Language of document : ECLI:EU:C:2019:547

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 27 giugno 2019 (1)

Causa C274/18

Minoo SchuchGhannadan

contro

Medizinische Universität Wien

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego – Limitazione della durata massima totale dei contratti di lavoro a tempo determinato successivi – Discriminazione indiretta fondata sul sesso – Onere della prova»






1.        Nella domanda di pronuncia pregiudiziale che costituisce l’oggetto delle presenti conclusioni, l’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna, Austria) pone alla Corte tre questioni, vertenti, la prima, sull’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo parziale») (2), la seconda, sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (3) e, la terza, sull’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della medesima direttiva.

I.      Causa principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

2.        Il rinvio pregiudiziale dell’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) è intervenuto nell’ambito di un’azione proposta dalla sig.ra Minoo Schuch‑Ghannadan contro la Medizinische Universität Wien (Università di medicina di Vienna, Austria; in prosieguo: la «MUW») riguardante la cessazione del suo rapporto di lavoro con quest’ultima. A sostegno della propria azione, la sig.ra Schuch‑Ghannadan ha fatto valere, segnatamente, che la disciplina istituita conformemente all’articolo 109, paragrafo 2, dell’Universitätsgesetz del 2002 (legge austriaca del 2002 in materia di università; in prosieguo: l’«UG»), applicabile alla MUW (4) e che ha disciplinato il suo rapporto di lavoro con quest’ultima, è incompatibile con il diritto dell’Unione in quanto introduce, da un lato, una discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno e, dall’altro, in ragione di ciò, una discriminazione indiretta a danno delle donne. A termini della disposizione in parola, è consentito stipulare rapporti di lavoro a tempo indeterminato o determinato, con una durata massima di sei anni per i contratti a tempo determinato, salvo diversamente disposto dall’UG. Il paragrafo 2 di tale articolo prevede che «[u]na successione di [rapporti] a tempo determinato consecutivi è lecita solo con riguardo a lavoratori e lavoratrici impiegati nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca e per il personale esclusivamente addetto all’insegnamento, quale il personale supplente. La durata complessiva dei rapporti di lavoro consecutivi di una lavoratrice o di un lavoratore non può superare i sei anni ovvero gli otto anni in caso di impiego a tempo parziale. È ammessa, in presenza di una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca o di pubblicazioni, una sola ulteriore proroga fino a un massimo di dieci anni complessivi e di dodici anni nel caso di impiego a tempo parziale».

3.        Dall’ordinanza di rinvio risulta che la sig.ra Schuch‑Ghannadan è stata impiegata come ricercatrice (5) presso la MUW per un periodo compreso tra il 9 settembre 2002 e il 30 aprile 2014 (con un’interruzione dal 1o settembre 2005 al 30 settembre 2006), in forza di contratti a tempo determinato successivi in applicazione dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, in parte a tempo pieno e in parte a tempo parziale. La sig.ra Schuch‑Ghannadan chiede che il giudice del rinvio accerti la continuazione del suo rapporto di lavoro presso la MUW, deducendo sia la violazione dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, non sussistendo le condizioni previste da tale disposizione per prorogare il suo contratto oltre il limite di otto anni, sia, come precedentemente menzionato, la contrarietà della disposizione in parola al diritto dell’Unione.

4.        Con sentenza del 2 giugno 2016, il giudice del rinvio ha respinto la domanda della sig.ra Schuch‑Ghannadan, ritenendo, da un lato, che non vi fosse stata violazione dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG e, dall’altro, che l’incompatibilità di tale disposizione con il diritto dell’Unione dedotta dalla ricorrente nel procedimento principale non fosse rilevante, in quanto il tenore letterale della disposizione non consentiva un’interpretazione conforme alla direttiva 2006/54. L’Oberlandesgericht Wien (Tribunale superiore del Land di Vienna, Austria), adito dalla sig.ra Schuch‑Ghannadan, ha parzialmente annullato la summenzionata sentenza del 2 giugno 2016 con la motivazione che gli argomenti della sig.ra Schuch‑Ghannadan vertenti sull’incompatibilità dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG con il diritto dell’Unione non erano stati adeguatamente esaminati e ha rimesso la causa all’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna).

5.        Dinanzi a detto giudice, la MUW ha sostenuto che la ricorrente nel procedimento principale si era limitata ad affermare, senza addurre elementi di prova, l’esistenza di una discriminazione tra lavoratori a tempo determinato in regime di tempo parziale e in regime di tempo pieno, senza precisare in che modo tale discriminazione si sostanziasse. Essa fa valere che la diversa durata di un rapporto lavorativo a tempo determinato tra tali due categorie di lavoratori non penalizza i lavoratori a tempo parziale poiché questi ultimi possono conservare il loro impiego più a lungo, considerata la rarità delle posizioni permanenti in ambito universitario. Quanto all’affermazione relativa alla discriminazione indiretta nei confronti delle donne, la MUW sostiene che spettava alla ricorrente nel procedimento principale fornire la prova, suffragata da dati statistici, che la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato in regime di tempo parziale e in regime di tempo pieno di cui all’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG riguardava un numero più considerevole di donne. I dati relativi ai lavoratori a tempo determinato che rientrano nell’ambito di tale disposizione, impiegati presso la MUW, non consentirebbero di corroborare l’esistenza di una siffatta discriminazione.

6.        In tale contesto, con decisione del 19 aprile 2018, l’Arbeit‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) ha sospeso il procedimento dinanzi ad esso pendente e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.      Se il principio pro rata temporis di cui alla clausola 4, punto 2, [dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale], in combinato disposto con il principio di non discriminazione di cui a [detta] clausola 4, punto 1, debba essere applicato ad una disciplina legislativa a termini della quale sia lecito limitare la durata complessiva di rapporti di lavoro consecutivi di una lavoratrice o di un lavoratore, impiegata/o presso un’Università austriaca nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca, a [sei] anni per le lavoratrici e i lavoratori a tempo pieno, ma a [otto] anni in caso di impiego a tempo parziale, e inoltre, in presenza di una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca o di pubblicazioni, se sia lecita una sola ulteriore proroga fino a [dieci] anni complessivi per i lavoratori a tempo pieno e di [dodici] anni nel caso di impiego a tempo parziale.

2.      Se una disciplina legislativa come quella descritta nella prima questione pregiudiziale costituisca una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54 (…), nel caso in cui, considerando l’insieme dei lavoratori cui si applica tale normativa, risulti danneggiata una percentuale notevolmente più elevata di lavoratori di sesso femminile che di lavoratori di sesso maschile.

3.      Se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva [2006/54] debba essere interpretato nel senso che una donna, la quale, nell’ambito di applicazione di una disciplina legislativa come quella menzionata nella prima questione pregiudiziale, lamenti di aver subìto una discriminazione indiretta fondata sul sesso, poiché sono molto di più le donne che gli uomini a lavorare in regime di tempo parziale, debba corroborare detta circostanza, segnatamente il fatto che le donne siano danneggiate in numero statisticamente molto più elevato, attraverso l’allegazione di pertinenti dati statistici o di fatti concreti e dimostrandola con idonei mezzi di prova».

7.        Nella causa oggetto delle presenti conclusioni sono state presentate osservazioni scritte dalle parti nel procedimento principale, dai governi austriaco e portoghese nonché dalla Commissione europea. All’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 7 marzo 2019, hanno presentato osservazioni orali la sig.ra Schuch‑Ghannadan, la MUW, il governo austriaco nonché la Commissione.

