Language of document : ECLI:EU:T:1999:251

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

12 ottobre 1999 (1)

«Dumping - Artt. 2, n. 3, lett. b), ii), e 2, n. 10, lett. b), del regolamento (CEE n. 2423/88 - Applicazione retroattiva del regolamento (CE) n. 3283/94 - Valore normale costruito - Determinazione delle spese generali, amministrative e di vendita e del margine profitto - Affidabilità dei dati - Trattamento dei dazi all'importazione e imposte indirette»

Nella causa T-48/96,

Acme Industry Co. Ltd, società di diritto tailandese, con sede in Bangkok, rappresentata dall'avv. Jacques Bourgeois, del foro di Bruxelles, con domicilio eletto in Lussemburgo presso lo studio dell'avv. Marc Loesch, 8, rue Zithe,

ricorrente,

contro

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal signor Antonio Tanca, consigliere giuridico, in qualità d'agente, assistito dagli avv.ti Hans-Jürgen Rabe e Georg M. Berrisch, del foro di Amburgo, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione Affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

convenuto,

sostenuto da

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal signor Nicholas Khan, membro del servizio giuridico, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo, presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del servizio giuridico, Centre Wagner, Kirchberg,

e

Repubblica francese, rappresentata dalla signora Kareen Rispal-Bellanger, vicedirettore presso la direzione degli affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e dal signor Romain Nadal, segretario agli affari esteri presso la stessa direzione, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso la sede dell'ambasciata di Francia, 8 B, boulevard Joseph II,

intervenienti,

avente ad oggetto la domanda di annullamento del regolamento (CE) n. 5/96 del Consiglio del 22 dicembre 1995, che istituisce i dazi antidumping definitivi sull'importazioni di forni a microonde originari della Repubblica popolare cinese, della Repubblica di Corea, della Malaysia e della Thailanda e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio imposto (GU 1996 L 02, pag. 1),

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quinta Sezione ampliata),

composto dai signori J.D. Cooke, presidente, R. García-Valdecasas, signora P. Lindh, signori J. Pirrung e M. Vilaras, giudici,

cancelliere: H. Jung,

vista la fase scritta del procedimento e a seguito della trattazione orale dell'11 marzo 1999,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

I fatti all'origine della controversia

1.
    Il presente ricorso è diretto a far annullare il regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 1995, n. 5/96 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di forni a microonde originari della Repubblica popolare di Cina, della Repubblica di Corea, della Malaysia e della Thailandia e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio imposto (GU 1996, L 2, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento impugnato»). Tale regolamento segue il regolamento (CE) della Commissione 5 luglio 1995, n. 1645 che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazione di forni a microonde originari della Repubblica popolare cinese, della Repubblica di Corea, della Thailandia e della Malaysia (GU L 156, pag. 5, in prosieguo: il «regolamento provvisorio»). Tali regolamenti sono stati adottati sulla base del regolamento CEE del Consiglio 11 luglio 1988, n. 2423 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità Economica europea (GU L 209, pag. 1, in prosieguo: il «regolamento di base»).

2.
    La ricorrente, la Acme Industry Co.Ltd (in prosieguo: la «ricorrente» o «Acme»), è una società di diritto thailandese produttrice ed esportatrice di forni a microonde (in prosieguo: «FMO»), società controllata dalla Holding giapponese Nisshin Industry Co.Ltd (in prosieguo: «groupe Nisshin»). Il gruppo Nisshin controlla anche la Korea Nisshin Co. Ltd (in prosieguo: «Korea Nisshin»), un produttore coreano di FMO e la Imarflex Mfg Co. (in prosieguo: «Imarflex»), società giapponese che assicura la distribuzione di FMO, una parte dei quali è prodotta dalla ricorrente.

3.
    A seguito di un denuncia depositata nel giugno 1993 dal Groupement Interprofessionel des Fabricants d'Appareils d'Equipement Ménager, la Commissione pubblicava, il 18 dicembre 1993, un avviso di apertura di un procedimento antidumping avente ad oggetto le importazioni di FMO originari dalla Repubblica popolare di Cina, dalla Repubblica di Corea, dalla Thailandia e dalla Malaysia (GU C 341, pag. 12). L'inchiesta riguardava il periodo dal 1° ottobre 1992 al 30 settembre 1993.

4.
    La Commissione indirizzava alla ricorrente un questionario d'inchiesta, al quale questa rispondeva con lettera 4 febbraio 1994. Su richiesta della Commissione, la ricorrente completava la sua risposta con lettera 22 febbraio 1994. Nessun'altro produttore thailandese collaborava nel procedimento d'inchiesta.

5.
    Il 19 aprile 1994, la Commissione effettuava una prima ispezione nei locali della Imarflex di Osaka (Giappone) al fine di verificare le risposte fornite dalla ricorrente al questionario. Il 22 aprile e il 5 e 6 maggio 1994, la Commissione effettuava ispezioni anche nei locali della Corea Nisshin e rispettivamente della Acme.

6.
    Il 5 luglio 1995, la Commissione adottava il regolamento provvisorio che fissa al 20,3% l'aliquota del dazio provvisorio applicabile ai FMO fabbricati dalla ricorrente.

7.
    Con lettera 14 luglio 1995, la Commissione comunicava alla ricorrente i principali fatti e considerazioni sulla base dei quali aveva istituito il dazio antidumping provvisorio (in prosieguo: «lettera di divulgazione provvisoria»).

8.
    Con lettera 31 luglio 1995, la ricorrente formulava le proprie osservazioni sulla lettera di divulgazione provvisoria.

9.
    Con lettera 24 ottobre 1995, la Commissione comunicava alla ricorrente i principali fatti e considerazioni sulla base dei quali prevedeva di proporre al Consiglio l'istituzione di un dazio antidumping definitivo (in prosieguo: «lettera di divulgazione definitiva»).

10.
    Con lettera 3 novembre 1995, la ricorrente formulava le proprie osservazioni su tale lettera di divulgazione definitiva.

11.
    Il 22 dicembre 1995, il Consiglio adottava il regolamento impugnato, che istituisce un dazio antidumping definitivo del 14% sulle importazioni di FMO originari dalla Thailandia e fabbricati dalla ricorrente. Da tale regolamento emerge che la Commissione e il Consiglio non avevano potuto, non potendo la ricorrente vendere FMO o prodotti rientranti nel medesimo settore di attività economica nel suo mercato interno, determinare il valore normale sulla base del prezzo reale praticato sul mercato thailandese. Di conseguenza, le istituzioni calcolavano il valore normale costruito conformemente all'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base, ritenendo appropriato fissare l'importo corrispondente alle spese di vendita, alle spese amministrative e alle altre spese generali (in prosieguo: «spese VGA») e il margine di profitto su ”altra base equa” e, se del caso, di prendere l'importo fissato per le vendite redditizie sul mercato interno in Corea, unico mercato concorrenziale coperto dall'inchiesta nel quale sono state effettuate vendite redditizie di prodotti simili per quantitativi rappresentativi. I valori costruiti dei modelli esportati dalla ricorrente sono così stati calcolati tenendo conto «dell'insieme dei costi, tanto fissi quanto variabili, dei materiali e della produzione» (in prosieguo: «costo di produzione»), aumentati di un importo corrispondente alle spese VGA come pure di un margine di profitto ragionevole (26° considerando del regolamento impugnato, e 46° e 36° considerando del regolamento provvisorio).

Il procedimento e le conclusioni delle parti

12.
    Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 29 marzo 1996, la ricorrente ha proposto al Tribunale il presente ricorso.

13.
    La Commissione e la Repubblica francese sono state ammesse ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Consiglio con ordinanza del Presidente della Quarta Sezione ampliata del Tribunale il 23 ottobre e, rispettivamente, il 9 dicembre 1996. La seconda ordinanza ha, del resto, accolto una domanda di trattamento riservato presentata dalla ricorrente nei confronti della Francia.

14.
    Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Quinta Sezione ampliata) ha deciso di passare alla fase orale senza previa istruttoria. Ha tuttavia sottoposto taluni quesiti scritti alle parti affinchè vi rispondessero in udienza.

15.
    Le difese delle parti e le risposte ai quesiti loro rivolti dal Tribunale sono stati sentite all'udienza dell'11 marzo 1999.

16.
    La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

-    annullare il regolamento impugnato, nella parte in cui la riguarda;

-    condannare il Consiglio alle spese.

17.
    Il Consiglio conclude che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare la ricorrente alle spese.

18.
    La Commissione e la Repubblica francese, intervenienti, concludono che il Tribunale voglia:

-    respingere il ricorso;

-    condannare la ricorrente alle spese.

Nel merito

19.
    A sostegno del suo ricorso, la ricorrente solleva cinque motivi. Nel contesto del primo e secondo motivo, la ricorrente censura la determinazione, da parte delConsiglio, del valore normale costruito in quanto, da un lato, esso sarebbe stato fissato seguendo un metodo non conforme all'art. 2, n. 3, lett. b) ii), del regolamento di base e, dall'altro lato, esso sarebbe stata calcolato applicando spese VGA e utili dell'esportatore coreano in violazione del principio di parità. Nel contesto del terzo motivo, la stessa censura il Consiglio per aver violato il principio di uguaglianza non applicando talune disposizioni del regolamento CE e del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3283 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 394, pag. 1, in prosieguo: «regolamento n. 3283/94»), come modificato, in particolare, con regolamento CE del Consiglio 20 febbraio 1995, n. 355, (GU L 41, pag. 2), e dall'accordo sull'attuazione dell'art. VI dell'accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio del 1994 (GU L 336, pag. 103, in prosieguo: «codice antidumping dell'OMC»), approvato con decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 94/800/CE, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per quanto riguarda le materie rientranti nelle sue competenze, degli accordi di negoziati multilaterali dell'Uruguay Round (1986-1994), (GU L 336, pag. 1). Con il quarto motivo deduce la violazione dell'art. 190 del Trattato CE (divenuto art. 253 CE). Il quinto motivo ha ad oggetto la violazione dell'art. 2, n. 10, del regolamento di base intervenuta all'atto della comparazione del valore normale costruito e del prezzo all'esportazione.

