essere desunto dalla relazione della proposta di direttiva 2004/38 che l’attestato di iscrizione di cui all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva – al pari del permesso di soggiorno nella sentenza Royer – costituisce unicamente un atto ricognitivo di un diritto preesistente. La volontà di seguire la giurisprudenza della Corte riguardo alla natura giuridica di tale attestato è stata ribadita nel corso dei lavori preparatori della direttiva 2004/38. Il testo dell’articolo 8, paragrafo 2, della proposta di direttiva 2004/38, che indicava che l’attestato di iscrizione rivestiva carattere costitutivo, è stato riformulato nel senso che tale attestato ha carattere unicamente dichiarativo (17).

45.      Concludo, a questo punto, che l’attestato di iscrizione rilasciato dalle autorità greche è unicamente un atto ricognitivo e non comporta l’acquisizione di nessuno dei diritti previsti dalla direttiva 2004/38. Ne consegue che il divieto d’ingresso nel territorio esplica i suoi effetti nonostante il rilascio di tale attestato al sig. Petrea da parte delle autorità greche.

ii)    Possibilità di revocare un attestato di iscrizione rilasciato per errore

46.      Si pone la questione se sia possibile revocare l’attestato di iscrizione di un cittadino dell’Unione senza un esame preliminare effettuato in conformità alle condizioni previste all’articolo 27 della direttiva 2004/38.

47.      La direttiva 2004/38 non menziona misure di revoca di un siffatto attestato. Emerge dalla mia analisi relativa al suo carattere dichiarativo che un tale attestato rilasciato per errore non elimina, in sostanza, gli effetti giuridici di un divieto d’ingresso nel territorio. Di conseguenza, se un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio emesso per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, il quale sia stato validamente adottato ai sensi del diritto dell’Unione, continua a produrre i suoi effetti, lo Stato membro non ha l’obbligo di esaminare l’attualità di uno dei motivi previsti all’articolo 27 della direttiva 2004/38 al fine di revocare un siffatto attestato. Tale esame può essere effettuato unicamente nell’ambito di una domanda di revoca del divieto d’ingresso ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 1, di tale direttiva.

48.      Tutto ciò considerato, ritengo che la direttiva 2004/38 non osti alla revoca di un attestato di iscrizione rilasciato per errore a un cittadino dell’Unione che è entrato nel territorio dello Stato membro ospitante nonostante il fatto che nei suoi confronti fosse stato adottato un divieto d’ingresso nel territorio.

2)      Adozione di un provvedimento di rimpatrio

i)      Provvedimento di rimpatrio adottato a causa della violazione di un divieto d’ingresso nel territorio nell’ambito della direttiva 2004/38

49.      Si pone la questione se un provvedimento di rimpatrio adottato a causa della violazione di un divieto d’ingresso nel territorio ricada nell’ambito di applicazione dell’articolo 27 della direttiva 2004/38.

50.      Da un lato, occorre rilevare che il provvedimento in questione è inteso ad allontanare l’individuo dal territorio dello Stato membro ospitante, e ciò sembrerebbe indicare che un siffatto provvedimento rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 27 della direttiva 2004/38. Si potrebbe pertanto argomentare che, prima di adottare una decisione di rimpatrio, lo Stato membro ospitante debba tenere conto delle circostanze previste all’articolo 27, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva. In altri termini, secondo tale ipotesi, le autorità nazionali sarebbero, in particolare, tenute a valutare l’attualità e la proporzionalità dei motivi per i quali nei confronti dell’individuo debba essere adottato un provvedimento di rimpatrio.

51.      Dall’altro lato, nella controversia di cui al procedimento principale, nei confronti del sig. Petrea è stato adottato un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio nel 2011. Di conseguenza, dopo il suo allontanamento effettivo, i suoi diritti d’ingresso e di soggiorno erano limitati per il periodo previsto dal provvedimento in questione. In tal senso, la decisione di rimpatrio del 2014 non ha limitato i diritti del sig. Petrea, ma ha consentito di assicurare l’efficacia del divieto d’ingresso nel territorio del 2011. Osservo che l’articolo 27 della direttiva 2004/38 figura al capo VI di tale direttiva, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica». Si potrebbe dunque pensare che tale articolo riguardi unicamente i provvedimenti che limitano i diritti conferiti ai cittadini dell’Unione. Se si accogliesse tale interpretazione della portata dell’articolo 27 della direttiva 2004/38 – al pari del governo del Regno Unito, il quale ha affermato, nelle sue osservazioni scritte, che un provvedimento conseguente a un divieto d’ingresso nel territorio «non costituisce di per sé un provvedimento ai fini dell’articolo 27, paragrafo 2, oppure (…) ai fini dell’articolo 28 [della direttiva 2004/38]» –, ne seguirebbe che la decisione di rimpatrio del 2014, nonostante il carattere che l’assimila alla decisione del 2011, non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 27 della direttiva 2004/38. Spetterebbe pertanto ai legislatori nazionali adeguare l’insieme delle norme relative ai provvedimenti conseguenti a un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio.

52.      Tale approccio non mi convince.

53.      In primo luogo, all’articolo 27 della direttiva 2004/38 è stata conferita una portata abbastanza ampia. La proposta iniziale relativa al testo del suo paragrafo 1, che prendeva in considerazione unicamente i «provvedimenti di diniego d’ingresso o di allontanamento» (18), è stata modificata nel corso dei lavori preparatori al fine di coprire «qualsiasi tipo di decisione restrittiva della libera circolazione», ossia «qualsiasi tipo di provvedimento, che si tratti di un allontanamento o un’espulsione, di un divieto di ingresso o di uscita dal territorio» (19).

