Language of document : ECLI:EU:T:2008:415

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

8 ottobre 2008 (*)

«Concorrenza − Intese − Mercato dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche − Eccezione di illegittimità − Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 − Imputabilità del comportamento illecito − Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende − Gravità ed effetto dell’infrazione − Effetto dissuasivo − Cooperazione nel corso del procedimento amministrativo − Principio di proporzionalità − Principio della parità di trattamento − Domanda riconvenzionale di maggiorazione dell’ammenda»

Nella causa T‑69/04,

Schunk GmbH, con sede in Thale (Germania),

Schunk Kohlenstoff-Technik GmbH, con sede in Heuchelheim (Germania),

rappresentate dagli avv.ti R. Bechtold e S. Hirsbrunner, successivamente dagli avv.ti R. Bechtold, S. Hirsbrunner e A. Schädle,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata inizialmente dal sig. F. Castillo de la Torre e dalla sig.ra H. Gading, successivamente dai sigg. F. Castillo de la Torre e M. Kellerbauer, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda di annullamento della decisione della Commissione 3 dicembre 2003, 2004/420/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso n. C.38.359 - Prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche), nonché, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti con la decisione medesima e, dall’altro, una domanda riconvenzionale della Commissione diretta alla maggiorazione di detta ammenda,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione),

composto dai sigg. M. Vilaras (relatore), presidente, M. Prek e V. Ciucă, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Andová, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2008,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

1        La Schunk Kohlenstoff-Technik GmbH (in prosieguo: la «SKT») è un’impresa tedesca che fabbrica prodotti di carbonio e di grafite destinati ad essere utilizzati nei settori elettrico e meccanico. La SKT è una controllata della Schunk GmbH (in prosieguo, congiuntamente: la «Schunk» o le «ricorrenti»).

2        Il 18 settembre 2001 i rappresentanti della Morgan Crucible Company plc (in prosieguo: la «Morgan») incontravano alcuni agenti della Commissione per offrire la loro cooperazione al fine di accertare l’esistenza di un cartello sul mercato europeo dei prodotti di carbonio per applicazioni elettriche e meccaniche e chiedere il beneficio delle misure di clemenza previste dalla comunicazione della Commissione 96/C 207/04 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi d’intesa tra imprese (GU 1996, C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»).

3        Il 2 agosto 2002 la Commissione, ai sensi dell’art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento d’applicazione degli articoli [81 CE] e [82 CE] (GU 1962, n. 13, pag. 204), inviava alla C. Conradty Nürnberg GmbH (in prosieguo: la «Conradty»), alla Le Carbone-Lorraine (in prosieguo: la «LCL»), alla SGL Carbon AG (in prosieguo: la «SGL»), alla SKT, alla Eurocarbo SpA, alla Luckerath BV e alla Gerken Europe SA delle domande di informazioni riguardo al loro comportamento sul mercato di cui trattasi. La lettera indirizzata alla SKT riguardava altresì le attività dell’impresa Hoffmann & Co. Elektrokohle AG (in prosieguo: la «Hoffmann»), rilevata dalla Schunk il 28 ottobre 1999.

4        Con lettera 2 settembre 2002 la SKT informava la Commissione della sua intenzione di collaborare con essa nell’ambito del procedimento amministrativo e di verificare se, oltre a rispondere alla richiesta di informazioni, avesse potuto comunicarle ulteriori utili ragguagli, tenuto conto degli elementi di prova già in possesso dell’istituzione.

5        Dopo aver ottenuto, il 5 ottobre 2002, una versione in lingua tedesca della domanda di informazioni, la SKT, con lettera 25 ottobre 2002, rispondeva a detta domanda.

6        Il 23 maggio 2003, in base alle informazioni già comunicatele, la Commissione inviava una comunicazione degli addebiti alle ricorrenti e alle altre società interessate, vale a dire la Morgan, la Conradty, la LCL, la SGL e la Hoffmann.

7        A seguito dell’audizione delle società interessate, ad eccezione della Morgan e della Conradty, la Commissione adottava la decisione 3 dicembre 2003, 2004/420/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell’articolo 81 [CE] e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso n. C.38.359 - Prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche) (in prosieguo: la «Decisione»). Una sintesi della Decisione veniva pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 28 aprile 2004 (GU L 125, pag. 45).

8        La Commissione indicava, nella Decisione, che le imprese destinatarie di quest’ultima avevano partecipato ad un’infrazione unica e continuata dell’art. 81, n. 1, CE e, dal 1° gennaio 1994, dell’art. 53, n. 1, dell’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE), consistente nel fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita e altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, nel ripartire i mercati, in particolare mediante l’attribuzione di clienti, e nell’intraprendere azioni coordinate (restrizioni quantitative, aumenti di prezzo e boicottaggi) nei confronti di concorrenti estranei al cartello (punto 2 della Decisione).

9        La Decisione contiene le seguenti disposizioni:

«Articolo 1

Le imprese seguenti hanno violato le disposizioni dell’articolo 81, n. 1, [CE] e, dal 1° gennaio 1994, dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE partecipando, per i periodi indicati, ad una serie di accordi e pratiche concordate nel settore dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche:

–        [Conradty], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [Hoffmann], dal settembre 1994 all’ottobre 1999;

–        [LCL], dall’ottobre 1988 al giugno 1999;

–        [Morgan], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [Schunk], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999;

–        [SGL], dall’ottobre 1988 al dicembre 1999.

Articolo 2

Per le infrazioni indicate all’art. 1 sono inflitte le seguenti ammende:

–        [Conradty]: EUR 1 060 000;

–        [Hoffmann]: EUR 2 820 000;

–        [LCL]: EUR 43 050 000;

–        [Morgan]: EUR 0;

–        [Schunk]: EUR 30 870 000;

–        [SGL]: EUR 23 640 000.

Le ammende devono essere versate entro tre mesi dalla notifica della presente decisione: (...)

Dopo la scadenza di tale termine, sono automaticamente dovuti interessi al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle proprie operazioni di rifinanziamento il primo giorno del mese nel corso del quale la presente decisione è stata adottata, maggiorato di 3,5 punti percentuali».

10      Con riferimento al calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha qualificato l’inflazione come molto grave, tenuto conto della sua natura, del suo impatto sul mercato del SEE per i prodotti di cui trattasi, anche se quest’ultimo non era misurabile con precisione, e dell’estensione del mercato geografico rilevante (punto 288 della Decisione).

11      Al fine di tener conto dell’importanza specifica del comportamento illecito di ciascuna impresa coinvolta nel cartello e, quindi, del suo impatto effettivo sulla concorrenza, la Commissione ha suddiviso le imprese interessate in tre categorie, in relazione alla loro importanza relativa sul mercato in parola, determinata dalle quote di mercato da esse detenute (punti 289-297 della Decisione).

12      Di conseguenza, la LCL e la Morgan, considerate i due maggiori operatori con quote di mercato superiori al 20%, sono state classificate nella prima categoria. La Schunk e la SGL, operatori medi con quote di mercato comprese tra il 10% e il 20%, sono state collocate nella seconda categoria. La Hoffmann e la Conradty, considerate piccoli operatori in base alle loro quote di mercato inferiori al 10%, sono state raggruppate nella terza categoria (punti 37 e 297 della Decisione).

13      Sulla base delle precedenti considerazioni, la Commissione ha stabilito un importo di base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, pari a EUR 35 milioni per la LCL e la Morgan, a EUR 21 milioni per la SGL e le ricorrenti e a EUR 6 milioni per la Hoffmann e la Conradty (punto 298 della Decisione).

14      Riguardo alla durata dell’infrazione, la Commissione ha ritenuto che tutte le imprese interessate avessero commesso un’infrazione di lunga durata. In considerazione della durata dell’infrazione di undici anni e due mesi, nei confronti della Schunk, della Morgan, della SGL e della Conradty la Commissione ha maggiorato del 110% l’importo di base stabilito. Con riferimento alla LCL, la Commissione ha accertato una durata dell’infrazione di 10 anni e otto mesi e ha maggiorato l’importo iniziale del 105%. Riguardo alla Hoffmann, l’importo di base è stato maggiorato del 50% in considerazione di una durata dell’infrazione di cinque anni e un mese (punti 299 e 300 della Decisione).

15      L’importo di base dell’ammenda, determinato in funzione della gravità e della durata dell’inflazione, è stato pertanto fissato a EUR 73,5 milioni per quanto riguarda la Morgan, a EUR 71,75 milioni per la LCL, a EUR 44,1 milioni per le ricorrenti e per la SGL, in EUR 12,6 milioni per la Conradty e a EUR 9 milioni per la Hoffmann (punti 301 della Decisione).

16      La Commissione non ha rilevato nessuna circostanza aggravante o attenuante a carico o a favore delle imprese interessate (punto 316 della Decisione) e ha respinto la domanda delle ricorrenti diretta ad ottenere una limitazione dell’ammenda inflitta, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, al 10% del fatturato mondiale della SKT (punto 318 della Decisione).

17      Riguardo all’applicazione della comunicazione sulla cooperazione, la Morgan ha beneficiato di un’immunità dalle ammende per essere stata la prima impresa a segnalare l’esistenza del cartello alla Commissione (punti 319-321 della Decisione).

18      Ai sensi del punto D di detta comunicazione, la Commissione ha accordato una riduzione dell’importo dell’ammenda, che sarebbe stata loro inflitta in assenza di cooperazione, del 40% alla LCL, del 30% alla Schunk e alla Hoffmann e del 20% alla SGL, che è stata l’ultima a cooperare (punto 322‑338 della Decisione).

 Procedimento e conclusioni delle parti

19      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 20 febbraio 2004 le ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

20      Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata, il giudice relatore è stato assegnato, in qualità di presidente, alla Quinta Sezione, alla quale la presente causa è stata conseguentemente attribuita.

21      A seguito della relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione) ha deciso di avviare la fase orale. Le difese svolte dalle parti e le risposte ai quesiti loro rivolti dal Tribunale sono state sentite all’udienza del 27 febbraio 2008.

22      Le ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

–        annullare la Decisione;

–        in subordine, ridurre l’ammontare dell’ammenda inflitta;

–        condannare la Commissione alle spese.

23      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        maggiorare l’ammenda inflitta alle ricorrenti;

–        condannare le ricorrenti alle spese.

 In diritto

 Sulla domanda di annullamento della Decisione

24      Anche se il ricorso proposto dalle ricorrenti presenta un duplice oggetto, vale a dire, in via principale, una domanda di annullamento della Decisione e, in subordine, una domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda, le ricorrenti, nelle loro memorie, hanno dedotto i singoli motivi indistintamente. Invitate dal Tribunale, all’udienza, a formulare osservazioni sull’esatta portata dei loro argomenti, le ricorrenti hanno dichiarato, in sostanza, di rimettersi alla valutazione del Tribunale.

25      Si deve rilevare al riguardo che l’eccezione d’illegittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e la contestazione della responsabilità congiunta e solidale della Schunk GmbH e della SKT rientrano chiaramente nella domanda di annullamento della Decisione.

26      Le ricorrenti contestano altresì alla Commissione di aver violato i principi di proporzionalità e della parità di trattamento nel fissare l’importo dell’ammenda, motivo che si riferisce, anzitutto, alla domanda di riduzione dell’ammenda. L’argomentazione sviluppata a sostegno della citata doglianza cela tuttavia alcune contestazioni dell’infrazione accertata dalla Commissione e solleva, pertanto, la questione della responsabilità delle imprese di cui trattasi, quale definita all’art. 1 della Decisione. Tali contestazioni devono essere quindi esaminate nell’ambito della domanda di annullamento della Decisione nella sua interezza, compreso il suo art. 1.

 Sull’eccezione d’illegittimità dell’art.15, n. 2, del regolamento n. 17

27      Le ricorrenti sostengono che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 conferisca alla Commissione un potere discrezionale quasi illimitato riguardo alla fissazione dell’ammenda, il che sarebbe contrario al principio di legalità, definito all’art. 7, n. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, quale interpretato dai giudici europei.

28      Risulta dalla giurisprudenza della Corte che il principio di legalità delle pene è il corollario del principio di certezza del diritto, che costituisce un principio generale del diritto comunitario ed esige, in particolare, che ogni disciplina comunitaria, in particolare quando impone o permette di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano conoscere con certezza i loro diritti ed obblighi e possano regolarsi di conseguenza (v., in tal senso, sentenze della Corte 9 luglio 1981, causa 169/80, Gondrand Frères e Garancini, Racc. pag. 1931, punto 17; 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena, Racc. pag. 4587, punto 15; 13 febbraio 1996, causa C‑143/93, van Es Douane Agenten, Racc. pag. I‑431, punto 27, e 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, X, Racc. pag. I‑6609, punto 25).

29      Questo principio, che appartiene alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e che è stato sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7 della CEDU, si impone sia alle norme di carattere penale che agli strumenti amministrativi specifici che impongono o permettono di imporre sanzioni amministrative (v., in tal senso, sentenza Maizena, cit. supra punto 28, punti 14 e 15 e giurisprudenza ivi citata). Esso si applica non soltanto alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma altresì a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da una violazione delle prime (v., in tal senso, sentenza X, cit. supra punto 28, punti 22 e 25).

30      Risulta, peraltro, da una giurisprudenza costante che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali il giudice comunitario garantisce l’osservanza (parere della Corte 28 marzo 1996, 2/94, Racc. pag. I‑1759, punto 33, e sentenza della Corte 29 maggio 1997, causa C‑299/95, Kremzow, Racc. pag. I‑2629, punto 14). A tal fine la Corte e il Tribunale si ispirano alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un significato particolare (sentenze della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18, e Kremzow, cit., punto 14). Peraltro, ai sensi dell’art. 6, n. 2, UE «[l]’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [CEDU] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario» (sentenza della Corte 22 ottobre 2002, causa C‑94/00, Roquette Frères, Racc. pag. I‑9011, punti 23 e 24, e sentenza del Tribunale 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑729, punto 60).

31      Al riguardo, si deve ricordare il testo dell’art. 7, n. 1, della CEDU:

«Nessuno può essere condannato per una azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

32      Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte eur. D.U.»), da tale disposizione risulta che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, sulla base del testo della disposizione rilevante e, se necessario, mediante l’aiuto della sua interpretazione da parte dei giudici, quali atti o omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale (v. Corte eur. D.U., sentenza Coëme e a. c. Belgio del 22 giugno 2000, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑VII, pag. 1, § 145).

33      Inoltre, l’art. 7, n. 1, della CEDU non esige che i termini delle disposizioni in forza delle quali vengono inflitte tali sanzioni siano a tal punto precisi da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze che possono derivare dalla loro violazione. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., l’esistenza di termini vaghi nella disposizione non comporta necessariamente una violazione dell’art. 7 della CEDU e il fatto che una legge attribuisca un potere discrezionale non è di per sé in contraddizione con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un siffatto potere siano definite con chiarezza sufficiente, alla luce del fine legittimo in gioco, per fornire al singolo adeguata tutela contro l’arbitrio (v. Corte eur. D.U., sentenza Margareta e Roger Andersson c. Svezia del 25 febbraio 1992, serie A n. 226, § 75). Al riguardo, oltre al testo normativo stesso, la Corte eur. D.U. tiene conto del fatto se le nozioni indeterminate utilizzate siano state precisate da una giurisprudenza costante e pubblicata (v. Corte eur. D. U., sentenza G. c. Francia del 27 settembre 1995, serie A n. 325-B, § 25).

34      Quanto alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, nessun elemento consente al Tribunale di dare al principio generale di diritto comunitario costituito dal principio di legalità un’interpretazione diversa da quella risultante dalle considerazioni che precedono. Le ricorrenti si limitano infatti ad affermare, senza ulteriori precisazioni, che a livello nazionale nessuna autorità disporrebbe di poteri tali da consentire a quest’ultima di infliggere ammende in modo quasi illimitato.

35      Nella presente fattispecie, con riferimento alla legittimità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 rispetto al principio di legalità delle pene, quale riconosciuto dal giudice comunitario in conformità alle indicazioni fornite dalla CEDU e alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, si deve ritenere che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per la fissazione delle ammende per violazione delle regole di concorrenza.

36      Infatti, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 limita esso stesso il potere discrezionale della Commissione. Da un lato, nel precisare che «[l]a Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di [EUR 1 000] ad un massimo di [EUR 1 milione], con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione», esso prevede un tetto massimo per le ammende basato sul fatturato delle imprese interessate, vale a dire su un criterio oggettivo. Pertanto, pur non esistendo un tetto massimo assoluto applicabile a tutte le infrazioni alle regole di concorrenza, l’ammenda che può essere inflitta ha tuttavia un tetto massimo determinabile e assoluto, calcolato in rapporto a ciascuna impresa, per ciascuna ipotesi di infrazione, cosicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a un’impresa determinata è determinabile anticipatamente. Dall’altro, tale disposizione impone alla Commissione di fissare le ammende in ogni singolo caso, tenendo «conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».