20.
    Il Tribunale ritiene opportuno esaminare dapprima la questione dell'applicabilità del regolamento n. 3283/94 del codice antidumping dell'OMC (terzo motivo), quindi i motivi relativi alla determinazione del valore normale costruito e alla sua comparazione con il prezzo all'esportazione (primo, secondo e quinto motivo) e infine il motivo che deduce l'insufficienza di motivazione del regolamento impugnato (quarto motivo).

1. Sull'applicabilità del regolamento n. 3283/94 e del codice antidumping dell'OMC (terzo motivo)

Gli argomenti delle parti

21.
    La ricorrente rimprovera, in primo luogo, al Consiglio di non aver determinato le spese VGA e il margine di profitto sulla base dell'art. 2, n. 6, lett. iii), del regolamento n. 3283/94. Benché il regolamento n. 3283/94 non era ancora applicabile, un principio generale di equità imponeva ciònondimeno alle Istituzioni di applicarlo nella specie, in quanto le sue disposizioni le erano più favorevoli di quelle del regolamento di base (sentenze della Corte 1° febbraio 1978, Lührs, 78/77, Racc. pag. 169, punto 13, e 16 maggio 1979, FNROM, 236/78, Racc. pag. 1819).

22.
    Sostiene che in virtù dei principi che governano l'applicazione delle leggi nel tempo, una nuova disposizione che modifica una legge precedente, disciplina, in linea di principio, gli effetti futuri delle situazioni sorte sotto la vigenza della leggeprecedente (sentenza della Corte 14 aprile 1970, Brock, 68/89, Racc. pag. 171, punto 6). Il Consiglio potrebbe derogare a tale principio solo per ragioni imperative che toccano l'interesse comunitario (sentenze della Corte 23 febbraio 1978, An Bord Bainne, causa 92/77, Racc. pag. 497, e 18 gennaio 1990, Butterabsatz Osnabrück-Emsland, causa C-345/88, Racc. pag. I-159).

23.
    In secondo luogo, e in subordine, la ricorrente deduce che il Consiglio era tenuto ad interpretare disposizioni del regolamento di base alla luce dell'art. 2, paragrafo 2.2.2, del codice antidumping dell'OMC, secondo cui l'importo corrispondente agli utili fissati nel contesto del calcolo del valore normale costruito non deve eccedere quello «normalmente realizzato da altri esportatori o produttori in occasione di vendite di prodotti della medesima categoria generale nel mercato interno del paese di origine». Ritiene che le modifiche apportate al codice antidumping del GATT a conclusione dei negoziati dell'Uruguay Round si applicano immediatamente alle cause pendenti (sentenze della Corte del 12 dicembre 1972, International Fruit Company e a., cause 21/72, 22/72, 23/72 e 24/72, Racc. pag. 1219, punti da 14 a 18 e 19 novembre 1975, Nederlandse Spoorwegen, causa 38/75, Racc. pag. 1439, e del 5 maggio 1981, Dürbeck, 112/80, pag. 1095).

24.
    In terzo luogo, la ricorrente si interroga, nelle sue osservazioni relative alla memoria d'intervento del governo francese, circa l'applicazione, nella specie, di un principio generale del diritto, sancito, in particolare, dall'art. 15 del patto internazionale sui diritti civili e politici (Raccolta dei Trattati, vol. 999, pag. 171, in prosieguo: «patto internazionale»), secondo il quale, qualora dopo la consumazione di un'infrazione la legge preveda l'applicazione di una pena più mite, il reo ne deve beneficiare.

25.
    Il Consiglio e gli intervenienti obiettano che il regolamento n. 3283/94 e il codice antidumping dell'OMC erano nella specie inapplicabili.

26.
    Il governo francese nega l'esistenza nel diritto comunitario di un principio generale di retroattività. Sostiene che, conformemente al principio della certezza del diritto, la retroattività degli atti comunitari costituisce l'eccezione e non la regola (sentenze della Corte 13 dicembre 1967, Neumann, causa 17/67, Racc. pag. 571 e 22 febbraio 1984, Kloppenburg, causa 70/83, Racc. pag. 1075, pag. 12) e che è esclusa nel campo penale o quando è in contrasto con principi generali del diritto comunitario come la certezza del diritto o la tutela del legittimo affidamento.

27.
    La Commissione sottolinea che le istituzioni non solo si sono conformate alle disposizioni del regolamento n. 3283/94, ma anche agli obblighi internazionali della Comunità che le derivano dal codice antidumping dell'OMC. Il regolamento n. 3283/94 prevede espressamente l'applicazione del regolamento di base ai procedimenti che, per quanto intrapresi prima del 1° settembre 1994, erano ancora pendenti al 1° gennaio 1995. Tali disposizioni si limiterebbero a riflettere le disposizioni del codice antidumping dell'OMC, la cui applicazione alle inchiesteaperte su domanda presentata prima della sua entrata in vigore sarebbe espressamente esclusa.

Giudizio del Tribunale

28.
    Se è vero che l'adozione del regolamento impugnato è intervenuta successivamente all'entrata in vigore, il 1° gennaio 1995, del regolamento di base n. 3283/84, resta cionondimeno che esso è stato adottato in esito ad un procedimento che, iniziato nel 1993, è proseguito oltre il 1° gennaio 1995. Orbene, dalle disposizioni transitorie, previste in particolare dall'art. 23 del regolamento n. 3283/94, nella versione risultante dal precitato regolamento 20 febbraio 1995, n. 355, emerge chiaramente che il regolamento di base continua a disciplinare i procedimenti per i quali al 1° gennaio 1985 non si era conclusa l'inchiesta ancora in corso al 1° settembre 1994, (v., in questo senso sentenza del Tribunale 8 luglio 1998, CECOM/Consiglio, causa T-232/95, Racc. pag. II-2679, punto 35).

29.
    L'argomento avanzato dalla ricorrente non potrebbe rimettere in discussione tale interpretazione testuale delle chiari disposizioni transitorie del regolamento n. 3283/94. Infatti, in primo luogo, la giurisprudenza che essa invoca a sostegno dei suoi argomenti relativi alla violazione dei principi di equità e di applicazione nel tempo delle leggi riguarda ipotesi in cui il giudice comunitario è stato indotto a risolvere conflitti di legge nel tempo in assenza di disposizioni transitorie espresse.

30.
    In secondo luogo, l'argomento che la ricorrente deduce dalla violazione del principio generale di diritto sancito, in particolare, dal patto internazionale, è inoperante. Senza che si renda necessario interrogarsi sulla questione se tale argomentazione costituisca un nuovo motivo ai sensi dell'art. 48, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, si deve rilevare che l'art. 15 del detto patto riguarda soltanto persone accusate di un'infrazione penale nell'ambito di un procedimento giudiziario ed è, pertanto, estraneo al settore delle inchieste in materia antidumping, le quali non rivestono carattere penale (v., per analogia, sentenza della Corte 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, causa 374/87, Racc. pag. 3283, punto 31). Inoltre, le disposizioni dell'art. 2, n. 6, sub. iii), del regolamento n. 3283/94, di cui la ricorrente chiede l'applicazione, riguardano il metodo di calcolo del valore normale costruito. Esse sono pertanto manifestamente prive di relazione con la decretazione di pene o sanzioni cui sarebbe applicabile il principio invocato.

31.
    In terzo luogo, dalle disposizioni transitorie previste all'art. 18, n. 3, del codice antidumping dell'OMC emerge che le sue disposizioni si applicano solo alle inchieste aperte su domanda presentata successivamente al 1° gennaio 1995, data della sua entrata in vigore. Pertanto, le disposizioni del codice antidumping dell'OMC non sono pertinenti nel contesto della presente controversia.

32.
    Ne consegue che la legittimità del regolamento impugnato non può essere valutata né con riguardo alle disposizioni del regolamento n. 3282/94, né con riguardo al codice antidumping dell'OMC, bensì, essenzialmente con riguardo alle disposizioni del regolamento di base, che le istituzioni hanno correttamente applicato nella specie e, se del caso, con riguardo ai principi generali di diritto comunitario e all'insieme delle regole che disciplina la materia di cui trattasi all'epoca in vigore.

33.
    Da quanto precede ne consegue che il terzo motivo della ricorrente relativo alla violazione del principio di equità deve essere disatteso.

    2. Sulla determinazione del valore normale costruito (primo e secondo motivo)

34.
    Gli argomenti dedotti dalla ricorrente nel contesto del primo e secondo motivo possono essere così raggruppati. Essa denuncia in primo luogo la violazione, da parte delle istituzioni, di un accordo relativo all'utilizzazione dei dati della Imarflex nella determinazione del valore normale costruito. In secondo luogo contesta la scelta del metodo di determinazione delle spese VGA e del margine di profitto operata dal Consiglio. Nel determinare il valore normale costruito sulla base di ”altra base equa” ai sensi dell'art. 2, n. 3, sub iii) in fine, del regolamento di base, e rifiutando di utilizzare i dati della Imarflex, il Consiglio avrebbe violato il detto regolamento. Essa rimette in discussione, in terzo luogo, il carattere equo del ricorso ai dati coreani per la determinazione del valore normale costruito che avrebbe avuto un'incidenza maggiore sul calcolo del dazio antidumping. Infatti, l'utilizzo dei dati della Imarflex sarebbe approdato alla determinazione di un'aliquota di maggiorazione dell'11,86% in luogo di quella del 32,47% relativa ai produttori coreani e, correlativamente, all'imposizione di un dazio antidumping dello 0,183% invece dell'aliquota del 14,1% che alla fine è stato imposta.