54.      In secondo luogo, occorre ricordare che il testo dell’articolo 27 della direttiva 2004/38 non si limita a coprire esclusivamente i provvedimenti che limitano «diritti» interessati da tale direttiva, bensì ricomprende, in maniera più generale, tutti i provvedimenti che limitano «la libertà di circolazione e di soggiorno».

55.      In terzo luogo, le disposizioni del capo VI della direttiva 2004/38 riguardano parimenti le persone i cui diritti d’ingresso o di soggiorno siano stati anteriormente limitati da un provvedimento validamente adottato ai sensi del diritto dell’Unione (20).

56.      Tutto ciò considerato, ritengo che un provvedimento di rimpatrio conseguente a un divieto d’ingresso nel territorio rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 27 della direttiva 2004/38. Nondimeno, sono dell’avviso che l’adozione di un provvedimento del genere non necessiti un’analisi preliminare dell’attualità dei motivi che hanno giustificato l’adozione di tale divieto d’ingresso.

ii)    Attualità dei motivi che giustificano l’adozione di un provvedimento di rimpatrio

57.      La Corte ha già affermato – facendo riferimento alla direttiva 64/221/CEE (21), la quale precedeva la direttiva 2004/38 – che il diritto dell’Unione «osta a una pratica nazionale secondo la quale, nell’esaminare la legittimità dell’espulsione di un cittadino di un altro Stato membro, il giudice nazionale non deve prendere in considerazione elementi di fatto successivi all’ultimo provvedimento dell’autorità competente comportanti il venir meno o una rilevante attenuazione della minaccia attuale che il comportamento del soggetto interessato costituirebbe per l’ordine pubblico» (22).

58.      Osservo che tale approccio trova espressione in diverse disposizioni della direttiva 2004/38. L’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva esige che i «provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza» siano fondati, segnatamente, sulle circostanze attuali concernenti l’individuo interessato da siffatti provvedimenti. Tale approccio si riflette parimenti nel testo del susseguente articolo 33, paragrafo 2, il quale prevede, se il provvedimento di allontanamento è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, una nuova valutazione della situazione dell’interessato al momento dell’esecuzione di detta decisione.

59.      Questi tre riferimenti alla giurisprudenza e alle disposizioni normative non riguardano un divieto d’ingresso nel territorio. Ricordo che un siffatto provvedimento produce per sua natura effetti giuridici durevoli. Tali effetti verrebbero meno qualora, anche a seguito della violazione di un siffatto divieto, le autorità fossero obbligate a verificare l’attualità dei motivi per i quali detto divieto è stato imposto.

60.      Tutto ciò considerato, rilevo, a questo punto, che dal combinato disposto delle disposizioni della direttiva 2004/38 non si evince che il diritto dell’Unione osti a un provvedimento di rimpatrio adottato senza verificare preliminarmente le condizioni previste agli articoli 27 e 28 di detta direttiva nei confronti di una persona che ha violato un divieto d’ingresso nel territorio.

d)      Principio di tutela del legittimo affidamento

61.      Si pone la questione se un individuo possa fondarsi sul principio di tutela del legittimo affidamento per vedere eliminati gli effetti di un divieto d’ingresso nel territorio dello Stato membro ospitante in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale.

62.      Occorre ricordare che la facoltà di avvalersi della tutela del legittimo affidamento si estende a qualunque singolo al quale siano state fornite rassicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate e affidabili (23). Secondo una giurisprudenza costante, tale principio, nella sua interpretazione classica, impone talune restrizioni al ritiro retroattivo di un atto amministrativo illegittimo. Tuttavia, tali considerazioni riguardano soprattutto gli atti aventi carattere costitutivo che hanno generato diritti soggettivi (24).

63.      Come ho già illustrato, l’attestato di iscrizione non concede il diritto di soggiorno al cittadino dell’Unione. Se non da luogo né a un diritto di soggiorno né a un diritto d’ingresso, il rilascio di un attestato non potrebbe dunque generare alcuna aspettativa, legittima o meno.

64.      Cionondimeno, anche accogliendo un’interpretazione diversa, nel senso che gli atti privi di carattere costitutivo sarebbero idonei a far nascere aspettative meritevoli di protezione da parte del diritto dell’Unione (25), si potrebbe concludere che le aspettative del sig. Petrea non meritano una siffatta protezione.

65.      In ogni caso, il principio di tutela del legittimo affidamento si fonda sull’equilibrio fra l’interesse particolare e l’interesse generale dell’ordine pubblico (26). Nella specie, la tutela risultante da tale principio potrebbe essere concessa al sig. Petrea solo a condizione che una siffatta tutela consenta di ponderare questi due interessi.

66.      Orbene, il principio di tutela del legittimo affidamento è spesso attenuato dall’affermazione secondo la quale il ritiro di un atto amministrativo è ammissibile se l’autorità che emette l’atto di cui trattasi rispetta un termine ragionevole. La lunghezza di tale termine potrebbe essere rilevante ai fini della valutazione di una siffatta ponderazione fra gli interessi coinvolti. Certamente, la ragionevolezza del termine di ritiro deve essere valutata in funzione delle circostanze tipiche di ciascuna situazione. Tuttavia, mi sembra che, nel caso in cui la decisione in questione sia priva di carattere costitutivo, il termine percepito come «ragionevole» debba essere chiaramente più lungo di quello che sarebbe sufficiente a tutelare le aspettative nate da un atto che ha creato diritti soggettivi (27).

