Language of document : ECLI:EU:C:2018:572

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PAOLO MENGOZZI

presentate il 12 luglio 2018 (1)

Causa C221/17

M. G. Tjebbes

G. J. M. Koopman

E. Abady Saleh

L. Duboux

contro

Minister van Buitenlandse Zaken

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Articolo 20 TFUE – Articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Cittadinanza di uno Stato membro e di un paese terzo – Perdita della cittadinanza dello Stato membro per aver soggiornato al di fuori dell’Unione per un periodo ininterrotto di dieci anni – Unità della cittadinanza nella famiglia – Interesse superiore del minore»






I.      Introduzione

1.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), verte sull’interpretazione degli articoli 20 e 21 TFUE nonché dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2.        In sostanza, il giudice del rinvio si interroga sul margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri nel fissare le cause di perdita della cittadinanza. La Corte ha già esaminato tale questione nella sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), in un contesto giuridico e di fatto tuttavia diverso.

3.        Nella presente causa, si tratta, in sostanza, di sapere se l’articolo 20 TFUE osti alle disposizioni di una normativa nazionale che prevedono la perdita della cittadinanza da parte di un cittadino maggiorenne di uno Stato membro, che ha anche un’altra cittadinanza, per aver risieduto ininterrottamente per più di dieci anni nel territorio di un paese terzo. Inoltre, si solleva anche la questione se lo status di cittadino dell’Unione e l’interesse superiore del minore vietino a uno Stato membro di prevedere che il figlio di detto cittadino perda contestualmente la cittadinanza di tale Stato membro.

4.        Come illustrerò nelle presenti conclusioni, ritengo che solo la seconda questione debba ricevere una risposta affermativa. Per quanto riguarda la prima questione, sono del parere che non vi sia motivo di discostarsi dalle motivazioni poste dal legislatore nazionale alla base della perdita della cittadinanza dell’Unione per esaminare se tale normativa sia conforme, segnatamente, al principio di proporzionalità. In particolare, il rispetto di tale principio non implica, a mio avviso, un esame né delle conseguenze indirette sulla situazione di ogni persona interessata che l’applicazione di tale normativa determina, né delle circostanze proprie a ciascun caso di specie estranee al criterio di collegamento allo Stato membro interessato scelto dal legislatore nazionale. In linea con la posizione sostenuta dal governo greco nel corso dell’udienza dinanzi alla Corte, tale soluzione è l’unica, a mio avviso, che consenta di garantire il rispetto della competenza degli Stati membri a determinare i modi di acquisto e perdita della cittadinanza e di rimanere fedeli alla portata del controllo della proporzionalità di una misura nazionale avente per effetto la perdita della cittadinanza dell’Unione alla luce del diritto di quest’ultima.

II.    Contesto di fatto e giuridico e questione pregiudiziale

5.        La questione pregiudiziale di cui è investita la Corte è stata sollevata nell’ambito di controversie sorte tra, da un lato, le sigg.re M. G. Tjebbes, G. J. M. Koopman, E. Saleh Abady e la sig.na L. Duboux e, dall’altro il Minister van Buitenlandse Zaken (ministro degli Affari esteri dei Paesi Bassi; in prosieguo: il «ministro») in merito alla decisione di quest’ultimo di non esaminare le loro domande di rinnovo di un passaporto nazionale poiché tali persone, pur conservando la cittadinanza dei paesi terzi nel cui territorio rispettivamente risiedono, avrebbero perso la cittadinanza olandese, in virtù dell’applicazione delle disposizioni della Rijkswet op het Nederlanderschap (legge sulla cittadinanza olandese).

6.        Infatti, dal contesto giuridico illustrato dal giudice del rinvio risulta che l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese prevede che un maggiorenne perda la cittadinanza olandese se possiede anche cittadinanza straniera e ha la propria residenza principale per un periodo ininterrotto di dieci anni durante la sua maggiore età, e mentre è in possesso di entrambe le cittadinanze, al di fuori dei Paesi Bassi e dei territori a cui è applicabile il Trattato UE. L’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della medesima legge stabilisce che un minore perde la cittadinanza olandese se il padre o la madre perde la cittadinanza olandese ai sensi, in particolare, dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), di tale legge.

7.        A norma dell’articolo IV della Rijkswet van 21 december 2000 tot wijziging Rijkswet op het Nederlanderschap (verkrijging verlening, in verlies van het Nederlanderschap) [legge del 2 dicembre 2000 recante modifica la legge sulla cittadinanza olandese (ottenimento, proroga e perdita della nazionalità olandese)], il periodo di dieci anni di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese decorre da non prima del 1o aprile 2003.

8.        Inoltre, risulta dai chiarimenti forniti dal giudice del rinvio che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 3, della legge sulla cittadinanza olandese, il termine di cui all’articolo 15, paragrafo 1, di tale legge si interrompe se l’interessato ha avuto la sua residenza principale nei Paesi Bassi, ovvero in uno dei territori a cui si applica il Trattato UE per un periodo di almeno un anno. Parimenti, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 4, di tale legge, si ha interruzione del termine se l’interessato richiede il rilascio di una dichiarazione sul possesso della cittadinanza olandese oppure di un documento di viaggio (passaporto) o di una carta d’identità dei Paesi Bassi, ai sensi della Paspoortwet (legge olandese sui passaporti). Dal giorno del rilascio di uno di questi documenti inizia a decorrere un nuovo termine di dieci anni.

9.        L’articolo 6, paragrafo 1, lettera f), della legge olandese sulla cittadinanza consente agli stranieri maggiorenni che hanno perso la cittadinanza olandese, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, di recuperare tale cittadinanza, stabilendosi per almeno un anno nei Paesi Bassi o in un altro paese del Regno (2), disponendo previamente di un’autorizzazione con durata indeterminata.

10.      Peraltro, il giudice del rinvio ricorda, in sostanza, che la legge sulla cittadinanza olandese si inserisce nel contesto degli obblighi internazionali assunti dal Regno dei Paesi Bassi. In tal senso, la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia, firmata a New York il 30 agosto 1961 ed entrata in vigore il 13 dicembre 1975 (3) (in prosieguo: la «Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia») prevede, al suo articolo 7, paragrafo 3, che, fatto salvo in particolare il suo paragrafo 4, nessuno può perdere la cittadinanza, se per tale motivo deve divenire apolide, per il fatto di aver lasciato il paese di cui è cittadino e di aver risieduto all’estero. L’articolo 7, paragrafo 4, di tale convenzione dispone che la perdita di cittadinanza da parte di una persona naturalizzata possa essere motivata dalla residenza all’estero per un periodo non inferiore a sette anni consecutivi. Inoltre, la Convenzione europea sulla cittadinanza, firmata a Strasburgo il 6 novembre 1997, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa ed entrata in vigore il 1o maggio 2000 (4) (in prosieguo: la «Convenzione europea sulla cittadinanza»), stabilisce, all’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), che la cittadinanza può essere persa di diritto quando manca qualsiasi legame effettivo tra lo Stato contraente e un cittadino residente all’estero. Inoltre, l’articolo 7, paragrafo 2, di tale convenzione prevede che uno Stato contraente possa prevedere la perdita della cittadinanza per i figli i cui genitori perdono la sua cittadinanza, a meno che uno dei genitori la conservi.

11.      Risulta dai fatti delle cause principali che, fino al 31 marzo 2013, la sig.ra Tjebbes possedeva per filiazione le cittadinanze dei Paesi Bassi e del Canada, che la sig.ra Koopman era cittadina dei Paesi Bassi dalla nascita e aveva acquisito la cittadinanza svizzera a seguito di matrimonio e che la sig.ra Saleh Abady possedeva la cittadinanza iraniana e aveva acquisito la cittadinanza dei Paesi Bassi per naturalizzazione. Alla data del 1o aprile 2013, la sig.ra Tjebbes risiedeva in Canada, la sig.ra Koopman in Svizzera e la sig.ra Saleh Abady in Iran da più di dieci anni. Esse erano tutte maggiorenni a tale data.

12.      Il ministro, al quale erano state presentate le domande di rinnovo dei loro rispettivi passaporti, ha negato l’esame di tali domande con la motivazione che queste tre persone avevano perso la cittadinanza dei Paesi Bassi in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese. Il Ministro ha rilevato che tutte loro avevano avuto, per un periodo ininterrotto di almeno dieci anni, la propria residenza principale al di fuori dei Paesi Bassi nonché del territorio a cui è applicabile il Trattato UE. Il Ministro ha constatato che ciascuna di esse possedeva anche un’altra cittadinanza e che in quel periodo non era stato loro rilasciato alcun documento di viaggio olandese, alcuna carta d’identità olandese o alcuna dichiarazione sul possesso della cittadinanza olandese.

13.      Quanto alla sig.na Duboux, che, al 1o aprile 2013, era la figlia minorenne della sig.ra Koopman e possedeva la cittadinanza olandese e svizzera, il Ministro ha respinto anche la sua domanda di passaporto in quanto a tale data, avendo sua madre perduto la cittadinanza olandese, essa stessa sarebbe stata privata della sua cittadinanza olandese, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), di tale legge.

14.      Le ricorrenti nella causa principale hanno proposto quattro ricorsi distinti dinanzi al Rechtbank Den Haag (tribunale dell’Aia, Paesi Bassi) contro le decisioni del Ministro. Con sentenze distinte, il Rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha dichiarato infondati i ricorsi proposti dalle sig.re Tjebbes, Koopman e Saleh Abady, mentre ha dichiarato fondato il ricorso proposto dalla sig.na Duboux e ha annullato la decisione del ministro che la riguardava pur mantenendone gli effetti giuridici. Di conseguenza, le ricorrenti nel procedimento principale hanno separatamente proposto appello contro tali sentenze dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato).

15.      Il giudice del rinvio indica di essere stato chiamato ad affrontare la questione se la perdita di diritto della cittadinanza olandese sia compatibile con il diritto dell’Unione, in particolare con gli articoli 20 e 21 TFUE, letti alla luce della sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104). Infatti, esso ritiene che tali articoli siano applicabili, essendo irrilevante che la perdita dello status di cittadino dell’Unione sia dovuta alla perdita di diritto della cittadinanza di uno Stato membro dell’Unione o a una decisione individuale, come nel caso della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104).

16.      Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, dalla sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) non si evince in che modo debba essere condotta la valutazione della proporzionalità in situazioni come quelle di cui al procedimento principale. A tal riguardo, si porrebbe la questione se la conformità al principio di proporzionalità di una normativa nazionale che prevede la perdita di diritto della cittadinanza possa essere esaminata in maniera generale, o se tale principio implichi necessariamente la presa in considerazione di ciascun caso specifico.