Osservazioni preliminari

35.
    Prima di passare all'esame di tali censure, si deve ricordare che l'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base, dove sono previsti tre metodi di calcolo del valore normale, così dispone:

«Ai fini del presente regolamento, per valore normale s'intende:

(...)

b)    oppure quando, nel corso di normali operazioni commerciali sul mercato interno del paese di origine o d'esportazione, non si ha nessuna vendita diun prodotto simile, o quando vendite di tal genere non consentono un valido confronto,

    (...)

    ii)    il valore costruito, calcolato addizionando il costo di produzione e un equo margine di profitto. Il costo di produzione è calcolato tenendo conto di tutti i costi, nel corso di normali operazioni commerciali, tanto fissi quanto variabili, nel paese d'origine, dei materiali e della produzione, più un importo equo per le spese di vendita e di gestione, nonché per le altre spese generali. L'importo per le spese di vendita, generali e amministrative e per il profitto viene calcolato in base alle spese sostenute e ai profitti realizzati dal produttore o esportatore sulle vendite redditizie del prodotto simile sul mercato interno. Qualora tali dati non siano disponibili, oppure siano inattendibili o tali da non poter essere utilizzati, si fa riferimento alle spese sostenute e al profitto realizzato da altri produttori o esportatori nel paese di origine o di esportazione sulle vendite redditizie del prodotto simile. Qualora non sia possibile applicare nessuno dei due metodi indicati, le spese sostenute e il profitto realizzato vengono calcolati in base alle vendite effettuate dall'esportatore o da altri produttori o esportatori operanti nello stesso settore nel paese d'origine o di esportazione, o eventualmente su altra base equa».

36.
    Tenuto conto della formulazione di tale articolo, questi tre metodi devono essere considerati nell'ordine della loro presentazione (sentenze della Corte 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio, C-69/89, Racc. pag. I-2069, punto 61, 13 febbraio 1992, Goldstar/Consiglio, causa C-105/90, Racc. pag. I-677, punto 35; sentenza del Tribunale 17 luglio 1998, Thai Bicycle/Consiglio, T-118/96, Racc. pag. II-2991, punto 53). Solo qualora nessuno di detti metodi possa essere applicato si deve far ricorso alla disposizione di ordine generale di cui all'art. 2, n. 3, lett. b), ii), in fine, secondo la quale le spese e i profitti debbono essere determinate «su altra base equa» (sentenza Nakajima/Consiglio, già citata, punto 61).

37.
    Dalla formulazione dell'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base emerge chiaramente che ciascuno dei metodi di calcolo del valore normale costruito che vi sono enumerati va applicato in modo da garantire l'equità di detto calcolo, assunto contenuto peraltro esplicitamente nelle due prime frasi e nell'ultima frase della disposizione di cui trattasi (sentenza Nakajima/Consiglio, già citata, punto 35). Di conseguenza le istituzioni non potrebbero prendere in considerazione i dati contabili che difettano di affidabilità.

38.
    L'art. 2, n. 3, lett. b), sub ii), del regolamento di base conferisce, del resto, un ampio potere discrezionale alle istituzioni nella valutazione dei dati contabili loro sottoposti ai fini della determinazione del valore normale costruito. Pertanto, il controllo del Tribunale deve limitarsi alla verifica del rispetto delle norme diprocedure, dell'esattezza materiale dei fatti considerati per la valutazione contestata, dell'assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o dell'assenza di sviamento di potere.

39.
    Il giudice comunitario non può intervenire nella valutazione riservata alle autorità comunitarie, ma deve limitarsi ad assicurare che le istituzioni abbiano tenuto conto di tutte le circostanze pertinenti e che abbiano valutato gli elementi versati agli atti con tutta la diligenza richiesta affinché possa considerarsi che il valore normale costruito è stato determinato in modo equo (v., in tal senso, sentenza della Corte del 22 ottobre 1991, Nölle, C-16/90, Racc. pag. I-5163, punti 12 e 13 del Tribunale 28 settembre 1995, Ferchimex/Consiglio, T-164/94, Racc. pag. II-2681, punto 67).

40.
    Nel contesto del regolamento di base spetta alla Commissione, in quanto autorità investigatrice, determinare se il prodotto considerato costituisca oggetto di dumping e dia luogo a un pregiudizio qualora venga messo in libera pratica nella Comunità. A questo proposito, la Commissione deve verificare se il prezzo all'esportazione verso la Comunità del prodotto di cui trattasi sia inferiore al valore normale di un prodotto simile e così operando, deve utilizzare i dati disponibili all'epoca senza porre l'onere della prova a carico di una delle parti.

41.
    Così, secondo l'art. 7, lett. a) del regolamento di base «la Commissione ricerca tutte le informazioni ritenute necessarie e, se lo considera opportuno, esamina e verifica i registri degli importatori, degli esportatori, dei commercianti, dei produttori e delle organizzazioni commerciali».

42.
    Tuttavia il regolamento di base non conferisce alla Commissione poteri d'inchiesta che gli consentono di fare obbligo ai produttori o agli esportatori considerati in una denuncia di prendere parte all'inchiesta o di presentare informazioni. Benché la Commissione, possa, se necessario, procedere a inchieste in paesi terzi, tale facoltà può essere esercitata solo subordinatamente all'accordo delle imprese interessate e all'assenza di opposizione da parte del governo del paese interessato, che deve essere ufficialmente informato [art. 7, n. 2, lett. b), del regolamento di base].

43.
    La risposta al questionario e la successiva verifica alla quale la Commissione può procedere in loco sono pertanto essenziali allo sviluppo del procedimento.

Secondo l'art. 7, n. 7, lett. b), del regolamento di base:

«Qualora una parte interessata o un paese terzo rifiuti l'accesso alle informazioni necessarie oppure non le comunichi entro un ragionevole arco di tempo o ostacoli gravemente l'indagine, possono essere elaborate conclusioni finali o preliminari, affermative o negative, in base ai dati disponibili. Se la Commissione constata che una parte interessata o un paese terzo hanno fornito informazioni false o fuorivianti, essa può non tener conto di tali informazioni e rispettare le eventuali richieste cui esse si riferiscono».

44.
    Pertanto il rischio che le istituzioni prendano in considerazione dati diversi da quelli forniti in risposta al questionario è inerente al procedimento antidumping ed è inteso a incoraggiare la leale collaborazione delle imprese considerate dall'inchiesta.

45.
    Occorre, alla luce di tali elementi, esaminare, uno dopo l'altro, gli argomenti relativi alla violazione di un accordo sull'uso dei dati forniti dalla Imarflex, quindi, alla scelta del metodo di determinazione delle spese VGA e del margine di profitto e, infine, all'iniquità del ricorso ai dati coreani.

Sulla violazione della parte della Commissione di un accordo relativo all'utilizzo dei dati della Imarflex

Gli argomenti della ricorrente

46.
    La ricorrente espone che il funzionario della Commissione incaricato del procedimento, il 6 gennaio 1994, nel corso di un incontro con il suo avvocato, ha oralmente accettato di prendere in considerazione le spese VGA e il margine di profitto della Imarflex, effettivo esportatore dei propri prodotti, ai fini della determinazione del valore normale costruito, e che la stessa facendo affidamento su tale accordo, ha compilato il questionario sulla base di tali dati.

47.
    La stessa deduce in sostanza che il mancato rispetto di tale asserito accordo verbale, la cui esistenza è contestata dalle istituzioni, costituisce una violazione del principio di tutela del legittimo affidamento.

Giudizio del Tribunale

48.
    Affinché la ricorrente possa invocare la violazione del principio di tutela del legittimo affidamento in ragione del mancato rispetto di un asserito accordo verbale tra un dipendente della Commissione e il suo avvocato circa i dati da prendere in considerazione ai fini del calcolo normale costruito, è necessario che essa dimostri che l'amministrazione comunitaria gli ha fornito assicurazioni precise idonee a ingenerare in lei fondate aspettative (v., la sentenza del Tribunale 14 settembre 1995, Lefebvre e a./Commissione, T-571/93, Racc. pag. II-2379, punto 72).

49.
    Orbene, l'oggetto della discussione svoltasi il 6 gennaio 1994, nel corso della quale sarebbe stato concluso l'asserito accordo invocato dalla ricorrente, era in realtà, secondo la formulazione stessa di una lettera datata 29 dicembre 1993 e indirizzata dal di lei avvocato alla Commissione, quello di «chiarire aspetti importanti del questionario». Se è vero che tanto dagli atti che dalle precisazioni fornite all'udienza emerge che nel corso di tale discussione le parti hanno parlato dell'utilizzo dei dati relativi alle spese VGA e al margine di utile della Imarflex aifini della preparazione della risposta al questionario, la ricorrente, nella memoria di replica ha tuttavia affermato di aver compreso che i servizi della Commissione avrebbero utilizzato la risposta al questionario così confezionato «a condizione che la verifica consenta di confermare i dati relativi alle spese VGA e al margine di profitto della Imarflex».

50.
    Ciò considerato, la ricorrente non può sostenere che la Commissione le abbia fornito la precisa assicurazione ch'essa avrebbe determinato il valore normale costruito sulla base dei dati della Imarflex, in modo da ingenerare in lei fondate aspettative. Ne consegue che la censura della ricorrente, che deduce in sostanza la violazione del principio di tutela di legittimo affidamento è infondata e come tale va disattesa.

Sulla scelta del metodo di determinazione delle spese VGA e del margine di profitto

51.
    La ricorrente, non contesta il ricorso al metodo del valore normale costruito, ma la scelta delle istituzioni di calcolare tale valore normale costruito sulla base di «altra base equa» e di utilizzare i dati coreani a tal fine. Sostiene, in sostanza, che le istituzioni avrebbero dovuto calcolare il valore normale costruito con riferimento alle spese VGA della Imarflex e al margine di profitto da questa realizzata sul suo mercato interno, conformemente all'ultimo dei tre metodi di calcolo contemplati all'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base, cioè «in base alle vendite effettuate dall'esportatore o dagli altri produttori o esportatori nel medesimo settore nel paese di origine o di esportazione». Nel contesto della sua argomentazione, la ricorrente insiste, in primo luogo, sulla qualità di esportatore della Imarflex e, in secondo luogo, sull'affidabilità dei dati di quest'ultima. Essa contesta, in terzo luogo, la rappresentatività dell'aliquota di maggiorazione relativa al modello «CMO 552», sul quale la Commissione si sarebbe basata per concludere per l'assenza di affidabilità dei dati della Imarflex e afferma in quarto e ultimo luogo, che i dati della Imarflex erano, ad ogni modo, verificabili.