67.      Peraltro, sono trascorsi meno di tredici mesi fra il rilascio dell’attestato di iscrizione al sig. Petrea e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio. In conformità all’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, se il provvedimento di allontanamento è eseguito a oltre due anni di distanza dalla sua adozione, lo Stato membro verifica che i motivi che hanno giustificato l’adozione di tale provvedimento siano attuali e reali. Nell’ambito della direttiva 2004/38, il decorso di un termine di due anni obbliga gli Stati membri a riesaminare l’attualità di un provvedimento di allontanamento, ma non quella di un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio, il quale esplica, per la sua stessa natura, effetti giuridici durevoli. In tal senso, nulla sembra indicare che, nel procedimento principale, la revoca dell’attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio possano violare manifestamente il principio di tutela del legittimo affidamento.

68.      Ad ogni modo, spetta al giudice del rinvio valutare se le potenziali aspettative del sig. Petrea possano essere qualificate come «legittime» e se meritino una tutela particolare in funzione delle circostanze di specie.

69.      Per riassumere, mi sembra che, in linea di principio, il rilascio di un attestato di iscrizione non sia idoneo a far sorgere una legittima aspettativa. Spetta tuttavia al giudice nazionale valutare se il principio di tutela del legittimo affidamento osti alla revoca di un siffatto attestato in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale.

e)      Principio del buon andamento dell’amministrazione

70.      Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Dioikitiko Protodikeio Thessalonikis (Tribunale amministrativo di primo grado di Salonicco) non ha precisato le ragioni per cui il principio della buona amministrazione potrebbe essere rilevante ai fini della soluzione della prima questione.

71.      È giocoforza constatare che tale questione verte sulla possibilità di revocare un attestato di iscrizione e di adottare un provvedimento di rimpatrio senza un nuovo esame preliminare delle condizioni previste agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.

72.      È dunque plausibile supporre che, menzionando il principio della buona amministrazione, il giudice del rinvio si interrogasse sulla rilevanza del dovere di sollecitudine in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale (28). Tale dovere impone una valutazione approfondita alla luce della situazione dell’interessato ogniqualvolta venga presa una decisione nei suoi confronti (29).

73.      Tuttavia, non sono convinto che tale approccio possa essere adottato nel caso in cui un divieto d’ingresso nel territorio non abbia cessato di produrre i suoi effetti. Una soluzione del genere, come ho già osservato (30), priverebbe in sostanza dei suoi effetti giuridici il divieto d’ingresso nel territorio. Di conseguenza, il principio della buona amministrazione non può essere utilizzato al fine di eludere gli effetti di un divieto d’ingresso nel territorio validamente adottato dalle autorità nazionali nelle circostanze che caratterizzano il procedimento principale.

74.      Tutto ciò considerato, ritengo che, in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale, la revoca di un attestato di iscrizione e l’adozione di un provvedimento di rimpatrio non siano contrarie al diritto dell’Unione.

B.      Sulla seconda questione pregiudiziale

75.      Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio domanda se l’adozione di procedure comuni per i cittadini di paesi terzi di cui alla direttiva 2008/115, da un lato, e per i cittadini dell’Unione interessati dalla direttiva 2004/38, dall’altro, sia conforme al diritto dell’Unione.

76.      I governi greco e belga nonché la Commissione hanno risposto affermativamente a tale questione. Il governo del Regno Unito si è limitato a constatare che la direttiva 2008/115 si applica unicamente ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, e il governo danese condivide tale constatazione. Il sig. Petrea non si è pronunciato esplicitamente su tale punto.

1.      Osservazioni generali

77.      La direttiva 2004/38 prevede un certo numero di norme procedurali che gli Stati membri devono rispettare ai fini di un’eventuale limitazione del diritto di soggiorno di un cittadino dell’Unione, in particolare quelle di cui agli articoli 30 e 31. Per contro, essa non contiene disposizioni riguardanti le modalità delle procedure amministrative e giurisdizionali relative a una decisione che pone fine al diritto di un cittadino di soggiornare nel territorio dello Stato ospitante. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, in mancanza di norme dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilirle, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (31).

78.      A tal riguardo non ravviso alcun ostacolo alla facoltà dello Stato membro di fondarsi sulle disposizioni che recepiscono la direttiva 2008/115 nel diritto nazionale, a condizione che la protezione prevista dalla direttiva 2004/38 e i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare.

79.      È vero che le direttive 2004/38 e 2008/115 non condividono il medesimo oggetto. Cionondimeno, la posizione secondo la quale non sarebbe possibile utilizzare, mutatis mutandis, le soluzioni della direttiva 2008/115 al fine di stabilire le norme procedurali applicabili ai cittadini dell’Unione non mi persuade.

80.      Tale posizione sarebbe basata sull’idea secondo la quale le soluzioni procedurali che riguardano i cittadini di paesi terzi non offrono un livello di rispetto dei diritti sufficiente ad assicurare il livello di protezione adeguato dei diritti procedurali di un cittadino dell’Unione. A tale proposito, mi permetto di attirare l’attenzione sul testo dell’articolo 1 della direttiva 2008/115, ai termini del quale detta direttiva «stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri (…) nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale» (32).

