Language of document : ECLI:EU:C:2015:812

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

YVES BOT

presentate il 15 dicembre 2015 (1)

Causa C‑486/14

Procedimento penale

contro

Piotr Kossowski

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale regionale superiore di Amburgo, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen – Articoli 54 e 55, paragrafo 1, lettera a) – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 50 e 52, paragrafo 1 – Principio del ne bis in idem – Validità della riserva all’applicazione del principio del ne bis in idem – Acquis di Schengen – Principio del reciproco riconoscimento – Fiducia reciproca – Procedimento penale in un altro Stato membro contro la stessa persona e per i medesimi fatti – Nozione di “stesso reato” – Nozione di “sentenza definitiva” – Esame nel merito – Diritto delle vittime»





1.        La presente causa solleva, per la prima volta, la questione della validità delle riserve all’applicazione del principio del ne bis in idem, previste all’articolo 55 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (2), alla luce dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2.        In particolare, l’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale regionale superiore di Amburgo) chiede se la possibilità offerta agli Stati membri, prevista all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS, di non applicare tale principio quando i fatti oggetto della sentenza straniera sono avvenuti sul loro territorio in tutto o in parte costituisca una limitazione all’articolo 50 della Carta consentita dall’articolo 52, paragrafo 1, della stessa.

3.        La presente causa offre inoltre alla Corte l’opportunità di precisare la propria giurisprudenza sulla nozione di «sentenza definitiva» ai sensi degli articoli 54 della CAAS e 50 della Carta.

4.        Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni che mi inducono a ritenere che la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS debba essere dichiarata invalida. In seguito, spiegherò perché, a mio avviso, il principio del ne bis in idem enunciato dagli articoli 54 della CAAS e 50 della Carta dev’essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere emessa dal pubblico ministero, la quale conclude il procedimento istruttorio, non può essere qualificata come «sentenza definitiva», ai sensi di tali articoli, qualora dalla sua motivazione risulti manifestamente che gli elementi che costituiscono la sostanza stessa della situazione giuridica, quali l’audizione della vittima e quella del testimone, non sono stati esaminati dalle autorità giudiziarie interessate.

I –    Contesto normativo

A –    Il diritto dell’Unione

5.        Il principio del ne bis in idem è enunciato nella Carta, il cui articolo 50 prevede quanto segue:

«Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».

6.        Peraltro, l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dispone che «[e]ventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

7.        L’articolo 54 della CAAS prevede che «[u]na persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita».

8.        L’articolo 55 della CAAS così recita:

«1. Una Parte contraente può, al momento della ratifica, dell’accettazione o dell’approvazione della presente convenzione dichiarare di non essere vincolata dall’articolo 54 in uno o più dei seguenti casi:

a)      quando i fatti oggetto della sentenza straniera sono avvenuti sul suo territorio in tutto o in parte. In quest’ultimo caso questa eccezione non si applica se i fatti sono avvenuti in parte sul territorio della Parte contraente nel quale la sentenza è stata pronunciata;

(...)

4.      Le eccezioni che sono state oggetto di una dichiarazione ai sensi del paragrafo 1 non si applicano quando la Parte contraente di cui si tratta ha, per gli stessi fatti, richiesto l’instaurazione del procedimento penale all’altra Parte contraente o concesso estradizione della persona in questione».

9.        In conformità a tale disposizione, la Repubblica federale di Germania ha espresso sull’articolo 54 della CAAS la seguente riserva:

«La Repubblica federale di Germania non è vincolata dall’articolo 54 della convenzione

a)      quando i fatti oggetto della sentenza straniera sono avvenuti in tutto o in parte sul suo territorio» (3).

10.      Con il protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, allegato dal Trattato di Amsterdam al Trattato sull’Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea (4), la CAAS è stata incorporata nel diritto dell’Unione.

B –    Il diritto polacco

11.      L’articolo 282 della legge contenente il codice penale (ustawa – Kodeks karny), del 6 giugno 1997 (5), prevede che chiunque, con l’obiettivo di ottenere un vantaggio patrimoniale, con violenza o sotto la minaccia di una lesione alla salute o alla vita o aggredendo con violenza i beni, obbliga un’altra persona a disporre dei propri beni o dei beni di un terzo o a non compiere una determinata attività economica è punito con la pena detentiva da uno a dieci anni.

12.      L’articolo 327, paragrafo 2, della legge contenente il codice di procedura penale (ustawa – Kodeks postępowania karnego), del 6 giugno 1997 (6), dispone che le indagini archiviate con provvedimento passato in giudicato svolte nei confronti di una persona sospettata di un reato possono essere riaperte su ordine del pubblico ministero soltanto se emergono circostanze essenziali prima sconosciute.

13.      Ai sensi dell’articolo 328, paragrafo 1, del codice di procedura penale, il pubblico ministero può revocare un provvedimento definitivo di archiviazione delle indagini condotte contro una persona sottoposta a indagini quando accerta che detta archiviazione era infondata. A norma dell’articolo 328, paragrafo 2, di detto codice, decorsi sei mesi dal momento in cui il provvedimento di archiviazione delle indagini diviene definitivo, il pubblico ministero può revocare o modificare la decisione o la sua motivazione solo a favore del sospettato.

II – Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14.      Nel procedimento principale, la Staatsanwaltschaft Hamburg (pubblico ministero di Amburgo) ha aperto un procedimento istruttorio nei confronti del sig. Kossowski, contestandogli di aver commesso, il 2 ottobre 2005 ad Amburgo (Germania), atti sulla vittima che, nel diritto penale tedesco, sono qualificati come estorsione aggravata. Nella fattispecie, dopo aver minacciato la vittima, costringendola a firmare un contratto di vendita del suo veicolo e a guidare quest’ultimo fino a una stazione di servizio, il sig. Kossowski è fuggito al volante di tale veicolo.

15.      Il 20 ottobre 2005, durante un controllo stradale a Kołobrzeg (Polonia), le autorità polacche hanno fermato detto veicolo guidato dal sig. Kossowski e hanno arrestato quest’ultimo ai fini dell’esecuzione di una pena detentiva a cui egli era stato condannato in Polonia in un altro processo. Dopo aver svolto ricerche sul veicolo, il pubblico ministero distrettuale di Kołobrzeg (Prokuratura Rejonowa w Kołobrzegu) ha parimenti aperto un procedimento istruttorio nei confronti del sig. Kossowski in relazione all’accusa di estorsione aggravata per i fatti commessi ad Amburgo il 2 ottobre 2005. È pertanto pacifico che tale procedimento e quello condotto dal pubblico ministero di Amburgo vertono sui medesimi fatti.

16.      Nell’ambito dell’assistenza giudiziaria, il pubblico ministero regionale di Koszalin (Prokuratura Okręgowa w Koszalinie, Polonia) ha chiesto al pubblico ministero di Amburgo una copia del fascicolo delle indagini. Quest’ultimo, dopo aver chiesto di essere informato dei successivi atti previsti dalle autorità polacche, ha trasmesso la copia del fascicolo nell’agosto 2006.

17.      Con decisione del 22 dicembre 2008, il pubblico ministero distrettuale di Kołobrzeg ha concluso il procedimento penale pendente nei confronti del sig. Kossowski a causa della carenza di elementi di prova sufficienti. L’archiviazione veniva motivata sulla base del fatto che quest’ultimo si era rifiutato di rendere dichiarazioni, che, poiché la vittima e un testimone de relato risiedevano in Germania, non si era potuto sentirli nel corso del procedimento istruttorio, e che pertanto non era stato possibile verificare le affermazioni, parzialmente imprecise e contraddittorie, della vittima.

18.      Il 24 luglio 2009, il pubblico ministero di Amburgo ha emesso un mandato d’arresto europeo nei confronti del sig. Kossowski, e l’estradizione di quest’ultimo è stata chiesta dalla Repubblica federale di Germania alla Repubblica di Polonia con lettera del 4 settembre 2009.

19.      Con decisione del Sąd Okręgowy w Koszalinie (Tribunale regionale di Koszalin, Polonia) del 17 settembre 2009, l’esecuzione di tale mandato d’arresto è stata rifiutata in quanto la decisione del pubblico ministero distrettuale di Kołobrzeg di concludere il procedimento penale era definitiva ai sensi dell’articolo 607 p, paragrafo 1, punto 2), del codice di procedura penale.

20.      Il 7 febbraio 2014, il sig. Kossowski, ancora ricercato in Germania, è stato arrestato a Berlino (Germania). Il 17 marzo 2014, nei suoi confronti è stato emesso un atto d’imputazione dal pubblico ministero di Amburgo per gli atti commessi il 2 ottobre 2005.

21.      Con decisione del 18 giugno 2014, il Landgericht Hamburg (Tribunale regionale di Amburgo, Germania) ha rifiutato l’apertura di un processo a carico del sig. Kossowski, considerando che l’azione pubblica era stata estinta, ai sensi dell’articolo 54 della CAAS, dalla decisione del pubblico ministero distrettuale di Kołobrzeg. Il Landgericht Hamburg (Tribunale regionale di Amburgo) aveva già revocato il mandato di arresto europeo emesso nei confronti del sig. Kossowski dal 4 aprile 2014 e quest’ultimo, che era stato posto in custodia cautelare, era stato rilasciato.

22.      Il pubblico ministero di Amburgo ha appellato la decisione del Landgericht Hamburg (Tribunale regionale di Amburgo) dinanzi all’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale regionale superiore di Amburgo), il quale, nutrendo dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione pertinente al caso di specie, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se le riserve formulate dalle parti contraenti all’atto della ratifica della CAAS ai sensi dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della [stessa] – in particolare la riserva sub a) formulata dalla Repubblica federale di Germania all’atto della notifica dello strumento di ratifica, secondo cui essa non è vincolata dall’articolo 54 della CAAS “quando i fatti oggetto della sentenza straniera sono avvenuti in tutto o in parte sul suo territorio (…)” – continuino a valere dopo il trasferimento dell’acquis di Schengen nel contesto normativo dell’Unione con il protocollo di Schengen al Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, mantenuto dal protocollo di Schengen sul Trattato di Lisbona; se tali eccezioni costituiscano limitazioni proporzionate all’articolo 50 della Carta ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della [stessa].