52.
    Il Tribunale ritiene opportuno esaminare in primo luogo la questione dell'affidabilità dei dati relativi alla Imarflex.

Sull'affidabilità dei dati della Imarflex

- Gli argomenti delle parti

53.
    In primo luogo, la ricorrente sostiene che il Consiglio è incorso in errore non tenendo conto dei dati della Imarflex sulla base di asserite contraddizioni tra le informazioni che la stessa ha successivamente fornito in risposta al questionario, inoccasione dell'ispezione nei locali della Imarflex nonché nella lettera del 31 luglio 1995. Considera che le differenze tra le somme delle aliquote delle spese VGA e il margine di profitto, espresse in percentuale dei costi di produzione (in prosieguo: «aliquote di maggiorazione», constatate in ciascuna delle tre tappe erano trascurabili. Ricorda che tali aliquote erano dell'11,39 nella risposta al questionario come pure nella lettera del 31 luglio 1995, e del 14% in occasione della verifica in loco.

54.
    Le istituzioni avrebbero concluso per l'inaffidabilità dei dati della Imarflex dopo aver constatato, nel corso dell'ispezione, l'esistenza di un'aliquota di maggiorazione del 31,1% per il modello di FMO «CMO 552» venduto al Giappone. Orbene lo scarto tra tale aliquota di maggiorazione e quelle sopra riprese sarebbe da attribuirsi essenzialmente alla differenza nell'elaborazione contabile degli sconti sulle vendite nonché delle spese di riparazione dopo-vendita e di fornitura.

55.
    Il Consiglio replica che le informazioni relative alla Imarflex erano inutilizzabili, poiché difettavano di precisione e non erano conformi alle prescrizioni del questionario.

56.
    Il questionario richiedeva che le spese VGA che si riferivano specificamente alle vendite dei FMO fossero esposte voce per voce e espresse in percentuale rispetto al giro d'affari netto. Orbene, se è vero che la ricorrente ha stimato le spese VGA nel 7,24% e il margine di profitto nel 4,15% dei costi di produzioni, essa non avrebbe, per contro, né distinto tra gli FMO e gli altri prodotti venduti, né esposto le spese VGA articolandole voce per voce. Su richiesta della Commissione, la ricorrente avrebbe fornito informazioni supplementari con lettera 22 febbraio 1994, senza tuttavia distinguere effettivamente gli FMO dagli altri prodotti. Infine, nel corso della ispezione nei locali della Imarflex, gli inquirenti avrebbero verificato i dati relativi al modello «CMO 552» e concluso per l'esistenza di un'aliquota di maggiorazione superiore al 30% per tale modello. La ricorrente avrebbe successivamente tentato di spiegare tale divergenza con lettera del 31 luglio 1995 e proposto altri metodi di calcolo delle spese VGA e del margine di profitto.

57.
    Il Consiglio sostiene che a seguito di errori di classificazione, le diverse aliquote di spese VGA e di margine di profitto indicate dalla ricorrente dovevano essere considerate inaffidabili. In particolare, la ricorrente non avrebbe incluso le spese di fornitura e di riparazione dopo-vendita nel suo calcolo del valore normale costruito. Il Consiglio ne deduce che essa ha cercato di occultare tali costi.

58.
    Negando ogni volontà di occultare i detti costi, la ricorrente si sofferma, in secondo luogo, a descrivere il metodo che essa ha utilizzato ai fini della compilazione delle spese VGA e del margine di utile della Imarflex. Essa fa a questo proposito osservare che la Imarflex non tiene né contabilità informatizzata né contabilità analitica di gestione per linea di prodotti e che pertanto, non era in grado di produrre un calcolo ripartito per prodotto dei costi relativi ai soli FMO.

59.
    La ricorrente sottolinea, in primo luogo, che se è vero che le istituzioni considerano che le spese di riparazione non sono costi «relativi ai materiali e alla produzione» ai sensi del regolamento di base, resta ciònondimeno che, da un punto di vista contabile, essi rientrano in questa categoria. Infatti, la Imarflex e la ricorrente registrerebbero le spese di riparazione dopo-vendita dei FMO difettosi sotto la voce «costi di produzione» del loro conto perdite e profitti. Essa aggiunge, a questo proposito, che i suoi conti sono stati verificati da un contabile autorizzato.

60.
    La stessa precisa che la Imarflex non ripara i forni difettosi fabbricati dalla Corea Nisshin che vende sul mercato giapponese, ma li sostituisce con dei nuovi. Dal punto di vista contabile, tale operazione darebbe luogo a una diminuzione della voce «stocks» e sarebbe contabilizzata sotto la voce «costi di produzione» del conto perdite e profitti. Poiché le spese di riparazione sono, a dire della ricorrente, «pure costi relativi ai materiali e alla produzione», ai sensi del regolamento di base, le istituzioni non avrebbero dovuto esigere la loro inclusione nelle spese VGA della Imarflex. Un siffatto metodo si risolverebbe, infatti, in occasione del calcolo del valore normale costruito, nel contabilizzare tali spese una prima volta nei costi di produzione della ricorrente e una seconda volta nelle spese VGA della Imarflex.

61.
    Il Consiglio replica che le spese di riparazione dopo-vendita dovevano, nella risposta al questionario, essere dichiarate come spese VGA. Solo le spese di manutenzione relative agli impianti di produzione rientrerebbero nei costi di produzione. Siccome la ricorrente ha aggiunto le spese di riparazione dopo-vendita ai costi di produzione Imarflex, ma non ai propri costi di produzione, essa avrebbe così dedotto tali spese due volte ai fini del calcolo del valore normale costruito.

62.
    La ricorrente afferma, in secondo luogo, di aver collocato le spese di trasporto sotto la voce «costi di produzione» nella sua risposta al questionario e nega di aver tentato di dissimularle. Essa deduce in primo luogo che le imprese del gruppo Nisshin non classificano questi oneri sotto le voci «costi di distribuzione/spese generali e amministrative» dei loro conti perdite e profitti. Del resto sottolinea che tali conti sono verificati da differenti contabili autorizzati e che la normativa giapponese non prescrive a tali imprese di armonizzare la presentazione dei loro conti annuali.

63.
    Nella fase della replica, la ricorrente ammette di essersi sbagliata non facendo figurare le spese di fornitura tra le spese VGA nella sua risposta al questionario. Afferma di aver corretto tale errore nelle osservazioni presentate il 3 novembre 1995.

64.
    La ricorrente sostiene che, ad ogni modo, tale errore era trascurabile e rettificabile. Sarebbe bastato stornare le spese di fornitura dalla voce «costi di produzione» del conto perdite e profitti della Imarflex e aggiungerla alle spese VGA. Dopo deduzione degli oneri finanziari, l'aliquota delle spese VGA sarebbe dell'11,76%, e il margine di utile del 4,32%, cioè un'aliquota di maggiorazione del 16,08%. Unavolta dedotte le spese di consegna espresse in percentuale dei costi di fabbricazione (4,22%) l'aliquota delle spese VGA risulterebbe allora dell'11,86%. Osserva che questa aliquota di cui ha informato la Commissione con lettera 3 novembre 1995 è prossima a quella dell'11,39% prodotta nella risposta al questionario.

65.
    Il Consiglio sottolinea che la ricorrente riconosce di non essersi conformata alle prescrizioni del questionario secondo il quale le spese di consegne dovevano essere trattate tra le spese VGA. Le informazioni raccolte nel corso della verifica in loco avrebbero consentito alla Commissione di accertare che l'importo delle spese di consegna della Imarflex per gli FMO venduti al Giappone si collocavano tra il 4,29% e l'11,83%, cioè che esso si situava a un livello sensibilmente superiore all'aliquota media del 4,22% suggerita dalla ricorrente per l'insieme delle vendite Imarflex. Dal complesso di tali elementi il Consiglio trae la conclusione che la ricorrente ha tentato di dissimulare le spese di consegna.

66.
    La ricorrente sostiene, in terzo luogo, che gli sconti sulle vendite che la Imarflex concedeva in caso di pagamento per contanti soddisfacevano le condizioni poste all'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento di base e dovevano, pertanto, essere dedotte dal valore normale e non essere aggiunte alle spese VGA. Essa ritiene che, conformemente al regolamento di base e alla normativa antidumping precedente, essa non doveva né includere l'importo di tali sconti nelle spese VGA della Imarflex, né fornire informazioni su tali sconti nella risposta al questionario.

67.
    Il Consiglio rileva che gli sconti sulle vendite costituiscono spese per l'impresa, siano essi contabilizzati a deduzione del giro d'affari o tra le spese VGA. Ricorda che, ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento di base, il valore normale è al netto di «tutti gli sconti connessi con le vendite considerate, purché l'esportatore affermi e dimostri che dette riduzioni del prezzo lordo sono state effettivamente concesse». Il questionario precisava come dichiarare gli sconti per beneficiare di tale disposizioni. La ricorrente non ha mai presentato domande a tal fine, limitandosi a fornire il giro d'affari netto della Imarflex.

68.
    Infine il Consiglio ricorda che il questionario esigeva altresì, a proposito della dichiarazione del giro d'affari netto di fornire informazioni dettagliate per quanto riguarda gli sconti concessi portati a deduzione del giro d'affari lordo, quale che sia il loro trattamento ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento di base. Orbene, la ricorrente nella sua risposta al questionario non avrebbe apportato alcuna spiegazione su questo punto. Nella lettera 22 febbraio 1994 avrebbe indicato che concedeva sconti su vendite con pagamento per contanti ammontanti all'8% del giro d'affari totale della Imarflex. Successivamente, nella lettera 31 luglio 1995 avrebbe indicato ch'essa concedeva una riduzione sulla vendita dell'1,5% in caso di pagamento per contanti e ha dichiarato altresì un'aliquota di sconto per i contanti del 3%. Il Consiglio ritiene che questi elementi dimostrano a sufficienza l'assenza di affidabilità dei dati relativi alla Imarflex.

