Language of document : ECLI:EU:T:2007:334

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

8 novembre 2007 (*)

«Accesso ai documenti – Regolamento (CE) n. 1049/2001 – Documenti relativi a un procedimento per inadempimento – Decisione che nega l’accesso – Tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali – Regolamento (CE) n. 45/2001 – Nozione di vita privata»

Nella causa T‑194/04,

The Bavarian Lager Co. Ltd, con sede in Clitheroe (Regno Unito), rappresentata inizialmente dai sigg. J. Pearson e C. Bright, successivamente dai sigg. J. Webber e M. Readings, solicitors,

ricorrente,

sostenuta da

Garante europeo della protezione dei dati      (GEPD), rappresentato dal sig. H. Hijmans, in qualità di agente,

interveniente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. C. Docksey e P. Aalto, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di annullamento della decisione della Commissione 18 marzo 2004, che respinge una domanda presentata dalla ricorrente per ottenere l’accesso completo al processo verbale di una riunione svoltasi nell’ambito di un procedimento per inadempimento e una domanda diretta a far dichiarare che la Commissione ha erroneamente posto termine al procedimento avviato contro il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sulla base dell’art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADODELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili e dal sig. O. Czúcz, giudici,

cancelliere: sig.ra C. Kristensen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 13 settembre 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Contesto normativo

1        Ai sensi dell’art. 6 UE:

«1.      L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri.

2.      L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

(…)».

2        A termini dell’art. 255 CE:

«1.      Qualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, secondo i principi e alle condizioni da definire a norma dei paragrafi 2 e 3.

2.      I principi generali e le limitazioni a tutela di interessi pubblici o privati applicabili al diritto di accesso ai documenti sono stabiliti dal Consiglio, che delibera secondo la procedura di cui all’articolo 251 [CE] entro due anni dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam.

(…)».

3        Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43), definisce i principi, le condizioni e le limitazioni del diritto di accesso ai documenti di tali istituzioni sancito all’art. 255 CE. Questo regolamento è applicabile dal 3 dicembre 2001.

4        La decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2001/937/CE, CECA, Euratom, che modifica il suo regolamento interno (GU L 345, pag. 94), ha abrogato la decisione della Commissione 8 febbraio 1994, 94/90/CECA, CE, Euratom, sull’accesso del pubblico ai documenti della Commissione (GU L 46, pag. 58), che garantiva l’attuazione, per quanto riguarda la Commissione, del codice di condotta sull’accesso del pubblico ai documenti del Consiglio e della Commissione (GU 1993, L 340, pag. 41; in prosieguo: il «codice di condotta»).

5        Il quarto e undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001 enunciano quanto segue:

«(4) Il presente regolamento mira a dare la massima attuazione al diritto di accesso del pubblico ai documenti e a definirne i principi generali e le limitazioni a norma dell’articolo 255, paragrafo 2, (…) CE.

(…)

(11)  In linea di principio, tutti i documenti delle istituzioni dovrebbero essere accessibili al pubblico. Tuttavia, taluni interessi pubblici e privati dovrebbero essere tutelati mediante eccezioni. Si dovrebbe consentire alle istituzioni di proteggere le loro consultazioni e discussioni interne quando sia necessario per tutelare la propria capacità di espletare le loro funzioni. Nel valutare le eccezioni, le istituzioni dovrebbero tener conto dei principi esistenti nella legislazione comunitaria in materia di protezione dei dati personali, in tutti i settori di attività dell’Unione».

6        Secondo l’art. 4 del regolamento n. 1049/2001, relativo alle eccezioni al diritto di accesso:

«1.      Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

(…)

b)       la vita privata e l’integrità dell’individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali.

2.       Le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di quanto segue:

(…)

–        gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile,

a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

3.       L’accesso a un documento elaborato per uso interno da un’istituzione o da essa ricevuto, relativo ad una questione su cui la stessa non abbia ancora adottato una decisione, viene rifiutato nel caso in cui la divulgazione del documento pregiudicherebbe gravemente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

L’accesso a un documento contenente riflessioni per uso interno, facenti parte di discussioni e consultazioni preliminari in seno all’istituzione interessata, viene rifiutato anche una volta adottata la decisione, qualora la divulgazione del documento pregiudicherebbe seriamente il processo decisionale dell’istituzione, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione.

(…)

6.      Se solo alcune parti del documento richiesto sono interessate da una delle eccezioni, le parti restanti del documento sono divulgate (…)».

7        L’art. 6, n. 1, del regolamento n. 1049/2001 prevede che «[i]l richiedente non è tenuto a motivare la domanda».

8        La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31), impone agli Stati membri di tutelare le libertà e i diritti fondamentali delle persone fisiche, in particolare la loro vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, per garantire la libera circolazione dei dati personali nella Comunità.

9        L’art. 286 CE dispone che gli atti comunitari sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati si applicano alle istituzioni e agli organi comunitari.

10      Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 18 dicembre 2000, n. 45/2001, concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione dei dati (GU 2001, L 8, pag. 1), è stata adottato sulla base dell’art. 286 CE.

11      Secondo il quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 45/2001:

«(…) L’accesso ai documenti, anche contenenti dati personali, è soggetto alle disposizioni adottate in base all’articolo 255 (…) CE, che si applica anche ai titoli V e VI del [Trattato] UE».

12      Il regolamento n. 45/2001 dispone quanto segue:

«(...)

Articolo 1

Oggetto

1.      Le istituzioni e gli organismi creati dai trattati che istituiscono le Comunità europee o sulla loro base (in prosieguo “le istituzioni e gli organismi comunitari”) garantiscono, conformemente alle disposizioni del presente regolamento, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla vita privata per quanto attiene al trattamento dei dati personali. Essi non limitano né vietano la libera circolazione dei dati personali tra loro o verso i destinatari soggetti alla normativa nazionale degli Stati membri adottata in attuazione della direttiva 95/46 (…).

2.      L’autorità di controllo indipendente istituita dal presente regolamento (in prosieguo “il garante europeo della protezione dei dati”) sorveglia l’applicazione delle disposizioni del presente regolamento a tutti i trattamenti dei dati personali eseguiti da un’istituzione o da un organismo comunitario.

Articolo 2

Definizioni

Ai fini del presente regolamento s’intende per:

a)      “dati personali”: qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (…); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero d’identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale;

b)      “trattamento di dati personali” (…): qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o [mediante] qualsiasi altra forma di messa a disposizione, l’allineamento o l’interconnessione, nonché il blocco, la cancellazione o la distruzione;

c)      “archivio di dati personali” (…): qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico;

(…)

Articolo 3

Campo d’applicazione

1.      Il presente regolamento si applica al trattamento di dati personali da parte di tutte le istituzioni e di tutti gli organismi comunitari, nella misura in cui detto trattamento avviene nell’esercizio di attività che rientrano in tutto o in parte nel campo di applicazione del diritto comunitario.

2.      Il presente regolamento si applica al trattamento di dati personali, interamente o parzialmente automatizzato, nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi.

(...)

Articolo 4

Qualità dei dati

1. I dati personali devono essere:

a)      trattati in modo corretto e lecito;

b)      raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità (…);

(…)

Articolo 5

Liceità del trattamento

Il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:

a)      è necessario per l’esecuzione di una funzione di interesse pubblico in forza dei trattati che istituiscono le Comunità europee o di altri atti normativi adottati in base ad essi oppure per l’esercizio legittimo di pubblici poteri di cui sono investiti l’istituzione o l’organismo comunitario ovvero i terzi cui vengono comunicati i dati; oppure

b)      è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento (…)

(…)

d)      l’interessato ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile (…)

(…)

Articolo 8

Trasferimento di dati personali a destinatari diversi da istituzioni e da organismi comunitari e soggetti alla direttiva 95/46 (…)

Fatti salvi gli articoli 4, 5, 6 e 10, è consentito trasferire dati personali a destinatari soggetti alla normativa nazionale adottata in attuazione della direttiva 95/46 (…) soltanto:

a)      se il destinatario dimostra che i dati sono necessari per l’espletamento di compiti nel pubblico interesse o che rientrano nell’esercizio della pubblica autorità; oppure

b)      se il destinatario dimostra la necessità di trasmettergli tali dati e se non sussistono ragioni per presumere che possano subire pregiudizio interessi legittimi degli interessati.

(…)

Articolo 18

Diritto di opposizione dell’interessato

L’interessato ha il diritto di:

a)      opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento di dati che lo riguardano, salvo nei casi previsti dall’articolo 5, lettere b)[-]d). Qualora l’opposizione si riveli fondata, tali dati non possono più essere oggetto del trattamento;

(…)».

13      L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU) dispone quanto segue:

«1.      Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2.      Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

14      La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU C 364, pag. 1; in prosieguo: la «Carta») prevede:

«Articolo 7

Rispetto della vita privata e della vita familiare

Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.

Articolo 8

Protezione dei dati di carattere personale

1.      Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano.

2.      Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.

3.      Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente.

(…)

Articolo 42

Diritto d’accesso ai documenti

Qualsiasi cittadino dell’Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione.

(…)».

 Fatti all’origine della controversia

15      La ricorrente è stata creata il 28 maggio 1992 con lo scopo d’importare birra tedesca destinata agli spacci di bevande del Regno Unito, situati principalmente nel nord dell’Inghilterra.

16      Tuttavia, la ricorrente non ha potuto vendere il suo prodotto in quanto nel Regno Unito un gran numero di esercenti di spacci di bevande erano vincolati da contratti di acquisto esclusivo che li obbligavano a rifornirsi di birra presso determinati birrifici.

17      In virtù del Supply of Beer (Tied Estate) Order 1989 SI 1989/2390 (regolamento del Regno Unito relativo alla fornitura di birra), i birrifici britannici che hanno diritti di fornitura in oltre 2000 locali pubblici sono tenuti a concedere ai gestori di tali esercizi la possibilità di acquistare birra di un altro fabbricante purché, come stabilito dall’art. 7, n. 2, lett. a), di detto regolamento, la birra sia confezionata in barile e abbia una gradazione alcolica superiore all’1,2% in volume. Questa disposizione è comunemente chiamata la «Guest Beer Provision» (in prosieguo la «GBP»).