37      Anche se questi due criteri lasciano alla Commissione un ampio potere discrezionale, si tratta nondimeno di criteri adottati da altri legislatori per disposizioni analoghe, che consentono alla Commissione di adottare sanzioni tenendo conto del grado di illegittimità del comportamento di cui trattasi.

38      Si deve constatare che nel prevedere, in caso di infrazione alle regole della concorrenza, ammende per un importo variabile da un minimo di EUR 1 000 al 10% del fatturato dell’impresa interessata il Consiglio non ha lasciato alla Commissione un eccessivo margine di manovra. In particolare, si deve considerare ragionevole il tetto rappresentato dal 10% del fatturato dell’impresa interessata, tenuto conto degli interessi difesi dalla Commissione nell’ambito del perseguimento e sanzionamento di tali infrazioni.

39      Al riguardo è importante ricordare che le sanzioni previste all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in caso di violazione degli artt. 81 CE e 82 CE, costituiscono uno strumento chiave di cui dispone la Commissione per assicurare la realizzazione, nella Comunità, di un «regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno» [art. 3, n. 1, lett. g), CE]. Questo regime consente alla Comunità di adempiere alla propria missione, consistente nel promuovere nell’insieme della Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune, in particolare uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e un alto grado di competitività (art. 2 CE). Tale regime è inoltre necessario per l’adozione nella Comunità di una politica economica condotta conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, nn. 1 e 2, CE). In tal senso, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 consente la realizzazione di un regime rispondente agli scopi fondamentali della Comunità.

40      Si deve pertanto ritenere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, pur lasciando alla Commissione un certo margine di discrezionalità, definisce i criteri e i limiti ad essa imposti nell’esercizio del suo potere di infliggere ammende.

41      Si deve inoltre osservare che, per fissare ammende ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, in particolar modo i principi della parità di trattamento e di proporzionalità, quali interpretati dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale. Occorre altresì aggiungere che, ai sensi dell’art. 229 CE e dell’art. 17 del regolamento n. 17, queste due giurisdizioni statuiscono con competenza anche di merito sui ricorsi proposti avverso le decisioni con le quali la Commissione fissa ammende e possono pertanto non solo annullare le decisioni adottate dalla Commissione, ma altresì eliminare, ridurre o maggiorare l’ammenda inflitta. In tal senso, la prassi amministrativa della Commissione è soggetta al controllo anche di merito del giudice comunitario. Contrariamente alle affermazioni delle ricorrenti, tale controllo non conduce il giudice comunitario, al quale, a loro avviso, il compito del legislatore sarebbe stato delegato, ad oltrepassare le proprie competenze in violazione dell’art. 7, n. 1, CE, tenuto conto che, da un lato, un siffatto controllo è espressamente previsto dalle disposizioni sopra citate, la cui validità non viene contestata, e che, dall’altro, il giudice comunitario lo esercita nel rispetto dei criteri indicati all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.

42      Peraltro, sulla base dei criteri stabiliti all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e precisati nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale, la Commissione stessa ha sviluppato una prassi decisionale pubblicamente conosciuta e accessibile. Anche se la precedente prassi decisionale della Commissione non funge, di per sé, da contesto normativo per le ammende in materia di concorrenza (sentenze della Corte 21 settembre 2006, causa C‑167/04 P, JCB Service/Commissione, Racc. pag. I‑8935, punti 201 e 205, e 7 giugno 2007, causa C‑76/06 P, Britannia Alloys & Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4405, punto 60), resta il fatto che, in forza del principio della parità di trattamento, che costituisce un principio generale di diritto che la Commissione è tenuta a rispettare, quest’ultima non può trattare situazioni analoghe in maniera differente o situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309).

43      Secondo costante giurisprudenza, la Commissione può, certamente, sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di un’efficace applicazione della disciplina comunitaria della concorrenza (sentenza della Corte 7 giugno 1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 109, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 237), nel qual caso una siffatta modifica di una prassi amministrativa può essere considerata oggettivamente giustificata dall’obiettivo di prevenzione generale delle infrazioni alle regole comunitarie di concorrenza. Il recente aumento del livello delle ammende dedotto e contestato dalle ricorrenti non può quindi, di per sé, essere considerato illegittimo rispetto al principio di legalità delle pene, dal momento che esso rimane nell’ambito legale definito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 quale interpretato dai giudici comunitari.

44      Si deve, inoltre, tener conto del fatto che, in un’ottica di trasparenza e ai fini di una maggiore certezza del diritto per le imprese interessate, la Commissione ha pubblicato gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, [CA] (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti»), nei quali indica il metodo di calcolo che l’istituzione si è fissata per ogni caso di specie. Al riguardo, la Corte ha peraltro considerato che adottando siffatte norme di comportamento e annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in poi applicate alle fattispecie cui si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio del suo potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, sotto pena di sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento. Inoltre, gli orientamenti, pur non costituendo il fondamento normativo della Decisione, stabiliscono, in modo generale e astratto, la metodologia che la Commissione si è imposta ai fini della determinazione dell’ammontare delle ammende inflitte da detta Decisione e garantiscono, di conseguenza, la certezza del diritto nei confronti delle imprese (sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, causa C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 211 e 213). Ne consegue che l’adozione degli orientamenti da parte della Commissione, dal momento che rientra nell’ambito legale imposto dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, ha soltanto contribuito a precisare i limiti dell’esercizio del potere discrezionale della Commissione già risultante da tale disposizione, senza che se ne possa dedurre l’insufficiente determinazione iniziale, da parte del legislatore comunitario, dei limiti della competenza della Commissione nel settore in parola.

45      Quindi alla luce dei diversi elementi sopra rilevati, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può prevedere con sufficiente precisione il metodo e l’ordine di grandezza delle ammende nelle quali può incorrere per un dato comportamento. Il fatto che tale operatore non sia in grado di conoscere con precisione, in anticipo, il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere nel singolo caso di specie non è tale da costituire una violazione del principio di legalità delle pene, tenuto conto del fatto che, in base alla gravità delle infrazioni che la Commissione è chiamata a sanzionare, gli obiettivi di repressione e di dissuasione giustificano l’intento di evitare che le imprese siano in grado di valutare i vantaggi che esse trarrebbero dalla loro partecipazione ad un’infrazione tenendo conto, in anticipo, dell’importo dell’ammenda che verrebbe loro inflitta a causa di tale comportamento illecito.

46      A tale riguardo, anche se le imprese non sono in grado di conoscere con precisione in anticipo il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere nel singolo caso di specie, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 253 CE, nella decisione di infliggere un’ammenda la Commissione è tenuta, e ciò malgrado il contesto della decisione generalmente conosciuto, a fornire una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto al riguardo. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo.

47      Infine, deve essere considerato infondato l’argomento secondo il quale, nel definire l’ambito dell’ammenda attraverso l’adozione delle disposizioni dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, il Consiglio sarebbe venuto meno al proprio obbligo di indicare chiaramente i limiti della competenza attribuita alla Commissione e, di fatto, avrebbe trasferito a quest’ultima una competenza ad esso appartenente in forza del Trattato, in violazione degli artt. 83 CE e 229 CE.

48      Da un lato, come già precedentemente esposto, anche se l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 lascia alla Commissione un ampio potere discrezionale, esso ne limita tuttavia l’esercizio, stabilendo criteri oggettivi ai quali la Commissione deve attenersi. Dall’altro, si deve ricordare che il regolamento n. 17 è stato adottato in base all’art. 83, n. 1, CE, il quale prevede che «[i] regolamenti e le direttive utili ai fini dell’applicazione dei principi contemplati dagli articoli 81 [CE] e 82 [CE] sono stabiliti dal Consiglio (…) su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo». Tali regolamenti o direttive hanno in particolare lo scopo, ai sensi dell’art. 83, n. 2, lett. a) e d), CE, rispettivamente, di «garantire l’osservanza dei divieti di cui all’articolo 81, paragrafo 1, [CE] e all’articolo 82 [CE], comminando ammende e penalità di mora» e di «definire i rispettivi compiti della Commissione e della Corte di giustizia nell’applicazione delle disposizioni contemplate dal presente paragrafo». Si deve ricordare, peraltro, che ai sensi dell’art. 211, primo trattino, CE la Commissione «vigila sull’applicazione delle disposizioni del presente trattato e delle disposizioni adottate dalle istituzioni in virtù del trattato stesso» e che essa dispone, in forza del terzo trattino di questo stesso articolo, di «un proprio potere di decisione».

49      Ne risulta che il potere di infliggere ammende in caso di violazione degli artt. 81 CE e 82 CE non può essere considerato originariamente appartenente al Consiglio, che l’avrebbe trasferito o ne avrebbe delegato l’esercizio alla Commissione, ai sensi dell’art. 202, terzo trattino, CE. In conformità alle disposizioni del Trattato precedentemente citate, tale potere è infatti connaturato al ruolo, proprio della Commissione, di vigilare sull’applicazione del diritto comunitario, ruolo che è stato precisato, delimitato e formalizzato, relativamente all’applicazione degli artt. 81 CE e 82 CE, dal regolamento n. 17. Il potere di infliggere ammende che tale regolamento attribuisce alla Commissione deriva quindi dalle previsioni del Trattato stesso ed è volto a consentire l’applicazione effettiva dei divieti previsti nei detti articoli (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 133). Pertanto, l’argomento delle ricorrenti dev’essere respinto.

50      Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’eccezione di illegittimità sollevata riguardo all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 deve essere respinta in quanto infondata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑43/02, Jungbunzlauer/Commissione, Racc. pag. II‑3435, punti 69-92, e 5 aprile 2006, causa T‑279/02, Degussa/Commissione, Racc. pag. II‑897, punti 66-88).

51      Occorre, infine, sottolineare che le ricorrenti deducono, «in subordine», che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 potrebbe essere considerato compatibile con il principio di legalità se la Commissione lo interpretasse in modo restrittivo, ciò che essa non sarebbe disposta a fare.

52      Si deve, al riguardo, constatare che le ricorrenti si limitano a formulare considerazioni generali sul modo in cui la Commissione dovrebbe, in linea generale, modificare la propria politica in tema di ammende sviluppando una prassi decisionale trasparente e coerente, ma non deducono alcuna censura concreta avverso la Decisione.

 Sulla responsabilità congiunta e solidale della Schunk GmbH e della SKT

53      Si deve osservare, in limine, che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, le considerazioni per le quali la Schunk GmbH è stata resa destinataria della decisione sono chiaramente indicate nella medesima.

54      Dal punto 257 della Decisione risulta che la Commissione ha ritenuto che «anche se la [SKT] è stata la persona giuridica che ha direttamente partecipato all’intesa, la Schunk GmbH, quale società controllante al 100%, era capace di esercitare un’influenza determinante sulla politica commerciale della [SKT] all’epoca dell’infrazione, e si può presumere che essa abbia effettivamente influenzato la sua partecipazione all’intesa». La Commissione ha quindi considerato che queste due imprese «form[av]ano l’unità economica che fabbrica[va] e vende[va] prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche nel SEE e che ha partecipato all’intesa» e che esse dovevano pertanto essere dichiarate congiuntamente e solidalmente responsabili dell’infrazione commessa.

55      Si deve al riguardo ricordare che il comportamento anticoncorrenziale di un’impresa può essere imputato ad un’altra allorché essa non decide in modo autonomo quale debba essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele da quest’ultima, alla luce, in particolare, dei vincoli economici e giuridici che intercorrono tra loro (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑294/98 P, Metsä-Serla e a./Commissione, Racc. pag. I‑10065, punto 27, e Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punto 117). Pertanto, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante allorché la controllata non decide in modo autonomo quale debba essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele dalla società controllante, in modo che queste due imprese costituiscono un’unità economica (sentenza della Corte 14 luglio 1972, causa 48/69, ICI/Commissione, Racc. pag. 619, punti 133 e 134).

56      Nell’ipotesi particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della sua controllata, autrice del comportamento infrazionale, sussiste una presunzione semplice secondo la quale detta società controllante esercita un influsso determinante sul comportamento della sua controllata (v., in tal senso, sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punto 50, e sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T‑305/94 a T‑307/94, da T‑313/94 a T‑316/94, T‑318/94, T‑325/94, T‑328/94, T‑329/94 e T‑335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta «PVC II», Racc. pag. II‑931, punti 961 e 984), e che esse costituiscono quindi una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE (sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T‑71/03, T‑74/03, T‑87/03 e T‑91/03, Tokai Carbon e a./Commissione; in prosieguo: la «sentenza Tokai II», punto 59). Spetta, quindi, alla società controllante che impugna dinanzi al giudice comunitario una decisione della Commissione di infliggerle un’ammenda per un comportamento commesso dalla sua controllata invertire tale presunzione fornendo elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia di quest’ultima (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T‑314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II‑3085, punto 136; v. altresì, in tal senso, sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I‑9925; in prosieguo: la «sentenza Stora», punto 29).

57      Al riguardo si deve sottolineare che, se è vero che la Corte, ai punti 28 e 29 della sentenza Stora, cit. supra punto 56, menziona, all’infuori della detenzione del 100% del capitale della controllata, altre circostanze quali la non contestazione dell’influsso esercitato dalla società controllante sulla politica commerciale della sua controllata e la comune rappresentanza delle due società durante il procedimento amministrativo, nondimeno dette circostanze sono state rilevate dalla Corte soltanto al fine di esporre tutti gli elementi sui quali il Tribunale aveva basato il suo ragionamento per dichiarare che quest’ultimo non era fondato unicamente sulla circostanza che la società controllante detenesse l’intero capitale della controllata. Pertanto, il fatto che la Corte abbia confermato la valutazione del Tribunale in tale procedimento non può avere la conseguenza di modificare il principio sancito all’art. 50 della sentenza AEG/Commissione, cit. supra punto 56. Si deve aggiungere che la Corte indica espressamente, al punto 29 della sentenza Stora, cit. supra punto 56, che, «detenendo la ricorrente l’intero capitale della controllata, il Tribunale poteva legittimamente presumere, come osservato dalla Commissione, che la società controllante esercitasse effettivamente un influsso determinante sul comportamento della propria controllata» e che, in siffatte circostanze, spettava alla ricorrente invertire tale «presunzione» mediante idonei elementi di prova.

58      Nel caso in esame la Schunk GmbH ha espressamente confermato, in udienza e in risposta a un quesito del Tribunale, che all’epoca dell’infrazione essa controllava la SKT al 100% e si deve pertanto presumere che essa esercitasse effettivamente un influsso determinante sul comportamento della sua controllata, salvo possibile inversione della presunzione da parte della Schunk GmbH mediante l’apporto di elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia della SKT.

59      Dalle memorie della Schunk GmbH emerge che la sua tesi relativa all’autonomia della SKT si fonda essenzialmente sull’affermazione della sua natura specifica, vale a dire sul fatto di essere una holding. La Schunk GmbH ne deduce l’indipendenza funzionale della SKT ed eccepisce, inoltre, l’indipendenza organica di quest’ultima, il che sarebbe in contraddizione con l’affermazione della Commissione secondo la quale la Schunk GmbH e la SKT costituirebbero un’unità economica e avrebbero agito, nella specie, come un’impresa ai sensi dell’art. 81 CE.

60      La nozione di holding include diverse fattispecie, ma, in linea generale, una holding può essere definita come una società detentrice di partecipazioni in una o più società ai fini del loro controllo.

61      Al punto 260 della Decisione, la Commissione ricorda il testo dell’art. 3 dello statuto della Schunk GmbH, ai sensi del quale «oggetto dell’impresa è l’acquisto, la vendita, l’amministrazione, in particolare la gestione strategica di partecipazioni industriali».

62      Anche se questa definizione dell’oggetto sociale della Schunk GmbH avvalora la sua affermazione secondo la quale sarebbe soltanto una holding finanziaria, che non eserciterebbe alcuna attività industriale o commerciale, l’espressione «gestione strategica di partecipazioni industriali» è sufficientemente generica per comprendere e consentire, in concreto, un’attività di gestione e di direzione delle controllate. Occorre rilevare che questo stesso art. 3 dello statuto della Schunk GmbH prevede altresì che «[l]a società può adottare tutte le misure idonee a conseguire, direttamente o indirettamente, l’oggetto» definito al punto precedente.

63      Inoltre, nel contesto di un gruppo di società, come nella specie, una holding è una società volta a raggruppare partecipazioni in diverse società e la cui funzione consiste nell’assicurarne l’unità di direzione. Risulta dal punto 30 della Decisione che la Schunk GmbH è la principale società controllante del gruppo Schunk, che comprende più di 80 controllate e che essa è «responsabile, fra l’altro, della divisione ‘grafite e ceramiche’ del gruppo, che si occupa in particolare dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche».

64      L’esistenza di un’unità di direzione e coordinamento è attestata dalle modalità con cui la SKT ha definito e presentato il suo fatturato per l’anno 1998 alla Commissione, rilevando di avere il diritto di escludere dallo stesso il valore delle spazzole pre-installate sui porta-spazzole.

