Language of document : ECLI:EU:T:2020:339

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

15 luglio 2020 (*)

«Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo FAKE DUCK – Marchio dell’Unione europea figurativo anteriore SAVE THE DUCK – Impedimento alla registrazione relativo – Rischio di confusione – Pubblico di riferimento – Somiglianza dei prodotti e dei servizi – Somiglianza dei segni – Valutazione globale del rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001»

Nella causa T‑371/19,

Itinerant Show Room Srl, con sede in San Giorgio in Bosco (Italia), rappresentata da A. Visentin, M. Cartella e B. Cartella, avvocati,

ricorrente,

contro

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da M.L. Capostagno, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’EUIPO, interveniente dinanzi al Tribunale,

Save the Duck SpA, con sede in Milano (Italia), rappresentata da M. De Vietro, avvocato,

avente ad oggetto un ricorso proposto avverso la decisione della prima commissione di ricorso dell’EUIPO del 5 aprile 2019 (procedimento R 1117/2018-1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Forest Srl e l’Itinerant Show Room,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da M.J. Costeira, presidente, B. Berke e T. Perišin (relatrice), giudici,

cancelliere: E. Coulon

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 giugno 2019,

visto il controricorso dell’EUIPO depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 agosto 2019,

visto il controricorso dell’interveniente depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 settembre 2019,

vista la misura di organizzazione del procedimento del 24 ottobre 2019 e la risposta dell’interveniente depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 ottobre 2019,

visto che le parti non hanno presentato, nel termine di tre settimane dalla notifica della chiusura della fase scritta del procedimento, domanda di fissazione di un’udienza, e avendo deciso, ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale, di statuire omettendo la fase orale del procedimento,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        L’11 ottobre 2016 l’Itinerant Show Room Srl, ricorrente, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea all’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), ai sensi del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1)].

2        Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il seguente segno figurativo:

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3        I prodotti per i quali è stata chiesta la registrazione rientrano nelle classi 18 e 25 ai sensi dell’accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono, per ciascuna delle suddette classi, alla seguente descrizione:

–        classe 18: «Cuoio grezzo o semilavorato; pelli di animali; bauli e valigie; ombrelli e ombrelloni; bastoni da passeggio; fruste; articoli da selleria; portafogli; borsellini; porta carte di credito [portafogli]; borse casual; bauletti destinati a contenere articoli per la toilette, detti vanity cases; collari per animali; abiti per animali».

–        classe 25: «Articoli di abbigliamento, scarpe, cappelleria; giacche; giacche a vento; giacche a vento con cappuccio; giacche-camicie; giacche, cappotti, pantaloni, gilet da uomo e da donna; giacche catarifrangenti; giacche con le maniche; giacche da abito; giacche da boscaiolo; giacche da caccia; giacche da camera; giacche da equitazione; giacche da motociclismo; giacche da pesca; giacche da safari; giacche da sera; giacche da smoking; giacche da tight; giacche di asino; giacche di felpa; giacche di montone; giacche di pelle; giacche termiche: giacconi; giacconi da snowboard; giacconi da sci; giacconi da marinaio; pellicce (indumenti); guanti (abbigliamento); camicia; pantaloni; indumenti in pelle con protezioni incorporate; cinture (abbigliamento); foulards [fazzoletti]; cravatte; maglieria; calzini; calzerotti; calzature da spiaggia, per lo sci e per lo sport; biancheria personale».

4        La domanda di marchio è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi dell’Unione europea il 6 dicembre 2016.

5        Il 28 febbraio 2017 la Save the Duck SpA (già Forest Srl), interveniente, ha proposto opposizione ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 46 del regolamento 2017/1001) alla registrazione del marchio richiesto per i prodotti di cui al precedente punto 5.

6        L’opposizione era fondata, segnatamente, sul marchio dell’Unione europea figurativo «SAVE THE DUCK e figura di paperella», riprodotto qui di seguito, registrato il 6 luglio 2016 con il numero 15154181, per i prodotti delle classi 18 e 25, e corrispondenti alla seguente descrizione:

–        classe 18: «Pellami grezzi o semilavorati ed altre pelli; articoli di valigeria; bauli; valigie; borse; borse da viaggio; zaini; zainetti; bauletti destinati a contenere articoli da toilette detti vanity cases; ombrelli e ombrelloni; bastoni da passeggio e ombrelli combinati; fruste; articoli da selleria».