17.      Per quanto riguarda la situazione delle persone maggiorenni, il giudice del rinvio considera che esistono argomenti convincenti per ritenere che l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese sia conforme al principio di proporzionalità e, di conseguenza, sia compatibile con gli articoli 20 e 21 TFUE. Anzitutto, la genesi dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese metterebbe in evidenza che il legislatore nazionale ha avuto l’obiettivo di contribuire a una «normativa internazionale» che mira a eliminare o a ridurre l’apolidia e le la cittadinanza plurima e che sarebbe conforme all’articolo 7 della Convenzione europea sulla cittadinanza.

18.      Il giudice del rinvio ricorda che l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese prevede un termine di dieci anni prima della perdita della cittadinanza olandese, termine che consentirebbe di supporre che gli interessati non abbiano più alcun legame, o abbiano solo un legame molto debole, con i Paesi Bassi e, dunque, con l’Unione. Inoltre, la cittadinanza olandese può essere mantenuta in modo relativamente semplice, in quanto il termine di dieci anni si interrompe se l’interessato in quel periodo risiede ininterrottamente per almeno un anno nei Paesi Bassi o nell’Unione europea o riceve una dichiarazione sul possesso della cittadinanza olandese o una carta d’identità o un documento di viaggio olandese ai sensi della legge olandese sui passaporti. Peraltro, secondo il giudice del rinvio, chiunque soddisfi le condizioni prescritte per beneficiare di una «opzione», di cui all’articolo 6 della legge sulla cittadinanza olandese, avrebbe il diritto di recuperare la cittadinanza olandese.

19.      Infine, pur essendo possibile invocare l’articolo 7 della Carta, relativo al rispetto della vita privata e familiare, il giudice del rinvio ritiene che il legislatore dei Paesi non abbia agito arbitrariamente adottando l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese. Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, non essendo escluso che l’esame della conformità al principio di proporzionalità richieda una valutazione caso per caso, non è certo che una normativa generale, come la legge sulla cittadinanza olandese, sia compatibile con gli articoli 20 e 21 TFUE.

20.      Per quanto riguarda la situazione delle persone minorenni, il giudice del rinvio rileva che l’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese rispecchia l’importanza che il legislatore ha attribuito all’unità della cittadinanza all’interno di una famiglia. Alla luce della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), il giudice del rinvio non è in grado di giudicare se questo elemento possa costituire un motivo per revocare di diritto la cittadinanza di un interessato. Inoltre, esso si domanda se sia proporzionato privare un minore dello status di cittadino dell’Unione, e dei diritti ad esso connessi, unicamente allo scopo di mantenere l’unità della cittadinanza all’interno della famiglia. Infine, il giudice del rinvio rileva che il minore ha scarsa influenza sul mantenimento della propria cittadinanza olandese e che le possibilità di interrompere i termini o di ottenere, ad esempio, una dichiarazione sul possesso della cittadinanza olandese non costituiscono motivi di eccezione per il minore. Pertanto, la conformità dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese al principio di proporzionalità non sarebbe chiaramente dimostrata.

21.      Il Raad van State (Consiglio di Stato) ha pertanto deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se gli articoli 20 e 21 [TFUE], anche alla luce dell’articolo 7 della [Carta], debbano essere interpretati nel senso che, a causa della mancanza di un esame individuale rispetto al principio di proporzionalità riguardo alle conseguenze della perdita della cittadinanza per la situazione dell’interessato sotto il profilo del diritto dell’Unione, essi ostano a normative come quelle in esame nel procedimento principale, che stabiliscono:

1)      che un maggiorenne, che possiede anche la cittadinanza di un paese terzo, perde di diritto la cittadinanza del suo Stato membro, e pertanto la cittadinanza dell’Unione, poiché egli, per un periodo ininterrotto di dieci anni, ha avuto la sua residenza principale all’estero e al di fuori dell’Unione europea, mentre esistono possibilità di interrompere detto termine di dieci anni;

2)      che un minorenne, in determinate circostanze, perde di diritto la cittadinanza del suo Stato membro, e pertanto la cittadinanza dell’Unione, per effetto della perdita della cittadinanza del genitore, ai sensi di quanto indicato al precedente punto 1)».

22.      Tale questione è stata oggetto di osservazioni scritte da parte delle ricorrenti nel procedimento principale, dei governi olandese, irlandese e greco, nonché della Commissione europea. La sig.ra Tjebbes, i governi olandese e greco nonché la Commissione hanno altresì svolto osservazioni orali nel corso dell’udienza del 24 aprile 2018, nella quale le altre parti interessate non sono state rappresentate.

III. Analisi

23.      Prima di esaminare la questione posta con riferimento alla compatibilità con l’articolo 20 TFUE della perdita di cittadinanza dei cittadini olandesi maggiorenni (parte B) e minorenni (parte C), tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Corte nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), occorre a mio parere, in primo luogo, e sebbene ciò non sia contestato da alcuna delle parti interessate, verificare l’applicabilità del diritto dell’Unione e la competenza della Corte a rispondere alla questione pregiudiziale proposta (parte A). Infine, esaminerò brevemente la richiesta del governo dei Paesi Bassi, presentata all’udienza, diretta a che la Corte limiti nel tempo gli effetti dell’emananda sentenza nel caso in cui essa dichiarasse l’incompatibilità delle disposizioni pertinenti della legge olandese sulla cittadinanza con l’articolo 20 TFUE (parte D).

A.      Sull’applicabilità del diritto dell’Unione e sulla competenza della Corte a rispondere alla questione pregiudiziale

24.      Come ho appena detto, l’applicabilità del diritto dell’Unione non è stata contestata da alcuna delle parti interessate. Alcuni dubbi potrebbero comunque essere sollevati. Infatti, da un lato, occorre rilevare che le decisioni impugnate nel procedimento principale riguardano non già la revoca della cittadinanza olandese e, pertanto, quella della cittadinanza dell’Unione delle ricorrenti nel procedimento principale, ma il rifiuto di rilasciare passaporti olandesi motivato dal fatto che tali persone non hanno più la cittadinanza del Regno dei Paesi Bassi. D’altro lato, dall’esposizione dei fatti fornita dal giudice del rinvio emerge che le ricorrenti nel procedimento principale risiedono tutte in paesi terzi senza avere, con ogni probabilità, esercitato la loro libertà di circolazione all’interno dell’Unione.

25.      Tali dubbi possono tuttavia, a mio avviso, essere respinti.

26.      Quanto al primo punto, si potrebbe certamente ritenere che la causa principale sia priva di qualsiasi collegamento con il diritto dell’Unione per la ragione che il giudice del rinvio sarebbe chiamato a pronunciarsi unicamente sulla legittimità della decisione del ministro di rifiutare il rilascio di passaporti richiesto dalle cittadine di paesi terzi, le quali avrebbero già perso la cittadinanza olandese e sarebbero, pertanto, private dello status di cittadino dell’Unione.

27.      Tuttavia, dalla decisione di rinvio risulta che adottare un tale ragionamento, che sembra del resto essere stato sostenuto dal ministro, avrebbe avuto come effetto, nel diritto nazionale, di privare le ricorrenti nel procedimento principale di qualsiasi ricorso giurisdizionale effettivo avverso la constatazione, fatta dal ministro, secondo cui esse non possedevano più la cittadinanza olandese quando sono state presentate le domande di rinnovo dei passaporti. In effetti, risulta che le autorità competenti dei Paesi Bassi non hanno adottato nei loro confronti alcuna altra decisione in cui si dichiarasse la revoca di tale cittadinanza. È per questo motivo che il giudice del rinvio – che, ricordo, è un giudice di ultima istanza – ha ritenuto di essere stato necessariamente chiamato a esaminare se il diniego del ministro di rilasciare i passaporti richiesti fosse correttamente fondato sulla premessa secondo cui le ricorrenti nel procedimento principale avevano tutte perduto la cittadinanza olandese (e, quindi, la cittadinanza dell’Unione) nel momento in cui doveva pronunciarsi e se tale constatazione, sulla base degli articoli 15, paragrafo 1, lettera c), e 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese, fosse conforme al diritto dell’Unione, in particolare al principio di proporzionalità enunciato nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104).

28.      Pertanto, emerge chiaramente dalla posizione assunta dal giudice di rinvio che le ricorrenti nel procedimento principale non hanno definitivamente perso lo status di cittadino dell’Unione conferito dall’articolo 20 TFUE, ma si trovano collocate in una situazione idonea a cagionare il venir meno di tale status.

29.      Orbene, secondo la sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 42), una situazione del genere ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione.

30.      Quanto al secondo punto, il fatto che risulti che le ricorrenti nella causa principale risiedono tutte in un paese terzo e non abbiano esercitato il loro diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione non mi sembra comportare una conseguenza diversa.

31.      L’articolo 20, paragrafo 1, TFUE conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione. La Corte ha ripetutamente sottolineato che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (5).

32.      La Corte ha interpretato tale disposizione in contesti in cui risultava che il solo punto di collegamento con il diritto dell’Unione era la qualità di cittadino della stessa.

33.      È così che, già nella sentenza del 2 ottobre 2003, Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punti 13 e 27), la Corte ha ammesso che era riconducibile al diritto dell’Unione la situazione di minorenni che avevano la cittadinanza di due Stati membri, nati nel territorio di uno di tali Stati e ivi legalmente residenti, senza mai aver esercitato il diritto di circolazione.

34.      Analogamente, nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte, contrariamente all’avvocato generale (6), non ha cercato un collegamento tra la revoca della naturalizzazione del sig. Janko Rottmann e l’esercizio da parte di quest’ultimo del suo diritto di circolare nell’Unione. Infatti, al punto 42 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte è giunta a ravvisare un tale collegamento con il diritto dell’Unione, in ragione del fatto che «la situazione di un cittadino dell’Unione che – come il [sig. Rottmann] – si trovi alle prese con una decisione di revoca della naturalizzazione adottata dalle autorità di uno Stato membro, la quale lo ponga, dopo la perdita della cittadinanza di un altro Stato membro da lui posseduta in origine, in una situazione idonea a cagionare il venir meno dello status conferito dall’articolo 17 CE [divenuto articolo 20 TFUE] e dei diritti ad esso correlati, ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione».

35.      Inoltre, si deve ricordare che, a partire dalla sentenza dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124, punto 42), la Corte ammette il collegamento con il diritto dell’Unione e l’applicabilità dell’articolo 20 TFUE alla situazione di cittadini di uno Stato membro, che non hanno mai esercitato il loro diritto alla libera circolazione, i quali, per effetto di un provvedimento del suddetto Stato membro, sarebbero privati del godimento reale ed effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione.

36.      È vero che nel caso di specie, contrariamente alle cause sopra menzionate, le ricorrenti nel procedimento principale sono già tutte residenti in un paese terzo.

37.      Tuttavia, tale circostanza non mi sembra escludere le situazioni di cui al procedimento principale dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

38.      Infatti, lo status di cittadino dell’Unione non è riservato ai cittadini degli Stati membri che risiedono o che si trovano nel territorio dell’Unione. Prevedendo che ogni cittadino dell’Unione goda della tutela diplomatica e consolare di qualsiasi Stato membro nel territorio di un paese terzo in cui lo Stato membro di cui egli ha la cittadinanza non è rappresentato, l’articolo 20, paragrafo 2, lettera c), TFUE lo dimostra, a mio avviso, in termini privi di ambiguità.