II.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

8.        Nei motivi della propria ordinanza di rinvio, l’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna) ha parimenti preso in considerazione, quale parametro di valutazione della legittimità dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, oltre all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e alla direttiva 2006/54, l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro sul lavoro a tempo determinato») (6), e, segnatamente, la sua clausola 5, che impone agli Stati membri di adottare misure volte a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato successivi. Secondo l’Arbeits‑ und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna), l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisce una trasposizione «sufficiente e legittima» del paragrafo 1 di detta clausola. Pertanto, nessuna questione pregiudiziale sollevata da tale giudice verte sull’interpretazione della clausola medesima.

9.        Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione sottolinea il proprio disaccordo sulla valutazione del giudice del rinvio e chiede alla Corte, in sostanza, di rispondere, in via preliminare, alla questione se l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisca una trasposizione sufficiente della clausola 5, paragrafo 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Secondo la Commissione, una risposta negativa a tale questione, quale da essa auspicata, renderebbe superfluo rispondere alle questioni poste dal giudice del rinvio.

10.      Prima di affrontare nel merito la questione preliminare sollevata dalla Commissione, occorre chiedersi se il percorso che detta istituzione suggerisce di seguire, il quale implica, sostanzialmente, un rilievo d’ufficio da parte della Corte di una questione pregiudiziale supplementare rispetto a quelle poste dal giudice del rinvio, sia compatibile con la giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione dell’articolo 267 TFUE.

1.      Sullammissibilità del rilievo dufficio di una questione pregiudiziale supplementare nella presente fattispecie

11.      Secondo una costante giurisprudenza, la facoltà di determinare le questioni da sottoporre alla Corte è riservata al giudice nazionale (7), il quale è investito della controversia e deve assumersi la responsabilità della futura pronuncia giurisdizionale (8). Pertanto, le parti nella causa principale non possono modificarne il tenore (9), né farle dichiarare prive di oggetto. Ad istanza di parte, la Corte non può nemmeno ritenersi obbligata a statuire su una questione complementare (10). La Corte motiva tale giurisprudenza alla luce, da un lato, della natura del rinvio pregiudiziale, che è inteso a instaurare una «collaborazione diretta fra [essa] e i giudici nazionali, mediante un procedimento non contenzioso in cui è esclusa qualsiasi iniziativa delle parti e nel corso del quale queste ultime sono semplicemente invitate a presentare le loro osservazioni» (11) e, dall’altro, dell’obbligo che le incombe di dare ai governi degli Stati membri e alle parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuto conto del fatto che, in base alla suddetta disposizione, agli interessati vengono notificate solo le decisioni di rinvio (12). Una modifica delle questioni pregiudiziali sotto il profilo sostanziale o una risposta alle questioni complementari menzionate nelle osservazioni di una delle parti nella causa principale sarebbe incompatibile con tale obbligo (13).

12.      Se è vero che la Corte, in forza della giurisprudenza summenzionata, si rifiuta, in linea di principio, di rispondere a questioni complementari menzionate dalle parti nel procedimento principale o dalle parti interessate, tuttavia esiste una corrente giurisprudenziale che sostiene una conclusione di segno opposto, privilegiando, malgrado la delimitazione del rinvio pregiudiziale operata dal giudice nazionale, la necessità di fornire una risposta utile per dirimere la controversia nel procedimento principale (14). In tale prospettiva, la Corte è stata più volte indotta a prendere in considerazione norme del diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non aveva fatto riferimento nella questione pregiudiziale (15), alla luce segnatamente dei fatti e degli argomenti sollevati nel corso del procedimento (16), o ancora a riformulare le questioni poste al fine di includere nell’interpretazione del diritto dell’Unione una o più disposizioni citate da una delle parti, o addirittura di sua stessa iniziativa (17). La Corte ha, peraltro, affermato che spettava ad essa trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia (18), e ciò anche quando la risposta alla questione supplementare in tal modo sollevata poteva rendere prive di oggetto le questioni poste dal giudice del rinvio (19) o quando tale questione era stata implicitamente definita in una fase precedente della controversia tra le parti nel procedimento principale (20).

13.      Occorre pertanto verificare se la causa oggetto delle presenti conclusioni giustifichi l’adozione, da parte della Corte, di una soluzione in linea con tale corrente giurisprudenziale.

14.      A tal proposito, rilevo, anzitutto, che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, e come confermato all’udienza dal rappresentante della ricorrente nel procedimento principale, emerge che quest’ultima non ha contestato, dinanzi al giudice del rinvio, la legittimità dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG sotto il profilo della sua compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Tale questione non è stata peraltro affrontata e risolta dal giudice del rinvio, ragion per cui non si può escludere a priori che la stessa rientri nell’oggetto della controversia nel procedimento principale.

15.      Rammento, poi, che l’articolo 109 dell’UG è inteso a trasporre, nel settore della ricerca e dell’insegnamento universitario, detta clausola 5. Sussiste pertanto un legame funzionale diretto tra tale articolo e la disposizione di diritto dell’Unione che la Corte sarebbe indotta ad interpretare d’ufficio.

16.      Mi sembra, peraltro, inconfutabile che una risposta alla questione se la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato osti a una disposizione nazionale quale l’articolo 109 dell’UG sarebbe utile per dirimere la controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio. Tale controversia verte infatti sulla legittimità dei contratti di lavoro successivi stipulati tra la ricorrente nel procedimento principale e la MUW nonché sulle conseguenze, per il mantenimento del rapporto di lavoro tra le parti del procedimento principale, di un’eventuale dichiarazione di illegittimità.

17.      Infine, faccio notare che gli interessati che hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte hanno illustrato oralmente il loro punto di vista sulla questione in sede di udienza. Quanto agli interessati che non hanno partecipato alla fase scritta del procedimento, avendo ricevuto la notifica da parte della cancelleria (nella lingua processuale e in francese) delle osservazioni della Commissione, sono stati informati dell’ampliamento dell’oggetto del dibattito dinanzi alla Corte proposto da quest’ultima. Essi sono stati quindi posti nelle condizioni di partecipare all’udienza dinanzi alla Corte per esporre le loro osservazioni al riguardo.

18.      Date le circostanze e alla luce della giurisprudenza rammentata al paragrafo 12 delle presenti conclusioni, propongo alla Corte di rispondere alla questione supplementare sull’interpretazione della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato sollevata dalla Commissione.

2.      Sullinterpretazione della clausola 5 dellaccordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

19.      La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», prevede, al suo paragrafo 1, che, «[p]er prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti» (21).

20.      Tale clausola ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dall’accordo quadro in cui è inserita, vale a dire limitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (22).

21.      Il beneficio della stabilità dell’impiego è, infatti, inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori, mentre soltanto in alcune circostanze i contratti di lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori di lavoro sia dei lavoratori (23).

22.      Pertanto, la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato impone agli Stati membri, al fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti, alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro successivi e al numero dei rinnovi di questi ultimi (24).

23.      La Corte ha precisato che gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità in materia, dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di questa stessa clausola, oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, al contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifici di lavoratori (25).

24.      È in tale contesto che occorre verificare se le disposizioni dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, che consente il rinnovo dei rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore della ricerca e dell’insegnamento universitario in Austria (26), soddisfino il criterio richiesto per costituire le misure antiabuso enunciate alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

25.      Per quanto riguarda, in primo luogo, la possibilità di considerare l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG come una misura ai sensi della clausola 5, paragrafo 1, lettera a), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, rammento che, secondo una costante giurisprudenza, la nozione di «ragione obiettiva», di cui alla disposizione medesima, deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in quest’ultimo peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (27). Secondo la Corte, non sarebbe conforme a tali obblighi una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo generale ed astratto, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato successivi, senza consentire di stabilire criteri oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di siffatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tale effetto (28).