–        classe 25: «Abbigliamento da uomo; abbigliamento da donna; abbigliamento per ragazzi; abbigliamento da ragazza; articoli di abbigliamento per bambini; biancheria personale; scarpe; cappelleria»:

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7        Il motivo dedotto a sostegno dell’opposizione era quello indicato all’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009 (divenuto articolo 8, paragrafo 1, del regolamento 2017/1001).

8        In data 19 aprile 2018, la divisione di opposizione ha accolto l’opposizione per tutti i prodotti menzionati al punto 5.

9        Il 15 giugno 2018 la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi all’EUIPO, ai sensi degli articoli da 66 a 71 del regolamento 2017/1001, avverso la decisione della divisione di opposizione.

10      Con decisione del 5 aprile 2019 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la prima commissione di ricorso dell’EUIPO ha respinto il ricorso della ricorrente. In particolare, essa ha considerato, in primo luogo, che il pubblico di riferimento fosse costituito, alla luce della natura dei prodotti interessati, dal pubblico in generale dell’Unione europea, avente un livello medio di attenzione. Essa ha rilevato, in secondo luogo, che i prodotti coperti dal marchio anteriore e quelli coperti dal marchio richiesto erano identici o, quantomeno, strettamente affini. In terzo luogo, esso ha ritenuto che i segni in esame presentassero un grado medio di somiglianza dal punto di vista visivo ed elevato sul piano fonetico e concettuale. Infine, essa ha concluso per un rischio di confusione tra i marchi in conflitto, tenuto conto del grado di attenzione del pubblico, del grado di somiglianza tra i prodotti interessati, del grado di somiglianza tra i segni in esame e del carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore.

 Conclusioni delle parti

11      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        ingiungere all’EUIPO di autorizzare la registrazione del marchio richiesto;

–        condannare l’EUIPO alle spese.

12      L’EUIPO e l’interveniente chiedono che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulla ricevibilità

 Sul terzo capo delle conclusioni della ricorrente, diretto ad ottenere che il Tribunale ingiunga all’EUIPO di autorizzare la registrazione del marchio richiesto

13      Da una giurisprudenza costante risulta che, nell’ambito di un ricorso proposto dinanzi al giudice dell’Unione avverso la decisione di una commissione di ricorso dell’EUIPO, quest’ultimo è tenuto, conformemente all’articolo 72, paragrafo 6, del regolamento 2017/1001, ad adottare tutte le misure che l’esecuzione della sentenza del giudice dell’Unione comporta. Di conseguenza, non spetta al Tribunale rivolgere ingiunzioni all’EUIPO, al quale incombe trarre le conseguenze dal dispositivo e dalla motivazione delle sentenze del giudice dell’Unione [v. sentenza dell’11 luglio 2007, El Corte Inglés/UAMI – Bolaños Sabri (PiraÑAM diseño original Juan Bolaños), T‑443/05, EU:T:2007:219, punto 20 e giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, le conclusioni della ricorrente dirette a che il Tribunale ordini all’EUIPO di accogliere la domanda di registrazione sono irricevibili.

 Sulla ricevibilità degli argomenti della ricorrente riguardanti altri marchi di cui l’interveniente è titolare

14      Nell’ambito del motivo unico, la ricorrente adduce argomenti vertenti sulle differenze esistenti tra il marchio richiesto e tutti i marchi invocati a sostegno dell’opposizione.

15      Al riguardo, va sottolineato che la commissione di ricorso ha fondato la decisione impugnata su uno dei sette marchi invocati a sostegno dell’opposizione, vale a dire il marchio anteriore menzionato al precedente punto 6. Tuttavia, il rigetto della domanda di marchio non deve necessariamente essere fondato su tutti gli impedimenti alla registrazione invocati a sostegno di un’opposizione [v., in tal senso, ordinanza dell’11 maggio 2006, TeleTech Holdings/UAMI – Teletech International (TELETECH INTERNATIONAL), T‑194/05, EU:T:2006:124, punto 27 e giurisprudenza ivi citata].