81.      Tutto ciò considerato, rilevo che il diritto dell’Unione non osta, in linea di principio, all’utilizzazione delle norme concernenti i cittadini degli Stati terzi ai fini dell’instaurazione del sistema applicabile ai cittadini dell’Unione.

82.      Tuttavia, nonostante tali considerazioni generali, la seconda questione pregiudiziale contiene due domande concernenti, da un lato, l’autorità competente a emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino dell’Unione e, dall’altro, la possibilità di adottare una siffatta decisione quale provvedimento conseguente alla violazione di un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio.

2.      Autorità competente

83.      Secondo le informazioni offerte nel rinvio pregiudiziale, l’autorità che ha emesso l’atto amministrativo del 2014 (il comandante delegato del servizio di polizia degli stranieri) non rientra fra gli organi competenti per l’adozione di una decisione di rimpatrio nei confronti dei cittadini di paesi terzi.

84.      Rilevo che la direttiva 2004/38 non contiene alcuna precisazione sulla struttura organizzativa delle autorità. A tal riguardo condivido la posizione della Commissione che, facendo riferimento al suo contenuto, ha indicato come la direttiva 2004/38 menzioni unicamente le «autorità competenti» (33). Pertanto, non ravviso alcuna potenziale violazione del diritto dell’Unione fintantoché l’autorità interessata sia dotata della competenza ad adottare gli atti in questione, rispettando in ogni caso i diritti e le garanzie procedurali imposti dalla direttiva 2004/38.

3.      Misura conseguente alla violazione del divieto d’ingresso nel territorio

85.      Il giudice del rinvio ha osservato che la direttiva 2008/115 enuncia, al suo articolo 6, paragrafo 1, che gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, per cui una decisione di rimpatrio discenderebbe dall’irregolarità del soggiorno e non da motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale.

86.      Tuttavia, come ho già indicato nell’analisi relativa alla prima questione pregiudiziale (34), una decisione di rimpatrio – in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale – si limita ad attuare gli effetti di un divieto d’ingresso nel territorio. Rispetto a tale oggetto, l’articolo 27 della direttiva 2004/38, in combinato disposto con l’articolo 32 di tale direttiva, da un lato, e la norma risultante dall’articolo 6 della direttiva 2008/115, dall’altro, si basano sulla stessa regola. Di conseguenza – e limitando le mie osservazioni al caso della violazione del divieto d’ingresso nel territorio – ritengo che, a tal riguardo, il legislatore nazionale possa adeguare le disposizioni della direttiva 2008/115 al fine di adottare norme concernenti i cittadini dell’Unione.

87.      Propongo, pertanto, di risolvere la seconda questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 2004/38 non osta all’impiego del contenuto della direttiva 2008/115 al fine di stabilire le modalità delle procedure relative a un provvedimento di rimpatrio di un cittadino dell’Unione che è entrato nel territorio dello Stato membro di cui trattasi sebbene un divieto d’ingresso nel territorio emesso nei suoi confronti non abbia ancora cessato di produrre i suoi effetti, a condizione che le misure protettive e le garanzie procedurali previste dalla direttiva 2004/38, in particolare al suo capo VI, nonché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare.

C.      Sulla terza questione pregiudiziale

88.      La terza questione pregiudiziale viene sollevata dal giudice del rinvio solo nella misura in cui la prima questione dovesse essere risolta negativamente. Proseguirò tuttavia la mia analisi per il caso in cui la Corte non dovesse condividere la mia posizione su tale prima questione.

89.      Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se, ammesso che le autorità nazionali, le quali operano nell’ambito dell’autonomia procedurale, revochino, per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, l’attestato di iscrizione di un cittadino di un altro Stato membro, tali autorità possano imporre simultaneamente a tale cittadino un provvedimento di rimpatrio senza controllo giurisdizionale sulla scorta delle modalità fissate dagli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.

90.      Qualora la Corte – rispondendo negativamente alla prima questione pregiudiziale – dovesse decidere che, nelle circostanze che caratterizzano il procedimento principale, l’adozione di un provvedimento di rimpatrio non è una conseguenza della violazione di un divieto d’ingresso nel territorio, ciò significherebbe che tale provvedimento di rimpatrio non possa esulare dal controllo giurisdizionale di cui agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.

91.      È al legislatore nazionale che spetterebbe decidere se la revoca di un siffatto attestato e l’adozione di una decisione di rimpatrio costituiscano un atto unico. La riunione di queste due misure non può tuttavia compromettere il principio secondo il quale l’adozione di un provvedimento di rimpatrio deve essere preceduta da un controllo giurisdizionale.

92.      Tutto ciò considerato, in caso di soluzione negativa della prima questione pregiudiziale, propongo alla Corte di risolvere la terza questione nel senso che l’adozione di una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino dell’Unione che ha violato un divieto d’ingresso nel territorio deve essere assoggettata al controllo giurisdizionale di cui agli articoli 27 e 28 della direttiva 2004/38.

D.      Sulla quinta questione pregiudiziale

93.      L’ultima questione pregiudiziale viene sollevata unicamente per il caso in cui la Corte dovesse risolvere affermativamente la quarta questione.