65      Infatti, al punto 262 della Decisione, la Commissione rileva quanto segue:

«[Q]uesti porta-spazzole sono fabbricati dalla Schunk Metall- und Kunststofftechnik GmbH, un’altra controllata del gruppo Schunk. Se la [SKT] avesse davvero perseguito una politica commerciale autonoma, essa avrebbe sistematicamente incluso nei dati relativi al suo fatturato le vendite di queste spazzole alla Schunk Metall-und Kunststofftechnik GmbH. Il fatto che essa abbia proposto di non procedere in tal senso dimostra che essa ritiene si trattasse di vendite determinanti un trasferimento ad un’altra società del gruppo, soggetta al controllo di entità giuridiche con posizione superiore all’interno del gruppo Schunk, e non di vendite autonome ad un acquirente indipendente. Infatti la [SKT] ha qualificato tali vendite alla Schunk Metall- und Kunststofftechnik GmbH come “fatturato interno” e “proprio utilizzo”».

66      La situazione così descritta rivela un’innegabile presa in considerazione degli interessi del gruppo e contrasta con l’affermazione di una totale indipendenza della SKT. Occorre inoltre sottolineare l’importanza della controllata SKT per il gruppo Schunk e in particolare per la Schunk GmbH, detentrice del 100% del capitale della SKT. Infatti, se per il 2002 il gruppo presentava un fatturato consolidato pari a EUR 584 milioni, la SKT realizzava, lo stesso anno, un fatturato complessivo di EUR 113,6 milioni.

67      Oltre al testo dell’art. 3 dello statuto della Schunk GmbH, la Commissione fa riferimento alla particolare forma giuridica della SKT, costituita come società a responsabilità limitata (Gesellschaft mit beschränkter Haftung, GmbH). La Schunk GmbH non ha contestato il testo del punto 259 della Decisione, che così recita:

«In forza del diritto societario tedesco [i soci] di una società (...) a responsabilità limitata (GmbH) controllano rigorosamente la direzione della GmbH. Tra l’altro, essi nominano e revocano i direttori generali della GmbH. Essi adottano altresì le misure necessarie a valutare e controllare il modo in cui la GmbH è diretta. Inoltre, i direttori generali della GmbH sono tenuti, su domanda di qualsiasi [socio], a fornire immediatamente le informazioni riguardanti le attività della società e a consentire l’accesso alla sua contabilità e documentazione».

68      Dal punto di vista organico, la Schunk GmbH afferma che non vi è nessuna connessione personale tra le due società, nel senso di «strutture personali comuni a più società come, ad esempio, una stessa persona che eserciti le funzioni di membro del consiglio di amministrazione in più società contemporaneamente e per un periodo relativamente lungo, o nomine reciproche nella direzione o nel consiglio di amministrazione».

69      Si deve tuttavia rilevare che la Schunk GmbH non fornisce alcuna prova documentale a sostegno delle sue affermazioni, prove che potrebbero tuttavia essere prodotte, trattandosi, in particolare, dell’elenco nominativo dei membri degli organi statutari delle due imprese all’epoca dell’infrazione.

70      Pertanto, il fatto che l’oggetto sociale della Schunk GmbH consenta di concludere che quest’ultima costituiva effettivamente una holding, il cui ruolo era, statutariamente, quello di gestire le sue partecipazioni nel capitale di altre società, non è di per sé sufficiente ad invertire la presunzione derivante dalla detenzione dell’intero capitale sociale della SKT.

71      Questa conclusione rende inutile l’esame dell’efficacia probatoria di un indizio menzionato al punto 261 della Decisione che dimostrerebbe come la direzione della Schunk GmbH non potesse ignorare la partecipazione della SKT agli accordi restrittivi della concorrenza, vale a dire il ruolo avuto da M. F., il cui nome figurava nell’elenco di indirizzi in possesso di un rappresentante della Morgan e che, in seguito, è divenuto direttore generale della Schunk GmbH.

72      Occorre peraltro rilevare che il raffronto effettuato dalla Schunk GmbH con la situazione della Hoffmann e il trattamento autonomo di cui quest’ultima è stata oggetto da parte della Commissione è del tutto irrilevante, dal momento che la Commissione ha affermato la responsabilità specifica di tale società per il periodo compreso tra il settembre 1994 e l’ottobre 1999, vale a dire anteriormente al suo acquisto da parte della Schunk GmbH.

73      A parere della Schunk GmbH, infine, affinché una società controllante possa essere ritenuta responsabile di un’infrazione commessa dalla sua controllata, è necessario che venga accertata nei confronti della prima una violazione personale delle norme di concorrenza e che l’imputazione di un’infrazione ad una persona diversa da quella che l’ha commessa violerebbe il principio di responsabilità individuale che esige che un soggetto di diritto possa essere sanzionato soltanto qualora gli si possa imputare un’infrazione personale.

74      È sufficiente constatare che l’argomento della Schunk GmbH si basa su una premessa erronea, secondo la quale nessuna infrazione sarebbe stata accertata nei suoi confronti. Al contrario, dal punto 257 e dall’art. 1 della Decisione risulta che la Schunk GmbH è stata personalmente condannata per un’infrazione di cui essa stessa è stata ritenuta autrice a causa dei vincoli economici e giuridici che la univano alla SKT e che le consentivano di determinare il comportamento di quest’ultima sul mercato (v., in tal senso, sentenza Metsä-Serla e a./Commissione, cit. supra punto 55, punto 34).

75      Dalle considerazioni che precedono risulta che la Schunk GmbH non ha dimostrato che la Commissione abbia commesso un errore nel dichiararla congiuntamente e solidalmente responsabile, con la SKT, del pagamento dell’ammenda di EUR 30,87 milioni.

76      Di conseguenza, l’affermazione secondo la quale la Commissione avrebbe applicato in modo erroneo l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 tenendo conto del fatturato mondiale della Schunk GmbH, considerata erroneamente responsabile congiuntamente e solidalmente con la SKT, dev’essere respinta in quanto basata su una premessa errata.

 Sulle contestazioni dell’infrazione

–       Considerazioni preliminari

77      Come già rilevato, l’argomento delle ricorrenti sviluppato a sostegno del motivo relativo alla violazione, da parte della Commissione, dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento nella fissazione dell’importo dell’ammenda implica, in realtà, contestazioni dell’infrazione accertata dalla Commissione e solleva, pertanto, la questione della responsabilità delle imprese di cui trattasi.

78      In tal senso, le ricorrenti sostengono che la Commissione ha erroneamente ritenuto:

–        che le imprese coinvolte nel cartello avessero concordato di rinunciare alla pubblicità e alla partecipazione a esposizioni;

–        che la SKT avesse partecipato agli accordi riguardanti il divieto di consegna di blocchi di carbonio a tagliatori;

–        che i prodotti e i clienti dei settori dei componenti automobilistici e dei beni di consumo fossero stati oggetto di accordi anticoncorrenziali;

–        che le imprese interessate avessero seguito un «piano globale volto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese», mentre un siffatto piano non è mai esistito o ha potuto essere concepito e realizzato soltanto dalla SGL e dalla Morgan, all’insaputa delle ricorrenti;

–        che le imprese interessate avessero fatto ricorso ad un meccanismo altamente sofisticato per il controllo e l’esecuzione dei propri accordi.

79      Avverso tali asserzioni, la Commissione rileva che le ricorrenti non hanno contestato, nella loro risposta alla comunicazione degli addebiti, la realtà di alcuni fatti indicati in detta comunicazione, i quali vengono contestati per la prima volta nel ricorso di annullamento proposto dinanzi al Tribunale. Orbene, secondo la giurisprudenza, i fatti riconosciuti nel corso del procedimento amministrativo devono essere considerati accertati e non possono più essere contestati dinanzi al giudice.

80      Si deve ricordare, al riguardo, che la comunicazione degli addebiti, che è volta a garantire alle imprese che ne sono destinatarie l’efficace esercizio dei diritti della difesa, ha l’effetto di circoscrivere l’oggetto del procedimento avviato contro un’impresa, in quanto determina la posizione della Commissione nei confronti di detta impresa, e che l’istituzione non può inserire nella sua decisione addebiti che non figurino nella comunicazione (v., in tal senso, sentenze della Corte 14 luglio 1972, causa 54/69, Francolor/Commissione, Racc. pag. 851, punto 12, e 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punto 86).

81      È, segnatamente, in base alle risposte alla comunicazione degli addebiti fornite dalle imprese destinatarie di quest’ultima che la Commissione deve stabilire la sua posizione circa il seguito del procedimento amministrativo.

82      L’istituzione ha, da un lato, il potere ed eventualemnte il dovere di effetuare nuove indagini se dallo svolgimento del procedimento amministrativo risulta la necessità di ulteriori accertamenti (sentenza della Corte 14 luglio 1972, causa 52/69, Geigy/Commissione, Racc. pag. 787, punto 14), che possono indurre la Commissione a inviare alle imprese interessate un’ulteriore comunicazione degli addebiti.

83      Essa può, d’altro lato, ritenere, tenuto conto delle risposte alla comunicazione degli addebiti e, più in particolare, dell’ammissione da parte delle imprese interessate dei fatti ad esse contestati, nonché degli elementi raccolti nel corso dell’indagine, di poter adottare una decisione definitiva che segni il termine del procedimento amministrativo e dei propri obblighi relativi alla determinazione e alla prova dei fatti integranti le infrazioni di cui trattasi. In tale decisione la Commissione definisce le responsabilità delle imprese interessate e fissa l’importo delle ammende inflitte, eventualmente, a queste ultime.

84      In tale contesto la Corte ha dichiarato al punto 37 della sentenza 16 novembre 2000, causa C‑297/98 P, SCA Holding/Commissione (Racc. pag. I‑10101), che, in mancanza di un espresso riconoscimento da parte dell’impresa di cui trattasi, la Commissione deve ancora dimostrare i fatti, mentre l’impresa resterebbe libera, al momento opportuno e in particolare nell’ambito del procedimento contenzioso, di produrre tutti i mezzi di difesa che ritenga utili. Ne consegue che, per contro, ciò non avverrebbe in presenza di un riconoscimento dei fatti da parte dell’impresa in questione (sentenze del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, punto 227; 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181; in prosieguo: la «sentenza Tokai I», punto 108; v. altresì, in tal senso, sentenza Tokai II, cit. supra punto 56, punti 324 e 326).

85      Questa giurisprudenza non è volta a limitare la possibilità di proporre ricorsi contenziosi di un’impresa sanzionata dalla Commissione, ma a delimitare l’ambito della contestazione che può essere presentata dinanzi al giudice, al fine di evitare qualsiasi spostamento dalla Commissione verso il Tribunale dell’accertamento dei fatti alla base dell’infrazione di cui trattasi, ricordando che quest’ultimo, quando è investito di un ricorso fondato sull’art. 230 CE, è competente a controllare la legittimità della decisione che infligge la sanzione e a modificare, eventualmente, quest’ultima in forza della sua competenza giurisdizionale anche di merito (ordinanza del Tribunale 9 novembre 2004, causa T‑252/03, FNICGV/Commissione, Racc. pag. II‑3795, punto 24).

86      Nella specie, il 23 maggio 2003 la Commissione ha inviato una comunicazione degli addebiti alle ricorrenti, lasciando a queste ultime un termine di otto settimane per esaminarla e formulare una risposta. Nel corso di questo periodo le ricorrenti, assistite dai loro consulenti, hanno potuto esaminare gli addebiti mossi nei loro confronti dalla Commissione e decidere consapevolmente la posizione da adottare, tenuto conto altresì del tenore letterale della comunicazione sulla cooperazione.

87      Nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti la Schunk GmbH indica di non contestare i fatti materiali né la qualificazione giuridica di questi ultimi quali intesa vietata e/o pratica concordata, bensì il fatto che venga ad essa imputata un’infrazione al diritto della concorrenza commessa dalla SKT. La risposta della Schunk GmbH è volta quindi a contestare una responsabilità solidale e congiunta con la SKT.

88      Riguardo alla SKT, la sua risposta è articolata in modo particolare, nel senso che essa contiene un’introduzione nella quale si fa presente, in modo generale, quanto segue:

«la [SKT] non contesta i fatti materiali (…). Essa non contesta nemmeno la qualificazione giuridica di tali fatti quali intesa vietata e/o pratica concordata. La [SKT] si oppone soltanto, nelle presenti osservazioni, ad alcune valutazioni dei fatti e alle conclusioni in diritto della Commissione. Integreremo pertanto l’esposizione dei fatti in alcuni punti».

89      La formulazione scelta rivela l’espressione di un riconoscimento globale esplicito non solo dei fatti esposti ma anche delle qualificazioni giuridiche di questi ultimi figuranti nella comunicazione degli addebiti, accompagnata, tuttavia, da una riserva riguardante alcuni fatti e alcune conclusioni in diritto che la Commissione ha potuto trarre da questi ultimi.

90      Occorre, al riguardo, sottolineare che la Commissione ha concesso alla Schunk una riduzione del 10% dell’importo dell’ammenda, quantum precisato in udienza, ai sensi del punto D, n. 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, che prevede il beneficio di una siffatta riduzione se, «dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, [l’]impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

91      Si deve quindi verificare se le contestazioni menzionate al precedente punto 78 includano le riserve espresse dalla SKT nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti.

–       Sul divieto di pubblicità

92      La Commissione sostiene che le ricorrenti contestano per la prima volta nell’atto introduttivo del ricorso l’esistenza di un accordo relativo alla pubblicità e alla partecipazione a esposizioni, espressamente indicato nella comunicazione degli addebiti, mentre le ricorrenti sostengono di non aver mai riconosciuto l’esattezza di tale fatto nel corso del procedimento amministrativo.

93      Si deve constatare che la questione relativa al divieto di pubblicità è chiaramente citata nei punti 106 e 107 della comunicazione degli addebiti. Infatti, la Commissione dichiara che i membri del cartello avevano concordato di non fare pubblicità e di non partecipare a fiere ed esposizioni (punto 106) e fa riferimento al fatto che il comitato tecnico, nel corso della sua riunione del 3 aprile 1998, ha constatato, sotto la rubrica «Disposizioni in materia di pubblicità» che «la Morgan Cupex e la Pantrak hanno pubblicizzato spazzole in carbonio, ciò che non è autorizzato» (punto 107).

94      Si deve ricordare che, nelle loro risposte alla comunicazione degli addebiti, la SKT e la Schunk GmbH hanno fatto presente di non contestare i fatti materiali né la qualificazione giuridica di tali fatti quali intesa vietata e/o pratica concordata, con riserva, da parte della SKT, di talune valutazioni e conclusioni della Commissione menzionate ai punti 3-33 della sua risposta. Orbene, in detti punti non si fa alcun riferimento alle valutazioni e conclusioni della Commissione riguardanti il divieto di pubblicità.

95      Si deve pertanto ritenere che le ricorrenti abbiano chiaramente riconosciuto l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale sul divieto di pubblicità, che non può più essere contestato, per la prima volta, dinanzi al Tribunale.

–       Sulla fornitura di blocchi di carbonio

96      La SKT sostiene, contrariamente alle affermazioni della Commissione, di non aver partecipato agli accordi riguardanti il divieto di fornitura di blocchi di carbonio a tagliatori.

97      Risulta dalla Decisione che tale censura si basa su una lettura parziale ed erronea di quest’ultima e non può pertanto essere esaminata come un’effettiva contestazione tardiva dei fatti addebitati.

98      Al punto 154 della Decisione, la Commissione spiega che, oltre a vendere prodotti finiti in carbonio, come le spazzole di carbonio, i membri del cartello vendevano altresì blocchi di carbonio pressato, non ancora tagliati né lavorati per la fabbricazione di spazzole o altri prodotti. Un certo numero di tagliatori non membri dell’intesa acquistano questi blocchi di carbonio, li tagliano e li trasformano in prodotti finiti che vendono ai clienti. Pur essendo clienti dei membri del cartello, questi tagliatori rappresentano per essi anche una fonte di concorrenza per i prodotti finiti.

99      Dai punti 154-166 della Decisione risulta che la politica del cartello mirava a limitare la concorrenza che i tagliatori potevano esercitare per i prodotti finiti fabbricati a partire da tali blocchi, e ciò rifiutando di rifornirli oppure, nel caso fossero già riforniti, fissando elevati livelli di prezzo per i blocchi di carbonio consegnati.

100    Al punto 161 della Decisione, la Commissione imputa chiaramente alla Schunk di avere rifornito i tagliatori applicando i prezzi previamente convenuti con gli altri membri del cartello, fatto che le ricorrenti non contestano nei loro scritti. L’affermazione delle ricorrenti della loro mancata partecipazione agli accordi riguardanti il divieto di consegna di blocchi di carbonio è pertanto del tutto irrilevante.

101    Ne consegue che la Commissione ha giustamente considerato che le ricorrenti avevano violato l’art. 81 CE partecipando ad un complesso di accordi anticoncorrenziali comprendenti, in particolare, accordi sui prezzi dei blocchi di carbonio destinati ai tagliatori.