16      Secondo la giurisprudenza, non spetta al Tribunale pronunciarsi su una questione che non è stata oggetto di esame da parte della commissione di ricorso [v., in tal senso, sentenze dell’8 luglio 1999, Procter & Gamble/UAMI (BABY-DRY), T‑163/98, EU:T:1999:145, punto 51; del 4 ottobre 2006, Freixenet/UAMI (Forma di una bottiglia nera opaca in vetro smerigliato), T‑188/04, non pubblicata, EU:T:2006:290, punto 45, e del 27 aprile 2010, Union Investment Privatfonds/UAMI – Unicre‑Cartão International De Crédito (unibanco), T‑392/06, non pubblicata, EU:T:2010:161, punti da 44 a 46]. Di conseguenza, non spetta al Tribunale pronunciarsi sugli argomenti della ricorrente riguardanti gli altri marchi invocati a sostegno dell’opposizione.

 Nel merito

17      La ricorrente deduce sostanzialmente un unico motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001. Essa ritiene che la commissione di ricorso abbia erroneamente concluso che tra i marchi in conflitto sussiste un rischio di confusione.

18      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

19      Ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, in seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore, il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se, a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio con il marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contrassegnati dai due marchi, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è protetto. Il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

20      Per giurisprudenza costante, costituisce un rischio di confusione il fatto che il pubblico possa credere che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Secondo questa stessa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o dei servizi di cui trattasi, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti nel caso di specie, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati [v. sentenza del 9 luglio 2003, Laboratorios RTB/UAMI – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, punti da 30 a 33 e giurisprudenza ivi citata].

21      Ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001, un rischio di confusione presuppone sia un’identità o una somiglianza tra i marchi in conflitto che un’identità o una somiglianza tra i prodotti o servizi che essi designano. Si tratta di condizioni cumulative [v. sentenza del 22 gennaio 2009, causa Commercy/UAMI – easyGroup IP Licensing (easyHotel), T‑316/07, EU:T:2009:14, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

22      È alla luce dei principi summenzionati che si deve esaminare se la commissione di ricorso abbia avuto ragione nel ritenere che, nel caso di specie, sussistesse un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

 Sul pubblico di riferimento

23      Secondo la giurisprudenza, nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione, occorre prendere in considerazione il consumatore medio della categoria di prodotti interessata, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Occorre anche tener conto del fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare a seconda della categoria di prodotti o di servizi di cui trattasi [v. sentenza del 13 febbraio 2007, Mundipharma/UAMI – Altana Pharma (RESPICUR), T‑256/04, EU:T:2007:46, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

24      La commissione di ricorso ha ritenuto, da un lato, che, alla luce della natura dei prodotti interessati, il pubblico di riferimento fosse composto dal pubblico in generale dell’Unione. Essa ha anche concluso che il territorio di riferimento era tutto il territorio dell’Unione.

25      Siffatte valutazioni della commissione di ricorso, peraltro non contestate dalla ricorrente, devono essere approvate.

26      La commissione di ricorso ha ritenuto, dall’altro lato, che il pubblico di riferimento fosse dotato di un livello medio di attenzione.

27      La ricorrente contesta tale valutazione e sostiene che il pubblico di riferimento agisce con un grado elevato di attenzione, tenuto conto del costo elevato dei prodotti interessati. Essa ritiene altresì che la scelta di tale pubblico sia operata già in partenza per aver conosciuto i prodotti attraverso la pubblicità.

28      Occorre notare che nessun elemento nelle denominazioni dei prodotti coperti dai marchi in conflitto indica che si tratti di prodotti di lusso. Infatti, quelli rientranti nelle classi 18 e 25 sono prodotti di largo consumo, frequentemente acquistati e utilizzati dal consumatore medio. Il grado di attenzione accordato ai prodotti non sarà superiore alla media, posto che tali prodotti non sono né onerosi né rari, che il loro acquisto e il loro utilizzo non necessitano di conoscenze specifiche e che essi non hanno un impatto grave sulla salute, il bilancio o la vita del suddetto consumatore [v., in tal senso, sentenza del 20 ottobre 2009, Aldi Einkauf/UAMI – Goya Importaciones y Distribuciones (4 OUT Living), T‑307/08, non pubblicata, EU:T:2009:409, punto 21].

29      Pertanto, la commissione di ricorso non è incorsa in un errore nel concludere che il livello di attenzione del pubblico di riferimento era medio.