94.      La quarta questione pregiudiziale è intesa a stabilire se un vizio nella fase della notificazione di una decisione – ossia la mancata esposizione del suo contenuto in una lingua comprensibile all’interessato – possa essere invocato nell’ambito di un ricorso diretto avverso un provvedimento conseguente a tale decisione. La Corte non dovrebbe rispondere alla quarta questione pregiudiziale qualora essa risolva la quinta questione nel senso che il provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio non deve essere notificato in una lingua comprensibile all’interessato se questi non ne ha fatto richiesta. Analizzerò pertanto questa quinta e ultima questione prima di rispondere alla quarta questione pregiudiziale.

95.      Con la quinta questione, il giudice del rinvio domanda se la direttiva 2004/38 imponga alle autorità dello Stato membro ospitante un obbligo di notificare al cittadino di un altro Stato membro in ogni caso, e indipendentemente dal fatto che l’interessato ne faccia richiesta o meno, la «decisione del suo allontanamento» in una lingua che questi comprenda.

96.      Risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che tale questione è stata sollevata in relazione all’articolo 32 della direttiva 2004/38. Tale articolo riguarda unicamente i provvedimenti di divieto d’ingresso adottati per motivi attinenti all’ordine pubblico, alla pubblica sicurezza o alla sanità pubblica (35). Esso non impone alcun requisito particolare quanto alla notificazione dei provvedimenti di divieto d’ingresso. Per contro, l’articolo 30 della direttiva 2004/38 è inteso a stabilire le norme relative alla notificazione di ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27 di tale direttiva, fra i quali il provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio previsto all’articolo 32 di questa stessa direttiva. Ritengo dunque che i provvedimenti di divieto d’ingresso nel territorio ricadano nell’ambito di applicazione dell’articolo 30 della direttiva 2004/38, il quale ne precisa, in maniera generale, le modalità di notificazione.

97.      Secondo i governi greco, belga, danese e del Regno Unito, nonché secondo la Commissione, l’articolo 30 della direttiva 2004/38 impone non che il provvedimento di divieto sia notificato in una lingua comprensibile all’interessato, se lo stesso non ha presentato una richiesta esplicita al riguardo, bensì che esso sia notificato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze. Per contro, il sig. Petrea afferma che le autorità sono obbligate a notificare all’interessato «il provvedimento del suo allontanamento in una lingua che questi comprenda», indipendentemente dalla formulazione o meno di una richiesta in tal senso.

98.      L’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 enuncia che ogni provvedimento «è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze», mentre, secondo il paragrafo 2 di tale articolo, in linea di principio, i «motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all’interessato».

99.      La relazione della proposta di direttiva 2004/38 è chiara per quanto riguarda la fonte di ispirazione del legislatore europeo e cita a tal riguardo, da un lato, le disposizioni della direttiva 64/221 e, dall’altro, la giurisprudenza della Corte (36).

100. Più precisamente, l’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, che riprende parzialmente i termini dell’articolo 7, primo comma, della direttiva 64/221, si ispira alla sentenza Adoui e Cornuaille (37). In tale sentenza, la Corte ha dichiarato che una decisione non deve essere obbligatoriamente tradotta nella lingua dell’interessato, soprattutto quando si tratta di una lingua meno conosciuta, fermo restando che lo Stato membro deve adottare ogni misura utile affinché sia certo che l’interessato abbia compreso il contenuto e gli effetti di tale decisione.

101. Nel corso dei lavori preparatori, tale approccio è stato rimesso in discussione dal Comitato economico e sociale. Quest’ultimo ha osservato che la relazione della proposta di direttiva 2004/38 era in contraddizione con il testo iniziale della direttiva medesima, ovvero con l’articolo 28, paragrafo 2, di tale testo, ai sensi del quale il provvedimento doveva essere notificato all’interessato secondo modalità che gli consentissero di comprenderne il contenuto e le conseguenze, giacché la relazione indicava che non sussisteva obbligo di tradurre la decisione nella lingua dell’interessato (38). Orbene, il tenore di detto articolo, attualmente l’articolo 30, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, non è stato modificato al riguardo. Il legislatore non mi sembra, quindi, aver cambiato posizione rispetto a quanto esposto nella relazione e non ha ritenuto indispensabile la traduzione di ciascuna decisione.

102. Ci si può interrogare sul modo in cui le autorità nazionali potrebbero stabilire, qualora l’interessato non presenti una richiesta esplicita in tal senso, quale lingua sia comprensibile all’interessato. In tale contesto, occorre osservare che l’articolo 30 della direttiva 2004/38, in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, di tale direttiva, riguarda non solo i cittadini dell’Unione, ma anche i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza.

103. Propongo dunque alla Corte di risolvere la quinta questione pregiudiziale nel senso che l’articolo 30 della direttiva 2004/38 non impone alle autorità dello Stato membro ospitante l’obbligo di notificare al cittadino di un altro Stato membro un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio in una lingua che questi comprenda, se tale cittadino non ne ha fatto richiesta, fermo restando che uno Stato membro deve nondimeno adottare ogni misura utile affinché sia certo che l’interessato comprenda il contenuto e le conseguenze di tale provvedimento.