–       Sulle pratiche anticoncorrenziale riguardanti i produttori di componenti automobilistici e i produttori di beni di consumo

102    Secondo le ricorrenti, dal fascicolo del procedimento e dalla Decisione stessa risulta che i prodotti e i clienti dei settori di attività riguardanti i componenti automobilistici e i beni di consumo non erano oggetto degli accordi anticoncorrenziali. Esse non avrebbero peraltro riconosciuto l’esistenza di tale accordi, relativi ai detti settori, nell’ambito del procedimento amministrativo.

103    La Commissione rileva che i due settori di attività di cui trattasi sono stati chiaramente descritti al punto 11 della comunicazione degli addebiti e che l’infrazione relativa a tali settori non consiste nell’applicazione del sistema dei prezzi obiettivo, ma nella concertazione dei membri del cartello sugli argomenti da utilizzare per rifiutare riduzioni di prezzo nel corso delle trattative con gli operatori di detti settori, il che risultava già dai punti 91 e 94 della comunicazione degli addebiti.

104    La Commissione aggiunge che la SKT ha riconosciuto tali fatti al punto 24 della propria risposta alla comunicazione degli addebiti, in cui si afferma quanto segue:

«Nel settore delle spazzole di carbonio e dei moduli per il settore dell’industria automobilistica, e per la fabbricazione di elettrodomestici e macchine utensili, i produttori si trovavano di fronte clienti importanti che disponevano di un notevole potere d’acquisto e che potevano servirsi dei produttori gli uni contro gli altri. Tali clienti non sono mai stati oggetto di un accordo generalizzato nell’ambito delle riunioni dell’intesa a livello europeo. Hanno avuto luogo, certamente, alcuni colloqui. Ma essi sono stati condotti esclusivamente allo scopo di rendere possibile uno scambio reciproco di argomentazioni tra i produttori al fine di poterle opporre ai grossi clienti che esigevano riduzioni di prezzo».

105    Sembra, pertanto, che se la SKT, da un lato, nega l’esistenza di un accordo sui prezzi, essa ammette, dall’altro, l’esistenza di una concertazione illecita tra le imprese coinvolte nel cartello avente ad oggetto il livello dei prezzi dei prodotti destinati ai produttori di componenti automobilistici e di beni di consumo, fatto che non può più essere contestato per la prima volta dinanzi al Tribunale.

106    Le ricorrenti contestano, tuttavia, che le dichiarazioni che figurano al punto 24 della risposta della SKT alla comunicazione degli addebiti possano essere comprese e qualificate quale riconoscimento espresso di un’infrazione all’art. 81 CE.

107    Anche ammesso che, tenuto conto di una certa imprecisione della comunicazione degli addebiti circa la natura e la qualificazione giuridica esatta del comportamento illecito addebitato, le suddette dichiarazioni possano non essere considerate quali riconoscimento espresso dei fatti imputati, la censura delle ricorrenti relativa alla mancanza di infrazione nel settore della produzione di componenti automobilistici e beni di consumo dovrebbe essere sì considerata ricevibile, ma dovrebbe essere, in ogni caso, respinta in quanto infondata.

108    Si deve osservare che dalla Decisione risulta che la Commissione ha considerato che il comportamento delle varie imprese coinvolte nell’intesa integri un’infrazione unica e continuata, progressivamente concretizzatasi mediante accordi e/o pratiche concordate.

109    In tal senso, l’art. 1 della Decisione enuncia che le imprese interessate, tra cui le ricorrenti, hanno violato l’art. 81, n. 1, CE nel partecipare «ad un insieme di accordi e pratiche concordate» nel settore dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche. Si deve al riguardo ricordare che, nell’ambito di una violazione complessa, la quale ha coinvolto vari produttori che durante parecchi anni hanno perseguito un obiettivo di controllo in comune del mercato, non si può pretendere da parte della Commissione che essa qualifichi esattamente la violazione, per ognuna delle imprese e in ogni dato momento, come accordo o come pratica concordata, dal momento che, in ogni caso, l’una e l’altra di tali forme di violazione sono previste dall’art. 81 CE (sentenza PVC II, di cui al precedente punto 56, punto 696).

110    Con riferimento alle attività illecite riguardanti i produttori di componenti automobilistici e di beni di consumo, la Commissione precisa, al punto 40 della Decisione, che essi fanno parte della prima categoria dei «clienti importanti» per i prodotti destinati ad applicazioni elettriche e si distinguono per il loro numero limitato, per gli acquisti in gran quantità e per il grande potere di negoziazione.

111    Basandosi, in particolare, sulle dichiarazioni della LCL, la Commissione indica che «i soli tipi di clienti che sembrano essere stati esclusi dal calcolo dei prezzi del listino comune sono i produttori di componenti automobilistici e forse i produttori di beni di consumo» (punto 120 della Decisione), ma che hanno avuto luogo contatti diretti tra potenziali fornitori prima delle negoziazioni annuali con gli operatori interessati, contatti che hanno avuto come obiettivo, più che un’intesa sui prezzi, un accordo sugli argomenti da opporre alle domande di riduzione dei prezzi avanzate da tali importanti clienti (punto 124 della Decisione).

112    Le ricorrenti affermano che il documento proveniente dalla LCL, sul quale si basano le conclusioni della Commissione, non contiene elementi che consentano di concludere che lo scambio di argomenti di cui trattasi riguardava il settore dei componenti automobilistici e dei beni di consumo e che detto scambio non costituisce un comportamento vietato dall’art. 81 CE.

113    Occorre in primo luogo rilevare che il documento di cui trattasi riguarda il «metodo di calcolo dei prezzi di spazzole per motori elettrici» e che la prima parte è dedicata alle «spazzole per automobili» e alle «spazzole FHP». Dopo aver descritto il contesto della domanda per questi due prodotti, in termini analoghi a quelli menzionati al precedente punto 110, la LCL indica quanto segue:

«In un tale contesto, le concertazioni tra concorrenti nel periodo considerato avevano il solo scopo di tentare di resistere a un rapporto di forze molto squilibrato a favore dei clienti.

(…)

I prezzi dei prodotti “spazzole per automobili” e “spazzole FHP” non sono mai stati oggetto di discussione nell’ambito delle riunioni tecniche [della European Carbon and Graphite Association]. Essi non sono mai stati fissati in base a metodi o listini comuni ai diversi concorrenti.

Nel periodo dell’intesa, che ha avuto termine nel 1999, i concorrenti si concertavano in occasione delle negoziazioni annuali con i clienti per scambiare informazioni e argomentazioni che ogni concorrente cercava in seguito di utilizzare per resistere alle pressioni dei clienti e alle loro continue domande di riduzione di prezzo.

(…)

Conclusione

Nel periodo dell’infrazione hanno avuto luogo concertazioni tra concorrenti per le “spazzole per automobili” e per le “spazzole FHP” allo scopo di aiutare i concorrenti stessi a resistere al meglio alle forti pressioni e ripetute domande di riduzione di prezzo da parte dei clienti».

114    Tenuto conto della natura dei prodotti di cui trattasi nel documento in parola, non c’è alcun dubbio che la concertazione richiamata riguardava i settori dei componenti automobilistici e dei beni di consumo. È assodato che i prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche sono utilizzati principalmente come conduttori di elettricità. Tra questi prodotti figurano le spazzole di grafite, che comprendono le «spazzole per automobili», montate su motori elettrici destinati ad equipaggiare automobili, e le «spazzole FHP», montate su motori elettrici per elettrodomestici e utensili portatili.

115    Inoltre, al punto 24 della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, la SKT ha chiaramente collocato la concertazione in parola «[n]el settore delle spazzole di carbonio e dei moduli per il settore dell’industria automobilistica e per i produttori di elettrodomestici e macchine utensili».

116    Si deve, in secondo luogo, ricordare che la nozione di «pratica concordata» consiste in una forma di coordinamento dell’attività delle imprese che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse, a danno della concorrenza (sentenza ICI/Commissione, cit. supra punto 55, punto 64). I criteri del coordinamento e della collaborazione di cui trattasi non richiedono l’elaborazione di un vero e proprio «piano», ma vanno intesi alla luce della concezione inerente alle norme del Trattato in materia di concorrenza, secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato comune. Se è vero che detta esigenza di autonomia non esclude il diritto degli operatori economici di reagire intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti, essa vieta però rigorosamente che fra gli operatori stessi abbiano luogo contatti diretti o indiretti aventi lo scopo o l’effetto di influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente attuale o potenziale, ovvero di rivelare ad un concorrente il comportamento che l’interessato ha deciso, o prevede, di tenere egli stesso sul mercato (sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73‑48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione, Racc. pag. 1663, punti 173 e 174; sentenza PVC II, cit. supra punto 56, punto 720).

117    È evidente che l’oggetto dei contatti diretti che hanno avuto luogo tra i membri dell’intesa, quali descritti dalla LCL e dalla SKT, rivelano una concertazione illecita nel senso della giurisprudenza sopra citata. Scambiando informazioni allo scopo di mantenere un determinato livello dei prezzi per i prodotti destinati ai produttori di componenti automobilistici e ai produttori di beni di consumo, le imprese in questione hanno posto in essere pratiche collusive che hanno facilitato il coordinamento del loro comportamento commerciale, in contraddizione manifesta con l’esigenza secondo la quale ogni operatore economico deve autonomamente determinare la condotta che intende seguire sul mercato.

118    Nella sentenza 8 luglio 1999, causa C‑49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni (Racc. pag. I‑4125), la Corte ha precisato che, come risulta dalla lettera stessa dell’art. 81, n. 1, CE, la nozione di pratica concordata implica, oltre alla concertazione fra le imprese, un comportamento sul mercato successivo alla concertazione stessa e un nesso causale fra questi due elementi (punto 118). Essa ha altresì dichiarato che bisogna presumere, fatta salva la prova contraria il cui onere incombe agli operatori interessati, che le imprese partecipanti alla concertazione e che rimangono presenti sul mercato tengano conto degli scambi di informazioni con i loro concorrenti per decidere il proprio comportamento sul mercato (sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit., punto 121).

119    Nel caso di specie si deve rilevare che, in mancanza di prova contraria la cui produzione incombeva alla SKT, quest’ultima, rimasta presente sul mercato di cui trattasi nel corso di tutto il periodo dell’infrazione, ha tenuto conto della concertazione illecita, alla quale ha partecipato, al fine di determinare il proprio comportamento su detto mercato (v., in tal senso, sentenza Commissione/Anic Partecipazioni, cit. supra al punto 118, punto 121).

120    Ne consegue che la Commissione ha giustamente ritenuto che le ricorrenti avessero violato l’art. 81 CE nel partecipare ad una serie di accordi e di pratiche concordate riguardanti, in particolare, prodotti destinati ai produttori di componenti automobilistici e ai produttori di beni di consumo e che si devono pertanto respingere le affermazioni delle ricorrenti, fondate sulla premessa erronea che detti prodotti non erano oggetto dell’intesa, riguardo al fatto che non si dovesse tener conto dei fatturati realizzati nei settori di cui trattasi.

–       Sull’inesistenza di un piano globale volto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese.

121    Nell’ambito delle osservazioni sulla gravità dell’infrazione, le ricorrenti rilevano che, riguardo alle operazioni di acquisto di imprese che hanno avuto luogo in passato, la Commissione constata al punto 173 della Decisione, quantomeno nella sua versione in lingua tedesca, che «queste diverse misure hanno consentito all’intesa di risolvere il problema della quasi totalità degli “outsiders” presenti sul mercato del SEE».

122    La Schunk rileva che con tale affermazione la Commissione presume che le imprese interessate seguissero un piano globale volto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese e sostiene che un piano siffatto non è mai esistito o che ha potuto essere concepito e realizzato soltanto dalla SGL e dalla Morgan, a sua insaputa.

123    Per quanto queste affermazioni possano essere intese come una contestazione, da parte delle ricorrenti, dell’infrazione di cui sono state dichiarate responsabili, quale descritta al punto 2 della Decisione, si deve rilevare che esse si basano su una lettura manifestamente erronea della decisione e devono essere respinte in quanto del tutto irrilevanti.

124    Occorre, al riguardo, rilevare che il punto 173 della Decisione costituisce una frase conclusiva che non si riferisce unicamente alle operazioni di acquisto di imprese concorrenti effettuate da alcuni membri dell’intesa.

125    L’espressione «queste diverse misure» si riferisce a tutte le operazioni anticoncorrenziali descritte al punto 167 della Decisione e dirette a persuadere i concorrenti a cooperare, a forzarli, con un’azione coordinata, a ritirarsi dal mercato o, almeno, ad indicare loro chiaramente che non avevano interesse ad opporsi al cartello, laddove l’acquisto di imprese concorrenti si aggiungeva a tali azioni. Il punto in parola non contiene, quindi, alcuna affermazione o presunzione della Commissione circa l’esistenza di un «piano globale dei membri dell’intesa volto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese».

126    Si deve inoltre osservare che né nella comunicazione degli addebiti né nella Decisione la Commissione addebita alle ricorrenti operazioni di acquisto di imprese concorrenti e che le ricorrenti non contestano l’esistenza delle operazioni anticoncorrenziali imputate ai membri dell’impresa e riguardanti le imprese concorrenti, diverse dalle operazioni di acquisto d’imprese, quali descritte ai punti 168-171 della Decisione.

–       Sull’esistenza di un meccanismo particolarmente sofisticato per il controllo e l’esecuzione degli accordi di cui trattasi

127    Dai punti 2 e 219 della Decisione risulta che la Commissione ha ritenuto che le imprese destinatarie di quest’ultima abbiano partecipato a un’infrazione unica e continuata all’art. 81, n. 1, CE e, dal 1° gennaio 1994, all’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE, nell’ambito della quale tali imprese hanno, in particolare, fatto «ricorso ad un meccanismo particolarmente sofisticato per il controllo e l’esecuzione dei loro accordi».

128    Le ricorrenti sostengono che un siffatto meccanismo non è mai esistito e che la Decisione non ne precisa le modalità.

129    Si deve tuttavia rilevare che la Decisione contiene due punti relativi al «[m]odo di assicurare il rispetto delle regole del cartello».

130    Il punto 89 è così formulato:

«L’accordo del 1937 con il quale è stata costituita l’associazione europea dei produttori di spazzole di carbonio prevedeva una procedura di arbitraggio ufficiale per la composizione delle controversie tra i membri del cartello in caso di denunce di violazione delle regole del cartello. Tali procedure formali, volte ad assicurare il rispetto delle regole del cartello, non erano più possibili dopo l’entrata in vigore delle disposizioni in materia di concorrenza della Comunità. I membri del cartello hanno pertanto attentamente sorvegliato le offerte sui prezzi che ciascuno di loro proponeva ai clienti e hanno insistito, nel corso delle riunioni o in occasione di altri contatti, sulla necessità di rispettare le regole e i prezzi convenuti dal cartello. Esempi:

Nel corso di una riunione del comitato tecnico tenutasi il 16 aprile 1993:

“G [Schunk] chiede che:

1. L’offerta di prezzo fatta a Burgmann [un cliente], inferiore al listino del 25 30%, sia ritirata per iscritto.

2. Nessun’altra offerta venga proposta a questo livello di prezzo”.

Riunione locale nei Paesi Bassi il 27 ottobre 1994:

“Morganite − Belgio, problemi con i colleghi. Nessun aumento di prezzo applicato in estate”».

131    Basandosi su diversi documenti, la Commissione aggiunge, al punto 90 della Decisione, che «[i] casi delle imprese che praticavano prezzi troppo bassi venivano esaminati nelle riunioni del cartello, e potevano dar luogo a domande di compensazione».

132    Nelle proprie memorie la Commissione sostiene che le ricorrenti contestano per la prima volta dinanzi al Tribunale i fatti summenzionati, effettivamente descritti al punto 62 della comunicazione degli addebiti.

133    Si deve sottolineare che le riserve e le osservazioni critiche formulate dalla SKT nella propria risposta alla comunicazione degli addebiti, che relativizzano la portata della dichiarazione di principio iniziale di ammissione della realtà dei fatti e della loro qualificazione giuridica, non riguardano la questione della sorveglianza dell’esecuzione degli accordi, che non può quindi essere più discussa dalle ricorrenti, per la prima volta, dinanzi al Tribunale.

134    Anche ammesso che la contestazione sollevata dalle ricorrenti possa essere, tuttavia, considerata ricevibile, tenuto conto del fatto che è nella Decisione che la Commissione impiega per la prima volta l’espressione «meccanismo particolarmente sofisticato», essa deve in ogni caso essere respinta in quanto infondata. È sufficiente, infatti, rilevare che le ricorrenti non hanno fornito alcun elemento che consenta di contraddire le constatazioni effettuate dalla Commissione ai punti 89 e 90 della Decisione, con particolare riferimento all’esistenza di un meccanismo di sorveglianza della politica tariffaria dei membri dell’intesa che prevedeva compensazioni a carico delle imprese che avessero praticato offerte di prezzo troppo basse.