 Sulla comparazione dei prodotti

30      Secondo una giurisprudenza costante, per valutare la somiglianza tra i prodotti o i servizi di cui trattasi, occorre tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra gli stessi. Tali fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarietà. Si può tenere conto anche di altri fattori, quali i canali di distribuzione dei prodotti interessati (v. sentenza dell’11 luglio 2007, PiraÑAM diseño original Juan Bolaños, T‑443/05, EU:T:2007:219, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

31      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha concluso che i prodotti coperti dai marchi in conflitto erano identici o quantomeno strettamente affini.

32      Siffatte valutazioni della commissione di ricorso, peraltro non contestate dalla ricorrente, devono essere approvate.

 Sulla comparazione dei segni

33      Secondo la giurisprudenza, due marchi sono simili quando, dal punto di vista del pubblico di riferimento, esiste tra loro un’uguaglianza almeno parziale per quanto riguarda uno o più aspetti pertinenti [v. sentenza del 23 marzo 2017, Vignerons de la Méditerranée/EUIPO – Bodegas Grupo Yllera (LE VAL FRANCE), T‑216/16, non pubblicata, EU:T:2017:201, punto 23 e giurisprudenza ivi citata].

34      La valutazione globale del rischio di confusione deve fondarsi, per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei segni in esame, sull’impressione complessiva prodotta dai marchi in conflitto, tenuto conto, in particolare, dei loro elementi distintivi e dominanti. La percezione dei marchi nella mente del consumatore medio dei prodotti o dei servizi di cui trattasi svolge un ruolo determinante nella valutazione globale di detto rischio. A tale proposito, il consumatore medio percepisce normalmente un marchio come un tutt’uno e non effettua un esame dei vari dettagli (v. sentenza del 12 giugno 2007, UAMI/Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

–       Sulla somiglianza visiva

35      La commissione di ricorso ha ritenuto che tra i segni in esame sussistesse un grado medio di somiglianza visiva. In primo luogo, essa ha considerato che gli elementi dominanti dei suddetti segni fossero la raffigurazione di un papero e gli elementi denominativi, presenti in ciascuno dei suddetti segni. In secondo luogo, essa ha ritenuto che la cornice circolare e lo sfondo quadrato del marchio anteriore avessero una debole capacità distintiva. Ha considerato che il primo fattore di somiglianza tra i segni in esame risiedesse nella loro struttura composta, da un lato, dal disegno di un papero e, dall’altro, dagli elementi denominativi, ove il papero figura in prima posizione negli stessi segni. Essa ha indicato che il secondo fattore di somiglianza risiedeva nella raffigurazione del papero, sotto forma di sagoma, il cui colore dominante è il nero, e nei caratteri in stampatello maiuscolo degli elementi denominativi, rappresentati da caratteri tipografici molto comuni. A suo giudizio, il terzo fattore di somiglianza riguardava gli elementi denominativi di siffatti segni, contenenti un termine identico «duck» e due termini simili «save» e «fake», entrambi redatti nella stessa lingua.

36      La ricorrente ritiene che tra i segni in esame sussistano differenze non trascurabili. In primo luogo, essa sostiene che il papero del marchio richiesto non è circondato da un elemento geometrico, è raffigurato nell’atto di allontanarsi dall’elemento denominativo, si trova a sinistra rispetto a quest’ultimo, è orientato verso sinistra, imbronciato e con le zampe a colore a contrasto Nel marchio anteriore, il papero sarebbe prigioniero in un cerchio, statico, con le ali chiuse, allegro, orientato verso destra, con le zampe a colore uniforme e sovrastante l’elemento denominativo. In secondo luogo, la ricorrente deduce che esistono altri marchi contenenti la raffigurazione di un papero o il termine «duck». In terzo luogo, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto di due decisioni dell’EUIPO relative alla somiglianza tra elementi figurativi raffiguranti animali. In quarto luogo, la ricorrente sottolinea che il disegno del papero è un elemento debolmente distintivo, rispetto al quale devono essere valorizzate le differenze. In quinto luogo, la ricorrente sottolinea che, nella sentenza del 7 maggio 2015, Cosmowell/UAMI – Haw Par (GELENKGOLD) (T‑599/13, EU:T:2015:262), il Tribunale ha statuito che non sussisteva alcun rischio di confusione tra due segni raffiguranti una tigre, dato il loro elemento denominativo diverso.