39.      Orbene, rilevo che gli articoli 15, paragrafo 1, lettera c), e 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese privano i cittadini dei Paesi Bassi, che risiedono in un paese terzo e soddisfano le altre condizioni previste da tali articoli, dello status stesso di cittadino dell’Unione e, pertanto, del godimento effettivo, o anche potenziale, di tutti i diritti connessi a questo status.

40.      D’altronde, sarebbe, a mio avviso, paradossale che la Corte negasse l’applicabilità del diritto dell’Unione nel procedimento principale quando, invece, la situazione che viene esaminata è l’unica in cui la residenza al di fuori del territorio dei Paesi Bassi comporta la perdita dello status di cittadino dell’Unione. Infatti, da un lato, la legge sulla cittadinanza olandese non si applica ai cittadini olandesi in possesso di un’altra cittadinanza che risiedono, anche per più di dieci anni, nel territorio di uno Stato membro dell’Unione. Dall’altro, come è stato confermato in udienza dal governo dei Paesi Bassi, se è pur vero che gli articoli 15, paragrafo 1, lettera c), e 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese sono applicabili ai cittadini olandesi che possiedono anche la cittadinanza di un altro Stato membro e che risiedono per un periodo ininterrotto di oltre dieci anni nel territorio di un paese terzo, le conseguenze della perdita della cittadinanza olandese non sono paragonabili, in quanto tali cittadini restano, in linea di principio, cittadini dell’Unione grazie alla conservazione della cittadinanza dell’altro Stato membro (7).

41.      È alla luce di tali considerazioni che ritengo che il diritto dell’Unione sia applicabile alle circostanze del procedimento principale, fermo restando che gli Stati membri restano competenti a definire i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza, nel rispetto del diritto dell’Unione (8).

42.      A questo proposito, aggiungo che la risposta alla questione sollevata dal giudice del rinvio dovrebbe articolarsi solo attorno all’articolo 20 TFUE, e non anche riferirsi all’interpretazione dell’articolo 21 TFUE. Infatti, poiché il procedimento principale riguarda specificamente la perdita dello status di cittadino dell’Unione e le ricorrenti nel procedimento principale non hanno esercitato i diritti relativi alla libera circolazione all’interno dell’Unione, l’interpretazione dell’articolo 21 TFUE non mi sembra direttamente rilevante e, inoltre, non comporterebbe una risposta differente rispetto a quella risultante da un’interpretazione del solo articolo 20 TFUE. Tale approccio mi sembra dedursi anche dalle sentenze del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487), del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675) e del 10 maggio 2017, Chavez Vilchez e a. (C‑133/15, EU:C:2017:354, punti 49 e 57), in cui la Corte ha risposto alle questioni che le erano state poste alla luce dell’articolo 20 TFUE, dal momento che le situazioni in questione, che riguardavano cittadini dell’Unione, non rientravano nell’ambito di applicazione dell’articolo 21 TFUE (9).

43.      Per concludere su questo punto, l’applicabilità dell’articolo 20 TFUE e, pertanto, del diritto dell’Unione nel procedimento principale implica necessariamente che le ricorrenti nel procedimento principale possano invocare i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, vale a dire quello, menzionato dal giudice del rinvio, del rispetto della vita privata e familiare, garantito dall’articolo 7 della Carta, nonché, per quanto riguarda la sig.na Duboux, i diritti riconosciuti al minore ai sensi dell’articolo 24 di tale atto. Infatti, come ho già dimostrato in precedenti conclusioni, i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta, il cui rispetto s’impone a ogni autorità degli Stati membri che agisca nel contesto del diritto dell’Unione, sono garantiti ai destinatari degli atti adottati da una tale autorità indipendentemente da qualsiasi criterio di territorialità (10).

44.      Di conseguenza, come la Corte ha precisato nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 46), ritengo che essa debba rispondere alla questione sollevata dal giudice del rinvio, che riguarda le condizioni in presenza delle quali i cittadini dell’Unione possono, in ragione della perdita della cittadinanza di uno Stato membro, perdere la qualità di cittadino dell’Unione e, pertanto, essere privati dei diritti che ne derivano.

45.      Passo adesso alla prima parte della questione sollevata dal giudice del rinvio, riguardante la perdita della cittadinanza dei cittadini olandesi maggiorenni.

B.      Sulla compatibilità con l’articolo 20 TFUE e con l’articolo 7 della Carta della perdita di cittadinanza dei cittadini olandesi maggiorenni prevista all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese

46.      Nella prima parte della sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 20 TFUE, letto alla luce della sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), debba essere interpretato nel senso che osta all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, vale a dire per quanto riguarda i maggiorenni.

47.      Ricordo che, nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte ha sancito il principio secondo il quale una decisione di revoca della naturalizzazione di un cittadino di uno Stato membro era suscettibile di un controllo giurisdizionale condotto alla luce del diritto dell’Unione.

48.      Inizialmente, ai punti da 50 a 54 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte ha esaminato, in sostanza, se la decisione di revoca della naturalizzazione perseguisse un obiettivo meritevole di tutela, nella fattispecie la perdita della cittadinanza a motivo di atti fraudolenti commessi dall’interessato al momento della sua acquisizione. Al riguardo, la Corte ha rilevato che è legittimo che uno Stato membro voglia proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza. La Corte ha confermato tale conclusione in merito alla legittimità di una simile misura in base al principio di diritto internazionale generale secondo cui nessuno può essere arbitrariamente privato della propria cittadinanza, nonché alle disposizioni pertinenti della Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia e a quelle della Convenzione europea sulla nazionalità. Essa ha dichiarato, al punto 54 di tale sentenza, che detta conclusione restava, di massima, valida qualora la revoca della cittadinanza dello Stato membro interessato determini come conseguenza la perdita della cittadinanza dell’Unione.

49.      In un secondo momento, che è quello che solleva i quesiti del giudice di rinvio, la Corte ha accompagnato tale conclusione di principio a un limite, vale a dire quello secondo cui la decisione di revoca della naturalizzazione in questione nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) deve rispettare il principio di proporzionalità «per quanto riguarda le conseguenze che essa determina sulla situazione dell’interessato in rapporto al diritto dell’Unione»(11)o tenendo «conto delle possibili conseguenze che tale decisione comporta per l’interessato e, eventualmente, per i suoi familiari sotto il profilo della perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino dell’Unione» (12).

50.      Se, come preciserò più avanti nelle presenti conclusioni, la portata del controllo effettuato ai punti da 55 a 58 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) è di difficile valutazione, ritengo nondimeno che, secondo il ragionamento che la Corte ha seguito in tale sentenza, per determinare se la revoca della cittadinanza di uno Stato membro, che comporta la perdita della cittadinanza dell’Unione dell’interessato, sia conforme all’articolo 20 TFUE, occorre procedere, in primo luogo, all’esame della natura di pubblico interesse del motivo all’origine di tale misura e, in secondo luogo, alla verifica del rispetto del principio di proporzionalità.

1.      Sul motivo di pubblico interesse perseguito dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese

51.      Affinché la perdita della cittadinanza prevista dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese sia conforme al diritto dell’Unione, è necessario che essa persegua un motivo di pubblico interesse, il che implica che la perdita sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e che la privazione che tale articolo comporta non sia considerata un atto arbitrario (13).

52.      Ricordo che l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese prevede la perdita di diritto della cittadinanza per qualsiasi cittadino dei Paesi Bassi che possieda anche la cittadinanza di un altro Stato e risieda in modo ininterrotto da almeno dieci anni al di fuori dei Paesi Bassi e dei territori cui è applicabile il TUE.

53.      A tale riguardo, condivido anzitutto pienamente la posizione sostenuta dal governo dei Paesi Bassi secondo cui, in sostanza, nell’esercizio della propria competenza a definire i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza, uno Stato membro è autorizzato a partire dal postulato che la cittadinanza è espressione di un legame effettivo tra esso e i propri cittadini.

54.      In secondo luogo, non ritengo irragionevole che un legislatore nazionale scelga, tra i vari fattori in grado di riflettere la perdita di un tale legame effettivo, la residenza abituale dei suoi cittadini nel territorio di un paese terzo per un periodo di tempo sufficientemente lungo.

55.      A questo proposito, occorre rilevare che tale scelta è ammessa a livello internazionale. Infatti, la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia prevede, al suo articolo 7, paragrafo 4, la perdita della cittadinanza a causa di un soggiorno di lunga durata all’estero, a condizione che tale perdita non renda apolide la persona interessata. Analogamente, l’articolo 7, paragrafo 1, lettera e), della Convenzione europea sulla cittadinanza prevede che la cittadinanza può essere persa ipso iure per la mancanza di un legame effettivo tra lo Stato e il cittadino che risiede all’estero. La relazione esplicativa di tale Convenzione precisa che detta disposizione mira ad autorizzare lo Stato che ne abbia l’intenzione a impedire che i suoi cittadini che vivono all’estero da molto tempo conservino la cittadinanza di quello Stato, mentre il legame con quest’ultimo non esiste più o è stato sostituito da un legame con un altro paese, purché, come nel caso di specie, si tratti di cittadini con doppia cittadinanza e non sussista pertanto alcun rischio di apolidia (14).

56.      Inoltre, l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese si basa, invero, unicamente su un criterio di allontanamento dal territorio dell’Unione, indipendentemente dall’altra cittadinanza posseduta dai cittadini dei Paesi Bassi. Infatti, come confermato dal governo dei Paesi Bassi all’udienza, sia i cittadini dei Paesi Bassi che hanno la doppia cittadinanza di un paese terzo sia quelli che hanno la doppia cittadinanza di un altro Stato membro possono incorrere nella perdita di diritto, di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, quando soddisfano il criterio della residenza ininterrotta nel territorio di un paese terzo per un periodo di dieci anni.

57.      Infine, come rilevato dal giudice del rinvio, nessun elemento del fascicolo indica che la privazione della cittadinanza stabilita dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese costituisca una misura arbitraria.

58.      Senza addentrarsi, in questa fase del ragionamento, nell’esame della proporzionalità della revoca della cittadinanza a motivo della residenza di un cittadino olandese, con doppia cittadinanza, in un paese terzo per un periodo superiore a dieci anni, tale durata non appare eccessivamente breve. Nessuna parte interessata ha peraltro contestato tale periodo. Inoltre, indipendentemente dalle lacune lamentate dalle ricorrenti nel procedimento principale che hanno pregiudicato l’informazione preventiva a loro disposizione su tale normativa, è importante rilevare che la legge che ha modificato la legge sulla cittadinanza olandese è stata adottata nell’anno 2000 per entrare in vigore tre anni più tardi. Pertanto, ritengo che fosse sufficientemente prevedibile. Inoltre, il presente procedimento dimostra sufficientemente che la privazione della cittadinanza stabilita dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese è soggetta a un controllo giurisdizionale.