135    Occorre, infine, rilevare che in una parte del ricorso riguardante il «contributo della Schunk all’infrazione» e la presunta sopravvalutazione di quest’ultimo da parte della Commissione, le ricorrenti censurano la posizione della Commissione espressa al punto 178 della Decisione, che qualifica come «anormale» il fatto che, fin dalla riunione costitutiva dell’European Carbon and Graphite Association (ECGA, associazione europea del carbonio e della grafite), tenutasi il 1° marzo 1995, alcuni membri abbiano constatato la necessità di un comitato per le grafiti speciali, senza tuttavia essere in grado, all’epoca, di indicare quali questioni legittime tale comitato sarebbe stato incaricato di esaminare.

136    Al di là del carattere sommario ed ermetico dell’argomentazione delle ricorrenti, emerge che le dichiarazioni della Commissione sopra menzionate si inseriscono nell’ambito della valutazione del ruolo, nell’intesa, delle associazioni professionali e, più in particolare, dell’ECGA. Pertanto, l’argomento delle ricorrenti di cui trattasi non può rimettere in discussione la valutazione della responsabilità delle ricorrenti operata dalla Commissione, né, del resto, quella della gravità dell’infrazione.

137    Risulta da tutte le suesposte considerazioni che la Commissione ha giustamente ritenuto che le ricorrenti avessero commesso un’infrazione all’art. 81 CE, quale descritta al punto. 2 della Decisione, nel partecipare ad una serie di accordi e di pratiche concordate nel settore dei prodotti di carbonio e di grafite per applicazioni elettriche e meccaniche.

 Sulla domanda di riduzione dell’ammenda

138    Le ricorrenti contestano alla Commissione di aver violato i principi di proporzionalità e della parità di trattamento nella fissazione dell’importo dell’ammenda.

139    Risulta dalla Decisione che le ammende sono state imposte ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e che la Commissione − quand’anche la Decisione non si riferisca espressamente agli orientamenti − ha stabilito l’importo dell’ammenda applicando il metodo definito negli orientamenti.

 Sulla presunta sopravvalutazione da parte della Commissione della gravità dell’infrazione, tenuto conto della sua natura e dei suoi effetti

140    Secondo il metodo definito negli orientamenti, la Commissione calcola l’importo delle ammende da infliggere alle imprese interessate partendo da un importo base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione. Per valutare la gravità dell’infrazione, occorre prenderne in considerazione la natura, l’impatto concreto sul mercato, quando sia misurabile, e l’estensione del mercato geografico rilevante (punto 1 A, primo comma). In tale contesto, le infrazioni sono classificate in tre categorie, vale a dire «infrazioni poco gravi», con un importo dell’ammenda applicabile compreso tra EUR 1 000 e 1 milione, «infrazioni gravi», per le quali tale importo è compreso tra EUR 1 milione e 20 milioni, e «infrazioni molto gravi», per le quali l’ammenda applicabile può ammontare a oltre EUR 20 milioni (punto 1 A, secondo comma, trattini primo‑terzo).

141    Nella Decisione la Commissione ha rilevato i tre elementi seguenti:

–        l’infrazione in questione era consistita essenzialmente nel fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita ed altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, nel ripartire i mercati, in particolare mediante l’attribuzione di clienti, e nell’intraprendere azioni coordinate nei confronti di concorrenti estranei al cartello, pratiche costituenti, per loro stessa natura, il tipo di infrazione più grave alle disposizioni dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE (punto 278 della Decisione);

–        gli accordi collusivi erano stati posti in esecuzione e avevano avuto un impatto sul mercato del SEE per i prodotti interessati, ma tale impatto non poteva essere misurato con precisione (punto 286 della Decisione);

–        il cartello era esteso a tutto il mercato comune e, dopo la sua creazione, a tutto il SEE (punto 287 della Decisione).

142    La conclusione della Commissione, esposta al punto 288 della Decisione, è così formulata:

«Alla luce di tutti questi elementi, la Commissione ritiene che le imprese interessate dalla presente Decisione abbiano commesso un’infrazione molto grave. Secondo la Commissione, la natura dell’infrazione e il suo ambito geografico sono tali da definire l’infrazione come molto grave, a prescindere dal fatto che si possa o meno quantificare il suo impatto sul mercato. È chiaro, in ogni caso, che gli accordi anticoncorrenziali del cartello sono stati eseguiti e hanno avuto un impatto sul mercato, anche se questo impatto non può essere misurato con precisione».

143    Le ricorrenti affermano che la Commissione ha sopravvalutato la gravità dell’infrazione e sviluppano, al riguardo, diversi argomenti che si riallacciano, in sostanza, all’analisi della natura propria dell’infrazione. Esse criticano altresì la valutazione degli effetti di detta infrazione effettuata dalla Commissione.

–       Sulla natura dell’infrazione

144    Si deve rilevare, in limine, che la motivazione della Commissione relativa alla natura dell’infrazione si articola in due parti, una riguardante la considerazione dell’essenza stessa delle attività anticoncorrenziali controverse (punto 278 della Decisione), l’altra relativa a elementi estrinseci, ma riconducibili alla valutazione della natura dell’infrazione (punto 279 della Decisione).

145    Nella prima parte la Commissione ha indicato che l’infrazione in parola era consistita «essenzialmente» nel fissare in modo diretto o indiretto i prezzi di vendita ed altre condizioni di transazione applicabili ai clienti, nella ripartizione dei mercati, in particolar modo attraverso l’attribuzione di clienti, e nello svolgimento di azioni coordinate nei confronti di concorrenti estranei al cartello.

146    Si deve ricordare che le affermazioni delle ricorrenti circa l’assenza di un accordo anticoncorrenziale sul divieto della pubblicità, l’inesistenza di un piano globale dei membri dell’intesa volto a modificare durevolmente la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese e il mancato ricorso ad un meccanismo particolarmente sofisticato per il controllo e l’esecuzione dei loro accordi – figuranti nella parte dei loro atti difensivi diretta formalmente a contestare la valutazione della gravità dell’infrazione da parte della Commissione – sono state respinte per i motivi precedentemente indicati.

147    Risulta inoltre dalla formulazione del punto 278 della Decisione che, nel valutare la gravità dell’infrazione, la Commissione ha diversamente ponderato le attività anticoncorrenziali delle imprese coinvolte nel cartello e che essa non ha nemmeno menzionato il divieto di pubblicità e il ricorso a un meccanismo particolarmente sofisticato per il controllo e l’esecuzione dei loro accordi, tenuto conto del carattere oggettivamente meno importante e semplicemente complementare di tali pratiche.

148    Tenuto conto di tali considerazioni, anche ammettendo che le contestazioni delle ricorrenti relative al divieto di pubblicità e al meccanismo sopra menzionato possono essere considerate fondate, esse non sono idonee a confutare la valutazione della gravità dell’infrazione effettuata dalla Commissione.

149    Nell’ambito della seconda parte della motivazione relativa alla valutazione della gravità dell’infrazione (punto 279 della Decisione), la Commissione indica quanto segue:

«Per scrupolo di completezza, si può altresì notare che tutti i grandi operatori del SEE, che controllano assieme più del 90% del mercato del SEE, hanno partecipato agli accordi costitutivi dell’intesa. Tali accordi erano diretti, o almeno consapevolmente tollerati, nelle più alte sfere delle imprese interessate. I partecipanti avevano preso molte precauzioni per evitare che l’intesa fosse scoperta, ciò che esclude ogni dubbio sul fatto che esse fossero pienamente coscienti dell’illegittimità del loro operato. L’intesa aveva raggiunto un alto livello di istituzionalizzazione ed era ampiamente rispettata. I contatti tra le parti, in forma di riunioni o in altre forme, erano frequenti e regolari. L’intesa veniva posta in atto per il solo profitto delle imprese partecipanti, a danno dei loro clienti e, in ultima analisi, del grande pubblico».

150    A sostegno dell’affermazione di un’erronea valutazione della gravità dell’infrazione, le ricorrenti sostengono che la Commissione erra quando afferma, nella nota a piè di pagina n. 4 della Decisione, che, «[a]i fini degli accordi sui prezzi», l’intesa distingueva, tra i prodotti per applicazioni elettriche, diverse grandi categorie, e che la tesi della Commissione secondo la quale gli accordi erano attuati attraverso un sistema organizzato in modo vincolante si basa, «per questo», su un’interpretazione erronea dei fatti.

151    A prescindere dall’apparente mancanza di nesso logico tra le due proposizioni sopra menzionate, è sufficiente constatare che le affermazioni delle ricorrenti sono del tutto estranee alla valutazione della gravità dell’infrazione effettuata dalla Commissione nella Decisione e che esse sono, pertanto, del tutto irrilevanti rispetto alla contestazione della sopravvalutazione di detta gravità.

152    Le ricorrenti sostengono altresì che né il carattere segreto dell’intesa né il danno subito dal grande pubblico avrebbero dovuto essere presi in considerazione nella Decisione (punto 279) quali circostanze aggravanti, poiché si tratterebbe di elementi inerenti ad ogni intesa, di cui il legislatore avrebbe già tenuto conto nella determinazione dell’ambito dell’ammenda. La Commissione non fornirebbe peraltro alcuna prova a sostegno della propria tesi secondo cui i membri dell’intesa si sarebbero metodicamente impegnati a dissimulare i loro atti illegittimi.

153    Si deve ricordare che, secondo giurisprudenza costante, la gravità dell’infrazione è determinata tenendo conto di numerosi elementi quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, rispetto ai quali la Commissione dispone di un potere discrezionale (sentenze della Corte Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punto 241, e 10 maggio 2007, causa C‑328/05 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑3921, punto 43).

154    In tale contesto la Commissione, al fine di determinare la gravità dell’infrazione, poteva legittimamente prendere in considerazione il fatto che le imprese avessero adottato molte precauzioni per evitare che l’intesa fosse scoperta nonché il danno subito dal grande pubblico, fermo restando che questi due elementi non costituiscono, propriamente parlando, «circostanze aggravanti», come affermato dalle ricorrenti.

155    Contrariamente alle asserzioni delle ricorrenti, la Commissione ha fornito una descrizione dettagliata delle precauzioni prese per garantire la segretezza delle riunioni e dei contatti nei punti 81-87 della Decisione, descrizione suffragata da elementi di prova documentali non contestati dalle ricorrenti.

156    Peraltro, come sottolinea la Commissione, non tutte le infrazioni al diritto della concorrenza danneggiano, allo stesso modo, la concorrenza e i consumatori. La presa in considerazione del danno arrecato al pubblico si distingue da quella relativa alla capacità economica di un membro dell’intesa di causare un danno alla concorrenza e ai consumatori, che interviene nell’ambito di una fase del calcolo dell’importo dell’ammenda previsto dagli orientamenti e volto ad operare un trattamento differenziato in particolare nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, l’infrazione coinvolge più imprese.

157    Si deve infine rilevare che la formulazione del punto 279 della Decisione rivela che la menzione degli elementi ivi effettuata risulta in via subordinata rispetto a quelli individuati nel punto 278 della Decisione. Pertanto, anche ammettendo che la contestazione effettuata dalle ricorrenti della considerazione del carattere segreto dell’intesa e del danno subito dal pubblico possa essere considerata fondata, ciò non varrebbe a confutare la valutazione della Commissione circa la natura dell’infrazione, quale risulta dai motivi pertinenti e sufficienti contenuti nel punto 278 della Decisione. 

–       Sugli effetti dell’infrazione

158    Nell’ambito del loro motivo relativo ad una sopravvalutazione della gravità dell’infrazione, le ricorrenti affermano che la Commissione avrebbe commesso un duplice errore nella valutazione degli effetti dell’infrazione.

159    Esse sostengono, in primo luogo, che la Commissione ha erroneamente determinato l’ampiezza del mercato rilevante nel considerare che l’intesa comprendesse accordi collusivi riguardanti i produttori di complementi automobilistici e i produttori di beni di consumo, accordi dei quali esse non avrebbero mai riconosciuto l’esistenza.

160    Com’è stato precedentemente esposto, questo argomento implica una contestazione dell’infrazione accertata dalla Commissione nella Decisione ed è stato riconosciuto, contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, che le pratiche anticoncorrenziali del cartello riguardavano effettivamente i produttori di complementi automobilistici e i produttori di beni di consumo. Esso è inoltre del tutto irrilevante riguardo all’esame della fondatezza della valutazione degli effetti dell’intesa, la quale, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, prescinde dal fatturato realizzato dalle imprese con i prodotti in questione.

161    Le ricorrenti rilevano, in secondo luogo, che la Commissione avrebbe commesso un errore nella valutazione dell’esecuzione degli accordi e sostengono, nel contempo, che la Commissione non ha fornito alcuna prova di un impatto concreto dell’intesa contrariamente a quanto esigono gli orientamenti della stessa istituzione e non ha tenuto sufficientemente conto del fatto che gli accordi sono stati attuati soltanto parzialmente.

162    Al punto 281 della Decisione, la Commissione constata l’esistenza di concreti effetti anticoncorrenziali risultanti, nel caso di specie, dalla messa in atto degli accordi collusivi, anche se non è possibile quantificarli con precisione, constatazione che segue la descrizione della natura propria dell’infrazione e che precede la determinazione dell’estensione geografica di quest’ultima. Il tenore del punto 288 della Decisione e, più in particolare, l’impiego dell’espressione «[t]enuto conto di tutti questi elementi» permettono di concludere che la Commissione ha effettivamente tenuto conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato per qualificare l’infrazione come «molto grave», anche se ha aggiunto che questa qualificazione è giustificata indipendentemente dal fatto che l’impatto possa essere misurato o meno.

163    Risulta, in tal senso, dai punti 244-248 e 280-286 della Decisione che la Commissione ha chiaramente dedotto dall’esecuzione dell’intesa l’esistenza di un impatto concreto di quest’ultima sul settore in parola.

164    La Commissione indica, al riguardo, che «[t]utti i membri del cartello hanno applicato gli aumenti di prezzo generali (espressi in percentuale) convenuti, diffondendo nuovi listini dei prezzi (…,) le società di trasporti pubblici hanno aggiudicato gli appalti alla società la cui offerta era stata manipolata in modo da risultare leggermente inferiore a quelle di altri partecipanti all’intesa, i clienti privati non hanno avuto altra scelta che quella di rifornirsi presso un fornitore prestabilito ad un prezzo predeterminato, senza che potesse configurarsi una situazione di concorrenza, e i tagliatori si sono trovati nell’impossibilità di acquistare blocchi, o nella situazione di poterli acquistare soltanto a prezzi artificialmente elevati, ciò che rendeva loro impossibile l’esercizio effettivo della concorrenza sul mercato dei prodotti finiti». Tenuto conto della lunghezza del periodo dell’infrazione e del fatto che le imprese in questione controllavano congiuntamente più del 90% del mercato del SEE, non c’è alcun dubbio, secondo la Commissione, che l’intesa ha avuto effetti anticoncorrenziali concreti su tale mercato (punti 245 e 281 della Decisione).

165    Si deve ricordare che, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, la Commissione si deve riferire al gioco della concorrenza che avrebbe normalmente avuto luogo in assenza dell’infrazione (v., in tal senso, sentenza Suiker Unie e a./Commissione, cit. supra punto 116, punti 619 e 620; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr‑Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 235; 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 645, e sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra punto 84, punto 150).

166    Per quel che riguarda un’intesa sui prezzi, è legittimo che la Commissione desuma che l’infrazione abbia prodotto effetti dal fatto che i membri dell’intesa hanno adottato provvedimenti per applicare i prezzi concordati, per esempio annunciandoli ai clienti, dando ai propri dipendenti istruzione di utilizzarli come base delle trattative e vigilando sull’applicazione degli stessi da parte dei propri concorrenti e dei propri servizi di vendita. Infatti, per concludere nel senso dell’esistenza di un impatto sul mercato, è sufficiente che i prezzi concordati siano serviti come base per la fissazione dei prezzi di transazione individuali, limitando in tal modo il margine di negoziazione dei clienti (sentenze del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑7/89, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. II‑1711, punti 340 e 341, e PVC II, cit. supra punto 56, punti 743-745, e 14 dicembre 2006, cause riunite da T‑259/02 a T‑264/02 e T‑271/02, Raiffeisen Zentralbank Österreich e a./Commissione, Racc. pag. II‑5169, punto 285).

167    Per contro, non si può pretendere che la Commissione, una volta provata l’attuazione di un’intesa, dimostri sistematicamente che gli accordi hanno effettivamente consentito alle imprese interessate di raggiungere un livello di prezzi di transazione superiore a quello che sarebbe prevalso in assenza dell’intesa. Al riguardo, non può essere accolta la tesi secondo la quale, al fine di determinare la gravità dell’infrazione, può essere preso in considerazione soltanto il fatto che il livello dei prezzi di transazione sarebbe stato diverso in mancanza di collusione (sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I‑9693, punti 53 e 62). Sarebbe peraltro sproporzionato esigere una siffatta dimostrazione che assorbirebbe risorse considerevoli, tenuto conto che essa renderebbe necessario il ricorso a calcoli ipotetici, basati su modelli economici la cui esattezza solo difficilmente potrebbe essere verificata dal giudice e la cui infallibilità non è affatto dimostrata (conclusioni dell’avvocato generale Mischo relative alla sentenza della Corte 16 novembre 2000, causa C‑283/98 P, Mo och Domsjö/Commissione, Racc. pag. I‑9855, in particolare pag. I‑9858, paragrafo 109).