37      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

38      In primo luogo, per quanto concerne gli elementi figurativi dei segni in esame, si deve rilevare che i paperi raffigurati nei marchi in conflitto sono simili tenuto conto del loro colore nero, della loro sagoma e delle loro dimensioni simili. Le differenze richiamate dalla ricorrente per quanto riguarda la posizione del papero rispetto all’elemento denominativo, l’orientazione del papero, il suo stato d’animo e il colore delle sue zampe sono difficilmente percettibili, sicché devono essere considerati trascurabili. Inoltre, gli elementi geometrici che circondano il marchio anteriore sono secondari rispetto al marchio nel suo insieme.

39      In secondo luogo, per quanto riguarda gli elementi denominativi dei segni in esame, va sottolineato che il termine «duck» è comune ai suddetti segni e corrisponde all’elemento figurativo di tali segni, ossia il disegno di un papero o di una paperella.

40      I segni in esame sono dunque mediamente simili sul piano visivo.

41      Per quanto riguarda l’argomento della ricorrente secondo cui il disegno del papero è un elemento debolmente distintivo, rispetto al quale le differenze devono essere valorizzate, va sottolineato che la ricorrente non ha addotto argomenti atti ad avvalorare il carattere debolmente distintivo del suddetto elemento. Tale argomento non è quindi idoneo a rimettere in discussione la conclusione tratta al precedente punto 40.

42      La conclusione tratta al precedente punto 40 non può essere rimessa in discussione neppure dall’argomentazione della ricorrente secondo cui esistono altri marchi contenenti il termine «duck» e secondo cui l’EUIPO non ha tenuto conto della propria prassi decisionale. Infatti, sebbene, alla luce dei principi della parità di trattamento e della buona amministrazione, l’EUIPO deve prendere in considerazione le decisioni già adottate su domande simili, l’applicazione di tale principio deve tuttavia essere conciliata con il rispetto del principio di legalità. Inoltre, la registrazione di un segno come marchio dipende da criteri specifici, applicabili nell’ambito delle circostanze di fatto del caso di specie, destinati a verificare se il segno di cui trattasi non rientri in un impedimento alla registrazione (v., in tal senso, sentenza del 10 marzo 2011, Agencja Wydawnicza Technopol/UAMI, C‑51/10 P, EU:C:2011:139, punti da 73 a 77 e giurisprudenza ivi citata).

43      La conclusione tratta al precedente punto 40 non può essere rimessa in discussione neppure dalla sentenza del 7 maggio 2015, GELENKGOLD (T‑599/13, EU:T:2015:262). Infatti, posto che i segni esaminati in tale sentenza sono diversi dai segni in esame nel caso di specie, nessuna conseguenza può essere tratta dalla loro comparazione nella presente causa.

44      Date siffatte circostanze, la commissione di ricorso non è incorsa in un errore nel concludere che i segni in esame presentavano un grado di somiglianza medio sul piano visivo.

–       Sulla somiglianza fonetica

45      La commissione di ricorso ha ritenuto che sussistesse un elevato grado di somiglianza fonetica tra i segni in esame in quanto i loro elementi denominativi generavano suoni molto simili e l’accento tonico cadeva sull’ultima sillaba che coincide in tali segni.

46      La ricorrente afferma, in primo luogo, che il marchio richiesto si compone di due termini, mentre il marchio anteriore ne contiene tre. In secondo luogo, essa sottolinea che il marchio anteriore contiene quattro sillabe, mentre il marchio richiesto ne contiene due. In terzo luogo, essa afferma che l’espressione «save the» è introdotta da una consonante sibilante, mentre il termine «fake» è introdotto da una consonante labiale e termina con la lettera «k», che lo rende particolarmente duro. In quarto luogo, essa ricorda che dalla giurisprudenza emerge che il consumatore presta generalmente maggiore attenzione all’inizio del marchio che alla sua fine [sentenza del 25 giugno 2008, Otto/UAMI – L’Altra Moda (l’Altra Moda), T‑224/06, non pubblicata, EU:T:2008:221, punto 43].