59.      Di conseguenza, ritengo che la privazione della cittadinanza stabilita dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese persegua un obiettivo legittimo.

2.      Sulla proporzionalità dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese

60.      Risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se sia autorizzato a semplicemente verificare che i presupposti per l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese sono soddisfatti, o se, in forza del principio di proporzionalità, come interpretato dalla Corte nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punti da 55 a 58), esso sia altresì tenuto a prendere in considerazione le circostanze personali che, in ciascun caso di specie, possono dimostrare il mantenimento di un legame effettivo con lo Stato membro interessato, come sostengono le ricorrenti nel procedimento principale.

61.      In altri termini, queste ultime sembrano ritenere che la sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) imporrebbe, in generale, che, indipendentemente dal criterio di collegamento scelto dal legislatore di uno Stato membro per concedere o revocare la cittadinanza di tale Stato membro, il giudice nazionale debba esaminare tutte le circostanze personali di ogni specie idonee a dimostrare il mantenimento di un legame effettivo con lo Stato membro tale da consentire all’interessato di conservare la cittadinanza di quest’ultimo.

62.      Non condivido tale posizione.

63.      In primo luogo, sul piano dei principi, non vedo alcun ostacolo a che, a seguito di un controllo di proporzionalità alla luce del diritto dell’Unione, una disposizione di una normativa di uno Stato membro, per sua natura generale, possa rivelarsi conforme al principio di proporzionalità.

64.      A tale riguardo e senza pretese di completezza, mi limiterò a menzionare la sentenza del 6 ottobre 2015, Delvigne (C‑650/13, EU:C:2015:648), che riguardava l’applicazione di una normativa nazionale che aveva l’effetto di privare automaticamente un cittadino dell’Unione, condannato a una sanzione penale, del diritto di voto alle elezioni del Parlamento europeo.

65.      Dopo aver stabilito che la situazione in quella causa rientrava nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, la Corte ha accettato di controllare la conformità della privazione del diritto di voto con il diritto garantito dall’articolo 39, paragrafo 2, della Carta e, in particolare, con il rispetto del principio di proporzionalità, di cui all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

66.      Nell’esaminare la proporzionalità della limitazione del diritto di voto, la Corte ha considerato, da un lato, che tale limitazione risultava proporzionata, dal momento che teneva conto della natura e della gravità dell’infrazione penale commessa nonché della durata della pena, ricordando che l’interdizione dal diritto di voto era applicabile, a norma della legislazione nazionale in questione, solo alle persone condannate in ragione di un reato punibile con una pena privativa della libertà compresa tra i cinque anni e l’ergastolo. Dall’altro, la Corte ha sottolineato che il diritto nazionale offriva espressamente alle persone condannate la possibilità di chiedere e di ottenere la revoca della sanzione della degradazione civica che portava alla privazione del diritto di voto. La Corte ha quindi concluso che la normativa nazionale in questione non era contraria al principio di proporzionalità e ha dichiarato che l’articolo 39, paragrafo 2, della Carta non ostava a tale normativa, che escludeva de iure dai beneficiari del diritto di voto alle elezioni al Parlamento europeo la categoria dei cittadini dell’Unione cui apparteneva il sig. Thierry Delvigne.

67.      Si può pertanto dedurre da tale causa che non è necessario che l’esame della proporzionalità di una normativa nazionale sia condotto alla luce delle circostanze personali di ogni singolo caso le quali consentirebbero di escludere l’applicazione della limitazione prevista da tale normativa. A questo proposito, la Corte si è limitata a rilevare che il sig. Delvigne soddisfaceva le condizioni di applicazione della normativa nazionale, ossia che era stato condannato a una pena privativa della libertà compresa tra i cinque anni e l’ergastolo, senza addentrarsi nell’analisi dell’adeguatezza della limitazione del diritto di voto rispetto alla pena individuale (dodici anni) alla quale il sig. Delvigne era stato condannato o, a maggior ragione, nella considerazione di eventuali circostanze attenuanti specifiche della situazione di tale persona.

68.      Il controllo del rispetto del principio di proporzionalità effettuato nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), malgrado le innegabili ambiguità relative alla sua portata, non mi sembra inficiare tale conclusione.

69.      Anzitutto, rilevo che nessuna delle motivazioni della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) fa riferimento alla presa in considerazione di tutte le circostanze di ciascun caso di specie al fine di verificare la proporzionalità di una decisione di revoca della naturalizzazione, come quella discussa in tale causa.

70.      È vero che per tre volte, ai punti 54, 55 e 56, prima frase, di tale sentenza, la Corte ha fatto riferimento alle conseguenze che tale decisione comporta per l’interessato.

71.      L’articolazione di questi tre punti della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) non sembra particolarmente facile da comprendere.

72.      Infatti, mentre il punto 54 di tale sentenza evoca la conseguenza immediata per la persona interessata dalla perdita della cittadinanza, vale a dire la perdita dello status di cittadino dell’Unione, il che pare comprensibile e logico, i punti 55 e 56, prima frase, di detta sentenza sembrano invece prospettare altri tipi di conseguenze, più indirette o, addirittura, semplicemente «eventuali», diverse da quelle della perdita della cittadinanza dell’Unione, in considerazione delle quali il giudice nazionale dovrebbe effettuare un esame di proporzionalità della decisione di revoca della naturalizzazione e, per giunta, alla luce non solo dell’articolo 20 TFUE, ma del diritto dell’Unione in generale.

73.      A questo proposito, salvo errore da parte mia, nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), oltre alla perdita della qualità di cittadino dell’Unione, l’unica altra conseguenza diretta derivante dalla revoca della naturalizzazione, che era al centro delle questioni poste dal giudice nazionale e che, all’evidenza, era ben lungi dall’essere ipotetica, era il rischio che l’interessato divenisse apolide.

74.      Orbene, per quanto riguarda queste due dirette conseguenze della decisione di revoca della naturalizzazione nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte non ha fornito alcuna indicazione che suggerisse che tale decisione potesse essere sproporzionata. Infatti, al punto 57 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), la Corte ha ammesso che uno Stato membro del quale sia stata acquisita la cittadinanza in maniera fraudolenta non era obbligato, in forza dell’articolo 20 TFUE, ad astenersi dalla revoca della naturalizzazione per il solo fatto che l’interessato non avesse recuperato la cittadinanza del suo Stato membro di origine e, quindi, la qualità di cittadino dell’Unione. Inoltre, al punto 58 della stessa sentenza e, in modo piuttosto singolare, la Corte ha rimesso al giudice nazionale il compito di determinare da sé la portata del principio di proporzionalità, indicando che spetta a quest’ultimo di valutare «se (…) il (…) principio di proporzionalità esiga che, prima che una siffatta decisione di revoca della naturalizzazione divenga efficace, venga concesso all’interessato un termine ragionevole affinché egli possa tentare di recuperare la cittadinanza del suo Stato membro di origine» (15).

75.      Si comprende allora difficilmente quale altra conseguenza, o quali altre conseguenze, sulla situazione dell’interessato il giudice nazionale fosse chiamato a prendere in considerazione nell’ambito dell’esame della proporzionalità della decisione di revoca della naturalizzazione discussa nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), se nemmeno le conseguenze dirette di tale decisione potevano comportare che le autorità tedesche si astenessero dall’adottare tale decisione.

76.      Invero, è senz’altro possibile concepire che la decisione di revoca della naturalizzazione che comporta la perdita dello status di cittadino dell’Unione possa avere diverse ripercussioni sulla situazione dell’interessato o dei suoi familiari, come la Corte ha ricordato al punto 56, prima frase, della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104). Ad esempio, è possibile che la perdita dello status di cittadino dell’Unione possa comportare l’interruzione o la perdita del versamento di prestazioni sociali a favore dell’interessato. Inoltre, la perdita della cittadinanza dell’Unione potrebbe far sì che l’interessato non possa più avvalersi di un diritto di soggiorno nel territorio dello Stato membro interessato, o addirittura, in alcuni casi, di quello dell’Unione. Se l’interessato stesso ha dei figli, che possiedono la cittadinanza di detto Stato membro e di cui ha la custodia esclusiva, questi ultimi potrebbero trovarsi in una situazione simile a quella esaminata nella causa Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124).

77.      Tuttavia, tali conseguenze non derivano dalla decisione di revoca della naturalizzazione della persona interessata, ma da decisioni amministrative successive che possono essere adottate o meno, e che possono comunque essere oggetto di ricorso giurisdizionale e, se del caso, di un controllo di proporzionalità, anche rispetto al diritto dell’Unione.

78.      Pertanto, non vedo perché, in sede di esame della proporzionalità della decisione di revoca della cittadinanza ai sensi del diritto dell’Unione, il giudice nazionale adito dovrebbe tener conto di tali conseguenze indirette o meramente ipotetiche se queste non possono, in ogni caso, condurlo ad annullare siffatta decisione o a dichiarare che le autorità nazionali avrebbero dovuto astenersi dall’adottarla.

79.      In tal senso, per riprendere uno degli esempi citati in precedenza, se l’interessato che può perdere lo status di cittadino dell’Unione e i suoi familiari, anch’essi cittadini dell’Unione, si trovassero in una situazione come quella esaminata nella causa Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), ciò non significherebbe che lo Stato membro interessato debba astenersi, nei confronti di tale interessato, dall’adottare la decisione di revoca della cittadinanza di quest’ultimo, bensì che debba garantire che l’interessato possa continuare a risiedere nel territorio dell’Unione, in quanto familiare di cittadini dell’Unione.

80.      Pertanto, delle due l’una: o l’adozione di una decisione di revoca della cittadinanza può essere «neutralizzata» a causa della perdita dello status di cittadino dell’Unione che essa comporta – il che certamente solleva un certo numero di difficoltà riguardo al carattere accessorio di tale status rispetto alla cittadinanza degli Stati membri, come previsto all’articolo 9 del TUE e all’articolo 20, paragrafo 1, del TFUE (16), ma che, a mio avviso, non è impossibile (17) –, o l’adozione di una siffatta decisione non può essere «neutralizzata» dalla perdita dello status di cittadino dell’Unione, ma in tal caso mi riesce difficile comprendere perché le conseguenze indirette, secondarie o addirittura ipotetiche sulla situazione dell’interessato, e di minore gravità rispetto alla perdita di tale status fondamentale e dei relativi diritti, implicherebbero che la decisione di revoca della cittadinanza non possa essere adottata.

81.      La Corte non travisi le mie osservazioni. Lungi da me l’idea di esentare gli Stati membri da un esame della proporzionalità di una decisione di revoca della cittadinanza o di una misura, come quella di cui al procedimento principale, che dichiara la perdita della cittadinanza da parte di cittadini di uno Stato membro, le quali comportano la perdita dello status di cittadino dell’Unione.