168    Infatti, per valutare la gravità dell’infrazione, è decisivo sapere che i membri dell’intesa avevano fatto tutto ciò che era in loro potere per dare un effetto concreto alle proprie intenzioni. Ciò che si è verificato in seguito, a livello dei prezzi di mercato effettivamente realizzati, poteva essere influenzato da altri fattori, fuori dal controllo dei membri dell’intesa. I membri dell’intesa non possono addurre a proprio vantaggio, presentandoli come elementi atti a giustificare una riduzione dell’ammenda, fattori esterni che hanno controbilanciato gli sforzi da essi profusi (conclusioni dell’avvocato generale Mischo relative alla sentenza Mo och Domsjö/Commissione, cit. supra punto 167, paragrafi 102-107).

169    Pertanto, la Commissione poteva legittimamente basarsi sull’attuazione dell’intesa per affermare l’esistenza di un impatto sul mercato, dopo aver rilevato il dato pertinente che l’intesa si era protratta per più di undici anni e che i membri della stessa controllavano oltre il 90% del mercato del SEE.

170    Con riferimento alla fondatezza delle constatazioni in base alle quali la Commissione è giunta a questa conclusione nel caso di specie, si deve rilevare che le ricorrenti non provano, né addirittura sostengono, che non vi sia stata attuazione dell’intesa. Risulta dalle memorie delle ricorrenti che queste ultime si limitano a sottolineare il fatto che l’intesa è stata soltanto parzialmente attuata, affermazione che, anche se ritenuta esatta, non è tale da dimostrare che la Commissione abbia erroneamente valutato la gravità dell’infrazione nel tener conto del fatto che le pratiche illecite di cui trattasi hanno avuto un concreto effetto anticoncorrenziale sul mercato del SEE dei prodotti interessati (sentenza del Tribunale 25 ottobre 2005, causa T‑38/02, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. II‑4407, punto 148).

171    Si deve infine rilevare che, anche ammesso che la Commissione non abbia sufficientemente dimostrato l’impatto concreto dell’intesa, la qualificazione della presente infrazione come «molto grave» resterebbe nondimeno appropriata. Infatti, i tre aspetti della valutazione della gravità dell’infrazione non hanno lo stesso rilievo nell’ambito dell’esame globale. La natura dell’infrazione ha un ruolo di primaria importanza, in particolare, nel caratterizzare le infrazioni «molto gravi». Al riguardo, dalla descrizione delle infrazioni molto gravi fornita dagli orientamenti emerge che gli accordi o le pratiche concordate dirette in particolare, come nel caso in esame, alla fissazione dei prezzi possono comportare, solo per la loro stessa natura, la qualifica di «molto gravi», senza che occorra valutare tali comportamenti in funzione di un’incidenza o di un’estensione geografica particolare. Tale conclusione è avvalorata dal fatto che, se nella descrizione delle infrazioni gravi si menzionano espressamente l’incidenza sul mercato e gli effetti su zone estese del mercato comune, in quella delle infrazioni molto gravi, invece, non è menzionata alcuna condizione relativa all’impatto concreto sul mercato o alla produzione di effetti su una determinata zona geografica (sentenze del Tribunale 27 luglio 2005, cause riunite da T‑49/02 a T‑51/02, Brasserie nationale e a./Commissione, Racc. pag. II‑3033, punto 178, e Groupe Danone/Commissione, cit. supra punto 170, punto 150).

172    Da tutte le suesposte considerazioni risulta che il motivo relativo ad una sopravvalutazione della gravità dell’infrazione, tenuto conto della sua natura e dei suoi effetti, dev’essere respinto.

 Sulla ripartizione delle imprese in categorie

173    Le ricorrenti rilevano che la Commissione, in contraddizione con i propri orientamenti, avrebbe determinato l’importo di base delle ammende indipendentemente dal volume d’affari globale delle imprese, il che sarebbe risultato in una violazione del principio della parità di trattamento. Infatti, la Schunk e la SGL sarebbero state classificate nella stessa categoria, laddove le dimensioni della SGL rappresenterebbero quasi il doppio di quelle della Schunk. Nella decisione la Commissione avrebbe proceduto in modo «forfettario» e avrebbe trascurato alcuni fattori, quali la struttura delle ricorrenti dal punto di vista del diritto societario e il loro più difficile accesso ai mercati finanziari, che avrebbero consentito una valutazione della capacità individuale delle imprese di nuocere alla concorrenza.

174    Si deve rilevare in primo luogo che, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la Commissione non è tenuta, in sede di determinazione dell’ammontare delle ammende in funzione della gravità e della durata dell’infrazione in questione, ad effettuare il calcolo dell’ammenda a partire dagli importi basati sul fatturato delle imprese interessate e più in particolare sul fatturato complessivo (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punto 255).

175    Fatto salvo il rispetto del limite massimo previsto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, che si riferisce al fatturato complessivo (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra punto 43, punto 119), la Commissione può tenere conto del fatturato dell’impresa in questione al fine di valutare la gravità dell’infrazione nel determinare l’importo dell’ammenda, ma non si deve attribuire un’importanza sproporzionata a tale fatturato rispetto ad altri elementi di valutazione (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punto 257).

176    Nel caso di specie la Commissione ha applicato il metodo di calcolo definito negli orientamenti, che prevede la presa in considerazione di un gran numero di elementi per determinare la gravità dell’infrazione al fine di fissare l’importo dell’ammenda, tra i quali figurano in particolare la natura propria dell’infrazione, l’impatto concreto di quest’ultima, l’estensione del mercato geografico rilevante e la necessaria portata dissuasiva dell’ammenda. Sebbene gli orientamenti non prevedano che le ammende siano calcolate in funzione del fatturato complessivo o del fatturato rilevante, essi non ostano a che tali dati siano presi in considerazione in sede di determinazione dell’ammenda allo scopo di rispettare i principi generali di diritto comunitario e qualora le circostanze lo richiedano (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punti 258 e 260).

177    Considerata la grande diversità di dimensioni tra le imprese interessate e al fine di tener conto del peso specifico di ognuna di esse e, pertanto, della concreta incidenza del loro comportamento abusivo sulla concorrenza, la Commissione, in conformità al punto 1 A, commi quarto e sesto, degli orientamenti, ha operato nella Decisione un trattamento differenziato delle imprese che hanno partecipato all’infrazione. A tal fine essa ha ripartito le imprese interessate in tre categorie, in base al fatturato realizzato da ciascuna di esse per i prodotti interessati dal presente procedimento su scala del SEE, includendovi il valore del consumo vincolato di ogni impresa. Ne risulta un fatturato per quota di mercato che rappresenta il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione e la sua effettiva capacità economica di causare un danno rilevante alla concorrenza (‘considerando’ 289-291 della decisione).

178    Il raffronto è stato basato sui dati relativi al fatturato (espresso in milioni di euro) imputabile ai prodotti in parola riguardante l’ultimo anno dell’infrazione, vale a dire il 1998, quali risultano dalla tabella 1 che figura al punto 37 della Decisione e intitolata «Stima del fatturato (compreso il valore corrispondente all’uso vincolato) e delle quote di mercato nel SEE, nel 1998, per il gruppo di prodotti costituenti oggetto del procedimento»:

Fornitori

Fatturato (compreso il valore dell’uso vincolato)

Quota di mercato nel SEE

Conradty

9

3%

Hoffmann

17

6%

[LCL]

84

29%

Morgan

68

23%

Schunk

52

18%

SGL

41

14%

Divers

20

7%

Totale

291

100%


179    Di conseguenza, la LCL e la Morgan, considerate come i due maggiori operatori con quote di mercato superiori al 20%, sono state classificate nella prima categoria. La Schunk e la SGL, che sono operatori medi con quote di mercato comprese tra il 10% e il 20%, sono state collocate nella seconda categoria. La Hoffmann e la Conradty, considerate piccoli operatori per quote di mercato inferiori al 10%, sono state raggruppate nella terza categoria (punti 37 e 297 della Decisione).

180    Sulla base delle precedenti considerazioni la Commissione ha stabilito un importo di base, determinato in funzione della gravità dell’infrazione, pari a EUR 35 milioni per la LCL e la Morgan, a EUR 21 milioni per la Schunk e la SGL e a EUR 6 milioni per la Hoffmann e la Conradty (punto 298 della Decisione).

181    Occorre rilevare, in secondo luogo, che il cartello copriva l’intero mercato comune e, dopo la sua creazione, l’intero SEE e che il fatturato dei prodotti in parola costituisce una base adeguata per valutare, come la Commissione ha fatto nella Decisione, i danni alla concorrenza sul mercato del prodotto rilevante nell’ambito del SEE, nonché l’importanza relativa dei partecipanti all’intesa sul mercato interessato. Risulta da una giurisprudenza costante (v., in particolare, sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, cit. supra punto 43, punto 121, e sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, cit. supra punto 165, punto 369), che la parte del fatturato corrispondente alle merci oggetto dell’infrazione può fornire una giusta indicazione dell’entità di un’infrazione sul mercato rilevante. In particolare, come il Tribunale ha sottolineato, il fatturato realizzato sui prodotti che sono stati oggetto di una pratica restrittiva costituisce un criterio oggettivo che fornisce il giusto metro della nocività della pratica medesima rispetto al normale gioco della concorrenza (sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑151/94, British Steel/Commissione, Racc. pag. II‑629, punto 643).

182    Si deve sottolineare, in terzo luogo, che il metodo consistente nel ripartire i membri di un’intesa in categorie al fine di realizzare un trattamento differenziato nella fase della fissazione degli importi di base delle ammende, il cui principio è stato ritenuto legittimo dalla giurisprudenza del Tribunale ancorché esso trascuri le differenze di dimensione tra imprese appartenenti ad una stessa categoria (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punto 385, e Tokai I, cit. supra al punto 84, punto 217), comporta una forfettizzazione dell’importo di base per le imprese appartenenti ad una stessa categoria.

183    Tuttavia, è vero altresì che la ripartizione per categorie che la Commissione ha effettuato nella Decisione deve rispettare il principio della parità di trattamento, secondo cui è vietato trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Peraltro, secondo la giurisprudenza, l’importo delle ammende dev’essere quantomeno proporzionato agli elementi presi in considerazione al fine di valutare la gravità dell’infrazione (v. sentenza Tokai I, cit. supra al punto 84, punto 219 e giurisprudenza ivi citata).

184    Per verificare se una ripartizione dei membri di un’intesa in categorie sia conforme ai principi della parità di trattamento e di proporzionalità, il Tribunale, nell’ambito del suo controllo di legittimità dell’esercizio del potere discrezionale di cui la Commissione dispone in materia, deve tuttavia limitarsi a controllare che tale ripartizione sia coerente e obiettivamente giustificata (sentenza CMA CGM e a./Commissione, cit. supra punto 182, punti 406 e 416, e sentenza Tokai I, cit. supra punto 84, punti 220 e 222).

185    Si deve osservare, in quarto luogo, che le ricorrenti si limitano a censurare la regolarità della composizione della seconda categoria, deducendo un trattamento discriminatorio rispetto alla SGL. Le ricorrenti sono state classificate in questa categoria, al pari della SGL, sulla base di rispettive quote di mercato del 18% e del 14%, corrispondenti a fatturati sul mercato interessato pari a EUR 52 e 41 milioni, dati che le collocavano, chiaramente, nella forcella compresa tra il 10% e il 20% delle quote di mercato.

186    Si deve sottolineare che la differenza di dimensioni tra la Schunk e la SGL (4 punti percentuali), appartenenti ad una stessa categoria, è meno rilevante di quella esistente, da un lato, tra la Schunk e la Morgan, l’operatore meno importante della prima categoria e, dall’altro, tra la Schunk e la Hoffman, l’operatore più importante della terza categoria. L’esigua differenza tra la Schunk e la SGL, tenuto conto della quota di mercato non particolarmente elevata della SGL, ha così consentito alla Commissione, in modo pienamente coerente e del tutto obiettivo e quindi senza violare i principi della parità di trattamento e di proporzionalità, di trattare la Schunk, al pari della SGL, come un operatore medio e, pertanto, di stabilire uno stesso importo di base pari a EUR 21 milioni, inferiore a quello fissato per la LCL e per la Morgan, che detenevano una posizione di rilievo sul mercato di cui trattasi (29% e 23%), e superiore a quello imposto alla Hoffman e alla Conradty, la cui posizione su detto mercato era molto marginale (6% e 3%).

187    Risulta pertanto che le ricorrenti non possono validamente sostenere di essere state oggetto di un trattamento discriminatorio e sproporzionato, tenuto conto del fatto che l’importo di base dell’ammenda stabilita è giustificato alla luce del criterio utilizzato dalla Commissione per valutare l’importanza di ciascuna delle imprese sul mercato rilevante (v., in tal senso, sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra punto 43, punto 304), osservandosi inoltre che l’importo stabilito di EUR 21 milioni corrisponde quasi alla soglia minima prevista dagli orientamenti per le infrazioni «molto gravi».

188    Alla luce di tali considerazioni, le affermazioni relative al fatto che la SKT, società non quotata in borsa e detentrice, a livello mondiale, di una quota di mercato chiaramente inferiore al 10%, disporrebbe di una potenza economica molto inferiore a quella delle imprese quotate in borsa come la Morgan, la LCL o la SGL, società controllanti di gruppi mondiali che dispongono di un accesso facilitato ai mercati finanziari, devono essere respinte in quanto irrilevanti.

189    Del resto, anche ritenendo accertata l’esistenza di un nesso obbligatorio tra la natura particolare di un’impresa e un accesso facilitato ai mercati finanziari, questo elemento non risulterebbe pertinente nel caso di specie per determinare in concreto l’estensione dell’infrazione commessa da ciascuna delle imprese coinvolte nell’intesa e la reale importanza di queste ultime sul mercato rilevante.

 Sull’effetto dissuasivo

190    Le ricorrenti affermano, in primo luogo, che la Commissione ha valutato la necessità dell’effetto dissuasivo nei confronti delle imprese interessate in maniera indifferenziata e uniforme, indipendentemente dal loro fatturato, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza e dagli orientamenti.

191    Occorre ricordare che le sanzioni previste all’art. 15 del regolamento n. 17 hanno lo scopo di reprimere comportamenti illeciti come pure di prevenire il loro ripetersi (sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, ACF Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punto 173; sentenza PVC II, cit. supra punto 56, punto 1166).

192    Poiché la dissuasione costituisce una finalità dell’ammenda, la necessità di garantirla costituisce un’esigenza generale che deve guidare la Commissione durante tutta la fase di calcolo dell’ammenda e non richiede necessariamente che tale calcolo sia caratterizzato da una specifica tappa destinata ad una valutazione globale di tutte le circostanze pertinenti al fine della realizzazione di tale finalità (sentenza del Tribunale 15 marzo 2006, causa T‑15/02, BASF/Commissione, Racc. pag. II‑497, punto 226).

193    In considerazione dello scopo dissuasivo, la Commissione non ha definito negli orientamenti metodi o criteri individualizzati la cui esposizione specifica potrebbe avere forza obbligatoria. Il punto 1 A, quarto comma, degli orientamenti, nel contesto delle indicazioni riguardanti la valutazione della gravità dell’infrazione, menziona soltanto la necessità di fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirle un carattere sufficientemente dissuasivo.

194    Nel caso di specie la Commissione ha espressamente sottolineato che era necessario fissare le ammende ad un livello dissuasivo nel contesto dell’esposizione di un approccio generale seguito per la fissazione delle ammende e che essa ha applicato ai partecipanti all’intesa un trattamento differenziato in funzione della loro quota di mercato determinata in base al fatturato rilevante e stabilito l’importo di base dell’ammenda della Schunk in EUR 21 milioni (punti 271 e 289 della Decisione).

195    Risulta chiaramente dalla Decisione che, per stabilire l’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione, la Commissione ha, da un lato, qualificato l’infrazione come tale tenendo conto di elementi obiettivi, vale a dire la natura stessa dell’infrazione, il suo impatto sul mercato e l’estensione geografica di tale mercato, e, dall’altro, ha preso in considerazione elementi soggettivi, vale a dire il peso specifico di ciascuna delle imprese coinvolte nell’intesa e, pertanto, la reale incidenza del loro comportamento illecito sulla concorrenza. È nell’ambito di questa seconda parte della sua analisi che essa ha, in particolare, perseguito la finalità di garantire un livello dissuasivo dell’ammenda.

