Language of document : ECLI:EU:T:2018:450

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

12 luglio 2018 (*)

«Concorrenza – Intese – Mercato europeo dei cavi elettrici – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 101 TFUE – Infrazione unica e continuata – Imputabilità dell’infrazione – Presunzione – Obbligo di motivazione – Diritti fondamentali – Proporzionalità – Parità di trattamento – Beneficio d’ordine o di escussione – Competenza estesa al merito»

Nella causa T‑455/14,

Pirelli & C. SpA, con sede in Milano (Italia), rappresentata inizialmente da M. Siragusa, F. Moretti, G. Rizza e P. Ferrari, successivamente da M. Siragusa, F. Moretti, G. Rizza e A. Bardanzellu, avocats,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata inizialmente da C. Giolito, L. Malferrari e P. Rossi, successivamente da H. van Vliet, L. Malferrari e P. Rossi, in qualità di agenti, assistiti da P. Manzini, avocat,

convenuta,

sostenuta da

Prysmian Cavi e Sistemi Srl, con sede in Milano, rappresentata da C. Tesauro, F. Russo e L. Armati, avocats,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda ai sensi dell’articolo 263 TFUE, intesa ad ottenere, da un lato, l’annullamento della decisione C(2014) 2139 final della Commissione, del 2 aprile 2014, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’Accordo [SEE] (caso AT.39610 – Cavi elettrici), nella parte riguardante la ricorrente, nonché, dall’altro lato, la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta a quest’ultima,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione),

composto da A.M. Collins, presidente, M. Kancheva (relatore) e R. Barents, giudici,

cancelliere: J. Palacio González, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 marzo 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti all’origine della controversia

 Ricorrente e settore interessato

1        La ricorrente, Pirelli & C. SpA, già Pirelli SpA, è una società italiana. Tra il 18 febbraio 1999 e il 28 luglio 2005, essa era la società madre della Pirelli Cavi e Sistemi SpA, e successivamente della Pirelli Cavi e Sistemi Energia SpA. Nel luglio 2005, essa ha ceduto quest’ultima società, in quanto impresa di livello mondiale nel settore dei cavi elettrici sottomarini e sotterranei, alla GSCP Athena Energia Srl, una controllata indiretta della The Goldman Sachs Group, Inc. (in prosieguo: la «Goldman Sachs»). A seguito di tale cessione, la Pirelli Cavi e Sistemi Energia SpA è stata rinominata Prysmian Cavi e Sistemi Energia Srl, e poi Prysmian Cavi e Sistemi Srl, odierna interveniente. Quest’ultima fa attualmente parte del gruppo Prysmian, del quale la società capogruppo è la Prysmian SpA, che detiene essa interveniente al 100%.

2        I cavi elettrici sottomarini e sotterranei sono utilizzati, rispettivamente sott’acqua e sotto terra, per la trasmissione e la distribuzione di elettricità. Essi sono classificati in tre categorie: bassa tensione, media tensione, nonché alta ed altissima tensione. I cavi elettrici ad alta e altissima tensione sono, nella maggioranza dei casi, venduti nell’ambito di progetti. Tali progetti consistono in una combinazione formata dal cavo elettrico e dalle attrezzature, dagli impianti e dai servizi supplementari necessari. I cavi elettrici ad alta ed altissima tensione vengono venduti nel mondo intero a grandi gestori di reti nazionali e ad altre imprese di elettricità, principalmente nell’ambito di appalti pubblici.

 Procedimento amministrativo

3        Con lettera del 17 ottobre 2008, la società svedese ABB AB ha fornito alla Commissione delle Comunità europee una serie di dichiarazioni e di documenti relativi a pratiche commerciali restrittive nel settore della produzione e della fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini. Tali dichiarazioni e tali documenti sono stati presentati nell’ambito di una domanda di immunità ai sensi della comunicazione della Commissione relativa all’immunità dalle ammende o alla riduzione del loro importo nei casi di cartelli tra imprese (GU 2006, C 298, pag. 17; in prosieguo: la «comunicazione sul trattamento favorevole»).

4        Dal 28 gennaio al 3 febbraio 2009, a seguito delle dichiarazioni della ABB, la Commissione ha effettuato delle ispezioni nei locali della Prysmian e della Prysmian Cavi e Sistemi Energia, nonché di altre società europee interessate, vale a dire la Nexans SA e la Nexans France SAS.

5        Il 2 febbraio 2009, le società giapponesi Sumitomo Electric Industries Ltd, Hitachi Cable Ltd e J‑Power Systems Corp. hanno presentato una domanda congiunta di immunità dall’ammenda, a norma del paragrafo 14 della comunicazione sul trattamento favorevole, o, in subordine, di riduzione dell’importo dell’ammenda, a norma del paragrafo 27 della medesima comunicazione. Dette società hanno poi trasmesso alla Commissione ulteriori dichiarazioni orali e altri documenti.

6        Nel corso dell’indagine, la Commissione ha inviato varie richieste di informazioni, a norma dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli [101] e [102 TFUE] (GU 2003, L 1, pag. 1), nonché ai sensi del paragrafo 12 della comunicazione sul trattamento favorevole, ad imprese operanti nel settore della produzione e della fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini.

7        Il 30 giugno 2011, la Commissione ha avviato un procedimento ed ha adottato una comunicazione degli addebiti nei confronti delle seguenti entità giuridiche: Nexans France, Nexans, Prysmian Cavi e Sistemi Energia, Prysmian, Goldman Sachs, Sumitomo Electric Industries, Hitachi Cable, J‑Power Systems, Furukawa Electric Co. Ltd, Fujikura Ltd, Viscas Corp., SWCC Showa Holdings Co. Ltd, Mitsubishi Cable Industries Ltd, Exsym Corp., ABB, ABB Ltd, Brugg Kabel AG, Kabelwerke Brugg AG Holding, nkt cables GmbH, NKT Holding A/S, Silec Cable SAS, Grupo General Cable Sistemas, SA, Safran SA, General Cable Corp., LS Cable & System Ltd, Taihan Electric Wire Co. Ltd e la ricorrente.

8        Dall’11 al 18 giugno 2012, tutti i destinatari della comunicazione degli addebiti, ad eccezione della Furukawa Electric, hanno partecipato ad un’audizione amministrativa dinanzi alla Commissione.

9        Con le sentenze del 14 novembre 2012, Nexans France e Nexans/Commissione (T‑135/09, EU:T:2012:596), e del 14 novembre 2012, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi Energia/Commissione (T‑140/09, non pubblicata, EU:T:2012:597), il Tribunale ha parzialmente annullato le decisioni di ispezione rivolte, da un lato, nei confronti della Nexans e della Nexans France e, dall’altro, nei confronti della Prysmian e della Prysmian Cavi e Sistemi Energia, nella parte in cui esse riguardavano cavi elettrici diversi dai cavi elettrici sottomarini e sotterranei ad alta tensione e il materiale connesso ai cavi diversi da questi ultimi, ed ha respinto i ricorsi per il resto. Il 24 gennaio 2013, la Nexans e la Nexans France hanno proposto un’impugnazione contro la prima di queste sentenze. Con sentenza del 25 giugno 2014, Nexans e Nexans France/Commissione (C‑37/13 P, EU:C:2014:2030), la Corte ha respinto tale impugnazione.

10      Il 2 aprile 2014, la Commissione ha adottato la propria decisione C(2014) 2139 final, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 [TFUE] e dell’articolo 53 dell’Accordo [SEE] (caso AT.39610 – Cavi elettrici) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Decisione impugnata

 Infrazione in esame

11      L’articolo 1 della decisione impugnata stabilisce che varie imprese hanno violato l’articolo 101 TFUE partecipando nel corso di diversi periodi ad un’infrazione unica e continuata, «avente per oggetto i cavi elettrici ad alta (altissima) tensione sotterranei e/o sottomarini». In sostanza, la Commissione ha constatato che, a partire dal febbraio 1999 e fino alla fine del gennaio 2009, i principali produttori europei, giapponesi e sudcoreani di cavi elettrici sottomarini e sotterranei avevano partecipato ad una rete di riunioni multilaterali e bilaterali ed avevano instaurato contatti intesi a restringere la concorrenza per progetti di cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta (altissima) tensione in territori specifici, ripartendosi i mercati e i clienti e falsando così il normale gioco della concorrenza (punti da 10 a 13 e 66 della suddetta decisione).

12      Nella decisione impugnata, la Commissione ha affermato che l’intesa rivestiva due configurazioni principali che costituivano un insieme articolato. Più precisamente, a suo avviso, l’intesa si componeva di due parti, vale a dire:

–        la «configurazione A/R di cartello», che raggruppava le imprese europee, generalmente denominate «membri R», le imprese giapponesi, designate come «membri A», e, infine, le imprese sudcoreane, designate come «membri K». Detta configurazione permetteva di realizzare l’obiettivo di assegnazione di territori e clienti tra produttori europei, giapponesi e sudcoreani. Tale assegnazione veniva effettuata in base ad un accordo sul «territorio domestico», in virtù del quale i produttori giapponesi e sudcoreani si astenevano dall’entrare in concorrenza per progetti da realizzare nel «territorio domestico» dei produttori europei, mentre questi ultimi si impegnavano a restare al di fuori dei mercati del Giappone e della Corea del sud. A ciò si aggiungeva l’assegnazione di progetti nei «territori di esportazione», ossia il resto del mondo ad esclusione, in particolare, degli Stati Uniti, assegnazione che, per un certo periodo, ha rispettato una «regola 60/40», la quale significava che il 60% dei progetti era riservato ai produttori europei ed il restante 40% ai produttori asiatici;

–        la «configurazione europea di cartello», che prevedeva l’assegnazione di territori e clienti da parte dei produttori europei per progetti da realizzare all’interno del «territorio domestico» europeo o attribuiti ai produttori europei (v. sezione 3.3 della decisione impugnata e, in particolare, punti 73 e 74 di detta decisione).

13      La Commissione ha constatato che i partecipanti all’intesa avevano istituito obblighi di comunicazione di dati, per consentire il monitoraggio delle assegnazioni concordate (punti da 94 a 106 e da 111 a 115 della decisione impugnata).

14      Tenendo conto del ruolo ricoperto dai diversi partecipanti all’intesa nell’attuazione di quest’ultima, la Commissione li ha classificati in tre gruppi. Anzitutto, essa ha definito il gruppo dei soggetti principali dell’intesa, del quale facevano parte, da un lato, le imprese europee Nexans France, le imprese controllate della ricorrente che avevano partecipato in successione all’intesa, nonché l’interveniente, e, dall’altro, le imprese giapponesi Furukawa Electric, Fujikura e la loro impresa comune Viscas, nonché la Sumitomo Electric Industries, la Hitachi Cable e la loro impresa comune J‑Power Systems (punti da 545 a 561 della decisione impugnata). Poi, essa ha identificato un gruppo di imprese che non facevano parte del gruppo dei soggetti principali, ma che non potevano per questo essere considerate come membri marginali dell’intesa, ed ha classificato in tale gruppo la ABB, la Exsym, la Brugg Kabel e l’entità costituita dalla Sagem SA, dalla Safran e dalla Silec Cable (punti da 562 a 575 di detta decisione). Infine, la Commissione ha considerato che la Mitsubishi Cable Industries, la SWCC Showa Holdings, la LS Cable & System, la Taihan Electric Wire e la nkt cables erano membri marginali dell’intesa (punti da 576 a 594 della citata decisione).