47      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

48      Occorre rilevare che gli elementi denominativi dei segni in esame hanno in comune il termine «duck», posto alla fine e su cui cade l’accento tonico. L’identità di tale termine in siffatti segni nonché la somiglianza tra i termini «save» e «fake», che hanno le stesse vocali, producono una somiglianza elevata sul piano fonetico tra tali segni, nonostante la presenza del termine «the» nel marchio anteriore.

49      Per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente, va ricordato, in primo luogo, che la circostanza che il numero di sillabe dei segni in esame sia diverso non è sufficiente per escludere la somiglianza tra tali segni poiché quest’ultima dev’essere valutata in base all’impressione complessiva prodotta all’atto della loro pronuncia completa [v., in tal senso, sentenze del 13 giugno 2012, XXXLutz Marken/UAMI – Meyer Manufacturing (CIRCON), T‑542/10, non pubblicata, EU:T:2012:294, punto 50; e del 28 ottobre 2010, Farmeco/UAMI – Allergan (BOTUMAX), T‑131/09, non pubblicata, EU:T:2010:458, punto 39 e giurisprudenza ivi citata].

50      In secondo luogo, va segnalato che, anche se il consumatore medio presta generalmente maggiore attenzione all’inizio di un marchio che alla sua fine [sentenza del 25 giugno 2008, Otto/UAMI – L’Altra Moda (l’Altra Moda), T‑224/06, non pubblicata, EU:T:2008:221, punto 43], poiché l’accento tonico dei segni in esame cade sul termine «duck», nel caso di specie, sussiste una somiglianza fonetica elevata tra detti segni.

51      Ciò posto, la commissione di ricorso non è incorsa in un errore nel concludere che i segni in esame presentavano un elevato grado di somiglianza sul piano fonetico.

–       Sulla somiglianza concettuale

52      La commissione di ricorso ha ritenuto che tra i segni in esame sussistesse un elevato grado di somiglianza sul piano concettuale, poiché essi esprimevano, con immagini e parole, lo stesso concetto di papero. In primo luogo, essa ha considerato che l’immagine raffigurasse un papero e che il termine «duck» corrispondesse al nome di tale animale. In secondo luogo, essa ha rilevato che, anche se il significato dei termini «save» e «fake» era diverso, gli elementi denominativi dei suddetti segni, letti congiuntamente, non erano tanto diversi, almeno per un pubblico particolarmente attento, poiché dai documenti prodotti dall’interveniente per provare il carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore emergeva che i termini «save the duck» del suddetto marchio derivavano dalla decisione dell’impresa di sostituire, nei suoi capi di abbigliamento, le piume di papero con fibre sintetiche, salvando in tal modo il papero in questione. Essa ha quindi ritenuto che, siccome il benessere degli animali stava diventando un argomento commerciale per numerose imprese, il consumatore potrebbe associare i termini «fake» e «duck» del marchio richiesto con l’idea di «falsa piuma di papero» e di salvataggio del papero del marchio anteriore. Pertanto, essa ha concluso che, per la parte del pubblico particolarmente attenta, la somiglianza concettuale tra i segni in esame era molto elevata. In terzo luogo, essa ha concluso, riguardo alla parte del pubblico più numerosa che non percepisce l’idea del benessere degli animali espressa dai segni di cui trattasi, che la somiglianza concettuale sarebbe elevata, dal momento che detta parte del pubblico noterà il riferimento al papero presente negli stessi segni.

53      La ricorrente afferma, da un lato, che la commissione di ricorso ha erroneamente concluso che tra i segni in esame sussiste un grado di somiglianza concettuale molto elevato per la parte del pubblico di riferimento particolarmente attenta, poiché tali segni evocano l’idea di un salvataggio del papero. Essa afferma che il materiale pubblicitario presentato dall’interveniente per provare il carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore non può influire sull’analisi della somiglianza concettuale tra detti segni. Ritiene che il pubblico di riferimento non si interroghi sullo scopo della parola «save» del marchio anteriore e che tale scopo arbitrario non possa essere preso in considerazione per valutare la somiglianza concettuale tra i segni in esame, giacché è «altro rispetto al marchio».