196    Orbene, si deve ricordare che, nell’ambito di questa analisi, la Commissione ha suddiviso le imprese interessate in tre categorie, basandosi sul fatturato realizzato da ciascuna impresa per i prodotti interessati dal presente procedimento su scala del SEE, includendo il valore del consumo vincolato di ogni impresa. Ne risulta un fatturato di quota di mercato che rappresenta il peso relativo di ciascuna impresa nell’infrazione e la sua effettiva capacità economica di causare un danno rilevante alla concorrenza (punti’ 289-291 della Decisione).

197    Sembra pertanto che, contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, la Commissione non abbia valutato la necessità della dissuasione rispetto alle imprese interessate in modo indifferenziato e uniforme ma, al contrario, abbia tenuto conto dell’importanza di queste ultime sul mercato rilevante in base al loro fatturato pertinente.

198    Le ricorrenti rilevano, in secondo luogo, che nella Decisione la Commissione esige che le imprese interessate pongano fine all’infrazione, mentre queste ultime avevano già posto fine all’infrazione nel dicembre 1999, più di quattro anni prima, il che dimostra che la Commissione ha basato la sua valutazione della dissuasione necessaria su una circostanza errata.

199    Questa censura dev’essere respinta in quanto basata su una premessa errata. Risulta infatti da una semplice lettura del punto 268 e dell’art. 3 della Decisione che l’intimazione indirizzata alle imprese destinatarie della Decisione di porre immediatamente fine all’infrazione constatata, qualora non lo abbiano già fatto, non presenta alcun nesso con la valutazione da parte della Commissione della dissuasione.

200    Le ricorrenti sostengono, in terzo luogo, di essere vittime di una discriminazione rispetto alla SGL, per il fatto che la Commissione ha valutato la dissuasione necessaria senza tener conto della circostanza che la SGL, in quanto impresa quotata in borsa, poteva più facilmente accedere ai mercati finanziari.

201    Si deve ricordare che, come è stato dimostrato ai precedenti punti 184‑187, la classificazione della Schunk e della SGL nella stessa categoria, in base al loro fatturato proveniente dalla vendita dei prodotti in parola, non rivela alcuna discriminazione in danno della Schunk.

202    Anche supponendo che si debba considerare che un’impresa quotata in borsa possa mobilizzare più facilmente i fondi necessari al pagamento della sua ammenda, una siffatta situazione potrebbe, eventualmente, giustificare l’imposizione di un’ammenda proporzionalmente più elevata, al fine di garantirle un sufficiente effetto dissuasivo, di quella inflitta ad un’impresa che abbia commesso un’infrazione identica, ma che non disponga di tali risorse.

203    Di conseguenza, l’eventuale violazione del principio di non discriminazione commessa dalla Commissione potrebbe soltanto condurre a una maggiorazione dell’ammontare dell’ammenda imposta alla SGL e non ad una riduzione dell’ammenda inflitta alla Schunk, come quest’ultima domanda nelle sue memorie. Si deve ricordare, al riguardo, che l’osservanza del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto del principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere, a proprio vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (sentenza della Corte 4 luglio 1985, causa 134/84, Williams/Corte dei conti, Racc. pag. 2225, punto 14; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/94, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 160, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra punto 43, punto 367).

204    Le ricorrenti affermano, in quarto luogo, che il carattere sproporzionato dell’ammenda inflitta dalla Commissione si evincerebbe dalle sanzioni inflitte, nell’ambito della «stessa fattispecie», dalle autorità antitrust degli Stati Uniti, il cui mercato sarebbe più o meno identico per dimensioni a quello europeo.

205    Al riguardo, occorre rilevare che l’esercizio dei poteri da parte delle autorità degli Stati terzi incaricate della tutela della libera concorrenza, nel contesto della loro competenza territoriale, risponde ad esigenze proprie dei detti Stati. Infatti, gli elementi sottesi agli ordinamenti giuridici di altri Stati nel settore della concorrenza non solo comportano finalità e obiettivi specifici, ma sfociano ugualmente nell’adozione di norme sostanziali particolari nonché in conseguenze giuridiche estremamente differenziate nel settore amministrativo, penale o civile, quando le autorità dei detti Stati abbiano accertato l’esistenza di infrazioni alle norme applicabili in materia di concorrenza (sentenza della Corte 29 giugno 2006, causa C‑308/04 P, SGL Carbon/Commissione, Racc. pag. I‑5977, punto 29).

206    Per contro, del tutto diversa è la situazione giuridica in cui un’impresa sia interessata, in materia di concorrenza, esclusivamente dall’applicazione del diritto comunitario e dal diritto di uno o più Stati membri, vale a dire la situazione in cui un’intesa riguarda esclusivamente l’ambito della sfera di applicazione territoriale dell’ordinamento giuridico della Comunità europea (sentenza 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, cit. supra al punto 205, punto 30).

207    Ne consegue che la Commissione, quando sanziona il comportamento illegittimo di un’impresa – ancorché esso tragga origine da un’intesa di carattere internazionale –, intende salvaguardare la libera concorrenza all’interno del mercato comune che costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. g), CE, un obiettivo fondamentale della Comunità. Infatti, a causa della specificità del bene giuridico tutelato a livello comunitario, le valutazioni effettuate dalla Commissione, in forza delle sue competenze in materia, possono divergere considerevolmente da quelle effettuate dalle autorità di Stati terzi (sentenza 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, cit. supra punto 205, punto 31).

208    Con riferimento ad una presunta violazione dei principi di proporzionalità e/o di equità, dedotta dalle ricorrenti, si deve rilevare che si può tener conto di qualsiasi considerazione attinente all’esistenza di ammende inflitte dalle autorità di uno Stato terzo solo nel contesto del potere discrezionale di cui dispone la Commissione in materia di fissazione di ammende per le infrazioni al diritto comunitario della concorrenza. Di conseguenza, anche se non può escludersi che la Commissione tenga conto di ammende anteriormente inflitte dalle autorità di Stati terzi, essa non può esservi tuttavia obbligata (sentenza 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, cit. supra punto 205, punto 36).

209    Infatti, l’obiettivo di dissuasione che la Commissione può legittimamente perseguire nel determinare l’importo di un’ammenda è volto ad assicurare il rispetto, da parte delle imprese, di norme sulla concorrenza fissate dal Trattato CE ai fini dello svolgimento delle loro attività nell’ambito del mercato comune (v., in tal senso, sentenza ACF Chemiefarma/Commissione, cit. supra al punto 191, punti 173-176). Di conseguenza, nel valutare il carattere dissuasivo di un’ammenda da infliggere per una violazione di dette norme, la Commissione non ha l’obbligo di tener conto di eventuali sanzioni inflitte ad un’impresa in ragione della violazione delle norme di concorrenza da parte di Stati terzi (sentenza 29 giugno 2006, SGL Carbon/Commissione, cit. supra punto 205, punto 37).

210    Nel caso di specie è sufficiente ricordare che l’intesa oggetto della decisione riguardava esclusivamente l’ambito della sfera di applicazione territoriale dell’ordinamento giuridico della Comunità europea e che, nell’ambito della sua valutazione del carattere dissuasivo delle ammende, la Commissione non aveva quindi l’obbligo di tener conto, in un modo o nell’altro, delle sanzioni inflitte dalle autorità americane ad imprese che avevano violato le norme nazionali sulla concorrenza. Tenuto conto delle specificità del controllo e della repressione delle infrazioni proprie del diritto della concorrenza degli Stati Uniti, connesse all’importanza delle azioni per risarcimento danni e dei procedimenti penali, le ricorrenti non possono utilmente fare riferimento all’ammontare delle ammende imposte nell’ambito del procedimento svoltosi in questo Stato terzo per pretendere di dimostrare il carattere sproporzionato dell’ammenda ad esse inflitta nella Decisione. 

 Sulla cooperazione della Schunk

211    Occorre ricordare che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende e può, a questo proposito, tener conto di molteplici elementi, tra i quali figura la cooperazione delle imprese interessate in occasione dell’indagine condotta dai servizi di detta istituzione. In tale contesto, la Commissione è chiamata ad effettuare complesse valutazioni di fatto, quali quelle riguardanti la cooperazione fornita da ciascuna delle imprese suddette (sentenza 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, cit. supra punto 153, punto 81).

212    La Commissione dispone, a tale riguardo, di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa, segnatamente in rapporto ai contributi offerti da altre imprese (sentenza 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, cit. supra punto 153, punto 88).

213    Nella comunicazione sulla cooperazione la Commissione ha precisato le condizioni alle quali le imprese che cooperano con essa nel corso delle sue indagini relative ad un’intesa potranno evitare l’imposizione dell’ammenda che altrimenti sarebbe loro inflitta, o beneficiare di riduzioni del suo ammontare (v. punto A, n. 3, della comunicazione sulla cooperazione).

214    Il punto D della comunicazione sulla cooperazione prevede quanto segue:

«1. Un’impresa che coopera senza che siano soddisfatte tutte le condizioni di cui ai punti B o C beneficia di una riduzione dal 10% al 50% dell’ammontare dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione.

2. Ciò può verificarsi in particolare:

–        se, prima dell’invio di una comunicazione degli addebiti, un’impresa fornisce alla Commissione informazioni, documenti o altri elementi probatori che contribuiscano a confermare la sussistenza dell’infrazione,

–        se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, un’impresa informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

215    Nel caso di specie la Schunk ha beneficiato di una riduzione del 30% dell’ammontare della sua ammenda in forza del punto D della comunicazione sulla cooperazione.

216    Per giustificare la sua valutazione, la Commissione rileva al ‘considerando’ 328 della Decisione quanto segue:

«Analogamente alla [LCL], la Schunk ha chiesto di beneficiare di misure di clemenza dopo aver ricevuto la lettera che la Commissione le aveva inviato ai sensi dell’art. 11 [del regolamento n. 17], ma ha presentato i suoi elementi di prova un mese più tardi della [LCL]. Nella sua dichiarazione la Schunk ha ammesso l’esistenza dell’intesa e la sua partecipazione ad essa, ma non ha presentato relazioni risalenti a tale periodo relative alle riunioni del cartello. Il più utile elemento di prova presentato consiste in un elenco delle riunioni del cartello che la Schunk ammette abbiano avuto luogo. Quest’elenco comprende alcune riunioni di cui la Commissione non era a conoscenza. La Schunk ha altresì presentato una serie di documenti di viaggio relativi a varie riunioni. La maggior parte riguardava riunioni delle quali la Commissione era già a conoscenza e per le quali essa aveva chiesto l’invio di tutti i documenti diponibili nella sua lettera ai sensi dell’art. 11. Nel corso dell’indagine la Schunk ha altresì risposto a diverse domande, rivoltele dalla Commissione nel contesto della sua cooperazione con quest’ultima, al fine di completare le informazioni da essa già spontaneamente fornite. Tuttavia la Commissione nota che, contrariamente alla [LCL], la Schunk non ha assunto l’iniziativa di fornirle informazioni integrative sull’intesa. Nel complesso, la Commissione ritiene che le prove fornite spontaneamente dalla Schunk soddisfino la condizione dell’aver contribuito a confermare l’esistenza dell’infrazione».

217    La Commissione ha altresì rilevato che, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, la Schunk l’ha informata di non contestare i fatti materiali sui quali essa basava le sue accuse (punto 329 della Decisione).

218    Occorre sottolineare che non esiste nessuna contestazione del fatto che la Schunk soddisfaceva, al momento dell’adozione della Decisione, le condizioni previste al punto D, n. 2, primo e secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione. La controversia riguarda esclusivamente l’entità della riduzione accordata, pari al 30% rispetto al 40% a favore della LCL, osservandosi che le due imprese hanno beneficiato di una medesima riduzione del 10% per mancanza di contestazione dei fatti materiali. La Schunk sostiene, in sostanza, che la motivazione di tale differenza che figura nella Decisione è errata e che si tratta di un trattamento discriminatorio.

219    Con riferimento all’affermazione della Schunk, che sostiene di aver reagito con maggiore prontezza rispetto alla LCL, si deve rilevare che, dopo aver ricevuto una domanda di informazioni, contenuta in una lettera della Commissione del 2 agosto 2002 redatta in inglese, la Schunk ne ha chiesto, l’8 agosto 2002, una versione in lingua tedesca, che ha ottenuto il 4 ottobre 2002. Questa situazione spiega, secondo la Schunk, il fatto che essa ha potuto fornire una risposta alla domanda di informazioni soltanto il 25 ottobre 2002, vale a dire soltanto tre settimane dopo aver ricevuto la detta domanda tradotta in tedesco, laddove la LCL avrebbe risposto più di sette settimane dopo aver ricevuto la domanda di informazioni che le era stata inviata.

220    Si deve tuttavia rilevare che la SKT ha scritto alla Commissione dal 2 settembre 2002 per informarla della sua intenzione di collaborare con essa nell’ambito del procedimento amministrativo e verificare se, oltre alle risposte alla domanda di informazioni, essa sarebbe stata in grado di comunicarle altre informazioni utili, tenuto conto degli elementi di prova già in possesso dell’istituzione. 

221    Il 30 settembre 2002 la SKT, tramite il suo avvocato, ha presentato commenti dettagliati e critici in merito al contenuto della domanda di informazioni, procedendo, in particolare, ad un’analisi esegetica di quest’ultima al fine di dimostrare che le questioni poste esorbitavano dall’ambito definito dalla giurisprudenza e che le risposte a tali questioni così come la produzione della documentazione corrispondente andavano oltre, da un punto di vista giuridico, la cooperazione richiesta dall’impresa. La SKT faceva, tuttavia, presente di aver volontariamente risposto a tali questioni e che le informazioni che esorbitavano dalla cooperazione richiesta sarebbero apparse in neretto nella sua risposta.

222    Questi due scritti della SKT attestano una perfetta comprensione della domanda di informazioni prima della sua traduzione in tedesco e, pertanto, le ricorrenti non possono seriamente affermare di essere state in grado di fornire il loro contributo soltanto a partire dalla ricezione di detta traduzione.

223    A tale constatazione si aggiunge il fatto che la LCL ha altresì ricevuto la domanda di informazioni redatta in inglese, e non è in francese, e che ha fornito informazioni sugli accordi e sulle pratiche concordate di cui trattasi già il 22 agosto 2002, nonché il 24 e il 30 settembre 2002. Di conseguenza la Commissione ha giustamente considerato che la SKT ha fornito i suoi elementi di prova per lo meno un mese più tardi della LCL.

224    Anche supponendo che quest’ultima conclusione possa essere considerata errata, nel caso si tenga esclusivamente conto della ricezione della traduzione in tedesco della domanda di informazioni, gli altri motivi che figurano al ‘considerando’ 328 della Decisione giustificano la differenza di trattamento contestata.

225    Come risulta dal punto 328 della Decisione, la Commissione ha basato essenzialmente la sua valutazione dell’entità della riduzione accordata sul valore del contributo fornito dalla SKT. Si deve ricordare al riguardo che, secondo la giurisprudenza, la riduzione delle ammende in caso di cooperazione delle imprese partecipanti a infrazioni al diritto comunitario della concorrenza trova il suo fondamento nella considerazione secondo la quale una siffatta operazione facilita il compito della Commissione consistente nell’accertamento di un’infrazione e, eventualmente, nel porvi fine (sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra punto 44, punto 399; sentenze del Tribunale BPB de Eendracht/Commissione, cit. supra punto 42, punto 325; 14 maggio 1998, causa T‑338/94, Finnboard/Commissione, Racc. pag. II‑1617, punto 363, e Mayr-Melnhof/Commissione, cit. supra punto 165, punto 330).

226    La Commissione ha, da un lato, considerato in sostanza che gli elementi di prova forniti dalla SKT avevano un debole valore aggiunto, tenuto conto degli elementi di prova già in suo possesso.

227    Essa osserva, senza essere contraddetta dalla Schunk, di aver ricevuto dalla SKT un elenco delle riunioni del cartello della maggior parte delle quali era già a conoscenza e delle quali alcune corrispondevano alle riunioni ufficiali dell’associazione professionale europea del settore, vale a dire l’ECGA.

228    Contrariamente alle affermazioni della Schunk, la Commissione non indica al punto 328 della Decisione che la SKT non ha comunicato documenti risalenti all’epoca dei fatti imputati. È peraltro accertato che la SKT ha trasmesso, con la sua risposta alla domanda di informazioni, alcune lettere indirizzate ai rappresentanti dell’ECGA e un gran numero di documenti comprovanti spostamenti e soggiorni in albergo collegati alle riunioni del cartello menzionate nell’elenco. Questi documenti non costituiscono tuttavia «relazioni» o verbali sul contenuto delle riunioni ad esse contemporanei.