 Responsabilità della ricorrente

15      La responsabilità della ricorrente è stata ritenuta sussistente, in sostanza, a motivo dell’esercizio, nella sua qualità di società madre, di un’influenza determinante sulle società che avevano preceduto l’interveniente fino al 28 luglio 2005. A questo scopo, la Commissione si è avvalsa della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante stabilita dalla giurisprudenza del giudice dell’Unione europea, in ragione del fatto che la ricorrente deteneva la quasi totalità del capitale delle suddette società (punti da 729 a 738 e 785 della decisione impugnata).

 Ammenda inflitta

16      L’articolo 2, lettera g), della decisione impugnata infligge un’ammenda di EUR 67 310 000 alla ricorrente «in solido» con l’interveniente per il periodo dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005.

17      Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato l’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003, nonché la metodologia illustrata negli Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione [del citato articolo] (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende»).

18      In primo luogo, per quanto riguarda l’importo di base delle ammende, la Commissione, dopo aver stabilito il valore delle vendite appropriato, in conformità del paragrafo 18 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende (punti da 963 a 994 della decisione impugnata), ha fissato la percentuale di tale valore delle vendite che rispecchiava la gravità dell’infrazione, in conformità dei paragrafi 22 e 23 dei medesimi orientamenti. A questo proposito, essa ha ritenuto che l’infrazione, per sua natura, costituisse una delle più gravi restrizioni della concorrenza, ciò che giustificava un coefficiente di gravità del 15%. Del pari, essa ha applicato una maggiorazione del 2% del coefficiente di gravità per l’insieme dei destinatari in ragione della quota di mercato aggregata nonché della portata geografica quasi mondiale dell’intesa, che copriva segnatamente l’intero territorio dello Spazio economico europeo (SEE). Inoltre, essa ha ritenuto, in particolare, che il comportamento delle imprese europee fosse più dannoso per la concorrenza di quello delle altre imprese, in quanto, oltre alla loro partecipazione alla «configurazione A/R del cartello», le imprese europee si erano spartite i progetti di cavi elettrici nell’ambito della «configurazione europea del cartello». Per tale ragione, la Commissione ha fissato la percentuale del valore delle vendite da prendere in considerazione a titolo della gravità dell’infrazione nella misura del 19% per le imprese europee e del 17% per le altre imprese (punti da 997 a 1010 di detta decisione).

19      Per quanto riguarda il coefficiente moltiplicatore relativo alla durata dell’infrazione, la Commissione ha adottato, relativamente alla ricorrente, un coefficiente di 6,41 per il periodo compreso tra il 18 febbraio 1999 e il 28 luglio 2005. Essa ha inoltre incluso nell’importo di base dell’ammenda un importo supplementare, ossia il diritto d’ingresso, corrispondente al 19% del valore delle vendite (punti da 1011 a 1016 della decisione impugnata).

20      In secondo luogo, per quanto riguarda gli adattamenti dell’importo di base delle ammende, la Commissione non ha constatato l’esistenza di circostanze aggravanti che potessero influire sull’importo di base dell’ammenda stabilito nei confronti di ciascuno dei partecipanti all’intesa, fatta eccezione per la ABB. Per contro, per quanto riguarda le circostanze attenuanti, essa ha deciso di far sì che l’importo delle ammende rispecchiasse il livello di partecipazione delle diverse imprese all’attuazione dell’intesa. Pertanto, essa ha ridotto del 10% l’importo di base dell’ammenda da infliggere per i membri marginali dell’intesa, e del 5% l’importo di base dell’ammenda da infliggere per le imprese il cui livello di coinvolgimento nell’intesa era medio. Inoltre, essa ha riconosciuto alla Mitsubishi Cable Industries e alla SWCC Showa Holdings per il periodo precedente la creazione della Exsym, nonché alla LS Cable & System e alla Taihan Electric Wire, una riduzione supplementare dell’1% per non essere state a conoscenza di taluni aspetti dell’infrazione unica e continuata e per la loro mancanza di responsabilità in questi ultimi. Per contro, nessuna riduzione dell’importo di base dell’ammenda è stata riconosciuta alle imprese appartenenti al gruppo dei soggetti principali dell’intesa, ivi compresa la ricorrente (punti da 1017 a 1020 e 1033 della decisione impugnata). Inoltre, la Commissione ha concesso, in applicazione degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende, una riduzione supplementare del 3% dell’importo dell’ammenda inflitta alla Mitsubishi Cable Industries a motivo della sua cooperazione effettiva al di fuori del campo di applicazione della comunicazione sul trattamento favorevole (punto 1041 di detta decisione).

 Procedimento e conclusioni delle parti

21      Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 17 giugno 2014, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

22      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 22 settembre 2014, l’interveniente ha chiesto di intervenire nella presente causa a sostegno delle conclusioni della Commissione.

23      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 14 ottobre 2014, la Commissione ha dichiarato di non avere obiezioni da sollevare contro tale istanza.

24      Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2014, la ricorrente ha chiesto al Tribunale di respingere l’istanza di intervento dell’interveniente.

25      Con atti separati, depositati nella cancelleria del Tribunale il 31 ottobre 2014 e il 12 giugno 2015, la ricorrente ha chiesto, ai sensi dell’articolo 116, paragrafo 2, del regolamento di procedura del Tribunale del 2 maggio 1991, rispettivamente, che taluni documenti e informazioni contenuti negli allegati dell’atto introduttivo del giudizio, da un lato, e taluni documenti e informazioni contenuti nella controreplica, dall’altro, fossero esclusi dal fascicolo comunicato all’interveniente, nel caso in cui l’intervento di quest’ultima fosse stato ammesso. A tal fine, la ricorrente ha prodotto una versione non riservata dei documenti in questione.

26      Con ordinanza del 25 giugno 2015, il presidente dell’Ottava Sezione del Tribunale (vecchia formazione) ha autorizzato l’intervento dell’interveniente nella presente causa.

27      L’interveniente ha depositato la memoria di intervento il 23 settembre 2015. Il 27 e il 30 novembre 2015, la Commissione e la ricorrente hanno rispettivamente presentato le loro osservazioni in merito alla memoria suddetta.

28      Nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’articolo 89 del suo regolamento di procedura, il Tribunale (Ottava Sezione) ha posto un quesito scritto alla Commissione. Quest’ultima ha risposto alla richiesta del Tribunale entro il termine impartito.

29      Essendo stata modificata la composizione delle sezioni del Tribunale, in applicazione dell’articolo 27, paragrafo 5, del regolamento di procedura, il giudice relatore è stato assegnato all’Ottava Sezione (nuova formazione), alla quale è stata dunque attribuita la presente causa.

30      Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Ottava Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento. Le parti hanno esposto le loro difese orali e illustrato le loro risposte ai quesiti formulati dal Tribunale in occasione dell’udienza del 22 marzo 2017.

31      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        in via principale, annullare la decisione impugnata nella parte concernente la ricorrente, e precisamente l’articolo 1, punto 5, lettera d), l’articolo 2, lettera g), e l’articolo 4 di detta decisione;

–        in via subordinata, disporre a suo favore un beneficio d’ordine o di escussione;

–        in via parimenti subordinata, annullare la decisione suddetta o modificare il suo articolo 2, lettera g), riducendo l’importo dell’ammenda inflittale in solido con l’interveniente in caso di eventuale pronuncia favorevole alla Prysmian e all’interveniente nel separato giudizio in ipotesi promosso da dette società con ricorso per annullamento della decisione impugnata;

–        condannare la Commissione alle spese.

32      La Commissione, sostenuta dall’interveniente, conclude che il Tribunale voglia:

–        respingere tutte le domande della ricorrente;

–        condannare la ricorrente alle spese.

 In diritto

33      Nell’ambito del ricorso, la ricorrente presenta sia conclusioni intese all’annullamento parziale della decisione impugnata, sia conclusioni miranti alla riduzione dell’importo dell’ammenda che le è stata inflitta.

 Sulle conclusioni di annullamento

34      A sostegno delle conclusioni di annullamento, la ricorrente deduce sei motivi. Il primo motivo riguarda la violazione dell’obbligo di motivazione. Il secondo motivo verte sulla violazione dei diritti fondamentali a causa dell’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante. Il terzo motivo riguarda l’inapplicabilità di tale presunzione in assenza delle condizioni che la giustificano, nonché la violazione dell’articolo 101 TFUE. Il quarto motivo è relativo alla violazione del principio di proporzionalità. Il quinto motivo è incentrato sulla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento, a causa dell’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale ai fini del pagamento dell’ammenda, nonché per la mancata previsione di un idoneo correttivo di tale principio. Il sesto motivo riguarda l’illegittimità della decisione impugnata per quanto concerne l’interveniente.

 Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione

35      La ricorrente sostiene, in sostanza, che la decisione impugnata è priva di una motivazione sufficiente per quanto riguarda il rigetto degli argomenti da essa formulati nel corso del procedimento dinanzi alla Commissione in merito all’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

36      La ricorrente fa valere che, dinanzi alla Commissione, essa ha sostenuto che l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante comportava la violazione, in particolare, dei principi della certezza del diritto e della responsabilità personale, della presunzione di innocenza e del diritto fondamentale di proprietà. Poi, essa evidenzia di aver addotto vari elementi riguardanti i vincoli economici, organizzativi e giuridici che la legavano alle società che avevano preceduto l’interveniente, al fine di dimostrare che essa non aveva esercitato un’influenza determinante su queste ultime. Infine, la ricorrente afferma di aver sottolineato che il proseguimento della partecipazione dell’interveniente all’intesa, anche dopo la cessione alla Goldman Sachs della Pirelli Cavi e Sistemi Energia, metteva in rilievo il fatto che quest’ultima società agiva in piena autonomia.

37      La ricorrente aggiunge che, nella decisione impugnata, la Commissione non ha però discusso o richiamato alcuno degli elementi di diritto e di fatto da essa addotti al fine di dimostrare la violazione, in particolare, dei principi della certezza del diritto e della responsabilità personale, della presunzione d’innocenza e del diritto fondamentale di proprietà, nonché l’autonomia di cui godevano sul mercato le società che avevano preceduto l’interveniente. Di conseguenza, la ricorrente ritiene che la Commissione non abbia esposto le ragioni che l’hanno portata ad applicarle la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, il che ha avuto come effetto di trasformare la presunzione semplice stabilita dalla giurisprudenza in una presunzione assoluta.