26.      L’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG individua tre categorie di lavoratori con i quali sono ammessi rapporti di lavoro a tempo determinato consecutivi, vale a dire i lavoratori impiegati nell’ambito «di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca», «il personale esclusivamente addetto all’insegnamento» e il «personale supplente». Poiché la ricorrente appartiene alla prima di tali categorie, limiterò la mia analisi ad essa.

27.      A tal riguardo, osservo, anzitutto, che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non enuncia le ragioni obiettive che giustificano il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato consecutivi per detta categoria di lavoratori.

28.      Si potrebbe certo ritenere che gli impieghi di cui trattasi, essendo collegati alla realizzazione di «progetti», sono per loro natura temporanei ed intesi a soddisfare esigenze provvisorie dell’università interessata, che permangono solo fino alla conclusione del progetto. Allo stesso modo, come fanno valere la MUW e il governo austriaco, la circostanza che il progetto venga finanziato da un terzo, ragion per cui il mantenimento dell’impiego dipende dalla continuità del finanziamento, parrebbe giustificare il ricorso a una maggiore flessibilità nella gestione dei lavoratori assegnati a siffatti progetti.

29.      Tuttavia, da una parte, osservo che la giustificazione fondata sul carattere transitorio del finanziamento degli impieghi può essere fatta valere soltanto per i lavoratori occupati nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne, mentre, alla luce del suo tenore letterale, l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG sembra trovare applicazione a prescindere dalla fonte di finanziamento dell’attività di ricerca (29), circostanza questa che spetta però al giudice del rinvio confermare (30).

30.      Dall’altra parte, rilevo che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non subordina il ricorso a una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato con una medesima persona alla condizione che quest’ultima sia assegnata a un dato progetto di ricerca o all’espletamento di mansioni o servizi determinati, collegati con un siffatto progetto, né richiede di adeguare la durata complessiva di tali rapporti alla durata del progetto cui la persona è assegnata. Tale disposizione lascia quindi le università generalmente libere di impiegare lo stesso lavoratore nell’ambito di diversi progetti consecutivi, e ciò per un periodo estensibile fino a dodici anni (31). In un siffatto caso di specie, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato sarebbe piuttosto inteso a soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle università in un settore chiave della loro attività, vale a dire la ricerca (32), indipendentemente dal fatto che essa sia finanziata con risorse esterne (33). A tal proposito, sottolineo che, in sede di udienza dinanzi alla Corte, l’avvocato della MUW ha precisato che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG si applica a circa il 30% del suo personale (34). Inoltre, nel corso del procedimento, sia la MUW sia il governo austriaco hanno più volte evidenziato che gli impieghi a tempo indeterminato sono rari nelle università per quanto riguarda il personale scientifico. Tali elementi confermano, come fa correttamente valere la Commissione, che il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore della ricerca e dell’insegnamento costituisce una prassi consolidata nell’ambito della MUW e concerne una parte rilevante del suo personale.

31.      Rilevo, poi, che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non contiene precisazioni circa le condizioni alle quali è autorizzato il ricorso a una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato all’interno della categoria dei lavoratori impiegati in progetti finanziati con risorse esterne o in progetti di ricerca. Tale categoria è presa in considerazione in modo generico. Non è richiesta alcuna qualifica o esperienza specifica collegata ai progetti di ricerca nei quali tali lavoratori sono impiegati, ragion per cui tale categoria comprende potenzialmente sia il personale scientifico, ricercatori ma anche professori, sia il personale tecnico e amministrativo, vale a dire l’insieme del personale impiegato nel settore della ricerca. Peraltro, non figurando alcuna condizione in tal senso nella sua formulazione, l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, contrariamente a quanto sostenuto dall’avvocato della MUW in sede di udienza dinanzi alla Corte, non può essere inteso come riguardante il solo personale scientifico nel periodo di formazione (35).

32.      Peraltro, l’articolo 109, paragrafo 2, in fine, dell’UG, per le tre categorie di lavoratori contemplate da tale paragrafo, prevede che «[è] autorizzata, se sussiste una giustificazione obiettiva, in particolare ai fini della continuazione oppure della conclusione di progetti di ricerca o di pubblicazioni» una «sola ulteriore proroga» del rapporto di lavoro oltre i sei o gli otto anni stabiliti sopra, nel paragrafo medesimo, e per una durata massima supplementare fissa di quattro anni.

33.      Orbene, osservo, da una parte, che, nonostante una siffatta proroga sia definita come «una sola ulteriore», dal caso della ricorrente nel procedimento principale – con cui la MUW ha stipulato nove contratti consecutivi nel periodo pertinente ai fini della presente causa e tre contratti consecutivi in un periodo precedente (36) – risulta che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG consente, quanto meno in base alla lettura che ne ha fatto la MUW, la conclusione di un numero indefinito di contratti consecutivi durante il periodo tra i sei e gli otto anni precedente la proroga stabilita dalla disposizione medesima in fine. Dall’altra parte, rilevo che, da una lettura a contrario dell’articolo 109, paragrafo 2, in fine, dell’UG, ai termini del quale solo l’ultima proroga può essere subordinata alla condizione che sussista una giustificazione obiettiva, emerge che i rinnovi che avvengono nel periodo summenzionato da sei a otto anni non sono soggetti a tale condizione.

34.      Alla luce delle suesposte considerazioni, ritengo che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, non stabilendo le circostanze precise e concrete in cui i contratti di lavoro a tempo determinato possono essere conclusi e rinnovati con lavoratori impiegati nel settore della ricerca universitaria, non soddisfi le condizioni richieste dalla giurisprudenza, rammentate al paragrafo 25 delle presenti conclusioni, per costituire una misura ai sensi della clausola 5, paragrafo 1, lettera a), dell’accordo quadro sui rapporti di lavoro a tempo determinato (37).

35.      Va verificato, in secondo luogo, se l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG soddisfi le condizioni per costituire una misura ai sensi della clausola 5, paragrafo 1, lettera b), del citato accordo quadro, nella parte in cui esso fissa la durata massima totale dei rapporti di lavoro a tempo determinato di cui trattasi a dieci anni per i lavoratori a tempo pieno e a dodici anni per i lavoratori a tempo parziale.

36.      È indubbio che tali durate siano, in assoluto, considerevoli. Come sottolineato dalla Commissione nelle proprie osservazioni scritte, la Corte ha ritenuto eccessive durate massime notevolmente inferiori (38). Tuttavia, ritengo che non sia l’entità della durata totale considerata in quanto tale (o, comunque, non solo) a rilevare ai fini della valutazione se una disposizione nazionale risponda alla finalità perseguita da una misura ai sensi della clausola 5, paragrafo 1, lettera b), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Tale durata, infatti, va valutata tenendo conto della natura degli impieghi di cui si tratta, nonché del complesso delle circostanze che caratterizzano i rapporti di lavoro in questione. Per quanto attiene alle durate massime di cui all’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, non ritengo possano considerarsi di per sé atte ad evitare un ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore di cui trattasi.