18      Orbene, la maggior parte delle birre prodotte al di fuori del Regno Unito non possono essere considerate come «birra confezionata in barile» ai sensi della GBP e non rientrano quindi nel campo di applicazione della stessa.

19      Ritenendo che la GBP costituisca una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni, come tale incompatibile con l’art. 30 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 28 CE), la ricorrente ha presentato, con lettera del 3 aprile 1993, una denuncia alla Commissione iscritta a ruolo con il numero P/93/4490/UK.

20      Dopo aver svolto indagini, il 12 aprile 1995 la Commissione ha deciso di avviare un procedimento contro il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord a norma dell’art. 169 del Trattato CE (divenuto articolo 226 CE). Il 28 settembre 1995 essa ha informato la ricorrente dell’esistenza di tale inchiesta e dell’invio al Regno Unito, il 15 settembre 1995, di una lettera di diffida. Il 26 giugno 1996 la Commissione ha deciso di indirizzare al Regno Unito un parere motivato e il 5 agosto 1996 ha pubblicato un comunicato stampa in cui annunciava tale decisione.

21      L’11 ottobre 1996 si è tenuta una riunione (in prosieguo la «riunione dell’11 ottobre 1996» o la «riunione»), alla quale hanno partecipato rappresentanti della direzione generale (DG) «Mercato interno e servizi finanziari» della Commissione, del Ministero del Commercio e dell’Industria del Regno Unito e rappresentanti della Confederazione delle industrie della birra del mercato comune (in prosieguo: la «CBMC»). La ricorrente, con lettera del 27 agosto 1996, aveva chiesto di partecipare alla riunione ma la Commissione si era rifiutata di accogliere la sua richiesta.

22      Il 15 marzo 1997 il Ministero del Commercio e dell’Industria del Regno Unito ha annunciato un progetto di modifica della GBP secondo il quale una birra confezionata in bottiglia potrebbe essere rivenduta come birra di diversa provenienza allo stesso modo di una birra confezionata in barile. Dopo che la Commissione aveva due volte sospeso, il 19 marzo 1997 e il 26 giugno 1997, la sua decisione di indirizzare un parere motivato al Regno Unito, il capo dell’unità 2 «Applicazione degli artt. 30‑36 del Trattato CE (notifica, denunce, infrazioni, ecc.) ed eliminazione delle restrizioni agli scambi» della direzione B «Libera circolazione delle merci e appalti pubblici» della DG «Mercato interno e servizi finanziari» ha informato la ricorrente con lettera 21 aprile 1997 che, tenuto conto del progetto di revisione della GBP, il procedimento ex art. 169 del Trattato CE era stato sospeso e che il parere motivato non era stato notificato al governo del Regno Unito. Egli ha precisato che tale procedimento sarebbe stato concluso non appena la GBP modificata fosse entrata in vigore. La nuova versione della GBP è divenuta applicabile il 22 agosto 1997. Conseguentemente, il parere motivato non è mai stato inviato al Regno Unito e il 10 dicembre 1997 la Commissione ha infine deciso di archiviare il procedimento di infrazione.

23      La ricorrente ha chiesto al direttore generale della DG «Mercato interno e servizi finanziari», con fax trasmesso il 21 marzo 1997, una copia del parere motivato conformemente al codice di condotta. Tale domanda è stata respinta così come una successiva istanza di analogo contenuto.

24      Con lettera del 18 settembre 1997 (in prosieguo: la «decisione del 18 settembre 1997»), il segretario generale della Commissione ha confermato il rigetto della domanda rivolta al direttore generale della DG «Mercato interno e servizi finanziari».

25      La ricorrente ha proposto un ricorso dinanzi al Tribunale contro la decisione del 18 settembre 1997, iscritto a ruolo con il numero T‑309/97. Con sentenza 14 ottobre 1999, Bavarian Lager/Commissione (causa T‑309/97, Racc. pag. II‑3217), il Tribunale ha respinto tale ricorso ritenendo che la tutela dell’obiettivo in questione, vale a dire consentire allo Stato membro di conformarsi volontariamente alle prescrizioni del Trattato o, se del caso, offrirgli la possibilità di giustificare la sua posizione, motivasse, a titolo di protezione dell’interesse pubblico, il rifiuto di accesso ad un documento preparatorio relativo alla fase delle indagini del procedimento ex art. 169 del Trattato CE.

26      Il 4 maggio 1998 la ricorrente ha presentato alla Commissione, in applicazione del codice di condotta, una domanda di accesso a tutti i documenti inseriti nel fascicolo P/93/4490/UK da undici società e organizzazioni designate e da tre categorie specifiche di persone o di imprese. La Commissione ha respinto la domanda iniziale in quanto il codice di condotta si applicava solo ai documenti elaborati dalla Commissione. La domanda di conferma è stata respinta dato che la Commissione non aveva elaborato i documenti in questione e che qualsiasi domanda avrebbe dovuto essere presentata all’autore.

27      L’8 luglio 1998 la ricorrente ha presentato una denuncia al Mediatore europeo iscritta a ruolo con il numero 713/98/IJH, precisando, con lettera del 2 febbraio 1999, che intendeva ottenere i nominativi dei rappresentanti della CBMC che avevano assistito alla riunione dell’11 ottobre 1996 e quello delle società e delle persone rientranti nelle quattordici categorie identificate dalla ricorrente nella sua domanda iniziale di accesso ai documenti contenenti osservazioni inviate alla Commissione in relazione al fascicolo P/93/4490/UK.

28      In seguito ad uno scambio di lettere tra il Mediatore e la Commissione, quest’ultima gli ha comunicato nell’ottobre e novembre 1999 che, sulle 45 lettere inviate alle persone interessate per chiedere loro l’autorizzazione a divulgare la loro identità alla ricorrente, la Commissione aveva ricevuto 20 risposte delle quali 14 positive e 6 negative. La Commissione ha trasmesso le generalità delle persone che avevano accettato la divulgazione del loro nominativo. La ricorrente ha precisato al Mediatore che la documentazione inviata dalla Commissione era comunque incompleta.

29      Nel suo progetto di raccomandazione inviato alla Commissione, relativo alla denuncia 713/98/IJH del 17 maggio 2000, il Mediatore ha proposto che la Commissione comunicasse alla ricorrente il nominativo dei rappresentanti della CBMC che hanno assistito alla riunione dell’11 ottobre 1996 e quello delle società e delle persone che rientrano nelle quattordici categorie identificate dalla ricorrente nella sua domanda iniziale di accesso ai documenti contenenti osservazioni trasmesse alla Commissione nell’ambito del fascicolo P/93/4490/UK.

30      Nel suo parere motivato inviato al Mediatore il 3 luglio 2000, la Commissione ha ribadito che il consenso della persona interessata rimaneva necessario, ma ha precisato che sarebbe stata in grado di rivelare i nominativi delle persone che non avevano risposto alla sua richiesta di autorizzazione, poiché, in mancanza di risposta, l’interesse e i diritti e libertà fondamentali delle persone interessate non sarebbero prevalsi. Detta istituzione ha pertanto aggiunto il nominativo di altre 25 persone.

31      Il 23 novembre 2000 il Mediatore ha sottoposto al Parlamento la sua relazione speciale a seguito del progetto di raccomandazione inviato alla Commissione nella denuncia 713/98/IJH (in prosieguo: la «relazione speciale»), nella quale ha affermato che non esisteva alcun diritto fondamentale che si opponesse alla divulgazione di informazioni comunicate ad un’autorità amministrativa in via confidenziale e che la direttiva 95/46 non richiedeva che la Commissione mantenesse segreti i nominativi delle persone che le avevano comunicato opinioni o informazioni nell’ambito dell’esercizio delle sue mansioni.

32      Il 30 settembre 2002, il Mediatore ha inviato una lettera al presidente della Commissione Prodi, precisando:

«Il Mediatore teme che le disposizioni sulla tutela dei dati siano erroneamente interpretate in quanto implicano l’esistenza di un diritto generale di partecipare anonimamente ad attività pubbliche. Una tale errata interpretazione può pregiudicare il principio di trasparenza e il diritto di accesso del pubblico ai documenti, sia a livello comunitario che degli Stati membri ove il principio di trasparenza e l’accesso del pubblico ai documenti sono sanciti da norme costituzionali nazionali».

33      Secondo il comunicato stampa del Mediatore del 12 dicembre 2001, n. 23/2001, il Parlamento ha adottato una risoluzione sulla base della relazione speciale nella quale si chiedeva alla Commissione di fornire le informazioni richieste dalla ricorrente.

34      Con messaggio di posta elettronica del 5 dicembre 2003, la ricorrente ha chiesto alla Commissione l’accesso ai documenti citati al precedente punto 27, sul fondamento del regolamento n. 1049/2001.

35      La Commissione ha risposto a tale domanda con lettera del 27 gennaio 2004, nella quale ha affermato che taluni documenti riguardanti la riunione potevano essere divulgati, ma ha anche attirato l’attenzione della ricorrente sul fatto che cinque nominativi erano stati omessi nel processo verbale della riunione dell’11 ottobre 1996, in quanto due persone si erano espressamente opposte alla divulgazione della loro identità e la Commissione non aveva potuto contattare le altre tre.

36      Con messaggio di posta elettronica del 9 febbraio 2004, la ricorrente ha presentato una domanda di conferma ai sensi dell’art. 7, n. 2, del regolamento n. 1049/2001, al fine di ottenere il processo verbale completo della riunione dell’11 ottobre 1996, comprensivo di tutti i nominativi dei partecipanti.

37      Con lettera del 18 marzo 2004 (in prosieguo: la «decisione impugnata»), la Commissione ha respinto la domanda di conferma della ricorrente. Essa ha confermato che il regolamento n. 45/2001 si applicava alla domanda di divulgazione dei nominativi degli altri partecipanti. Poiché la ricorrente non aveva dimostrato alcun obiettivo espresso e legittimo, né la necessità di una tale divulgazione, i requisiti previsti all’art. 8 del detto regolamento non erano stati soddisfatti e si applicava l’eccezione di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001. La Commissione ha aggiunto che, anche se le norme in materia di tutela dei dati personali non fossero applicabili, per non pregiudicare la sua capacità di svolgere indagini essa avrebbe comunque potuto rifiutare di divulgare gli altri nominativi ai sensi dell’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

 Procedimento e conclusioni delle parti

38      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 27 maggio 2004, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

39      Con ordinanza 6 dicembre 2004, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha autorizzato la Repubblica di Finlandia ad intervenire a sostegno delle conclusioni della ricorrente. A seguito della desistenza della Repubblica di Finlandia dal suo intervento, il presidente della Terza Sezione del Tribunale, con ordinanza 27 aprile 2005, ha annullato tale intervento.