38      La Commissione e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

39      Ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), l’amministrazione ha l’obbligo di motivare le proprie decisioni.

40      L’obbligo di motivazione implica, secondo una giurisprudenza consolidata, che, in conformità dell’articolo 296 TFUE, l’autore di un atto deve far apparire in modo chiaro e inequivoco il ragionamento sotteso all’atto stesso, in modo tale, da un lato, da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni della misura adottata per far valere i loro diritti e, dall’altro, da permettere al giudice di esercitare il suo controllo (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 147 e la giurisprudenza ivi citata).

41      Il requisito della motivazione deve essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie, e segnatamente sulla base del contenuto dell’atto, della natura delle ragioni addotte, nonché dell’interesse che i destinatari od altri soggetti direttamente e individualmente riguardati dall’atto possono avere a ricevere spiegazioni. Non è necessario che la motivazione specifichi tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto il quesito se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va esaminato alla luce non solo del tenore letterale dell’atto stesso, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia in discussione (v. sentenza del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

42      L’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 296 TFUE costituisce una formalità sostanziale che deve essere distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, tenuto conto che quest’ultima attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso (v. sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 67; del 22 marzo 2001, Francia/Commissione, C‑17/99, EU:C:2001:178, punto 35, e del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 146 e la giurisprudenza ivi citata).

43      Nel caso di specie occorre ricordare che, come si è indicato al punto 15 supra, la responsabilità della ricorrente nella presente causa è stata ritenuta sussistente in ragione dell’esercizio, nella sua qualità di società madre, di un’influenza determinante sulle società che avevano preceduto l’interveniente fino al 28 luglio 2005. A tal fine, la Commissione ha fatto ricorso alla presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante stabilita dal giudice dell’Unione, a causa della detenzione, da parte della ricorrente, della quasi totalità del capitale delle suddette società.

44      Al fine di motivare tale decisione, occorre constatare, anzitutto, che la Commissione, ai punti da 692 a 706 della decisione impugnata, ha ricordato i principi giurisprudenziali relativi all’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

45      In particolare, da un lato, al punto 696 della decisione impugnata, la Commissione ha chiarito che, secondo la giurisprudenza, il diritto dell’Unione in materia di concorrenza riconosce che varie società appartenenti ad uno stesso gruppo costituiscono un’entità economica qualora esse non determinino in modo autonomo il loro comportamento sul mercato. Essa ha aggiunto che in questo caso, la società madre che esercita un’influenza determinante su una controllata forma un’entità economica unica con tale controllata e può dunque essere ritenuta responsabile di un’infrazione per il fatto di far parte della stessa impresa che ha violato il diritto della concorrenza.

46      Dall’altro lato, al punto 697 della decisione impugnata, la Commissione ha ricordato che, secondo la giurisprudenza, nel caso in cui una società madre detenga il 100% del capitale della propria controllata, esiste una presunzione relativa secondo la quale tale società madre esercita effettivamente tale influenza determinante, senza che la Commissione sia tenuta a fornire prove supplementari a dimostrazione dell’esercizio effettivo di un’influenza siffatta.

47      Poi, nella decisione impugnata, la Commissione ha chiarito, in merito all’imputazione della responsabilità dell’infrazione alla ricorrente, nella sua qualità di società madre delle società che avevano preceduto l’interveniente, quanto segue:

«(729)      Gli elementi probatori descritti nella presente decisione mostrano che i dipendenti di [Pirelli Cavi e Sistemi], successivamente [Pirelli Cavi e Sistemi Energia] e infine [Prysmian Cavi e Sistemi Energia] (divenuta [Prysmian Cavi e Sistemi]) hanno partecipato direttamente all’infrazione tra il 18 febbraio 1999 e il 28 gennaio 2009. [Prysmian Cavi e Sistemi] deve quindi essere ritenuta responsabile per la sua partecipazione all’infrazione.

(730)            Il gruppo Pirelli è stato attivo nel settore dei cavi elettrici [sottomarini] e [sotterranei] almeno dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005. Fino al l° luglio 2001 le attività nel settore dei cavi elettrici sono state svolte da [Pirelli Cavi e Sistemi], che il l° luglio 2001 ha trasferito le proprie attività operative nel settore dei cavi elettrici alla consociata [Pirelli Cavi e Sistemi Energia Italia]. Il 27 novembre 2001 [Pirelli Cavi e Sistemi] è stata (parzialmente) scissa in due holding di settore. A partire da quella data [Pirelli Cavi e Sistemi Energia] diventò il successore legale ed economico di [Pirelli Cavi e Sistemi] responsabile dell’attività di cavi elettrici [sottomarini] e [sotterranei]. Nel maggio 2002 [Pirelli Cavi e Sistemi] è stata assorbita dal suo unico azionista Pirelli S.p.A.

(731)            [Pirelli] e Pirelli Finance S.A. possedevano il 98,75% e 1’1,25% rispettivamente di [Pirelli Cavi e Sistemi] e successivamente di [Pirelli Cavi e Sistemi Energia]. Il 4 agosto 2003 [Pirelli] è stata assorbita [dalla ricorrente].

(…)

(735)            [Pirelli Cavi e Sistemi Energia Italia] (in precedenza [Pirelli Cavi e Sistemi]) era detenuta quasi al 100% [dalla ricorrente] (in precedenza [Pirelli]) dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005.

(736)            [La ricorrente] ha dichiarato che non era a conoscenza delle pratiche anticoncorrenziali messe in atto dalla propria consociata e di aver emanato un codice etico volto a garantire il rispetto della legislazione antitrust applicabile. [Essa] ha inoltre affermato che la Commissione ha agito in violazione dei suoi diritti alla difesa e del principio della certezza giuridica, definendo la responsabilità della società madre sulla base di una presunzione assoluta ed eccessivamente arbitraria. Infine, [la ricorrente] ha dichiarato che in seguito alla cessione di attività nel settore dei cavi elettrici, essa non ha potuto accedere alle prove documentarie necessarie a contestare la fondatezza degli argomenti della Commissione.

(737)            La Commissione ritiene che [la ricorrente] non sia stata in grado di superare la presunzione di responsabilità per le infrazioni commesse da [Pirelli Cavi e Sistemi Energia]. Inoltre, sebbene la Commissione accolga con favore le misure adottate dalle imprese per evitare il ripetersi di infrazioni costituite da cartelli e per segnalare le infrazioni alle autorità competenti, tali misure non fanno venir meno l’effettività delle infrazioni e la necessità di sanzionarle. [La ricorrente] non ha dimostrato che [Pirelli Cavi e Sistemi Energia] abbia determinato la propria politica commerciale in modo da non costituire un’unica entità economica con la propria società madre e quindi un’unica impresa ai sensi dell’articolo 101 del trattato. Per quanto riguarda la presunta violazione dei diritti alla difesa e del principio della certezza del diritto, la Commissione osserva che la legittimità della presunzione di responsabilità della società madre è confermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

(738)            La Commissione ritiene quindi che [la ricorrente] debba essere ritenuta responsabile, anche come successore legale della precedente controllante [Pirelli], del comportamento anticoncorrenziale della sua precedente controllata nel periodo che va dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005».

48      Risulta dai summenzionati punti della decisione che la Commissione ha chiarito, in maniera dettagliata, i rapporti esistenti tra la ricorrente e le società che avevano preceduto l’interveniente, constatando che la Pirelli Cavi e Sistemi Energia, già Pirelli Cavi e Sistemi e poi divenuta l’interveniente, era stata detenuta dalla ricorrente per quasi il 100% nel periodo dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005. Date tali circostanze, non contestate dalla ricorrente, la Commissione ha concluso che si poteva presumere che la ricorrente avesse esercitato un’influenza determinante sulle proprie controllate e che essa poteva dunque essere ritenuta responsabile, in quanto società madre nonché in quanto successore legale della precedente società madre [Pirelli], per il comportamento anticoncorrenziale delle suddette controllate sul mercato.

49      Pertanto, la decisione impugnata fa apparire, in modo chiaro e inequivoco, in conformità delle statuizioni della giurisprudenza ricordata ai punti da 40 a 42 supra, il ragionamento seguito dalla Commissione per applicare alla ricorrente la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante. La ricorrente non può dunque imputare alla Commissione un difetto di motivazione al riguardo.

50      La ricorrente non può neppure far valere che il rigetto delle osservazioni da essa formulate durante il procedimento dinanzi alla Commissione per confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non fosse sufficientemente motivato.

51      Infatti, in primo luogo, occorre rilevare che, come risulta dalla risposta della ricorrente alla comunicazione degli addebiti, la maggior parte degli argomenti da essa formulati nei confronti delle constatazioni della Commissione in occasione del procedimento amministrativo è consistita nell’affermare che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante era incompatibile con i diritti previsti dalla Carta nonché dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Orbene, nella decisione impugnata, la Commissione ha risposto ai suddetti argomenti affermando, al punto 737 di tale decisione, che la legittimità della presunzione di cui sopra era stata «confermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia», facendo segnatamente riferimento al rispetto dei diritti fondamentali.

52      In secondo luogo, nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha segnalato in due occasioni, per contestare l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, che essa aveva imposto alle proprie controllate un codice etico volto a garantire il rispetto della normativa in materia di concorrenza, la cui attuazione era stata affidata ad uno specifico organo di vigilanza interno al gruppo. A questo proposito, è giocoforza constatare che la Commissione ha respinto tale argomento ai punti 736 e 737 della decisione impugnata, sottolineando, in sostanza, che, secondo la giurisprudenza della Corte, un organo siffatto non consentiva di invalidare la presunzione suddetta.

53      In terzo luogo, è senz’altro vero, come fatto valere dalla ricorrente, che la Commissione non ha fornito una risposta specifica ad altri argomenti in un primo momento brevemente formulati nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti e poi illustrati in occasione dell’audizione del 12 giugno 2012, al fine di dimostrare l’autonomia di cui avrebbe goduto l’interveniente durante il periodo dell’infrazione. È questo il caso, in particolare, dell’argomento della ricorrente secondo cui l’interveniente presentava una struttura che le consentiva di operare in maniera autonoma («stand‑alone») sul mercato, dell’argomento secondo cui la condizione di holding finanziaria della ricorrente, controllante varie società differenti e attiva in vari settori commerciali, escludeva la possibilità di esercitare un’influenza determinante su tutte le sue società, compresa l’interveniente, nonché dell’argomento secondo cui l’attività di trasmissione della relazione mensile tra la ricorrente e l’interveniente era di natura puramente informativa e contabile.

54      Tuttavia, secondo la giurisprudenza, se certo la Commissione deve esporre, nella propria decisione, le ragioni per le quali ritiene che gli elementi addotti siano insufficienti per confutare la presunzione dell’esercizio di un’influenza determinante, da ciò non deriva che essa sia tenuta, in ciascun caso, a discutere specificamente ciascuno degli elementi presentati dalle imprese interessate (v., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2014, Elf Aquitaine/Commissione, T‑40/10, non pubblicata, EU:T:2014:61, punto 169 e la giurisprudenza ivi citata).