- Giudizio del Tribunale

69.
    Si deve sottolineare che, nella lettera di divulgazione provvisoria, la Commissione ha affermato di non aver preso in esame le informazioni relative alla Imarflex e ha sostenuto quanto segue:

«(...)è stato accertato sul posto che la maggiorazione praticata dalla Imarflex in occasione delle sue vendite di [FOM] sul mercato giapponese era dell'ordine del 30%. A scapito di questa maggiorazione relativamente elevata, l'aliquota corrispondente alle [spese VGA] dichiarata dalla Imarflex era del 7,24% e il margine di profitto del 4,15% soltanto. Queste aliquote sono manifestamente in contrasto rispetto alla maggiorazione e non sono quindi affidabili».

70.
    Nella lettera di divulgazione definitiva, la Commissione ha considerato quanto segue:

«(...) in primo luogo, nel corso della verifica in loco in Giappone, i rappresentanti della Imarflex hanno fatto una dichiarazione di carattere generale, avente ad oggetto la maggiorazione del 30% sulle vendite di (FMO) realizzate in Giappone, sulla base di un esempio dettagliato che contraddice la maggiorazione dell'11,39%, di cui la Acme ha fatto menzione nella sua risposta al questionario;

in secondo luogo il semplice fatto che oneri di vendita, come le spese di consegna e i costi di riparazione non vengano contabilizzati tra le spese VGA, ma altrove, non vuole stare a significare che non li si debba dichiarare come [spese VGA].

in terzo luogo, dai documenti forniti nella vostra lettera 30 luglio emerge chiaramente che la maggiorazione praticata su ciascuno dei tipi di (FMO) venduti è sensibilmente superiore a quella di cui voi avete fatto menzione nella vostra risposta al questionario, anche prendendo in considerazione lo sconto non appurato che nella risposta al questionario non è neppure stato presentato come esatto;

in quarto luogo, il fatto che la Imarflex 'propone‘ quattro aliquote diverse di (spese VGA) e di margine di profitto, che vanno dall'11,29% nella risposta al questionario, al 9,96% nell'allegato 10 alla lettera del 31 luglio 1995, al 13% dell'Allegato 11 alla medesima lettera e al 15%, aliquota utilizzata dalle autorità americane, dimostra senz'altro che da qualche parte vi è un errore. In particolare, tutte le cifre così 'proposte‘ sono ampiamente inferiori al margine tra il prezzo di acquisto e i prezzi di vendita di ciascuno dei modelli venduti.

Siccome è impossibile per i servizi della Commissione verificare in loco le differenti 'proposte‘ dell'Acme, la sola conclusione che si impone è che le aliquote delle [spese VGA] e del margine inizialmente verificate non erano affidabili e che esse debbono pertanto essere disattese.

71.
    Infine, al 26° 'considerando‘ del regolamento impugnato, il Consiglio ha sottolineato che le informazioni relative alla Imarflex si erano rivelate inaffidabili e che era stato «giudicato ragionevole attenersi, come per la Malaysia, al metodo generale utilizzato per la determinazione del valore normale per la Thailandia descritto nei considerandi 46 e 47 del regolamento provvisorio».

72.
    La ricorrente non ha fornito alcun elemento che consenta di inficiare tali constatazioni.

73.
    In effetti non è contestato che la ricorrente, nella sua risposta al questionario in data 4 febbraio 1994, non ha presentato le spese VGA e il margine di utile della Imarflex in maniera conforme alle prescrizioni del questionario e, in particolare, non ha esposto queste spese articolandole per categoria, né prodotto informazioni relative ai soli FMO venduti dalla Imarflex in Giappone.

74.
    Per quanto invitata dalla Commissione a completare la sua risposta iniziale su questi punti, la ricorrente nella lettera 22 febbraio 1994 non si è conformata alle prescrizioni del questionario.

75.
    E' altresì pacifico che gli elementi relativi alle spese VGA e al margine di profitto esposti dalla ricorrente nella sua risposta al questionario sono stati smentiti nel corso della verifica in loco. Tenuto conto delle divergenze rilevata al termine della verifica dei costi relativi al modello «CMO 552», la Commissione poteva nutrire dubbi circa l'affidabilità delle risposte della ricorrente.

76.
    Solo a seguito della lettera di divulgazione provvisoria la ricorrente, con lettere 31 luglio e 3 novembre 1995, ha fornito chiarimenti sulle spese VGA e sul margine di profitto della Imarflex.

77.
    Non è pertanto contestato che la ricorrente non abbia dichiarato le spese di riparazione dopo vendita, le spese di consegna e gli sconti sulle vendite tra le spese VGA della Imarflex, contrariamente alle prescrizioni del questionario. E altresì pacifico che questi costi incidono, in proporzioni non trascurabili, sulla determinazione del valore normale costruito.

78.
    La ricorrente ha espressamente riconosciuto di aver commesso un errore omettendo di dichiarare le spese di consegna, ma cerca di giustificare l'omissione delle spese di riparazione dopo vendita arguendo la fondatezza della sua prassi contabile e di quella della Imarflex. Orbene, le spese attinenti alla riparazione dei prodotti esposte dopo la loro vendita, costituiscono, per definizione, spese di vendita ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. b) ii), del regolamento di base. Ne consegue che tali spese debbono essere incluse tra le spese VGA all'atto della determinazione del valore normale costruito. L'affermazione secondo la quale la Imarflex e la ricorrente tratterebbero, da un punto di vista contabile, tali spese come «costi di produzione» è a tal riguardo inconferente. Infatti, il trattamento contabile che le imprese riservano a talune categorie di spese in occasionedell'elaborazione dei loro conti annuali non potrebbe rimettere in discussione la classificazione di queste spese ai fini dell'inchiesta antidumping. Per di più, si deve constatare che la ricorrente non ha, nel corso del procedimento, come pure all'udienza, apportato alcun elemento probatorio idoneo a sostenere tale affermazione.

79.
    Per quanto riguarda gli sconti sulle vendite, l'art. 2, n. 3, lett. a), del regolamento di base prevede che gli sconti aventi un rapporto diretto con le vendite possono essere dedotti dal valore normale, a condizione che l'esportatore ne faccia richiesta e fornisca prove sufficienti che un siffatto sconto sul prezzo lordo sia stato effettivamente concesso. Orbene, nella specie, la ricorrente non nega di aver, in risposta al questionario, dedotto di propria iniziativa taluni sconti sulle vendite, senza fornire spiegazioni o dimostrazioni a sostegno del suo modo di procedere. Inoltre, ha ammesso nei suoi scritti e nel corso dell'udienza che gli sconti dedotti unilateralmente erano concessi per pagamenti contanti. Per la loro stessa natura, gli sconti a fronte pagamento per contanti non riguardano il prezzo che i clienti Imarflex debbono pagare, ma corrispondono al valore che la Imarflex attribuisce al pagamento anticipato del prezzo esposto in fattura. Pertanto, non sono idonee ad essere dedotte dal valore normale costruito. Da tali elementi consegue che le istituzioni hanno giustamente considerato che tali sconti sulle vendite avrebbero dovuto essere dichiarate tra le spese VGA della Imarflex.

80.
    Il Tribunale rileva altresì che, la ricorrente, nelle sue dichiarazioni successive alla lettera di divulgazione provvisoria ha 'proposto‘ una dopo l'altra diverse aliquote di maggiorazione. Così, dopo aver optato per un'aliquota dell'11.39% nella risposta al questionario da lei fornita, la stessa ha successivamente proposto nella lettera del 31 luglio 19995 le aliquote del 9,96, 13 e 15% e, quindi, nella lettera del 3 novembre 1995, le aliquote dell'11,86 e 21,75%.

81.
    In sede di replica, la ricorrente ha, sotto forma di precisazioni relative alla sua lettera del 3 novembre 1995, proposto per la prima volta una nuova base di calcolo, che comporta un'aliquota di maggiorazione del 22,26%.

82.
    Senza che si renda necessario pronunciarsi su altri elementi o sulla buona fede della ricorrente da quanto precede emerge a sufficienza che le istituzioni non sono incorse in errore manifesto di valutazione per aver concluso che i dati relativi alla Imarflex forniti dalla ricorrente in risposta al questionario non erano affidabili.

83.
    Ne consegue che gli argomenti della ricorrente relativi all'affidabilità dei dati della Imarflex debbono essere disattesi in quanto infondati.

Sulla rappresentatività dell'aliquota di maggiorazione relativa al modello «CMO 552»

- Gli argomenti delle parti

84.
    La ricorrente contesta la rappresentatività dell'aliquota di maggiorazione relativa al modello «CMO 552», sul quale la Commissione si sarebbe basata per concludere per l'inaffidabilità dei dati della Imarflex. Questo modello, selezionato dalla Commissione in occasione della verifica in loco, sarebbe quello la cui aliquota di maggiorazione è più elevata e rappresenterebbe solo il 3,2% dell'insieme dei modelli venduti dalla Imarflex.

85.
    L'aliquota di maggiorazione di tale modello sarebbe anormalmente elevata rispetto alla maggiorazione media del 22,26% dell'insieme degli FMO venduti dalla Imarflex in Giappone, nonché in rapporto a quella del 16,08% per l'insieme dei prodotti venduti dalla Imarflex. Questa differenza è dovuta al fatto che le spese di consegna sono più elevate per i FMO che per gli altri prodotti.

86.
    La ricorrente conclude da ciò che le istituzioni sono così incorse in un errore manifesto di valutazione, basandosi sull'aliquota di maggiorazione relativa al modello «CMO 552» al fine di disattendere i dati della Imarflex.

87.
    Il Consiglio replica che le cifre relative al modello «CMO 552» sono state prodotte dai dirigenti della Imarflex nel corso della visita d'ispezione «a titolo di esempio». La Commissione ha verificato tale cifre in loco e ha concluso per la loro esattezza. La constatazione di un'aliquota di maggiorazione superiore al 30%, in manifesta contraddizione con la risposta della ricorrente al questionario, era sufficiente per concludere per l'inaffidabilità delle cifre in precedenza presentate dalla ricorrente. Tale inaffidabilità sarebbe in particolare confermata dal fatto che la ricorrente, contrariamente alle sue precedenti dichiarazioni, ha potuto in seguito fornire dati relativi ai soli FMO.