2)      In caso di risposta negativa: [s]e il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato sancito all’articolo 54 della CAAS e all’articolo 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che osta all’esercizio dell’azione penale nei confronti di un accusato in uno Stato membro – nel caso di specie nella Repubblica federale di Germania – quando il procedimento penale avviato a suo carico in un altro Stato membro – nel caso di specie nella Repubblica di Polonia – è stato archiviato dalla procura della Repubblica per motivi oggettivi in virtù della carenza di elementi di prova sufficienti – senza l’adempimento di condizioni sanzionatorie e senza indagini dettagliate – e può essere riaperto soltanto ove emergano circostanze essenziali, prima sconosciute, senza che tali nuove circostanze sussistano tuttavia nello specifico».

III – Analisi

23.      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, a seguito dell’integrazione dell’acquis di Schengen nel diritto dell’Unione e alla luce dell’articolo 50 della Carta, la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS sia ancora valida.

24.      Nel caso in cui tale riserva non sia più valida, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio del ne bis in idem enunciato dagli articoli 54 della CAAS e 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere emessa dal pubblico ministero, la quale conclude il procedimento istruttorio, può essere qualificata come «sentenza definitiva», ai sensi di tali articoli, qualora sia stata emessa senza che né la vittima né il testimone siano stati sentiti nel corso di detto procedimento.

A –    Sulla validità dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS

25.      Anzitutto, occorre respingere la tesi sostenuta dalla Commissione europea, nelle sue osservazioni scritte (7) e in udienza, secondo cui l’esame della prima questione sollevata dal giudice nazionale potrebbe essere superfluo. La Commissione ricorda che l’articolo 55, paragrafo 4, della CAAS prevede che «[l]e eccezioni che sono state oggetto di una dichiarazione ai sensi del paragrafo 1 non si applicano quando la Parte contraente di cui si tratta ha, per gli stessi fatti, richiesto l’instaurazione del procedimento penale all’altra Parte contraente o concesso estradizione della persona in questione». Orbene, secondo la Commissione, il fatto che le autorità giudiziarie tedesche abbiano cooperato con le autorità giudiziarie polacche, abbiano trasmesso loro una copia del proprio fascicolo delle indagini e non si siano opposte a un eventuale procedimento penale polacco costituirebbe implicitamente una richiesta di instaurazione di un procedimento penale ai sensi di detta disposizione.

26.      Non condivido tale analisi.

27.      Anzitutto, occorre precisare che la competenza territoriale dei giudici in materia penale riveste normalmente, nelle legislazioni nazionali, un carattere di ordine pubblico. Dalla competenza territoriale dipende obbligatoriamente la legge nazionale applicabile, in quanto il diritto penale non conosce la teoria dello status personale. La territorialità della legge penale è, infatti, una delle espressioni della sovranità degli Stati membri. Di conseguenza, e per principio, non mi sembra che la scelta tra la legge penale tedesca e la legge penale polacca possa risultare da un meccanismo implicito quale quello suggerito dalla Commissione. A mio avviso, tale scelta può risultare solo da una richiesta esplicitamente formulata dal giudice di uno Stato membro ed esplicitamente accolta dall’altro.

28.      Sembra inoltre che nessun elemento del fascicolo trasmesso dal giudice del rinvio alla Corte indichi che una siffatta richiesta sia stata formulata, a prescindere dalla forma che essa abbia potuto assumere. Al contrario, il pubblico ministero di Amburgo precisa, nelle sue osservazioni scritte, che al pubblico ministero regionale di Koszalin non era stato chiesto di riprendere l’azione penale. Se a ciò si aggiunge il fatto che la risposta di quest’ultimo menziona esplicitamente le indagini che avrebbero dovuto essere svolte per poter adire il tribunale e che non sono state svolte, ne risulta la prova del fatto che egli non si è mai ritenuto investito dell’onere di esercitare l’azione penale. In caso contrario, gli sarebbe stato facile chiedere alle competenti autorità giudiziarie tedesche di far sentire le persone di cui mancavano le deposizioni.

29.      Occorre inoltre considerare che, nel trasmettere la copia del fascicolo delle indagini, il pubblico ministero di Amburgo ha chiesto espressamente di essere informato su come le autorità giudiziarie polacche intendessero procedere (8).

30.      Va rilevato, infine, che il pubblico ministero di Amburgo ha trasmesso soltanto una copia del fascicolo delle indagini e non l’originale, che ha conservato. Tale comportamento del pubblico ministero di Amburgo è, in effetti, conforme a una prassi giudiziaria di prudenza fondamentale normalmente osservata dalle autorità penali, che consiste nell’avviare un’azione penale soltanto sulla base dell’originale del fascicolo delle indagini, che ne costituisce il fondamento. Detta regola, dettata dalla pratica, costituisce un comportamento atto a prevenire la duplicazione dei procedimenti penali e quindi una prassi giurisprudenziale volta a prevenire, per quanto possibile, una violazione del principio del ne bis in idem, la cui ratio fondamentale è quella di evitare i doppi procedimenti penali che danno luogo alle doppie condanne.

31.      Per tutte queste ragioni, a mio avviso non può ritenersi che il pubblico ministero di Amburgo si sia spogliato della propria competenza.

32.      Occorre adesso esaminare la validità della riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1), lettera a), della CAAS a seguito dell’integrazione dell’acquis di Schengen nel diritto dell’Unione e alla luce degli articoli 50 e 52, paragrafo 1, della Carta. Su quest’ultimo punto, preciso che tale riserva costituisce una limitazione del principio del ne bis in idem, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, in quanto le spiegazioni relative a quest’ultima, per quanto riguarda il suo articolo 50, menzionano espressamente gli articoli da 54 a 58 della CAAS tra le disposizioni oggetto della clausola orizzontale dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

33.      Per quanto concerne il primo punto trattato dal giudice del rinvio, vale a dire le conseguenze dell’integrazione dell’acquis di Schengen sulla validità dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS, ritengo che, a priori, tale integrazione non abbia avuto di per sé l’effetto di invalidare detta disposizione.