37.      Infatti, da una parte, rilevo che durate del genere possono arrivare a coprire fino a un terzo della carriera di un lavoratore appartenente al personale scientifico di un’università (39). Durate così lunghe, in termini assoluti e relativi, fanno presumere che le prestazioni richieste dai lavoratori interessati non rispondano a una semplice esigenza provvisoria, ma mirino, al contrario, a soddisfare un’esigenza permanente e durevole del datore di lavoro (40). Dall’altra parte, sottolineo che l’entità di dette durate, cumulata all’assenza di limiti quanto al numero dei rinnovi consecutivi ammessi per i primi sei-otto anni del rapporto di lavoro, aggrava lo stato di precarietà in cui versano detti lavoratori. Allo stesso modo, l’insussistenza di qualsivoglia requisito relativo alla giustificazione oggettiva per detti rinnovi successivi rende durate così considerevoli ancor meno idonee a costituire di per sé una garanzia di sicurezza contro gli abusi.

38.      Ritengo pertanto che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non soddisfi i requisiti di cui alla clausola 5, paragrafo 1, lettera b), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

39.      Infine, dal dettato dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG risulta che, eccettuato il periodo finale di quattro anni, non è stato stabilito alcun limite al numero di rinnovi ammessi. Tale disposizione non è quindi intesa a trasporre la lettera c) della clausola in parola.

40.      Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, occorre, a mio avviso, concludere che le disposizioni dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG non soddisfano il criterio richiesto per costituire misure enunciate da detta clausola 5, paragrafo 1, lettere da a) a c), dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. Il giudice del rinvio d’altronde non ha menzionato misure legali equivalenti ai sensi della clausola medesima applicabili alla situazione della ricorrente nel procedimento principale. Si deve pertanto concludere che il ricorso a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi nel settore della ricerca universitaria, autorizzato nell’ordinamento austriaco dall’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, non è accompagnato da misure idonee a prevenirne gli abusi.

B.      Sulla prima questione pregiudiziale

41.      Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte, da un lato, se la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale osti a una normativa come quella oggetto del procedimento principale e, dall’altro, se il principio del prorata temporis, di cui al punto 2 della clausola medesima, si applichi in una situazione come quella della ricorrente nel procedimento principale.

42.      Come risulta dal preambolo e dal considerando 11 della direttiva 97/81, l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale è inteso a definire un quadro generale per l’eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori. La clausola 4 di tale accordo, intitolata «Principio di non-discriminazione», prevede, al suo punto 1, che: «[p]er quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive». Il punto 2 della clausola medesima precisa che «[d]ove opportuno, si applica il principio “pro rata temporis”».

43.      In primo luogo, occorre stabilire se le disposizioni che disciplinano la durata dei contratti di lavoro stipulati nel quadro dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituiscano «condizioni di impiego» ai sensi di detta clausola 4.

44.      A mio avviso, è indubbio che sia così. Infatti, la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, alla luce degli obiettivi cui è preordinata, dev’essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (41). Un’interpretazione della clausola medesima che escludesse dalla nozione di «condizioni di impiego» le condizioni alle quali possono essere conclusi e rinnovati contratti a tempo determinato equivarrebbe a una riduzione, in spregio all’obiettivo assegnato alla detta clausola, dell’ambito della tutela accordata ai lavoratori interessati contro le discriminazioni, introducendo una distinzione, basata sulla natura delle condizioni dei rapporti di lavoro, che il testo di tale clausola non suggerisce affatto (42).

45.      In secondo luogo, va verificato se l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG riservi ai lavoratori a tempo parziale un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili. La ricorrente nel procedimento principale e la Commissione ritengono che sia così, mentre la MUW e il governo austriaco sono di opposto parere.

46.      A tal riguardo, preciso, anzitutto, che il gruppo di lavoratori a tempo pieno comparabile, rispetto al quale occorre valutare se l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, comporti una discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo parziale, è costituito da lavoratori a tempo pieno assunti dalla MUW con contratti a tempo determinato nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca (43).

47.      Rilevo, poi, che sia la MUW sia il governo austriaco sostengono che la possibilità, per i lavoratori a tempo parziale, di lavorare per un periodo più lungo rispetto ai loro colleghi a tempo pieno, per quanto nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato, non può essere considerata uno svantaggio bensì un vantaggio (o la compensazione di uno svantaggio), dato che, una volta cessato tale rapporto di lavoro, non vi è alcuna garanzia di poter accedere a un impiego a tempo indeterminato, in particolare alla luce della scarsa disponibilità di impieghi di tal genere nelle università.

48.      Confesso che tale argomento non mi convince affatto. Non si può certo escludere che, laddove, per loro stessa natura, determinati lavori, servizi o mansioni possano dar luogo soltanto a rapporti di lavoro a tempo determinato, il fatto di tenere conto, nel fissare la durata massima di tali rapporti, della circostanza che i lavoratori a tempo parziale dispongono, per lo svolgimento di siffatti lavori, servizi o mansioni, di un numero di ore di lavoro inferiore rispetto ai lavoratori a tempo pieno, risponde alla necessità di garantire un trattamento equivalente a queste due categorie di lavoratori.

49.      Tuttavia, da un lato, rilevo che le funzioni oggetto della controversia principale possono benissimo essere svolte nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato come nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Dall’altro, dalle considerazioni illustrate, segnatamente, al paragrafo 30 delle presenti conclusioni risulta che il ricorso all’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG consente alle università di coprire esigenze di personale che sono in realtà permanenti e durevoli avvalendosi di rapporti di lavoro a tempo determinato. Orbene, in circostanze del genere, il fatto, per un lavoratore a tempo parziale, di poter prorogare il proprio rapporto di lavoro a tempo determinato con l’università per un periodo più lungo rispetto ai suoi colleghi a tempo pieno non può essere considerato un vantaggio. Appoggiare una tesi del genere equivarrebbe, infatti, a considerare favorita una categoria di lavoratori che, in realtà, è maggiormente esposta al rischio di un ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato e, in definitiva, a giustificare un siffatto ricorso adducendo la scarsità di impieghi comparabili a tempo indeterminato, scarsità che, a sua volta, dipende dalle politiche delle università in materia di occupazione, tese a sfruttare tutte le possibilità offerte dall’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG. Rilevo, peraltro, che, se è vero che una volta scadute le durate massime stabilite da tale disposizione il rapporto con l’università si interrompe, resta il fatto che, ove quest’ultima abbia un interesse a mantenere detto rapporto, dovrà farlo nel quadro di un contratto di lavoro a tempo indeterminato (44). Infine, non può essere accolto neppure l’argomento del governo austriaco, secondo cui l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG offre esclusivamente una possibilità alle parti, della quale le stesse non sono obbligate ad avvalersi, segnatamente alla luce dell’inevitabile squilibrio esistente tra dette parti, in particolare in una situazione in cui le possibilità per un lavoratore di mantenere il proprio rapporto di lavoro con l’università datrice di lavoro in base a un contratto diverso da quello a tempo determinato sono molto limitate.

50.      Ad ogni modo, anche laddove si dovesse ritenere, contrariamente al mio parere, che la possibilità per i lavoratori a tempo parziale di prorogare il proprio rapporto di lavoro con l’università per un periodo più lungo dei loro colleghi a tempo pieno costituisca un vantaggio, rilevo, al pari della Commissione nelle sue osservazioni scritte, che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG prevede, per i lavoratori a tempo pieno, una proroga corrispondente a circa il 66% della durata massima di sei anni prevista nel paragrafo medesimo, mentre, per i lavoratori a tempo parziale, tale percentuale è pari soltanto al 50%. In termini relativi, un siffatto «vantaggio» è quindi più significativo per i lavoratori della prima categoria rispetto a quelli della seconda, il che implica un trattamento differenziato a danno di questi ultimi.