E.      Sulla quarta questione pregiudiziale

104. Per il caso in cui la Corte non dovesse condividere la mia analisi relativa alla quinta questione pregiudiziale e dovesse ritenere che il diritto dell’Unione impone alle autorità dello Stato membro ospitante l’obbligo di notificare al cittadino di un altro Stato membro la decisione relativa al suo allontanamento in una lingua che questi comprenda, procederò all’esame della quarta questione pregiudiziale.

105. Con tale questione, il giudice del rinvio domanda se il principio di effettività osti a una prassi giurisprudenziale nazionale che vieta alle autorità interessate di valutare, nel contesto della revoca di un attestato di iscrizione di un cittadino dell’Unione o dell’adozione, da parte dello Stato membro ospitante, di un provvedimento di allontanamento – giustificate dall’esistenza di un divieto d’ingresso nel territorio nei confronti del cittadino di un altro Stato membro –, la misura in cui le garanzie procedurali sancite agli articoli 30 e 31 della direttiva 2004/38 siano state rispettate al momento dell’adozione del provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio.

106. Mi sembra che, con tale questione, il giudice del rinvio intenda accertare se il diritto dell’Unione imponga agli Stati membri l’obbligo di riesaminare il provvedimento iniziale di divieto d’ingresso nel territorio ogniqualvolta venga adottata una misura conseguente a tale provvedimento.

107. Osservo che il giudice del rinvio ha fatto riferimento al «provvedimento di allontanamento» nella quarta questione pregiudiziale. Cionondimeno, a mio avviso, esso intendeva, come nella prima questione pregiudiziale, il «provvedimento di rimpatrio» conseguente a un divieto d’ingresso nel territorio.

108. I governi greco e belga, richiamando esplicitamente la certezza del diritto, nonché il governo del Regno Unito, ritengono che tale questione debba essere risolta negativamente. Per contro, il sig. Petrea e la Commissione contestano tale approccio, evocando il potenziale conflitto fra tale soluzione e il principio di effettività.

109. Secondo l’articolo 31, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, una persona interessata da un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio adottato nei suoi confronti per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica deve poter accedere ai mezzi di impugnazione giurisdizionali. Di conseguenza, ritengo che, in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale, il sig. Petrea potesse far valere la mancata traduzione nella fase della notificazione della decisione del 2011 fondandosi sull’articolo 31 della direttiva 2004/38.

110. Tuttavia, la direttiva 2004/38 impone agli Stati membri l’obbligo di rispettare le garanzie procedurali previste al suo articolo 31 solo «al momento dell’adozione» di decisioni restrittive (39). A mio avviso, tale obbligo si applica fino alla fase in cui una siffatta decisione è divenuta definitiva. Tale posizione è conforme alla giurisprudenza della Corte, la quale ha già riconosciuto che il carattere definitivo di una decisione amministrativa contribuisce alla certezza del diritto, con la conseguenza che il diritto dell’Unione non richiede che un’autorità amministrativa sia tenuta, in linea di principio, a ritornare su una decisione amministrativa che ha acquisito un siffatto carattere definitivo (40).

111. Quando il divieto d’ingresso nel territorio è divenuto definitivo, un cittadino dell’Unione può presentare una domanda di revoca, in conformità all’articolo 32, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 (41). Tale disposizione mira ad assicurare che il divieto in questione possa essere revocato dopo il decorso di un congruo periodo, ma unicamente, come previsto dalla direttiva 2004/38, in funzione di circostanze posteriori all’adozione di una siffatta misura (42).

112. Pertanto, a mio avviso, la soluzione accolta dal diritto nazionale secondo la quale un atto divenuto definitivo non è passibile di controllo nell’ambito di un ricorso avente ad oggetto un atto posteriore non è contraria alla direttiva 2004/38.

113. In ogni caso, le norme concernenti i mezzi di ricorso avverso le misure che limitano la libertà di circolazione e di soggiorno devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività. Nessuno degli elementi illustrati nella decisione di rinvio indica che tali principi non siano stati rispettati. Quantomeno, spetta al giudice nazionale valutare se le norme di cui trattasi non siano contrarie né al principio di equivalenza né al principio di effettività. Di conseguenza, propongo di risolvere la quarta questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 2004/38 non osta a norme o prassi nazionali che – nel contesto della revoca di un attestato di iscrizione di un cittadino dell’Unione o dell’adozione, da parte dello Stato membro ospitante, di un provvedimento di rimpatrio conseguente alla violazione di un divieto d’ingresso nel territorio nei confronti del cittadino di un altro Stato membro – non consentono di valutare in quale misura le garanzie procedurali risultanti dagli articoli 30 e 31 della direttiva 2004/38 siano state rispettate al momento dell’adozione di tale provvedimento di divieto d’ingresso, a condizione che tali norme o tali prassi nazionali non siano contrarie né al principio di equivalenza né al principio di effettività.

VI.    Conclusione

114. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di risolvere nei seguenti termini le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio:

«1)      La direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011 (rettifica in GU L 229, pag. 35), e i principi di tutela del legittimo affidamento e del buon andamento dell’amministrazione non ostano alla revoca dell’attestato di iscrizione di un cittadino di uno Stato membro rilasciato da un altro Stato membro né all’adozione, da parte di quest’ultimo, di un provvedimento di rimpatrio nei confronti di tale cittadino allorché detto cittadino, nonostante il fatto che nei suoi confronti fosse stato emesso un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio da parte dello Stato membro ospitante per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, il quale non ha cessato di produrre i suoi effetti, entri nuovamente nel territorio dello Stato membro ospitante.