82.      Tale controllo deve nondimeno, a mio avviso e conformemente alla giurisprudenza, limitarsi a verificare che il provvedimento nazionale in questione, che ha come conseguenza diretta la perdita della qualità di cittadino dell’Unione, sia idoneo a garantire il raggiungimento dell’obiettivo di pubblico interesse da esso perseguito e che tale obiettivo non possa essere raggiunto mediante misure meno restrittive, vale a dire che la misura in questione non vada oltre quanto è necessario per il conseguimento di tale obiettivo di pubblico interesse (18).

83.      Il punto 59 ed il dispositivo della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), che subordinano, in termini generali, la compatibilità con il diritto dell’Unione, in particolare con l’articolo 17 CE (divenuto articolo 20 TFUE), di una decisione di revoca della naturalizzazione al rispetto del «principio di proporzionalità», avvalorano tale interpretazione.

84.      In ogni caso, il controllo di proporzionalità che la Corte, nella sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), ha invitato il giudice nazionale a compiere non comprende, a mio avviso, l’esame di tutte le circostanze specifiche di ciascun singolo caso che, nonostante l’avveramento delle condizioni di applicazione della legislazione nazionale che presiedono alla revoca della cittadinanza, potrebbero dimostrare il mantenimento di un legame effettivo con lo Stato membro interessato.

85.      A tale riguardo, se ci si sofferma, in questa fase, solo sugli elementi espressamente indicati al punto 56, seconda frase, della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), ricordo che la Corte ha chiesto al giudice nazionale di verificare, in particolare, se la perdita dei diritti di cui gode ogni cittadino dell’Unione «sia giustificata in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa dall’interessato, al tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca, nonché alla possibilità per l’interessato di recuperare la propria cittadinanza di origine».

86.      Ovviamente, benché la seconda frase del punto 56 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) sia formulata in modo generale, gli elementi individuati dalla Corte che dovevano essere esaminati dal giudice nazionale non sono necessariamente applicabili a tutte le situazioni in cui è in questione la perdita della cittadinanza di uno Stato membro e della cittadinanza dell’Unione. In particolare, il controllo di proporzionalità deve essere esercitato in funzione del motivo che è all’origine della revoca della cittadinanza e della qualità di cittadino dell’Unione.

87.      Ciò premesso, l’esame dei tre elementi citati al punto 56, seconda frase, della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) non conforta, a mio avviso, la tesi delle ricorrenti nel procedimento principale secondo cui, nell’ambito dell’esame della proporzionalità di un provvedimento nazionale che revoca a un individuo la cittadinanza di uno Stato membro, si devono prendere in considerazione tutte le circostanze di ciascuna situazione.

88.      Tale è chiaramente il caso per quanto riguarda l’invito rivolto al giudice nazionale a verificare se la perdita dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione fosse «giustificata in rapporto alla gravità dell’infrazione commessa». Infatti, l’esame di tale elemento, specifico rispetto al motivo (atti fraudolenti) all’origine della decisione di revoca della naturalizzazione nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), richiede unicamente di verificare la correlazione tra la perdita dei diritti connessi alla qualità di cittadino dell’Unione e il carattere sufficientemente grave dell’infrazione commessa dall’interessato, che può essere effettuato in astratto e non implica pertanto un esame in concreto (19). Quindi, in un caso limite – e mi auguro del tutto ipotetico – in cui la normativa di uno Stato membro prescriva la revoca della naturalizzazione di un individuo, avente per effetto la perdita della cittadinanza dell’Unione, a causa di una violazione del codice della strada, il carattere sproporzionato di tale misura sarebbe evidente per via della mancanza di adeguatezza tra il basso livello di gravità dell’infrazione e la drammatica conseguenza della perdita dello status di cittadino dell’Unione. Un tale controllo non richiederebbe alcuna presa in considerazione della situazione individuale della persona.

89.      Tale è anche indubbiamente il caso dell’esame, da parte del giudice nazionale, della questione se l’interessato privato della cittadinanza di uno Stato membro abbia «la possibilità (…) di recuperare la propria cittadinanza di origine». Tale esame può essere perfettamente effettuato alla sola luce delle possibilità previste dalle pertinenti disposizioni nazionali, a prescindere dall’esame di circostanze proprie della persona. Del resto, è interessante rilevare che, sebbene tale passaggio della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) si inserisca in un punto in cui si ricorda l’importanza attribuita dal diritto primario allo status di cittadino dell’Unione, la Corte non si concentra né sulla necessità per l’interessato di mantenere detto status (20) né sul fatto che l’interessato possa effettivamente recuperare la propria cittadinanza d’origine, nella fattispecie la cittadinanza austriaca, il che, nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), avrebbe assicurato al ricorrente anche il recupero della cittadinanza dell’Unione (21).

90.      Tale è, a mio avviso, pure il caso dell’esame, richiesto dalla Corte al punto 56, seconda frase, della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), del «tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca», anche se ciò è, lo riconosco, più incerto. La verifica alla quale è stato invitato il giudice nazionale solleva dubbi quanto alle conseguenze che tale giudice doveva trarre dal trascorrere del tempo. Infatti, non è chiaro se il trascorrere del tempo avrebbe potuto impedire, in quanto tale, l’adozione della decisione di revoca della cittadinanza o avrebbe potuto eventualmente avere, alla luce delle specifiche circostanze della causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), soltanto un’influenza sul carattere retroattivo o no di tale decisione. Nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), il tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca era di circa un anno e mezzo. Peraltro, il diritto tedesco applicabile prevedeva che un atto amministrativo ottenuto mediante frode fosse, in linea di principio, revocato retroattivamente (22), il che lasciava un margine di discrezionalità al giudice nazionale adito che gli consentiva di prendere in considerazione taluni elementi relativi al comportamento dell’interessato nel periodo trascorso nonché a quello dell’amministrazione, in particolare l’assenza di diligenza di quest’ultima nell’accertare gli atti fraudolenti. La Corte non ha però fornito indicazioni chiare che facessero pensare che il tempo trascorso potesse «neutralizzare» l’acquisizione fraudolenta della cittadinanza e, pertanto, l’adozione della decisione retroattiva di revoca della naturalizzazione. In altri termini, non risulta affatto dalla sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) che il giudice nazionale fosse invitato a verificare se, nonostante gli atti fraudolenti dell’interessato, quest’ultimo, alla luce di circostanze specifiche, avesse consolidato, durante il tempo trascorso tra la decisione di naturalizzazione e la decisione di revoca di quest’ultima, un legame abbastanza forte con la Repubblica federale di Germania da ostacolare la revoca della naturalizzazione.

91.      Pertanto, alla luce sia della sentenza Delvigne (C‑650/13, EU:C:2015:648) sia della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), ritengo che, nella causa principale, il controllo di proporzionalità dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese debba essere effettuato in astratto e, in ogni caso, a prescindere dalle conseguenze e dalle circostanze personali che avrebbero l’effetto di escludere l’applicazione dei motivi di perdita della cittadinanza scelti dal legislatore olandese.

92.      Passo ora all’esame della proporzionalità dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese.

93.      Al riguardo si deve, in primo luogo, rilevare che l’applicazione di tale articolo non implica necessariamente la perdita della cittadinanza dell’Unione. Infatti, come ho già evidenziato, la perdita della cittadinanza olandese che tale articolo prevede si applica anche ai cittadini del Regno dei Paesi Bassi che posseggono anche la cittadinanza di un altro Stato membro e risiedono in un paese terzo. Nonostante la perdita della cittadinanza dei Paesi Bassi, tali persone conservano la qualità di cittadino dell’Unione.

94.      In secondo luogo, come ha rilevato il giudice del rinvio, l’articolo 15, paragrafo 4, della legge sulla cittadinanza olandese prevede diverse possibilità di interruzione del termine di dieci anni di residenza ininterrotta in un paese terzo, attraverso procedure semplici. Infatti, tale termine è interrotto e, pertanto, decorre un nuovo termine di dieci anni a beneficio dell’interessato, quando quest’ultimo ha ottenuto o una dichiarazione relativa al possesso della cittadinanza dei Paesi Bassi, o un documento di viaggio (passaporto), o una carta d’identità dei Paesi Bassi.

95.      Mediante il rilascio di uno di tali documenti, l’interessato può, di sua iniziativa, evitare la perdita della cittadinanza dei Paesi Bassi e, se del caso, quella della cittadinanza dell’Unione.

96.      Anche indipendentemente dalla perdita della cittadinanza, esigere che un cittadino di uno Stato membro rinnovi, a decorrere dalla scadenza della validità di un passaporto o di una carta d’identità nazionale, uno di questi documenti sembra lungi dall’essere irragionevole e sproporzionato (23).

97.      Tale rilievo vale a maggior ragione quando la persona risiede per un periodo significativo in un paese terzo in cui il legame con il suo Stato membro d’origine rischia di affievolirsi. È infatti nell’interesse di chiunque disporre di documenti d’identità e/o di viaggio validi, tanto più se il rilascio di uno di tali documenti permette di conservare la propria cittadinanza nonché, se del caso, lo status di cittadino dell’Unione.

98.      Se un cittadino dei Paesi Bassi richiede, entro il periodo di dieci anni di residenza ininterrotta in un paese terzo, il rilascio di uno dei tre documenti menzionati all’articolo 15, paragrafo 4, della legge sulla cittadinanza olandese, il legislatore dei Paesi Bassi ha presunto che egli intenda conservare un legame effettivo con i Paesi Bassi.

99.      Per contro, se l’interessato non effettua la procedura volta ad ottenere uno di tali documenti durante il periodo di residenza ininterrotta di dieci anni in un paese terzo, di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), di tale legge, il legislatore dei Paesi Bassi ha ritenuto che tale legame sia venuto meno (24).

100. Tali presunzioni non sembrano andare al di là di quanto è necessario per conseguire l’obiettivo perseguito dal legislatore dei Paesi Bassi.

101. In terzo luogo, la perdita della cittadinanza olandese e, eventualmente, della qualità di cittadino dell’Unione non è irreversibile. Infatti, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera f), della legge sulla cittadinanza olandese, quando una persona ha perso la cittadinanza dei Paesi Bassi può ottenerla di nuovo a condizioni più favorevoli rispetto a un cittadino che non ha mai posseduto la cittadinanza dei Paesi Bassi. Sulla scia di quanto osservato dalla Corte al punto 56, seconda frase, della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) e del controllo del rispetto del principio di proporzionalità da essa svolto nella sentenza del 6 ottobre 2015, Delvigne (C‑650/13, EU:C:2015:648), ritengo che la possibilità di recuperare i diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione contribuisca alla proporzionalità della normativa nazionale in questione nella presente causa.