40      Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 febbraio 2006, il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD) ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno della ricorrente. Con ordinanza 6 giugno 2006, il presidente della Terza Sezione del Tribunale ha ammesso tale intervento.

41      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento, la ricorrente e la Commissione sono state invitate a produrre alcuni documenti. Le parti hanno risposto a tali domande nei termini impartiti.

42      Con ordinanza 16 maggio 2006, conformemente agli artt. 65, lett. b), 66, n. 1, e 67, n. 3, terzo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, quest’ultimo ha ordinato alla Commissione di produrre il processo verbale completo della riunione dell’11 ottobre 1996, comprensivo di tutti i nominativi dei partecipanti, pur prevedendo che tale documento non sarebbe stato comunicato alla ricorrente nell’ambito del presente procedimento. Tale domanda è stata soddisfatta.

43      Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 13 settembre 2006.

44      La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        dichiarare che l’accettazione da parte della Commissione della modifica apportata dal governo britannico alla GBP è contraria all’art. 30 del Trattato CE (divenuto art. 28 CE);

–        dichiarare che la Commissione non avrebbe dovuto accettare la summenzionata modifica e che ha pertanto violato l’art. 30 del Trattato CE;

–        annullare la decisione impugnata;

–        ordinare alla Commissione di comunicare i nominativi di tutte le persone che hanno assistito alla riunione;

–        condannare la Commissione alle spese.

45      Nel corso dell’udienza, il GEPD, sostenendo la domanda di accesso ai documenti della ricorrente, ha chiesto che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata.

46      La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere le domande relative al procedimento per inadempimento in quanto irricevibili;

–        respingere la domanda di annullamento della decisione impugnata;

–        respingere la domanda diretta a che le sia ordinato di divulgare i nominativi delle altre persone che hanno partecipato alla riunione come irricevibile;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 Sulla ricevibilità della domanda volta a che il Tribunale ingiunga alla Commissione di comunicare il nominativo di tutte le persone che hanno assistito alla riunione

47      Emerge da una costante giurisprudenza che il Tribunale non può rivolgere ingiunzioni alle istituzioni o sostituirsi a queste ultime nell’ambito del controllo di legittimità che esso esercita. Tale limitazione del controllo di legittimità vale per tutti i settori di contenzioso che il Tribunale è competente a conoscere, compreso quello dell’accesso ai documenti (sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, causa T‑204/99, Mattila/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II‑2265, punto 26, confermata con sentenza della Corte 22 gennaio 2004, causa C‑353/01 P, Mattila/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑1073, punto 15).

48      Pertanto, la ricorrente non è legittimata a chiedere che il Tribunale voglia ingiungere alla Commissione di comunicarle il nominativo di tutte le persone che hanno assistito alla riunione dell’11 ottobre 1996.

 Sull’archiviazione illegittima del procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 169 del Trattato CE

 Argomenti delle parti

49      La ricorrente fa valere che la Commissione ha accettato di archiviare un procedimento per inadempimento in violazione dell’art. 30 del Trattato CE o, in subordine, dell’art. 6 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 12 CE), di cui la riunione dell’11 ottobre 1996 costituiva un elemento essenziale.

50      Infatti, dato che la Commissione avrebbe respinto la domanda della ricorrente di assistere alla riunione, che essa avrebbe a torto archiviato il procedimento per inadempimento, che la GBP modificata avrebbe continuato ad operare una discriminazione nei confronti delle birre provenienti da altri Stati membri diversi dal Regno Unito e che l’istituzione in parola si sarebbe mostrata estremamente riluttante a divulgare i nominativi dei partecipanti alla riunione, quest’ultima avrebbe funto da strumento a beneficio del governo del Regno Unito e delle grandi società del Regno Unito produttrici di birra per persuadere la Commissione ad accettare un emendamento destinato ad impedire a importatori di birra come la ricorrente di vendere i loro prodotti su una parte importante del mercato britannico. Secondo la ricorrente, tale concertazione, volta ad ottenere un’archiviazione illegittima del procedimento per inadempimento, ha comportato per la medesima la perdita di un’opportunità e, di conseguenza, significative perdite finanziarie. Pertanto, vi sarebbe stata violazione dell’art. 30 del Trattato CE.

51      La ricorrente fa valere che la GBP modificata si pone anche in contrasto con l’art. 6 del Trattato CE, in quanto produrrebbe l’effetto di instaurare una discriminazione fondata sulla nazionalità nei confronti delle birre prodotte in altri Stati membri diversi dal Regno Unito.

52      La Commissione ritiene in sostanza che siano manifestamente irricevibili le domande della ricorrente dirette a far dichiarare che la propria accettazione della modifica apportata dal governo del Regno Unito alla GBP è in contrasto con l’art. 30 del Trattato CE, che non avrebbe dovuto accettarla e che ha pertanto violato l’art. 30 del Trattato CE.

 Giudizio del Tribunale

53      La ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare che l’accettazione da parte della Commissione della modifica apportata dal governo britannico alla GBP è contraria agli artt. 30 e 6 del Trattato CE. Tale istanza deve essere intesa nel senso che la ricorrente deduce in realtà che la Commissione ha archiviato a torto la sua denuncia relativa a misure del Regno Unito asseritamente in contrasto con il diritto comunitario.

54      Si deve a questo proposito ricordare che i privati non sono legittimati ad impugnare il rifiuto della Commissione di avviare un procedimento per inadempimento nei confronti di uno Stato membro (ordinanza della Corte 12 giugno 1992, causa C‑29/92, Asia Motor Francia/Commissione, Racc. pag. I‑3935, punto 21; ordinanze del Tribunale 15 marzo 2004, causa T‑139/02, Institouto N. Avgerinopoulou e a./Commissione, Racc. pag. II‑875, punto 76, e 19 settembre 2005, causa T‑247/04, Aseprofar e Edifa/Commissione, Racc. pag. II‑3449, punto 40).

55      Emerge infatti dall’art. 169 del Trattato CE che la Commissione non ha l’obbligo di avviare un procedimento per inadempimento, ma dispone, a questo proposito, di un potere discrezionale che esclude il diritto dei privati di esigere dall’istituzione che essa prenda posizione in un determinato senso e di presentare un ricorso di annullamento contro il suo rifiuto ad agire (ordinanze del Tribunale 16 febbraio 1998, causa T‑182/97, Smanor e a./Commissione, Racc. pag. II‑271, punto 27, e Institouto N. Avgerinopoulou e a./Commissione, cit., punto 77).

56      Nella fattispecie, la ricorrente non è quindi legittimata a chiedere l’annullamento del rifiuto della Commissione di avviare un procedimento per inadempimento nei confronti del Regno Unito perché la GBP modificata violerebbe gli artt. 6 e 30 del Trattato CE. In siffatte circostanze, non si può contestare alla Commissione di aver essa stessa violato tali articoli archiviando il procedimento in questione.

57      Ad ogni modo, supponendo che l’istanza della ricorrente non sia diretta ad ottenere l’annullamento di tale rifiuto ma quello della decisione sull’archiviazione della sua denuncia del 10 dicembre 1997, si deve ricordare che la decisione grazie alla quale la Commissione procede all’archiviazione di una denuncia con cui essa sia stata informata in merito al comportamento di uno Stato membro passibile di avvio di un procedimento per inadempimento è priva di forza cogente e pertanto non costituisce un atto impugnabile (ordinanza Aseprofar e Edifa/Commissione, cit., punto 48). Il ricorso è d’altronde fuori termine riguardo alla data di tale decisione.

58      Di conseguenza, le censure della ricorrente relative all’archiviazione della sua denuncia sono irricevibili.

59      Peraltro, riguardo alla censura della ricorrente secondo la quale l’archiviazione illegittima del procedimento per inadempimento ha comportato per quest’ultima la perdita di un’opportunità e significative perdite finanziarie, basta constatare che la ricorrente non ha presentato alcuna domanda di risarcimento nell’ambito del suo ricorso. Non occorre pertanto esprimersi su questo punto.

 Sull’accesso ai documenti

 Argomenti delle parti

60      La ricorrente fa valere che, conformemente alle conclusioni della relazione speciale del Mediatore, l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 non è applicabile al caso di specie, dato che la direttiva 95/46 non obbliga la Commissione a segretare i nominativi delle persone che le hanno comunicato opinioni o informazioni. A questo proposito, la ricorrente fa riferimento alla lettera del Mediatore inviata al presidente della Commissione il 30 settembre 2002, citata al precedente punto 32, nella quale egli contesta alla Commissione di applicare erroneamente la direttiva 95/46.

61      Inoltre, neppure l’art. 4, n. 3, del regolamento n. 1049/2001 si applicherebbe. Dato che la riunione si è svolta nel 1996, il processo decisionale della Commissione potrebbe essere eventualmente pregiudicato dalla divulgazione solo in misura tutt’al più minima, dato che sono trascorsi sette anni tra lo svolgimento di tale riunione e la data in cui è stato proposto il ricorso. Tuttavia, anche se questa disposizione si applicasse, la Commissione non potrebbe invocarla a sostegno del proprio rifiuto di divulgare le informazioni richieste, poiché nel caso di specie esisterebbe un interesse pubblico prevalente a tale divulgazione. Infatti, il Mediatore e il Parlamento si sarebbero particolarmente interessati, nella presente controversia, al fatto che terzi influenti avrebbero potuto comunicare con la massima segretezza la loro opinione alla Commissione, il che sarebbe in contrasto con il principio di trasparenza.

62      Nella sua replica la ricorrente fa valere che nel controricorso vi è un elemento ulteriore, cioè che le persone dei cui nominativi la ricorrente ha chiesto la divulgazione erano rappresentanti della CBMC e che avevano agito in conformità alle istruzioni dell’ente che rappresentavano. La ricorrente sostiene che, dal momento che la Commissione ha rivelato che tali persone erano rappresentanti della CBMC, tale affermazione assume pubblica rilevanza e la reputazione della Commissione in merito al rispetto della riservatezza non sarebbe compromessa dalla divulgazione dei nominativi di tali persone.