- Giudizio del Tribunale

88.
    Si deve rilevare che dagli atti emerge che la Commissione ha esaminato i dati relativi al modello «CMO 552», a titolo di sondaggio, al fine di verificare le dichiarazioni della ricorrente contenute nella sua risposta al questionario. Tale verifica ha consentito agli inquirenti di rilevare l'esistenza di contraddizioni con la risposta da lei fornita al questionario. Emerge altresì che tali contraddizioni derivano dal metodo seguito dalla ricorrente nel rispondere al questionario, ed in particolare, nel dichiarare talune spese VGA. Tali lacune non sono dunque insite nel modello «CMO 552». Essi rivestono un carattere di natura generale che riguarda la risposta al questionario nel suo insieme. Pertanto, la questione se il modello scelto a titolo di esempio fosse rappresentativo dei prodotti esportati verso la Comunità è priva di incidenza sulla validità della valutazione globale che leistituzioni hanno giustamente effettuato circa l'inaffidabilità dei dati contabili relativi alla Imarflex sottoposti alla valutazione della Commissione.

89.
    Ne consegue che anche l'argomento che la ricorrente trae dalla mancanza di rappresentatività dell'aliquota di maggiorazione relativa al modello «CMO 552», deve essere disatteso.

Sulla qualità di esportatore della Imarflex

- Gli argomenti delle parti

90.
    La ricorrente sottolinea che, la Imarflex, in quanto incaricata di assicurare l'esportazione dei suoi FMO, avrebbe dovuto essere considerata esportatore dei prodotti di cui trattasi, ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base. Fa, a questo proposito presente, che la Commissione ha qualificato la Imarflex come esportatore nel 3° e 4° ”considerando” del regolamento provvisorio e proceduto ad una ispezione nei locali di quest'ultima, con la conseguenza che essa doveva essere certa della di lei qualità di esportatore.

91.
    Secondo la ricorrente, le istituzioni non potevano escludere i dati della Imarflex per il motivo che i FMO venivano materialmente esportati a partire dalla Thailandia. Le istituzioni, interpretando la nozione di «paese di esportazione» l'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base nel senso che contempla solo il luogo materiale di esportazione dei prodotti contemplati dall'inchiesta, avrebbero violato gli obiettivi della normativa antidumping.

92.
    In effetti, allorché, in seno di una medesima entità economica, le funzioni di produzione e di esportazione sono rispettivamente affidate a due società, le istituzioni sarebbero tenute a fare riferimento ai prezzi praticati dall'esportatore. Nella specie, le istituzioni non avrebbero preso in considerazione la ripartizione delle attività di produzione e di esportazione di FMO in seno al gruppo Nisshim. L'attività propria della ricorrente sarebbe limitata alla produzione dei FMO, poiché la Imarflex esercita tutte le funzioni commerciali di esportatore che implicano spese VGA, come la negoziazione del prezzo e delle condizioni di vendita, le attività di ricerca e di sviluppo, la fatturazione dei clienti e l'incasso dei pagamenti.

93.
    In subordine, la ricorrente sostiene che le istituzioni avrebbero dovuto utilizzare i dati relativi alla Imarflex per analogia.

94.
    Il Consiglio sostiene che, secondo l'art. 2, n. 6, del regolamento di base un paese terzo può essere considerato paese di esportazione solo se i prodotti transitano sul suo territorio. Orbene, gli FMO fabbricati dalla ricorrente verrebbero spediti direttamente dalla Thailandia verso la Comunità, senza passare per il Giappone.Del resto, la ricorrente sovrastimerebbe le attività di esportazione della Imarflex. Infatti, essa stessa emetterebbe direttamente talune fatture all'esportazione e sosterebbe costi di distribuzione nonché considerabili spese all'esportazione. Le istituzioni avrebbero pertanto validamente concluso che il Giappone non era il paese di esportazione.

95.
    Inoltre, le istituzioni avrebbero esaminato i dati della Imarflex solo per determinare se essi potessero essere utilizzati come «altra base equa» ai sensi dell'art. 2, n. 3, lett. b), ii), in fine, del regolamento di base. Il Consiglio sottolinea che, ad ogni modo, le istituzioni non potevano prendere in considerazione i dati della Imarflex, essendo inaffidabili.

96.
    Il governo francese sostiene che l'ultima frase dell'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base offre alle istituzioni un'alternativa. Esse possono fare riferimento sia «alle vendite effettuate dall'esportatore o da altri produttori o esportatori operanti nello stesso settore nel paese di origine o di esportazione» o «altra base equa», senza che esista un ordine di priorità tra tali due metodi. Pertanto, quand'anche fosse dimostrato che il ricorso al primo metodo era affidabile e più equo del ricorso a «altra base equa», il regolamento impugnato non sarebbe pertanto inficiato da un errore manifesto di valutazione tale da renderlo nullo.

97.
    Per la Commissione, sia il significato letterale del termine «esportatore» che il regolamento di base escludono l'interpretazione avanzata dalla ricorrente.

- Giudizio del Tribunale

98.
    Il Tribunale ha già giudicato che le istituzioni hanno potuto validamente concludere per l'inaffidabilità dei dati relativi alla Imarflex. Pertanto, tali dati non potevano essere utilizzati ai fini della determinazione del valore normale costruito, poiché la eventuale qualifica di esportatore della Imarflex, di cui si avvale la ricorrente, è sotto tale aspetto indifferente.

99.
    Ne consegue che l'argomento relativo alla qualità di esportatore della Imarflex deve essere disatteso.

Sulla verificabilità dei dati della Imarflex

- Gli argomenti delle parti

100.
    A parere della ricorrente, la Commissione avrebbe potuto verificare facilmente l'affidabilità delle informazioni che riteneva dubbie. Le istituzioni non possono fare assurgere la risposta al questionario a documento giuridico formale che potrebbe essere respinto in toto qualora venissero rilevati taluni errori o lacune. Il questionario sarebbe solo uno strumento al servizio delle parti, che consentirebbe di fornire, nel miglior modo possibile, i dati pertinenti entro il breve termine loro impartito per compilarlo.

101.
    In ciascuna delle fasi del procedimento, la Commissione avrebbe dovuto consentire alla ricorrente di apportare ogni chiarimento che riteneva utile. Le istituzioni avrebbero tratto argomento dalle osservazioni complementari o dalle proposte accessorie che la ricorrente è stata in grado di formulare per evidenziare l'esistenza di contraddizioni e scartare i dati forniti dalla Imarflex. Per la ricorrente, una siffatta prassi sarebbe iniqua. Le parti in un procedimento antidumping dovrebbero poter studiare soluzioni alternative nella fase amministrativa, senza aver il timore che le loro proposte vengano successivamente usate contro di esse.

102.
    Il Consiglio sostiene che il questionario non ha come obiettivo quello di consentire al produttore considerato di dichiarare quello che gli pare opportuno, stando a carico della Commissione l'onere di metterlo in grado sanare ogni insufficienza che dovesse eventualmente rilevare. Sottolinea che il questionario indicava chiaramente le conseguenza alle quali le parti andavano incontro in caso di risposte incomplete o errate. Se è vero che la Commissione, come nella specie, può segnalare le lacune che inficiano la risposta al questionario e chiedere un complemento d'informazione, il Consiglio sottolinea che però non è un suo dovere porvi rimedio.

- Giudizio del Tribunale

103.
    Il Tribunale ha già giudicato che le istituzioni hanno validamente potuto disattendere i dati relativi alla Imarflex in ragione della loro inaffidabilità.

104.
    Del resto, il questionario comprendeva un riferimento alla responsabilità che gravava sulla ricorrente e ai rischi cui andava incontro in caso di risposta incompleta. Esso era così formulato:

«Scopo del presente questionario è quello di consentire alla Commissione di ottenere le informazioni che ritiene necessarie per la sua inchiesta. E' nel vostro interesse rispondervi nel modo più completo possibile e preciso e di unirvi tutti i documenti giustificativi. Se entro i termini stabiliti non pervengono alla Commissione tutte le informazioni richieste, questa potrà adottare provvedimenti provvisori o definitivi sulla base dei dati di fatto disponibili. La Commissione qualora rilevi che siano state fornite informazioni false o ingannevoli, potrà non tenerne conto al pari di ogni pretesa alle quale tali informazioni si riferiscono.Tenuto conto di quanto precede, qualora incontriate difficoltà o, se per qualsiasi altra ragione, riteniate di non essere in grado di completare una parte di tale questionario, siete invitati a informarne la Commissione entro 15 giorni a partire dalla data della lettera di accompagnamento. I servizi della Commissione si prodigheranno per fornirvi assistenza. Vi preghiamo di indicare le difficoltà incontrate o i chiarimenti auspicati».

105.
    Emerge inoltre dalle lettere della ricorrente del 31 luglio e 3 novembre 1995, come pure dalle dichiarazioni da lei rese in udienza, che la stessa ha trattato il procedimento di inchiesta come una trattativa, emettendo «proposte» l'una dopo l'altra riguardanti l'aliquota delle spese VGA e il margine di profitto della Imarflex. Si deve a questo proposito rilevare che la ricorrente concludendo la sua lettera 3 novembre 1995, ha fatto presente quanto segue:

«Nostra proposta finale

Come qui sopra indicato, abbiamo chiesto, nella nostra prima risposta, un'aliquota di VGA (profitto) dell'11,39% (corretta all'11,86%). Successivamente vi abbiamo proposto il 13% e il 15%. La differenza tra tali cifre proviene da un diverso modo di affrontare la questione. L'aliquota dell'11,86% è stata calcolata sulla base delle VGA/profitti della Imarflex nel loro insieme. Quello del 13% è stato calcolato sulla base dei dati specifici al dettaglio delle vendite di FMO. L'aliquota del 15% deriva dall'esempio precedente. Visto lo scarso tempo e i dati che potrebbero essere di vostra soddisfazione in quanto affidabili, vi proponiamo, in definitiva, che calcoliate i nostri valori costruiti utilizzando un'aliquota di VGA/profitto del 21,75% come cifra appropriata. Tale 21,75% proviene dal ”CMO 552” che voi avete verificato in Giappone, e sono state comunicate nell'allegato 11 della nostra lettera 31 luglio 1995. Per quanto riguarda tale modello, voi avete conoscenza dei dati reali relativi ai suoi prezzi di vendita e d'acquisto. Per quanto riguarda gli sconti e le spese di consegna, questi si avvicinano ai dati globalmente calcolati nell'allegato 2. I costi di riparazione sono ragionevoli, tenuto conto dell'attività quale voi la conoscete. Speriamo fermamente che voi accettiate tale proposta e transigiate tale pratica in modo amichevole e equo».