229    Come giustamente sottolinea la Commissione nei suoi scritti, l’elenco delle riunioni e i documenti sui corrispondenti spostamenti avevano senso soltanto in reazione alle informazioni fornite da altre imprese sul contenuto delle riunioni in parola. La Commissione ha d’altronde indicato, senza essere contraddetta dalla Schunk, che pur se la SKT ha risposto a diverse questioni rivoltele nel contesto della sua cooperazione all’indagine al fine di completare le informazioni da essa già fornite spontaneamente, detta impresa, contrariamente alla LCL, non ha preso l’iniziativa di fornire informazioni integrative sull’intesa.

230    La Schunk afferma inoltre che, al punto 328 della Decisione, la Commissione sottolinea il fatto che la sua cooperazione ha avuto luogo in epoca successiva alla ricezione della domanda di informazioni, e ciò in contraddizione con la giurisprudenza secondo la quale tale circostanza non costituisce una ragione per considerare la cooperazione di minore valore.

231    La prima frase del punto 328 della Decisione è così formulata:

«Analogamente alla [LCL], la Schunk ha chiesto di beneficiare di misure di clemenza dopo aver ricevuto la lettera che la Commissione le ha inviato ai sensi dell’art. 11, ma ha presentato i suoi elementi di prova un mese più tardi della [LCL]».

232    Considerata tale formulazione, l’interpretazione fornita dalla Commissione nel controricorso, secondo la quale questa frase significherebbe che essa avrebbe tenuto conto soltanto delle informazioni esulanti da quelle dovute ai sensi dell’art. 11 del regolamento n. 17 appare troppo estensiva e non può essere accolta. Dal testo del punto summenzionato risulta che la Commissione ha considerato il momento in cui è intervenuta la rivendicazione del beneficio della comunicazione sulla cooperazione per valutare l’entità della riduzione che poteva essere accordata in base al contributo fornito dalla SKT.

233    La Schunk fa riferimento alla sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑230/00, Daesang e Sewon Europe/Commissione (Racc. pag. II‑2733, punto 139), per affermare che tale considerazione è contraria alla giurisprudenza. Risulta tuttavia dal punto 139 di tale sentenza, espressamente indicato dalla Schunk, che quest’ultimo è del tutto privo di pertinenza nel caso di specie. In questa sentenza il Tribunale ha considerato che il fatto di «rifiutare» alle ricorrenti il beneficio della riduzione prevista al punto C della comunicazione sulla cooperazione, e non al punto D come nella fattispecie, a causa del fatto che alle stesse era stata inviata una richiesta di informazioni, era contrario alle condizioni previste da tale disposizione.

234    Risulta in realtà dalla giurisprudenza che, com’è stato esposto, la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale per valutare la qualità e l’utilità della cooperazione fornita da un’impresa (sentenza 10 maggio 2007, SGL Carbon/Commissione, cit. supra al punto 153, punto 88), e, nell’ambito di una valutazione complessiva, essa può tener conto del fatto che tale impresa le abbia inviato documenti soltanto dopo aver ricevuto una domanda di informazioni (sentenza LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 365, confermata a seguito di impugnazione con sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit. supra al punto 44, punto 408), senza tuttavia poter considerare tale circostanza determinante per sminuire la cooperazione fornita da un’impresa ai sensi del punto D, n. 2, primo trattino, della comunicazione sulla cooperazione (sentenza Tokai I, cit. supra al punto 84, punto 410). Il punto 328 della Decisione non è contrario a tale giurisprudenza.

235    Risulta in ogni caso dalla lettura dei punti 324 e 328 della Decisione che la Commissione ha tenuto conto, sia riguardo alla Schunk sia riguardo alla LCL, del fatto che queste due imprese hanno chiesto di beneficiare delle disposizioni della comunicazione sulla cooperazione dopo aver ricevuto una domanda di informazioni e che pertanto esse hanno ricevuto, al riguardo, un trattamento identico.

236    Si deve infine rilevare che la Schunk pone in rilievo nei suoi scritti alcune osservazioni della Commissione, nella Decisione, circa l’utilità relativa delle informazioni fornite dalla LCL. Per quanto la Schunk deduca un’illegittima riduzione dell’ammenda ottenuta dalla LCL e pur supponendo che la Commissione abbia indebitamente concesso una riduzione a quest’impresa per un’errata applicazione della comunicazione sulla cooperazione, si deve ricordare che l’osservanza del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con rispetto del principio di legalità, secondo cui nessuno può far valere, a proprio il vantaggio, un illecito commesso a favore di altri (sentenza Williams/Corte dei conti, cit. supra al punto 203, punto 14; sentenze 14 maggio 1998, SCA Holding/Commissione, cit. supra al punto 203, punto 160, e LR AF 1998/Commissione, cit. supra al punto 43, punto 367).

237    Risulta dalle considerazioni che precedono che il motivo relativo ad un’errata valutazione della cooperazione delle ricorrenti da parte della Commissione e ad un trattamento discriminatorio rispetto alla SGL deve essere respinto.

 Sulla domanda riconvenzionale della Commissione

238    La Commissione chiede al Tribunale di far uso della competenza giurisdizionale anche di merito che l’art. 229 CE e l’art. 17 del regolamento n. 17 gli attribuiscono e di maggiorare l’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti, le quali hanno contestato per la prima volta dinanzi al Tribunale fatti esposti nella comunicazione degli addebiti. La Schunk contesta la possibilità stessa per la Commissione di presentare una domanda di maggiorazione dell’ammontare dell’ammenda e, in ogni caso, il fondamento di quest’ultima.

 Sulla ricevibilità

239    Il Tribunale, nel caso di specie, è investito di un ricorso, presentato dalla Schunk in base agli artt. 230 CE e 231 CE, diretto, in via principale, all’annullamento della Decisione e, in subordine, la riduzione dell’ammontare dell’ammenda inflitta.

240    Si deve ricordare che, in conformità all’art. 229 CE, i regolamenti adottati segnatamente dal Consiglio, in virtù delle disposizioni del Trattato, possono attribuire alla Corte una competenza giurisdizionale anche di merito per quanto riguarda le sanzioni previste nei regolamenti stessi.

241    Una siffatta competenza è stata conferita al giudice comunitario dall’art. 17 del regolamento n. 17, il quale prevede che «[l]a Corte di giustizia ha competenza giurisdizionale anche di merito ai sensi dell’articolo [229 CE] per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni con le quali la Commissione commina una ammenda o una penalità di mora».

242    Il Tribunale ha il potere di valutare, nell’ambito della competenza anche di merito riconosciutagli dagli artt. 229 CE e 17 del regolamento n. 17, l’adeguatezza dell’importo delle ammende (sentenze della Corte 16 novembre 2000, causa C‑248/98 P, KNP BT/Commissione, Racc. pag. I‑9641, punto 40; Cascades/Commissione, cit. supra al punto 167, punto 41, e 16 novembre 2000, causa C‑280/98 P, Weig/Commissione, Racc. pag. I‑9757, punto 41). Infatti, nell’ambito della sua competenza giurisdizionale anche di merito, i poteri del giudice comunitario non si limitano, come previsto dall’art. 231 CE, all’annullamento della decisione impugnata, bensì gli consentono di modificare la sanzione comminata da quest’ultima (ordinanza FNICGV/Commissione, cit. supra al punto 85, punto 24).

243    Il giudice comunitario è quindi abilitato, al di là del mero controllo di legittimità della sanzione, a sostituire la sua valutazione a quella della Commissione e, di conseguenza, a sopprimere, ridurre o aumentare l’ammenda o la penalità inflitta (sentenza della Corte 8 febbraio 2007, causa C‑3/06 P, Groupe Danone/Commissione, Racc. pag. I‑1331, punto 61).

244    Pertanto, anche se l’esercizio della competenza anche di merito è il più delle volte chiesto dalle ricorrenti nel senso di una riduzione dell’ammontare dell’ammenda, nulla osta a che la Commissione possa altresì sottoporre al giudice comunitario la questione dell’importo dell’ammenda e formulare una domanda di maggiorazione del detto importo.

245    Siffatta possibilità è del resto espressamente prevista al punto E, n. 4, della comunicazione sulla cooperazione, il quale stabilisce che, se «un’impresa che abbia beneficiato di una riduzione dell’ammontare dell’ammenda per non aver contestato i fatti materiali li contesta per la prima volta in un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale (...), in linea di massima la Commissione chiederà al Tribunale di aumentare l’ammontare dell’ammenda inflitta a detta impresa». La domanda presentata dalla Commissione nel caso di specie è precisamente fondata su tale disposizione. 

246    Occorre inoltre rilevare che l’esercizio della competenza giurisdizionale anche di merito da parte dei giudici comunitari s’inscrive necessariamente nell’ambito del controllo degli atti delle istituzioni comunitarie, in particolare nell’ambito del ricorso d’annullamento. Infatti, l’art. 229 CE ha l’unico effetto di ampliare i poteri di cui dispone il giudice comunitario nell’ambito del ricorso previsto dall’art. 230 CE (ordinanza FNICGV/Commissione, cit. supra punto 85, punto 25).

247    Ne consegue che l’argomento della Schunk secondo il quale la domanda di aumento dell’ammontare dell’ammenda da parte della Commissione è incompatibile con l’art. 230 CE e oltrepassa i limiti dell’oggetto della controversia definito nel ricorso deve essere respinto.

248    Peraltro, l’argomento della Schunk secondo il quale la domanda summenzionata viola il «principio di buona fede», in quanto detta domanda è motivata da comportamenti di cui la Commissione era già a conoscenza nel corso del procedimento amministrativo, deve essere altresì respinto poiché basato su un’errata lettura degli scritti della Commissione.

249    Infatti, come è stato esposto, la domanda di maggiorazione dell’ammontare dell’ammenda è motivata dal comportamento della Schunk, la quale, secondo la Commissione, contesta per la prima volta dinanzi al giudice fatti precedentemente ammessi nel corso del procedimento amministrativo.

250    Dalle considerazioni che precedono risulta che la detta domanda deve essere dichiarata ricevibile e che il Tribunale è competente a statuire nel merito.

 Nel merito

251    Tenuto conto del potere conferito al Tribunale di maggiorare l’importo di una ammenda inflitta in applicazione del regolamento n. 17, si deve determinare se, come sostiene in sostanza la Commissione, le circostanze del caso di specie giustifichino la soppressione della riduzione del 10% accordata alla Schunk sulla base della sua cooperazione, circostanza che condurrebbe ad una maggiorazione dell’ammontare finale dell’ammenda.

252    Ai sensi del punto D, n. 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione, un’impresa beneficia di una riduzione dell’ammenda «se, dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti, [essa] informa la Commissione che non contesta i fatti materiali sui quali la Commissione fonda le sue accuse».

253    Nel caso di specie si deve rilevare che le conclusioni delle ricorrenti non sono dirette soltanto alla riduzione dell’ammontare dell’ammenda, ma anche all’annullamento della Decisione in quanto tale e che, nell’ambito della loro argomentazione sviluppata a sostegno delle censure relative alla violazione dei principi di proporzionalità e della parità di trattamento, le ricorrenti contestano direttamente fatti ad esse imputati nelle comunicazioni degli addebiti e sui quali è fondata la constatazione di una violazione dell’art. 81 CE.

254    Com’è stato precedentemente esposto, le ricorrenti hanno contestato per la prima volta dinanzi al Tribunale gli accordi sul divieto di pubblicità, le pratiche anticoncorrenziali riguardanti beni destinati ai produttori di componenti automobilistici e ai produttori di beni di consumo e il sistema di controllo dell’esecuzione degli accordi collusivi, sui quali in particolare si basa la constatazione, nella Decisione, di una violazione dell’art. 81 CE.

255    La Commissione rileva che le ricorrenti hanno altresì contestato per la prima volta nel ricorso l’importanza del documento riprodotto sulla pagina n. 9823 del fascicolo del procedimento (allegato A 21), riguardante i produttori di componenti automobilistici e di beni di consumo, nonché gli accordi relativi all’esclusione dei concorrenti.

256    Il summenzionato documento è connesso alla contestazione relativa alle pratiche anticoncorrenziali riguardanti i beni destinati ai produttori di componenti automobilistici e ai produttori di beni di consumo, indicata al precedente punto 254.

257    Quanto agli accordi relativi all’esclusione dei concorrenti, la Commissione fa riferimento al motivo delle ricorrenti relativo all’inesistenza di un piano globale dei membri dell’intesa diretto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese, motivo basato, come indicato, su una lettura manifestamente erronea del punto 173 della Decisione e che non può pertanto essere esaminato come se integrasse una contestazione tardiva dei fatti imputati.

258    Occorre ricordare, in questa fase, che le tre contestazioni indicate al precedente punto 254 sono state respinte in applicazione della giurisprudenza secondo la quale sono considerati dimostrati i fatti che un’impresa ha espressamente ammesso nell’ambito del procedimento amministrativo, dato che quest’ultima non è più libera di sviluppare motivi volti a contestarli nell’ambito del procedimento contenzioso (sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra al punto 84, punto 227; sentenza Tokai I, cit. supra al punto 84, punto 108, e sentenza Tokai II, cit. supra al punto 56, punti 324 e 326).

259    Di conseguenza, la riduzione minima del 10% accordata alla Schunk ai sensi del punto D, n. 2, secondo trattino, della comunicazione sulla cooperazione non dev’essere soppressa e la domanda riconvenzionale della Commissione deve pertanto essere respinta (v., in tal senso, sentenza Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, cit. supra punto 84, punto 369).

260    Si deve inoltre rilevare che, nei suoi scritti, la Commissione ha fatto riferimento alla sentenza Tokai I, cit. supra al punto 84, nella quale il Tribunale ha accolto la domanda di maggiorazione dell’ammenda della Commissione quand’anche l’argomentazione della ricorrente non rimetteva in discussione fatti espressamente ammessi, indicando che la Commissione, al di là di qualsiasi aspettativa che essa poteva ragionevolmente basare sulla cooperazione obiettiva della ricorrente nel corso del procedimento amministrativo, è stata obbligata a elaborare e apresentare una difesa dinanzi al Tribunale in merito alla contestazione di fatti, integranti infrazioni, che essa aveva giustamente considerato non sarebbero più stati rimessi in discussione dalla ricorrente.

261    Gli scritti della Commissione lasciano pensare che quanto sia stato ritenuto in un’ipotesi in cui l’argomentazione della ricorrente non rimetteva in discussione fatti espressamente ammessi debba necessariamente esserlo in un caso in cui, come nella fattispecie, vi è una contestazione tardiva dei fatti ammessi nel corso del procedimento amministrativo.

262    Resta il fatto che, come giustamente sottolineano le ricorrenti, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 prevede che l’ammontare dell’ammenda possa essere determinato soltanto in funzione della gravità e della durata di un’infrazione. Il fatto che la Commissione sia stata costretta a formulare una difesa in merito alla contestazione di fatti che giustamente essa aveva considerato non sarebbero più stati rimessi in discussione dalla ricorrente non può giustificare, tenuto conto dei due criteri esclusivi di determinazione dell’importo dell’ammenda, una maggiorazione di quest’ultimo. In altri termini, le spese sopportate dalla Commissione relativamente al procedimento dinanzi al Tribunale non rappresentano un criterio per determinare l’importo dell’ammenda e devono essere prese in considerazione esclusivamente nell’ambito dell’applicazione delle disposizioni del regolamento di procedura relative al rimborso delle spese.

263    Alla luce delle suesposte considerazioni, tutte le domande dedotte nell’ambito del presente ricorso devono essere respinte.

 Sulle spese

264    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché le ricorrenti sono rimaste soccombenti, esse vanno condannate alle spese, conformemente alle conclusioni della Commissione.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Schunk GmbH e la Schunk Kohlenstoff-Technik GmbH sono condannate alle spese.

Vilaras

Prek

Ciucă

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 ottobre 2008.

Il cancelliere

 

       Il presidente

E. Coulon

 

       M. Vilaras

Indice


Fatti all’origine della controversia

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulla domanda di annullamento della Decisione

Sull’eccezione d’illegittimità dell’art.15, n. 2, del regolamento n. 17

Sulla responsabilità congiunta e solidale della Schunk GmbH e della SKT

Sulle contestazioni dell’infrazione

– Considerazioni preliminari

– Sul divieto di pubblicità

– Sulla fornitura di blocchi di carbonio

– Sulle pratiche anticoncorrenziale riguardanti i produttori di componenti automobilistici e i produttori di beni di consumo

– Sull’inesistenza di un piano globale volto a modificare in maniera duratura la struttura della concorrenza sul mercato attraverso operazioni di acquisto di imprese.

– Sull’esistenza di un meccanismo particolarmente sofisticato per il controllo e l’esecuzione degli accordi di cui trattasi

Sulla domanda di riduzione dell’ammenda

Sulla presunta sopravvalutazione da parte della Commissione della gravità dell’infrazione, tenuto conto della sua natura e dei suoi effetti

– Sulla natura dell’infrazione

– Sugli effetti dell’infrazione

Sulla ripartizione delle imprese in categorie

Sull’effetto dissuasivo

Sulla cooperazione della Schunk

Sulla domanda riconvenzionale della Commissione

Sulla ricevibilità

Nel merito

Sulle spese


* Lingua processuale: il tedesco.