63      La ricorrente ricorda che le associazioni professionali quali la CBMC rappresentano generalmente tutti gli operatori di uno specifico mercato o la maggior parte di essi e tendono pertanto a presentare un punto di vista a nome dell’insieme degli operatori di un settore. La reputazione della Commissione potrebbe essere compromessa solo se risultasse che, nel corso della riunione dell’11 ottobre 1996, i rappresentanti della CBMC avevano rappresentato un gruppo determinato di birrifici al fine di mantenere la chiusura del mercato della birra venduta negli spacci di bevande del Regno Unito. Secondo la ricorrente, questa perdita di riservatezza non presenta alcun rischio qualora le informazioni siano state comunicate da dipendenti di una tale associazione professionale, a meno che quest’ultima non esponga correttamente il punto di vista di tutti i suoi membri.

64      La ricorrente conclude che l’art. 2 del regolamento n. 1049/2001 impone alla Commissione di divulgare integralmente i nominativi dei partecipanti alla riunione nonché le osservazioni trasmesse nell’ambito del procedimento per inadempimento e che nessuna delle eccezioni esposte all’art. 4 del regolamento n. 1049/2001 è applicabile al caso di specie.

65      Il GEPD fa valere, tra gli argomenti che ha presentato nel corso dell’udienza, che la Commissione ha violato l’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001. Cita a questo proposito un documento intitolato «Accesso del pubblico ai documenti e tutela dei dati» (Documenti di riferimento, luglio 2005 n. 1, GEPD – Garante europeo della protezione dei dati), reperibile sul suo sito Internet.

66      Il GEPD sottolinea la necessità di stabilire un equilibrio ottimale tra, da una parte, la tutela dei dati personali, e, dall’altra, il diritto fondamentale del cittadino europeo di accesso ai documenti delle istituzioni. Orbene, il ragionamento della Commissione non terrebbe nella dovuta considerazione tale equilibrio, espressamente disciplinato dall’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001. Infatti, una domanda di accesso a documenti si fonderebbe su principi democratici e non sarebbe necessario citare le ragioni per le quali i documenti sono stati richiesti e, pertanto, l’applicazione dell’art. 8 del regolamento n. 45/2001 non rileverebbe nel caso di specie. Allo stesso modo, il GEPD ritiene che le norme di tutela dei dati non consentano di dedurne un diritto generale di partecipare anonimamente ad attività pubbliche.

67      Secondo il GEPD, l’interesse tutelato all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 è la vita privata e non la tutela dei dati personali che costituisce un concetto decisamente più ampio di quello della vita privata. Pur se il nominativo di un partecipante, citato nel processo verbale di una riunione, rientra nella sfera dei dati personali, poiché l’identità di tale persona viene rivelata e il concetto di tutela dei dati personali è applicabile a tali dati, a prescindere da se rientrino o meno nella sfera della vita privata, il GEPD ricorda tuttavia che, nell’ambito delle attività professionali, la divulgazione di un nominativo non ha in genere alcun nesso con la vita privata. Ne deduce che la Commissione non può invocare l’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 per rifiutare la divulgazione del nominativo delle persone implicate.

68      Il GEPD conclude che, ad ogni modo, l’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 deve essere interpretato nel senso che il diritto di rifiutare la divulgazione non corrisponde a un diritto assoluto ma implica che la vita privata sia pregiudicata in maniera significativa o considerevole, il che deve essere valutato riguardo alle norme e ai principi della tutela dei dati personali. Non vi sarebbe alcun diritto generale a favore delle persone interessate di opporsi alla divulgazione. La persona interessata che si oppone alla divulgazione dovrebbe avanzare una ragione plausibile che spieghi perché la divulgazione potrebbe esserle pregiudizievole.

69      La Commissione fa valere che la domanda di annullamento della decisione impugnata non è fondata. Essa constata che, nel caso di specie, si tratta dell’interazione di due diritti, cioè il diritto di accesso del pubblico ai documenti e il diritto alla tutela della vita privata e dei dati.

70      Da una parte, il diritto di accesso del pubblico ai documenti, conformemente al regolamento n. 1049/2001, sarebbe generalmente senza restrizioni, automatico e l’accesso a un documento non dipenderebbe dall’interesse particolare di un richiedente. La persona che presenta tale domanda non sarebbe generalmente tenuta a fornirne i motivi.

71      D’altra parte, i dati personali potrebbero essere correttamente e lecitamente divulgati solo sul fondamento dei principi fondamentali che disciplinano il diritto alla vita privata e delle disposizioni specifiche applicabili in materia di trattamento dei dati personali. La Commissione cita l’art. 8 CEDU, l’art. 286 CE e gli artt. 7 e 8 della Carta. Le disposizioni del regolamento n. 45/2001 prevedrebbero che la persona che richiede l’accesso ai dati personali dimostri che la divulgazione di tali dati è necessaria e che alla Commissione venga garantito che ciò non rechi pregiudizio agli interessi legittimi della persona interessata.

72      La Commissione osserva che la ricorrente non presenta argomenti di diritto per sostenere la sua tesi secondo la quale l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 e, inoltre, al regolamento n. 45/2001 non è applicabile, bensì si limita a invocare il progetto di raccomandazione del Mediatore e la risoluzione del Parlamento che lo sostiene. Orbene la conclusione del Mediatore sarebbe fondata su un’interpretazione della direttiva 95/46 e del codice di condotta che la Corte avrebbe da allora disapprovato (sentenza della Corte 6 marzo 2003, causa C‑41/00 P, Interporc/Commissione, Racc. pag. I‑2125; sentenze del Tribunale 7 dicembre 1999, causa T‑92/98, Interporc/Commissione, Racc. pag. II‑3521, punto 70, e 16 ottobre 2003, causa T‑47/01, Co‑Frutta/Commissione, Racc. pag. II‑4441, punti 63 e 64). Ad abundantiam, dato che l’ultima domanda di accesso è stata presentata dalla ricorrente dopo l’entrata in vigore dei regolamenti n. 1049/2001 e n. 45/2001, secondo la Commissione occorre esaminare il suo rifiuto di divulgare le informazioni richieste alla luce di tali disposizioni. Ad ogni modo, non spetterebbe né al Mediatore né al Parlamento fornire un’interpretazione conclusiva della legge.

73      La Commissione fa valere che la Corte ha confermato la sua posizione per quanto riguarda la portata delle disposizioni di tutela dei dati personali. Quest’ultima avrebbe constatato che le norme di tutela dei dati personali e, in particolare, il principio di proporzionalità si applicavano in materia di pubblicazione del nominativo di persone fisiche anche quando si trattava di dipendenti del settore pubblico e che il trattamento era effettuato nell’interesse generale (sentenza della Corte 20 maggio 2003, cause riunite C‑465/00, C‑138/01 e C‑139/01, Österreichischer Rundfunk e a., Racc. pag. I‑4989, punto 64). Tale approccio, relativamente alla direttiva 95/46, sarebbe stato ulteriormente confermato dalla Corte nella sentenza 6 novembre 2003, Lindqvist (causa C‑101/01, Racc. pag. I‑12971, punto 24), secondo la quale la nozione di «dati personali» ricomprende certamente il nome di una persona accostato al suo recapito telefonico o ad informazioni relative alla situazione lavorativa o ai suoi passatempo.

74      La Commissione sottolinea che lo specifico metodo che consente di conciliare il diritto di accesso del pubblico ai documenti e il diritto alla vita privata e alla protezione dei dati è riportato all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001, da leggersi in combinato disposto con l’undicesimo ‘considerando’ del detto regolamento secondo il quale «[n]el valutare le eccezioni, le istituzioni dovrebbero tener conto dei principi esistenti nella legislazione comunitaria in materia di protezione dei dati personali, in tutti i settori di attività dell’Unione». Tale eccezione non dovrebbe essere bilanciata con un interesse pubblico prevalente che giustifichi la divulgazione del documento di cui trattasi, ai sensi del regolamento n. 1049/2001, ma richiederebbe in particolare alle istituzioni comunitarie che esse rifiutino l’accesso a un documento se la sua comunicazione dovesse compromettere la tutela della vita privata e quella dei dati personali.

75      Il regolamento n. 45/2001 non vieterebbe la divulgazione o ogni altro trattamento di dati personali da parte della Commissione, bensì fornirebbe lo strumento per giudicare caso per caso se un’istituzione possa lecitamente e correttamente procedere al trattamento di dati personali e se un tale trattamento non pregiudichi la tutela dei dati.

76      La Commissione sottolinea che, se in un caso specifico e conformemente al regolamento n. 45/2001 il trattamento viene effettuato in maniera lecita e corretta, non si può invocare l’eccezione al diritto di accesso del pubblico prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 e il documento contenente dati personali deve essere divulgato. Per contro, se il trattamento richiesto non fosse lecito e corretto e se il richiedente non potesse giustificare la necessità di una divulgazione, la Commissione non sarebbe obbligata a divulgare tali dati.

77      La Commissione sostiene che, essendo i due diritti in questione della stessa natura, dello stesso grado e importanza, devono essere attuati congiuntamente e un equilibrio andrebbe ricercato in ogni caso specifico riguardante una domanda di accesso a un documento pubblico che contiene dati personali.

78      La Commissione fa riferimento a una relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, elaborata nel 2002 dalla rete UE di esperti indipendenti in materia di diritti fondamentali CFR‑CFD, secondo cui «pur tenendo conto della possibilità di concedere solo un accesso parziale a taluni documenti, l’istituzione comunitaria è tenuta a non concedere un diritto di accesso ai documenti qualora l’interesse del richiedente non presenti alcun ragionevole rapporto di proporzionalità con il conseguente pregiudizio del diritto della persona interessata alla preservazione della sua vita privata riguardo al trattamento di dati personali».