55      Nel caso di specie, è giocoforza constatare come la Commissione abbia affermato, al punto 737 della decisione impugnata, che la ricorrente non era riuscita a confutare la presunzione secondo cui essa era responsabile per le infrazioni commesse dalle società che avevano preceduto l’interveniente, e segnatamente a dimostrare che le società in questione non costituivano un’unica entità economica e dunque neppure un’unica impresa ai fini dell’articolo 101 TFUE. Orbene, una siffatta risposta era sufficiente per consentire alla ricorrente di sapere che gli argomenti da essa formulati per dimostrare la presunta autonomia dell’interveniente durante il periodo dell’infrazione non erano stati accolti, e di conoscere, in definitiva, la decisione finale della Commissione nei suoi confronti, ferma restando la possibilità per il Tribunale di esercitare il proprio controllo su tali argomenti.

56      In quarto luogo, la ricorrente sostiene di aver indicato alla Commissione, nelle osservazioni scritte da essa presentate in merito alla risposta dell’interveniente alla comunicazione degli addebiti, tutta una serie di argomenti riguardanti i vincoli economici, organizzativi e giuridici esistenti tra le società che avevano preceduto l’interveniente ed essa ricorrente, argomenti che dimostrerebbero l’assenza dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante da parte sua sulle suddette società.

57      Tuttavia, occorre constatare, al pari della Commissione, che tali argomenti non erano destinati a contestare l’applicazione, da parte della Commissione, della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, bensì a confutare gli argomenti dell’interveniente secondo cui, in sostanza, la responsabilità della partecipazione all’infrazione doveva essere imputata esclusivamente alla ricorrente in quanto società gerente la sua attività operativa dal 18 febbraio 1999 al 28 luglio 2005. Pertanto, la ricorrente non può imputare alla Commissione di non aver fornito una risposta ai suoi argomenti nell’ambito della valutazione effettuata in merito all’applicazione della presunzione suddetta. Inoltre, occorre sottolineare che gli argomenti formulati dall’interveniente nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti sono stati esaminati dalla Commissione ai punti 733 e 734 della decisione impugnata, la quale ha accolto la posizione sostenuta dalla ricorrente nelle sue osservazioni in merito alla risposta dell’interveniente. Pertanto, nessun difetto di motivazione può essere imputato alla Commissione a questo proposito.

58      In quinto luogo, la ricorrente fa valere che la Commissione non ha fornito una risposta all’argomento da essa formulato nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti e in occasione dell’audizione del 12 giugno 2012, secondo cui la prova dell’assenza della sua influenza determinante sull’interveniente derivava dal fatto che, anche dopo la cessione alla società Goldman Sachs in data 28 luglio 2005, l’interveniente aveva continuato a partecipare all’intesa.

59      A questo proposito, occorre rilevare che, ai punti 746 e 747 della decisione impugnata, la Commissione ha ritenuto altresì responsabile dell’intesa la Goldman Sachs, in solido con l’interveniente, avendo considerato, al pari della ricorrente, che la Goldman Sachs costituisse un’entità economica unica, insieme con la sua controllata, e, di conseguenza, un’impresa unica ai fini dell’articolo 101 TFUE sino alla fine del periodo di infrazione. Orbene, così facendo, la Commissione ha permesso alla ricorrente di comprendere che il suo argomento non era sufficiente per dimostrare una condizione di autonomia e che, in sostanza, detto argomento non veniva accolto.

60      Risulta da quanto sopra esposto che la Commissione, sulla base delle considerazioni svolte nella decisione impugnata, ha motivato, in termini giuridicamente sufficienti, la propria decisione di imputare la responsabilità dell’infrazione alla ricorrente, nella sua qualità di società madre dell’interveniente, nonché la propria valutazione secondo cui la ricorrente non era riuscita a confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante che detta istituzione aveva applicato nei suoi confronti.

61      Di conseguenza, occorre concludere che la Commissione non ha violato l’obbligo di motivazione che le incombe in virtù dell’articolo 296 TFUE.

62      Il primo motivo di ricorso deve dunque essere respinto.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dei diritti fondamentali a causa dell’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante

63      Con il suo secondo motivo, la ricorrente fa valere che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante è incompatibile con il principio della responsabilità personale e con la presunzione di innocenza, previsti dalla Carta e dalla CEDU. Inoltre, essa afferma che l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante viola il diritto di proprietà nonché i diritti della difesa.

–       Sulla prima censura, relativa a violazioni del principio della responsabilità personale e della presunzione di innocenza

64      Per quanto riguarda, in primo luogo, le violazioni del principio della responsabilità personale e della presunzione di innocenza, la ricorrente sostiene che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante costituisce di per sé un’eccezione al principio di cui sopra e alla citata presunzione d’innocenza, in quanto l’onere della prova deve, per regola generale, incombere alla Commissione ed il dubbio deve andare a vantaggio dell’accusato. La CEDU non ammetterebbe un’inversione dell’onere della prova se non entro limiti ragionevoli ed autorizzerebbe il ricorso a presunzioni soltanto qualora queste perseguano un obiettivo di politica generale e a condizione che esse non siano applicate in maniera meccanica e possano essere confutate in maniera effettiva. Su tale base, la ricorrente fa osservare in particolare che addossare a un’entità societaria la responsabilità delle azioni di un’altra equivale, nel sistema della Carta e della CEDU, ad ammettere la nozione della responsabilità penale senza colpa e per fatto altrui.

65      La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

66      Secondo una costante giurisprudenza della Corte, che non è stata rimessa in questione con l’entrata in vigore della Carta, in determinate circostanze una persona giuridica che non sia l’autore di un’infrazione al diritto della concorrenza può nondimeno essere sanzionata per il comportamento illecito di un’altra persona giuridica, qualora tali persone giuridiche facciano entrambe parte della stessa entità economica e formino così un’impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 145 e la giurisprudenza ivi citata).

67      Risulta in tal senso da una costante giurisprudenza che il comportamento di una controllata può essere imputato alla società madre segnatamente quando, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la propria condotta sul mercato, bensì si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società madre, in considerazione in particolare dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra queste due entità giuridiche (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 146 e la giurisprudenza ivi citata).

68      A tal riguardo, la Corte ha precisato che, nella particolare ipotesi in cui una società madre deteneva, direttamente o indirettamente, la totalità o la quasi totalità del capitale della propria controllata autrice di un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione, esisteva una presunzione relativa secondo cui tale società madre esercitava effettivamente un’influenza determinante sulla propria controllata (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 147 e la giurisprudenza ivi citata).

69      In una situazione del genere, è sufficiente che la Commissione dimostri che la totalità o la quasi totalità del capitale di una controllata è detenuta, direttamente o indirettamente, dalla società madre di quest’ultima per considerare operante la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante. Spetta poi a tale società madre confutare la presunzione in questione fornendo sufficienti elementi di prova relativi ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra essa e la sua controllata, idonei a dimostrare la condotta autonoma di quest’ultima sul mercato. Se la società madre non confuta detta presunzione, la Commissione potrà considerare che tale società e la sua controllata fanno parte di una medesima unità economica e che la prima è responsabile del comportamento della seconda, e condannare le due società in solido al pagamento di un’ammenda, senza che occorra dimostrare il coinvolgimento personale della società madre nell’infrazione (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 148 e la giurisprudenza ivi citata).

70      Nel caso di specie, occorre rilevare che, come risulta dall’atto introduttivo del giudizio, la ricorrente non contesta, nell’ambito della presente censura, la concreta applicazione effettuata dalla Commissione nei confronti della ricorrente medesima della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, come illustrato ai punti da 729 a 738 della decisione impugnata. Per contro, essa fa valere l’incompatibilità di tale presunzione, da un lato, con il principio della responsabilità personale e, dall’altro, con la presunzione di innocenza.

71      Orbene, il giudice dell’Unione ha affermato a più riprese che la Commissione non viola né il principio della responsabilità personale né la presunzione di innocenza laddove essa applichi la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

72      Infatti, anzitutto occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il fatto che la società madre di un gruppo, la quale eserciti un’influenza determinante sulle proprie controllate, possa essere dichiarata responsabile in solido delle infrazioni del diritto della concorrenza commesse da queste ultime non costituisce in alcun modo una violazione del principio della responsabilità personale, ma, al contrario, rappresenta un’espressione di tale principio. Infatti, la società madre e le controllate soggette alla sua influenza determinante formano insieme un’unica impresa ai sensi delle norme dell’Unione in materia di concorrenza, impresa della quale queste società sono responsabili, e nel caso in cui tale impresa violi, intenzionalmente o per negligenza, le norme sulla concorrenza, essa farà sorgere la responsabilità personale e solidale dell’insieme delle persone giuridiche componenti la struttura del gruppo (v. sentenza del 27 settembre 2012, Nynäs Petroleum e Nynas Belgium/Commissione, T‑347/06, EU:T:2012:480, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata; v. anche, in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Akzo Nobel e a./Commissione, C‑97/08 P, EU:C:2009:262, paragrafo 97).

73      Poi, risulta da una consolidata giurisprudenza che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non viola il diritto alla presunzione di innocenza, in quanto, da un lato, essa non si risolve in una presunzione di colpevolezza dell’una o dell’altra di queste società (v. sentenza del 26 gennaio 2017, Villeroy & Boch/Commissione, C‑625/13 P, EU:C:2017:52, punto 149 e la giurisprudenza ivi citata) e, dall’altro, la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante può essere confutata (v. sentenza del 19 giugno 2014, FLS Plast/Commissione, C‑243/12 P, EU:C:2014:2006, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

74      Infine, è sufficiente aggiungere che, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, il fatto che sia difficile fornire la prova contraria necessaria per confutare una presunzione di esercizio effettivo di un’influenza determinante non implica, di per sé, secondo una costante giurisprudenza della Corte, che detta presunzione sia di fatto insuperabile e, dunque, contraria al principio della presunzione di innocenza (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2016, Evonik Degussa e AlzChem/Commissione, C‑155/14 P, EU:C:2016:446, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata).

75      Ne consegue che la censura della ricorrente secondo cui la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante è incompatibile con il principio della responsabilità personale e con la presunzione di innocenza, quali previsti dalla Carta e dalla CEDU, deve essere respinta.