106.
    Tali elementi dimostrano che, agendo in tal modo, la ricorrente ha violato la natura dell'inchiesta. La predetta non potrebbe, in siffatte circostanze, rimproverare alle istituzioni di non aver proceduto a una seconda verifica o a adeguamenti idonei a eliminare i vizi che inficiano la affidabilità delle informazioni da lei inizialmente fornite.

107.
    Gli argomenti dedotti dalla ricorrente relative alla verificabilità dei dati della Imarflex devono, di conseguenza, essere disattesi in quanto infondati.

Sul carattere iniquo del ricorso ai dati coreani

Gli argomenti delle parti

108.
    La ricorrente, sostiene, inanzitutto, che il regolamento impugnato è inficiato da insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Fa presente che le istituzioni hanno applicato l'aliquota di maggiorazione coreana a un produttore stabilito in Malaysia, principalmente in ragione del fatto che quest'ultimo è legato a uno dei produttori coreani, quand'anche esportasse i FMO dalla Malaysia senza farli transitare per la Corea. La stessa logica avrebbe dovuto incentivare le istituzioni a far riferimento ai dati della Imarflex, esportatore legato alla ricorrente.

109.
    La ricorrente sostiene, in secondo luogo, che il ricorso alle spese VGA e al margine di profitto dei produttori coreani non costituisce una base equa di calcolo del valore normale costruito e viola i principi di parità di trattamento e di non discriminazioni (conclusioni dell'avvocato generale Lenz relative alla sentenza Nakajima/Consiglio, già citata, pag. I-2112, punto 85). Le istituzioni avrebbero ecceduto il limite del loro potere discrezionale nella scelta della base equa di calcolo del valore normale costruito e commesso un errore manifesto di valutazione (sentenze Nölle, già citata, e Ferchimex/Consiglio, già citata). Le istituzioni non potevano, secondo la ricorrente, fare ragionevolmente riferimento alle aliquote di maggiorazione dei produttori coreani, tanta è la differenza della loro situazione rispetto alla sua. A questo proposito, menziona due differenze sostanziali.

110.
    In primo luogo, i produttori coreani si distinguerebbero dal gruppo Nisshin per la loro dimensione. I produttori coreani sopporterebbero spese generali e amministrative di gran lunga superiori a quelle del gruppo Nisshin. Questa differenza si rivelerebbe nel confronto tra i rispettivi capitali, giri d'affari e effettivi delle imprese coreane Samsung, Daewoo, LG, da un lato, e quelli del gruppo Nisshin, dall'altro. La ricorrente produce a questo proposito un parere del professor Sekkat dell'università libera di Bruxelles secondo il quale il rapporto fatturato/dipendente non costituisce un indice pertinente della efficienza dei produttori coreani.

    

111.
    In secondo luogo, la ricorrente sottolinea che i metodi di distribuzione dei produttori coreani differiscono dai propri. Taluni produttori coreani venderebbero FMO al dettaglio sul loro mercato interno, sopportando così spese di vendita di gran lunga superiore a quelle della ricorrente, specializzata nelle esportazioni di prodotti «original equipment manufacturer» (OEM) e della Imarflex che vende il 90% dei suoi FMO in Giappone a un unico cliente.

112.
    Il Consiglio osserva che le istituzioni hanno utilizzato i dati relativi al mercato coreano, perché questo era l'unico mercato coperto dall'inchiesta per il quale erano state effettuate vendite redditizie di prodotti simili per quantitativi rappresentativi. Inoltre il mercato coreano sarebbe concorrenziale e la sua dimensione importante.

113.
    Ritiene, del resto, che i dati riguardanti i produttori coreani esibiti dalla ricorrente difettano di precisone e non sono verificabili. Il rapporto giro d'affari/dipendente di tali imprese è superiore a quello del gruppo Nisshin, il che starebbe a indicare l'esistenza di effetti positivi di economie di scale e contraddirebbe la tesi della ricorrente.

114.
    Inoltre, il Consiglio respinge la tesi che deduce differenze nei metodi di distribuzione e ricorda, a questo proposito, che la determinazione del valore normale costruito è inteso a accertare le spese VGA che la ricorrente avrebbe sopportato se avesse venduto FMO sul mercato thailandese. Ricorda che le istituzioni hanno applicato un adattamento specifico alla ricorrente al fine di tener conto del fatto che essa esportava quantitativi importanti di FMO essenzialmente a destinazione di un unico cliente nella Comunità.

Giudizio del Tribunale

115.
    Il Tribunale ha già giudicato che le istituzioni avevano validamente potuto scartare i dati relativi alla Imarflex. Ne consegue che l'argomento della ricorrente, secondo cui le istituzioni avrebbero dovuto ricorrere ai dati della Imarflex è privo di pertinenza.

116.
    Il principio di parità e di non discriminazione, del pari invocato dalla ricorrente, impedisce, da un lato, che situazioni analoghe vengano trattate in maniera diversa e, dall'altro, che situazioni diverse siano trattate in maniera eguale a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza della Corte 5 ottobre 1994, Crispoltoni e a., C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Racc. pag. I-4863, punto 51 e sentenza Thai Bicycle/Consiglio, già citata, punto 96).

117.
    L'art. 2, n. 2, lett. b), ii), in fine, del regolamento di base consente alle istituzioni di fare riferimento ai dati contabili di terzi con la sola limitazione dell'equità del metodo utilizzato. Ne consegue che la possibilità di fare ricorso ai dati contabili di terzi la cui situazione è necessariamente differente da quella delle imprese contemplate dall'inchiesta antidumping è inerente al regolamento di base, e che siffatto ricorso, di conseguenza, non potrebbe essere considerato di per sè come una violazione del principio di parità e di non discriminazione.

118.
    Del resto, dal combinato disposto del 36° e 46° ”considerando” del regolamento provvisorio emerge che «la Commissione ha considerato opportuno prendere in considerazione le spese generali, amministrative e di vendita e il margine di profitto stabiliti per le vendite remunerative in Corea. Questo metodo è stato considerato equo dato che nel presente procedimento antidumping il mercato coreano era l'unico nel quale siano state realizzate vendite remunerative del prodotto simile in quantitativi rappresentativi. Inoltre, come risulta dal 12° e 13° ”considerando”, ilmercato coreano è sufficientemente ampio e gli operatori economici interessati operano in condizioni di concorrenza».

119.
    La ricorrente non ha presentato alcun elemento di prova idoneo a dimostrare l'esistenza di un errore manifesto che inficia la validità di tale valutazione.

120.
    Per di più, si deve ricordare che, nella specie, le istituzioni hanno proceduto ad adeguamenti del valore normale costruito al fine di tener conto di talune differenze tra le rispettive situazioni dei produttori coreani e della ricorrente e, in particolare, le caratteristiche fisiche dei FMO di cui trattasi, le imposte all'importazioni e le fasi del commercio nelle quali le vendite vengono realizzate (27° ”considerando” del regolamento impugnato e 50° ”considerando” del regolamento provvisorio).

121.
    Si deve quindi ammettere che, utilizzando i dati relativi ai produttori coreani ai fini del calcolo del valore normale costruito, le istituzioni non hanno commesso un errore manifesto di valutazione né violato il principio di parità e di non discriminazione.

122.
    Gli argomenti della ricorrente che deducono l'iniquità del ricorso ai dati coreani devono di conseguenza essere disattesi.

123.
    Ne consegue che le censure avverso la scelta del metodo di determinazione delle spese VGA e del margine di profitto sono infondate. Pertanto, il primo e il secondo motivo devono essere respinti nel loro complesso.

3. Sulla presa in considerazione dei diritti all'importazione e delle imposte indirette nella determinazione del valore normale costruito e nel suo confronto con il prezzo all'esportazione (quinto motivo)

Gli argomenti delle parti

124.
    La ricorrente contesta il metodo con il quale il Consiglio ha preso in considerazione i diritti all'importazione e le imposte indirette in occasione del calcolo del valore normale costruito. Ricorda che il Consiglio ha aggiunto al costo delle materie prime l'importo del diritto all'importazione del 35% in vigore in Thailandia. Al fine di calcolare l'importo delle spese VGA e il margine di profitto, il Consiglio avrebbe aumentato i costi di fabbricazione dell'aliquota di maggiorazione derivata dai dati coreani. Così operando, le spese VGA e il margine di profitto sarebbero stati maggiorati in un importo equivalente al prodotto dato dal diritto all'importazione moltiplicato per l'aliquota di maggiorazione.

125.
    Poiché diritti all'importazione erano restituiti al momento dell'esportazione, il Consiglio avrebbe dedotto il loro importo dal valore normale costruito. Tuttavia,la ricorrente sottolinea che nessuna correzione è stata effettuata al fine di neutralizzare il corrispondente aumento delle spese VGA e del margine di profitto. Sostiene che tale metodo porta a sopravvalutare il valore normale e a accrescere di più del 3% il margine di dumping.

126.
    La ricorrente osserva che l'art. 2, n. 10, lett. b), del regolamento di base non esclude che il valore normale sia ridotto non solo dell'importo dei diritti all'importazione e delle imposte indirette, ma altresì dell'importo di cui tali diritti ed imposte hanno aumentato le spese VGA e il margine di utile. L'obiettivo di tale articolo sarebbe quello di evitare che la differenza tra il prezzo di vendita sul mercato interno (imposte indirette e diritti all'importazione inclusi) e il più basso prezzo all'esportazione, al netto di tali diritti e imposte indirette, venga considerato costitutivo di una pratica di dumping.