79      La necessità di un tale approccio equilibrato sarebbe stata sottolineata, nel suo parere 5/2001 del 17 maggio 2001 sulla relazione speciale del Mediatore, dal gruppo di lavoro per la tutela dei dati istituito all’art. 29 della direttiva 95/46. Secondo detto parere:

«Occorre (…) rilevare che l’obbligo di comunicazione al pubblico imposto dalla legislazione sull’accesso del pubblico a documenti amministrativi non istituisce un obbligo assoluto di libero accesso, ma piuttosto condiziona l’obbligo di consentire il libero accesso ai documenti alla debita osservanza del diritto alla riservatezza. Una comunicazione illimitata o svincolata di dati personali non trova quindi giustificazione. Viceversa una lettura congiunta della legislazione sull’accesso del pubblico e la tutela dei dati impone di analizzare caso per caso le circostanze (…), per trovare un punto di equilibrio tra i due diritti. In particolare, a seguito di tale valutazione, la legislazione sull’accesso del pubblico può articolarsi in norme diverse da applicare a categorie diverse di dati o a diversi tipi di persone interessate».

80      La Commissione ricorda che il regolamento n. 1049/2001 non prevede l’obbligo automatico e illimitato di divulgare documenti o parti di documenti riguardanti dati personali, ma che tale obbligo esiste solo nei limiti in cui non contrasti con le norme applicabili in materia di tutela dei dati.

81      Nel caso di specie la Commissione avrebbe tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie. Per quanto riguarda i rappresentanti delle autorità britanniche e della CBMC, la ricorrente sarebbe stata adeguatamente informata degli interessi e degli enti rappresentati alla riunione. In qualità di rappresentanti, le persone presenti avrebbero agito in conformità alle istruzioni degli enti che rappresentavano, e ciò in quanto rappresentanti di questi ultimi e non presenti a titolo personale. La Commissione sottolinea che le conseguenze delle decisioni prese durante la riunione riguardavano gli enti rappresentati e non i loro rappresentanti a titolo personale. Sarebbe pertanto l’informazione relativa agli enti rappresentati a costituire l’informazione pertinente da sottoporre all’esame del pubblico in applicazione del principio di trasparenza e il rifiuto della Commissione di divulgare l’identità delle persone che rappresentano tali interessi non dovrebbe essere considerato come un pregiudizio ai diritti della ricorrente. La Commissione avrebbe inoltre tenuto conto della necessità di non compromettere la sua capacità di svolgere indagini e le sue fonti di informazione.

82      La Commissione fa valere inoltre che la ricorrente non ha mai soddisfatto l’obbligo di provare la necessità del trasferimento di dati prevista all’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001. Infatti, la comunicazione dell’identità dei partecipanti non consentirebbe di apportare chiarimenti supplementari in merito alla decisione della Commissione di porre termine al procedimento per inadempimento. Poiché il processo verbale è stato divulgato, il pubblico sarebbe stato ampiamente informato dei fatti e degli argomenti sul fondamento dei quali la Commissione ha adottato la sua decisione. Pertanto, dato che nessuna specifica e valida ragione sarebbe stata fornita per provare la necessità di divulgare dati personali a terzi, la Commissione sarebbe stata tenuta a rifiutare una tale divulgazione.

83      Secondo la Commissione, contrariamente a quanto fatto valere dalla ricorrente nella sua replica, il fatto che i nominativi del personale della CBMC siano pubblici non significa che lo stesso debba valere per l’identità delle persone che hanno partecipato alla riunione. La Commissione sottolinea che da ciò non deriva che il nominativo di determinati rappresentanti di un’associazione professionale che hanno rappresentato quest’ultima durante una riunione possa essere necessariamente dedotto dalla pubblicazione dell’identità di tutto il suo personale. Infatti, se così fosse, la ricorrente non avrebbe alcun motivo di chiedere che tali nominativi le siano comunicati. Per di più, la ricorrente non avrebbe suggerito che i rappresentanti della CBMC non avessero difeso la posizione dell’associazione durante la riunione. La ricorrente non dimostrerebbe in che modo la divulgazione dell’identità delle persone interessate fornirebbe informazioni più pertinenti di quelle incluse nel processo verbale della riunione e negli altri documenti distribuiti.

84      Par quanto riguarda gli argomenti della ricorrente relativi alla pretesa applicazione dell’art. 4, n. 3, del regolamento n. 1049/2001, la Commissione sottolinea di non aver fondato su tale eccezione il suo rifiuto di divulgare i nominativi, ma su quella prevista all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del tale regolamento.

85      La ricorrente sarebbe stata informata che, anche se le disposizioni in materia di tutela dei dati non fossero state applicabili alla domanda, la Commissione sarebbe stata legittimata a rifiutare di divulgare, contro la loro volontà, i nominativi di cinque persone, al fine di non compromettere la sua capacità ad indagare sulle presunte infrazioni al diritto comunitario. La riunione dell’11 ottobre 1996 si sarebbe svolta nell’ambito di una tale indagine. Se il nominativo di persone che hanno fornito informazioni alla Commissione potesse essere divulgato contro la loro volontà, la Commissione potrebbe vedersi privata di una fonte preziosa di informazione, il che potrebbe compromettere la sua capacità di svolgere tali indagini.

86      La Commissione ricorda inoltre che, nell’ambito delle denunce e dei procedimenti per inadempimento, i denuncianti hanno la possibilità di scegliere tra un trattamento «riservato» o «non riservato». Nessun valido motivo consentirebbe di negare ad altre parti interessate dal procedimento per inadempimento la possibilità di beneficiare del medesimo diritto.

87      Di conseguenza, l’eccezione prevista all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 avrebbe impedito di trasmettere alla ricorrente i cinque nominativi rimasti anonimi.

88      La Commissione sostiene infine che la ricorrente non ha fornito la prova di un «interesse pubblico prevalente alla divulgazione» di tali nominativi, che consentirebbe di opporsi all’applicazione di questa eccezione.

89      Nel caso di specie, la divulgazione dei nominativi di altre persone, contro la loro volontà e contrariamente alla loro aspettativa per quanto riguarda la riservatezza qualora abbiano collaborato all’indagine sulla presunta infrazione, comprometterebbe la tutela di qualsiasi indagine. Pertanto, un evidente interesse pubblico richiederebbe che la riservatezza delle indagini sia salvaguardata piuttosto che compromessa.

 Giudizio del Tribunale

 Osservazioni preliminari

90      Si deve in limine rilevare che la domanda di accesso della ricorrente al documento completo così come il suo ricorso si fondano sul regolamento n. 1049/2001.

91      Si deve poi ricordare che, nella decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto che il regolamento n. 45/2001 si applicasse alla domanda di divulgazione dei nominativi dei partecipanti alla riunione dell’11 ottobre 1996. La Commissione ha ritenuto che, dal momento che la ricorrente non avrebbe dimostrato né un obiettivo espresso e legittimo né la necessità di una tale divulgazione, i requisiti dell’art. 8 del detto regolamento non fossero soddisfatti e l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 si applicasse. Essa ha aggiunto che, anche se le disposizioni adottate in tema di tutela dei dati personali non fossero state applicabili, quest’ultima avrebbe comunque dovuto rifiutare la divulgazione degli altri nominativi ai sensi dell’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, per non compromettere la sua capacità di svolgere indagini.

92      Si deve ricordare a questo proposito che, secondo l’art. 6, n. 1, del regolamento n. 1049/2001, il richiedente l’accesso non è tenuto a motivare la sua domanda e non deve quindi dimostrare qualsivoglia interesse per avere accesso ai documenti richiesti (v. sentenza del Tribunale 6 luglio 2006, cause riunite T‑391/03 e T‑70/04, Franchet e Byk/Commissione, Racc. pag. II‑2023, punto 82, e la giurisprudenza ivi citata).

93      Si deve anche ricordare che l’accesso ai documenti delle istituzioni costituisce il principio e che una decisione di rifiuto è valida unicamente se è fondata su una delle eccezioni previste all’art. 4 del regolamento n. 1049/2001.

94      In conformità a una giurisprudenza costante, tali eccezioni devono essere interpretate ed applicate in senso restrittivo, al fine di non privare di efficacia concreta l’applicazione del principio generale sancito da questo regolamento (sentenza della Corte 11 gennaio 2000, cause riunite C‑174/98 P e C‑189/98 P, Paesi Bassi e van der Wal/Commissione, Racc. pag. I‑1, punto 27; sentenze del Tribunale 7 febbraio 2002, causa T‑211/00, Kruijer/Consiglio, Racc. pag. II‑485, punto 55, e Franchet e Byk/Commissione, cit., punto 84).

95      Proprio alla luce di tale giurisprudenza occorre esaminare l’applicazione da parte della Commissione delle eccezioni previste all’art. 4, n. 1, lett. b), e n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

 Sull’eccezione relativa alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001

–       Osservazioni preliminari relative all’articolazione tra i regolamenti n. 1049/2001 e n. 45/2001

96      Occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali.

97      Si deve a questo proposito rilevare che, malgrado la ricorrente nel suo ricorso faccia riferimento solo alla direttiva 95/46 e non al regolamento n. 45/2001, il ricorso in parola va inteso nel senso che esso riguarda tale regolamento, poiché la decisione impugnata è parzialmente fondata su quest’ultimo. All’udienza la ricorrente ha fatto, correttamente, riferimento al regolamento in parola.

98      Occorre in limine esaminare la relazione esistente tra i regolamenti n. 1049/2001 e n. 45/2001 al fine di applicare al caso di specie l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001. A tale scopo, bisogna ricordare che i loro obiettivi sono distinti. Il primo intende garantire la maggiore trasparenza possibile del processo decisionale delle pubbliche autorità, nonché delle informazioni sulle quali le loro decisioni si basano. Intende pertanto facilitare al massimo l’esercizio del diritto di accesso ai documenti, nonché promuovere una prassi amministrativa corretta. Il secondo è volto a garantire la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, in particolare della loro vita privata in sede di trattamento dei dati personali.

99      Il quindicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 45/2001 indica che l’accesso ai documenti, anche contenenti dati personali, è soggetto alle disposizioni adottate in base all’art. 255 CE.

100    Pertanto, l’accesso ai documenti contenenti dati personali rientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001, secondo il quale, in linea di principio, tutti i documenti delle istituzioni dovrebbero essere accessibili al pubblico. Prevede anche che taluni interessi pubblici e privati debbano essere tutelati mediante eccezioni.

101    Questo regolamento prevede quindi un’eccezione, precedentemente richiamata, riguardante i casi in cui la divulgazione pregiudichi la tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, in particolare in conformità alla legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali quale il regolamento n. 45/2001.