51.      In terzo luogo, occorre verificare se il differente trattamento tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno previsto dall’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG sia giustificato da ragioni obiettive. Il governo austriaco e la MUW affermano che le diverse durate massime autorizzate nei contratti a tempo determinato per gli impieghi a tempo pieno e per gli impieghi a tempo parziale rispecchiano le reali differenze tra questi due tipi di impieghi nel settore della ricerca universitaria. A loro avviso, in tali settori le prestazioni e le qualifiche si valutano principalmente sulla base delle pubblicazioni dei risultati delle ricerche. Se si applicassero le stesse durate massime, i lavoratori a tempo parziale avrebbero meno possibilità di affermarsi nel settore altamente concorrenziale della ricerca universitaria rispetto ai loro colleghi a tempo pieno. I lavoratori a tempo parziale, quindi, dovrebbero poter fruire di durate contrattuali più lunghe proprio per avere la garanzia di non essere svantaggiati nella competizione universitaria rispetto al personale a tempo pieno.

52.      A tal proposito, rammento che, nella sentenza del 7 febbraio 1991, Nimz (C‑184/89, EU:C:1991:50, punto 14), in materia di discriminazione fondata sul sesso, la Corte ha ritenuto che l’affermazione secondo cui sussiste un particolare rapporto tra la durata di un’attività professionale e l’acquisizione di un determinato livello di conoscenze o esperienza, in quanto semplice generalizzazione riguardante determinate categorie di lavoratori, non consente di trarne dei criteri obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione. Infatti, anche se anzianità ed esperienza professionale vanno di pari passo, ponendo di regola il lavoratore in grado di meglio espletare le proprie mansioni, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto e, in particolare, dal rapporto tra la natura delle mansioni esercitate e l’esperienza che l’espletamento di tali mansioni fa acquisire dopo un determinato numero di ore di lavoro effettuate (45).

53.      Spetta al giudice nazionale, il solo ad essere competente a valutare i fatti e ad interpretare la legislazione nazionale, determinare, alla luce di tutti gli elementi pertinenti, se, differenziando le durate massime ammesse per i rapporti a tempo determinato con lavoratori a tempo pieno e con lavoratori a tempo parziale, l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG abbia inteso tenere conto delle considerazioni espresse dalla MUW e dal governo austriaco e se, nel settore della ricerca, in particolare scientifica, in Austria, sussista un legame certo tra il numero di ore di lavoro effettuate e l’acquisizione di una qualifica, di un’esperienza o di titoli idonei a consentire l’accesso a selezioni al fine di ottenere un avanzamento nella carriera universitaria o una posizione a tempo indeterminato (46) oppure che consenta di aumentare le possibilità di riuscita nell’ambito di tali selezioni. Da parte mia, mi limito a rilevare che sia la formula di conversione utilizzata per i lavoratori impiegati in parte a tempo pieno e in parte a tempo parziale (47), che non si basa sulle ore effettivamente lavorate, sia la possibilità di una proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato, in termini relativi, più estesa per i lavoratori a tempo pieno che per i lavoratori a tempo parziale, non appaiono coerenti con il perseguimento degli obiettivi menzionati dal governo austriaco e dalla MUW.

54.      In quarto e ultimo luogo, in circostanze come quelle del procedimento principale, si deve escludere l’applicabilità del principio del prorata temporis menzionato alla clausola 4, punto 2, del contratto quadro sul lavoro a tempo parziale. Senza che sia necessario affrontare la questione se, come afferma il governo austriaco, tale principio si applichi unicamente alle prestazioni di carattere remunerativo, rilevo che la clausola in parola prevede il ricorso ad esso solo dove «opportuno». Orbene, come afferma correttamente il medesimo governo, un’applicazione restrittiva di detto principio, per quanto riguarda la fissazione della durata massima dei rapporti di lavoro a tempo determinato applicabile ai lavoratori a tempo parziale, condurrebbe a stabilire durate molto lunghe per i lavoratori con un monte ore lavorativo settimanale più basso, il che sarebbe inammissibile alla luce delle limitazioni imposte dalla clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

C.      Sulla seconda questione pregiudiziale

55.      Con la sua seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se una disposizione quale l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG costituisca una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54. A termini di tale disposizione, per «discriminazione indiretta» deve intendersi una «situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari».

56.      Come confermato dalla Corte nella sentenza del 2 ottobre 1997, Kording (C‑100/95, EU:C:1997:453, punto 25), una disposizione legislativa che preveda per i lavoratori a tempo parziale un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno crea una discriminazione indiretta a danno dei lavoratori di sesso femminile, qualora risulti che in effetti una percentuale considerevolmente più ridotta di uomini che di donne lavora a tempo parziale. Tuttavia una tale disparità di trattamento sarebbe compatibile con la direttiva 2006/54 se fosse giustificata da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione fondata sul sesso.

57.      Sono pertanto due le condizioni che devono essere soddisfatte affinché, nelle circostanze del procedimento principale, si possa concludere per la sussistenza di una discriminazione indiretta fondata sul sesso. Da una parte, l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG deve, senza una ragione obiettiva, riservare ai lavoratori a tempo parziale un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno. Dall’altra parte, dev’essere dimostrato che una percentuale considerevolmente più elevata di donne che di uomini lavora a tempo parziale.

58.      Riguardo alla prima condizione, rinvio ai paragrafi da 47 a 50 delle presenti conclusioni, in cui ho già risposto in senso affermativo alla questione se l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG svantaggi i lavoratori a tempo parziale rispetto ai lavoratori a tempo pieno. Per quanto attiene alla sussistenza di ragioni obiettive idonee a giustificare il trattamento meno favorevole che tale disposizione riserva ai lavoratori a tempo parziale, rinvio ai paragrafi da 51 a 53 delle presenti conclusioni, in cui la valutazione della pertinenza e dell’oggettività dei criteri su cui si fondano le ragioni fatte valere dalla MUW e dal governo austriaco è lasciata al giudice del rinvio.

59.      Per quanto riguarda la seconda condizione menzionata al paragrafo 57 delle presenti conclusioni, dalla giurisprudenza risulta che, per verificare se una differenza di trattamento rilevata tra i lavoratori a tempo pieno e i lavoratori a tempo parziale riguardi un numero notevolmente più elevato di donne che di uomini, è compito del giudice nazionale prendere in considerazione l’insieme dei lavoratori assoggettati alla normativa nazionale da cui ha origine detta differenza di trattamento. È quindi la sfera di applicazione della normativa di cui trattasi a determinare la cerchia delle persone che possono essere incluse nel raffronto (48). Orbene, rilevo che le uniche statistiche fornite nella domanda di pronuncia pregiudiziale concernono solo i lavoratori impiegati, sulla base dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG, dalla MUW (49). La Corte non dispone pertanto di dati significativi che le consentano di valutare se, nella categoria dei lavoratori a tempo determinato in regime di tempo parziale impiegati, come la ricorrente del procedimento principale, nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca, la percentuale di lavoratori di sesso femminile sia notevolmente più elevata della percentuale di lavoratori di sesso maschile.

D.      Sulla terza questione pregiudiziale

60.      Con la sua terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio s’interroga sull’onere della prova che, a termini dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 (50), incombe a chi si ritenga leso da una discriminazione indiretta fondata sul sesso. Ai sensi di tale disposizione, spetta a questa persona produrre dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto o di prova in base ai quali si possa presumere che vi sia stata discriminazione diretta o indiretta (51). L’onere della prova è a carico della parte convenuta quando si può «ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione» (52).