2)      La direttiva 2004/38 non osta all’impiego del contenuto della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di stabilire le modalità delle procedure relative a un provvedimento di rimpatrio di un cittadino di uno Stato membro che è entrato nel territorio di un altro Stato membro nonostante un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio adottato da quest’ultimo, a condizione che le misure protettive e le garanzie procedurali previste dalla direttiva 2004/38, in particolare al suo capo VI, nonché i principi di equivalenza e di effettività siano rispettati, circostanza che spetta al giudice nazionale valutare.

3)      L’articolo 30 della direttiva 2004/38 non impone alle autorità dello Stato membro ospitante l’obbligo di notificare al cittadino di un altro Stato membro un provvedimento di divieto d’ingresso nel territorio in una lingua che questi comprenda, se tale cittadino non ne ha fatto richiesta, fermo restando che uno Stato membro deve cionondimeno adottare ogni misura utile affinché sia certo che l’interessato ha compreso il contenuto e le conseguenze di tale provvedimento.

4)      La direttiva 2004/38 non osta a norme o prassi nazionali che, nel contesto della revoca di un attestato di iscrizione di un cittadino dell’Unione o dell’adozione, da parte dello Stato membro ospitante, di un provvedimento di rimpatrio conseguente alla violazione di un divieto d’ingresso nel territorio nei confronti del cittadino di un altro Stato membro, non consentono di valutare in quale misura le garanzie procedurali risultanti dagli articoli 30 e 31 della direttiva 2004/38 siano state rispettate al momento dell’adozione di tale provvedimento di divieto d’ingresso, a condizione che tali norme o tali prassi nazionali non siano contrarie né al principio di equivalenza né al principio di effettività».


1      Lingua originale: il francese.


2      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77), come modificata dal regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011 (GU 2011, L 141, pag. 1, e rettifica in GU L 229, pag. 35; in prosieguo: la «direttiva 2004/38»).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU L 348, pag. 98).


4      L’articolo 28 della direttiva 2004/38 viene invocato nella terza questione pregiudiziale, la quale viene sollevata per il caso in cui la prima questione pregiudiziale venga risolta negativamente.


5      Ritornerò su tale aspetto nell’analisi relativa alla natura giuridica di un attestato di iscrizione come cittadino dell’Unione. V. paragrafi da 41 a 44 delle presenti conclusioni.


6      Sentenze del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata), e del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata). V. anche Candela Soriano, M., «Libre circulation et séjour dans l’U.E.: la directive 2004/38 au regard des droits de l’homme», Journal des tribunaux, Droit européen, n. 121, 2005, pag. 194.


7      Sentenza del 10 luglio 2008, Jipa (C‑33/07, EU:C:2008:396, punto 21 e la giurisprudenza ivi citata).


8      Sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 47).


9      V., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, Brey (C‑140/12, EU:C:2013:565, punto 70).


10      V., in tal senso, proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo. V. anche – tenendo conto del fatto che l’articolo 31, paragrafo 4, della direttiva 2004/38 ha codificato un principio elaborato dalla Corte nella sua giurisprudenza – sentenza del 5 marzo 1980, Pecastaing (98/79, EU:C:1980:69, punto 12). Nelle conclusioni nella causa Pecastaing (98/79, non pubblicate, EU:C:1980:32, pag. 725), l’avvocato generale Capotorti aveva adottato una posizione più rigorosa, ossia che la presentazione di mezzi di difesa dell’interessato poteva essere effettuata tramite il suo avvocato.


11      V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo.


12      Nella sentenza del 18 maggio 1982, Adoui e Cornuaille (115/81 e 116/81, EU:C:1982:183, punto 12), che ha ispirato il testo dell’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la Corte ha affermato che, «qualora sussista nei confronti dell’interessato, e continui a produrre effetti giuridici sì da trattenerlo fuori dal territorio dello Stato di cui trattasi, un provvedimento di allontanamento, [il diritto dell’Unione] non gli attribuisce affatto il diritto di accedere al suddetto territorio nelle more dell’esame della nuova domanda». Il corsivo è mio.


13      Sentenza dell’8 aprile 1976 (48/75, EU:C:1976:57, punti da 31 a 33).


14      Sentenza del 21 luglio 2011 (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 48). In tale sentenza, la Corte ha negato la possibilità di considerare, unicamente sulla base di un permesso di soggiorno rilasciato in virtù della direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 13), i periodi di soggiorno effettuati in uno Stato membro ospitante come legalmente compiuti ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno nell’ambito dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.


15      Hanf, D., «Le développement de la citoyenneté de l’Union européenne», La Libre Circulation Des Personnes:États Des Lieux Et Perspectives. Acte d’un colloque organise en 2003 à Liège, Bruxelles, P.I.E. Peter Lang S.A. 2007, pagg. 20 e 21; Guild, E., Peers, S., Tomkin, J., The EU Citizenship Directive.A Commentary, Oxford, Oxford University Press 2014, pagg. da 87 a 91 e da 111 a 118.


16      Il corsivo è mio.


17      V. emendamento n. 33 e considerazioni ad esso sottese nella proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2003)199 definitivo, pagg. 6 e 22. V. parimenti considerando 11 della direttiva 2004/38.


18      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo.