102    Inoltre, secondo l’undicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1049/2001, nel valutare le eccezioni, le istituzioni dovrebbero tenere conto dei principi esistenti nella legislazione comunitaria in materia di protezione dei dati personali in tutti i settori di attività dell’Unione, quindi anche dei principi sanciti nel regolamento n. 45/2001.

103    Occorre a questo proposito ricordare le disposizioni di maggiore rilevanza del regolamento n. 45/2001.

104    Ai sensi dell’art. 2, lett. a), del regolamento n. 45/2001, i «dati personali» comprendono qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile. Si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero d’identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale. Possono pertanto essere considerati dati personali, per esempio, il cognome e i nomi, l’indirizzo postale, l’indirizzo di posta elettronica, il numero di conto bancario, i numeri di carte di credito, il numero della previdenza sociale o quello telefonico oppure il numero della patente di guida.

105    Inoltre, ai sensi dell’art. 2, lett. b), del regolamento n. 45/2001, il «trattamento di dati personali» include qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, l’alienamento o l’interconnessione, nonché il blocco, la cancellazione o la distruzione. Perciò, la comunicazione di dati mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione rientra nella definizione di «trattamento» e, pertanto, questo stesso regolamento prevede, indipendentemente dal regolamento n. 1049/2001, la possibilità di pubblicare taluni dati personali.

106    Peraltro, occorre che il trattamento sia lecito ai sensi dell’art. 5, lett. a) o b), del regolamento n. 45/2001, secondo il quale il trattamento deve essere necessario per l’esecuzione di una funzione di interesse pubblico o per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento. Occorre rilevare che il diritto di accesso ai documenti delle istituzioni, riconosciuto ai cittadini dell’Unione europea e a qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro, previsto all’art. 2 del regolamento n. 1049/2001, costituisce un obbligo legale ai sensi dell’art. 5, lett. b), del regolamento n. 45/2001. Pertanto, se il regolamento n. 1049/2001 richiede la comunicazione dei dati, la quale costituisce un «trattamento» a norma dell’art. 2, lett. b), del regolamento n. 45/2001, a questo proposito, l’art. 5 di questo stesso regolamento rende lecita tale comunicazione.

107    Per quanto riguarda l’obbligo di provare la necessità del trasferimento di dati prevista all’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001, si deve ricordare che l’accesso ai documenti contenenti dati personali rientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1049/2001 e che, ai sensi dell’art. 6, n. 1, di quest’ultimo, il richiedente l’accesso non è tenuto a motivare la sua domanda e non deve quindi dimostrare un qualsivoglia interesse per avere accesso ai documenti richiesti (v. il precedente punto 92). Quindi, nel caso in cui dati personali siano trasferiti per dare attuazione all’art. 2 del regolamento n. 1049/2001, che prevede il diritto di accesso ai documenti a favore di tutti i cittadini dell’Unione, la situazione rientra nel campo di applicazione di questo regolamento e, pertanto, il richiedente non ha bisogno di provare la necessità della divulgazione ai sensi dell’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001. Infatti, se si esigesse che il richiedente dimostri la necessità del trasferimento in quanto condizione supplementare imposta dal regolamento n. 45/2001, siffatto obbligo contrasterebbe con l’obiettivo del regolamento n. 1049/2001, cioè l’accesso più ampio possibile del pubblico ai documenti posseduti dalle istituzioni.

108    Inoltre, poiché l’accesso a un documento è rifiutato, ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001, nel caso in cui la sua divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela della vita privata e dell’integrità dell’individuo, un trasferimento che non ricada nell’ambito di tale eccezione non può, in linea di principio, ledere gli interessi legittimi della persona di cui trattasi, ai sensi dell’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001.

109    Per quanto riguarda il diritto di opposizione della persona interessata, l’art. 18 del regolamento n. 45/2001 prevede che quest’ultima abbia il diritto di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi connessi alla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo nei casi previsti, in particolare, dall’art. 5, lett. b), del detto regolamento. Pertanto, dato che il trattamento di cui al regolamento n. 1049/2001 costituisce un obbligo legale ai sensi dell’art. 5, lett. b), del regolamento n. 45/2001, la persona interessata non gode, in linea di principio, di un diritto di opposizione. Tuttavia, dato che l’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 prevede un’eccezione a detto obbligo legale, si deve tenere conto dell’incidenza della divulgazione di dati relativi alla persona interessata su tale fondamento.

110    Occorre a questo proposito rilevare che, se la comunicazione di tali dati non pregiudica la tutela della vita privata e dell’integrità della persona interessata, come richiesto dall’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001, il rifiuto della persona interessata non può impedire detta comunicazione.

111    Si deve peraltro ricordare che le disposizioni del regolamento n. 45/2001, dal momento che disciplinano il trattamento dei dati personali che possono arrecare pregiudizio alle libertà fondamentali e, in particolare, al diritto alla vita privata, devono essere necessariamente interpretate alla luce dei diritti fondamentali che, secondo una costante giurisprudenza, fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali la Corte e il Tribunale garantiscono l’osservanza (v., per analogia, per quanto riguarda la direttiva 95/46, sentenza Österreichischer Rundfunk e a., cit., punto 68).

112    Tali principi sono stati esplicitamente ripresi dall’art. 6, n. 2, UE, ai sensi del quale l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

113    Si deve a questo proposito rilevare che l’art. 8 CEDU, pur sancendo al n. 1 il principio di non ingerenza delle autorità pubbliche nell’esercizio del diritto alla vita privata, riconosce al n. 2 che una tale ingerenza è ammissibile per quanto «sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui».

114    Si deve anche rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la «vita privata» è una nozione ampia che non si presta ad una definizione esaustiva. L’art. 8 CEDU tutela anche il diritto all’identità e allo sviluppo personale, nonché il diritto per ciascun individuo di allacciare e sviluppare relazioni con i suoi simili e con il mondo esterno. Nessun motivo di principio consente di escludere le attività professionali e commerciali dalla nozione di «vita privata» (v. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenze 16 dicembre 1992, Niemitz/Germania, série A n. 251‑B, § 29; 16 febbraio 2000, Amann/Svizzera, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑II, § 65, e 4 maggio 2000, Rotaru/Romania, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑V, § 43). Esiste quindi un’area di interazione tra l’individuo e i terzi che, anche in un contesto pubblico, può rientrare nella sfera della «vita privata» (v. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 28 gennaio 2003, Peck/Regno Unito, Recueil des arrêts et décisions, 2003‑I, § 57, e la giurisprudenza citata).

115    Per configurare l’esistenza di una violazione dell’art. 8 CEDU, si deve in primo luogo determinare se esista un’ingerenza nella vita della persona interessata e, in secondo luogo, qualora ciò avvenga, se tale ingerenza sia giustificata. Per essere giustificata, detta ingerenza deve essere prevista dalla legge, perseguire un legittimo scopo e rivelarsi necessaria in una società democratica. Riguardo a quest’ultima condizione, per stabilire se una divulgazione è «necessaria in una società democratica», si deve esaminare se i motivi invocati per giustificarla siano «rilevanti e sufficienti» e se le misure adottate siano proporzionate agli scopi legittimi perseguiti. Nelle cause relative alla divulgazione di dati personali, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che le autorità competenti devono disporre di una certa libertà per stabilire un giusto compromesso tra gli interessi pubblici e privati concorrenti. Tuttavia, tale margine di discrezionalità va di pari passo con un controllo giurisdizionale e la sua entità dipende da fattori quali la natura e l’importanza degli interessi in gioco nonché la gravità dell’ingerenza (v. sentenza Peck/Regno Unito, cit., in particolare § 76 e 77; v. anche le conclusioni dell’avvocato generale Léger per la sentenza 30 maggio 2006, cause riunite C‑317/04 e C‑318/04, Parlamento/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I‑4721, I‑4724, paragrafi 226‑228).

116    Si deve constatare che qualsiasi decisione adottata in applicazione del regolamento n. 1049/2001 deve, in conformità all’art. 6, n. 2, UE, rispettare l’art. 8 CEDU. Si deve a questo proposito ricordare che il regolamento n. 1049/2001 fissa i principi generali e le limitazioni che, per motivi di interesse pubblico o privato, disciplinano l’esercizio del diritto di accesso ai documenti conformemente all’art. 255, n. 2, CE. Pertanto, l’art. 4, n. 1, lett. b), di questo regolamento prevede un’eccezione che intende garantire la tutela della vita privata e l’integrità dell’individuo.

117    Occorre peraltro ricordare che le eccezioni al principio di accesso ai documenti devono essere interpretate in senso restrittivo. L’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 riguarda solo i dati personali che possono effettivamente e concretamente pregiudicare il rispetto della vita privata e l’integrità dell’individuo.

118    Si deve anche sottolineare che il fatto che la nozione di «vita privata» sia ampia, in conformità alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e che il diritto alla tutela dei dati personali possa costituire uno degli aspetti del diritto al rispetto della vita privata (v., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa che ha dato luogo alla sentenza Parlamento/Consiglio e Commissione, cit., paragrafo 209), non significa che tutti i dati personali rientrino necessariamente nella nozione di «vita privata».

119    A maggior ragione, non tutti i dati personali sono per loro natura in grado di pregiudicare la vita privata della persona interessata. Infatti, al trentatreesimo ‘considerando’ della direttiva 95/46, si fa riferimento ai dati che possono per loro natura ledere le libertà fondamentali o la vita privata e che non dovrebbero essere oggetto di trattamento salvo esplicito consenso della persona interessata, il che implica che non tutti i dati sono della stessa natura. Tali dati sensibili possono essere ricompresi nelle categorie richiamate dall’art. 10 del regolamento n. 45/2001, il quale riguarda il trattamento di categorie particolari di dati quali quelli che rivelino l’origine razziale o etnica, le convinzioni religiose o filosofiche oppure i dati relativi alla salute o alla vita sessuale.

120    Emerge da quanto precede che, nel caso di specie, per poter determinare se l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 si applichi, occorre esaminare se l’accesso del pubblico ai nominativi dei partecipanti alla riunione dell’11 ottobre 1996 possa concretamente ed effettivamente pregiudicare la tutela della vita privata e dell’integrità delle persone interessate.