–       Sulla seconda censura, relativa alla violazione del diritto di proprietà

76      Per quanto riguarda la violazione del diritto di proprietà, la ricorrente sostiene che l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante finisce per disincentivare taluni assetti proprietari, come quelli delle holding industriali, posto che queste ultime, anche nel caso di completa estraneità rispetto alle condotte anticoncorrenziali delle loro società controllate, sono comunque ritenute responsabili di tali comportamenti. Al contrario, scenari proprietari differenti, come un azionariato diffuso o il semplice controllo in ragione di una partecipazione inferiore alla quasi totalità delle azioni, non esporrebbero ad un tale rischio. La ricorrente ritiene pertanto che la presunzione suddetta costituisca una violazione della Carta e della CEDU, nonché dell’articolo 345 TFUE, nella misura in cui essa è fondata su un’arbitraria ed ingiustificata disparità di trattamento tra i diversi regimi proprietari. Infine, la ricorrente fa osservare che tale presunzione è suscettibile di pregiudicare, in modo iniquo e irragionevole, i suoi piccoli azionisti.

77      La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

78      Secondo una costante giurisprudenza, la nozione di impresa che risulta dall’articolo 101 TFUE designa qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di tale entità e dalle sue modalità di finanziamento. In proposito la Corte ha precisato, da un lato, che la nozione di impresa, collocata in tale contesto, doveva essere intesa come designante un’unità economica, quand’anche, dal punto di vista giuridico, tale unità economica fosse costituita da più persone fisiche o giuridiche, e, dall’altro, che tale entità economica, qualora violasse le regole dettate in materia di concorrenza, era tenuta, secondo il principio di responsabilità personale, a rispondere dell’infrazione in questione (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).

79      Ne consegue che, come risulta, in sostanza, dalla giurisprudenza citata al punto 67 supra, una società madre, qualora eserciti un’influenza determinante sulla propria controllata, può vedersi imputare la responsabilità del comportamento di tale controllata nel caso in cui entrambe queste società facciano parte della medesima entità economica e formino dunque un’impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

80      Nel caso di specie, in primis, riguardo all’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, occorre ricordare che, conformemente alla giurisprudenza citata ai punti 68 e 69 supra, essa ha come conseguenza che, se la Commissione dimostra che la totalità o la quasi totalità del capitale di una controllata è detenuta, direttamente o indirettamente, dalla sua società madre, è a quest’ultima che incombe fornire elementi di prova sufficienti in ordine ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra essa e la propria controllata, idonei a dimostrare che tale controllata opera sul mercato in maniera autonoma.

81      Orbene, è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante si applica indiscriminatamente a tutte le entità economiche che soddisfino il presupposto oggettivo per la sua applicazione, vale a dire la detenzione, da parte della società madre, della totalità o della quasi totalità del capitale di una controllata. Inoltre, dato che la suddetta presunzione permette alla Commissione soltanto di non dover più dimostrare l’esercizio di un’influenza determinante da parte della società madre sulla sua controllata e che essa resta in ogni caso confutabile, nulla permette di concludere che tale presunzione comporti una limitazione sul regime delle diverse forme di proprietà societaria o che, come pretende la ricorrente, la presunzione in questione sia suscettibile di disincentivare taluni assetti proprietari quali le holding industriali.

82      In secundis, per quanto riguarda l’argomento relativo alla violazione dell’articolo 345 TFUE, occorre ricordare che, ai sensi di tale disposizione, i Trattati lasciano impregiudicati i regimi della proprietà negli Stati membri. Occorre altresì ricordare che, in virtù della giurisprudenza, detta disposizione vieta all’Unione di operare discriminazioni tra regimi di proprietà privata e regimi di proprietà pubblica in seno agli Stati membri (v., in tal senso, sentenze del 22 ottobre 2013, Essent e a., da C‑105/12 a C‑107/12, EU:C:2013:677, punti da 29 a 34; del 24 ottobre 2013, Land Burgenland e a./Commissione, C‑214/12 P, C‑215/12 P e C‑223/12 P, EU:C:2013:682, punti da 92 a 100; del 4 settembre 2014, SNCM e Francia/Corsica Ferries France, C‑533/12 P e C‑536/12 P, EU:C:2014:2142, punto 38; dell’8 aprile 2014, ABN Amro Group/Commissione, T‑319/11, EU:T:2014:186, punti da 147 a 155, e del 15 gennaio 2015, Francia/Commissione, T‑1/12, EU:T:2015:17, punti da 91 a 102). Nel caso di specie, la ricorrente non sostiene tuttavia che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante possa dar luogo ad un siffatto genere di discriminazioni. Di conseguenza, l’articolo 345 TFUE non è idoneo a fondare, in quanto tale, l’addebito secondo cui la presunzione suddetta istituisce una disparità di trattamento tra le holding industriali ed altre società madri.

83      In ogni caso, risulta da una costante giurisprudenza della Corte che l’articolo 345 TFUE non ha come conseguenza che i regimi di proprietà esistenti negli Stati membri sfuggano alle norme fondamentali del Trattato, ivi comprese quelle in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2013, Essent e a., da C‑105/12 a C‑107/12, EU:C:2013:677, punto 36 e la giurisprudenza ivi citata). Inoltre, la disposizione suddetta non impedisce di ricollegare delle conseguenze alla detenzione della maggioranza del capitale di un’impresa qualora vi siano ragioni oggettive per far ciò (v., in tal senso, sentenza dell’8 aprile 2014, ABN Amro Group/Commissione, T‑319/11, EU:T:2014:186, punto 153), come avviene, nella presente fattispecie, per quanto riguarda la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte.

84      Infine, quanto all’argomento della ricorrente secondo cui l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante può pregiudicare i suoi piccoli azionisti, è sufficiente rilevare che un argomento siffatto, anche a supporlo ricevibile in conformità delle regole disciplinanti la legittimazione ad agire davanti ai Tribunali dell’Unione, non è suffragato da prove concrete, sicché occorre respingerlo in quanto manifestamente infondato.

85      Di conseguenza, occorre concludere che, nel caso di specie, l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non viola né il diritto di proprietà né l’articolo 345 TFUE, nel senso asserito dalla ricorrente, e che dunque la presente censura deve essere respinta.

–       Sulla terza censura, relativa alla violazione dei diritti della difesa

86      Per quanto riguarda i diritti della difesa, la ricorrente sostiene che i suoi diritti sono stati violati, dal momento che essa ha ceduto i propri archivi ed i documenti relativi alle società che avevano preceduto l’interveniente all’atto del trasferimento della proprietà di queste ultime alla Goldman Sachs, sicché essa non è stata oggettivamente in grado di difendersi nel merito riguardo all’infrazione constatata, in quanto essa non disponeva delle informazioni necessarie a tal fine.

87      La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

88      In ossequio ad una costante giurisprudenza, in virtù dell’obbligo generale di prudenza che incombe ad ogni impresa o associazione d’imprese, la ricorrente è tenuta ad assicurare la buona conservazione nei suoi libri o archivi degli elementi che consentano di documentare le sue attività, al fine, in particolare, di disporre delle prove necessarie nell’eventualità di azioni giudiziarie o amministrative (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2011, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, T‑240/07, EU:T:2011:284, punto 301 e la giurisprudenza ivi citata). Tale obbligo vale anche in caso di cessione di una controllata, ai sensi della sentenza del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione (T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 152).

89      Ne consegue che la ricorrente non può sostenere di non essere stata obiettivamente in grado di difendersi nel merito riguardo all’infrazione constatata, per il fatto che essa non avrebbe disposto delle informazioni necessarie a tal fine.

90      La ricorrente sostiene che, nella sentenza del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione (T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 152), la cessione della società controllata che veniva in questione in quella causa aveva avuto luogo dopo le prime ispezioni della Commissione, mentre invece essa ricorrente ha avuto conoscenza dell’indagine della Commissione soltanto dopo la cessione della propria controllata. Per questa ragione, essa ritiene che la presente fattispecie sia sostanzialmente differente da quella esaminata nella sentenza summenzionata.

91      Tuttavia, occorre considerare che il dovere di conservare gli elementi necessari al fine di potersi difendere in caso di azioni giudiziarie si impone a qualsiasi società in tutte le situazioni e non si applica unicamente nel caso in cui la società madre detenga ancora la controllata al momento delle ispezioni effettuate dalla Commissione. In caso contrario, sarebbe sufficiente per una società madre cedere la propria società controllata prima dell’avvio di un procedimento di indagine in materia di concorrenza per evitare qualsiasi responsabilità nell’infrazione adducendo a pretesto una violazione dei diritti della difesa (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, EU:C:2014:301, punto 52). Pertanto, occorre constatare, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, che le considerazioni enunciate nella giurisprudenza citata al punto 88 supra possono essere applicate nel caso di specie.

92      Ne consegue che la censura secondo cui l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante avrebbe violato i diritti della difesa della ricorrente deve essere respinta.

93      Il secondo motivo di ricorso deve dunque essere respinto nella sua interezza.

 Sul terzo motivo, relativo all’inapplicabilità della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante in assenza dei presupposti che la giustificano, nonché alla violazione dell’articolo 101 TFUE

94      La ricorrente fa valere, in sostanza, che l’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non era giustificata alla luce delle peculiari caratteristiche della relazione di controllo esistente tra la ricorrente e le società che avevano preceduto l’interveniente. Essa ritiene che la presente fattispecie si distingua da quelle nelle quali la presunzione suddetta viene usualmente applicata a motivo della presenza cumulativa di due circostanze, vale a dire, da un lato, il fatto che essa è una holding di tipo conglomerale, che controllava più di 100 società distinte, attive in settori merceologici differenti, di modo che la capogruppo si limitava ad esercitare un’attività di gestione di carattere tecnico-finanziario, priva di profili strettamente commerciali, e, dall’altro lato, il fatto che l’interveniente è stata da essa ceduta il 28 luglio 2005, senza che tale dismissione abbia avuto alcuna ripercussione sulla partecipazione dell’interveniente all’intesa, il che metterebbe in evidenza che quest’ultima società agiva in piena autonomia.

95      La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

96      In via preliminare, occorre rilevare che, con il terzo motivo, la ricorrente fa valere, in sostanza, l’esistenza di un errore di valutazione della Commissione, per avere quest’ultima considerato che essa ricorrente non fosse riuscita a confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante applicata in ragione della sua qualità di società madre dell’interveniente.

97      Orbene, occorre rilevare che, poiché la ricorrente possedeva quasi il 100% del capitale della propria controllata durante il periodo dell’infrazione per il quale è stata ritenuta sussistente la sua responsabilità solidale, circostanza questa che la ricorrente non contesta, la Commissione era legittimata a fare ricorso alla presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante e non le spettava fornire ulteriori elementi di prova al riguardo, in conformità della giurisprudenza citata al punto 69 supra. L’argomento della ricorrente secondo cui l’applicazione di detta presunzione non sarebbe stata giustificata nella fattispecie deve dunque essere respinto.