34.      Infatti, la CAAS è stata inclusa nel diritto dell’Unione dal protocollo di Schengen a titolo di «acquis di Schengen», quale definito nell’allegato di tale protocollo. Dall’articolo 2 della decisione 1999/436/CE (9) e dall’allegato A della stessa risulta che il Consiglio dell’Unione europea ha designato gli articoli 34 TUE e 31 TUE come costituenti la base giuridica degli articoli da 54 a 58 della CAAS, ivi compreso, quindi, l’articolo 55 della medesima.

35.      Se, da un lato, non è contestabile che la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS faccia parte dell’acquis di Schengen e sia divenuta parte integrante del diritto dell’Unione, dall’altro, rimane da stabilire se il contenuto di tale disposizione sia compatibile con lo stato attuale del diritto dell’Unione quale risulta, da una parte, dalla giurisprudenza della Corte e, dall’altra, dalle disposizioni della Carta, entrambe successive sia all’elaborazione della CAAS, sia alla sua integrazione a titolo di acquis di Schengen. Infatti, il primo punto del preambolo del protocollo di Schengen precisava che, con tale integrazione, si intendeva, «in particolare, (...) consentire all’Unione europea di trasformarsi più rapidamente in uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia». È pertanto evidente che, essendo stato integrato a tal fine, l’acquis di Schengen non può operare contro detto spazio. Occorre allora determinare se, nel caso attualmente in esame, la riserva invocata costituisca un ostacolo alla costruzione di tale spazio e, se necessario, proporre di escluderla oppure di interpretarla, se possibile, in un senso conforme alla volontà del legislatore dell’Unione.

36.      Il fondamento storico primario del principio del ne bis in idem, riconosciuto molto presto, è quello di tutelare l’individuo dall’arbitrio consistente nel giudicare una medesima persona più volte per lo stesso fatto qualificato diversamente.

37.      Le prime enunciazioni di tale principio risalgono all’epoca romana, in cui l’interdictum del pretore gli diede la sua forma espressiva conservata in seguito: «bis de eadem re ne sit actio». Non si può contestare che detto principio costituisca uno dei diritti fondamentali del cittadino di fronte al potere giurisdizionale. Esso è divenuto un principio essenziale del diritto penale.

38.      Pur conservando tale aspetto fondamentale di tutela delle libertà individuali, il principio del ne bis in idem ha ricevuto, nell’ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, anche un’altra finalità, quella di garantire la libertà di circolazione.

39.      Tale nuova dimensione portava necessariamente a conferirgli un’applicazione transazionale all’interno dell’Unione. Da ciò sorgeva pertanto la necessità di combinare tra loro i diversi sistemi di giustizia penale degli Stati membri, un insieme di legislazioni caratterizzate sia da innegabili elementi di analogia, sia da incontestabili differenze, soprattutto di natura procedurale. Per superare le difficoltà derivanti dalla diversità di sistemi che non sono stati oggetto né di armonizzazione né di ravvicinamento – ai quali, del resto, gli Stati membri sono generalmente ostili nel campo del diritto penale –, la Corte ha applicato il principio del reciproco riconoscimento.

40.      Infatti, gli Stati membri, riuniti nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, hanno fatto di tale principio il fondamento della cooperazione giudiziaria. Il Trattato di Lisbona lo sancisce facendone il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione in materia penale (10).

41.      Nella sua sentenza Gözütok e Brügge (11), la Corte ha dichiarato che «il principio del ne bis in idem, sancito nell’art. 54 della CAAS, a prescindere dal fatto che sia applicato nell’ambito di procedure di estinzione dell’azione penale che necessitino o meno dell’intervento di un giudice o di pronunce giudiziali, implica necessariamente che esiste una fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giustizia penale e che ciascuno di essi accetta l’applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse» (12).

42.      Sottolineo l’espressione «implica necessariamente» poiché essa assume, a mio avviso, un significato particolare. Se si considera, infatti, che, nelle righe che la precedono, la Corte ha rilevato che nessuna disposizione del Trattato UE o della CAAS assoggetta l’applicazione del principio del ne bis in idem a una previa armonizzazione o a un previo ravvicinamento delle legislazioni, ciò vuol dire che l’applicazione di tale principio, divenuto fondamentale in quanto condizione dell’applicazione concreta della libertà di circolazione, impone di fatto agli Stati membri di fidarsi reciprocamente. Le divergenze tra le legislazioni nazionali non possono quindi costituire un ostacolo all’applicazione di detto principio (13).

43.      Con il ricorso al principio del reciproco riconoscimento, il legislatore dell’Unione ha inteso superare le difficoltà quasi insormontabili incontrate a causa, segnatamente, del fallimento dei tentativi di previo ravvicinamento delle legislazioni nazionali. La Corte, in seguito, ne ha tratto le conseguenze nella propria giurisprudenza. La formula utilizzata dev’essere interpretata quindi nel senso che la fiducia reciproca è non già il presupposto dell’applicazione del reciproco riconoscimento, bensì la conseguenza (14) imposta agli Stati membri dall’applicazione di tale principio. In altre parole, l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento impone agli Stati membri di fidarsi reciprocamente a prescindere dalle differenze tra le rispettive legislazioni nazionali.