127.
    Ritiene che i diritti alle importazioni non avrebbero dovuto essere incorporati nel calcolo del valore normale costruito. Stabilita in una zona franca, la ricorrente importerebbe i materiali in esenzione di dazi all'importazione. Orbene, il Consiglio avrebbe proceduto come se essa avesse realmente pagato tali diritti e poi ottenuto la loro restituzione all'esportazione.

128.
    Infine la ricorrente dubita della fondatezza dell'approccio seguito dal Consiglio consistente nell'aggiungere le spese VGA e il margine di profitto (imposte e diritti pagati in Corea inclusi) ai propri costi di fabbricazione aumentati dei dazi all'importazione thailandese che non ha mai pagato. Sostiene che, in occasione del calcolo delle spese VGA e del margine di profitto, il Consiglio avrebbe dovuto neutralizzare l'incidenza dei diritti all'importazione e delle imposte indirette coreane.

129.
    Il Consiglio rileva che, benché stabilita in una zona franca, la ricorrente avrebbe dovuto pagare diritti all'importazione all'aliquota del 35% qualora avesse venduto FMO in Thailandia. L'art. 2, n. 3, lett. b), ii), del regolamento di base prevede che i costi di produzione siano calcolati sulla base dell'insieme dei costi sostenuti nel corso di normali transazioni commerciali nel paese di origine. Conformemente all'art. 2, n. 10, lett. b), di questo stesso regolamento le istituzioni hanno dedotto dal valore normale costruito l'importo dei diritti all'importazione che era stato incluso nei costi di fabbricazione. Non era necessario operare un adeguamento supplementare al fine di neutralizzare l'incidenza dei dazi all'importazione sul calcolo delle spese VGA e del margine di utile. Infatti, le spese VGA e il margine di utile calcolati per le società coreane erano espressi in percentuale dei costi di fabbricazione - imposte indirette e dazi all'importazione inclusi - dei FMO destinati al mercato coreano. Sarebbe stato pertanto necessario, al fine di garantire un valido confronto, aggiungere tali dati coreani ai costi di fabbricazione della ricorrente, imposte indirette e dazi all'importazione inclusi.

Giudizio del Tribunale

130.
    La costruzione del valore normale è intesa a determinare il prezzo di vendita di un prodotto tale quale sarebbe se tale prodotto fosse venduto nel suo paese di origine o di esportazione. Di conseguenza, sono le spese relative alle vendite nel mercato interno quelle che devono essere prese in considerazione (sentenza Nakajima/Consiglio, già citata, punto 64). Non è pertanto contestato che, qualora la ricorrente avesse venduto i FMO di cui trattasi sul mercato thailandese, ivi sarebbe risultato esigibile un diritto all'importazione del 35% sul valore dei pezzi importati. Le istituzioni hanno pertanto validamente incluso l'importo corrispondente al pagamento di tali diritti all'importazione nei costi di fabbricazione della ricorrente.

131.
    Poiché i costi di produzione della ricorrente includono i diritti all'importazione esigibili in Thailandia, era necessario applicare l'aliquota di maggiorazione coreana calcolata sulla base di costi di produzioni comprensivi essi stessi dei diritti all'importazione o di imposte indirette esigibili in Corea. Ogni altro metodo equivarrebbe, in effetti, a rompere la simetria tra gli elementi coreani (spese VGA e margine di utile) e thailandese (costo di produzione della ricorrente) del valore normale costruito.

132.
    Al fine di assicurare un valido confronto tra il valore normale e il prezzo all'esportazione, l'art. 2, n. 9, lett. a), del regolamento di base prevede la possibilità di procedere a taluni adeguamenti, in particolare in ragione di differenze relative alle imposizioni all'importazione e imposte indirette.

133.
    Tali adeguamenti non vengono operati d'ufficio: spetta alla parte che ne reclama il beneficio dimostrare che tale richiesta è giustificata (sentenza della Corte 7 maggio 1987, Nachi Fujikoshi/Consiglio, 225/84, Racc. pag. 1861, punto 33, sentenza del Tribunale 14 settembre 1995, Descom Scales/Consiglio, T-171/94, Racc. pag. II-2413, punto 66).

134.
    L'art. 2, n. 10 del medesimo regolamento aggiunge in particolare:

«Gli adeguamenti concessi in considerazione delle differenze che influiscono sulla comparabilità dei prezzi, di cui al paragrafo 9, lett. a), sono effettuati conformemente alle norme sottoindicate.

(...)

b) Oneri all'importazione e imposte indirette

Se il prodotto in questione destinato ad essere consumato nel paese di origine o di esportazione dà luogo ad esenzione dagli oneri all'importazione e dalle imposte indirette, quali definiti nelle note dell'allegato, gravanti su un prodotto simile e sui metalli in essi incorporati oppure dà luogo al loro rimborso in virtùdell'esportazione del prodotto nella Comunità, è dedotto dal valore normale un importo corrispondente a questi oneri o imposte».

135.
    Da tale disposizione emerge che le istituzioni non sono tenute a dedurre dal valore normale un importo superiore a quello degli oneri all'importazione o delle imposte indirette.

136.
    Pertanto, deducendo dal valore normale l'importo dei diritti all'importazione che sarebbero stati esigibili qualora la ricorrente avesse venduto gli FMO sul proprio mercato interno, le istituzioni non hanno violato le disposizioni dell'art. 2, n. 10, del regolamento di base.

137.
    Ne consegue che il motivo che deduce la violazione dell'art. 2, n. 10, lett. b), del regolamento di base dev'essere disatteso.

4. Sull'insufficienza della motivazione (quarto motivo)

Gli argomenti delle parti

138.
    La ricorrente sostiene che il regolamento impugnato è insufficientemente motivato poiché il Consiglio non ha esaminato uno degli argomenti da lei avanzati. Nega di aver sollevato l'argomento ripreso nel 26° ”considerando” del regolamento impugnato, secondo cui essa avrebbe «fatto valere che (l'impiego di dati della Imarflex) sarebbe conforme all'art. 2, paragrafo 6, del regolamento di base, in quanto esportazioni nella Comunità di (FMO) prodotti in Thailandia erano, in realtà, effettuate a partire dal Giappone». Essa fa presente di avere, nel corso dell'inchiesta, sostenuto che il Consiglio, al fine stabilire il valore normale costruito, doveva far riferimento alle spese VGA e al margine di utile della Imarflex sul mercato giapponese. Poiché il Consiglio non ha mai risposto a tale argomento, il regolamento impugnato dovrebbe essere annullato.

139.
    Il Consiglio afferma che il senso dell'argomentazione della ricorrente non gli è sfuggito. A questo proposito, rinvia alla formulazione della lettera di divulgazione definitiva, dove la Commissione ha risposto a tutti gli argomenti sollevati dalla ricorrente.

140.
    Sostiene che le istituzioni non erano tenute a rispondere, nel regolamento impugnato, a ciascuno degli argomenti sollevati nell'ambito del procedimento (sentenze della Corte del 25 ottobre 1984, la Rijksuniversiteit te Groningen, 185/83, Racc. pag. 3623, punto 38, 15 marzo 1989, Universität Stuttgart, 303/87, Racc. pag. 705, punto 13, e 11 luglio 1989, Belasco e a./Commissione, causa 246/86, Racc. pag. 2117, punto 55).

Giudizio del Tribunale

141.
    Secondo la costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'autorità comunitaria da cui promana l'atto impugnato, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per difendere i propri diritti e permettere al giudice comunitario di esercitare il proprio controllo. Tuttavia, non si può esigere che la motivazione del regolamento specifichi i vari elementi di fatto e di diritto, talvolta molto numerosi e complessi, nella misura in cui la questione se essi soddisfino i requisiti posti dall'art. 190 del Trattato deve essere valutata con riferimento non solo alla loro formulazione, ma anche al contesto e al procedimento nell'ambito sono stati adottati, nonché all'insieme delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (sentenza della Corte 26 giugno 1986, Nicolet Instrument, causa 203/85, Racc. pag. 2049, punto 10, 7 maggio 1987, Toyo e a./Consiglio, causa 204/84, Racc. pag. 1809, punto 31, e Nachi Fujikoshi/Consiglio, già citato, punto 39; sentenza del Tribunale 15 ottobre 1998, IPS/Consiglio, causa T-2/95, Racc. pag. II-3939, punto 357).

142.
    Questo requisito è nella specie soddisfatto. La motivazione del regolamento impugnato e i rinvii al regolamento provvisorio precisano, a sufficienza, le ragioni per le quali i dati relativi alla Imarflex sono stati disattesi. Si deve altresì constatare che le istituzioni hanno replicato agli argomenti avanzati dalla ricorrente nel corso dell'inchiesta, in particolare nel contesto delle lettere di divulgazione provvisoria e definitiva. Ne consegue che tale motivazione ha consentito alla ricorrente di conoscere le ragioni per le quali i dati della Imarflex non sono stati presi in considerazione come base di calcolo del valore normale costruito e al Tribunale di esercitare il suo controllo.

143.
    Il motivo che deduce la violazione dell'art. 190 del Trattato deve di conseguenza essere disatteso.

144.
    Da quanto precede emerge che il ricorso deve essere respinto per intero.

Sulle spese

145.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Consiglio ha chiesto la condanna della ricorrente alle spese, quest'ultima va condannata a sopportare oltre alle proprie spese, anche quelle esposte dal Consiglio.

146.
    Ai sensi dell'art. 87, n. 4, primo comma, del medesimo regolamento, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Tanto la Commissione che la Repubblica francese sopporteranno le proprie spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

1)    Il ricorso è respinto.

2)    La ricorrente sopporterà le proprie spese e quelle esposte dal Consiglio.

3)    La Commissione e la Repubblica francese sopporteranno le loro spese.

Cooke
García-Valdecasas
Lindh

Pirrung

Vilaras

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 12 ottobre 1999.

Il cancelliere

Il presidente

H. Jung

J.D. Cooke


1: Lingua processuale: l'inglese.