98      Le due circostanze invocate dalla ricorrente non possono rimettere in discussione la conclusione di cui sopra.

99      In primo luogo, anche supponendo, come fatto valere dalla ricorrente, che quest’ultima si sia limitata, in quanto holding, a gestire le proprie partecipazioni, tenuto conto della sua natura societaria e del suo oggetto statutario, tale allegazione, oltre a non essere suffragata da prove concrete, non è sufficiente, in conformità di una costante giurisprudenza del Tribunale, per confutare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante. Infatti, nel contesto di un gruppo societario, una holding, che coordina in particolare gli investimenti finanziari in seno al gruppo, è una società destinata a raggruppare partecipazioni detenute in diverse società e la sua funzione è di assicurarne l’unità di direzione, segnatamente tramite tale controllo di bilancio (v. sentenza del 15 luglio 2015, HIT Groep/Commissione, T‑436/10, EU:T:2015:514, punto 125 e la giurisprudenza ivi citata). Date tali circostanze, la ricorrente non può far valere che la sua condizione di holding impediva di ritenere che essa e le società che avevano preceduto l’interveniente facessero tutte parte della medesima entità economica e formassero così un’impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

100    Inoltre, anche l’argomento della ricorrente secondo cui essa non aveva alcuna influenza sulla politica commerciale della propria controllata deve essere respinto. Infatti, la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante non può essere confutata in virtù della semplice dimostrazione del fatto che le società che avevano preceduto l’interveniente avevano gestito la propria politica commerciale in senso stretto, senza ricevere dalla ricorrente direttive al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2015, HIT Groep/Commissione, T‑436/10, EU:T:2015:514, punto 144). Per il resto, occorre rilevare che, come riconosciuto dalla ricorrente in occasione del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, e come risulta dall’atto introduttivo del giudizio, le sue controllate erano assoggettate ad un obbligo di trasmissione di rapporti informativi sulle loro attività, sicché detto argomento è infondato in punto di fatto.

101    In secondo luogo, occorre considerare che neppure il fatto che l’interveniente abbia continuato a partecipare all’intesa anche dopo la sua cessione alla Goldman Sachs, come ribadito dalla ricorrente, prova l’assenza di responsabilità della ricorrente medesima in quanto società madre dell’interveniente per una certa parte dell’infrazione. Infatti, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la legittimazione della Commissione a rivolgere la decisione che infligge delle ammende ad una società madre in via solidale è il fatto che si presume che tale società costituisca, insieme con la sua controllata, un’unica impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE, mentre detta legittimazione non presuppone necessariamente la prova di un rapporto di istigazione riguardo all’infrazione tra la società madre e la controllata, e neppure, a maggior ragione, un coinvolgimento della società madre nell’infrazione stessa (v. sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 88 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, la ricorrente non è riuscita a dimostrare, mediante elementi di prova riguardanti i vincoli organizzativi, economici e giuridici tra essa e la sua controllata, che quest’ultima operava sul mercato in maniera autonoma fino alla data della sua cessione alla Goldman Sachs e, in particolare, che esse non costituivano un’entità economica unica e, di conseguenza, neppure un’unica impresa ai sensi dell’articolo 101 TFUE.

102    Alla luce di quanto precede, occorre concludere che nessuna delle due circostanze invocate dalla ricorrente è idonea a giustificare, come vorrebbe la ricorrente stessa, la non applicazione a quest’ultima, da parte della Commissione, della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

103    Il terzo motivo di ricorso deve dunque essere respinto.

 Sul quarto motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità

104    La ricorrente sostiene che la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante risponde attualmente a due obiettivi principali, vale a dire assicurare una maggiore garanzia dell’effettivo pagamento della sanzione e permettere l’erogazione di ammende d’importo più elevato a fini di deterrenza. Orbene, nessuna di queste due ragioni giustificative sussisterebbe nel caso di specie. Per quanto riguarda la prima ragione, la ricorrente rileva in particolare che l’interveniente era solvibile ai fini del pagamento dell’ammenda. Per quanto riguarda la seconda ragione, la ricorrente fa osservare che l’importo dell’ammenda non supera la soglia del 10% del fatturato dell’interveniente, sicché non sarebbe stato necessario includere la ricorrente tra i destinatari della decisione. Di conseguenza, a suo avviso, dato che non esisteva alcun motivo di estendere la responsabilità dell’interveniente alla sua società madre e che dunque l’applicazione della suddetta presunzione non era né necessaria né giustificata per la realizzazione degli obiettivi da essa perseguiti, la Commissione ha violato il principio di proporzionalità.

105    La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

106    Secondo una giurisprudenza consolidata, il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di quanto è appropriato e necessario per la realizzazione dei legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli obiettivi ricercati (v. sentenza del 17 ottobre 2013, Schaible, C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 29 e la giurisprudenza ivi citata).

107    Per quanto riguarda, in particolare, la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, la Corte ha affermato che tale presunzione mira in particolare a creare un equilibrio tra, da un lato, l’importanza dell’obiettivo di reprimere i comportamenti contrari alle norme sulla concorrenza, segnatamente all’articolo 101 TFUE, e di prevenirne la ripetizione, e, dall’altro, le esigenze scaturenti da taluni principi generali del diritto dell’Unione, quali, in particolare, la presunzione di innocenza e i principi della responsabilità personale e della certezza del diritto, nonché i diritti della difesa, compreso il principio della parità delle armi. Ne consegue che, secondo la Corte, la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante è proporzionata al legittimo obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione, C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 108 e la giurisprudenza ivi citata).

108    Nel caso di specie, avendo constatato che, durante il periodo dell’infrazione per il quale è stata ritenuta sussistente la responsabilità in solido della ricorrente, quest’ultima deteneva quasi il 100% del capitale della sua controllata che aveva partecipato all’intesa, la Commissione poteva applicare alla ricorrente, senza incorrere in alcuna illegittimità – e come si è constatato al punto 97 supra – la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

109    Inoltre, occorre rilevare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la Commissione non è tenuta, al fine di applicare la presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante, a fornire indizi ulteriori rispetto a quelli che dimostrano l’applicabilità e l’operatività di tale presunzione (v., in tal senso, sentenza del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata).

110    Date tali circostanze, occorre dichiarare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la Commissione non doveva prendere in esame, al fine di imputarle la responsabilità in solido per il pagamento dell’importo dell’ammenda inflitta, il fatto che l’interveniente era solvibile ai fini di tale pagamento e, ancor meno, che l’importo suddetto non superava il 10% del fatturato di quest’ultima società.

111    Alla luce di quanto precede, occorre rilevare che, nel caso di specie, la Commissione non ha violato il principio di proporzionalità nel senso invocato dalla ricorrente.

112    Il quarto motivo di ricorso deve dunque essere respinto.

 Sul quinto motivo, relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento in conseguenza dell’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale ai fini del pagamento dell’ammenda, nonché alla mancata previsione di un idoneo correttivo di tale principio

113    Nell’ambito del quinto motivo, la ricorrente formula tre censure, riguardanti, in primo luogo, l’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale, in secondo luogo, la mancata modulazione di tale principio nel caso di specie e, in terzo luogo, alcune violazioni dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento.

–       Sulla prima censura, relativa all’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale

114    La ricorrente fa valere, in sostanza, che la Commissione avrebbe dovuto imputare l’ammenda esclusivamente all’interveniente, in quanto, da un lato, quest’ultima società era solvibile ai fini del pagamento dell’intera ammenda e, dall’altro, essa ricorrente aveva partecipato all’infrazione in maniera puramente derivata ed accessoria. In tale contesto, essa ritiene che l’ammenda inflittale in solido non persegua gli obiettivi del meccanismo della solidarietà, quali definiti dalla giurisprudenza.

115    La Commissione e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

116    Anzitutto, occorre rilevare, al pari della Commissione, che, nella misura in cui la ricorrente, mediante l’argomento dedotto, mira a rimettere in discussione, in sostanza, il principio secondo cui, ove sia dimostrata l’esistenza di un’influenza determinante della società madre sulla propria controllata, la Commissione può prendere una decisione che infligge un’ammenda alla società madre, senza che sia necessario dimostrare il suo coinvolgimento diretto nell’infrazione, un’allegazione siffatta è contraria ad una costante giurisprudenza (v. punto 67 supra).

117    Poi, per quanto riguarda l’allegazione della ricorrente secondo cui la Commissione avrebbe dovuto tener conto del fatto che essa non aveva partecipato direttamente all’intesa e che dunque il fatto di infliggere un’ammenda in solido non aveva alcun effetto dissuasivo, occorre ricordare, in ossequio ad una consolidata giurisprudenza della Corte, che la società madre che si sia vista imputare il comportamento illecito della propria controllata viene personalmente condannata per un’infrazione alle regole di concorrenza dell’Unione che si presume abbia essa stessa commesso, a motivo dell’influenza determinante che essa esercitava sulla controllata e che le permetteva di determinare il comportamento di quest’ultima sul mercato (v., in tal senso, sentenze del 14 luglio 1972, Imperial Chemical Industries, 48/69, EU:C:1972:70, punti 140 e 141; del 16 novembre 2000, Metsä‑Serla e a./Commissione, C‑294/98 P, EU:C:2000:632, punti 28 e 34; del 26 novembre 2013, Kendrion/Commissione, C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punto 55; del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 49, nonché dell’8 maggio 2014, Bolloré/Commissione, C‑414/12 P, non pubblicata, EU:C:2014:301, punto 44). In tali circostanze, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, l’ammenda che le viene inflitta è idonea non soltanto a scoraggiare l’adozione, da parte sua, di futuri comportamenti anticoncorrenziali, ma anche ad incentivare l’adozione di politiche interne efficaci in seno al gruppo societario di cui fanno parte la società madre e la controllata al fine di garantire la non ripetizione di tali comportamenti.

118    Infine, quanto all’allegazione della ricorrente secondo cui, in considerazione della solvibilità dell’interveniente, non vi era la necessità di una garanzia di pagamento in solido da parte sua, occorre sottolineare, come già fatto al punto 110 supra, che dalla giurisprudenza non discende che la solidarietà tra la società madre e la sua controllata può essere istituita soltanto in caso di rischio di non solvibilità della controllata. Inoltre, come si è ricordato al punto 66 supra, la normativa dell’Unione in materia di concorrenza poggia sul principio della responsabilità personale dell’unità economica che ha commesso l’infrazione. Pertanto, se la società madre fa parte di tale unità economica, essa viene considerata personalmente e solidalmente responsabile dell’infrazione commessa insieme con le altre persone giuridiche costituenti tale unità (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Akzo Nobel e a./Commissione, C‑97/08 P, EU:C:2009:536, punto 77). È questo il motivo per cui il rapporto di solidarietà che esiste tra due società costituenti un’unità economica non può ridursi, per quanto riguarda il pagamento dell’ammenda, ad una forma di cauzione fornita dalla società madre per garantire il pagamento dell’ammenda inflitta alla controllata (v., in tal senso, sentenze del 26 novembre 2013, Kendrion/Commissione, C‑50/12 P, EU:C:2013:771, punti 55 e 56, nonché del 19 giugno 2014, FLS Plast/Commissione, C‑243/12 P, EU:C:2014:2006, punto 107).