102. Nel caso di specie, ricordo che nessuna delle tre ricorrenti maggiorenni contesta il fatto di rientrare nelle condizioni di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese e che, pertanto, esse devono perdere la cittadinanza dei Paesi Bassi nonché, essendo prive della cittadinanza di un altro Stato membro, la loro qualità di cittadine dell’Unione (25).

103. In effetti, secondo le informazioni trasmesse dal giudice del rinvio, le ricorrenti nel procedimento principale hanno atteso, sorprendentemente, tra sei e dieci anni per chiedere il rinnovo del loro passaporto, avendo tutte presentato la loro domanda di rinnovo nel corso del 2014, mentre, a norma dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, esse avevano tutte perso la cittadinanza olandese a partire dalla primavera del 2013.

104. Come ho già detto, le ricorrenti nel procedimento principale criticano il fatto che la legge sulla cittadinanza olandese vieti ai giudici nazionali di tenere conto delle circostanze personali che dimostrerebbero che le stesse hanno mantenuto un legame effettivo con i Paesi Bassi, nonostante il criterio prescelto dal legislatore olandese di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza dei Paesi Bassi. In altri termini, esse ritengono che il principio di proporzionalità imporrebbe al giudice nazionale di tener conto non solo delle circostanze personali che contribuiscono alla verifica del soddisfacimento delle condizioni di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, ma anche e soprattutto di circostanze personali che si riferirebbero ad altri fattori di collegamento le quali rispecchierebbero la conservazione di un preteso legame effettivo con i Paesi Bassi, quali la conoscenza della lingua neerlandese, il mantenimento di legami familiari e/o affettivi in tale Stato membro e l’esercizio del diritto di voto alle elezioni dei Paesi Bassi.

105. Per quanto possa sembrare attraente, e al di là della discussione relativa alla portata delle sentenze Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) e Delvigne (C‑650/13, EU:C:2015:648), questa tesi comporta, a mio avviso, delle conseguenze particolarmente pericolose, segnatamente sulla ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l’Unione.

106. Infatti, con il pretesto di chiedere l’esame del rispetto del principio di proporzionalità nel diritto dell’Unione, tale tesi finisce, in definitiva, con il pretendere di imporre al giudice nazionale di disapplicare il motivo posto alla base della perdita della cittadinanza scelto dal legislatore nazionale, conformemente al diritto internazionale e senza violare il diritto dell’Unione, in favore di altri criteri di collegamento allo Stato membro interessato, che sono certamente ipotizzabili dal punto di vista teorico o dal punto di vista di un altro Stato membro, ma che il legislatore nazionale non ha considerato pertinenti al fine di dimostrare la conservazione di un legame effettivo con lo Stato membro interessato.

107. Orbene, ricordo che, secondo la giurisprudenza, gli Stati membri sono competenti a determinare i modi di acquisto e di perdita della cittadinanza e che, in forza degli articoli 9 TUE e 20, paragrafo 1, TFUE, la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce. Condividere le argomentazioni delle ricorrenti nel procedimento principale comporterebbe inoltre la violazione, da parte dell’Unione, dell’obbligo di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, sancito all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, di cui la composizione della comunità nazionale costituisce indubbiamente un elemento essenziale (26).

108. Come ho già sottolineato, nemmeno la sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104) conforta l’argomentazione delle ricorrenti nel procedimento principale. Infatti, tale sentenza non può, a mio avviso, essere interpretata nel senso che impone al giudice nazionale, nell’ambito dell’esame del rispetto del principio di proporzionalità, di verificare che l’adozione di una decisione recante revoca della cittadinanza di uno Stato membro, fondata su un motivo di pubblico interesse perseguito dalla normativa nazionale, possa essere esclusa in ragione dell’esistenza di circostanze specifiche relative all’interessato che rispecchierebbero il mantenimento di un legame effettivo con lo Stato membro di cui trattasi, a prescindere dalle ragioni per le quali tale decisione è stata presa.

109. Inoltre, e correlativamente, ricordo che la necessità e la proporzionalità di una misura nazionale che persegue un obiettivo di pubblico interesse non sono escluse per il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un sistema di protezione differente da quello adottato da un altro Stato membro (27) o che siano prospettabili altre misure che potrebbero conseguire questo obiettivo, ma di cui il legislatore nazionale ha, per un qualche motivo, ravvisato l’inidoneità a realizzarlo.

110. Inoltre, ammettere l’argomentazione sviluppata dalle ricorrenti nel procedimento principale nella presente causa porterebbe il giudice nazionale a dover determinare, senza indicazione precisa da parte del legislatore nazionale, quali sono i criteri di collegamento con lo Stato membro interessato, il loro grado d’intensità e la loro ponderazione.

111. Ad esempio, supponendo che la capacità di utilizzare la lingua neerlandese sia considerata un criterio pertinente, in che modo il giudice nazionale dovrebbe prendere in considerazione il fatto che la sig.ra Tjebbes rileva nelle sue osservazioni scritte di non parlare correntemente il neerlandese e, se del caso, ponderare tale criterio con il numero di viaggi da essa effettuati tra il Canada e i Paesi Bassi negli ultimi anni o, eventualmente, con i possibili legami familiari, il cui grado non è stato precisato, da essa conservati in tale Stato membro?

112. Analogamente, nella situazione della sig.ra Koopman, che si avvale di una perfetta padronanza del neerlandese, sia scritto sia orale, e che sembra viaggiare regolarmente nei Paesi Bassi, il giudice nazionale dovrebbe anche tener conto – e, in caso affermativo, quale importanza dovrebbe assumere tale elemento – del fatto che, secondo le osservazioni della sig.ra Koopman, suo figlio, divenuto maggiorenne prima della primavera 2013, ha, contrariamente alla sig.ra Koopman, avviato le pratiche che gli consentono di conservare la cittadinanza olandese?

113. Pretendere che i giudici nazionali si impegnino in tale attività esporrebbe i singoli a una situazione di incertezza giuridica. In ogni caso, ritengo che se, contrariamente a quanto da me proposto, la Corte dovesse avallare la tesi delle ricorrenti nel procedimento principale, essa dovrebbe valutare da sé la portata del principio di proporzionalità e, pertanto, indicare al giudice del rinvio i criteri rilevanti di collegamento con lo Stato membro interessato che dovrebbero essere presi in considerazione da quest’ultimo, il quale avrebbe l’onere di verificare se siano stati soddisfatti in ciascuna delle situazioni di cui al procedimento principale.

114. Non posso invitare la Corte a seguire un orientamento del genere, in quanto esso interferirebbe con la competenza degli Stati membri a definire le condizioni di perdita della cittadinanza.

115. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, ritengo che l’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese non violi il principio di proporzionalità, come tutelato nel diritto dell’Unione.

116. Infine, tale conclusione non può essere inficiata dalla necessità di garantire il diritto di ogni persona al rispetto della vita privata e familiare, ai sensi dell’articolo 7 della Carta.

117. Infatti, l’applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese non priva in alcun modo i cittadini olandesi che hanno perso la cittadinanza dei Paesi Bassi e, se del caso, la cittadinanza dell’Unione, del godimento della loro vita privata e familiare. In particolare, essi godono comunque di un diritto di soggiorno nel territorio del paese terzo del quale possiedono la cittadinanza, continuano a viaggiare e a spostarsi liberamente grazie ai documenti di viaggio rilasciati da tale paese terzo e sono, nei limiti della normativa sull’ingresso dei cittadini stranieri, ammessi nel territorio di qualsiasi altro Stato, compresi gli Stati membri dell’Unione. Tali persone continuano, inoltre, a godere pienamente della loro vita familiare, senza il rischio di dover abbandonare il territorio del paese terzo in cui risiedono. Una siffatta valutazione vale in tutti i casi in esame. In altri termini, essa non richiede un esame in concreto dell’impatto della perdita della cittadinanza e, se del caso, di quella dello status di cittadino dell’Unione, sulla situazione individuale di ogni persona interessata.

118. Pertanto, suggerisco di risolvere la prima parte della questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 7 della Carta non ostano ad una disposizione legislativa, quale l’articolo 15, paragrafi 1, lettera c), e 4, della legge sulla cittadinanza olandese, in forza della quale una persona maggiorenne, che possiede anche la cittadinanza di un paese terzo, perde di diritto la cittadinanza di uno Stato membro e, pertanto, lo status di cittadino dell’Unione, per il fatto di aver avuto, per un periodo ininterrotto di dieci anni, la propria residenza principale all’estero e al di fuori dell’Unione europea.

C.      Sulla compatibilità con l’articolo 20 TFUE e con l’articolo 24 della Carta della perdita della cittadinanza dei cittadini olandesi minorenni, prevista all’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese

119. La seconda parte della questione pregiudiziale sollevata dal giudice di rinvio si riferisce alla perdita della cittadinanza dei cittadini olandesi minorenni, prevista dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese, e riguarda unicamente, nel procedimento principale, la situazione della sig.na Duboux, figlia della sig.ra Koopman. Proprio come nell’esame dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), di detta legge, occorre verificare se la perdita della cittadinanza di cui all’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), di tale legge persegua un obiettivo di pubblico interesse e non vada al di là di quanto è necessario per raggiungere questo obiettivo.

1.      Sul motivo di pubblico interesse perseguito dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese

120. Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese, un minore perde la cittadinanza olandese se uno dei suoi genitori perde la cittadinanza a norma dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), di tale legge, purché, secondo il giudice del rinvio, tale minore non diventi apolide (28).

121. Per quanto riguarda l’obiettivo di pubblico interesse perseguito dall’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese, il giudice del rinvio sottolinea che dalla sua genesi risulta che tale disposizione mira a ristabilire l’unità della cittadinanza nella famiglia.

122. A tale proposito, occorre rilevare che l’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese si ispira all’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione europea sulla cittadinanza, che consente a ciascuno Stato contraente di tale convenzione di prevedere la perdita della cittadinanza da parte dei figli quando uno dei genitori perde tale cittadinanza (29). Peraltro, il secondo protocollo che modifica la Convenzione (europea) sulla riduzione dei casi di cittadinanza plurima e sugli obblighi militari in caso di cittadinanza plurima, firmato a Strasburgo il 2 febbraio 1993 (30), menziona, nel suo terzo considerando, l’incoraggiamento a garantire l’unità della cittadinanza nell’ambito di una stessa famiglia.

123. È vero che, anche a livello internazionale, la legittimità di tale obiettivo è stata messa in dubbio, per quanto riguarda la necessità di riconoscere ai minori diritti processuali e sostanziali autonomi rispetto ai loro genitori (31).

124. Senza giungere a riconoscere l’esistenza di tali diritti, il governo dei Paesi Bassi ha sottolineato più volte, nelle sue osservazioni depositate nella presente causa, che l’obiettivo dell’unità della cittadinanza nella famiglia deve includere la presa in considerazione dell’interesse (superiore) del minore, come riconosciuto nel contesto dell’applicazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della Convenzione europea sulla cittadinanza (32). Tale governo aggiunge che l’interesse superiore del minore, consacrato all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta (33), è stato inoltre preso in considerazione dal legislatore nazionale quando quest’ultimo ha previsto, all’articolo 16, paragrafo 2, della legge sulla cittadinanza olandese, un certo numero di eccezioni alla perdita della cittadinanza nel caso di minori.