19      V. emendamento n. 71 e considerazioni ad esso sottese nella proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2003) 199 definitivo, pagg. 8 e 329. Come osservato in dottrina, i termini impiegati nell’articolo 27, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 sono molto neutri e possono essere interpretati come inclusivi di ogni tipo di restrizione – v., nel contesto del divieto di allontanarsi dal territorio, Łazowski A., «“Darling you are not going anywhere”: the right to exit and restrictions in EU law», European Law Review 2015, vol. 40, n. 6, pag. 891.


20      V. articolo 32, paragrafo 1, e articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.


21      Direttiva del Consiglio, del 25 febbraio 1964, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, 56, pag. 850).


22      Sentenza del 29 aprile 2004, Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punti 81 e 82).


23      V. sentenza del 7 giugno 2005, VEMW e a. (C‑17/03, EU:C:2005:362S, punti 73 e 74 e la giurisprudenza ivi citata). V. anche, in tal senso, le mie conclusioni nella causa Evonik Degussa/Commissione (C‑162/15 P, EU:C:2016:587, paragrafi 183 e 184). Sullo sviluppo di tale principio nella giurisprudenza della Corte, v. Rideau, J., L’Union européenne et les droits de l’homme, Recueil des Cours de l’Académie de La Haye, vol. 265, 1997, pagg. da 173 a 177, e Lemańska, J., Uzasadnione oczekiwania w perspektywie prawa krajowego i regulacji europejskich, Wolters Kluwer, Varsavia, 2016, pagg. da 41 a 46.


24      Sentenza del 12 luglio 1957, Algera e a./Assemblea comune (7/56 e da 3/57 a 7/57, EU:C:1957:7, pag. 116).


25      V. sentenza del 12 luglio 1962, Koninklijke Nederlandsche Hoogovens en Staalfabrieken/Alta Autorità (14/61, EU:C:1962:28, pag. 520). V. parimenti Schønberg, S., Legitimate Expectations in Administrative Law, Oxford University Press, Oxford, 2000, pag. 117; Ritleng, D., «Le retrait des actes administratifs contraires au droit communautaire», Bestand und Perspektiven des Europäischen Verwaltungsrechts, Nomos, Baden – Baden, 2008, pag. 243.


26      V., in tal senso, sentenza del 12 luglio 1962, Koninklijke Nederlandsche Hoogovens en Staalfabrieken/Alta Autorità (14/61, EU:C:1962:28, pag. 520).


27      Nella sentenza del 12 luglio 1962, Koninklijke Nederlandsche Hoogovens en Staalfabrieken/Alta Autorità (14/61, EU:C:1962:28 pag. 521), la Corte ha affermato che il criterio del «termine ragionevole» può avere importanza considerevole qualora si tratti di atti costitutivi di diritti soggettivi, mentre ha scarso rilievo nell’ipotesi di atti ricognitivi.


28      In giurisprudenza e in dottrina vengono adottati approcci diversi concernenti il rapporto fra il principio della buona amministrazione e il dovere di sollecitudine. Il principio della buona amministrazione e il dovere di sollecitudine sono a volte percepiti come due concetti distinti, altre volte assimilati. Nonostante tali divergenze, mi sembra che, per i più, essi siano almeno associati.


29      Su tale principio, v. sentenze della Corte dell’11 luglio 1974, Guillot/Commissione (53/72, EU:C:1974:80, punto 3), e del 28 maggio 1980, Kuhner/Commissione (33/79 e 75/79, EU:C:1980:139, punto 23).


30      V. paragrafo 38 delle presenti conclusioni.


31      Sentenza del 17 marzo 2016, Bensada Benallal (C‑161/15, EU:C:2016:175, punti 23 e 24). V. anche conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa ZZ (C‑300/11, ECLI:EU:C:2013:363, paragrafi 83 e 84).


32      Il corsivo è mio.


33      V. articolo 8, paragrafo 1, e considerando 12 e 14 della direttiva 2004/38.


34      V. paragrafo 38 delle presenti conclusioni.


35      Rilevo in tale contesto che non tutte le versioni linguistiche dell’articolo 32 della direttiva 2004/38 fanno riferimento alla nozione di «sanità pubblica».


36      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di spostarsi e risiedere liberamente sul territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 definitivo.


37      Sentenza del 18 maggio 1982 (115/81 e 116/81, EU:C:1982:183, punto 13).


38      Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri», COM(2001) 257 definitivo, punto 4.8.2.


39      Sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punti da 54 a 56).


40      V. sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov (C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 76).


41      V. sentenza del 17 giugno 1997, Shingara e Radiom (C‑65/95 e C‑111/95, EU:C:1997:300, punti 39 e 41), nella quale la Corte, facendo riferimento alla sentenza del 18 maggio 1982, Adoui e Cornuaille (115/81 e 116/81, EU:C:1982:183) – che, come ho indicato alla nota 12, ha ispirato l’articolo 32, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 –, ha affermato: «Il fatto che un cittadino comunitario non abbia, nell’ambito di un provvedimento precedente, presentato un ricorso o che l’autorità competente indipendente non abbia emesso un parere (…) non può essere di ostacolo all’esame della nuova domanda presentata dal cittadino».


42      Pérez van Kappel, A., «La libre circulación de personas sin motivos económicos tras la adopción de la Directiva 2004/38/CE y a la luz de la jurisprudencia del Tribunal de Justicia», Estudios de Derecho Judicial, vol. 132, 2007, pag. 139.