–       Applicazione al caso di specie dell’eccezione relativa al pregiudizio della vita privata e dell’integrità delle persone interessate, prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001

121    Nel caso di specie, la domanda di accesso in questione riguarda il processo verbale di una riunione della Commissione alla quale hanno partecipato rappresentanti della DG «Mercato interno e servizi finanziari» della Commissione, del Ministero del Commercio e dell’Industria del Regno Unito e rappresentanti della CBMC. Tale processo verbale include un elenco dei partecipanti alla riunione, classificati in funzione degli enti in nome e per conto dei quali tali persone hanno partecipato alla detta riunione, descritti in base al loro titolo, all’iniziale del loro nome, al loro cognome e, se del caso, in base al servizio, organismo e associazione da cui dipendono nell’ambito di tali enti. Il testo del processo verbale non fa riferimento alle persone fisiche ma agli enti in questione, quali la CBMC, la DG «Mercato interno e servizi finanziari» o il Ministero del Commercio e dell’Industria del Regno Unito.

122    Si deve pertanto constatare che l’elenco dei partecipanti alla riunione che figura nel processo verbale in questione contiene dati personali, ai sensi dell’art. 2, lett. a), del regolamento n. 45/2001, poiché le persone che hanno partecipato a detta riunione possono esservi identificate.

123    Si deve tuttavia constatare che il mero fatto che un documento contenga dati personali non significa necessariamente che la vita privata o l’integrità delle persone interessate sia messa in discussione, malgrado le attività professionali non siano in linea di principio escluse dalla nozione di «vita privata» ai sensi dell’art. 8 CEDU (v. il precedente punto 114 e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ivi citata).

124    Infatti, come segnala la stessa Commissione, le persone presenti alla riunione dell’11 ottobre 1996, i cui nominativi non sono stati divulgati, lo erano in qualità di rappresentanti della CBMC e non a titolo personale. La Commissione ha anche sottolineato che le conseguenze delle decisioni prese nel corso della riunione riguardavano gli enti rappresentati e non i loro rappresentanti a titolo personale.

125    In tali circostanze, si deve constatare che il fatto che il processo verbale contenga il nominativo di tali rappresentanti non chiama in causa la vita privata delle persone in questione, poiché queste ultime hanno partecipato alla riunione in quanto rappresentanti dei loro enti. Inoltre, come è stato precedentemente accertato, il processo verbale non contiene opinioni individuali imputabili a queste persone, bensì prese di posizione imputabili agli enti che queste persone rappresentano.

126    Si deve ad ogni modo rilevare che la divulgazione del nominativo dei rappresentanti della CBMC non è in grado di pregiudicare concretamente ed effettivamente la tutela della vita privata e dell’integrità delle persone interessate. La sola presenza del nominativo della persona interessata nell’elenco dei partecipanti a una riunione, per conto dell’ente che questa persona rappresentava, non costituisce un tale pregiudizio e la tutela della vita privata e dell’integrità delle persone interessate non è compromessa.

127    Tale approccio non è contraddetto dalla citata sentenza Österreichischer Rundfunk e a., invocata dalla Commissione. In tale sentenza, la Corte ha ritenuto che la raccolta di dati nominativi relativi ai redditi da attività lavorativa di un individuo al fine di comunicarli a terzi, rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 8 CEDU. La Corte ha anche constatato che, sebbene la mera registrazione, da parte del datore di lavoro, di dati nominativi relativi alle retribuzioni corrisposte al suo personale non possa, in quanto tale, costituire un’ingerenza nella vita privata, la comunicazione di tali dati a un terzo, nel caso di specie un’autorità pubblica, arrecava pregiudizio al rispetto della vita degli interessati, quale che fosse l’ulteriore utilizzazione delle informazioni così comunicate, e presentava il carattere di un’ingerenza ai sensi dell’art. 8 CEDU (sentenza Österreichischer Rundfunk e a., cit., punto 74). La Corte ha aggiunto che per accertare l’esistenza di una simile ingerenza, poco importa che le informazioni comunicate abbiano o meno un carattere sensibile o che gli interessati abbiano o meno subito eventuali inconvenienti in seguito a tale ingerenza. Bastava che i dati relativi ai redditi percepiti da un lavoratore o da un pensionato fossero comunicati dal datore di lavoro ad un terzo (sentenza Österreichischer Rundfunk e a., cit., punto 75).

128    Occorre rilevare che i fatti di tale causa sono distinti da quelli del caso di specie. Infatti, il caso di specie è soggetto all’applicazione del regolamento n. 1049/2001 e l’eccezione prevista al suo art. 4, n. 1, lett. b), riguarda solo la divulgazione dei dati personali che può arrecare pregiudizio al rispetto della vita privata e all’integrità dell’individuo. Orbene, come è stato accertato al precedente punto 119, non tutti i dati personali sono per loro natura in grado di pregiudicare la vita privata della persona interessata. Nelle circostanze della fattispecie, il semplice fatto di divulgare la partecipazione di una persona fisica che agisca nell’esercizio delle sue mansioni professionali, in quanto rappresentante di un ente collettivo a una riunione svolta con un’istituzione comunitaria, quand’anche l’opinione personale espressa da questa persona non possa in tale occasione essere identificata, non può essere considerato come un’ingerenza nella sua vita privata. Si deve quindi distinguere dalla situazione di cui alla causa che ha dato luogo alla citata sentenza Österreichischer Rundfunk e a., ove erano in discussione la raccolta e la comunicazione da parte del datore di lavoro a un’autorità pubblica di una specifica combinazione di dati personali, cioè il nominativo dei dipendenti insieme alla retribuzione percepita da questi ultimi.

129    Nella sentenza Lindqvist, cit., anch’essa invocata dalla Commissione, la Corte ha ritenuto che l’operazione consistente nel fare riferimento, in una pagina Internet, a diverse persone e nell’identificarle vuoi con il loro nome, vuoi con altri mezzi, ad esempio indicando il loro numero di telefono o informazioni relative alla loro situazione lavorativa e ai loro passatempo, costituisse un «trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato» ai sensi della direttiva 95/46 (sentenza Lindqvist, cit., punto 27). Tale sentenza non è decisiva per il caso di specie. Infatti, come è stato ricordato al precedente punto, il caso di specie è soggetto al regolamento n. 1049/2001 e si tratta quindi, oltre alla questione se riguardi un trattamento di dati personali, di determinare se la divulgazione dei dati in questione arrechi pregiudizio al rispetto della vita privata e all’integrità dell’individuo.

130    L’approccio del Tribunale non contraddice neppure la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo la quale il rispetto della vita privata ricomprende il diritto dell’individuo di allacciare e sviluppare relazioni con i suoi simili e può estendersi ad attività professionali o commerciali (sentenze Niemitz/Germania, cit., § 29; Amann/Suisse, cit., § 65; Rotaru/Romania, cit., § 43, e Peck/Regno Unito, cit., § 57).

131    Non si può infatti escludere a priori che la nozione di vita privata ricopra alcuni aspetti dell’attività professionale dell’individuo, ma ciò non significa comunque che qualsiasi attività professionale dell’individuo si trovi globalmente e necessariamente coperta dalla tutela del diritto al rispetto della vita privata. Orbene, il Tribunale ritiene che, nelle circostanze della fattispecie, la sola partecipazione di un rappresentante di un ente collettivo ad una riunione svolta con un’istituzione comunitaria non rientri nella sfera della sua vita privata, dimodoché la divulgazione di un processo verbale che fa stato della sua presenza alla detta riunione non può costituire un’ingerenza nella sua vita privata.

132    Pertanto, la divulgazione dei nominativi in questione non implica un’ingerenza nella vita privata delle persone che hanno partecipato alla riunione e non arreca pregiudizio alla tutela della loro vita privata e dell’integrità della loro persona.

133    Di conseguenza, la Commissione ha ritenuto a torto che l’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001 fosse applicabile al caso di specie.

134    Peraltro, nel caso di specie, la Commissione non pretende di essersi impegnata, al momento della raccolta dei dati, cioè durante la riunione dell’11 ottobre 1996, a mantenere segreti i nominativi dei partecipanti o che i partecipanti abbiano chiesto alla Commissione nel corso della riunione di non rivelare la loro identità. Solo nel 1999, quando la Commissione ha chiesto l’autorizzazione a rivelare la loro identità, alcuni partecipanti hanno rifiutato che il loro nominativo fosse divulgato.

135    Orbene, dato che nel caso di specie non è soddisfatta la condizione relativa all’esistenza di un pregiudizio alla tutela della vita privata e dell’integrità della persona interessata, richiesta dall’art. 4, n. 1, lett. b), del regolamento n. 1049/2001, il rifiuto della persona interessata non può impedire la divulgazione. Per di più, la Commissione non ha neppure tentato di dimostrare che le persone che dopo la riunione avevano rifiutato la divulgazione del loro nominativo avessero provato che la tutela della loro vita privata e della loro integrità sarebbe stata pregiudicata dalla divulgazione.

136    A questo proposito, si deve anche notare che, in definitiva, solo due delle persone in questione avevano comunicato alla Commissione il loro rifiuto e che quest’ultima non è stata in grado di contattare le altre tre persone in causa, delle quali, parimenti, non aveva divulgato i nominativi (v. il precedente punto 35).

137    Le persone che hanno partecipato a questa riunione non hanno potuto ritenere che le opinioni espresse in nome e per conto degli enti che rappresentavano beneficiassero di un trattamento riservato. Si deve ricordare che, nel caso di specie, si trattava di una riunione svolta nell’ambito di un procedimento per inadempimento. Anche se il denunciante può, in un tale procedimento e in virtù delle norme interne della Commissione, optare per un trattamento riservato, un tale trattamento non è previsto per le altre persone che hanno partecipato alle indagini. Inoltre, dato che la Commissione ha divulgato il processo verbale, malgrado ne fossero stati omessi certi nominativi, risulta chiaro che, secondo tale istituzione, non si trattava di informazioni coperte dal segreto professionale. Il regolamento n. 45/2001 non prescrive che la Commissione mantenga segreto il nominativo delle persone che le comunicano opinioni o informazioni riguardanti l’esercizio delle sue funzioni.