44.      La forza del principio così espresso si giustifica con l’interesse che rappresenta la creazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per la creazione dell’Unione. Tale spazio, infatti, appare come la dimensione complementare dello spazio unico di circolazione e di attività economica, in quanto assicura a quest’ultimo un contesto normativo contenente i diritti individuali dei cittadini dell’Unione. In ciò, esso si ricollega indubbiamente alla nozione di cittadinanza dell’Unione, a cui contribuisce a conferire una dimensione concreta.

45.      È pertanto alla luce di detta creazione giurisprudenziale che dev’essere oggi valutata la validità della riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS, sottoscritta dalla Repubblica federale di Germania. La questione è se la particolare forza attribuita al principio del reciproco riconoscimento debba portare ad escluderla.

46.      Se è vero che, come ho ricordato in precedenza, detta riserva non è divenuta obsoleta per il solo fatto dell’integrazione dell’acquis di Schengen nel diritto dell’Unione, è anche vero che essa non può contrastare con quest’ultimo.

47.      Il riferimento fatto dal governo tedesco, in udienza, alla nozione di utilità o di necessità costituisce a mio avviso un approccio adeguato.

48.      Infatti, non vi è dubbio che l’applicazione della riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1), della CAAS ha l’effetto di svuotare del suo contenuto il principio del ne bis in idem. Tenuto conto delle considerazioni di cui sopra, relative al legame tra tale principio e quello del reciproco riconoscimento, nonché dell’importanza fondamentale di quest’ultimo per la costruzione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, questa considerazione è, da sola, sufficiente per concludere nel senso che detta riserva dev’essere dichiarata invalida.

49.      A tale affermazione potrebbe essere apportata un’eccezione soltanto se essa fosse giustificata dalla necessità di attribuire a siffatta riserva un effetto utile che vada nel senso di soddisfare un interesse superiore che non costituisca un effetto contrario all’elaborazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

50.      Per questa ragione, in tale ottica, esaminerò, sulla base dell’argomento del governo tedesco, l’eventualità dell’esistenza di una possibile utilità o necessità della medesima riserva.

51.      A tale riguardo, ritengo che il riferimento alla nozione di utilità o di necessità porti a concludere che la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS è inutile, appunto perché essa non è più necessaria per effetto dell’esatta applicazione della giurisprudenza della Corte, in linea con le disposizioni della Carta, come illustrerò adesso.

52.      Le espressioni utilizzate dalla Corte per definire le condizioni materiali di attuazione del principio del ne bis in idem non devono indurci in errore e non devono, soprattutto, essere estrapolate dal contesto dello stato di evoluzione attuale di tale giurisprudenza e neanche dal testo della Carta, ovviamente applicabile in questo caso.

53.      Il testo della CAAS utilizza la nozione di «medesimi fatti», mentre la Carta, dal canto suo, quella di «stesso reato». È ovviamente quest’ultima nozione – il cui significato è contenuto nella giurisprudenza elaborata dalla Corte nella sua costruzione giurisprudenziale delle regole di applicazione del principio del ne bis in idem – che occorre prendere in considerazione.

54.      La Corte ha dato alla nozione di «medesimi fatti» un significato non puramente materiale, ma, al contrario, giuridico. Nella sua sentenza Mantello (15), essa ha elevato tale nozione al rango di «nozione autonoma del diritto dell’Unione». Per la Corte, come per la Carta, l’identità dei fatti menzionata dalla CAAS non è altro che la somiglianza dei reati, somiglianza che occorre valutare non in considerazione delle qualificazioni proprie di ciascuna legislazione nazionale, ma alla luce della sostanza stessa dei reati concorrenti.

55.      Così, la Corte ha definito le condizioni dell’identità dei fatti precisando che si trattava di fatti che erano sostanzialmente i medesimi (quindi senza tener conto delle espressioni delle legislazioni nazionali), inscindibilmente collegati tra loro nel tempo, nello spazio nonché per «oggetto» (16). In questo modo, la Corte ha dato, in tale forma, una definizione classica della nozione di reato, riferendosi a un’identità dell’atto considerato nel significato, nella sostanza, che gli attribuisce l’intenzione delittuosa del suo autore. In verità, un fatto non potrebbe rivestire una qualificazione penale specifica, vale a dire tale da non confondersi con nessun’altra, se esso fosse disgiunto dalla sua finalità, vale a dire dalla sua intenzione. Tra una lesione causata involontariamente e un’altra arrecata volontariamente, la differenza non è di grado, ma di natura, quand’anche la seconda abbia provocato conseguenze meno gravi della prima.

56.      Sottolineo il termine «oggetto» poiché l’oggetto dell’atto non è altro che il suo scopo, la sua finalità, vale a dire l’intenzione con la quale esso è stato commesso. Se l’oggetto dell’atto è quello di consentire al suo autore di appropriarsi volontariamente del bene altrui, se è questo ciò che egli ha voluto fare, allora egli è colpevole di furto e l’atto è stato effettivamente commesso con l’intenzione di realizzare tale appropriazione.