61.      Sia la MUW sia il governo austriaco ritengono che la ricorrente nel procedimento principale non abbia assolto il proprio onere probatorio ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, in quanto, a sostegno dell’asserita discriminazione fondata sul sesso, si è limitata a fare riferimento a statistiche relative al mercato del lavoro in Austria dalle quali risulta che lavora a tempo parziale un numero notevolmente più elevato di donne che di uomini. I medesimi rammentano che, secondo la giurisprudenza della Corte, per verificare se una misura nazionale apparentemente neutra produca, nei confronti dei lavoratori di sesso femminile, effetti più sfavorevoli di quelli prodotti nei confronti dei lavoratori di sesso maschile, è la sfera di applicazione della misura di cui trattasi a determinare la cerchia delle persone che possono essere incluse nel raffronto (53). La ricorrente nel procedimento principale avrebbe dovuto, pertanto, produrre, a sostegno della propria richiesta, dati riguardanti solo i lavoratori che ricadono nell’ambito di applicazione dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG.

62.      A tal proposito, rilevo che, indubbiamente, dalla giurisprudenza menzionata dalla MUW e dal governo austriaco risulta che solo statistiche significative, specificamente incentrate sui lavoratori interessati dalla misura nazionale contestata, consentono alla parte ricorrente di stabilire che si possa «ragionevolmente presumere che vi sia stata discriminazione» e quindi di trasferire l’onere dalla prova sulla parte convenuta. Tuttavia, tale giurisprudenza non affronta la questione – che si pone invece nella presente causa – di quali siano gli elementi per mezzo dei quali una persona che si ritenga lesa da discriminazione indiretta fondata sul sesso possa stabilire che vi sia stata una presunta discriminazione nel caso in cui statistiche del genere non siano disponibili o siano difficilmente accessibili per tale persona.

63.      Orbene, alla luce della finalità dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, consistente nell’alleggerire l’onere della prova della parte ricorrente nell’ambito di procedimenti vertenti sulla violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione e impiego (54), e posto che spetta agli Stati membri prevedere, in qualunque fase del procedimento, un regime probatorio più favorevole alla parte attrice (55), ritengo che non si possa considerare immotivata la presunzione di una discriminazione fondata sul sesso per il semplice fatto che la parte ricorrente, non potendo accedere a dati più pertinenti, si sia basata su statistiche generali riguardanti il mercato del lavoro nello Stato membro interessato. In una siffatta situazione, spetterà alla parte convenuta produrre dati statistici incentrati sull’insieme dei lavoratori interessati dalla misura nazionale di cui trattasi (56), oppure, secondo le norme di diritto nazionale applicabili, all’organo giurisdizionale o ad altro organo nazionale competente ad acquisirli d’ufficio (57).

E.      Sulla domanda di limitazione nel tempo degli effetti della sentenza della Corte

64.      Nelle sue osservazioni scritte, la MUW, sostenuta dal governo austriaco, chiede alla Corte, nel caso in cui dovesse fornire alle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio una risposta favorevole alla tesi della ricorrente nel procedimento principale, di limitare nel tempo gli effetti della sentenza che sarà pronunciata. La Commissione chiede che la Corte respinga tale richiesta.

65.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, che quest’ultima fornisce nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata sin dalla data della sua entrata in vigore. Ne deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda di interpretazione, purché sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente una controversia relativa all’applicazione di detta norma (58). Solo in via del tutto eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del diritto inerente all’ordinamento giuridico dell’Unione, può essere indotta a limitare la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, cioè la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (59). La Corte circoscrive la portata nel tempo delle proprie sentenze pronunciate in via pregiudiziale soltanto in presenza di circostanze ben precise, segnatamente quando sussiste un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando risulta che i singoli e le autorità nazionali sono stati indotti ad un comportamento non conforme al diritto dell’Unione in ragione di un’oggettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione, incertezza alla quale hanno eventualmente contribuito gli stessi comportamenti tenuti da altri Stati membri o dalla Commissione (60).

66.      Orbene, a mio avviso, nel caso di specie non si verificano circostanze del genere, ragion per cui non risulta soddisfatto il criterio relativo alla buona fede degli ambienti interessati. Infatti, l’analisi elaborata nel contesto delle presenti conclusioni deriva unicamente dall’applicazione alle circostanze della controversia principale di una giurisprudenza costante della Corte che ha da tempo fissato i criteri alla luce dei quali valutare la compatibilità di una normativa nazionale con la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato e la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, sicché, qualora la Corte dovesse condividere tale analisi, non si potrebbe sostenere che sussisteva un’oggettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni di diritto dell’Unione in parola.

III. Conclusione

67.      Sulla base di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alle questioni poste dall’Arbeits- und Sozialgericht Wien (Tribunale del lavoro e della previdenza sociale di Vienna, Austria) e alla questione supplementare che le propongo di sollevare d’ufficio nel seguente modo:

1)      La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretata nel senso che osta a una disposizione legislativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che non prevede misure idonee, ai sensi di tale clausola, a prevenire il ricorso abusivo a rapporti di lavoro a tempo determinato successivi per i lavoratori impiegati presso le università nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca.

2)      Una legislazione nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che fissa a sei anni la durata massima dei rapporti di lavoro successivi a tempo determinato per i lavoratori a tempo pieno impiegati presso le università nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne o di progetti di ricerca, mentre tale durata massima è pari a otto anni per i lavoratori a tempo parziale, e che autorizza una sola ulteriore proroga di tali durate, rispettivamente fino a dieci e fino a dodici anni, può comportare una discriminazione vietata dalla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, qualora una siffatta differenza di trattamento non sia giustificata da ragioni obiettive, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. Il principio del pro rata temporis di cui alla citata clausola 4, punto 2, di detto accordo quadro, non è applicabile nelle circostanze della controversia principale.

3)      Una siffatta legislazione può parimenti comportare una discriminazione indiretta fondata sul sesso ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, qualora si rilevi che, considerando l’insieme dei lavoratori a tempo parziale cui si applica tale normativa, la percentuale di lavoratori di sesso femminile è notevolmente più elevata rispetto a quella dei lavoratori di sesso maschile.

4)      L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che chi si ritiene leso da una discriminazione fondata sul sesso, al fine di comprovare gli elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata una siffatta discriminazione, può basarsi su statistiche generali riguardanti il mercato del lavoro nello Stato membro interessato, qualora non siano disponibili o facilmente accessibili dati statistici più pertinenti, relativi ai lavoratori interessati dalla misura nazionale di cui trattasi.


1      Lingua originale: il francese.


2      Tale accordo figura nell’allegato della direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1998, L 14, pag. 9).


3      GU 2006, L 204, pag. 23.


4      Dall’ordinanza di rinvio risulta che l’articolo 109 dell’UG è applicabile alla maggior parte delle università austriache, fra cui la resistente nel procedimento principale.


5      Rilevo che, in sede di udienza, il rappresentante della sig.ra Schuch‑Ghannadan ha sostenuto, venendo contraddetto dalla MUW, che la sua assistita, nell’ambito dei progetti ai quali era stata assegnata durante il suo rapporto di lavoro con la MUW, aveva svolto in realtà soltanto funzioni di assistente.


6      Tale accordo figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43).


7      V., segnatamente, sentenze del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 32); del 15 ottobre 2009, Hochtief e Linde-Kca-Dresden (C‑138/08, EU:C:2009:627, punto 21), nonché del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, EU:C:1965:122, pag. 1198).