125. Condivido la posizione del governo dei Paesi Bassi secondo la quale il motivo dell’unità della cittadinanza nella famiglia deve necessariamente comportare una presa in considerazione dell’interesse superiore del minore. Questa considerazione è ancora più importante quando, perdendo la cittadinanza dei Paesi Bassi, il minore rischia anche di perdere la qualità di cittadino dell’Unione.

126. Alla luce di tali considerazioni, l’obiettivo di garantire o ripristinare l’unità della cittadinanza nella famiglia, includendo al contempo la presa in considerazione dell’interesse superiore del minore, costituisce, a mio avviso, un obiettivo legittimo che, in linea di principio, può giustificare la perdita, da parte di un minore, della cittadinanza di uno Stato membro, perdita che può a sua volta comportare quella della cittadinanza dell’Unione.

127. Occorre tuttavia verificare se la misura con cui il legislatore olandese ha previsto di raggiungere tale obiettivo sia conforme al principio di proporzionalità.

2.      Sulla proporzionalità dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese

128. Secondo il governo dei Paesi Bassi, la presa in considerazione dell’interesse superiore del minore, cittadino dell’Unione, non significa che la perdita della cittadinanza olandese, che comporta quella della cittadinanza dell’Unione, non possa mai avvenire. Esso aggiunge, in sostanza, che quando un genitore ha perso un legame effettivo con i Paesi Bassi, si può ragionevolmente presumere che il figlio non abbia più, in linea di principio, un legame effettivo con lo Stato membro interessato. Tale argomento spiegherebbe perché la perdita di cittadinanza dei minori sarebbe in linea di principio automatica, a meno che non ricorrano le eccezioni di cui all’articolo 16, paragrafo 2, della legge sulla cittadinanza olandese.

129. Tale linea di ragionamento non mi convince.

130. È vero che non si contesta che l’interesse superiore del minore, cittadino dell’Unione, possa opporsi per principio alla perdita della cittadinanza di uno Stato membro, e quindi della cittadinanza dell’Unione.

131. Tuttavia, da un lato, sottolineo che il legislatore dei Paesi Bassi è partito dalla presunzione che l’unità della cittadinanza nella famiglia coincida sempre con l’interesse superiore del minore, tranne nei casi eccezionali che il legislatore stesso ha ammesso.

132. Dall’altro, il legislatore dei Paesi Bassi non sembra aver tenuto alcun conto del fatto che i cittadini dell’Unione minorenni godono di questa qualità autonomamente. È quindi evidente che lo status di cittadino dell’Unione non è riservato ai maggiorenni, e che i minori non sono cittadini dell’Unione di seconda categoria (34). I minori, sostanzialmente, sono titolari degli stessi diritti che derivano da tale status, indipendentemente dal fatto che l’esercizio di tali diritti dipenda in genere dalle persone che rivestono la potestà genitoriale. I minori non hanno quindi una cittadinanza dell’Unione derivata da quella dei loro genitori, cittadini dell’Unione, ma godono dello status di cittadino dell’Unione in modo autonomo.

133. A mio avviso, l’autonomia della qualità di cittadino dell’Unione posseduta dai minori nonché la necessità di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore implicano che, nell’applicazione di una normativa di uno Stato membro che comporta, per i minori cittadini di tale Stato, la perdita della cittadinanza nazionale nonché della cittadinanza dell’Unione, tali minori debbano poter beneficiare degli stessi diritti processuali e sostanziali riconosciuti ai maggiorenni.

134. Orbene, come il giudice del rinvio ha fatto notare, i minori, cittadini dell’Unione, non hanno, contrariamente ai maggiorenni, la possibilità di evitare la perdita della cittadinanza richiedendo i documenti previsti dall’articolo 15, paragrafo 4, della legge sulla cittadinanza olandese.

135. È vero che il genitore, cittadino olandese, potrebbe effettuare tali pratiche.

136. Tuttavia, tali pratiche presentate a nome del minore sono sistematicamente condizionate all’esistenza di pratiche parallele del genitore in nome proprio. In loro mancanza, la perdita della nazionalità del genitore comporta automaticamente quella del figlio.

137. Ad esempio, un genitore, cittadino dell’Unione, che abbia richiesto e ottenuto il rinnovo di un passaporto solo per suo figlio, cittadino dell’Unione, nel 2012, ossia prima del 1o aprile 2013, ma che, dopo tale data, abbia perso la cittadinanza olandese, farebbe perdere automaticamente anche a suo figlio, a decorrere da tale data, tale cittadinanza e quella dell’Unione, e ciò sebbene, formalmente, detto figlio possieda un passaporto rilasciato dalle autorità dei Paesi Bassi per cinque anni, ossia fino al 2017, il che potrebbe far pensare che il figlio possa beneficiare degli effetti dell’atto interruttivo del termine di dieci anni previsto dall’articolo 15, paragrafo 4, della legge sulla cittadinanza olandese, ossia sino al 2022 e, quindi, conservare la cittadinanza olandese e la cittadinanza dell’Unione, almeno fino a tale data.

138. Che una tale situazione possa verificarsi non è certamente inconcepibile.

139. È infatti perfettamente ipotizzabile che, prima della scadenza del termine di dieci anni, il genitore cittadino dei Paesi Bassi di un minore, olandese, cittadino dell’Unione, se del caso con il consenso di quest’ultimo, possa ritenere che è nell’interesse di suo figlio conservare la cittadinanza dei Paesi Bassi e, pertanto, la qualità di cittadino dell’Unione, prima che il genitore interessato si trovi egli stesso obbligato a rinnovare il proprio passaporto o la propria carta d’identità per conservare la propria.

140. Inoltre, è del tutto possibile che, per diverse ragioni, il minore viva, separato dal genitore, nell’Unione e addirittura nei Paesi Bassi.

141. Orbene, da una parte, nessuna disposizione della legge sulla cittadinanza olandese prevede che, in una simile ipotesi, sia esclusa la perdita automatica della cittadinanza dei Paesi Bassi del minore a causa di quella del genitore, sebbene l’interesse superiore del minore, cittadino dell’Unione, possa imporlo.

142. Infatti, come ha precisato il giudice del rinvio e come ribadisco, l’articolo 15, paragrafi 3 e 4, della legge sulla cittadinanza olandese, che consente l’interruzione del termine di dieci anni di residenza in un paese terzo, si applica soltanto nel caso degli adulti. Inoltre, mentre il legislatore dei Paesi Bassi ha riconosciuto che l’obiettivo dell’unità della cittadinanza all’interno della famiglia può avere eccezioni, nessuna delle ipotesi eccezionali previste dall’articolo 16, paragrafo 2, della legge sulla cittadinanza olandese si applicherebbe nei casi esposti in precedenza.

143. D’altra parte, non prendendo in considerazione tale tipo di situazioni, il legislatore dei Paesi Bassi presuppone che la qualità di cittadino dell’Unione di un minore sia sistematicamente accessoria a quella di un maggiorenne, salvo il caso di talune delle situazioni eccezionali previste all’articolo 16, paragrafo 2, della legge sulla cittadinanza olandese.

144. Misure meno lesive dell’interesse superiore del minore e dello status di cittadino dell’Unione di quest’ultimo consisterebbero, a mio avviso, in particolare in una clausola generale che consenta al giudice nazionale di prendere in considerazione tale interesse e tale status in tutti i casi di applicazione delle pertinenti disposizioni della legge sulla cittadinanza olandese, e/o nella possibilità dei cittadini dei Paesi Bassi di presentare le pratiche che interrompono il termine di dieci anni esclusivamente per i propri figli, cittadini dell’Unione.

145. Inoltre, il fatto che un figlio, divenuto maggiorenne, possa recuperare la cittadinanza dei Paesi Bassi a determinate condizioni non può, di per sé solo, compensare il fatto che durante la sua minore età tale persona non avrebbe mai dovuto perdere la cittadinanza in questione se fossero stati debitamente presi in considerazione l’interesse superiore del minore e il suo status di cittadino dell’Unione.

146. Pertanto, ritengo che, omettendo di prevedere che l’interesse superiore del minore, cittadino dell’Unione, sia preso in considerazione in qualunque decisione che possa comportare la perdita della cittadinanza dell’Unione di tale minore, ad eccezione di alcune ipotesi eccezionali previste dall’articolo 16, paragrafo 2, della legge sulla cittadinanza olandese, il legislatore olandese abbia ecceduto quanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo dell’unità della cittadinanza all’interno della famiglia, tenendo conto dell’interesse superiore del minore.

147. Tale conclusione, che rispetta la competenza di principio del legislatore nazionale a definire le condizioni di perdita della cittadinanza, non è evidentemente in contrasto con quella che propongo di adottare per quanto riguarda gli adulti. Infatti, non si tratta qui di escludere il criterio posto alla base della perdita di cittadinanza dello Stato membro interessato, scelto dal legislatore nazionale, con un criterio sostitutivo che non è stato adottato dal legislatore, ma di limitarsi a verificare se le misure adottate dal legislatore per conseguire l’obiettivo che intende perseguire non vadano al di là di quanto è necessario per realizzarlo.

148. In altri termini, per effettuare tale controllo, non occorre prendere in considerazione né circostanze personali che dimostrerebbero che l’interessato conserva un nesso di collegamento effettivo con lo Stato membro interessato sulla base di un criterio, non adottato dal legislatore nazionale, che consente di escludere l’applicazione di quello scelto da detto legislatore nazionale nell’ambito della sua competenza sulla determinazione delle cause di perdita della cittadinanza, né possibili conseguenze concrete e personali cagionate dalla perdita della cittadinanza dell’Unione (35).

149. Alla luce di tali considerazioni, propongo di rispondere alla seconda parte della questione sollevata dal giudice del rinvio nel senso che l’articolo 20 TFUE e l’articolo 24 della Carta ostano ad una disposizione legislativa, quale l’articolo 16, paragrafi 1, lettera d), e 2, della legge sulla cittadinanza olandese, in forza della quale una persona minorenne perde di diritto, salvo casi eccezionali, la cittadinanza del suo Stato membro e, pertanto, lo status di cittadino dell’Unione, per effetto della perdita della cittadinanza da parte del genitore.

D.      Sulla limitazione degli effetti nel tempo della sentenza della Corte

150. All’udienza, il governo dei Paesi Bassi ha chiesto la limitazione nel tempo degli effetti dell’emananda sentenza se la Corte dovesse dichiarare che gli articoli 15, paragrafo 1, lettera c), e 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese sono sproporzionati.

151. Tale domanda non può, a mio avviso, essere accolta, anche se la Corte dovesse effettivamente giungere a tale conclusione.