119    Risulta da quanto precede che, ritenendo sussistente la responsabilità solidale della ricorrente e dell’interveniente per il pagamento dell’ammenda in questione, la Commissione non ha violato gli obiettivi del meccanismo della solidarietà previsto dalla giurisprudenza, nel senso asserito dalla ricorrente.

120    La prima censura deve dunque essere respinta.

–       Sulla seconda censura, relativa alla mancata modulazione del principio della responsabilità solidale in funzione del caso di specie

121    La ricorrente fa valere che la Commissione, anche supponendo che potesse applicare il meccanismo della solidarietà, avrebbe dovuto, quantomeno, modularlo adeguatamente. In particolare, conformemente ai paragrafi 27 e 37 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende, la Commissione avrebbe dovuto prendere in considerazione il fatto che la ricorrente non aveva tenuto alcuna condotta degna di riprovazione da parte dell’ordinamento giuridico, posto che essa non era neppure a conoscenza della presunta infrazione. Tale soluzione non avrebbe leso in alcun modo gli interessi finanziari dell’Unione, in considerazione dell’elevato grado di solvibilità dell’interveniente.

122    La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

123    Occorre ricordare che, sotto il titolo 2 «Adeguamenti dell’importo di base», i paragrafi 27 e 37 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende prevedono quanto segue:

«27. Nella determinazione dell’ammenda la Commissione può prendere in considerazione circostanze che comportano un incremento o una riduzione dell’importo di base calcolato secondo le indicazioni della sezione 1. In questo caso essa si baserà su una valutazione globale che tenga conto di tutte le circostanze rilevanti.

(…)

37. Nonostante i presenti orientamenti espongano la metodologia generale per la fissazione delle ammende, le specificità di un determinato caso o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo possono giustificare l’allontanamento da tale metodologia o dai limiti fissati al punto 21».

124    Nel caso di specie, è sufficiente constatare che, come risulta dal punto 117 supra, contrariamente a quanto la ricorrente sostiene, essa è considerata come autrice di una violazione delle norme in materia di concorrenza, sicché nessuna ragione giustifica che la sua responsabilità venga adattata tramite una modulazione dell’importo finale dell’ammenda che è tenuta a pagare. Inoltre, nulla permette di ritenere che la responsabilità della ricorrente sia minore di quella dell’interveniente, dato che la ricorrente è la società madre che, secondo le constatazioni della Commissione, ha esercitato un’influenza determinante sul comportamento dell’interveniente che era la sua controllata. Infine, occorre sottolineare, come ha fatto la Commissione, che gli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende le permettono di adattare o di modulare l’importo delle ammende da infliggere alle imprese che hanno partecipato ad una violazione dell’articolo 101 TFUE, ma non prevedono alcun potere discrezionale riguardo al meccanismo della solidarietà, nel senso inteso dalla ricorrente.

125    Ne consegue che, contrariamente a quanto afferma la ricorrente, la Commissione non era tenuta a modificare o ad adattare l’importo dell’ammenda in conformità dei paragrafi 27 e 37 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende.

126    La seconda censura deve dunque essere respinta.

–       Sulla terza censura, relativa alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

127    La ricorrente imputa alla Commissione la violazione del principio di proporzionalità, in quanto l’ammenda che le è stata inflitta in solido con l’interveniente sarebbe eccessiva. Essa fa valere altresì una violazione del principio di parità di trattamento, in quanto, a suo parere, essa e l’interveniente vengono trattate nello stesso modo, quando invece la responsabilità dell’interveniente per l’infrazione sarebbe diretta mentre la sua risulterebbe dall’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante.

128    La Commissione e l’interveniente contestano gli argomenti della ricorrente.

129    In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, per fissare ammende quali quelle in discussione nel caso di specie, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali del diritto, in particolar modo i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, così come elaborati dalla giurisprudenza dei giudici dell’Unione (sentenze del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, EU:T:2006:103, punti 77 e 79, e dell’8 ottobre 2008, Schunk e Schunk Kohlenstoff‑Technik/Commissione, T‑69/04, EU:T:2008:415, punto 41).

130    In primo luogo, per quanto riguarda il principio di proporzionalità, quest’ultimo esige, come si è già indicato al punto 106 supra, che gli atti delle istituzioni non superino i limiti di quanto è appropriato e necessario per la realizzazione della finalità perseguita.

131    Nel caso di specie, è giocoforza constatare che la ricorrente, pur affermando che l’ammenda inflittale in solido con l’interveniente viola il principio di proporzionalità, non adduce alcun elemento destinato a infirmare le valutazioni effettuate dalla Commissione. Orbene, la semplice invocazione del principio del diritto dell’Unione di cui si allega la violazione, senza indicare gli elementi di fatto e di diritto sui quali tale allegazione si fonda, non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 76, lettera d), del regolamento di procedura (v., in tal senso, sentenze del 3 maggio 2007, Spagna/Commissione, T‑219/04, EU:T:2007:121, punto 89, e del 2 settembre 2009, El Morabit/Consiglio, T‑37/07 e T‑323/07, non pubblicata, EU:T:2009:296, punto 27).

132    In ogni caso, occorre rilevare, così come ha fatto la Commissione, che dal punto 998 della decisione impugnata risulta che l’infrazione per la quale la Commissione ha ritenuto sussistente la responsabilità in solido della ricorrente e dell’interveniente è stata qualificata come molto grave, essendo consistita nel ripartire la clientela e i mercati a livello mondiale nel settore dei cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta e altissima tensione. A questo proposito, occorre ricordare che un’infrazione siffatta rientra tra le restrizioni di concorrenza più gravi ai sensi del paragrafo 23 degli Orientamenti del 2006 per il calcolo delle ammende e che l’aliquota del 15% corrisponde a quella più bassa nella scala delle sanzioni prevista per simili infrazioni ai sensi di tali orientamenti (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2017, Laufen Austria/Commissione, C‑637/13 P, EU:C:2017:51, punto 65 e la giurisprudenza ivi citata). Oltre a ciò, riguardo all’aliquota supplementare del 2%, è giocoforza constatare che la Commissione poteva, giustamente, sommarla a quella del 15% in quanto, come da essa chiarito, tutti i destinatari combinati dell’intesa costituivano la quasi totalità degli operatori nel SEE nel settore dei cavi elettrici ad alta tensione, l’infrazione aveva una portata geografica quasi mondiale e riguardava in particolare l’intero territorio del SEE.

133    Inoltre, nella decisione impugnata, la Commissione constata che l’entità formata dalla ricorrente e dall’interveniente è stata implicata in quasi tutte le attività dell’intesa, come descritte al punto 493 della decisione impugnata. Tenuto conto di tale comportamento, la sanzione inflitta a detta entità è di un ammontare di EUR 67 310 000, il che corrisponde, come indicato dalla Commissione, all’1,1% del fatturato della ricorrente ed allo 0,9% del fatturato dell’interveniente. In tale contesto, la ricorrente non può sostenere che l’ammenda inflitta in solido sia sproporzionata in rapporto alla gravità dell’infrazione nella quale essa è stata coinvolta.

134    In secondo luogo, per quanto riguarda il principio di parità di trattamento, occorre ricordare come esso esiga che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera differente e che situazioni differenti non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v. sentenze del 27 giugno 2012, Bolloré/Commissione, T‑372/10, EU:T:2012:325, punto 85 e la giurisprudenza ivi citata, e del 19 gennaio 2016, Mitsubishi Electric/Commissione, T‑409/12, EU:T:2016:17, punto 108 e la giurisprudenza ivi citata).

135    A questo proposito, l’affermazione della ricorrente secondo cui la sua responsabilità e quella dell’interveniente sarebbero differenti per il fatto che la prima sarebbe correlata alla presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante mentre la seconda sarebbe diretta, non può essere accolta. Infatti, una simile affermazione presenta come premessa iniziale l’esistenza di differenti gradi di partecipazione in seno all’entità creata dalla ricorrente e dall’interveniente. Orbene, come si è già indicato al punto 117 supra, tanto la società madre quanto la controllata sono responsabili delle infrazioni commesse dall’impresa unica alla quale esse appartengono, la prima, in ragione dell’influenza determinante esercitata sull’attività della sua controllata, e la seconda, in ragione della partecipazione diretta alle azioni determinate dalla società madre. Date tali circostanze, non si può riconoscere che una società appartenente ad un’impresa unica, ai sensi dell’articolo 101 TFUE, sia meno responsabile rispetto a un’altra società appartenente a questa medesima impresa al fine di invocare un trattamento differente e più favorevole in materia di sanzioni.

136    L’argomentazione della ricorrente relativa alla violazione del principio di parità di trattamento deve dunque essere respinta.

137    Di conseguenza, la Commissione non è incorsa in alcuna violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento a causa dell’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale ai fini del pagamento dell’ammenda, nonché della mancata previsione di un idoneo correttivo di tale principio.

138    Il quinto motivo di ricorso deve dunque essere respinto.

 Sul sesto motivo, relativo all’illegittimità della decisione impugnata nella parte concernente l’interveniente

139    La ricorrente sostiene che la decisione impugnata è illegittima nella parte in cui la Commissione ha constatato la responsabilità dell’interveniente quale autrice diretta dell’infrazione. La ricorrente ritiene di dover beneficiare dell’eventuale annullamento, parziale o totale, della decisione impugnata o, comunque, dell’eventuale riduzione dell’importo dell’ammenda che l’interveniente potrebbe ottenere nel contesto del ricorso proposto da quest’ultima dinanzi al Tribunale avverso detta decisione.

140    La Commissione e l’interveniente contestano tali argomenti.

141    Secondo una costante giurisprudenza, ai sensi dell’articolo 76 del regolamento di procedura, l’atto introduttivo del giudizio deve contenere, in particolare, un’esposizione sommaria dei motivi dedotti. Inoltre, tale esposizione dev’essere sufficientemente chiara e precisa al fine di consentire alla parte convenuta di preparare la propria difesa e al Tribunale di statuire sul ricorso, eventualmente senza corredo di altre informazioni. Infatti, perché un ricorso sia ricevibile, è necessario che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali esso si basa risultino, anche solo sommariamente, purché in modo coerente e comprensibile, dal testo dell’atto introduttivo stesso, e ciò al fine di garantire la certezza del diritto ed una buona amministrazione della giustizia. Sempre secondo una costante giurisprudenza, qualsiasi motivo che non sia sufficientemente illustrato nell’atto introduttivo del giudizio deve essere considerato irricevibile (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, Corporación Empresarial de Materiales de Construcción/Commissione, T‑250/12, EU:T:2015:749, punto 101 e la giurisprudenza ivi citata).