54      Dall’altro lato, la commissione di ricorso avrebbe altresì concluso a torto che, per la parte del pubblico di riferimento meno attenta, sussisterebbe un elevato grado di somiglianza concettuale tra i segni in esame. La ricorrente sostiene che, sebbene tale parte del pubblico comprenda l’inglese, esso può percepire il diverso significato delle parole «fake» e «save» e comprendere che l’elemento denominativo del marchio richiesto si riferisce all’inautenticità del papero raffigurato. Tale inautenticità sarebbe corroborata dalle fattezze «umanoidi» e dal colore del papero presente in tale marchio, che lo rendono simile ai supereroi come Donald Duck e suggeriscono che il soggetto raffigurato non è un papero vero.

55      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

56      Si deve rilevare che il pubblico di riferimento che conosce la lingua inglese comprenderà i diversi significati delle parole «save» e «fake» dei segni in esame. Orbene, l’oggetto delle idee evocate da tali segni è la parola «duck», sicché la somiglianza concettuale tra detti segni è media.

57      Pertanto, la commissione di ricorso ha concluso, a torto, che i segni in esame presentavano un grado di somiglianza elevato sul piano concettuale, mentre invece il grado di somiglianza è medio.

58      In merito agli argomenti della ricorrente secondo cui i documenti comprovanti il carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore non devono essere presi in considerazione per analizzare il grado di somiglianza concettuale tra i segni in esame per quanto riguarda la parte del pubblico di riferimento con un grado di attenzione superiore, si deve rilevare che, avendo la commissione di ricorso giustamente constatato che tale pubblico presentava un grado medio di attenzione, le conclusioni, svolte ad abundantiam da detta commissione riguardo alla parte di tale pubblico con un grado di attenzione superiore, non rilevano ai fini dell’analisi della suddetta somiglianza concettuale. Gli argomenti della ricorrente riguardanti l’analisi del grado di somiglianza concettuale riguardante tale parte del pubblico di riferimento devono quindi essere respinte come inconferenti.

 Sul rischio di confusione

59      Nel caso di specie, la commissione di ricorso ha concluso che sussisteva un rischio di confusione tra i marchi in conflitto. Ha ritenuto che il marchio anteriore avesse acquisito notorietà in Italia e in altri Stati membri dell’Unione nonché un certo grado di rinomanza. Essa ha altresì rilevato che tale marchio possedeva un elevato carattere distintivo acquisito in seguito all’uso, non contestato dalla ricorrente dinanzi ad essa. Pertanto, la stessa ha concluso che, stante l’identità sostanziale dei prodotti interessati, la somiglianza medio-alta dei segni in esame e la forte capacità distintiva del marchio anteriore, un consumatore già esposto a quest’ultimo marchio penserà erroneamente che il marchio richiesto è una variante o un’evoluzione del marchio anteriore.

60      La ricorrente fa valere che la commissione di ricorso non ha preso in considerazione le condizioni concrete di acquisto dei prodotti interessati. Essa evidenzia, anzitutto, che secondo la giurisprudenza, quando i prodotti di cui trattasi costituiscono articoli di moda, il consumatore dedica una certa attenzione alla scelta dei medesimi e l’aspetto visivo riveste un’importanza particolare. Essa afferma, poi, che il cliente effettuerà l’acquisto mediante la spendita verbale degli elementi denominativi dei marchi in conflitto e non menzionando il disegno del papero. Inoltre, essa fa valere che le modalità di commercializzazione dei prodotti di cui trattasi nei negozi mettono il pubblico in diretto contatto con i marchi. Infine, essa fa riferimento al fatto che, se il marchio anteriore è «notorio», a maggior ragione è conosciuto dal pubblico di riferimento che non potrà confonderlo con un marchio diverso.

61      L’EUIPO e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

62      A tal riguardo, come ricordato al precedente punto 20, secondo costante giurisprudenza, costituisce un rischio di confusione la possibilità che il pubblico creda che i prodotti o i servizi di cui trattasi provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente collegate. Conformemente a questa giurisprudenza, il rischio di confusione deve essere valutato globalmente, secondo la percezione che il pubblico di riferimento ha dei segni e dei prodotti o dei servizi di cui trattasi, e prendendo in considerazione tutti i fattori pertinenti nel caso di specie [v. sentenza del 30 giugno 2015, La Rioja Alta/UAMI – Aldi Einkauf (VIÑA ALBERDI), T‑489/13, EU:T:2015:446, punto 68 e giurisprudenza ivi citata].