8      V., segnatamente, sentenza del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 32).


9      V., segnatamente, sentenze del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 32); del 15 ottobre 2009, Hochtief e Linde-Kca-Dresden (C‑138/08, EU:C:2009:627, punto 21), nonché del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, EU:C:1965:122, pag. 1198).


10      V. sentenza del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, EU:C:1965:122, pag. 1199).


11      Sentenza del 9 dicembre 1965, Singer (44/65, EU:C:1965:122, pag. 1199).


12      V. sentenze del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 33); del 20 marzo1997, Phytheron International (C‑352/95, EU:C:1997:170, punto 14), e del 17 settembre 1998, Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne (C‑412/96, EU:C:1998:415, punto 24).


13      V., segnatamente, sentenze del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 33), e del 17 settembre 1998, Kainuun Liikenne e Pohjolan Liikenne (C‑412/96, EU:C:1998:415, punto 24).


14      V., per un richiamo alle decisioni che s’inseriscono in tale corrente giurisprudenziale, le conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Fonnship e Svenska Transportarbetareförbundet (C‑83/13, EU:C:2014:201, paragrafo 17). Per decisioni più recenti, v. sentenze del 1o febbraio 2017, Município de Palmela (C‑144/16, EU:C:2017:76, punto 20), e del 28 aprile 2016, Oniors Bio (C‑233/15, EU:C:2016:305, punto 30). Come rilevato dall’avvocato generale Mengozzi nelle summenzionate conclusioni, esiste una certa tensione tra detta corrente giurisprudenziale e la giurisprudenza rammentata al paragrafo 11 delle presenti conclusioni, che renderebbe necessario individuare i criteri che consentano di elaborare una lettura coerente del complesso delle sentenze in materia.


15      V., segnatamente, sentenza del 1o febbraio 2017, Município de Palmela (C‑144/16, EU:C:2017:76), e ordinanza del 14 luglio 2016, BASF (C‑456/15, non pubblicata, EU:C:2016:567, punto 15 e giurisprudenza citata).


16      V., inter alia, sentenze del 12 dicembre 1990, Hennen Olie (C‑302/88, EC:C:1990:455, punto 20), in cui la Corte, visti i fatti e gli argomenti sollevati dalle parti nel corso del procedimento, ha tuttavia ritenuto «non (…) necessario» esaminare il punto di principio sollevato dalla Commissione, nonché del 17 ottobre 2013, Welte (C‑181/12, EU:C:2013:662, punti 16 e 27), in cui la Corte ha affrontato la questione se la restrizione alla libera circolazione dei capitali ai sensi dell’articolo 56, paragrafo 1, CE, oggetto della controversia principale, fosse ammissibile in base all’articolo 57, paragrafo 1, CE. V., altresì, sentenza del 3 giugno 2010, Internetportal und Marketing (C‑569/08, EU:C:2010:311, punti da 27 a 30). Al punto 28 di tale sentenza, la Corte ha precisato che «[b]enché il giudice del rinvio non abbia sollevato una questione su tale punto, spetta [ad essa], nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e [la Corte medesima], creata dall’art. 267 TFUE, se la tesi della ricorrente nella causa principale non è priva di rilievo per la soluzione della controversia principale, fornire a detto giudice una risposta valida che gli consenta di risolvere la controversia di cui è investito».


17      V., segnatamente, sentenze del 29 aprile 2004, Weigel [C‑387/01, EU:C:2004:256, punto 44: il problema dell’applicazione della direttiva 83/183/CEE del Consiglio del 28 marzo 1983 relativa alle franchigie fiscali applicabili alle importazioni definitive di beni personali di privati provenienti da uno Stato membro (GU 1983, L 105, pag. 64) era stato affrontato solo dai ricorrenti nel procedimento principale e dalla Commissione]; del 12 dicembre 1990, SARPP (C‑241/89, EU:C:1990:459, punto 8); del 2 febbraio 1994, Verband Sozialer Wettbewerb, detta «Clinique» (C‑315/92, EU:C:1994:34, punto 7); del 4 marzo 1999, Consorzio per la tutela del formaggio Gorgonzola (C‑87/97, EU:C:1999:115, punto 16); del 21 febbraio 2006, Ritter-Coulais (C‑152/03, EU:C:2006:123, punto 29: questioni pregiudiziali poste sulla libertà di stabilimento e sulla libera circolazione dei capitali e rilevamento d’ufficio, su indicazione della Commissione, di una questione sulla libera circolazione dei lavoratori); del 25 gennaio 2007, Dyson (C‑321/03, EU:C:2007:51, punti da 24 a 26); del 30 maggio 2013, Worten (C‑342/12, EU:C:2013:355, punti 30 e 31), nonché del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 23: il giudice del rinvio parte dal presupposto che si tratti di una discriminazione indiretta fondata sull’orientamento sessuale mentre la Corte determina se si tratti di una discriminazione diretta). V., per un richiamo alla giurisprudenza, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Fonnship e Svenska Transportarbetareförbundet (C‑83/13, EU:C:2014:201, paragrafo 17).


18      V. sentenze del 14 ottobre 2010, Fuß (C‑243/09, EU:C:2010:609, punto 40), e del 12 gennaio 2010, Wolf (C‑229/08, EU:C:2010:3, punto 32 e giurisprudenza citata).


19      V. sentenza del 29 aprile 2004, Weigel (C‑387/01, EU:C:2004:256, punti 43 e 44).


20      V. sentenza del 25 gennaio 2007, Dyson (C‑321/03, EU:C:2007:51, punti da 21 a 26).


21      A termini del paragrafo 2 della clausola in parola, rientra nella competenza degli Stati membri stabilire a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato devono essere considerati «successivi» e devono essere ritenuti «contratti o rapporti a tempo indeterminato».


22      V., segnatamente, sentenza del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punto 26 e giurisprudenza citata).


23      Come risulta dagli articoli 6 e 8 delle considerazioni generali dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.


24      V., in particolare, sentenza del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punto 28 e giurisprudenza citata).


25      V., in particolare, sentenza del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punto 29 e giurisprudenza citata).


26      Sull’applicabilità dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato ai settori dell’insegnamento e della ricerca universitari, v. sentenza del 13 marzo 2014, Márquez Samohano (C‑190/13, EU:C:2014:146, punti 38 e 39).


27      V., segnatamente, sentenze del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punto 38) e del 26 febbraio 2015, Commissione/Lussemburgo (C‑238/14, EU:C:2015:128, punto 44 e giurisprudenza citata).


28      V., segnatamente, sentenza del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punti 39 e 40 e giurisprudenza ivi citata).


29      Infatti, nel testo di tale disposizione, si fa riferimento sia a «progetti finanziati con risorse esterne» («Drittmittelprojekten») sia a «progetti di ricerca» in generale («Forschungsprojekten»). La MUW, in sede di udienza dinanzi alla Corte, ha precisato che la maggior parte delle attività di ricerca condotta dalle università austriache è finanziata da questi ultimi (circa il 75% per quanto riguarda la MUW).


30      Rilevo in proposito che, in sede di udienza dinanzi alla Corte, l’avvocato della MUW e l’agente del governo austriaco hanno lasciato intendere che l’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG si applica esclusivamente a lavoratori impiegati in progetti di ricerca finanziati con risorse esterne. Per quanto riguarda la ricorrente nel procedimento principale, parrebbe che essa sia stata impiegata soltanto in progetti finanziati da terzi, il che spetta parimenti al giudice del rinvio accertare.