57.      Prendendo in considerazione l’oggetto dell’atto nella sua definizione di ciò che costituisce l’identità materiale dei fatti ai sensi del principio del ne bis in idem, la Corte si riferisce alla nozione classica del reato e si pone «in linea» con l’espressione della Carta, prima ancora dell’entrata in vigore di quest’ultima. Nella sua giurisprudenza, del resto, la Corte ha talvolta utilizzato espressamente la nozione di intenzione come elemento facente parte della definizione della nozione di medesimi fatti (17).

58.      È tempo di ritornare adesso all’esempio addotto dal governo tedesco in udienza.

59.      Tale governo ha considerato una situazione in cui un individuo di nazionalità straniera, il quale abbia commesso, in Germania, un reato violento ispirato dall’apologia del nazismo, è condannato nel proprio paese di origine per tali atti di violenza ai sensi di una legge che non prevede, nella sua qualificazione, la circostanza particolare dell’apologia del nazismo. In tale ipotesi, secondo il governo tedesco, la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS deve applicarsi. A mio avviso, non è così.

60.      L’intenzione, nel senso classico del termine, è generalmente definita, nel diritto penale, come la volontà rivolta verso uno scopo. In tal senso, essa si distingue dal movente, che consiste nel motivo per il quale l’autore ha commesso il reato. Il movente è, in generale, irrilevante nella fase della qualificazione, nel senso che non è preso in considerazione ai fini della definizione legale dell’atto materiale punibile. Che si rubi per necessità alimentare o per cupidigia, si commette un furto. L’oggetto dell’atto materiale consiste nell’appropriazione del bene altrui. È con tale intenzione che l’autore se ne impossessa. Il movente di detta appropriazione fraudolenta potrà rinvenirsi, ad esempio, nello stato di necessità o nell’attrattiva del lucro. Il reato è identico in entrambi i casi: si tratta di furto, e il giudice stabilirà la differenza tenendo conto del movente per individualizzare la pena che pronuncerà o, se del caso, per esimerne l’autore.

61.      Tuttavia, è possibile che uno Stato membro consideri che un atto commesso con un movente particolare, in questo caso l’apologia del nazismo, causa al proprio ordine pubblico una turbativa particolare e intenda pertanto farne un reato specifico rendendo il movente, che ispira l’atto ma oggettivato nella sua commissione, un elemento costitutivo di un reato specifico con una propria pena. Ciò è perfettamente lecito e legittimo, poiché si tratta del suo ordine pubblico e quindi dei valori della sua nazione. Nondimeno, nella sua specifica incriminazione, la legislazione nazionale avrà fatto dell’apologia del nazismo uno dei caratteri dell’elemento materiale del reato.

62.      Occorre, a questo punto, sottolineare che tale interpretazione non è affatto in contraddizione con la chiara posizione della Corte, la quale precisa che dev’essere presa in considerazione soltanto l’identità materiale dei fatti, indipendentemente dalle qualificazioni e dagli interessi tutelati. Infatti, la questione che ho appena esaminato consiste non già nel chiedersi quali interessi debbano essere tutelati, ma nel verificare se, a prescindere dalle qualificazioni utilizzate, ci si trovi in presenza di due reati che sono, in sostanza, i medesimi o meno.

63.      Orbene, qualora non ci si trovi in presenza dello stesso reato, per come tale espressione dev’essere intesa in applicazione simultanea della Carta e della giurisprudenza della Corte, la situazione esaminata esula allora dall’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem.

64.      La questione se alla differenza di qualificazione corrisponda o meno una differenza di sostanza alla luce delle definizioni fornite dalla Corte è ovviamente di competenza del giudice del merito, vale a dire del giudice nazionale, il quale potrà rivolgersi alla Corte in caso di dubbi su una nozione che, come abbiamo visto, costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione.

65.      Si potrebbe obiettare che l’attuazione concreta può rivelarsi fonte di difficoltà. Come procedere nel caso in cui la differenza di reato sia invocata quando in altro Stato membro è già stata emessa una prima condanna? E, inoltre, se una pena sia già stata eseguita?

66.      I principi che ho menzionato mi inducono a considerare legittima la seconda azione penale, poiché la differenza invocata impedisce l’applicazione del principio del ne bis in idem. Tuttavia, si deve riconoscere che i reati concorrenti, pur complessivamente diversi, sono parzialmente identici. Sarebbe certamente censurabile accettare un cumulo puro e semplice delle condanne definitivamente emesse nei due Stati membri. La soluzione, semplice e attuata in varie legislazioni nazionali, consiste nell’eseguire soltanto la più pesante delle due condanne. A mio avviso, solo tale soluzione consente di coprire in modo accettabile, alla luce dei principi, tutte le possibili situazioni concrete. Come procedere, altrimenti, nel caso in cui uno dei reati sia già stato sanzionato in uno Stato membro e la pena sia stata eseguita? Secondo detta soluzione, qualora la pena eseguita per prima sia quella più pesante, al condannato non potrà essere inflitto alcun «supplemento». Qualora essa risulti essere stata quella più lieve, il condannato dovrà eseguire soltanto la differenza tra quella già eseguita e quella emessa successivamente.