63      La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori esaminati e, in particolare, tra la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi contrassegnati. Pertanto, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi contrassegnati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa [sentenze del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 17, e del 14 dicembre 2006, Mast-Jägermeister/UAMI – Licorera Zacapaneca (VENADO con riquadro e a.), T‑81/03, T‑82/03 e T‑103/03, punto 74].

64      Ai fini di tale valutazione globale, si ritiene che il consumatore medio della categoria di prodotti interessata sia normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Tuttavia, occorre tener conto della circostanza che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere a un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre anche prendere in considerazione il fatto che il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o servizi di cui trattasi (sentenza del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 26).

65      Nel caso di specie, tenuto conto di tutti gli elementi pertinenti nell’ambito della valutazione globale del rischio di confusione tra i marchi in conflitto e, in particolare, la natura identica o strettamente affine dei prodotti interessati (v. punto 31 supra), il grado medio di somiglianza dei segni in esame sul piano visivo (v. punto 35, supra), l’elevato grado di somiglianza fonetica di tali segni (v. punto 45 supra), il grado medio di somiglianza concettuale di tali segni (v. punto 52 supra) e il carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore (v. punto 59 supra), non contestato dalla ricorrente, la commissione di ricorso non è incorsa in un errore nel concludere per l’esistenza di un rischio di confusione tra tali marchi nella mente del pubblico di riferimento menzionato al precedente punto 23.

66      Per quanto riguarda gli argomenti della ricorrente secondo cui la commissione di ricorso non ha preso in considerazione le condizioni di acquisto dei prodotti interessati, va anzitutto segnalato che, in genere, nei negozi di abbigliamento i clienti stessi possono scegliere i capi che desiderano acquistare, oppure possono farsi assistere dal personale preposto alla vendita. Benché la comunicazione orale relativa al prodotto e al marchio non sia esclusa, la scelta del capo di abbigliamento avviene, in genere, su base visiva. Pertanto, la percezione visiva dei marchi in conflitto interverrà, di norma, prima dell’atto di acquisto. L’aspetto visivo riveste, per tale ragione, maggiore importanza nella valutazione globale del rischio di confusione [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2004, New Look/UAMI – Naulover (NLSPORT, NLJEANS, NLACTIVE e NLCollection), da T‑117/03 a T‑119/03 e T‑171/03, EU:T:2004:293, punto 50]. Pertanto, la somiglianza visiva media tra i segni in esame è atta a creare nel consumatore una confusione circa l’origine commerciale dei prodotti interessati. Nonostante, poi, la spendita verbale dei marchi in conflitto, da parte del consumatore, all’atto di acquisto di tali prodotti, in luogo della descrizione dei loro elementi figurativi, l’elevato grado di somiglianza fonetica tra i segni in esame sarebbe anche atto ad indurre in confusione il consumatore riguardo all’origine commerciale di siffatti prodotti. La circostanza che il pubblico sia in contatto con detti marchi all’atto di acquisto non esclude tale rischio di confusione.

67      Infine, da una giurisprudenza costante emerge che, come discende dal considerando 11 del regolamento 2017/1001, la valutazione del rischio di confusione dipende da numerosi fattori e, in particolare, dalla conoscenza presso il pubblico del marchio sul mercato interessato. Poiché il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio, i marchi che hanno un carattere distintivo elevato godono di una protezione più estesa di quelli con un carattere distintivo minore (v., per analogia, sentenze dell’11 novembre 1997, SABEL, C‑251/95, EU:C:1997:528, punto 24; del 29 settembre 1998, Canon, C‑39/97, EU:C:1998:442, punto 18, e del 22 giugno 1999, Lloyd Schuhfabrik Meyer, C‑342/97, EU:C:1999:323, punto 20). Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore aumenta il rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

68      Di conseguenza, occorre respingere il motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento 2017/1001 e, pertanto, respingere il ricorso nella sua interezza.

 Sulle spese

69      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda dell’EUIPO e dell’interveniente.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      L’Itinerant Show Room S.r.l. è condannata alle spese.

Costeira

Berke

Perišin

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 luglio 2020.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

M. van der Woude


*      Lingua processuale: l’italiano.