152. Si deve ricordare che, affinché una tale limitazione possa essere disposta, è necessario che siano soddisfatti due criteri essenziali, cioè la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi inconvenienti (36).

153. Più specificamente, risulta dalla giurisprudenza della Corte che le conseguenze finanziarie che potrebbero derivare per uno Stato membro da una sentenza pronunciata in via pregiudiziale non giustificano, di per loro, la limitazione degli effetti nel tempo di tale sentenza.

154. Infatti, la Corte ha fatto ricorso a tale soluzione soltanto in presenza di circostanze ben precise, in particolare quando vi era un rischio di gravi ripercussioni economiche dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base della normativa ritenuta validamente vigente e quando risultava che i singoli e le autorità nazionali erano stati indotti ad un comportamento non conforme al diritto dell’Unione a causa di un’oggettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni del diritto dell’Unione, incertezza alla quale aveva eventualmente contribuito anche lo stesso comportamento tenuto da altri Stati membri o dalla Commissione (37).

155. A sostegno della sua domanda, il governo olandese non ha fornito alcuna prova di possibili gravi inconvenienti e di gravi ripercussioni economiche che potrebbe comportare il riconoscimento, da parte della Corte, dell’incompatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni legislative di cui trattasi nel procedimento principale. In particolare, detto governo si è limitato a indicare laconicamente che numerosi cittadini dei Paesi Bassi avrebbero perduto la cittadinanza olandese da diversi anni, senza fornire il minimo elemento che consenta di stabilire il numero di persone interessate, né quali possano essere gli inconvenienti e le potenziali conseguenze economiche a cui sarebbero esposti i Paesi Bassi derivanti dal recupero della cittadinanza olandese da parte degli interessati.

156. Propongo pertanto in ogni caso di respingere la domanda del governo dei Paesi Bassi diretta a che la Corte limiti gli effetti nel tempo dell’emananda sentenza.

IV.    Conclusione

157. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo di rispondere nel modo seguente alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi):

1)      L’articolo 20 TFUE e l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione legislativa, quale l’articolo 15, paragrafi 1, lettera c), e 4, della Rijkswet op het Nederlanderschap (legge sulla cittadinanza olandese), in forza della quale una persona maggiorenne, che possiede anche la cittadinanza di un paese terzo, perde di diritto la cittadinanza di uno Stato membro e, pertanto, lo status di cittadino dell’Unione, per il fatto di aver avuto, per un periodo ininterrotto di dieci anni, la propria residenza principale all’estero e al di fuori dell’Unione europea.

2)      L’articolo 20 TFUE e l’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione legislativa, quale l’articolo 16, paragrafi 1, lettera d) e 2, della legge sulla cittadinanza olandese, in forza della quale una persona minorenne, che possiede anche la cittadinanza di un paese terzo, perde di diritto, salvo casi eccezionali, la cittadinanza del suo Stato membro e, pertanto lo status di cittadino dell’Unione, per effetto della perdita della cittadinanza da parte del genitore.


1      Lingua originale: il francese.


2      Tale espressione riguarda in particolare i territori delle Antille olandesi.


3      Recueil des traités, vol. 989, pag. 175. Il Regno dei Paesi Bassi ha ratificato la Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia il 13 maggio 1985.


4      STE n. 166. Il Regno dei Paesi Bassi ha ratificato tale convenzione il 21 marzo 2001 ed è entrata in vigore nel territorio di tale Stato membro il 1o luglio 2001.


5      V. sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk (C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31); del 17 settembre 2002, Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 82); del 19 ottobre 2004, Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 25); del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 43); dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124, punto 41), nonché del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punto 69).


6      V. paragrafo 13 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2009:588).


7      Salvo, naturalmente, che la legge dell’altro Stato membro non sia proprio identica alla legge sulla cittadinanza olandese, nel qual caso si porrebbe il rischio che tali persone diventino apolidi. Tale rischio non sembra però realistico.


8      V., in tal senso, sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punti 39 e 45).


9      Ciò sembra risultare anche dalla sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), in cui la Corte ha interpretato esclusivamente l’articolo 17 CE (divenuto articolo 20 TFUE), nonostante fosse interrogata, in generale, sull’interpretazione del «diritto comunitario», il che avrebbe potuto indurla ad includere nella propria risposta l’articolo 18 CE (divenuto articolo 21 TFUE).


10      V., in particolare, paragrafo 89 delle mie conclusioni nella causa X e X (C‑638/16 PPU, EU:C:2017:93).


11      Sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 55) (il corsivo è mio).


12      Sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 56) (il corsivo è mio).


13      V., in tal senso, sentenza del 2 marzo 2010, Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punti da 51 a 54).


14      V., il punto 70 della relazione esplicativa della Convenzione europea sulla cittadinanza. Tale relazione è disponibile all’indirizzo https://rm.coe.int/16800cce80


15      Il corsivo è mio. Secondo la Corte, il principio di proporzionalità non impone quindi né che sia istituita una procedura diretta a prevenire la perdita della cittadinanza dell’Unione, né che il procedimento di revoca della naturalizzazione sia sospeso fino a quando l’interessato non abbia effettivamente recuperato la cittadinanza di origine, così da mantenere la cittadinanza dell’Unione.


16      Ricordo che l’articolo 9, ultima frase, TUE e l’articolo 20, paragrafo 1, TFUE prevedono che «la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce».


17      A causa di un motivo che sarebbe considerato illegittimo alla luce del diritto dell’Unione o a causa del carattere sproporzionato della misura nazionale, come propongo di constatare con riferimento all’applicazione dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d) della legge sulla cittadinanza olandese ai minori: v. i paragrafi da 128 a 149 delle presenti conclusioni.


18      V., in tal senso, sentenze del 22 dicembre 2010, Sayn-Wittgenstein (C‑208/09, EU:C:2010:806, punti 90 e 93) e del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff (C‑438/14, EU:C:2016:401, punti 72 e 74).


19      Al pari del controllo effettuato dalla Corte nella sentenza del 6 ottobre 2015, Delvigne (C‑650/13, EU:C:2015:648).


20      E nemmeno sulla necessità di evitare che l’interessato diventi apolide: v., in questo senso, Marinai, S., Perdita della cittadinanza e diritti fondamentali: profili internazionalistici ed europei, Giuffrè, Milano, 2017, pag. 162.


21      Il che è confermato, come ho già indicato, dai punti 57 e 58 della sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104).


22      V. sentenza Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104, punto 8).


23      Lo stesso vale per il rilascio di una dichiarazione relativa al possesso della cittadinanza dei Paesi Bassi, che può essere richiesta senza spostamento dell’interessato mediante un formulario disponibile sul sito web del governo dei Paesi Bassi.


24      Va rilevato che il punto 71 della relazione esplicativa della Convenzione europea sulla cittadinanza indica inoltre che la prova dell’assenza di qualsiasi legame effettivo con uno Stato contraente può risultare in particolare del mancato assolvimento di una richiesta di documenti di identità o di viaggio o di una dichiarazione che esprima il desiderio di conservare la cittadinanza dello Stato contraente.


25      Ciò significa, evidentemente, che il giudice nazionale ha accertato, alla luce delle circostanze specifiche di ciascuna delle tre ricorrenti nella causa principale, che le condizioni di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese erano soddisfatte. A tale riguardo, non c’è a mio avviso alcun dubbio sul fatto che se il Ministro avesse, ad esempio, omesso, in un caso particolare, di prendere in considerazione un atto interruttivo del periodo di dieci anni, il giudice nazionale avrebbe dovuto annullare la decisione di diniego del rilascio del passaporto richiesto sulla base del mancato avveramento delle condizioni di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese. Analogamente, se un individuo fa valere l’impossibilità di richiedere il rinnovo del suo passaporto, entro un termine ragionevole, a seguito della scadenza della validità del suo vecchio passaporto, o di richiedere il rilascio di uno degli altri due documenti che consentono di interrompere il termine di dieci anni previsto dall’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese, tale situazione deve essere esaminata dal giudice nazionale. Infatti, poiché nessuno è tenuto all’impossibile, il giudice nazionale deve accertare, alla luce degli elementi di prova forniti dall’interessato, che l’affermazione secondo cui, per il suddetto individuo, non è stato possibile ottenere i documenti di cui all’articolo 15, paragrafo 1, lettera c), della legge sulla cittadinanza olandese è effettivamente fondata.


26      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro nella causa Rottmann (C‑135/08, EU:C:2009:588, paragrafo 25).


27      V., in tal senso, sentenza del 2 giugno 2016, Bogendorff von Wolffersdorff (C‑438/14, EU:C:2016:401, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).


28      A norma dell’articolo 14, paragrafo 6, della legge sulla cittadinanza olandese.


29      Da notare quindi che l’articolo 6 della Convenzione sulla riduzione dei casi di apolidia non vieta tale motivo di perdita della cittadinanza da parte dei minori.


30      STE n. 149. Tale protocollo è stato ratificato da due soli Stati, la Repubblica italiana e il Regno dei Paesi Bassi.


31      V., in particolare, la relazione preparata da Fuchs-Mair e Staudigl, intitolata, «Convention européenne sur la nationalité – bonnes pratiques pour les enfants» (Convenzione europea sulla nazionalità — buone pratiche per i minori), 3a Conferenza europea sulla cittadinanza, tenutasi a Strasburgo l’11 e 12 ottobre 2004 [doc. CJ-S-NAT (2008) 2].


32      V. punto 75 della relazione esplicativa della Convenzione europea sulla cittadinanza, che stabilisce che «[a]pplicando [l’articolo 7, paragrafo 2, di tale convenzione], gli Stati contraenti dovranno in ogni caso orientarsi in base all’interesse del minore».


33      Si ricorda che l’articolo 24, paragrafo 2, della Carta stabilisce che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. La Corte ha ripetutamente affermato che è suo compito garantire il rispetto dell’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore, riconosciuto dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta: v. in particolare le sentenze del 13 settembre 2016, Rendón Marín (C‑165/14, EU:C:2016:675, punti da 76-78), nonché del 10 maggio 2017, Chavez‑Vilchez e a. (C‑133/15, EU:C:2017:354, punto 60).


34      La giurisprudenza derivata in particolare dalla sentenza dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124) ne costituisce un esempio particolarmente significativo.


35      Pertanto, indipendentemente dalla fondatezza della sua pretesa, il fatto che la sig.na Duboux sostenga che la perdita della cittadinanza dei Paesi Bassi e della cittadinanza dell’Unione le impedirebbero di studiare nell’Unione europea in quanto i cittadini svizzeri non hanno diritto a una borsa di studio Erasmus non ha, a mio giudizio, alcuna rilevanza nel contesto della valutazione della proporzionalità dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera d), della legge sulla cittadinanza olandese.


36      V. sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult (C‑101/16, EU:C:2017:775, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).


37      V., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2017, Paper Consult (C-101/16, EU:C:2017:775, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).