67.      A mio avviso, da quanto precede, risulta che la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS non è effettivamente più necessaria, sia nel caso in esame sia in qualsiasi altro caso. Poiché, infatti, la giurisprudenza della Corte e la Carta consentono di garantire il rispetto della differenza sostanziale tra i reati, consentire a uno Stato membro di eludere il principio del ne bis in idem in situazioni diverse equivarrebbe a svuotarlo di ogni contenuto e rimetterebbe in discussione il sistema su cui si fonda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

68.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che la riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della CAAS non rispetti il contenuto essenziale del principio del ne bis in idem quale enunciato dall’articolo 50 della Carta e debba, pertanto, essere dichiarata invalida.

B –    Sulla nozione di «sentenza definitiva»

69.      Con al sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio del ne bis in idem enunciato dagli articoli 54 della CAAS e 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere emessa dal pubblico ministero, la quale conclude il procedimento istruttorio, può essere qualificata come «sentenza definitiva», ai sensi di tali articoli, qualora sia stata emessa senza che né la vittima né il testimone siano stati sentiti nel corso di detto procedimento.

70.      La Corte ha avuto più volte l’opportunità di pronunciarsi sulla nozione di sentenza definitiva. Così, dalla sua giurisprudenza risulta che gli elementi essenziali da verificare, al fine di determinare se la decisione di cui trattasi possa essere qualificata come «definitiva», sono i seguenti. La decisione dev’essere stata pronunciata a seguito di una valutazione nel merito della causa e deve estinguere, nell’ordinamento giuridico nazionale, l’azione penale esercitata nei confronti dell’autore del reato (18).

71.      Secondo la Corte, una decisione di non luogo a procedere pronunciata in seguito ad un’istruttoria nel corso della quale sono stati raccolti ed esaminati diversi mezzi di prova è stata oggetto di una valutazione nel merito, in quanto contiene una decisione definitiva sul carattere insufficiente di tali prove ed esclude qualsiasi possibilità che la causa sia riaperta sulla base del medesimo complesso di indizi (19).

72.      Secondo la Commissione, tale giurisprudenza deve essere applicata al caso di specie (20). Non condivido tale opinione.

73.      Dalla decisione di non luogo a procedere di cui al procedimento principale risulta che quest’ultima è stata emessa in quanto il sig. Kossowski si era rifiutato di rendere dichiarazioni, la vittima e il testimone de relato risiedevano in Germania e non erano quindi stati sentiti nel corso delle indagini, con la conseguenza che non era stato possibile verificare le dichiarazioni – in parte imprecise e contraddittorie – della vittima.

74.      L’essenza stessa del principio del ne bis in idem consiste nel reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, il quale postula la fiducia reciproca tra gli Stati membri. La questione è se, tuttavia, ciò vieti agli Stati membri di verificare se le condizioni di applicazione del principio del ne bis in idem siano effettivamente soddisfatte, e in particolare se si tratti di una decisione nel merito.

75.      La nozione di «merito della controversia» potrebbe evocare l’idea di un esame approfondito e critico del procedimento in questione. Lo Stato membro che effettuasse tale esame «giudicherebbe», in un certo senso, il procedimento dell’altro Stato membro prima di riconoscere se lo accetta o meno. Ciò equivarrebbe a ristabilire l’exequatur, il che sarebbe inaccettabile in quanto priverebbe di ogni significato il principio del reciproco riconoscimento e colliderebbe direttamente con l’idea stessa di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

76.      Tuttavia, costringere le autorità giudiziarie di uno Stato membro a eseguire a occhi chiusi qualsiasi decisione senza alcun diritto di controllo avrebbe sicuramente l’effetto di alterare il reciproco riconoscimento nei casi in cui, obiettivamente, si pongono questioni in modo evidente.

77.      Infatti, sarebbe del tutto inutile che la Corte stabilisse le condizioni di validità dell’applicazione del principio del ne bis in idem se la loro presenza non potesse essere obiettivamente constatata. È del resto a questa esigenza di trasparenza delle decisioni giudiziarie – la quale costituisce uno degli elementi dello Stato di diritto – che corrisponde la necessità della motivazione delle decisioni giudiziarie. In uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, tale trasparenza costituisce un elemento indispensabile per il dialogo tra i giudici e tra i pubblici ministeri.

78.      Pertanto, qualora dalla motivazione – che non può essere assente – della decisione di cui si contesta la presa in considerazione risulti che, innegabilmente, le condizioni stabilite dalla Corte non sono soddisfatte, il giudice interessato dall’applicazione del principio del ne bis in idem è legittimato a non applicare tale principio, avendo la facoltà, in caso di dubbio, di interrogare la Corte – come è stato fatto nel caso di specie.

79.      Dalla semplice lettura degli elementi esposti nella decisione polacca, risulta che, indubbiamente, il merito della controversia non è stato trattato. Infatti, tale decisione menziona il fatto che l’accusato non ha cooperato e non ha fornito spiegazioni, che il confronto – apparentemente necessario in quanto nella deposizione della vittima sarebbero state rilevate imprecisioni – non è stato effettuato e che il testimone non è stato sentito, segnatamente a causa del fatto che tali persone abitavano in Germania e non è stata sollecitata alcuna misura di assistenza giudiziaria. Appare evidente, quindi, che gli elementi che costituiscono la sostanza stessa della situazione giuridica cui si trovano di fronte le autorità giudiziarie tedesche e polacche non sono stati esaminati dalle autorità giudiziarie polacche.