31      Rilevo che, nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte, il rappresentante della ricorrente nel procedimento principale ha fatto valere un argomento simile, sottolineando che quest’ultima era assistente di laboratorio e che, nell’ambito della propria attività, ha assistito diversi dottorandi, ciascuno dei quali assegnato a un proprio progetto. Peraltro, fin dall’inizio del procedimento dinanzi ai giudici austriaci, la ricorrente nel procedimento principale avrebbe fatto valere che il ricorso a contratti a tempo determinato non era giustificato nel suo caso perché lei non lavorava nell’ambito di progetti in quanto tali.


32      Sottolineo, tuttavia, che questo non sembra essere il caso della ricorrente nel procedimento principale la quale, stando a quanto risulta dalla decisione di rinvio, durante tutto il periodo controverso sarebbe stata impiegata nell’ambito di uno stesso progetto.


33      V., in particolare, sentenze del 14 settembre 2016, Pérez López (C‑16/15, EU:C:2016:679, punti da 49 a 51), e del 13 marzo 2014, Márquez Samohano (C‑190/13, EU:C:2014:146, punto 55).


34      L’avvocato della MUW si riferisce esclusivamente ai lavoratori impiegati a tempo determinato nell’ambito di progetti finanziati con risorse esterne.


35      Il fatto, quand’anche dimostrato, che nella prassi generale delle università austriache, o della MUW, si ricorra all’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG solo per i giovani ricercatori che devono fare esperienza per poter progredire nella loro carriera universitaria, non rimette in discussione la constatazione che, così come redatta, tale disposizione ha potenzialmente un ambito di applicazione più vasto.


36      È trascorso circa un anno tra la prima e la seconda serie di contratti, il che sembra non consentire di considerare l’insieme dei rapporti di lavoro della ricorrente con la MUW come una successione di contratti consecutivi a tempo determinato. Spetta tuttavia al giudice del rinvio pronunciarsi su tale punto.


37      La Corte è giunta a una conclusione opposta nella sentenza del 13 marzo 2014, Márquez Samohano (C‑190/13, EU:C:2014:146), concernente l’assunzione di docenti universitari associati da parte delle università spagnole, in un contesto in cui le disposizioni pertinenti del diritto nazionale erano, rispetto alla presente causa, molto più precise e articolate e le conseguenze della loro applicazione sull’instabilità del rapporto di lavoro delle persone interessate meno gravi. In tale sentenza, la Corte ha ritenuto che il ricorso a contratti di lavoro successivi fosse giustificato dalla necessità di affidare a «specialisti di affermata competenza», che svolgevano la loro attività professionale al di fuori dell’ambito universitario, lo svolgimento a tempo parziale di incarichi di insegnamento specifici (punto 48). Essa ha parimenti evidenziato che le condizioni cui era sottoposto un siffatto ricorso non ponevano i docenti interessati in una situazione di precarietà (punto 52).


38      V., segnatamente, ordinanza del 21 settembre 2016, Popescu (C‑614/15, EU:C:2016:726, punto 61).


39      Immaginando una carriera che inizia a 25 anni e termina a 65.


40      V., segnatamente, sentenza del 26 gennaio 2012, Kücük (C‑586/10, EU:C:2012:39, punto 39 e giurisprudenza citata), e ordinanza del 21 settembre 2016, Popescu (C‑614/15, EU:C:2016:726, punto 65 e giurisprudenza citata).


41      V. sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a. (C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punto 32).


42      V., per analogia, sentenza del 10 giugno 2010, Bruno e a. (C‑395/08 e C‑396/08, EU:C:2010:329, punto 33). V., altresì, riguardo alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, sentenza del 12 dicembre 2013, Carratù (C‑361/12, EU:C:2013:830, punti da 33 a 35).


43      A tal proposito, rinvio alla nozione di «lavoratore a tempo pieno comparabile» di cui alla clausola 3, punto 2, primo comma, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale.


44      Eventualmente nell’ambito di progetti finanziati dall’università, qualora – come sottolineato dall’avvocato della MUW in risposta a un quesito posto dalla Corte in sede di udienza – per i progetti finanziati con risorse esterne non fossero disponibili posizioni a tempo indeterminato.


45      V., altresì, sentenza del 2 ottobre 1997, Kording (C‑100/95, EU:C:1997:453, punto 23).


46      Ciò potrebbe verificarsi, segnatamente, qualora, ai fini dell’accesso a un concorso o della valutazione dei titoli dei candidati, si prendessero in considerazione le ore di lavoro effettuate nell’ambito di progetti di ricerca condotti dalle università.


47      A siffatti lavoratori si applica la durata massima prevista per il tempo parziale e, per determinare «l’equivalente in tempo parziale» per i periodi lavorati a tempo pieno, si utilizza una formula di conversione fissa: dodici mesi a tempo pieno equivalgono a sedici mesi a tempo parziale, con un rapporto di 4 a 3, e, inversamente, dodici mesi a tempo parziale equivalgono a nove mesi a tempo pieno.


48      V. sentenze del 13 gennaio 2004, Allonby (C‑256/01, EU:C:2004:18, punto 73), e del 6 dicembre 2007, Voß (C‑300/06, EU:C:2007:757, punto 40).


49      Da tali statistiche risulta che il 79% delle donne e il 75% degli uomini impiegati con un contratto concluso sulla base dell’articolo 109, paragrafo 2, dell’UG lavorano a tempo parziale.


50      L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dispone che «[g]li Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta».


51      V. sentenza del 19 ottobre 2017, Otero Ramos (C‑531/15, EU:C:2017:789, punto 68), e, in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly (C‑104/10, EU:C:2011:506, punto 29).


52      V. considerando 30 della direttiva 2006/54.


53      V., in particolare, sentenze del 13 gennaio 2004, Allonby (C‑256/01, EU:C:2004:18, punto 73), del 6 dicembre 2007, Voß (C‑300/06, EU:C:2007:757, punto 40), e del 9 febbraio 1999, Seymour-Smith e Perez (C‑167/97, EU:C:1999:60, punto 59).


54      L’importanza del ruolo svolto dall’adozione di norme relative all’onere probatorio nell’effettiva attuazione del principio della parità di trattamento è d’altronde evidenziata dal considerando 30 della direttiva 2006/54.


55      V. considerando 30 della direttiva 2006/54.


56      Rilevo che, nel corso del procedimento principale, la MUW ha prodotto dinanzi al giudice del rinvio solo statistiche riguardanti i suoi impiegati, sottolineando che si trattava degli unici dati disponibili e che soltanto in sede di udienza l’avvocato della MUW ha affermato che le statistiche relative alle altre università erano pubblicate e quindi agevolmente accessibili a tutti.


57      V. considerando 30 della direttiva 2006/54.


58      V., in particolare, sentenze del 10 maggio 2012, Santander Asset Management SGIIC e a. (da C‑338/11 a C‑347/11, EU:C:2012:286, punto 58); del 18 ottobre 2012, Mednis (C‑525/11, EU:C:2012:652, punto 41), e del 22 gennaio 2015, Balazs (C‑401/13 e C‑432/13, EU:C:2015:26, punto 49).


59      V. sentenza del 22 gennaio 2015, Balazs (C‑401/13 e C‑432/13, EU:C:2015:26, punto 50 e giurisprudenza citata).


60      V., in tal senso, sentenza del 22 gennaio 2015, Balazs (C‑401/13 e C‑432/13, EU:C:2015:26, punto 51 e giurisprudenza citata), e conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Paper Consult (C‑101/16, EU:C:2017:413, paragrafo 81).