142    Nel caso di specie, occorre rilevare che il presente motivo, relativo al carattere illegittimo della decisione impugnata per quanto riguarda le valutazioni in merito all’interveniente, si basa su un’elencazione generica di censure, senza alcun elemento o argomento a sostegno. Pertanto, è giocoforza constatare che esso non soddisfa i requisiti imposti dall’articolo 76 del regolamento di procedura e deve dunque essere respinto perché irricevibile, senza pregiudizio per l’esame della domanda della ricorrente, formulata nell’ambito delle sue conclusioni intese ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale, di beneficiare dell’annullamento della decisione impugnata o della riduzione dell’importo dell’ammenda eventualmente ottenuti dall’interveniente a seguito del ricorso da essa proposto contro la decisione di cui sopra dinanzi al Tribunale.

143    Il sesto motivo di ricorso deve dunque essere respinto.

144    Alla luce di quanto sopra esposto, occorre concludere che la ricorrente non è riuscita a dimostrare l’esistenza di irregolarità perpetrate dalla Commissione che giustifichino l’annullamento della decisione impugnata nella parte che la riguarda.

145    Le conclusioni di annullamento formulate dalla ricorrente devono dunque essere respinte.

 Sulle conclusioni intese ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

146    Nell’ambito delle sue conclusioni intese ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflittale, la ricorrente invita il Tribunale a riconoscere un beneficio d’ordine o di escussione a suo favore, in virtù del quale la Commissione dovrebbe richiedere previamente all’interveniente il pagamento dell’ammenda e rivolgersi alla ricorrente soltanto in subordine, in caso di impossibilità di procedere nei confronti dell’interveniente. Allo stesso modo, la ricorrente chiede al Tribunale di poter beneficiare di qualsiasi riduzione dell’importo dell’ammenda che venga eventualmente concessa all’interveniente nell’ambito del ricorso proposto da quest’ultima e da Prysmian contro la decisione impugnata e all’origine della causa T‑475/14, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi/Commissione.

 Sulla domanda di beneficio d’ordine o di escussione

147    Per quanto riguarda, in primo luogo, l’invito della ricorrente a riconoscerle un beneficio d’ordine o di escussione, essa fa valere che una possibilità in tal senso discende dalla competenza estesa al merito riconosciuta dall’articolo 261 TFUE, a norma del quale il Tribunale potrebbe non soltanto modificare l’importo delle ammende inflitte dalla Commissione, ma anche diversificare le modalità di pagamento e di escussione riguardo a tali ammende.

148    A questo proposito, come risulta dal tenore letterale dell’articolo 261 TFUE, la competenza estesa al merito conferita al giudice dell’Unione in materia di concorrenza può riguardare unicamente le sanzioni previste in particolare dal regolamento n. 1/2003. Pertanto, detta competenza non può estendersi a valutazioni che non rientrano nel potere sanzionatorio della Commissione (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 75). Orbene, per costante giurisprudenza, il potere sanzionatorio della Commissione a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, del citato regolamento non comprende la facoltà di stabilire le rispettive quote di ammenda dei debitori in solido nei loro reciproci rapporti, bensì spetta ai giudici nazionali procedervi, nel rispetto del diritto dell’Unione, dando applicazione al diritto nazionale (sentenza del 16 giugno 2016, SKW Stahl‑Metallurgie e SKW Stahl‑Metallurgie Holding/Commissione, C‑154/14 P, EU:C:2016:445, punto 50 e la giurisprudenza ivi citata), e, dato che il suddetto potere sanzionatorio non include quello di ripartire l’ammenda inflitta tra i debitori in solido nell’ambito dei loro rapporti interni, una volta che tale ammenda sia stata integralmente pagata e sia così venuto meno ogni interesse della Commissione, neppure il Tribunale può disporre di un tale potere di ripartizione nell’ambito della sua competenza estesa al merito riconosciutagli dall’articolo 31 del citato regolamento al fine di annullare, ridurre o aumentare detta ammenda (sentenza del 10 aprile 2014, Commissione e a./Siemens Österreich e a., da C‑231/11 P a C‑233/11 P, EU:C:2014:256, punto 74).

149    Pertanto, la domanda della ricorrente intesa ad ottenere un beneficio d’ordine o di escussione deve essere respinta.

 Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda al fine di beneficiare di qualsiasi riduzione dello stesso che venisse accordata all’interveniente a seguito del ricorso proposto contro la decisione impugnata nella causa T475/14

150    Per quanto riguarda, in secondo luogo, la domanda di poter beneficiare dell’annullamento parziale della decisione impugnata o, quantomeno, della riduzione dell’importo dell’ammenda di cui all’articolo 2, lettera g), di detta decisione, che dovessero essere eventualmente concessi all’interveniente a seguito del ricorso contro tale decisione nella causa T‑475/14, occorre ricordare che la ricorrente non è stata considerata responsabile dell’intesa in questione in virtù della sua partecipazione diretta alle attività di quest’ultima. Infatti, a mente dell’articolo 1 della citata decisione, essa è stata considerata responsabile dell’infrazione unicamente in quanto società madre dell’interveniente.

151    Orbene, nell’ipotesi in cui la responsabilità della società madre risulti esclusivamente dalla partecipazione diretta della sua controllata all’infrazione e queste due società abbiano proposto ricorsi paralleli aventi il medesimo oggetto, il Tribunale può, senza statuire ultra petita, tenere conto dell’annullamento della costatazione di infrazione nei confronti della controllata per un periodo determinato e ridurre in misura corrispondente l’importo dell’ammenda inflitta alla società madre in solido con la sua controllata.

152    A questo proposito, da un lato, per ritenere sussistente la responsabilità di una qualsivoglia entità appartenente ad un’unità economica, è necessario che venga fornita la prova del fatto che almeno un’entità ha commesso una violazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza e che tale circostanza venga constatata in una decisione che divenga definitiva e, dall’altro lato, è irrilevante la ragione per la quale viene constatata l’insussistenza di un comportamento illecito della controllata.

153    È in tale contesto che occorre far riferimento al carattere interamente derivato della responsabilità della società madre scaturente dal semplice fatto della partecipazione diretta di una controllata all’infrazione. Infatti, in tale fattispecie, la responsabilità della società madre trova la propria origine nel comportamento illecito della propria controllata, che la società madre si vede imputare in considerazione dell’unità economica che tali società costituiscono. Di conseguenza, la responsabilità della società madre è necessariamente dipendente dai fatti costitutivi dell’infrazione commessa dalla sua controllata ai quali la sua responsabilità è indissolubilmente connessa.

154    Per ragioni identiche, occorre precisare che, in una situazione in cui nessun elemento caratterizza individualmente il comportamento addebitato alla società madre, la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla controllata in solido con la sua società madre deve, in linea di principio, ove sussistano le relative condizioni procedurali, essere estesa alla società madre.

155    Nel caso di specie, occorre constatare che tanto la ricorrente, da un lato, quanto la Prysmian e l’interveniente, dall’altro, hanno proposto un ricorso contro la decisione impugnata, e tali ricorsi hanno, in parte, il medesimo oggetto, vale a dire, in via principale, l’annullamento dell’ammenda prevista dall’articolo 2, lettera g), di detta decisione, nella parte riguardante dette società, e, in subordine, la riduzione dell’importo di tale ammenda inflitta loro in solido.

156    Date tali circostanze, occorrerebbe riconoscere alla ricorrente gli stessi benefici dell’eventuale annullamento della decisione impugnata che dovessero essere riconosciuti all’interveniente nell’ambito del ricorso proposto nella causa T‑475/14.

157    Tuttavia, occorre sottolineare che, con sentenza in data odierna nella causa T‑475/14, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi/Commissione, il Tribunale ha respinto il ricorso nella causa decisa da tale pronuncia, vale a dire tanto le conclusioni di annullamento formulate dalla Prysmian e dall’interveniente, quanto le loro conclusioni intese alla riduzione dell’importo delle ammende ad esse inflitte.

158    Pertanto, la domanda della ricorrente di beneficiare di qualsiasi riduzione che venga concessa all’interveniente a seguito del ricorso proposto contro la decisione impugnata nella causa T‑475/14, Prysmian e Prysmian Cavi e Sistemi/Commissione, non può trovare accoglimento e, di conseguenza, occorre respingere nel loro insieme le conclusioni intese alla riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente.

159    Alla luce di quanto sopra esposto, il presente ricorso deve essere respinto.

 Sulle spese

160    Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

161    Poiché la ricorrente è rimasta soccombente nell’insieme delle conclusioni e dei motivi proposti e la Commissione ha presentato domanda di condanna alle spese, la ricorrente deve essere condannata a sopportare la totalità delle spese.

162    A norma dell’articolo 138, paragrafo 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può decidere che un interveniente diverso da quelli menzionati nei paragrafi 1 e 2 di tale articolo sopporterà le proprie spese. Nelle circostanze della presente controversia, occorre dichiarare che l’interveniente sopporterà le proprie spese.


Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Ottava Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Pirelli & C. SpA sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione europea.

3)      La Prysmian Cavi e Sistemi Srl sopporterà le proprie spese.

Collins

Kancheva

Barents

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 luglio 2018.

Il cancelliere

 

Il presidente

E. Coulon

 

A. M. Collins


Table des matières


Fatti all’origine della controversia

Ricorrente e settore interessato

Procedimento amministrativo

Decisione impugnata

Infrazione in esame

Responsabilità della ricorrente

Ammenda inflitta

Procedimento e conclusioni delle parti

In diritto

Sulle conclusioni di annullamento

Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione

Sul secondo motivo, relativo alla violazione dei diritti fondamentali a causa dell’applicazione della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante

– Sulla prima censura, relativa a violazioni del principio della responsabilità personale e della presunzione di innocenza

– Sulla seconda censura, relativa alla violazione del diritto di proprietà

– Sulla terza censura, relativa alla violazione dei diritti della difesa

Sul terzo motivo, relativo all’inapplicabilità della presunzione dell’esercizio effettivo di un’influenza determinante in assenza dei presupposti che la giustificano, nonché alla violazione dell’articolo 101 TFUE

Sul quarto motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità

Sul quinto motivo, relativo alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento in conseguenza dell’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale ai fini del pagamento dell’ammenda, nonché alla mancata previsione di un idoneo correttivo di tale principio

– Sulla prima censura, relativa all’erronea applicazione del principio della responsabilità solidale

– Sulla seconda censura, relativa alla mancata modulazione del principio della responsabilità solidale in funzione del caso di specie

– Sulla terza censura, relativa alla violazione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento

Sul sesto motivo, relativo all’illegittimità della decisione impugnata nella parte concernente l’interveniente

Sulle conclusioni intese ad ottenere la riduzione dell’importo dell’ammenda inflitta alla ricorrente

Sulla domanda di beneficio d’ordine o di escussione

Sulla domanda di riduzione dell’importo dell’ammenda al fine di beneficiare di qualsiasi riduzione dello stesso che venisse accordata all’interveniente a seguito del ricorso proposto contro la decisione impugnata nella causa T 475/14

Sulle spese


*      Lingua processuale: l’italiano.