80.      Peraltro, se è vero che la realizzazione di un autentico spazio di libertà, sicurezza e giustizia passa attraverso il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e, quindi, la necessaria fiducia reciproca tra gli Stati membri, è anche vero che ciò non può avvenire a scapito della garanzia del rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, dei diritti della vittima. L’applicazione del principio del ne bis in idem non può, in alcun caso, dar luogo al riconoscimento di decisioni manifestamente contrarie ai diritti fondamentali.

81.      È evidente, nel procedimento principale, che i diritti della vittima non sono stati garantiti, in particolare il diritto di essere sentito, il diritto di ottenere informazioni e il diritto al risarcimento (21).

82.      Infatti, dalla motivazione della decisione di non luogo a procedere di cui al procedimento principale risulta che la vittima non è stata sentita. Inoltre, la decisione di non esercitare l’azione penale le è stata notificata con un termine di ricorso del tutto insufficiente – sette giorni – per avere il tempo, in uno Stato membro diverso da quello di residenza, se del caso, di far tradurre detta decisione e di consultare un legale al fine di proporre eventualmente, in seguito, un ricorso, il quale, vertendo sui fatti del caso di specie, presuppone la presa di conoscenza degli atti del procedimento, il che era manifestamente, in questo caso, assolutamente impossibile.

83.      Peraltro, se, da un lato, il diritto penale ha lo scopo di sanzionare la violazione dell’ordine pubblico, dall’altro, esso mira anche a consentire alla vittima di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla commissione dei fatti costituenti l’elemento materiale del reato. È, questo, un motivo supplementare per considerare che, questa volta, alla luce del diritto essenziale delle vittime, la decisione polacca non poteva produrre l’effetto tipico del principio del ne bis in idem, la cui conseguenza sarebbe stata di privare tale vittima di qualsiasi diritto al risarcimento.

84.      Di conseguenza, ritengo che il principio del ne bis in idem enunciato dagli articoli 54 della CAAS e 50 della Carta debba essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere emessa dal pubblico ministero, la quale conclude il procedimento istruttorio, non può essere qualificata come «sentenza definitiva», ai sensi di tali articoli, qualora dalla sua motivazione risulti manifestamente che gli elementi che costituiscono la sostanza stessa della situazione giuridica, quali l’audizione della vittima e quella del testimone, non sono stati esaminati dalle autorità giudiziarie interessate.

IV – Conclusione

85.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue all’Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg (Tribunale regionale superiore di Amburgo):

1)      La riserva di cui all’articolo 55, paragrafo 1, lettera a), della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, non rispetta il contenuto essenziale del principio del ne bis in idem quale enunciato dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e deve, pertanto, essere dichiarata invalida.

2)      Il principio del ne bis in idem enunciato dagli articoli 54 di tale convenzione e 50 di detta Carta dev’essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere emessa dal pubblico ministero, la quale conclude il procedimento istruttorio, non può essere qualificata come «sentenza definitiva», ai sensi di tali articoli, qualora dalla sua motivazione risulti manifestamente che gli elementi che costituiscono la sostanza stessa della situazione giuridica, quali l’audizione della vittima e quella del testimone, non sono stati esaminati dalle autorità giudiziarie interessate.


1 – Lingua originale: il francese.


2 – Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (GU 2000, L 239, pag. 19; in prosieguo: la «CAAS»).


3 – BGBl. 1994 II, pag. 631.


4 – GU 1997, C 340, pag. 93; in prosieguo: il «protocollo di Schengen».


5 – Dz. U. del 1997, n. 88, posizione 553.


6 – Dz. U. del 1997, n. 89, posizione 555; in prosieguo: il «codice di procedura penale».


7 – Punto 69.


8 – V. supra, paragrafo 16.


9 – Decisione del Consiglio, del 20 maggio 1999, che determina, in conformità delle pertinenti disposizioni del trattato che istituisce la Comunità europea e del trattato sull’Unione europea, la base giuridica per ciascuna delle disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen (GU L 176, pag. 17).


10 – V. articolo 82, paragrafo 1, TFUE.V., inoltre, articolo 67 TFUE.


11 – C‑187/01 e C‑385/01, EU:C:2003:87.


12 – Punto 33. Il corsivo è mio.


13 – Va rilevato, d’altronde, che il Trattato FUE fornisce un fondamento normativo per ravvicinare le legislazioni al solo scopo di facilitare l’applicazione del reciproco riconoscimento.


14 – Altrimenti le difficoltà precedenti che si intendeva evitare si ripresenterebbero inevitabilmente.


15 – C‑261/09, EU:C:2010:683.


16 – V. sentenze Kraaijenbrink (C‑367/05, EU:C:2007:444, punti 26 e 27 nonché giurisprudenza citata) e Mantello (C‑261/09, EU:C:2010:683, punto 39 e giurisprudenza citata).


17 – A tale riguardo, va rilevato che la Corte, nella sua sentenza Kretzinger (C‑288/05, EU:C:2007:441), ha fatto riferimento all’intenzione al fine di caratterizzare l’identità dei fatti materiali.


18 – V. sentenza M (C‑398/12, EU:C:2014:1057, punti 28 e 31 nonché giurisprudenza citata).


19 – Ibidem (punto 30).


20 – V. punti 50 e segg. delle sue osservazioni.


21 – V. articoli 3, 4 e 9 della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (GU L 82, pag. 1).