138    Quanto all’argomento della Commissione secondo il quale la ricorrente non ha mai soddisfatto l’obbligo di provare la necessità del trasferimento previsto all’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001, è sufficiente ricordare che, come è stato constatato ai precedenti punti 107 e 108, laddove la divulgazione dia attuazione all’art. 2 del regolamento n. 1049/2001 e non rientri nell’eccezione prevista all’art. 4, n. 1, lett. b), del detto regolamento, il richiedente non deve provare la necessità ai sensi dell’art. 8, lett. b), del regolamento n. 45/2001. Pertanto, non può essere accolto l’argomento della Commissione secondo cui la comunicazione dell’identità dei partecipanti non avrebbe consentito di apportare chiarimenti supplementari alla sua decisione di porre termine al procedimento per inadempimento.

139    Ne consegue che la Commissione ha commesso un errore di diritto nel constatare, nella decisione impugnata, che la ricorrente non aveva dimostrato né un obiettivo espresso e legittimo né la necessità di ottenere il nominativo delle cinque persone che hanno partecipato alla riunione e che si sono opposte, dopo questa riunione, alla comunicazione della loro identità alla ricorrente.

140    Occorre ancora esaminare l’applicazione dell’eccezione dell’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

 Sull’eccezione relativa alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile

141    Si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, le istituzioni rifiutano l’accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione del relativo documento.

142    Anche se la ricorrente cita per errore nel suo atto introduttivo l’art. 4, n. 3, del regolamento n. 1049/2001, si deve interpretare tale atto nel senso che esso invoca l’art. 4, n. 2, terzo trattino, di questo stesso regolamento, poiché proprio sulla base di tale disposizione la Commissione ha in subordine motivato il suo rifiuto di concedere l’accesso al processo verbale completo. Ad ogni modo, nel corso dell’udienza, la ricorrente ha fatto riferimento all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

143    Si deve ricordare che l’istituzione è tenuta a valutare, in ogni fattispecie, se i documenti la cui divulgazione è richiesta rientrino effettivamente nell’ambito delle eccezioni elencate nel regolamento relativo all’accesso ai documenti.

144    Nel caso di specie, si tratta del processo verbale di una riunione svoltasi nell’ambito di un procedimento per inadempimento.

145    Tuttavia, la circostanza secondo cui il documento in questione è vincolato ad un procedimento per inadempimento e, pertanto, riguarda attività di indagine, non basta di per sé a giustificare l’applicazione dell’eccezione invocata (v., in tal senso, sentenza Bavarian Lager/Commissione, cit., punto 41). Infatti, come è stato precedentemente ricordato, ogni eccezione al diritto di accesso ai documenti dell’istituzione rientranti nella sfera di applicazione del regolamento n. 1049/2001 deve essere interpretata ed applicata in senso restrittivo (sentenza 13 settembre 2000, causa T‑20/99, Denkavit Nederland/Commissione, Racc. pag. II‑3011, punto 45).

146    Si deve a questo proposito ricordare che le attività di indagine della Commissione erano già terminate al momento dell’adozione della decisione impugnata, il 18 marzo 2004. Infatti, la Commissione aveva già archiviato il procedimento di infrazione contro il Regno Unito il 10 dicembre 1997.

147    Pertanto, nella fattispecie, si deve verificare se il documento relativo ad attività di indagine fosse coperto dall’eccezione prevista all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, mentre l’indagine era terminata e il procedimento di infrazione chiuso da più di sei anni.

148    Il Tribunale ha già avuto l’occasione di constatare che l’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001, inteso a tutelare gli «obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile», è applicabile solo se la divulgazione dei documenti di cui trattasi rischia di mettere in pericolo il completamento delle attività ispettive, di indagine o di revisione contabile (sentenza Franchet e Byk/Commissione, cit., punto 109).

149    A questo proposito, si deve rilevare che tale eccezione, come emerge dalla sua formulazione, intende tutelare non le attività di indagine in quanto tali, bensì l’obiettivo di tali attività, il quale, come risulta dalla citata sentenza Bavarian Lager/Commissione, (punto 46), consiste, nel caso di un procedimento per inadempimento, nel far sì che lo Stato membro interessato si conformi al diritto comunitario. Orbene, nel caso di specie, la Commissione aveva già archiviato il procedimento di infrazione contro il Regno Unito il 10 dicembre 1997 in quanto quest’ultimo aveva modificato la normativa in questione e, pertanto, l’obiettivo delle attività di indagine era stato raggiunto. Perciò, al momento dell’adozione della decisione impugnata, non era in corso alcuna attività di indagine il cui obiettivo avrebbe potuto essere compromesso dalla divulgazione del processo verbale contenente il nominativo di alcuni rappresentanti di enti che avevano partecipato alla riunione dell’11 ottobre 1996 e, pertanto, l’eccezione prevista dall’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001 non può essere applicata nella fattispecie.

150    Per giustificare il suo rifiuto a divulgare la totalità del processo verbale in questione, la Commissione fa valere inoltre che, se il nominativo delle persone che hanno fornito informazioni alla Commissione potesse essere divulgato contro la loro volontà, la Commissione potrebbe vedersi privata di una fonte preziosa di informazioni, il che potrebbe compromettere la sua capacità di svolgere indagini su presunte infrazioni alla legislazione comunitaria.

151    Si deve a questo proposito ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’esame richiesto per il trattamento di una domanda di accesso a certi documenti deve rivestire un carattere concreto. Infatti, per un verso, la mera circostanza che un documento riguardi un interesse tutelato da un’eccezione non basta di per sé a giustificare l’applicazione di quest’ultima (v., in tal senso, sentenza Denkavit Nederland/Commissione, cit., punto 45). Per altro verso, il rischio di arrecare un pregiudizio ad un interesse tutelato deve essere ragionevolmente prevedibile e non puramente ipotetico. Di conseguenza, l’esame al quale deve procedere l’istituzione per applicare un’eccezione deve essere effettuato in concreto e deve emergere dalla motivazione della decisione (sentenze del Tribunale 6 aprile 2000, causa T‑188/98, Kuijer/Consiglio, Racc. pag. II‑1959, punto 38, 13 aprile 2005, causa T‑2/03, Verein für Konsumenteninformation/Commissione, Racc. pag. II‑1121, punti 69 e 72, e Franchet e Byk/Commissione, cit., punto 115).

152    Quindi, sebbene si debba riconoscere che la necessità di preservare l’anonimato delle persone che sottopongono alla Commissione informazioni relative ad eventuali violazioni del diritto comunitario costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare la mancata concessione, da parte della Commissione, dell’accesso totale o anche parziale a determinati documenti, è pur sempre vero che, nel caso di specie, la Commissione si è pronunciata in abstracto sul pregiudizio che la divulgazione del documento interessato con i nominativi potrebbe arrecare alla sua attività di indagine senza dimostrare in modo adeguato che la divulgazione di tale documento pregiudicherebbe concretamente ed effettivamente la tutela degli obiettivi delle attività di indagine. Pertanto, non è dimostrato nel caso di specie che l’obiettivo delle attività di indagine sarebbe stato concretamente ed effettivamente compromesso dalla divulgazione di dati richiesti sei anni dopo la chiusura delle dette attività.

153    Peraltro, come è stato in precedenza constatato, il procedimento per inadempimento non prevede, salvo che per il denunciante, alcun trattamento riservato per le persone che hanno partecipato alle indagini. Risulta che, se la Commissione ha divulgato il processo verbale in questione senza i nominativi delle persone che non avevano dato l’autorizzazione a divulgarlo, ciò dipende dal fatto che essa ha in linea di principio ritenuto che la divulgazione di tale documento non rientrasse nella sfera dell’eccezione prevista all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

154    A questo proposito, il riferimento nel corso dell’udienza da parte della Commissione alla sentenza 7 novembre 1985, Adams/Commissione (causa 145/83, Racc. pag. 3539), sulla riservatezza delle informazioni coperte dal segreto professionale non è rilevante. Si trattava di un informatore che aveva denunciato pratiche anticoncorrenziali del suo datore di lavoro e di tale informatore la Commissione doveva mantenere segreta l’identità. Orbene, quell’informatore le aveva espressamente richiesto, sin dall’inizio del procedimento, che non fosse rivelata la sua identità. Tuttavia, come è stato in precedenza rilevato, nel caso di specie la Commissione non ha dimostrato che all’epoca della loro partecipazione alla citata riunione, le persone implicate avevano potuto ritenere di beneficiare di un qualsivoglia trattamento riservato o che avevano richiesto alla Commissione di non rivelare la loro identità. Come inoltre accertato al precedente punto 137, dato che la Commissione ha divulgato il processo verbale, malgrado ne fossero stati omessi certi nominativi, è giocoforza constatare che la Commissione ha ritenuto che non si trattasse di informazioni coperte da segreto professionale. Occorre infine ricordare che la Commissione non ha esposto alcun argomento che dimostri in che modo la divulgazione del nominativo delle persone che hanno opposto il loro rifiuto avrebbe potuto nuocere nella fattispecie alle eventuali attività di indagine di cui trattasi.

155    In siffatte circostanze si deve constatare che gli argomenti relativi alla tutela degli obiettivi delle attività ispettive e di indagine non possono esser accolti.

156    Di conseguenza, non occorre esaminare l’eventuale esistenza di un interesse pubblico prevalente che giustifichi la divulgazione del documento di cui trattasi.

157    Da quanto precede emerge che il processo verbale completo della riunione dell’11 ottobre 1996, comprensivo di tutti i nominativi, non rientra nella sfera delle eccezioni di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), o all’art. 4, n. 2, terzo trattino, del regolamento n. 1049/2001.

158    Pertanto, si deve annullare la decisione impugnata.

 Sulle spese

159    Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione è risultata soccombente, essa deve essere condannata alle spese in conformità alle conclusioni della ricorrente.

160    Ai sensi dell’art. 87, n. 4, terzo comma, del regolamento di procedura, il Tribunale può ordinare che una parte interveniente sopporti le proprie spese. Nel caso di specie, la parte interveniente a sostegno della ricorrente sopporterà le sue spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      È annullata la decisione della Commissione 18 marzo 2004 sul rigetto di una domanda di accesso al processo verbale completo della riunione dell’11 ottobre 1996, comprensivo di tutti i nominativi.

2)      La Commissione è condannata alle spese sopportate da The Bavarian Lager Co. Ltd.

3)      Il Garante europeo della protezione dei dati (GEPD) sopporterà le proprie spese.

Jaeger

Tiili

Czúcz

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 novembre 2007.

Il cancelliere

 

      Il presidente

E. Coulon

 

      M. Jaeger


* Lingua processuale: l'inglese.